LUX in FOLIO Terzo numero (febbraio 2010)

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L'anarchia del potere Introduzione: tentativo di modificare la costituzione L'intento della “maggioranza” del nostro paese è quello di modificare la Costituzione. Si è addirittura parlato della possibilità di modificarne i fondamenti, ritenuti oramai obsoleti, a cominciare dall'articolo 1. Ma vi sono anche “proposte” apparentemente meno corrosive che, sottolineando l'imprescindibilità dei principi e diritti fondamentali dell'uomo, si “limitano” a prospettare “unicamente” modifiche della seconda parte della Costituzione. Tuttavia la Costituzione affida la garanzia dei diritti alla libera valutazione del Parlamento e al controllo di una magistratura indipendente. Ma, quando il Parlamento diventa il semplice esecutore degli ordini del Governo (nel migliore dei casi) o (nel peggiore) viene messo a tacere, e quando si prospettano radicali riforme della magistratura, è la Costituzione in toto ad essere umiliata. <<La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale>> (art.139): poiché questa risulta costituita dall'insieme dei principi contenuti nella Costituzione, tutto quel che altera questa forma porta con sé una violazione radicale della Costituzione, e un conseguente passaggio da un assetto politico ad un altro. Ancora, neppure può esser messo in discussione <<il valore del lavoro come base della Repubblica democratica>>, perché questa affermazione individua un principio sul quale s'innesta una tutela forte della persona, per quanto riguarda la sua <<esistenza libera e dignitosa>> (art. 36) e l'inviolabilità di sicurezza, libertà e dignità umana. Queste sono parole dell'articolo 41 il quale, in questi fondamentali principi, individua il limite dell'iniziativa economica privata, limite ritenuto inaccettabile da chi vuole sovvertire la gerarchia costituzionale, sostituendo <<mercato e concorrenza>> a <<lavoro>>. Continue, poi, sono le prese di posizione che, alterando la gerarchia costituzionale, negano il fondamentale principio di eguaglianza. Difatti l’articolo della costituzione che più sta stretto ai dis- onerevoli della nostra maggioranza, e in modo peculiare al loro Capo, è l’articolo 3 : <<[…] Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge […] senza distinzione di condizioni personali e sociali […]>>. Dopo la bocciatura del lodo Alfano, i parlamentari/avvocati/dipendenti di Silvio Berlusconi si sono messi alla ricerca di altri modi per aggirare la Costituzione. Primo tra tutti la cosidetta “riforma della giustizia”, ribattezzata anche “processo breve”. La distorsione e strumentalizzazione della parola , come ci mostra Orwell nel suo 1984” è uno dei mezzi più subdoli per mascherare la violenza e la barbarie di un regime: “Partito dell’amore” e ”Processo breve” (due tra tante formulazioni simili) rendono bene la ferocia della finzione, se applicati ai loro oggetti: il Pdl e il ddl sull’amnistia approvato dal Senato. Il punto è che bisogna essere a conoscenza del contenuto di questa norma per mettere a fuoco la falsificazione in atto e, dato l’ ossequio dei media italiani al loro Padrone, per i nostri concittadini, che continuano ad abbeverarsi in maggioranza a quella fonte inquinata, non è semplice esserlo. Il ddl “Processo breve” Partiamo dal fatto che il cosiddetto “processo breve” (soprannominato, giustamente, “processo morto”), approvato al Senato il 20 gennaio 2010 con 163 si, 130 no e 2 astenuti, viene fatto passare, dai suoi firmatari, come l'attuazione dell'articolo 111 della Costituzione (il cosiddetto “giusto processo”). Tuttavia l’articolo non pone limiti di tempo alla celebrazione del processo. Non potrebbe farlo poiché, facendo decadere il processo, negherebbe di fatto, alla vittima e al presunto imputato, il diritto all’accertamento delle responsabilità. Descriviamo, punto per punto, il disegno di legge ricordando che esso prevede diversi cicli vitali per, in primo luogo, i processi riguardanti reati punibili con pene inferiori ai 10 anni (circa il 90%), in secondo luogo, quelli implicanti reati punibili con pene superiori ai 10 anni, ancora quelli per mafia e terrorismo ed infine un trattamento particolare è previsto per i reati in corso (dal 2006) con

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Giornale di "LUX in FABULA"

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L'anarchia del potere

Introduzione: tentativo di modificare la costituzioneL'intento della “maggioranza” del nostro paese è quello di modificare la Costituzione. Si è addirittura parlato della possibilità di modificarne i fondamenti, ritenuti oramai obsoleti, a cominciare dall'articolo 1. Ma vi sono anche “proposte” apparentemente meno corrosive che, sottolineando l'imprescindibilità dei principi e diritti fondamentali dell'uomo, si “limitano” a prospettare “unicamente” modifiche della seconda parte della Costituzione. Tuttavia la Costituzione affida la garanzia dei diritti alla libera valutazione del Parlamento e al controllo di una magistratura indipendente. Ma, quando il Parlamento diventa il semplice esecutore degli ordini del Governo (nel migliore dei casi) o (nel peggiore) viene messo a tacere, e quando si prospettano radicali riforme della magistratura, è la Costituzione in toto ad essere umiliata.<<La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale>> (art.139): poiché questa risulta costituita dall'insieme dei principi contenuti nella Costituzione, tutto quel che altera questa forma porta con sé una violazione radicale della Costituzione, e un conseguente passaggio da un assetto politico ad un altro. Ancora, neppure può esser messo in discussione <<il valore del lavoro come base della Repubblica democratica>>, perché questa affermazione individua un principio sul quale s'innesta una tutela forte della persona, per quanto riguarda la sua <<esistenza libera e dignitosa>> (art. 36) e l'inviolabilità di sicurezza, libertà e dignità umana. Queste sono parole dell'articolo 41 il quale, in questi fondamentali principi, individua il limite dell'iniziativa economica privata, limite ritenuto inaccettabile da chi vuole sovvertire la gerarchia costituzionale, sostituendo <<mercato e concorrenza>> a <<lavoro>>. Continue, poi, sono le prese di posizione che, alterando la gerarchia costituzionale, negano il fondamentale principio di eguaglianza.

Difatti l’articolo della costituzione che più sta stretto ai dis-onerevoli della nostra maggioranza, e in modo peculiare al loro Capo, è l’articolo 3 : <<[…] Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge […] senza distinzione di condizioni personali e sociali […]>>. Dopo la bocciatura del lodo Alfano, i parlamentari/avvocati/dipendenti di Silvio Berlusconi si sono messi alla ricerca di altri modi per aggirare la Costituzione. Primo tra tutti la cosidetta “riforma della giustizia”, ribattezzata anche

“processo breve”. La distorsione e strumentalizzazione della parola , come ci mostra Orwell nel suo “1984” è uno dei mezzi più subdoli per mascherare la violenza e la barbarie di un regime: “Partito dell’amore” e ”Processo breve” (due tra tante formulazioni simili) rendono bene la ferocia della finzione, se applicati ai loro oggetti: il Pdl e il ddl sull’amnistia approvato dal Senato. Il punto è che bisogna essere a conoscenza del contenuto di questa norma per mettere a fuoco la falsificazione in atto e, dato l’ ossequio dei media italiani al loro Padrone, per i nostri concittadini, che continuano ad abbeverarsi in maggioranza a quella fonte inquinata, non è semplice esserlo.

Il ddl “Processo breve”Partiamo dal fatto che il cosiddetto “processo breve” (soprannominato, giustamente, “processo morto”), approvato al Senato il 20 gennaio 2010 con 163 si, 130 no e 2 astenuti, viene fatto passare, dai suoi firmatari, come l'attuazione dell'articolo 111 della Costituzione (il cosiddetto “giusto processo”). Tuttavia l’articolo non pone limiti di tempo alla celebrazione del processo. Non potrebbe farlo poiché, facendo decadere il processo, negherebbe di fatto, alla vittima e al presunto imputato, il diritto all’accertamento delle responsabilità.Descriviamo, punto per punto, il disegno di legge ricordando che esso prevede diversi cicli vitali per, in primo luogo, i processi riguardanti reati punibili con pene inferiori ai 10 anni (circa il 90%), in secondo luogo, quelli implicanti reati punibili con pene superiori ai 10 anni, ancora quelli per mafia e terrorismo ed infine un trattamento particolare è previsto per i reati in corso (dal 2006) con

pene inferiori ai 10 anni.Processi con pena massima di 10 anni

Parliamo di reati quali: il furto, la rapina, lo scippo, lo spaccio, l’associazione a delinquere, la truffa, lo stupro, la molestia, l’aborto clandestino, l’omicidio colposo plurimo, l’incendio, i reati ambientali, i reati finanziari (tributari, di bilancio, contabili), tutti i reati contro la Pubblica amministrazione (abuso d’ufficio, corruzione), corruzione giudiziaria, falsa testimonianza, calunnia, sequestro di persona non a scopo di estorsione, ricettazione, violenze in famiglia, lesioni, violenza privata, oltraggio a pubblico ufficiale, il traffico di droga non gravissimo, ecc...Per questi processi la durata massima consentita sarà di sei anni e mezzo così suddivisi: tre anni per il primo grado, due anni per l’appello e un anno e mezzo per la Cassazione.1) In primo luogo c'è da precisare che, quando si parla – per il primo grado - di una durata massima di tre anni, non si dice che dal momento in cui inizia il processo di primo grado al momento in cui arriva la sentenza di primo grado devono passare tre anni, ma che dal momento della richiesta del rinvio a giudizio del Pubblico Ministero al momento della sentenza di primo grado, non possono passare più di tre anni: ossia che in quei tre anni il Pubblico Ministero deve concludere le indagini, richiedere il rinvio a giudizio, aspettare che il G.I.P. fissi l’udienza preliminare, celebrare l’udienza preliminare davanti al G.I.P. (udienze preliminari che possono durare anche due anni); finita l’udienza preliminare, se il G.I.P. rinvia a giudizio l’imputato o gli imputati, bisogna aspettare che il Tribunale fissi la prima udienza del dibattimento, celebrarlo e arrivare alla sentenza di primo grado. Se sono passati tre anni il processo viene dichiarato estinto dal giudice di primo grado.2) Nel caso in cui si riuscisse a superare il Primo Grado, come dicevamo, si dovrà emettere la sentenza di Appello entro due anni.3) Allo stesso modo, se mai si riuscisse a superare anche l'Appello, la Cassazione avrà l'onere di confermare o cassare la sentenza d'Appello entro un anno e mezzo.Nel caso in cui la Cassazione dovesse rinviare a giudizio in Primo Grado (e dovesse esserci un altro appello) si avrà un anno di tempo per ogni grado di giudizio aggiuntivo. Lo stesso vale nel caso in cui la Cassazione rinvii in Appello.

Processi con pena superiore ai 10 anniPer questi processi (nel caso in cui non implichino reati di mafia o terrorismo) ci sarà, per il Primo Grado un tempo di quattro anni; per l’Appello due anni e per la Cassazione un anno. É curioso notare come la Cassazione abbia più tempo per i reati sopra esposti, anziché per questi, più gravi.Per i processi riguardanti reati di mafia e terrorismo si avranno in Primo Grado fino a cinque anni, in Appello fino a tre e in Cassazione due. Il giudice, però, potrà prorogare la durata fino a un terzo del tempo, nel caso in cui i procedimenti dovessero essere molto complessi e dovessero avere molti imputati. Un esempio fra gli altri: il processo “Dell’Utri” sarebbe morto, perché durato più del dovuto, dovendosi sentire tantissimi testimoni; né i giudici avrebbero potuto richiedere la proroga poiché di imputati, in quel processo, ce n'erano solo due.

Norma transitoria per i processi già in corsoLa norma prevede che tutti i processi per i reati commessi fino al 2006, beneficiari, dunque, di quello sconto di pena di tre anni, previsto dall’indulto del 2006 (proposto dalla sinistra, ma accolto col favore dell'intera classe politica) e che siano puniti con pene inferiori ai 10 anni, soggiacciono alle stesse regole di quelli futuri di cui sopra: non devono essere passati, perciò, 3 anni per il Primo Grado, 2 per l'Appello, 1 e mezzo per la Cassazione, altrimenti si dicono estinti. Un caso fra gli altri è quello di Berlusconi: “Processo Mills “ e “Mediaset”.Ma i processi a Berlusconi non sono i soli a rischio. Tra gli altri ci sono: i processi per l’aggiotaggio delle banche (caso Parmalat e Cirio), i processi per lo spionaggio della Telecom e della Pirelli, i processi per le scalate bancarie dell’Antonveneta e della BNL, tutti gli omicidi colposi (incidenti stradali e per colpa medica), i casi di malasanità (clinica S.Rita a Milano), a rischio i processi per le cause con morti sul lavoro come Eternit e Thyssen, i processi per lo scandalo dei rifiuti in Campania (a carico dell’Impregilo e di Bassolino), i processi per grandi mazzette (Enipower e Enelpower), che andranno addirittura restituite, visto che sono state nel frattempo sequestrate; i processi per la

vendita di derivati, ossia di prodotti tossici ad alto rischio ai comuni e agli enti locali, si parla perfino di possibile estinzione del processo per la strage di Viareggio.

I tranelliCi sono inoltre tre clausole aggiuntive nascoste in questa “legge”, che aggravano ulteriormente la situazione.1) La prima prevede che se il pubblico Ministero non riuscisse a chiedere il rinvio a giudizio entro i tre mesi successivi alla scadenza dei tempi dell'indagine, in ogni caso, dopo i tre mesi dalla scadenza, cominceranno già a decorrere i tre anni cosiddetti del Primo Grado. Che il P.M. non possa mai riuscirci è evidente: tra la scadenza delle indagini e la richiesta di rinvio a giudizio c’è il deposito degli atti alle parti: alla scadenza delle indagini (che possono durare da sei mesi ad 1 anno e mezzo e fino a 2 anni per i reati di mafia), il P.M. deve domandare agli avvocati, alle parti civili e alle parti offese se abbiano delle critiche da opporre agli atti depositati; dopodichè le parti hanno venti giorni per richiedere ulteriori accertamenti o interrogatori. Solo dopo aver adempiuto queste richieste, il P.M. potrà chiedere il rinvio a giudizio o l'archiviazione del caso. Prima che sia possibile il rinvio è necessario svolgere l’udienza preliminare (che può durare anche due anni). A quel punto sarà possibile sollecitare il rinvio a giudizio e fissare la data del processo. Altro ostacolo è dato dai processi con più indagati: spesso questi vengono iscritti nel registro degli indagati in periodi diversi. La durata delle indagini è sempre la stessa, tuttavia essa è spostata a seconda del momento in cui l'inquisito è stato iscritto nel registro. Ovviamente il magistrato fa, alla fine di tutte le indagini, un'unica richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli indagati (richiesta che arriva, come si potrà intuire, ben oltre la data della scadenza delle indagini riguardanti il primo di essi). É da notare, a questo punto, che la norma prevede che il conto dei tre anni entro i quali il processo di Primo Grado è dichiarato estinto, cominci a decorrere dopo tre mesi dalla scadenza delle indagini riguardanti il primo degli indagati. Il che ridimensiona, in maniera drastica, il tempo effettivo da dedicare al processo di Primo Grado.2) La seconda clausola estende la “norma” anche alle persone giuridiche (cioè anche ad eventuali società). Spesso, oltre agli amministratori (persone fisiche), implicate in un reato sono le società stesse, le quali, appurato il reato, sono costrette a pagare ingenti somme di denaro. Esempi: l'Impregilo non avrebbe più nessuna sanzione pecuniaria, per lo scandalo dei rifiuti in Campania. Lo stesso discorso vale per quanto concerne il caso di spionaggio eseguito dalla secutity della Telecom a danno di giornalisti, politici e magistrati. 3) Il terzo “tranello” è un emendamento firmato dal Senatore Valentino. Questo prevede che il provvedimento venga esteso anche ai processo per danno erariale davanti alla Corte dei Conti, quindi anche per reati contabili. Ovvero per reati nei quali l'imputato non rischia limitazioni della propria libertà ma solo sanzioni pecuniarie: il tempo sarà lo stesso concesso ai processi riguardanti reati penali con pene inferiori ai 10 anni (3 anni per il Primo Grado, 2 per l'Appello).Lo Stato rinuncerà ad incassare denaro per poter salvare quegli amministratori pubblici che hanno abusato del loro ufficio, sperperando i fondi statali. Sono quasi 7.000 i procedimenti in corso davanti alla Corte dei Conti, il che rende quasi impossibile che siano portati a termine entro i tempi indicati. Tra i processi che potrebbero saltare ci sono: il processo all'ex-Ministro Castelli, quello a Letizia Moratti (in veste di Sindaco di Milano) e, caso strano, quello riguardante lo stesso Senatore Valentino.

IncostituzionalitàSono stati segnalati diversi punti di incostituzionalità:1) Il più grave, che da solo potrebbe far respingere il testo dal Colle, è quello per cui la norma altro non è che un’amnistia mascherata (come hanno sempre sostenuto Anm e Csm) concessa però contro le norme stabilite dall’articolo 79 della Costituzione che prevede, come necessari all'approvazione, i due terzi dei voti del Parlamento.

2) I giuristi considerano <<irragionevole che sia prevista la proroga di un terzo dei termini di prescrizione solo per una tipologia di reato: i più gravi (mafia e terrorismo)>>. Questa considerazione si fonda sull'eguale diritto di tutti i cittadini ad avere uno stesso trattamento processuale.3) Anm e Csm sottolineano inoltre l'incostituzionalità dovuta all'estensione del provvedimento anche <<agli illeciti contestati alle persone giuridiche nonostante per queste non sia evocabile l’indulto>>. Per non parlare dell’estinzione dei processi dinanzi alla Corte dei Conti.

Due possibili lettureTravaglio: <<l’ipotesi è che sia semplicemente una pistola puntata per intimidire innanzitutto la Corte di Cassazione, che il 25 febbraio dovrà decidere se confermare o annullare la condanna di David Mills, perché se la Cassazione dovesse annullare la condanna di David Mills di fatto annullerebbe anche la responsabilità di Berlusconi [...].Stanno ricattando, con questa legge, la Cassazione e le stanno dicendo “o salta il processo Mills, oppure saltano tutti i processi, o quasi tutti”, questo è il ricatto, accompagnato insieme al bastone dalla carota, ossia da un emendamentino che sta vagando in Parlamento, pronto a entrare in qualsiasi provvedimento omnibus, che allunga la carriera dei magistrati da 75 a 78 anni, esattamente quello che serve al Presidente attuale della Cassazione, Carbone, che sta per andare in pensione e invece si vedrebbe prorogare in carica per altri tre anni>>.Taormina (ex-avvocato di Berlusconi): <<Conosco bene il modo con cui Berlusconi chiede ai suoi legali di fare le leggi ad personam, perché fino a pochi anni fa lo chiedeva a me [...]. Le norme che gli servono [a Berlusconi] per completare il suo disegno sono tre. […] Iniziamo dal processo breve: si tratta solo […] di una minaccia che Berlusconi usa per ottenere il legittimo impedimento. Il processo breve è stato approvato al Senato ma scommetterei che alla Camera non lo calendarizzeranno neanche, insomma finirà in un cassetto. Perché il processo breve gli serve solo per alzare il prezzo della trattativa. A un certo punto rinuncerà al processo breve per avere in cambio il legittimo impedimento, cioè la possibilità di non presentarsi alle udienze dei suoi processi e di ottenere continui rinvii […]. La legge sul legittimo impedimento è palesemente incostituzionale, e quindi la Consulta la boccerà. Però intanto resterà in vigore per almeno un anno e mezzo: appunto fino alla bocciatura della Corte Costituzionale. E Berlusconi nel frattempo farà passare il Lodo Alfano bis, come legge costituzionale, quindi intoccabile dalla Consulta.Riprendiamo Taormina per precisare, attraverso le sue parole, perchè il “legittimo impedimento” sia

incostituzionale: <<Non può essere costituzionale una legge in cui il presupposto dell’impedimento è una carica, in questo caso quella di presidente del consiglio. [...] L’impedimento per cui si può rinviare un’udienza è un impegno di quel giorno o di quei giorni, non una carica. [...] E si possono tenere udienze anche di domenica. Chiunque, quale che sia la sua carica, ha almeno un pomeriggio libero a settimana. [...] E poi, seguendo la logica di questa legge, la pratica di ottenere rinvii potrebbe estendersi quasi all’infinito [a qualsiasi carica pubblica]. [...] Insomma questa legge non sta in piedi, è destinata a una bocciatura alla Consulta. E Berlusconi lo sa, ma intanto la fa passare e la usa per un po’ di tempo, fino a che appunto non passa il Lodo Alfano bis, con cui si sistema definitivamente>>.

[Ringraziamo, per il materiale, “Il fatto quotidiano”, il “Passaparola” di Marco Travaglio, “Micromega”, “Repubblica”, “L'Unità” e “AreaGenova”]

Giuseppe Varriale

Anna Schiano Lo Moriello

“Avoid shooting this blacks. We will be remembered. We will never forget.”

“Le notizie dei Tg sono tutte contro di noi”, questa la denuncia di un bracciante africano che ha partecipato alla “rivolta” di Rosarno. Denuncia raccolta dal documentario “Rosarno. Il tempo delle arance” realizzato da InsuTv (telestreet dei movimenti antagonisti).I media ufficiali, come al solito, hanno restituito un’ immagine caotica dell’accaduto, non evidenziandone le cause né i precedenti, rendendo in tal modo vane le speranze di testimonianza delle ripetute violenze subite dagli immigrati africani. La rabbia dei “senza-voce” e dei “senza-diritti” è esplosa dopo che alcuni di loro sono stati feriti, senza alcun motivo apparente, a colpi di fucile a piombini sparati da costose automobili in corsa, o aggrediti con spranghe e bastoni.Non è la prima volta che questi “economici” lavoratori stagionali vengono attaccati (casualmente!?) al termine della stagione della raccolta degli agrumi (Gennaio-Febbraio). In occasioni precedenti si erano rivolti al Comune o ad altre istituzioni locali richiedendo un intervento volto a rendere accettabili le loro condizioni abitative e sanitarie. La totalità dei migranti (quasi tutti provenienti

dall’Africa sub-sahariana) viveva in condizioni raccapriccianti, in una vecchia fabbrica abbandonata ubicata alla periferia di Rosarno. Un ghetto fatiscente privo dei più essenziali servizi. Le loro richieste non sono mai state accolte.Probabilmente le mancate risposte, unite alle violenze perpetrate sui corpi di alcuni di loro, all’esplicito razzismo degli abitanti della zona (che tra l’altro si rifiutavano di dare in affitto case agli immigrati, costringendoli di fatto ad auto-ghettizzarsi) e allo sfruttamento bieco da parte dei “donatori” di lavoro, hanno acuito la disperazione ed il senso di abbandono dei migranti. E’ chiaro dunque come siano giunti a ritenere di non poter far sentire la propria voce se non attraverso una ribellione piuttosto aspra.La risposta degli abitanti del luogo è stata terribilmente violenta: guerriglia urbana, caccia all’uomo, spedizioni

punitive.La risposta delle istituzioni non è andata al di là della repressione e della deportazione dei più deboli, degli sfruttati, delle vittime indifese delle aggressioni.Degli almeno duemila migranti allontanati da Rosarno, circa duecento sono ancora rinchiusi nei centri di identificazione ed espulsione (C.I.E.) di Bari e Crotone e rischiano espulsioni di massa. Ottantaquattro migranti sono stati costretti al ricovero ospedaliero a seguito delle aggressioni subite.Il contesto in cui si è scatenata questa rivolta è un tipico esempio dell’attuale sistema socio-economico che si regge su nuove forme di schiavitù. Sui quindicimila abitanti di Rosarno, milleseicento nuclei familiari (quasi esclusivamente formati da proprietari di piccoli e medi appezzamenti agricoli) ricevono un sussidio agricolo dalla Comunità Europea in quanto ufficialmente ritenuti coltivatori diretti. Al dato ufficiale corrisponde una realtà ben diversa : la raccolta delle arance è lavoro svolto in nero da salariati stagionali extracomunitari (molti dei quali dotati di regolare permesso di soggiorno), nella migliore delle ipotesi sottopagati (venti, venticinque euro ogni trenta cassette riempite), nella peggiore e più consueta delle ipotesi non pagati affatto e minacciati di gravi ritorsioni.Una possibile spiegazione delle minacce e delle violenze inflitte agli immigrati di colore è legata alle conseguenze sociali del cosiddetto “pacchetto sicurezza” varato dal governo nell’estate 2009. Con l’approvazione di questo decreto ai “datori di lavoro” conviene far lavorare braccianti neocomunitari provenienti dall’est europeo, cosa che permette loro di rischiare molto meno perché li si può velocemente regolarizzare in caso di controlli.L’effetto in tal modo raggiunto, com’è facilmente intuibile, non è quello di eliminare il lavoro in nero, ma unicamente quello di creare una guerra tra poveri con evidenti vantaggi per i “padroni”.

Produce una certa amarezza notare che gli studiosi ritengano che sia ormai superato il razzismo fondato sul concetto di razza (concetto che, a loro dire, è comunemente accettato come frutto di una politica becera e come privo di qualsiasi riscontro biologico).Ritengono, però, i ricercatori, che al “razzismo di razza” si vada sostituendo un non meno deprecabile razzismo culturale (il termine cultura è usato qui nel suo senso ampio, quale insieme dei modi di fare e di vedere il mondo, appartenenti ad una data comunità culturale).Razzismo culturale, per intenderci, è quello che trova come sue manifestazioni tangibili la chiusura o il divieto di apertura di moschee; quello che ha reso possibile il ricorso del governo italiano alla Corte di Strasburgo per continuare a mettere in mostra il crocifisso nei luoghi pubblici; quello che ha reso possibile l’immissione di un tetto massimo (e non

minimo) al numero di studenti stranieri nelle classi della scuola pubblica; quello che in linea definitiva pretende che gli stranieri presenti sul nostro territorio sopprimano le proprie radici culturali per omologarsi a noi. L’amarezza è dovuta alla constatazione che in Italia pare evidente che l’una forma di razzismo non si sia sostituita all’altra ma le si sia affiancata.Saranno mai gli uomini capaci di definirsi unicamente uomini? Saranno mai gli uomini realmente Uomini? Sarà mai la diversità rispettata ed accettata (non brutalmente tollerata, come del resto neppure avviene)? Accettata e rispettata come la vera ricchezza di una umanità plurale eppur una?“Noi siamo uomini, non siamo animali!” questo il triste ritornello che quasi tutti gli immigrati intervistati hanno recitato.Uomini, non animali (per quanto siano trattati come tali).Da animali, a ben vedere, ci siamo comportati proprio noi italiani: tanto incivili ed incolti quanto ben pasciuti!

Luca SorrentinoAnna Schiano Lo Moriello

Il teatro nella “società dello spettacolo”.

E’ difficile pensare cosa abbia spinto in origine un uomo a ripetere un’azione davanti ad un altro uomo con lo scopo di “intrattenerlo”. Alla base di questo problema, che ha coinvolto le più disparate discipline, si nasconde il “perché” della rappresentazione teatrale.Aristotele, nella Poetica, definisce la tragedia (e per esteso possiamo intendere il teatro) come mimesis praxeos, cioè imitazione di un’azione, persone che agiscono, intendendo l’utilizzo dell’imitazione drammaturgica come istanza conoscitiva.E sarebbe proprio questa spinta verso la presa di coscienza dell’oggetto, secondo il filosofo Virgilio Melchiorre, a fare dell’attore un esploratore che attraverso il personaggio indaga le diverse prospettive dell’esistenza umana.In ogni caso, il teatro, è anche essenzialmente legato al suo aspetto “festivo”, non intendendo solo la ricorrenza calendariale, ma anche e soprattutto lo spazio temporale in cui la dimensione collettiva elabora la rappresentazione a cui assiste come condivisione del senso, come concretizzazione dell’universalità, predisposizione verso un unico caleidoscopico oggetto.Ma oggi, in un mondo (il nostro mondo), capillarmente caratterizzato dalla spettacolarizzazione del tutto; dove ogni giorno siamo spettatori di una vita che sembra ormai qualcosa d’altro rispetto la quotidianità in cui ci muoviamo; dove non può più esserci il “momento condiviso” perché siamo costantemente immersi nel flusso delle immagini; dove, per dirla con Debord, le immagini si interpongono tra gli individui, nel loro rapporto sociale, dando vita a quella nefasta forma di “spettacolo” che fa dell’assoggettamento psicologico degli individui il suo punto forte e che, continuando con Debord, si permea nel reale come gioco di potere, elogio del presente; come si può, quindi, oggi far coincidere quella spinta verso la conoscenza che l’esperienza teatrale sintetizza, con il carattere festivo di cui quest’ultima ha bisogno?Un capovolgimento, quello annunciato da “La società dello spettacolo”, che mai più di oggi può trovare una perfetta corrispondenza nel reale, in questo reale, dove “il vero è un momento del falso”, dove l’ingresso dei new media ha certamente modificato non solo il ruolo di ciò che è “pubblico” decontestualizzandolo e reinserendolo ampliato in ciò che ci circonda e sovrasta, ma ancor di più ha mutato le ragioni relazionali, che si sganciano dall’immanenza fisica, di cui il teatro necessita e di cui è fondamento, favorendo interfacce grafiche o interattivismi glaciali che a poco a poco rendono apparentemente vacua quell’iperintensificazione delle percezioni e delle emozioni che la rappresentazione teatrale ancora pone come basi essenziali dell’esistere generale e del proprio essere. E dunque, ancora, ricollegandoci ad un preoccupato quesito posto dal filosofo Gadamer, può il teatro sopravvivere a questo mondo mutato e alla tecnica moderna che ne intacca il più intimo ambito vitale? Insomma, come può, il teatro, sopravvivere da un lato alla capillare diffusione della spettacolarizzazione del tutto e dall’altro alla convulsa diffusione delle nuove tecnologie mediali?

Sicuramente una soluzione è possibile trovarla nello statuto non spettacolare delle produzioni teatrali degli ultimi decenni. In parte il teatro sperimentale infatti si è, “spogliato” dei propri allestimenti strutturali, scenografici, scendendo in piazza, riacquisendo quel coinvolgimento popolare che le avanguardie avevano interrotto, o comunque inserendosi nelle zone della formazione, della terapia, dell’integrazione culturale, è il caso del teatro sociale, dove le relazioni prevalgono sui significati prettamente artistici.Tornando ancora un momento al teatro che invade altri ambienti, è il caso di fare alcuni esempi in cui possiamo notare come la rappresentazione viene integrata in contesti che non le appartengono per natura, che fanno del teatro oggetto d’incontro non programmato, evento spettacolare de-spettacolarizzato uscendo dal contesto in cui noi siamo abituati

Immagine tratta da "L'Orlando furioso" di Ronconi

a vederlo, ma che contemporaneamente guarda allo spettatore non più come elemento passivo, o meglio, come semplice destinatario, e gli attribuisce un ruolo che prima non aveva mai avuto. E così il regista Ronconi mette in scena “L’Orlando Furioso” uscendo dal luogo teatrale, spostandosi invece in Piazza del duomo a Milano, e non accontentandosi di ciò, rompe la scena, suddivide le azioni. «Le azioni sono simultanee, si svolgono contemporaneamente su palchi e piattaforme mobili diverse, che gli attori spostano di continuo, costringendo lo spettatore a continui e improvvisi spostamenti durante la rappresentazione.». Lo spettatore (in piazza del duomo ce n’erano settemila di spettatori) si sente così disorientato, non più condotto per mano, e ciò lo porta quindi a interagire con ciò che accade, è lo spettatore che decide quale palco guardare, quali azioni osservare, rendendosi così regista di ciò che vede, creandosi uno spettacolo fatto si di elementi nati dalla compagnia teatrale, ma che, con un sottile gioco di collage, lo spettatore unisce in un ottica sua, che fa capo solo alla sua mente, rendendo così ciò che vede unico.Relegandoci ancora in un ambito e in una concezione artistica del teatro, un perfetto esempio di come il teatro trovi ancora energie propulsive ed espressioni poetiche negli ultimi decenni, è dato dalle opere di Samuel Beckett, dove l’attore riconquista il palco.

Nonostante l’utilizzo emblematico delle nuove tecnologie mediali e l’integrazione di esse in alcune opere (“Quadrat 1+2”), il teatro beckettiano si può indiscutibilmente riassumere nella contemplazione del senso. La scena è centrata sul corpo, sulla voce, sul ritmo, sulla luce, caratterizzata da scarne scenografie; tutto si basa, e deve essere basato, sul percepire, un percepire lontano dall’essere onirico, che cerca la struttura fondamentale dell’umano tra un movimento del corpo dell’attore che pare bloccato talvolta dal muro della conoscenza, e un altro che a volte è estenuatamente lento, quasi per farci cogliere i

più minuti dettagli del cammino esistenziale. Cade qui la rappresentazione fatta di azioni unite da una causa e un effetto, mancano le discussioni in cui ad una domanda segue una risposta, manca la coerenza, mancano le rappresentazioni relazionali, tutto ciò che può avere un senso logico, razionale, crolla in una messinscena che vive solo e unicamente di emozioni trasmesse dall’insieme indivisibile delle componenti “dell’assurdo”. Eppure, nel marasma di voci, sussurri, gesti, corse, dialoghi illogici beckettiani, possiamo trovare un senso che racchiude infinite teorie, innumerevoli spiegazioni che mai si delineeranno. In “Aspettando Godot” c’è chi ci ha visto la contrapposizione tra capitalismo e proletariato, chi invece una lettura laica del Vangelo e così via… ognuno può vederci ciò che le sensazioni del non-senso gli hanno trasmesso, sensazioni, ripetiamo, date dalla messa in discussione del teatro classico, fatto di relazioni definite, scenografie che volevano far capire dove si trovavano gli attori, dialoghi che mantenevano un nesso tra ciò che era e ciò che sarebbe accaduto; tutto era creato affinchè lo spettatore seguisse con facilità ciò che accadeva sul palco. In ogni caso, riguardo a Beckett, si tratta di ciò che potremmo definire teatro metafisico, che coglie nell’essenza l’uomo, che fa ancora dell’attore lo spirito ribelle che vuole allontanarsi dalla realtà che lo circonda per giungere all’universale, un universale che vuole concretizzare sul palco, non per mostrarlo, ma per farlo comprendere nella sua trasparenza-incoerenza agli spettatori, questa volta consapevoli d’esserlo, in modo che possano cogliere il quid che ci accomuna, la crisi relazionale manifesta in una vita senza scopo, senza senso, una vita in attesa di Godot.

GianMarco Altieri

Scena tratta da una rappresentazione teatrale di "Aspettando Godot" di Beckett

I confini attraverso la musica: l’“invalicabile muro” di Roger Waters.

16 Novembre 1979. E’ il giorno in cui esce il doppio album dei Pink Floyd, The Wall, uno dei dischi rock più famosi della storia. Ma è qualcosa di più di un disco, è una vera e propria “opera” rock partorita dalla folle - quanto geniale - mente di Roger Waters, bassista-leader della storica band inglese. Si tratta di un concept album, in cui le canzoni seguono un unico filo conduttore (quello del muro di comunicazione che separa le persone), concepito da Waters durante il tour del ’77 con i Pink Floyd, nella quale ebbe alcuni screzi con il pubblico: “L’idea di The Wall è nata dopo dieci anni di tour con spettacoli rock, credo soprattutto dopo gli ultimi anni quando suonavamo davanti a un pubblico enorme. Alcuni venivano per ascoltare quello che volevamo suonare, altri solo per riempirsi di birra. Suonavamo sempre in stadi molto grandi, e diventò un’esperienza abbastanza alienante fare spettacoli; io divenni conscio del MURO che ci separava dal pubblico, e quindi questo disco è nato da quei orribili concerti…”. La storia narrata in The Wall è prima di tutto una storia personale, composta in parte da esperienze autobiografiche di Roger Waters ed in parte dalla storia di quel Syd Barrett, il folle “pifferaio” dei primissimi Pink Floyd…. L’opera si apre con The Thin Ice, dove viene presentato Pink, un rocker che chiuso nella sua stanza d’albergo si sente usato dalla gente che lo circonda e consumato dalla popolarità che gli è stata costruita attorno. Il continuo susseguirsi di ricordi che si sovrappongono alla realtà, fanno scaturire in lui un turbine di emozioni, nonché l’ immagine del padre morto in guerra (come accadde realmente a Waters, Another Brick In the Wall part I) quando lui era ancora bambino. Ma Pink da piccolo viene istruito in una scuola omologante ed oppressiva, che punta a sopprimere la creatività tramite il “controllo mentale” attuato dagli insegnanti, spesso frustrati dalla loro vita privata (The Happiest Days Of Our Lives). L’unico modo per sfuggire a questa realtà è quello di costruirsi un muro che lo difenda da tutto ciò che lo circonda, mentre la separazione da sua moglie (Don't Leave Me Now) rappresenta l’ultimo mattone di questa barriera (Empty Spaces).Costruito il muro, Pink è completamente isolato dal mondo, sotto l’effetto delle droghe distrugge la camera d’albergo (One Of My Turns) e terrorizza una fan che era riuscita ad intrufolarsi: ormai è vittima della sua pazzia, schiavo di un mondo per lui irriconoscibile. Pink vuole suicidarsi, vuole dare una svolta alla sua vita, incomincia a cambiare completamente la sua figura, immaginandosi un dittatore nazista che, esibendosi davanti una folla in delirio, le urla: “Fosse per me vi farei ammazzare tutti…” (In The Flash). Questo non può accadere, lo spettacolo deve andare avanti: il suo manager irrompe nella sua stanza e con l’aiuto di un medico (Comfortably Numb) viene rimesso in piedi quel tanto che basta per farlo suonare, viene preso di peso e buttato nella sua limousine (Waiting For The Worms). Quella però è solo la materia di Pink, la sua anima è al sicuro protetta dal muro, e si rende conto che non può continuare così…Stop. Inizia l’auto-processo interiore (The Trial), dove rivede tutti quei personaggi che hanno

segnato la sua vita: la mamma, la moglie, gli insegnanti…accusato di aver “mostrato sentimenti”, gli viene inflitta la condanna che consiste nella distruzione del muro e nel ritorno alla realtà…. Questo Muro è quindi la barriera che isola il protagonista dal resto del mondo, è una tragedia personale. Ma può essere interpretato anche come il simbolo di tutte le barriere che imprigionano l’uomo ed il suo spirito. Criticabile (come d’altronde è accaduto) da vari punti di vista, The Wall è innegabilmente una pietra miliare della musica rock. La storia, articolata e profonda, nonché condita da un sottile vena di pazzia, si presta a molteplici interpretazioni (simbolica, pacifista, politica, sociale, psicologica…). Il disco è coinvolgente, stilisticamente ricopre moltissimi generi (dalle ballads tipicamente pinkfloydiane a pezzi carichi di atmosfere lugubri) e non c’è un solo secondo che non vale la pena di ascoltare. Un’ opera che ancora oggi suscita un fascino infinito; probabilmente non passerà mai il tempo di vedere raffigurati, accanto alle frasi di Jim Morrison, al nome dei nostri idoli, ai t.v.b.,. quei famosi mattoni. La cosa più curiosa (e più triste) è che questo fortunatissimo doppio album creerà un Muro tra il resto della band e Roger Waters che, assillato dalle proprie paranoie, di li a poco si separerà dai Pink Floyd…purtroppo questo sarà un Muro che non verrà mai abbattuto.

Luca Frugiuele

“L'artista è il creatore di cose belle. Rivelare l'arte e celare l'artista è il fine dell'arte.”

Solo una citazione tratta dalla prefazione del libro “Il ritratto di Dorian Gray”. Solo uno spunto per comprendere che, sin dal principio, il film diretto da Oliver Parker e tratto dall’opera, presenta delle vistose incongruenze con essa che, per quanto siano concesse in una (forse troppo libera) trasposizione, sono a mio avviso capaci di deformare il messaggio stesso del capolavoro, quello autentico, che l’autore ha voluto trasmetterci attraverso le sue parole.

E quindi il primo strano avvenimento del film è l’esposizione del quadro. Qualcosa di assolutamente inconcepibile secondo quanto rivela lo stesso Basil Hallward, l’artista, autore del ritratto : "Ogni ritratto dipinto con passione è un ritratto dell'artista, non del modello[…]La ragione per cui non voglio esporre questo quadro è che temo d'aver mostrato in esso il segreto della mia anima”.Dunque, Basil teme di mostrare in maniera troppo evidente le proprie emozioni, il proprio turbamento di fronte alla “presenza visibile”

di Dorian, diventato indispensabile alla sua vita, l’essenza stessa della sua arte, ancor più di un

modello ispiratore. Basil non potrebbe mai esporre così tanto di sé, ed in effetti, nel libro, non lo farà.Seguitando col racconto, nel capitolo secondo, Lord Henry Watton, riesce ad influenzare e “corrompere” l’anima pura del giovane Dorian, attraverso l’arguta esposizione delle sue teorie edonistiche sulla vita. Il tutto è accompagnato dalla descrizione suggestiva del delizioso giardino della dimora di Basil, quasi a suggerire il fiorire della giovinezza, della bellezza estetica, quasi uno sfondo delicato al quale s’intona perfettamente la delicata figura di Dorian. Nella trasposizione cinematografica, non v’è traccia del giardino: Lord Henry conduce il ragazzo attraverso i quartieri malfamati di Londra (cosa che nel romanzo accadrà, ma solo in seguito), e gli espone il suo pensiero in una locanda, dove peraltro avviene il primo incontro con Sybil Vane, l’attrice di cui Dorian s’innamorerà.Due motivi fondamentali verranno quindi tralasciati da Parker: l’ideale estetico di bellezza, che nel romanzo non coincide fin dal primo momento anche con la ricerca dell’orrido, del sensuale, del peccato, o del mostruoso, ma ha origini diverse, nella purezza incontaminata della fanciullezza, nella sua naturale ingenuità. In secondo luogo, il motivo dell’innamoramento: l’arte. Dorian si innamora della bella attrice, che lo emoziona quando interpreta la Giulietta di Shakespeare, o veste i panni di altre donne della tragedia. E il motivo per cui decide di abbandonarla crudelmente, non è, come suggerisce il film, il suo voler scampare ad un affrettato matrimonio, dopo essersi abbandonato al piacere in un bordello. La ragione reale è la critica mossa dai suoi amici, Lord Henry e Basil al modo di recitare della fanciulla. Dopo essersi innamorata di Dorian, Sybil non riesce più a fingere, a vivere imitando le passioni, credendo che le ombre dei suoi personaggi siano reali. Ed è così che Dorian decide di mettere fine a questa sua esperienza, accusando la ragazza di aver ucciso il suo amore, non essendo più una valida attrice.L’abilità di Wilde sta nel far intendere tutti i “peccati” ai quali Dorian si abbandona nel corso degli anni, senza mai menzionarli esplicitamente, ricorrendo alla suggestione, alle dicerie della borghesia londinese, altra protagonista del romanzo, che con la sua ipocrisia non può credere che un giovane così puro all’apparenza, possa aver commesso i peccati di cui si dice in giro. L’autore non cade mai nel volgare, non è mai troppo esplicito, ma lascia un alone di mistero attorno al protagonista, cosa forse difficile da rendere in una pellicola cinematografica.Ad ogni modo, tralasciando dettagli quali il modo in cui Dorian si sbarazza del cadavere di Basil dopo averlo assassinato, il soprannome (non menzionato nel film) che gli viene affibbiato da Sybil, Principe Azzurro, e che lo condurrà ad essere riconosciuto ed a rischiare la vita, e la vicenda della morte di James Vane, completamente sovvertita nel film, vi sono alcuni altri elementi che a mio avviso stravolgono il senso dell’opera.In primo luogo la storia d’amore tra Dorian ed un personaggio assolutamente assente nel romanzo : Emily Watton, figlia di Lord Henry. Innanzitutto, perché l’avvenimento muta i rapporti tra Dorian ed il suo amico, rendendoli conflittuali. Lord Henry diverrà sospettoso e irascibile, arrivando ad indagare sull’omicidio di Basil, ed infine, dopo aver scoperto che è stato proprio Dorian ad averlo commesso, a tentare di distruggere il suo ritratto.In realtà Lord Henry non è altro che una rappresentazione del modo in cui Wilde viene visto dal suo pubblico. È un personaggio intrigante e un po’ misterioso. Un diavolo tentatore che però rimane discreto e non si lascia travolgere dalle emozioni. La sua relazione con Dorian si baserà su una fascinazione reciproca, ed egli non sospetterà mai che il suo “pupillo” possa essere colpevole: “Voi, Dorian, non siete il tipo da commettere un assassinio. Mi dispiace se parlando in questo modo offendo la vostra vanità, ma v'assicuro che è vero. Il delitto appartiene esclusivamente alle classi inferiori.” (Lord Henry Watton)Infine, in che modo i personaggi intuiscono che distruggendo il quadro metterebbero fine all’esistenza di Dorian? Questo non è chiaro nel film, e del resto nel romanzo ciò non viene

svelato sino alla morte del protagonista: la ragione per cui Dorian pugnala il suo ritratto è la sua voglia di essere libero, di ricominciare, di ricostruirsi una vita priva di orrori e peccati. E questo, a suo avviso, può avvenire soltanto distruggendo l’orribile dipinto, riflesso della sua anima corrotta, della sua coscienza. Egli non ha intenzione di suicidarsi, o di redimersi dai peccati perché spinto dall’amore per Emily. Inoltre, il suo innamoramento è qualcosa di non consono al suo carattere. Le ragioni per cui egli seduce le persone che gli sono accanto sono la sua vanità, il suo gusto per tutto ciò che procura piacere, la sua gioia nell’essere un’influenza amorale, la sua depravazione, non certo l’amore. Questa possibilità di redenzione che Parker offre al protagonista, porta con sé un pathos del tutto estraneo all’opera, un’oppurtunità che Wilde non concederà mai a Dorian Gray.

Sara Guardascione

Nuova gioia nella vita (per i giovani)

L'analisi di GalimbertiA parere di Galimberti i giovani soffrono, ma questa loro sofferenza non è, come si potrebbe facilmente credere, una sofferenza esistenziale. I giovani pare soffrano di un male molto più radicale: soffrono la presenza di ciò che Nietzsche chiamava l'ospite inquietante, ossia soffrono a causa del nichilismo. Segno massimo della presenza di questo ospite sarebbe la completa mancanza, nella vita dei giovani, di un linguaggio-delle-sensazioni. I giovani sarebbero analfabeti, dal punto di vista della conoscenza-comunicazione delle proprie sensazioni, dei propri sentimenti, delle proprie sofferenze, delle proprie affezioni; per questo sarebbero in balia della pubblicità e del mercato, i dirigenti dei quali si rendono facilmente conto di questo loro stato. Inoltre, a causa di quell'annuncio che Nietzsche fa nell'aforisma 125 de “La Gaia Scienza”: “Dio è morto” (sentenza fortemente sentita dai giovani), il futuro sarebbe visto più come minaccia anziché come promessa: quando cade qualsiasi promessa di redenzione non resta che la fine. Questo è il quadro agghiacciante, secondo Galimberti. Ma, da filosofo, egli prova anche a rispondere. Un modo per salvare i giovani potrebbe essere quello di far provare loro nuovamente interesse per la vita. Questo può avvenire ritornando, in un certo modo, al mondo greco e all'analisi, di cui i classici greci sono saturi, della propria virtù in un senso teoretico-gnoseologico: “Conoscere se stessi” e pratico: “Conoscere se stessi per poter affrontare il mondo naturale esterno”, di cui l'uomo greco non si sente essenzialmente parte integrante. Per Galimberti, in particolare, analizzare le proprie virtù significa comprendere quel qualcosa che contraddistingue il proprio essere. Solo questo continuo interesse per la propria virtù può sostituire la categoria del senso (categoria propriamente religiosa): senso del mondo, della vita, della propria sofferenza, ecc.., ormai distrutta dalla sentenza nietzscheiana, e portare ad un superamento del nichilismo. Il “Conosci te stesso”, nel duplice senso sopra esposto, dovrebbe essere la scuola delle emozioni/sensazioni. L'analisi di Galimberti (che io conosco solo fino a questo punto e che ho molto ridimensionato, basandomi su un'intervista rintracciabile su questo indirizzo: www.youtube.com/watch?v=UQcvpevBVfI) non mi sembra sbagliata, ma penso alla possibilità che possa essere portata avanti.

Umberto Galimberti

Un probabile perchèIn primo luogo dobbiamo chiederci perchè i giovani hanno perso interesse nei confronti della vita e della propria, personale virtù. A mio avviso ciò avviene a causa del Potere, nella sua continua smania di universalizzazione. Il Potere, difatti, deve cercare (per sua natura) di conquistare fino al limite ultimo. Per fare questo deve, da un lato, rendere riconoscibili, quanto più superficialmente possibile, ai suoi sudditi i suoi nemici; dall'altro deve fare in modo che i nemici stessi, trovandosi alle strette ed isolati, scelgano di appartenergli e di essere riconosciuti, quindi, quali suoi servitori (ovviamente questo è un processo inconscio che si fonda sui media, sulla pubblicità, sull'imposizione implicita). Questo meccanismo è, evidentemente, deciso dall'alto: i giovani non possono mettere mano a questo ingranaggio; possono essere capaci solo di dar vita ad un nuovo sistema (cosa che farebbero se solo l'attuale metodologia nichilistico-economica non mettesse a repentaglio le loro coscienze). Questo, comunque, è il doppio-movimento del Potere ed è quanto a esso basta. Bastando al Potere questo riconoscimento esterno, i giovani sentono di conoscere tutti gli uomini al primo sguardo e, di rimando, di riconoscersi quale parte integrante di quella società che essi riconoscono ed accettano. Qui diventa evidente come la pubblicità (intesa come aspetto riguardante la decisione pubblica), con i suoi spot mistificatori e creatori di bisogni inesistenti, con la sua propaganda, ecc.., sia il nichilismo: essa obnubila le coscienze. Ciò è quanto avviene anche con la droga: il motivo, a mio avviso, per cui si fa strada un così largo uso di stupefacenti tra i giovani è dato dall'abitudine ad avere le menti annebbiate, offuscate; il compito della droga è solo quello di creare una nuova condizione di obnubilamento (condizione divenuta oramai normale). In ogni modo, essendo questi i gradi (decisi dall'alto) massimi della conoscenza e del riconoscimento, i giovani si conformano ad essi credendo che questo significhi conoscere e ricordare.

Debole critica alla tesi della ricerca della propria virtù e conclusioneMa analizziamo se il superamento di questo stato attraverso il riconoscimento delle proprie virtù sia sufficiente. Io credo di no perchè, per quanto il Dio-positivo sia morto, esso è rimasto, come presenza-nell'-assenza, in senso negativo. Andiamo a precisare il senso di quanto detto: esistono tre ontologie regionali: Dio, Uomo e Mondo. Se pronunciamo la massima di Nietzsche “Dio è morto”, con ciò non abbiamo eliminato la ontologia regionale “Dio”. Questa si svuota, restando presente-vuota. Le domande sollevate da “Dio” non possono essere risolte dalle altre ontologie regionali. Per questo restano irrisolte. E non può certo Dio colmare nuovamente di sé la sua categoria, una volta vuotata. Bisogna riempirla necessariamente di altro.Ora, Galimberti sembra voglia risolvere le domande poste da “Dio” attraverso l' ”Uomo”: la conoscenza di sé dovrebbe superare la domanda sul senso. Ma questo a me sembra appunto cercare di ri-empire il vuoto di “Dio” con qualcosa che non può ri-colmarlo o sostituirlo: l' ”Uomo”.Quale, allora, una possibile risposta? La risposta, a mio avviso, può essere solo il riempimento di “Dio” attraverso la sua stessa modificazione. Quindi, riempire “Dio” attraverso l'Altro (dopotutto “sacro” significa, etimologicamente, “separato”, dunque altro). L'Altro, però, non è solo l'altro-in-sè: esso è l'Altro-in-noi (Noi in quanto altro agli occhi dell'Altro e l'Altro come colui che Noi potremmo essere, potenzialmente, e che in parte già siamo), l'Altro-in-sè (l'Altro come essere diviso dal Noi, ma simile) e Noi-nell'-Altro (Noi nella visione dell'altro). E per “Altro” non è da intendere solo un altro uomo (per quanto l'altro-uomo sia il senso più forte che dò alla parola), ma tutto ciò che ci circonda, tutto il mondo, in ultima istanza.

In questo modo, in una visione in cui “sacro” torna a significare “separato”, si potrebbe avere una nuova configurazione delle tre ontologie regionali sopra richiamate: non Dio, Uomo e Mondo, ma Uomo, Mondo e Altro. Questa mutazione, questa nuova configurazione, non significa ri-empire

“Dio” dell' ”Altro”, quanto piuttosto dare alla categoria del sacro un senso terreno, troppo spesso dimenticato nella storia del pensiero: il senso di “separato” e di “Altro” nel suo significato pieno. Divisione che porta con sé una risposta alla sua stessa natura divisa nella misura in cui l'Altro è

anche il Mondo il quale, non essendo più l'extra-nos ma solo il separato-affine-a-Noi, non è il completamente estraneo, ma il diviso-nella-stessa-unità che non è, a sua volta, qualcosa di superiore alle tre ontologie, bensì le tre ontologie insieme: la loro unità che sola è il completo. E la risposta pratica, quindi, da dare ai giovani non può che essere questa: rendersi conto dell'unità del diviso, della vicinanza tra Noi e l'Altro. Interessarsi, quasi come se fosse un nuovo comandamento, all'Altro in termini di ecologia, società, ambiente, scienza, filosofia, psicologia, arte, multi-culturalità, gioco, nella continua incertezza della sempre-nuova creazione...

Giuseppe Varriale

L' incertezza dell'incertezza

Nel 1652 due uomini: un filosofo ed un matematico, discussero circa l'esistenza di Dio.Il matematico era piuttosto scettico, mentre il filosofo credeva fermamente che Dio esistesse. Fu così che, dunque, iniziarono a discutere.Il matematico sosteneva che Dio non potesse esistere perchè altrimenti non si sarebbe potuto spiegare come, per un Dio onnipotente, non fosse possibile che qualcosa di certo diventasse incertissimo. << Ad esempio>>, sosteneva il

matematico, <<se Dio esistesse, Egli potrebbe tranquillamente fare in modo che 2+2 anziché 4 (che è una di quelle cose che mai si sono messe in discussione), faccia 5 o un altro qualsivoglia numero >>.Il filosofo, da parte sua, sosteneva - invece - che proprio a causa di ciò era evidente l' esistenza di Dio. << Se Dio non esistesse, non sarebbe possibile fondare il proprio sapere. In questo modo le nostre conoscenze non sarebbero mai certe, anzi, non sarebbero nemmeno conoscenze perchè niente di ciò che è avrebbe una causa e, quindi, una essenza e, dunque, niente di ciò che esiste sarebbe

Arcimboldo - Estate Copertina dell'album dei Queen "The miracle"

Frans Hals (pittore): Ritratto di Renè Descartes. Filosofo (1596-1659)

Durand (pittore): Pierre de Fermat. Matematico (1601-1665)

conoscibile >>.Il matematico ribattè a questa affermazione sostenendo che l'essenza delle cose fosse matematica e, per questo, completamente e certamente conoscibile. Inoltre, sosteneva ancora, se fosse esistito un Dio infinitamente potente, questi avrebbe potuto fare in modo che la natura delle cose potesse essere sempre diversa e, dunque, inconoscibile. O, quantomeno, non conoscibile perfettamente una volta per tutte.Il filosofo, per superare questa aporia, sostenne che Dio fosse infinitamente buono e che, quindi, non fosse Lui a rendere l'uomo fallace. << Dio, come ha sostenuto un certo francese ultimamente, ha creato l'uomo dotandolo di un intelletto finito e, come segno della derivazione divina dello stesso uomo, di una volontà infinita. A causa del suo intelletto finito, l'uomo non può conoscere con certezza tutte le cose. Mentre, a causa della sua infinita volontà, egli vuole esprimere un giudizio su tutte le cose, anche su quelle che non conosce ( o non può conoscere ) chiaramente e distintamente. É l'uomo a sbagliare, usando male la propria volontà! Non Dio a fare in modo che egli sbagli ! >>. Il matematico apprezzò, per certi versi, la teoria del filosofo. Rigettò completamente la teoria della creazione dell'uomo da parte di Dio e tutte le conclusioni del filosofo che implicavano questo punto. Accettò, invece, con convinzione il fatto che, qualora non si conosca qualcosa in modo chiaro e distinto, il giudizio su quel qualcosa potesse essere potenzialmente errato. Tuttavia, come già detto, rifiutò l'esistenza di Dio e sostenne che l'errore era causato dal fatto che ogni cosa, facente parte dell'essenza di un qualche ente, fosse costituita da serie numeriche. L'errore consisteva nel fatto che, sebbene le serie numeriche fossero infinite, solo una di esse o, tutt'al più, alcune di esse costituissero l'essenza delle cose. << Dunque, l'uomo che non conosce queste serie di numeri, potrebbe facilmente sbagliare nel momento in cui cercasse di chiarire quale sia l'essenza di un dato ente >>.Il dibattito continuò a lungo senza la minima possibilità che i due contendenti potessero trovarsi d'accordo sul punto che ritenevano essere fondamentale: l'esistenza, o meno, di Dio.In quel momento si trovò a passare da quelle parti un certo pazzo influente. Appena ebbe ascoltato le ultime fasi della discussione, si accostò ai due ed iniziò a comunicare con essi:<< Di cosa parlate, uomini? >> - chiese il pazzo.<< Io parlo dell'esistenza di Dio >> - rispose il filosofo.<< Io, invece, della Sua inesistenza >> - disse il matematico.<< Da quel che posso capire, non siete d' accordo..?! >>.<< No, assolutamente >> - risposero i due.<< Lasciate che io ascolti le vostre ragioni >> - insistette il pazzo.I due ritornarono, dunque, a contendersi la verità discutendo e adducendo, insieme a quelle già prese in considerazione, nuove ragioni, conseguenze e teorie.Ascoltatili entrambi, il pazzo sentenziò:<< Non siete, evidentemente, d'accordo su un punto molto importante. Eppure non vi rendete conto che entrambi basate le vostre teorie sullo stesso fondamento >>.Di fronte a queste parole il matematico e il filosofo restarono basiti: erano fermamente convinti che tutto quanto avessero detto fosse stato dettato precisamente da due fondamenti completamente diversi, anzi, contraddittori fra loro.Il pazzo interruppe i loro pensieri.<< Non siete voi, per caso, certi di qualcosa? E non fondate, forse, ciò che credete sia il fondamento dei vostri ragionamenti, e cioè Dio o i numeri, sulla possibilità della conoscenza certa? >>.I due dovettero ammettere che era effettivamente come diceva il pazzo e che, dunque, qualcosa di simile ci fosse nei loro ragionamenti. Entrambi, quasi all'unisono, dichiararono allora che << Il tutto è fondato sulla certezza! >>. Erano già pronti ad incamminarsi, dopo aver ringraziato il pazzo, che subito questi continuò:<< Eppure, sapete che io ho potuto parlarvi solo perchè una volta ho creduto in Dio e ora non più? E dicasi lo stesso per la matematica >>.<< Forse è così, ma questo non confuta che tutto si fondi sulla certezza: avete, probabilmente, creduto nella certa esistenza di Dio per poi affidarvi a quella matematica, o viceversa. E se anche

ora non doveste essere certo di nessuna delle due, sarete certo sicuramente, di altro >> - rispose il filosofo.<< In verità, continuò il pazzo, mi pare che nulla sia certo >>.<< Allora >> - questa volta replicò il matematico - << sarete certo che nulla sia certo. Il vostro argomento cerca di confutare la certezza con una nuova certezza. In questo modo non fa che avvalorare la proposizione or ora trovata da me e il filosofo, grazie al vostro aiuto >>.<< In realtà >> - confessò il pazzo - << io non so se credere all'esistenza di Dio, o della matematica, o meno. A volte sento, altre no; a volte penso, altre no; a volte credo, altre no, che..non so. In generale, non so affidarmi a nulla senza rendermi conto che, nello stesso tempo, non posso completamente accettarla. Mi sento solo, tra amici che mi tendono la mano esplicitamente, urlandomi di reggermi a loro. Amici che, intanto, mi sussurrano che mi tradiranno >>.Dette queste parole il pazzo divenne meditabondo.I due, appena le ebbero ascoltate, sentirono solo l'impulso di allontanarsi; l'impulso a fuggire quell'uomo. Erano sconcertati, sconfitti dai non-ragionamenti del pazzo, dalla sensibilità di lui, dall'esistenza di quell'essere umano.( Dopotutto com'è possibile, a chi sempre è stato sordo ai sussurri; a chi sempre si è affidato alla mano sicura della certezza, accettare l'incertezza ? ).Ma poi ci pensarono su. In fondo avevano parlato con un pazzo. E questo era certo.

Giuseppe Varriale

«Guardatemi da' topi or che son unto»Il titolo non dice tutto, ma suggerisce molto. Questa frase sarebbe stata detta da Pietro Aretino, scrittore italiano del Cinquecento, in punto di morte. Io la rubo, decontestualizzandola, per il titolo di questa rubrica. Voglio per un po' esser topo… e voi sarete topi con me, metaforicamente parlando s’intende! Come i roditori, di cui a quanto pare l’Aretino aveva timore, erano soliti punzecchiare i corpi dei defunti, a me piacerebbe qui punzecchiarne il ricordo, affinchè la morte smetta di nobilitare l’uomo. Ogni mese racconterò satiricamente, ma neanche tanto, di un personaggio noto, nell’anniversario della sua nascita. Mi auguro che nessuno trovi ciò di cattivo gusto… tranne, ovviamente, i diretti interessati!

Il 24 febbraio del 1934 nasceva in quel di Milano Benedetto Craxi, la cui modestia, o la consapevolezza di sé, portò a ridimensionare il santo nome facendosi chiamare Bettino!Bettino è stato un uomo politico italiano… qualcuno lo ricorderà come il corrotto di tangentopoli, altri come quello che “annusava” il garofano rosso, altri come l’amichetto di giochi di Silviuccio, altri ancora come il Nerone della prima Repubblica, ma forse molti lo ricordano in tanti altri modi… magari un giorno lo ricorderanno solo come una via, una piazza, un corso… suggerirei, perché no, “largo B. Craxi”! E largo lo era davvero Bettino, soprattutto con i soldi degli italiani, con lui il debito pubblico in circa quattro anni passò da 234 a ben 522… miliardi di euro, o almeno il corrispettivo in lire. Lo ricordiamo qui come colui che ha spianato la strada dell’editoria televisiva a Berlusconi con il decreto approvato tramite voto di fiducia, lo ringraziamo, quindi, per averci concesso l’opportunità di vedere il Tg di Emilio Fede a livello nazionale e per il bombardamento propagandistico a cui siamo sottoposti e che regge il caro premier; ma forse non si aspettava nemmeno che quell’ometto così più basso di lui potesse addirittura superarlo! Molte sono le caratteristiche comuni tra il segretario del Partito

Géricault: Pazzo con monomania del furto

S. Berlusconi e B. Craxi

Socialista Italiano e il leader del “Popolo delle libertà”… e quante libertà! Interessante ricordare le accuse di complotto politico rivolte alla magistratura, solo quella che condanna naturalmente. Ma in fondo Bettino era un uomo che amava la vita, la bella vita: Moana Pozzi (attratta probabilmente dal sobrio occhiale da vista), nel suo libro, gli diede un bel sette e mezzo come amante… peccato però, viene specificato dalla pornostar, che non si trattò di un rapporto sessuale completo... chissà che scusa inventò Bettino! Ma lui di scuse non aveva bisogno, anche durante tangentopoli più che professare la propria innocenza preferiva ampliare le accuse che venivano mosse al suo partito a tutta la classe politica, e che classe direi! Peccato però che fu poi condannato con sentenze passate in giudicato ad oltre dieci anni per faccende di corruzione varia… molti altri processi, invece, sono stati conclusi con una sentenza di estinzione del reato per il decesso dell’imputato. Ma non avrebbero fatto comunque la differenza al “ladrone” (come veniva definito in quegli anni). Infatti il 12 maggio del 1994 gli venne ritirato il passaporto per pericolo di fuga, ma… ops!... Bettino era già in vacanza in Tunisia protetto da un caro amico: quell’altro grande democratico di Ben Alì, Presidente tunisino, strangolatore di qualsiasi forma di opposizione e ombra vigile sui media del paese in cui il “benedetto” Craxi se ne stava tranquillo nella sua villa ad Hammamet dove si spense il 19 gennaio del 2000, non da esiliato come alcuni sostengono, bensì da latitante.Alla prossima!

GianMarco Altieri

Diario prosaico. Ovvero opere della maturità

Memorie feticisteEra la prima Repubblica, forse già la seconda.

I salumieri vendevano merendine sfuse.

Ambra, Tappartengo.

Occhetto, ve lo ricordate Occhetto?

Pallore/Squallore.

Ciucciotti di plastica di svariati colori:

frenetica corsa ai ciucciotti colorati.

Tatuaggi finti. Come imparai a scrivere poesie intimisteTracce sbiadite sulla pelle,

Come fossero tatuaggi finti.

Desideri da bricolage:

Tristi come gli amori estivi.

Appendice paesaggisticaAvviso ai lettori: ve lo giuro non è un articolo di denuncia sull’emergenza-rifiuti.

Parola di viandante!

Pomeriggio invernale, passeggiata con gli amici nelle terre flegree,

Sospese tra mito, storia e leggenda.

Natura generosa e rigogliosa, ruderi inaspettati, paesaggi mozzafiato, fumarole,

Uccelli rari in volo e trincee di munnezza.

A sbarrare i nostri passi cessi rotti, sacchette, scarti di materiali edili e cancelli di ferro.

Ovunque ci girassimo cancelli e cartelli di (pseudo) proprietà private.

Terra sospesa tra mito, storia e leggenda.

E scarde di cessi.

Luca Sorrentino