Impulso, energia e massa associati al campo elettromagnetico Infine si è studiato il problema...

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Impulso, energia e "massa" associati al campo elettromagnetico Rosa Pisano

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Impulso, energia e "massa" associati alcampo elettromagnetico

Rosa Pisano

Indice

1 Le trasformazioni di Lorentz dei campi 41.1 Il quadripotenziale di una carica in moto . . . . . . . . . . . . 41.2 I campi di una carica a velocità costante . . . . . . . . . . . . 71.3 Trasformazione relativistica dei campi . . . . . . . . . . . . . . 101.4 Le equazioni del moto in notazione relativistica . . . . . . . . 17

2 Energia e impulso dei campi 222.1 Conservazione locale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222.2 Conservazione dell’energia ed elettromagnetismo . . . . . . . . 242.3 Densità e flusso d’energia nel campo elettromagnetico . . . . . 262.4 Esempi di flusso d’energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292.5 L’impulso del campo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

3 La massa elettromagnetica 393.1 L’energia del campo di una carica puntiforme . . . . . . . . . 393.2 L’impulso di una carica in moto . . . . . . . . . . . . . . . . . 403.3 La massa elettromagnetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 423.4 La forza di un elettrone su sé stesso . . . . . . . . . . . . . . . 433.5 Tentativi di modificare la teoria di Maxwell . . . . . . . . . . 46

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Introduzione

Scopo della tesi è quello di mostrare che sulla base della teoria elettroma-gnetica, i campi elettromagnetici possiedono proprietà di natura tipicamentemeccanica, quali energia e impulso.Inoltre è possibile derivare le relazioni quantitative che legano tali proprietà"meccaniche" ai campi stessi.

Questo lavoro è stato sviluppato secondo l’approccio seguito da Feynmannel famoso libro "La Fisica di Feynman", [1], [2], [3], [4].

Nella presente trattazione si presume la conoscenza delle basi della Rela-tività speciale e delle equazioni di Maxwell.Il lavoro di tesi è suddiviso in tre capitoli.

Il primo capitolo ha una funzione prettamente propedeutica.Nella prima parte del capitolo si è illustrato come ricavare i campi elettrico

e magnetico generati da cariche in moto arbitrario, a partire dai potenzialiscalare e vettore, introducendo il concetto di "quadri-posizione ritardata".Si è partiti dalla definizione di campo elettrico e magnetico e facendo delleosservazioni sull’operatore ∇ e sul prodotto vettoriale si è giunti al risultatoche i campi fanno parte di un "oggetto a sei componenti" indicato con Fµν ,che è un "tensore del secondo rango antisimmetrico".A fine capitolo si sono determinate le leggi di trasformazione di Lorentz dellagrandezza Fµν , che qualificano Fµν come tensore.

Nel secondo capitolo si è trattato della conservazione "locale" dell’energiae dell’impulso dei campi.Si è introdotta la conservazione dell’energia del campo, mostrando l’analogiacon la legge di conservazione della carica. Per descrivere quantitativamentela conservazione dell’energia si è dovuto definire quanta energia c’è in unqualunque elemento di volume dello spazio e l’entità del flusso d’energia.In realtà si è notato che la conservazione dell’energia è valida se si consideraanche l’energia della materia. Quindi si è trovata una equazione che descrivecome l’energia totale del campo in un dato volume può decrescere sia perchéuna certa energia totale del campo fluisce fuori dal volume considerato siaperché il campo cede energia alla materia.

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Infine si è studiato il problema della conservazione dell’impulso del campoelettromagnetico. Per fare ciò si è determinata la relazione che intercorre traenergia ed impulso del campo.Si è mostrato che l’impulso non è altro che il prodotto di 1/c per l’energiaassorbita.

Nell’ultimo capitolo si è trattato il problema della "massa elettromagne-tica" di una particella carica.

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Capitolo 1

Le trasformazioni di Lorentz deicampi

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1.1 Il quadripotenziale di una carica in motoIl quadripotenziale elettromagnetico Aµ = (φ,A) è un quadrivettore. Lacomponente temporale è il potenziale scalare φ e le tre componenti spazialisono quelle del potenziale vettore A. Utilizzando le trasformazioni di Lorentzè possibile ricavare i potenziali di una particella di carica q che si muove convelocità uniforme su una linea retta. In quanto segue le unità di misura sonoscelte in maniera tale che la velocità della luce risulti c = 1.Consideriamo un carica puntiforme che all’istante di tempo t si trova nellaposizione (vt, 0, 0). Adoperando le trasformazioni di Lorentz ricaviamo che ipotenziali nel punto di coordinate (x, y, z) sono dati da:

φ =q

4πε0

√1− v2[

(x− vt)2

1− v2+ y2 + z2]

12

(1.1)

Ax =qv

4πε0

√1− v2[

(x− vt)2

1− v2+ y2 + z2]

12

(1.2)

Ay = Az = 0 (1.3)

Osserviamo che le equazioni sono espresse per mezzo di (x − vt) , y e z cherappresentano le coordinate misurate a partire dalla posizione attuale P(dove con il termine attuale si intende la posizione della carica all’istante t)

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della carica in moto.

Fig.(1.1) Campi dovuti a una carica q

L’influenza effettiva della carica viaggia con la velocità della luce, perciò è ilcomportamento della carica nella posizione ritardata P ′ quello che realmenteconta.Il punto P ′ si trova in x− vt′ (dove t′ = t− r′/c é il tempo ritardato).Bisogna ricordare che la carica si muove con velocità uniforme, in linearetta: allora il comportamento in P ′ e la posizione attuale sono diretta-mente collegati. Aggiungendo l’ipotesi che i potenziali dipendono solamen-te dalla posizione e dalla velocità all’istante ritardato si ha nelle equazioni(1.1), (1.2), (1.3) una formula completa per i potenziali di una carica che simuove in modo qualunque.Si prenda in considerazione una carica che si muove in modo arbitrario se-condo la traiettoria in Figura 1.2.

Fig.(1.2) Carica che si muove su una traiettoria arbitraria

Si vogliono determinare i potenziali nel punto (x, y, z).Inizialmente si trovano la posizione ritardata P ′ e la velocità v′. Si suppone

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che la carica continui a muoversi con la stessa velocità durante l’intervallo diritardo −∞ < (t′− t) < +∞ , in modo tale che essa si trovi in una posizioneimmaginaria Pp (chiamata " posizione proiettata ") e che ci arrivi con lavelocità v′ .(Ovviamente la vera posizione della carica all’istante t è in P ). Allora i po-tenziali in (x, y, z) sono quelli che le equazioni (1.1), (1.2), (1.3) danno con lacarica immaginaria che occupa la posizione Pp .Siccome i potenziali dipendono solo da ciò che la carica fa all’istante ritar-dato, essi saranno gli stessi sia che la carica continui a muoversi a velocitàcostante, sia che abbia cambiato velocità dopo l’istante t′, ossia dopo che ipotenziali si devono manifestare in (x, y, z) al tempo t erano già stati deter-minati.Grazie alla formula dei potenziali di una carica che si muove a velocità ar-bitraria abbiamo l’elettrodinamica; per sovrapposizioni si possono ottenerei potenziali di qualsiasi distribuzione di carica. Tutti i fenomeni dell’elet-trodinamica possono essere riassunti o scrivendo le equazioni di Maxwell ofacendo le seguenti osservazioni:(a) Aµ è un quadrivettore(b) il potenziale di Coulomb di una carica stazionaria è

q

4πε0r;

(c) i potenziali prodotti da una carica che si muove di moto qualunquedipendono solo dalla velocità e dalla posizione al tempo ritardato.

Essendo Aµ un quadrivettore trasformando il potenziale di Coulomb siottengono i potenziali nel caso di moto uniforme.Poiché i potenziali dipendono dalla velocità al tempo ritardato, si può pen-sare di utilizzare l’artificio della posizione proiettata per determinarli.Molte persone affermano che l’intera elettrodinamica può essere dedotta par-tendo solamente dalle trasformazioni di Lorentz e dalla legge di Coulomb.Ciò è completamente falso. Prima di ogni cosa bisogna supporre che c’è unpotenziale scalare e un potenziale vettore (che assieme costituiscono un qua-drivettore) che permettono di studiare come i potenziali si trasformano.Ci chiediamo: perché i potenziali dipendono dalla posizione e dalla velocitàe non, per esempio, dall’accelerazione? I campi E e B dipendono dall’acce-lerazione. Se provassimo ad applicare ad essi lo stesso tipo di ragionamento,potremmo dire che dipendono solo dalla posizione e dalla velocità al temporitardato. Ma allora i campi prodotti da una carica in moto accelerato sa-rebbero gli stessi dei campi della carica nella posizione proiettata, il che èassolutamente falso. I campi non dipendono soltanto da velocità e posizione,ma anche dall’accelerazione.

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1.2 I campi di una carica a velocità costanteUna volta determinati i potenziali di una carica puntiforme che si muove avelocità costante, ricaviamo i campi. Vi sono molti casi in cui le particelle simuovono di moto uniforme, per esempio i raggi cosmici che attraversano unacamera di Wilson, o anche elettroni che si muovono lentamente in un filo.Studiamo che aspetto hanno i campi per velocità qualunque, anche vicine aquella della luce, nella sola ipotesi che non vi sia accelerazione.I campi si ottengono dai potenziali (1.1), (1.2), (1.3) con le usuali regole

E = −∇φ− ∂A∂t

e B = ∇×A .Cominciamo con Ez :

Ez = −∂φ∂z− ∂Az

∂t.

Ma Az è zero; perciò derivando nelle equazioni (1.1), (1.2), (1.3) si ottiene

Ez =q

4πε0

√1− v2

z

[(x− vt)2

1− v2+y2 + z2]

32

(1.4)

Analogamente per Ey si ha

Ey =q

4πε0

√1− v2

y

[(x− vt)2

1− v2+y2 + z2]

32

(1.5)

La componente x del campo non è semplice da calcolare, richiede piu lavoro.La derivata di φ è piu complicata e Ax non è zero. Come prima cosa si calcola

−∂φ∂x

=q

4πε0

√1− v2

(x− vt)/(1− v2)

[(x− vt)2

1− v2+y2 + z2]

32

(1.6)

Derivando Ax rispetto a t si ricava

−∂Ax∂t

=q

4πε0

√1− v2

−v2(x− vt)/(1− v2)

[(x− vt)2

1− v2+y2 + z2]

32

(1.7)

E infine sommando si ottiene

Ex =q

4πε0

√1− v2

(x− vt)

[(x− vt)2

1− v2+y2 + z2]

32

(1.8)

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Prima di analizzare la fisica del campo elettrico E, determiniamo il campomagnetico B. Per la componente z si ha:

Bz =∂Ay∂x− ∂Ax

∂y.

Poiché Ay è nullo, non rimane che ricavare una sola derivata. Notiamo peròche Ax non è altro che vφ , e ∂/∂y di vφ è semplicemente −vEy. Perciò siha

Bz = vEy. (1.9)

Similmente

By =∂Ax∂z− ∂Az

∂x= +v

∂φ

∂z

e quindi

By = −vEz (1.10)

Infine Bx è nullo perché sia Ay che Az sono uguali a zero. Si può scrivere ilcampo magnetico B nella forma semplice

B = v× E (1.11)

Analizziamo ora che aspetto hanno i campi. Tracceremo un’immagine delcampo in varie posizioni intorno alla posizione presente della carica. È veroche l’influenza della carica proviene, in un certo senso, dalla sua posizioneritardata, ma siccome il moto è specificato, la posizione ritardata è data uni-vocamente in base alla sua posizione presente. Per velocità uniformi è piùconveniente riferire i campi alla posizione presente, perché le componenti deicampi nel punto (x, y, z) dipendono solamente da (x− vt), y e z che sono lecomponenti dello spostamento rp dalla posizione presente al punto (x, y, z).Consideriamo un punto con z = 0. Allora il campo E ha solo componentilungo x e y dalle equazioni (1.5) e (1.8) il rapporto di queste componentirisulta uguale al rapporto fra le componenti x e y dello spostamento: ciò staa significare che E ha la stessa direzione di rp. Siccome Ez è anche propor-zionale a z, è chiaro che il risultato vale in tre dimensioni.

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Riassumendo, il campo elettrico è radiale rispetto alla carica e le linee dicampo emanano radialmente da essa, proprio come fanno per una carica sta-zionaria. Ovviamente il campo non è esattamente lo stesso come per unacarica stazionaria, a causa dei fattori extra in (1 − v2). Si può fare un’inte-ressante osservazione: la differenza è quella che si otterrebbe se si tracciasseil campo di Coulomb per mezzo di uno speciale sistema di coordinate in cuila scala dell’asse x fosse strizzata di un fattore

√1− v2. In questo modo le

linee di campo si diraderanno avanti e dietro la carica e si stringeranno ailati di essa.Collegando l’intensità di E alla densità delle linee di campo, si osserverà uncampo più intenso ai lati e più debole davanti e dietro la carica, che è pro-prio ciò che affermano le equazioni. Se esaminiamo l’intensità del campo adangolo retto con la linea di moto, cioè per (x − vt) = 0, la distanza dellacarica è (y2 + z2). L’intensità totale del campo è

√E2y + E2

z che dà

E =q

4πε0

√1− v2

1

y2 + z2. (1.12)

Il campo è proporzionale all’inverso del quadrato della distanza, come peril campo di Coulomb, eccetto per un aumento dovuto al fattore costante1/√

1− v2 , che è sempre maggiore di uno. Per cui lateralmente a una caricain moto il campo elettrico è più intenso di quello che si ottiene dalla legge diCoulomb. Infatti il campo in direzione laterale è più grande del potenziale diCoulomb nel rapporto dell’energia della particella alla sua massa di quiete.Davanti alla carica (e dietro) y e z sono zero, quindi

E = Ex =q(1− v2)

4πε0(x− vt)2. (1.13)

Anche in questo caso il campo varia come l’inverso del quadrato della distan-za della carica, però ridotto secondo il fattore (1−v2). Se v/c è piccolo, v2/c2

è ancora più piccolo e l’effetto dei termini in (1−v2) è molto piccolo: in pocheparole siamo ritornati alla legge di Coulomb. Se una particella si muove conuna velocità prossima a quella della luce, il campo nella direzione in avantiviene ridotto enormemente, mentre quello in direzione laterale è aumentato.Le linee di campo non sono reali ma sono solo un modo di rappresentare ilcampo. In questo caso però, se si commette l’errore di pensare che le lineedi campo esistono in qualche modo realmente nello spazio e si applicano letrasformazioni di Lorentz, si ottiene il campo giusto. Ciò non rende le lineedi campo più reali. Quello che occorre per ricordare che le linee di campo nonsono reali è di pensare al campo elettrico prodotto da una carica associata ad

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un magnete; quando il magnete si muove, si producono nuovi campi elettriciche distruggono il disegno delle linee di campo. Il campo magnetico è v×E.Considerando il prodotto vettoriale della velocità con un campo radiale siottiene un campo B che circola attorno alla linea di moto.Se si rimettono i c al loro posto,otteniamo lo stesso risultato che si aveva percariche a piccola velocità. Un metodo per stabilire dove sistemare i c è diricondursi alla legge di forza F = q(E + v×B).Una velocità moltiplicata per un campo magnetico ha le stesse dimensionidi un campo elettrico; perciò il secondo membro dell’equazione (1.12) deveavere un fattore 1/c2:

B =v× Ec2

(1.14)

Per una carica che si muove molto lentamente (v � c), si può scegliere E ilcampo di Coulomb; allora si ha

B =q

4πε0

v× rr3

. (1.15)

1.3 Trasformazione relativistica dei campiFinora abbiamo calcolato i campi elettrici e magnetici a partire dai poten-ziali trasformati. Sarebbe più comodo, per diversi scopi, avere un modo dicalcolare i campi in un sistema mobile quando già si conoscono in un sistema"in quiete". Le leggi di trasformazione per φ e A le conosciamo, in quantoAµ è un quadrivettore. Ora desideriamo conoscere le leggi di trasformazionedei campi E e B.Ci chiediamo: dati i campi E e B in un riferimento, come si presentano inun altro riferimento in moto rispetto al primo? Si potrebbe tornare ai campipassando per i potenziali, ma in molti casi è conveniente saper trasformare icampi direttamente.Come si possono trovare le leggi di trasformazione dei campi? Conosciamole leggi di trasformazione di φ e A e sappiamo che i campi si esprimono permezzo di essi: allora dovrebbe risultare facile trovare le trasformazioni di Ee B.Prendiamo in esame il campo magnetico B che è definito come ∇×A.Sappiamo che il potenziale vettore, con le sue componenti secondo x, y e z èsolamente un pezzo di una certa cosa: c’è anche una componente temporale.

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Inoltre per le derivate, come ∇, oltre alle parti relative a x, y e z c’è ancheuna derivata rispetto a t. Proviamo ad immaginare cosa accade se si sosti-tuisce un ”y” con un ”t”, o una ”z” con un ”t” o qualcosa di simile.Analizziamo la forma dei termini in ∇×A quando si scrivono le componenti:

Bx =∂Az∂y− ∂Ay

∂z, By =

∂Ax∂z− ∂Az

∂x, Bz =

∂Ay∂x− ∂Ax

∂y. (1.16)

La componente x è uguale a una somma di termini in cui compaiono lecomponenti secondo y e z. Supponiamo di chiamare la combinazione diderivate e di componenti un ”oggetto zy” e dargli un nome stenografico:Fzy.In poche parole

Fzy ≡∂Az∂y− ∂Ay

∂z(1.17)

Analogamente, By è uguale allo stesso tipo di ”oggetto”, ma in questo casosi tratta di un ”oggetto xz”. E ovviamente, Bz è il corrispondente ”oggettoyx”. Perciò abbiamo:

Bx = Fzy, By = Fxz, Bz = Fyx. (1.18)

Cosa accade se si tenta di inventare un qualche oggetto di tipo ”t” come Fxt eFtz (giacché la natura dovrebbe essere simmetrica in x, y e z)? Per esempio,

cos’è Ftz? È naturalmente∂At∂z− ∂Az

∂t.

Ricordiamo che è At = φ, così che questo è anche∂φ

∂z−∂Az

∂t. È la componente

z del campo elettrico E, ma c’è un segno sbagliato. Si è dimenticati chenel gradiente quadridimensionale la derivata rispetto a t è di segno oppostorispetto alle derivate rispetto a x, y e z. Perciò si sarebbe dovuto sceglierecome generalizzazione per Ftz l’espressione

Ftz =∂At∂z

+∂Az∂t

(1.19)

Allora diventa esattamente −Ez. Studiando gli ”oggetti” Ftx e F ty si tro-va che le tre possibilità danno i seguenti risultati: Ftx = −Ex, Fty = −Ey,Ftz = −Ez.Cosa accade se entrambi gli indici sono t? Oppure se ambedue sono x? Si

ottengono oggetti del tipo Ftt =∂At∂t− ∂At

∂t, e Fxx =

∂Ax∂x− ∂Ax

∂x, che danno

come risultato zero.Dunque abbiamo sei di questi oggetti F . Ve ne sono altri sei che si otten-gono invertendo gli indici, ma studiando questi oggetti non si hanno nuovirisultati, poiché Fxy = −Fyx e così via.

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Di sedici possibili combinazioni dei quattro indici presi a coppie, si ottengonosoltanto sei oggetti fisici differenti ed essi sono le componenti di B e E. Perrappresentare il termine generale di F , verranno utilizzati gli indici generaliµ e ν che possono simboleggiare 0, 1, 2 o 3, intendendo nella usuale notazio-ne quadrivettoriale t, x, y, e z. Perciò tutto sarà coerente con la notazionequadrivettoriale se si definisce Fµν ponendo F µν = ∇µAν−∇νAµ, ricordandoche ∇µ = (∂/∂t,−∂/∂x,−∂/∂y,−∂/∂z) e Aµ = (φ,Ax, Ay, Az).Il risultato è che si sono trovate sei grandezze, in natura collegate tra di loro,che sono aspetti diversi della stessa cosa. I campi elettrico e magnetico consi-derati come vettori distinti nel mondo delle piccole velocità non sono vettorinello spazio quadridimensionali. Essi sono parte di un nuovo ”oggetto”. Il"campo" fisico è in realtà l’oggetto a sei componenti Fµν .Questo è il modo in cui bisogna considerare il campo secondo la Relatività.I risultati ottenuti per Fµν vengono riassunti nella seguente tabella:

Le componenti di FµνFµν = −FνµFµµ = 0

Fxy = −Bz Fxt = ExFyz = −Bx Fyt = EyFzx = −By Fzt = Ez

Tabella 1

Ciò che abbiamo fatto è quello di generalizzare il prodotto vettoriale. Siè iniziato con l’operazione rotore e si sono utilizzate le proprietà di trasfor-mazione del rotore che sono le stesse di due vettori. Vogliamo ora esaminareun prodotto vettoriale ordinario in tre dimensioni, per esempio il momentoangolare di una particella. Quando un oggetto si muove in un piano, la gran-dezza (xvy − yvx) è importante. Per il moto in tre dimensioni ci sono treanaloghe grandezze importanti, che prendono il nome di momento angolare:Lxy = m(xvy − yvx), Lyz = m(yvz − zvy), Lzx = m(zvx − xvz).Delle nove grandezze possibili, ci sono soltanto tre numeri che sono indipen-denti; e succede che quando si cambia sistema di coordinate questi tre oggettisi trasformano esattamente nello stesso modo delle componenti di un vettore.In tre dimensioni è un caso fortunato che dopo aver preso una combinazionedi vettori, essa si possa rappresentare anche per mezzo di un altro vettore;questo perché ci sono tre termini che si trasformano come le componenti diun vettore. In quattro dimensioni questo è praticamente impossibile, perchéci sono sei termini indipendenti e non è possibile rappresentare sei cose per

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mezzo di quattro. Anche in tre dimensioni è possibile avere delle combina-zioni di vettori che non si possono rappresentare con dei vettori.Per esempio, prendiamo in considerazione due generici vettori a = (ax , ay , az )e b = (bx , by , bz ) e costruiamo le varie possibili combinazioni di componenti,come axbx, axby , ecc.Sono nove le possibili grandezze.

axbx, axby, axbzaybx, ayby, aybzazbx, azby, azbz

che potremmo chiamare, per semplicità Tij. Se si passa ad un sistema dicoordinate ruotato le componenti di a e b sono variate. Nel nuovo sistemaax , per esempio, viene sostituito da

a′x = axcosθ + aysinθ,

e by viene sostituita da

b′y = bycosθ − bxsinθ.

E in modo analogo si ottengono le altre componenti. Le nove componen-ti della grandezza-prodotto T ij, ovviamente, sono anch’esse cambiate. Peresempio T xy = axby si cambia inT

′xy = axby(cos

2θ)− axbx(cosθsinθ) + ayby(sinθcosθ)− aybx(sin2θ)ossiaT

′xy = Txycos

2θ − Txxcosθsinθ + Tyysinθcosθ − Tyxsin2θ.Ciascuna componente di T ′

ij è combinazione lineare delle componenti di Tij.Allora si è giunti a questo risultato: non soltanto è possibile avere un “pro-dotto vettoriale” come a× b, che ha tre componenti che si trasformano comeun vettore, ma si può costruire un altro tipo di “prodotto” Tij di due vettori,con nove componenti che si trasformano per effetto di una rotazione secon-do determinate regole, che si possono anche ricavare. Un simile oggetto cherichiede due indici per descriverlo, prende il nome di tensore. Il punto fon-damentale è che la grandezza elettromagnetica Fµν è un tensore del secondorango, questo nome è dovuto al fatto che ha due indici. Però è un tensore inquattro dimensioni. Nel caso di Fµν se si scambiano gli indici esso cambia disegno. È un caso particolare: si tratta di un tensore antisimmetrico. Possia-mo dire che i campi elettrico e magnetico sono entrambi parte di un tensoreantisimmetrico del secondo rango in quattro dimensioni.Ora bisogna determinare la legge di trasformazione di Fµν , in particolare quel-lo che si vuole fare è trovare le trasformazioni di Lorentz di ∇µAν −∇νAµ.

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Poiché ∇µ non è un caso speciale di vettore, ci riferiremo alla genericacombinazione vettoriale antisimmetrica che, per semplicità, chiameremo Gµν :

Gµν = aµbν − aνbµ. (1.20)

Le componenti di aµ e bµ si trasformano mediante le trasformazioni di Lorentzche sono:

a′t =

at − vax√1− v2

b′t =

bt − vbx√1− v2

a′x =

ax − vat√1− v2

b′x =

bx − vbt√1− v2

a′y = ay b

′y = by

a′z = az b

′z = bz

Proviamo a trasformare le componenti di Gµν . Iniziamo con Gtx:

G′tx = a

′tb

′x − a

′xb

′t =

(at − vax√

1− v2

)(bx − vbt√

1− v2

)−(ax − vat√

1− v2

)= atbx − axbt.

Questo non è altro che Gtx; perciò si è giunti al seguente risultato G′tx = Gtx.

Calcoliamo un’altra componente:

G′ty =

at − vax√1− v2

by − aybt − vbx√

1− v2=

(atby − aybt)− v (axby − aybx)√1− v2

.

Otteniamo G′ty =

Gty − vGxy√1− v2

.

In modo analogo, troviamo G′tz =

Gtz − vGxz√1− v2

.

Costruiamo una tabella per tutti e sei i termini; che possiamo scriverli ancheper Fµν :

Le trasformazioni di Lorentz dei campi

E′x = Ex B

′x = bx

E′y =

Ey − vBz√1− v2

B′y =

By + vEz√1− v2

E′z =

Ey + vBy√1− v2

B′z =

Bz + vEy√1− v2

Tabella 2

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Le equazioni della tabella 2 permettono di studiare come variano i campiE e B quando si passa da un sistema di riferimento inerziale ad un’altro. Sesi conoscono E e B in un riferimento si può trovare cosa sono in un riferi-mento che è in moto rispetto al primo con velocità v.Queste equazioni si possono scrivere in una forma che risulta molto più sem-plice, facendo una piccola osservazione: poiché v è nella direzione x, tuttii termini contenenti v sono delle componenti dei prodotti vettoriali v × Ee v × B. Fatta questa osservazione, le trasformazioni si possono riscriverecome in Tabella 3:

Un’altra forma della trasformazione deicampi

E′x = Ex B

′x = bx

E′y =

(E + v ×B)y√1− v2

B′y =

(B− v × E)y√1− v2

E′z =

(E + v ×B)z√1− v2

B′z =

(B− v × E)z√1− v2

Tabella 3

Ricordiamo che c = 1.Le trasformazioni possono essere scritte in maniera molto più semplice, defi-nendo le componenti del campo lungo x come componenti “parallele” E‖ e B‖(in quanto parallele alla velocità relativa dei sistemi di riferimento); e comecomponenti “perpendicolari” E⊥ e B⊥, le somme vettoriali delle componentiy e z. Allora si ottengono le equazioni della Tabella 4:

Un’altra forma della trasformazione di Lorentzdei campi

E′

‖ = E B′

‖ = B

E′

⊥ =(E + v ×B)⊥√

1− v2/c2B

⊥ =

(B − v × E

c2

)⊥√

1− v2/c2

Tabella 4

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Le trasformazioni dei campi permettono di risolvere problemi come: trovarei campi di una carica puntiforme in moto.

Dapprima si sono ricavati i campi derivando i potenziali. Ora si possonoricavare trasformando il campo di Coulomb.

La trasformazione della Tabella 2 fornisce una risposta riguardo a ciò chesi vede se ci si muove rispetto a un qualunque sistema di cariche. Supponia-mo di voler conoscere i campi nel nostro riferimento S ′ se ci si muove tra lelastre di un condensatore, come in figura:

Fig.(1.3) Sistema di coordinate in motoattraverso un campo elettrico

Cosa si osserva? In questo caso la trasformazione è semplice, in quanto ilcampo B è nullo nel sistema originario. Supponiamo, inizialmente, che ilmoto sia perpendicolare ad E, allora si osserverà un E

′= E/

√1− v2/c2

che è una componente trasversale. Inoltre, si avrà un campo magneticoB

′= −v × E

′/c2. Perciò quando ci si muove perpendicolarmente a un cam-

po elettrico statico, si osserva un campo E ridotto assieme ad un campo Btrasversale. La componente parallela rimane invariata, E ′

‖ = E‖ e per lacomponete perpendicolare si procede come appena detto.Prendiamo ora il considerazione il caso opposto, ossia supponiamo di muover-ci attraverso un campo magnetico statico puro. In questo caso, si osserveràun campo elettrico E ′ uguale a v × B′, mentre il campo magnetico cambiaper un fattore 1/

√1− v2/c2. Fintanto che v è molto minore di c, si può

trascurare il cambiamento del campo magnetico e l’effetto principale è cheappare un campo elettrico.

Come esempio di tale effetto, si consideri il problema di determinare lavelocità di un aeroplano. Questo problema ai giorni d’oggi è facilmente ri-solvibile grazie ai radar in grado di determinare la velocità di un aeroplanoin presenza di cattivo tempo. Prima non si poteva vedere il terreno, né co-noscere la verticale. Tuttavia era importante sapere con che velocità ci simuoveva rispetto alla terra. Molti conoscevano le formule di trasformazionee sfruttarono il fatto che l’aeroplano si muove nel campo magnetico terrestre.Supponiamo che un aeroplano si muova in un campo magnetico a noi noto.Si prenda in considerazione il caso in cui il campo è verticale: se si volaattraverso di esso con una velocità orizzontale v, secondo la formula si do-

16

vrebbe vedere un campo elettrico v × B, che è perpendicolare alla linea dimoto. Inoltre, se si tende un filo isolato attraverso l’aeroplano, questo cam-po indurrà delle cariche ai capi del filo. Non si osserva nulla di nuovo: dalpunto di vista dell’osservatore a terra, stiamo semplicemente spostando unfilo attraverso un campo e la forza v ×B costringe delle cariche a spostarsiverso i capi del filo. Le equazioni di trasformazione dei campi affermano lastessa cosa , ma in modo diverso. Perciò per misurare v bisogna misurare ilvoltaggio ai capi del filo. Non si può fare utilizzando un voltmetro in quantogli stessi campi agiranno sui fili del voltmetro, ma vi sono anche altri modidi misurare i campi. Di conseguenza dovrebbe risultare possibile misurarela velocità dell’aeroplano. Però questo problema non venne mai risolto, inragione del fatto che il campo che si produce è dell’ordine dei millivolt permetro. È possibile misurare questi campi, ma il guaio è che essi non sonodiversi da qualsiasi altro campo elettrico. Il campo prodotto dal moto at-traverso il campo magnetico non si può distinguere dal campo elettrico cheera già presente nell’aria per un’altra causa, dovuta, per esempio, a caricheelettro-statiche presenti nell’aria o nelle nuvole. Mentre l’aeroplano vola at-traverso l’aria, esso vede delle fluttuazioni del campo elettrico atmosfericoche sono enormi in confronto del piccolo campo prodotto dal termine v×B eil risultato è che per ragioni pratiche non è possibile misurare la velocità di unaeroplano per mezzo del suo moto attraverso al campo magnetico terrestre.

1.4 Le equazioni del moto in notazione relati-vistica

I campi sono necessari per trovare le forze agenti sulle cariche e queste forzedeterminano il moto della carica. Perciò, parte della teoria dell’elettrodina-mica riguarda la relazione tra il moto delle cariche e le forze. Per una singolacarica, nei campi E e B, la forza è data da:

F = q (E + v×B) . (1.21)

Tale forza è uguale alla massa moltiplicata per l’accelerazione, per bassevelocità, ma la legge corretta per velocità qualunque è che la forza è ugualea dp/dt. Scrivendo p = mv/

√1 − v2/c2 , si trova l’equazione del moto

relativistica corretta è:

d

dt

(mv√

1− v2/c2

)= F = q (E + v×B) . (1.22)

17

Discutiamo ora questa equazione dal punto di vista della Relatività. Consi-derando le equazioni di Maxwell in forma relativistica, è interessante vedereche aspetto assumono le equazioni del moto in forma relativistica. Primadi tutto, vediamo se è possibile riscrivere l’ equazione (1.22) in notazionequadrivettoriale. Ricordiamo che l’impulso fa parte di un quadrivettore pµla cui componente temporale è l’energia m0/

√1− v2/c2.

Perciò potremmo pensare di sostituire il primo membro dell’equazione condpµ/dt. Occorre trovare anche una quarta componente da associare a F .La quarta componente deve eguagliare la variazione d’energia per unità ditempo, che è F · v. Si cerca dunque di riscrivere il secondo membro del-l’equazione (1.22) come un quadrivettore del tipo (F · v, Fx, Fy, Fz). Maquesto non rappresenta affatto un quadrivettore. La derivata temporale diun quadrivettore non è un quadrivettore, perché d/dt richiede la scelta di inun riferimento particolare per misurare t. Bisogna adoperare delle congettu-re:1. la componente temporale è cdt/dt = c. Ma le grandezze (c,

dx

dt,dy

dt,dz

dt) =

(c,v) non sono le componenti di un quadrivettore. Possono diventarlo se simoltiplica ciascuna componente di d/dt per 1/

√1− v2/c2. La “quadrivelo-

cità” uµ è il quadrivettore

uµ =

(c√

1− v2/c2,

v√1− v2/c2

)(1.23)

Utilizzando l’artificio di "moltiplicare" d/dt per 1/√

1− v2/c2, vi è la possi-bilità che le derivate rappresentano un quadrivettore.

2.1√

1− v2/c2

d

dt(pµ) rappresenta un quadrivettore.

Ma cosa rappresenta v? È la velocità della particella, non quella di un siste-ma di coordinate! La grandezza definita da:

fµ =

(F · v√

1− v2/c2,

F√1− v2/c2

)(1.24)

è l’estensione a quattro dimensioni della forza, che per semplicità chiameremo“quadri-forza.” Rappresenta realmente un quadrivettore e le sue componentispaziali sono quelle di F/

√1− v2/c2. Perché fµ è un quadrivettore?

È interessante capire il significato del fattore 1/√

1− v2/c2. È giunto ilmomento di capire del perché d/dt si può aggiustare sempre con lo stessofattore.

18

La risposta è la seguente: quando si vuole calcolare la derivata temporale diuna funzione x, si calcola l’incremento 4x in un intervallo 4t della variabilet; ma in un altro sistema di riferimento l’intervallo4t potrebbe corrisponderea un cambiamento sia di t′ che di x′, perciò se si varia soltanto t′, la variazionedi x sarà differente. Bisogna trovare una variabile per la derivazione che siala misura di un “intervallo” nello spazio-tempo, che sarà lo stesso in tutti isistemi di coordinate.Quando una particella si “muove” nel quadrispazio, si hanno le variazioni,4t,4x,4y,4z. Utilizzando queste variazioni, è possibile costruire un intervalloinvariante?Esse rappresentano le componenti del quadrivettore xµ = (ct, x, y, z) , quindise si definisce la grandezza 4s ponendo:

(4s)2 =1

c24xµ4xµ =

1

c2

(c24t2 −4x2 −4y2 −4z2

)(1.25)

si ottiene un quadriscalare che si può utilizzare come misura di un intervalloquadridimensionale. Mediante 4s si può definire un parametro s =

∫ds. E

la derivata rispetto a s, d/ds, è una corretta operazione quadridimensionaleperché invariante rispetto a una trasformazione di Lorentz. È facile collegareds a dt per una particella in moto. Per una particella puntiforme che simuove si ha:

dx = vxdt, dy = vydt, dz = vzdt, (1.26)

eds =

√(dt2/c2)

(c2 − v2

x − v2y − v2

z

)= dt

√1− v2/c2 (1.27)

Perciò l’operatore1√

1− v2/c2

d

dté un operatore invariante.

Se con esso si opera su un qualunque quadrivettore si ottiene un altro quadri-vettore. Per esempio, se operiamo su (ct, x, y, z) otteniamo la quadrivelocitàuµ:

dxµds

= uµ.

Da qui si capisce perché il termine√

1− v2/c2 sistema le cose. La variabileinvariante s è un’ utile grandezza fisica. Essa è chiamata il “tempo proprio”lungo il percorso della particella, perché ds è sempre un intervallo di tempo inun riferimento che, a qualsiasi particolare istante, si muove con la particella.

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Allora l’equazione di Newton può essere riscritta nella forma:

dpµds

= fµ (1.28)

dove fµ è data dall’equazione (1.24). Inoltre l’impulso può essere scritto:

pµ = muµ = mdxµds

(1.29)

dove le coordinate xµ = (ct, x, y, z) descrivono la traiettoria della particella.Infine la notazione quadridimensionale dà la seguente forma semplice delleequazioni del moto:

fµ = md2xµds2

(1.30)

Consideriamo nuovamente l’equazione (1.22) e vediamo come si può scrivereil membro di destra in notazione quadrivettoriale. Le tre componenti - quan-do divise per

√1− v2/c2 - non sono altro che le componenti di fµ; dunque è

fx =q (E + v ×B)x√

1− v2/c2= q

[Ex√

1− v2/c2+

vyBz√1− v2/c2

− vzBy√1− v2/c2

](1.31)

Ora non rimane che dare a tutte le grandezze la loro notazione relativistica.Prima di tutto c/

√1− v2/c2, vy/

√1− v2/c2 e vz/

√1− v2/c2 sono le com-

ponenti secondo t, y e z della quadrivelocità uµ. Le componenti di E e B sonole componenti del tensore del secondo ordine dei campi Fµν . Osservando laTabella 1 le componenti di Fµν che corrispondono a Ex, Bz e By troviamo che:

fx = q (utFxt − uyFxy − uzFxz)

Ogni termine in questa espressione presenta un indice x, giacché stiamo cal-colando una componente x. Tutti gli altri indici appaiono in coppia: xt, xy,xz, eccetto il termine xx, che manca.Scriviamo il termine mancante:

fx = q (utFxt − uxFxx − uyFxy − uzFxz) (1.32)

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Nell’espressione di fx non abbiamo alterato nulla inserendo il termine in xx,in quanto Fµν è antisimmetrico, quindi Fxx = 0. Il motivo per cui si include iltermine in xx è una pura questione steneografica, ossia riscrivere l’ equazione(1.32) nella forma:

fµ = quνFµν (1.33)

Tale equazione è equivalente alla (1.32) se si pone la regola che ogni voltache un indice appare due volte si sommano i termini.L’ equazione (1.33) funziona anche se si pone µ = y e µ = z. Ma cosa accadese µ = t?Se µ = t otteniamo :

ft = q (utFtt − uxFtx − uyFty − uzFtz).Ora bisogna tradurre questa espressione in termini delle componenti di E eB. Otteniamo:

ft = q

(0 +

vx√1− v2/c2

Ex +vy√

1− v2/c2Ey +

vz√1− v2/c2

Ez

), (1.34)

ossiaft =

qv · E√1− v2/c2

. Ma secondo l’ equazione (1.24) si deve pensare che ft sia

dato da:

F · v√1− v2/c2

=q (E + v ×B) · v√

1− v2/c2.

Questa equivale all’equazione (1.34), poiché (v ×B) · v è uguale a zero.Riassumendo, l’equazione del moto può essere scritta nella forma:

md2xµds2

= fµ = quνFµν (1.35)

Benché si è mostrato che le equazioni del moto possono essere scritte in que-sto modo, tale forma non è la più utile. È di solito conveniente risolverei problemi di moto delle particelle utilizzando le equazioni originarie, ossial’equazione (1.22).

21

Capitolo 2

Energia e impulso dei campi

2.1 Conservazione localeL’energia della materia non si conserva: quando un oggetto irradia luce essoperde energia; però l’energia perduta è possibile descriverla in qualche altraforma, supponiamo luce. La teoria della conservazione dell’energia è incom-pleta se non si considera l’energia che è associata con la luce, o in generalecon il campo elettromagnetico. Considereremo la legge della conservazionedell’energia, e anche dell’impulso, dei campi. Non si possono trattare questiargomenti l’uno senza l’altro, in quanto essi nella Relatività non sono cheaspetti diversi dello stesso quadrivettore.Si è studiato che l’energia totale dell’Universo è costante. Ciò che vorremmofare, è quello di estendere l’idea di conservazione dell’energia, in modo taleda poter dire qualcosa in dettaglio su come si conserva l’energia. La nuovalegge affermerà che se l’energia se ne va da una regione, ciò avviene perchéfluisce attraverso i confini di questa regione. Questa è una legge alquantostringente rispetto a quella della conservazione dell’energia senza questa re-strizione. Per capire il significato della precedente affermazione, studieremocome funziona la legge della conservazione della carica.Si è formulata la conservazione della carica affermando che c’è una densità dicorrente j e una densità di carica ρ e che quando la carica in un certo puntodiminuisce, ci deve essere un flusso di carica uscente da quel punto. La formamatematica della legge di conservazione è:

∇ · j = −∂ρ∂t

(2.1)

22

Conseguenza di questa legge è che la carica totale nell’Universo è semprecostante: non vi è mai un’acquisizione o una perdita complessiva di carica.Tuttavia la carica totale dell’Universo potrebbe rimanere costante in un al-tro modo. Supponiamo che vi sia una carica Q1 vicino a un certo punto (1),mentre non vi è carica in un certo punto (2) a una certa distanza dal primo,come mostra la figura:

Fig.(2.1) Conservazione della carica

Inoltre supponiamo che col procedere del tempo la carica Q1 svanisca e chesimultaneamente una certa carica Q2 appaia vicino al punto (2) in modo taleche ad ogni istante la somma di Q1 e Q2 sia costante. In poche parole, in ognistadio intermedio la carica perduta Q1 si aggiunge a Q2. Allora, in questomodo, la quantità totale di carica nell’Universo si conserva. Questa è unaconservazione “su scala universale”, ma non “locale”, in quanto la carica pertrasferirsi da (1) a (2) non avrebbe bisogno di apparire in nessun luogo dellospazio che sta fra il punto (1) e il punto (2).Localmente la carica sarebbe “perduta”. Si riscontrano delle difficoltà adintrodurre una simile conservazione “su scala universale” nella teoria dellaRelatività. Il concetto di “istanti simultanei” in punti distanti è un concettoche non è equivalente in sistemi di riferimento diversi.Due eventi che sono simultanei in un sistema di riferimento non sono simulta-nei per un altro sistema che si muove rispetto al primo. Per una conservazione“su scala universale” del tipo descritto, è necessario che la carica perduta daQ1 appaia simultaneamente in Q2. Altrimenti vi sarebbero dei momenti incui la carica non sarebbe conservata.Sembrerebbe che non vi sia modo di rendere invariante la conservazione dellacarica in Relatività senza farla diventare una legge di conservazione “locale”.L’esigenza dell’invarianza relativistica di Lorentz sembra limitare in modisorprendenti le leggi della natura. Nella moderna teoria quantistica dei cam-pi, per esempio, qualcuno ha voluto alterare la teoria ammettendo quella cheviene chiamata un’interazione “non locale”, in cui qualcosa che accade qui

23

ha un effetto diretto su qualcosa là; però ci si trova nei guai col principio diRelatività.La conservazione “locale” implica un’altra idea. Essa afferma che una caricapuò passare da un luogo ad un altro soltanto se c’è qualcosa che accade nellospazio interposto. Per formulare la legge non occorre soltanto la densità dicarica ρ ma anche un altro tipo di grandezza, j, ossia un vettore che dà larapidità di flusso della carica attraverso una superficie. Questo flusso viene,poi, messo in rapporto per mezzo dell’equazione (2.1) con la rapidità di va-riazione della densità. Questo è il tipo più drastico di legge di conservazione.Esso afferma che la carica si conserva in un modo speciale: si conserva “lo-calmente”.Si trova che anche la conservazione dell’energia è un processo locale. C’è nonsoltanto una densità di energia in una data regione dello spazio, ma ancheun vettore che rappresenta la rapidità del flusso dell’energia attraverso la su-perficie. Per esempio quando una sorgente di luce irradia, si può determinarel’energia luminosa che lascia la sorgente.Se s’immagina una superficie matematica che circonda la sorgente luminosa,l’energia perduta all’interno della superficie è uguale all’energia che fluisceall’esterno attraverso la superficie.

2.2 Conservazione dell’energia ed elettromagne-tismo

L’obiettivo è quello di scrivere quantitativamente la conservazione dell’ener-gia per l’elettromagnetismo. Per fare ciò bisogna poter definire quanta ener-gia c’è in un qualunque elemento di volume dello spazio e anche l’entità delflusso d’ energia.Supponiamo dapprima di pensare solamente all’energia del campo elettroma-gnetico. Con u indichiamo la densità d’energia nel campo (ossia la quantitàd’energia per unità di volume dello spazio) e col vettore S indichiamo il flussod’energia del campo (cioè il flusso d’energia per unità di tempo attraversol’unità di superficie ortogonale al flusso).In analogia con la conservazione della carica (equazione (2.1)), si può scriverela legge “locale” della conservazione dell’energia nel campo nella forma:

∂u

∂t= −∇ · S. (2.2)

Però questa legge non è vera in generale: non è affatto vero che l’energia delcampo si conserva.

24

Supponiamo di trovarci in una stanza buia e di girare l’interruttore della luce.Tutt’a un tratto la stanza è piena di luce, perciò c’è dell’energia nel campo,benché prima non ve ne fosse. L’equazione (2.2) non rappresenta la legge diconservazione completa, perché l’energia del campo da sola non si conserva,ma soltanto l’energia totale dell’Universo: c’è anche l’energia della materia.L’energia del campo cambierà se c’è del lavoro fatto dalla materia sul campo,o dal campo sulla materia.Se c’è della materia nell’interno del volume che ci interessa, sappiamo giàquanta energia possiede: ciascuna particella ha energia pari am0c

2√

1− v2/c2.L’energia totale della materia non è altro che la somma delle energie di tuttele particelle e il flusso di questa energia attraverso una superficie è la sommadelle energie trasportate da ciascuna particella che attraversa la superficie.Ora ci concentreremo sull’energia del campo elettromagnetico. Perciò dob-biamo scrivere un’equazione che affermi che l’energia totale del campo in undato volume decresce sia perché una certa energia totale del campo fluiscefuori dal volume sia perché il campo cede energia alla materia.L’energia del campo all’interno di un volume V è dato da:∫

Vu dV ,

e la sua diminuzione nell’unità di tempo è la derivata temporale dell’integralecambiata di segno. Il flusso dell’energia del campo uscente dal volume V èl’integrale della componente normale di S sopra la superficie Σ che racchiudeV , cioè ∫

ΣS · n da.

Perciò si ha

-∂

∂t

∫V

udu =

∫Σ

S · n da + (lavoro fatto sulla materia dentro V ). (2.3)

Il campo compie su ciascuna unità di volume della materia il lavoro E · j perunità di tempo.

Infatti la forza su una particella è F = q(E + v ×B), e il lavoro per unitàdi tempo F · v = qE · v. Se ci sono N particelle per unità di volume, il lavoroper unità di tempo e di volume è NqE · v, ma è Nqv = j.

Perciò la grandezza E · j dev’essere uguale alla perdita d’energia per unitàdi tempo e di volume da parte del campo. L’equazione (2.3) diventa dunque

− ∂

∂t

∫V

udV =

∫Σ

S · nda+

∫V

E · jdV. (2.4)

25

Questa è la legge della conservazione dell’energia nel campo. La si può con-vertire in un’equazione differenziale simile all’equazione (2.2) se si può tra-sformare il secondo termine in un integrale di volume. Ciò è facile farlo permezzo del teorema di Gauss. L’integrale di superficie della componente nor-male di S è l’integrale della sua divergenza esteso al volume interno. Perciòl’equazione (2.3) è equivalente a

−∫V

du

dtdV =

∫V∇ · SdV +

∫VE · jdV ,

dove si è portata sotto il segno di integrale la derivata temporale del pri-mo termine. Dato che questa equazione è vera per qualsiasi volume, si puòeliminare l’integrale e si trova l’equazione dell’energia per i campi elettroma-gnetici:

−∂u∂t

= ∇ · S + E · j. (2.5)

Però questa equazione non serve a nulla se non sappiamo cosa sono u edS. Forse basterebbe esprimerli per mezzo dei campi E e B, perché ciò cheinteressa è il risultato finale.Verrà illustrato il tipo di ragionamento adoperato da Poynting nel 1884 perottenere u ed S.

2.3 Densità e flusso d’energia nel campo elet-tromagnetico

Vogliamo mostrare che vi è una densità u e un flusso S che dipendono so-lamente dai campi E e B. Le grandezzeu ed S potrebbero dipendere daipotenziali e da qualcos’altro, vediamo cosa si può ricavare. Si può cercaredi riscrivere il termine E · j in modo tale che esso diventi la somma di duetermini uno dei quali sia la derivata rispetto al tempo di una certa grandezzae l’altro sia la divergenza di un’altra grandezza. La prima grandezza rappre-senterebbe u mentre la seconda S.In pratica ciò che vogliamo fare è scrivere la nostra grandezza nella forma

E · j = −∂u∂t−∇ · S (2.6)

26

Il primo membro deve essere espresso per mezzo dei soli campi. Come fare?Utilizzando le equazioni di Maxwell, ovviamente. Dall’equazione di Maxwellper il rotore di B ricaviamo

j = ε0c2∇×B− ε0

∂E

∂t.

Sostituendo questa espressione nell’equazione (2.6), avremo soltanto terminiin E e B:

E · j = ε0c2E · (∇×B)− ε0E ·

∂E∂t

(2.7)

L’ultimo termine è una derivata temporale: è (∂/∂t)

(1

2ε0E · E

). Il termine

1

2ε0E ·E può rappresentare almeno una parte di u. Ora bisogna trasformare

il termine rimasto nella divergenza di qualcosa.Osserviamo che è errato considerare E · (∇×B) equivalente a ∇ · (B× E),questo per le proprietà del prodotto misto. Ricordiamo che l’operatore ∇,che è un operatore di derivazione, quando precede un prodotto, opera sututto ciò che si trova alla sua destra. Quindi nell’equazione (2.7) il ∇ operasolo su B e non su E. Ma se si considera l’espressione ∇· (B× E) osserviamoche l’operatore ∇ opera sia su B che su E.Illustreremo un metodo che consente di determinare i termini di ∇· (B× E).Esso consiste nello scartare la regola di notazione del calcolo relativa a ciò sucui si opera l’operatore di derivazione. Inoltre supponiamo che la derivazionenon dipende dall’ordine in cui sono scritti i termini.Indichiamo con un indice su che cosa opera un operatore differenziale, l’ordi-ne di derivazione non ha importanza. Supponiamo che D rappresenti ∂/∂x.Allora Df vuol dire che bisogna considerare la derivata della grandezza varia-

bile f . Si ha quindi : Dff =∂f

∂x. Se invece si considera Dffg, ciò vuol dire

Dffg =

(∂f

∂x

)g. Secondo questa convenzione fDfg rappresenta la stessa

cosa, in poche parole:

Dffg = gDff = fDfg = fgDf

Allora abbiamo ricavato una nuova espressione per ∇ · (B× E):

27

∇ · (B× E) = ∇B · (B× E) +∇E · (B× E) . (2.8)

Quindi per le considerazioni fatte ∇B opera solo su B e ∇E opera solo su E.Nell’equazione (2.8) il termine centrale si può riscrivere come E · ∇B ×B, eosserviamo che l’operatore ∇ opera solo su B.Analogamente l’ultimo termine dell’equazione si può riscrivere come B ·E×∇E, ma in questo caso ∇ non opera su nulla, invece dovrebbe operare su E.Affinché ciò accada basta fare una semplice osservazione sulle proprietà delprodotto vettoriale, ossia l’anticommutatività E×∇E = −∇E × E.Fatte queste osservazioni possiamo riscrivere l’equazione (2.8) come segue:

∇ · (B× E) = E · (∇×B)−B · (∇× E) . (2.9)

Perciò la legge della conservazione dell’energia si può scrivere come:

E · j = ε0c2∇ · (B× E) + ε0c

2B · (∇× E)− ∂

∂t

(1

2ε0E · E

). (2.10)

In questa espressione abbiamo una derivata temporale da adoperare per ot-tenere u e un altro termine che è una divergenza per rappresentare S. Però iltermine centrale non è né una derivata rispetto a t né la divergenza di qual-cosa. Ma facendo riferimento alle equazioni di Maxwell si vede che ∇× E èuguale a −∂B/∂t, quindi anche per il termine centrale abbiamo una derivatatemporale.Allora

B · (∇× E) = B ·(−∂B∂t

)= − ∂

∂t

(B ·B2

).

Per concludere la legge diventa:

E · j = ∇ ·(ε0c

2B× E)− ∂

∂t

(ε0c

2

2B ·B +

ε02E · E

). (2.11)

che è simile all’equazione (2.6) se si pongono le definizioni:

u =ε02E · E +

ε0c2

2B ·B, (2.12)

28

e

S = ε0c2E×B. (2.13)

Allora abbiamo trovato un’espressione per la densità d’energia che è la som-ma di una densità d’energia “elettrica” e di una densità d’energia magnetica;inoltre abbiamo trovato una formula per il vettore che esprime il flusso d’e-nergia nel campo magnetico; questo vettore prende il nome di “vettore diPoynting ”. Esso fornisce una misura del moto dell’energia del campo attra-verso lo spazio: l’energia che fluisce attraverso una areola da in un secondoè S · n da, dove n è il versore perpendicolare a da.

2.4 Esempi di flusso d’energiaTrovata l’espressione del vettore flusso S, vogliamo ora illustrare come fun-ziona in alcuni casi particolari.

Il primo esempio trattato sarà la luce. In un’onda luminosa si hannoun vettore E e un vettore B ad angolo retto tra di loro e con la direzione dipropagazione dell’onda. In un’onda elettromagnetica il modulo di B è ugualea 1/c per il modulo di E, e poiché sono disposti ad angolo retto, ne risultache:

| E×B |= E2

c.

Perciò il flusso d’energia per unità d’area per secondo è

S = ε0cE2. (2.14)

Per un’onda luminosa, nella quale si ha E = E0cosω (t− x/c), il flusso me-dio d’energia per unità d’area Sm -chiamato “intensità della luce”- è il valormedio del quadrato del campo elettrico moltiplicato per ε0c :

Intensita′ =< S >m= ε0c < E2 >m . (2.15)

Quando si ha un fascio di luce, c’è nello spazio una densità d’energia datadall’equazione (2.12). Adoperando cB = E, come si ha per un’onda lumino-sa, otteniamo

29

u =ε02E2 +

ε0c2

2

(E2

c2

)= ε0E

2.

Ma E varia nello spazio, perciò la densità media d’energia è

< u >m= ε0 < E2 >m (2.16)

che è proprio l’equazione (2.15) che avevamo trovato prima.Riportiamo un altro esempio. Si considera il flusso d’energia in un capaci-

tore che viene caricato lentamente. Supponiamo che si utilizzi un capacitorea lastre parallele circolari, come mostrato in Figura(2.2):

Fig.(2.2) Capacitore in carica

Dentro al capacitore vi è un campo elettrico quasi uniforme che varia coltempo. A un istante qualunque l’energia elettromagnetica totale nell’internoè u moltiplicata per il volume. Se le lastre hanno raggio a e separazione h,l’energia totale tra le lastre è:

U =(ε0

2E2) (πa2h

). (2.17)

L’energia varia al variare di E. Quando il capacitore viene caricato, il volumetra le lastre riceve una energia per unità di tempo pari a:

dU

dt= ε0πa

2hEE. (2.18)

Perciò in quel dato volume deve entrare da qualche parte un flusso d’energia.Osserviamo che il flusso d’energia non può fluire dai fili di collegamento, ossia

30

nella direzione nello spazio tra le lastre, perché il campo elettrico è ortogonalealle lastre: S = E×B deve essere parallelo ad esse. Inoltre vi è un campomagnetico che circola intorno all’asse quando il capacitore si sta caricando.Utilizzando le equazioni di Maxwell si ricava che il campo magnetico all’orlodel capacitore è dato da

2πac2B = E · πa2 ,

ossia

B =a

2c2E

Quindi c’è un flusso d’energia proporzionale a E×B in arrivo attraversotutto il perimetro. Come mostra la Figura(2.3):

Fig.(2.3)Campo generato da uncapacitore in carica

Verifichiamo che il flusso totale attraverso l’intera superficie compresa fra gliorli delle lastre torna o meno con la variazione per unità di tempo dell’ener-gia. L’area della superficie è 2πah ed S = ε0c

2E × B ha il modulo pari aε0c

2E( a

2c2E)così che il flusso totale d’energia è: πa2hε0EE.

Quando un condensatore si carica l’energia non entra dai fili; arriva passandofra gli orli delle lastre. Supponiamo che ci siano delle cariche sopra e sotto ilcapacitore, ma molto lontane. Quando le cariche sono lontane c’è un campodebole ma esteso che circonda il capacitore.(Figura(2.4))

31

Fig.(2.4) Filo attraversato da corrente elettrica

Mentre le cariche si avvicinano il campo diventa più forte vicino al capacitore;perciò l’energia del campo, che era in lontananza, si sposta verso il capacitoree va a finire tra le lastre di questo.

Riportiamo un ultimo esempio.Ci chiediamo cosa accade in un pezzo di filo in una resistenza quando è

attraversato da corrente. Siccome il filo ha resistenza, c’è un campo elettricoin esso che spinge la corrente. Poiché c’è una caduta di potenziale lungo ilfilo, c’è anche un campo elettrico anche appena fuori del filo, parallelo allasuperficie, come mostra la Figura(2.5):

Fig.(2.5)Vettore di Poynting generatoda una carica e un magnete

In più c’è anche un campo magnetico che circola intorno al filo, a causa dellacorrente. I vettori E e B sono perpendicolari tra di loro, perciò c’è un vettoredi Poynting diretto radialmente all’interno.C’è un flusso entrante d’energia tutt’intorno al filo. È uguale all’energia cheviene perduta nel filo sotto forma di calore. Quindi la “nostra teoria” affermache gli elettroni ricevono l’energia con la quale generare calore, per via diquella che fluisce nel filo del campo esterno. Quindi gli elettroni ricevono laloro energia per il fatto di essere spinti nel senso del filo. In realtà gli elettronisono spinti da un campo elettrico che proviene da cariche lontanissime e essiricevono da questo campo l’energia che serve loro per generare calore. In

32

qualche modo, l’energia fluisce dalle cariche lontane in un’ampia regione dellospazio e poi va a finire nel filo.

Consideriamo infine una carica elettrica e un magnete in quiete uno accan-to all’altro. Supponiamo la carica puntiforme posta al centro di una sbarramagnetizzata, come nella Figura(2.5). Tutto il sistema è in quiete, perciò l’e-nergia non cambia col passare del tempo; inoltre campi elettrico e magneticosono statici. Il vettore di Poynting ci dice che c’è un flusso d’energia perchéc’è E×B che non è nullo. Se si studia il flusso d’energia, si trova che esso simuove in circolo. Non vi è cambiamento di energia: tutto quello che fluiscedentro un certo volume ne esce fuori di nuovo. Dunque c’è una circolazioned’energia, in questo caso considerato.

2.5 L’impulso del campoTratteremo ora l’impulso del campo elettromagnetico. Proprio perché il cam-po possiede energia, esso avrà anche un certo impulso per unità di volume.Indichiamo con g la densità dell’impulso.Poiché l’impulso è un vettore esso possiede direzione. Perciò studieremouna componente per volta; iniziamo con la componente x. Siccome ognicomponete dell’impulso si conserva, si dovrebbe poter scrivere una legge deltipo:

− ∂

∂t(impulso della materia)x =

∂gx∂t

+ (flusso uscente dell′impulso)x

La variazione per unità di tempo dell’impulso della materia non è altro che laforza agente su essa. Per una particella questa forza è F = q (E + v ×B); peruna distribuzione di cariche la forza per unità di volume è (ρE + j×B). Ilflusso uscente dell’impulso, però, non può essere la divergenza di un vettore,perché non è uno scalare, è la componente x di un certo vettore. Comunquedovrebbe somigliare a qualcosa come

∂a

∂x+∂b

∂y+∂c

∂z

perché l’impulso secondo l’asse x potrebbe fluire in una qualunque delle tredirezioni. In ogni caso, qualunque cosa possano essere a, b, c, l’espressioneappena scritta si suppone che eguagli il flusso uscente dell’impulso secondol’asse x. Perciò potremmo scrivere ρE + j×B, soltanto per mezzo di E edB - eliminando ρ e j utilizzando le equazioni di Maxwell - quindi possiamomanipolare i termini e fare sostituzioni sino ad arrivare a una forma del tipo

∂gx∂t

+∂a

∂x+∂b

∂y+∂c

∂z.

33

Identificando i termini, si trovano le espressioni per gx, a, b e c. Ma cilimitiamo a trovare un’espressione per g, seguendo un’altra strada. In mec-canica vale il seguente teorema: “ogni volta che c’è un flusso d’energia, inassolutamente qualsiasi circostanza, l’energia che fluisce attraverso l’unità disuperficie nell’unità di tempo, moltiplicata per 1/c2 è uguale all’impulso perunità di volume nello spazio”.Nel caso particolare dell’elettrodinamica, tale teorema dà come risultato cheg é 1/c2 per il vettore di Poynting:

g =1

c2S. (2.19)

Perciò il vettore di Poynting non dà soltanto il flusso d’energia, ma se divisoper la quantità c2 dà la densità d’impulso.

Ora illustreremo degli esempi per mostrare la veridicità del teorema ingenerale.

Supponiamo di avere N particelle per metro cubo in una scatola, e cheesse si muovono con una certa velocità v. Consideriamo una superficie imma-ginaria piana perpendicolare a v. Il flusso d’energia per secondo attraversol’unità d’area della superficie è pari a Nv, il numero di particelle che fluisceattraverso la superficie per secondo, moltiplicato per l’energia portata da cia-scuna.L’energia di ciascuna particella è pari a m0c

2/√

1− v2/c2. Perciò il flussod’energia per secondo è

Nvm0c

2√1− v2/c2

.

Ma l’impulso di ciascuna particella è dato dato m0v√

1− v2/c2, perciò ladensità d’impulso è

Nm0v√

1− v2/c2

che è proprio uguale a 1/c2 per il flusso d’energia, come affermato dal teoremaprecedente. Perciò il teorema è vero per un fascio di particelle. Ciò valeanche per la luce. Quando dell’energia viene assorbita da un fascio di luce,un certo impulso viene comunicato all’assorbitore. Come verificheremo a fineparagrafo, l’impulso non è altro che il prodotto di 1/c per l’energia assorbita.

Se U0 è l’energia che arriva sull’unità d’area per secondo, allora l’impulsoin arrivo per unità d’area per secondo è U0/c. Ma l’impulso si muove con

34

velocità c, perciò la sua densità nella zona davanti all’assorbitore deve essereU0/c

2. Quindi anche in questo caso il teorema è valido.Infine vogliamo illustrare un ragionamento dovuto ad Einstein che dimo-

stra lo stesso risultato esposto.Supponiamo di avere un vagone ferroviario su ruote (prive d’attrito),

avente massa M . A un estremo del vagone c’è fissato un dispositivo chespara delle particelle (o della luce) che sono poi fermate all’estremo opposto.Originariamente c’era una energia U a un estremo e dopo un certo tempoquesta energia si ritrova all’estremo opposto del vagone. L’energia U è stataspostata di un tratto L, che è la lunghezza del vagone. Ora, l’energia Upossiede massa pari a U/c2 sicché, se il vagone non si muovesse, il suo cen-tro di gravità ne risulterebbe spostato. Per Einstein il centro di gravità diun oggetto non può essere spostato agendo da dentro. Quando si è portatal’energia U da un estremo del vagone all’altro, tutto il vagone deve essereindietreggiato di un tratto x.Effettivamente si può osservare che la massa totale del vagone moltiplica-ta per x deve eguagliare la massa dell’energia che si è mossa, cioè U/c2,moltiplicata per L (nell’ipotesi in cui U/c2 � L):

Mx =U

c2L. (2.20)

Studiamo il caso particolare in cui l’energia è trasportata da uno sprazzodi luce. Cos’è che consente al vagone di mettersi in moto? Einstein feceil seguente ragionamento: quando la luce viene emessa, ci deve essere uncontraccolpo, incognito, equivalente a un impulso p. Ed è proprio questocontraccolpo che fa indietreggiare il vagone. La velocità di indietreggiamentosarà data dal rapporto tra l’impulso e la massa del vagone:

v =p

M.

Il vagone si muove con questa velocità fin quando l’energia luminosa U rag-giunge l’estremo opposto; durante l’urto finale, questa velocità restituisce ilsuo impulso e arresta il vagone. Se x è piccolo, la durata del moto del vagoneè quasi uguale a L/c; perciò si ha:

x = vt = vL

c=

p

M

L

c.

Sostituendo nell’equazione (2.20), l’espressione di x trovata, otteniamo

p =U

c.

35

Si è ritrovata la relazione tra impulso ed energia per la luce. Dividendo que-sta espressione per c, in modo tale da ottenere la densità d’impulso si ha:

g =U

c2. (2.21)

Supponiamo, ora, che il vagone si stia muovendo su un binario con velocità ve che dell’energia luminosa venga sparata dall’alto verso il basso, da A versoB (come mostra la figura (2.6)).

Fig.(2.6) Trasporto dell’impulso

Consideriamo il momento angolare del sistema rispetto al punto P .

36

Fig.(2.6) Conservazione del momentoangolare

Prima che l’energia U abbandoni A essa ha massa m = U/c2 e velocità v,quindi momento angolare pari a mvra. Quando arriva in B, ha la stessamassa, e se l’impulso del vagone non deve cambiare, l’energia deve avereancora velocità v. Il momento angolare rispetto a P è mvrb. Il momentoangolare varierà, a meno che il giusto momento di rinculo sia stato datoal vagone quando è stata emessa la luce, cioè a meno che la luce trasportil’ impulso U/c. Abbiamo trovato che il teorema del centro di gravità e laconservazione del momento angolare sono strettamente connessi nella teoriadella Relatività.

Riprendendo l’esempio della carica puntiforme e del magnete, sapendoche il flusso d’energia e l’impulso sono proporzionali, allora c’è dell’impulsoche circola nello spazio. Ma un impulso che circola equivale a dire che c’è unmomento angolare: perciò c’è un momento angolare del campo.Il flusso d’impulso c’è e serve per preservare la conservazione del momentoangolare dell’Universo.

Ora vogliamo mostrare, come detto prima, che l’impulso è uguale al pro-dotto di 1/c per l’energia assorbita. Faremo riferimento agli effetti del campomagnetico che è associato alla luce. Innanzitutto osserviamo che gli effetti delcampo magnetico sono trascurabili, ma c’è un effetto che risulta interessantee importante, che è una conseguenza dovuta proprio al campo magnetico.Supponiamo che la luce arrivi da una sorgente e che agisca su una carica for-zando il moto della carica. Per semplicità supponiamo che il campo elettricosia in direzione x, in modo tale che il moto della carica abbia la stessa dire-zione del campo elettrico. La carica avrà una certa velocità v e una posizionex. Il campo magnetico è perpendicolare al campo elettrico.Quando il campo elettrico agisce sulla carica e la muove dall’alto verso ilbasso, cosa accade? Il campo magnetico agisce sulla carica (supponiamo unelettrone) soltanto quando è in movimento; ma l’elettrone è in movimento,è forzato dal campo elettrico, così i campi elettrico e magnetico lavorano

37

insieme: mentre l’elettrone si muove su e giu ha una velocità e c’è una forzache agisce su di esso (la forza è data dal prodotto di B per v per q).Ma che direzione avrà questa forza? E nella direzione della propagazionedella luce. Perciò quando la luce colpisce una carica ed essa oscilla, comeconseguenza del fatto che viene colpita, vi è una forza nella direzione delfascio di luce. Essa prende il nome di presssione di radiazione.Vogliamo determinare l’intensità della pressione di radiazione. Essa sarà da-ta da F = qvB o dalla media temporale della forza, < F >. L’intensità delcampo magnetico è data da

B = E/c

abbiamo però bisogno di determinare la media del campo elettrico, per lavelocità, per la carica, per 1/c: < F >= q < vF > /c. Osserviamo che ilprodotto di q per il campo elettrico E non è altro che la forza elettrica agentesu una carica, e la forza sulla carica per la velocità è il lavoro dW/dt che vieneeseguito sulla carica! Perciò la forza, la "quantità di moto di spinta", che ètrasferita in un secondo dalla luce, è uguale a 1/c per l’ energia assorbita persecondo! Tale regola è generale: in qualsiasi circostanza in cui la luce vieneassorbita, vi è una pressione.La quantità di moto che la luce cede è sempre uguale all’energia assorbita,divisa per c:

< F >=dW/dt

c

che era ciò che volevamo mostrare. Perciò la luce trasporta energia e quantitàdi moto, e la quantità di moto trasportata è sempre 1/c per l’energia.

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Capitolo 3

La massa elettromagnetica

3.1 L’energia del campo di una carica puntifor-me

Vogliamo ora discutere il fallimento della teoria elettromagnetica classica,dovuto agli effetti "quantistici". La meccanica classica è una teoria mate-maticamente coerente; solo che non va d’accordo con l’esperienza. Il fattointeressante è che la teoria classica dell’elettromagnetismo sia una teoria in-soddisfacente proprio in sé stessa. Vi sono delle difficoltà connesse con leidee della teoria di Maxwell che non si riferiscono direttamente alla mecca-nica quantistica e non sono risolte da essa. Le difficoltà sono associate aiconcetti di energia ed impulso elettromagnetici, quando si applicano all’e-lettrone o a qualunque particella carica. I concetti di particella semplice equello di campo elettromagnetico sono in qualche modo incompatibili.Per evidenziare tale difficoltà verranno illustrati alcuni esercizi riguardanti iconcetti di energia e impulso.Come prima cosa si valuta l’energia di una particella carica. Scegliamo comemodello un elettrone in cui tutta la carica q è distribuita uniformemente sullasuperficie di una sfera di raggio a. Si calcola l’energia del campo elettro-magnetico. Se la carica è ferma, non c’è campo magnetico e l’energia perunità di volume è proporzionale al quadrato del campo elettrico. Il modulodel campo elettrico è pari a q/4πε0r2, e la densità d’energia è

u =ε02E2 =

q2

32π2ε0r4

Per ottenere l’energia totale bisogna integrare la densità ricavata in tutto lospazio.Adoperando l’elemento di volume 4πr2dr, l’energia totale Uel è data da:

39

Uel =∫ q2

8πε0r2dr

L’espressione dell’energia totale trovata è facile da integrare. Il limite infe-riore è a mentre quello superiore è ∞ , perciò si ha

Uel =1

2

q2

4πε

1

a. (3.1)

Se si adopera per q la carica elettronica qe e il simbolo e2 per la quantitàq2e/4πε0, si ha

Uel =1

2

e2

a(3.2)

Tutto va bene fin quando non si pone a = 0 per una carica puntiforme: quisi incontra la prima difficoltà. Poiché l’energia del campo varia come l’inver-so della potenza quarta della distanza dal centro, il suo integrale di volumeè infinito. C’è una quantità infinita d’energia nel campo che circonda unacarica puntiforme.Cos’é che non va se l’energia è infinita?Se l’energia non può uscire, si hanno delle difficoltà nel caso di un’energia infi-nita? Una grandezza che risulta infinita può disturbare, ma ciò che realmenteconta è se ci sono degli effetti fisici osservabili. Per risolvere tale problema,si hanno bisogno di altri elementi oltre che all’energia. Come varia l’energiaquando si muove la carica? Se le variazioni saranno infinite siamo nei guai!

3.2 L’impulso di una carica in motoSupponiamo che un elettrone si muova nello spazio a velocità uniforme, inmodo tale che la velocità con la quale esso si muove non superi la velocitàdella luce.C’è un impulso associato all’elettrone in moto dovuto all’impulso del campoelettromagnetico. Si può mostrare che l’impulso del campo ha la direzionedella velocità v della carica ed è proporzionale a v.Per un punto P alla distanza r dal centro della carica e in una direzione cheforma un angolo θ con la linea di moto il campo elettrico è radiale e il campomagnetico è v× E/c2. La densità d’impulso è

g = ε0E×B.

La densità d’impulso è diretta obliquamente verso la linea di moto e hamodulo

40

g =ε0v

c2E2 sin θ.

I campi elettrico e magnetico sono simmetrici intorno alla linea, perciò in-tegrando nello spazio la somma delle componenti trasversali si ottiene comerisultato zero, per cui l’impulso risultante sarà parallelo a v. La componentedi g in tale direzione è g sin θ che bisogna integrare in tutto lo spazio. Comeelemento di volume si consideri un anello il cui piano è perpendicolare a v.Il volume sarà 2πr2 sin θdθdr. L’impulso totale è

p =∫ ε0vc2E2sin2θ2π sin θdθdr.

Poiché E è indipendente da θ (perv � c) si può direttamente integrare indθ. L’integrale è∫

sin3 θdθ = −∫

(1− cos2 θ)d(cos θ) = − cos θ +cos3 θ

3.

I limiti per θ sono 0 e π, perciò l’integrale in dθ dà un fattore 4/3 e si ottiene

p =8π

3

ε0vc2

∫E2r2dr

L’integrale è quello che si ottiene calcolando l’energia; esso è q2/16π2ε20a equindi si ha

p =2

3

q2

4πε0

vac2

,

ossiap =

2

3

e2

ac2v. (3.3)

Perciò l’impulso del campo è proporzionale a v. Lo stesso risultato si otter-rebbe se si considerasse una particella con massa eguale al coefficiente di v.Tale coefficiente lo denominiamo massa elettromagnetica e si può scrivere

mel =2

3

e2

ac2. (3.4)

41

3.3 La massa elettromagneticaDa dove deriva la massa? Nelle leggi della meccanica si è supposto checiascun oggetto "porti" con sé una proprietà chiamata massa, il che vuol direche "porta" un impulso proporzionale alla sua velocità. Cercheremo di capirecome una particella carica porti un impulso proporzionale alla sua velocità.Nella teoria dell’elettrodinamica grazie a Maxwell e Poynting si giunge allanozione che qualunque particella carica ha un impulso proporzionale alla suavelocità come effetto di influenze elettromagnetiche.Per il momento assumeremo che vi siano due tipi di massa e che l’impulsototale di un oggetto sia la somma di un impulso meccanico e di un impulsoelettromagnetico. L’impulso meccanico è dato dalla massa "meccanica" ,mmecc moltiplicata per v.Nelle esperienze in cui si misura la massa di una particella andando a vederequanto impulso possiede o come si deflette secondo una certa orbita, quellache viene misurata è la massa totale. In generale, l’impulso è dato dalla massatotale (mmecc + mel) moltiplicata per la velocità. Quindi la massa osservatapuò consistere di due porzioni: una porzione meccanica, piu una porzioneelettromagnetica. Sicuramente ci sarà una porzione elettromagnetica mavi è anche la sorprendente possibilità che la porzione meccanica non esistaaffatto: tutta la massa è elettromagnetica!Vediamo che caratteristiche dovrebbe avere l’elettrone nel caso in cui non visia massa meccanica. Per fare ciò poniamo la massa elettromagnetica datadall’equazione (3.4) uguale alla massa osservata me dell’elettrone. Svolgendoi calcoli ricaviamo

a =2

3

e2

mec2. (3.5)

La grandezza

r0 =e2

mec2(3.6)

è chiamata "raggio classico dell’elettrone"; ha valore numerico pari a 2, 82×10−13 cm, circa un millesimo del diametro di un atomo.I risultati ottenuti sono validi per velocità basse rispetto alla velocità dellaluce. Cosa accade se la velocità è prossima a quella della luce? I primitentativi di studio condussero a confusione, ma Lorentz capì che alle altevelocità la sfera carica doveva contrarsi per diventare un ellissoide e che icampi dovevano modificarsi in accordo con le formule (1.8) e (1.9) ricavatenel capitolo 1 nel caso relativistico. Eseguendo gli integrali per p si trovache per una velocità arbitraria v, l’impulso viene alterato secondo il fattore

42

1/√

1− v2/c2:

p =2

3

e2

ac2

v√1− v2/c2

. (3.7)

In poche parole la massa elettromagnetica cresce con la velocità come l’in-verso di

√1− v2/c2, una scoperta fatta prima della teoria della Relatività.

Prima si credeva che la parte elettrica della massa dovesse variare con lavelocità, mentre quella meccanica non variava. Con l’avvento della teoriadella Relatività si giunge al risultato che qualunque sia l’origine della massaessa deve sempre variare come m0

√1− v2/c2.

L’equazione (3.7) è il principio della Relatività che fa dipendere la massadalla velocità.Secondo la teoria della Relatività, l’energia U avrà massa U/c2; l’equazione(3.2) afferma che il campo dell’elettrone deve avere la massa

m′

el =Uelc2

=1

2

e2

ac2, (3.8)

che non è la stessa della massa elettromagnetica mel. Combinando l’equazio-ne (3.2) e (3.4) si ottiene

Uel =3

4melc

2.

Tale formula fu scoperta prima della Relatività e quando Einstein e altristudiosi iniziarono a capire che si deve sempre avere U = mc2, ci fu una granconfusione.

3.4 La forza di un elettrone su sé stessoLa discrepanza tra le due formule per la massa elettromagnetica è fastidiosain quanto si è provato che la teoria dell’elettrodinamica è in perfetto accordocon il principio della Relatività. Per la teoria della Relatività l’impulso deveequivalere all’energia moltiplicata per il fattore v/c2. Qui si incorre nei pa-sticci!Deducendo le equazioni per l’energia e per l’impulso si sono ammesse le leggidi conservazione. Inoltre si è ammesso di aver tenuto conto di tutte le forze edel fatto che il lavoro svolto o qualsiasi impulso impartito da altri meccanismi"non elettrici" fosse incluso.Però, se consideriamo una sfera di carica, tutte le forze sono repulsive e l’e-lettrone tenderebbe ad esplodere. Poiché nel sistema vi sono delle forze non

43

equilibrate, si può incorrere in errori formulando le leggi che mettono in rap-porto l’energia e l’impulso. Per avere un quadro coerente bisogna immaginareche qualcosa tenga insieme l’elettrone. Le cariche devono essere trattenutesulla sfera da qualcosa che impedisca loro di schizzare via, da qualche sortadi elastici.Fu fatto notare da Poincarè che gli elastici devono essere inclusi nei calcolidell’energia e dell’impulso. Le forze extra, non elettriche, sono conosciute an-che col nome di "tensioni di Poincarè". Se le forze extra non vengono inclusenei calcoli, le masse ottenute nei due procedimenti cambiano. E i risultatisono coerenti con la teoria della relatività; cioè la massa ricavata eseguendoi calcoli per determinare l’impulso è la stessa di quella che si ottiene calco-lando l’energia. Entrambe le masse contengono due contributi: una massaelettromagnetica e un contributo delle tensioni di Poincarè. Sommandole siottiene una teoria coerente.Dal momento in cui bisogna introdurre delle forze all’interno dell’elettrone,le cose iniziano a complicarsi. Quanto sono forti queste tensioni? Comevibra un elettrone? E capace di oscillare? Quali sono tutte le sue proprie-tà interne? C’è la possibilità che un elettrone abbia delle proprietà internecomplicate. Se si facesse una teoria dell’elettrone seguendo queste linee, essaprevederebbe delle strane proprietà, come dei modi oscillatori che a quantopare non sono stati osservati.Cerchiamo di capire perché si dice che c’è una massa quando l’impulso delcampo è proporzionale alle velocità. Facile! La massa è il coefficiente chelega l’impulso alla velocità. Si può considerare la massa in altro modo: unaparticella ha una massa se si deve esercitare una forza per farla accelerare.Cerchiamo di capire piu da vicino da dove hanno origine le forze. Comefacciamo a sapere che ci dev’essere una forza? Lo sappiamo perché abbia-mo dimostrato le leggi di conservazione dell’impulso per i campi. Se si hauna particella carica e la si spinge per un po’, si produce un certo impulsonel campo elettromagnetico: in qualche modo, dell’impulso si è riversato nelcampo; perciò ci deve essere stata una forza che ha spinto l’elettrone per met-terlo in moto, una forza in piu di quella richiesta dalla sua inerzia meccanicae dovuta alla sua interazione elettromagnetica. Ed una forza deve agire sul"propulsore". Ma da dove viene questa forza?

44

Fig.(3.1) L’auto-forza di un elettrone che accelera non è nulla.

Possiamo immaginare l’elettrone come una sfera carica. Quando è in quiete„ciascun elemento della carica respinge elettricamente ogni altro elemento, male forze si fanno equilibrio a coppie e così non c’è complessivamente nessunaforza. Però quando l’elettrone viene accelerato, le forze non rimangono inequilibrio, per il fatto che gli effetti elettromagnetici richiedono un cero tem-po per trasmettersi da un elemento all’altro.Se prendiamo in considerazione la forza sull’elemento α (in Fig.(3.1)(b)) daparte di un elemento β che si trova dalla parte opposta, essa dipende dallaposizione di β a un istante anteriore.Se la carica sta accelerando, le forze sulle varie arti dell’elettrone potreb-bero essere come illustrato in Figura(3.1)(c). Sommate, queste forse non sicompensano. Si compenserebbero a velocità uniforme, sebbene sembri che ilritardo debba condurre a una forza non compensata anche per una velocitàuniforme. Però risulta che non c’è una forza complessiva ameno che l’elet-trone non venga accelerato. Quando c’è un’accelerazione, se si consideranole forze tra le varie pari dell’elettrone, si trova che azione e reazione non sonoesattamente uguali e che l’elettrone esercita una forza su sé stesso che tendea fermare l’accelerazione.E possibile, ma risulta difficile, calcolare questa forza di auto-reazione. Cilimiteremo a fornire il risultato per un caso particolare: moto unidimensiona-le, supponiamo secondo l’asse x. Allora l’auto-forza si può scrivere come unaserie. Il primo termine della serie dipende dall’accelerazione x, il secondo èproporzionale a ...

x e così via. Il risultato è

F = αe2

ac2x− 2

3

e2

c3

...x + γ

e2a

c4

....x + ....., (3.9)

dove α e γ sono i coefficienti dell’ordine di 1. Il coefficiente α del termine in xdipende da quale distribuzione di carica si postula; se la carica è distribuitauniformemente sulla sfera, allora è α = 2/3. C’è un termine proporzionale

45

all’accelerazione che varia come l’inverso del raggio a dell’elettrone ed è inaccordo con il valore che si è ottenuto (nell’equazione (3.4)) per mel. Sesi sceglie una diversa distribuzione di carica, in modo tale che α cambi, lafrazione 2/3 nell’equazione (3.4) cambierebbe nello stesso modo. Il terminein ...

x è indipendente dalla scelta del raggio a e anche dalla distribuzione dicarica; in ogni caso il coefficiente è 2/3. Il termine successivo è proporzionaleal raggio a ed il suo coefficiente γ dipende dalla distribuzione di carica. Se sifa tendere a zero il raggio a dell’elettrone l’ultimo termine va a zero; il secondotermine resta costante, mentre il primo termine -la massa elettromagnetica-va all’infinito. Si può osservare che l’infinito compare a causa della forzadi una parte dell’elettrone su un’altra; questo perché abbiamo ammesso lapossibilità che un elettrone "puntiforme" agisca su sé stesso.

3.5 Tentativi di modificare la teoria di MaxwellVogliamo ora discutere della possibilità di modificare la teoria di Maxwelldell’elettrodinamica così che l’idea dell’elettrone come una semplice caricapuntiforme possa essere conservata.Sono state ipotizzate alcune teorie in grado di "sistemare" le cose in mo-do tale che tutta la massa dell’elettrone fosse elettromagnetica; ma alla finetutte queste teorie sono state fallimentari. Sono state proposte anche delleteorie nelle quali la possibilità che un elettrone interagisca con sé stesso vie-ne esclusa. Allora non c’è piu l’infinito dovuto all’auto-interazione. Inoltrenon c’è piu alcuna massa elettromagnetica associata alla particella, tutta lamassa è meccanica. C’è da dire che si incorre in nuova difficoltà con questateoria.Le teorie che negano la possibilità dell’auto-interazione di un elettrone richie-dono la modifica dell’idea di campo elettromagnetico.La forza su una particella in un qualsiasi punto è determinata da due gran-dezze: E e B. Se si esclude l’idea di "auto-forza" ciò non può piu essere vero,perché se c’è un elettrone in un certo punto, la forza non è data da E totalee B totale, ma soltanto da quelle parti di E e B dovute ad altre cariche.Bisogna sempre tener conto di quanta parte di E e B è dovuta alla caricasulla quale si sta calcolando la forza e quanta è dovuta alle altre cariche.Questa teoria permette di liberarsi dalle difficoltà dell’infinito.Se si vuole, si può dire che non esiste nulla di simile a un elettrone che agiscesu sé stesso e non considerare il gruppo di forze espresse dall’equazione (3.9).Ma il secondo termine in ...

x che appare nell’equazione serve. Questa forza faqualcosa di molto preciso: scartandola si è nei guai.quando si accelera una carica, essa irradia onde elettromagnetiche e perde

46

energia. Perciò per accelerare una carica si deve esigere che la forza sia piugrande che per accelerare un oggetto neutro avente la stessa massa; altrimen-ti l’energia non sarebbe conservata. Il lavoro svolto per unità di tempo peraccelerare una carica, deve essere uguale alla corrispondente perdita d’ener-gia per irradiazione.La forza-extra, contro la quale si deve compiere lavoro, da dove viene? Perun elettrone singolo che irradia in uno spazio altrimenti vuoto, sembra esserciun’origine da dove la forza possa venire: l’azione di una parte dell’elettronesu un’altra parte.Una carica oscillante irradia un’energia per unità di tempo pari a

dW

dt=

2

3

e2(x)2

c3(3.10)

Cosa si ottiene per il lavoro per unità di tempo fatto su un elettrone controla forza auto-frenante?Il lavoro per unità di tempo è la forza per la velocità, ossia Fx:

dW

dt= α

e2

ac2xx− 2

3

e2

c3

...x x+ ..... (3.11)

Il primo termine è proporzionale a dx2/dt e corrisponde all’aumento per uni-tà di tempo dell’energia cinetica 1

2mv2 associata alla massa elettromagnetica.

Il secondo termine dovrebbe corrispondere alla potenza irradiata data dall’e-quazione (3.10); ma è diverso? La discrepanza nasce dal fatto che il terminenell’equazione (3.11) è vero in generale, mentre l’equazione (3.11) è correttasolo per una carica oscillante.Si può mostrare che entrambi i termini sono equivalenti se il moto della caricaè periodico.Riscrivendo il secondo termine dell’equazione (3.11) nella seguente forma

−2

3

e2

c3

d

dt(xx) +

2

3

e2

c3(x)2

otteniamo una pura trasformazione algebrica. Se il moto dell’elettrone èperiodico, la grandezza xx torna periodicamente allo stesso valore e conside-rando la media della sua derivata temporale otteniamo come risultato zero.Il secondo termine è sempre positivo, quindi la sua media sarà positiva. Que-sto termine fornisce il lavoro complessivo svolto ed è uguale al lato destrodell’equazione (3.10).Il termine in x dell’auto-forza non può essere scartato in quanto abbiamoammesso la conservazione dell’energia. E stato uno dei trionfi di Lorentz il

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mostrare che esiste una tale forza e che essa proviene dall’azione dell’elettro-ne su sé stesso.Ci sono stati altri diversi tentativi di modificare le leggi dell’elettrodinami-ca. Una strada, proposta da Born e Infeld, fu quella di cambiare le leggi diMaxwell in modo tale che esse non risultassero piu lineari.Un’altra teoria fu suggerita da Dirac: si suppone che l’elettrone agisca susé stesso per via del secondo termine dell’equazione (3.9) e non del primo.Per considerare solo il secondo termine dell’equazione avanzò un’ipotesi par-ticolare nel momento in cui si accettarono le onde ritardate come soluzionidell’equazione di Maxwell, se si considerano le onde anticipate si ottiene unrisultato completamente diverso. In questo caso la formula per l’auto.forzadiventa

F = αe2

ac2x+

2

3

e2

c3

...x + γ

e2a

c4

....x . (3.12)

Osserviamo che tale equazione è simile all’equazione (3.9) eccetto per il segnodel secondo termine della serie, e di alcuni termini di ordine superiore.La differenza dell’equazione (3.9) e l’equazione (3.12) divisa per due è

F = −2

3

e2

c3

...x + termini di grado superiore.

In tutti i termini di grado superiore il raggio a compare al numeratore ele-vato un certo esponente positivo. Quando di passa al limite per una caricapuntiforme si ottiene soltanto il primo termine, quello di cui si ha bisogno. Intal modo Dirac aveva ottenuto la forza dovuta alla resistenza di radiazione,non accompagnata da forza d’inerzia. Non si ha massa elettromagnetica e lateoria classica è salva, grazie ad un’ipotesi arbitraria riguardante l’auto-forza.L’arbitrarietà di tale ipotesi venne piu tardi risolta da Wheeler e Feynman,i quali proposero una teoria ancora piu strana. Tale teoria proponeva l’ideache le cariche puntiformi interagiscono soltanto con altre cariche, ma l’inte-razione avviene per metà per mezzo di onde anticipate e per metà per mezzodi onde ritardate. Nella maggior parte dei casi non si vede alcun effetto daparte delle onde ritardate: ma esse hanno l’effetto di produrre la forza direazione della radiazione.La resistenza di radiazione non è dovuto all’azione dell’elettrone su sé stesso,ma ad un effetto caratteristico. L’effetto caratteristico è dovuto al fatto chequando un elettrone viene accelerato all’istante t, esso agisce su tutte le altrecariche dell’Universo a un istante futuro t′ = t + r/c per effetto delle onderitardate. Però le altre cariche reagiscono sull’elettrone originario per mezzodelle loro onde anticipate che arriveranno al tempo t′′ = t′− r/c che coincidecon c. La combinazione delle onde ritardate con quelle anticipate sta a signi-ficare che all’istante in cui viene accelerata, una carica oscillante risente una

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forza da parte di tutte le cariche che "dovranno" assorbire le onde da esseirradiate.Un’altra teoria, che porta alla modifica delle leggi dell’elettrodinamica, venneproposta da Bopp. Supponiamo di voler cambiare le formule dei potenzialiin funzione delle cariche e delle correnti. I potenziali in un punto sono deter-minati dalla densità di corrente (o di carica) in ogni altro punto a un istanteanteriore.Utilizzando la notazione quadrivettoriale per i potenziali otteniamo

Aµ(1, t) =1

4πε0c2

∫jµ(2, t− r12/c)

r12

dV2. (3.13)

Essenzialmente l’idea di Bopp è questa: l’intoppo forse sta nel termine 1/rche compare nell’integrale. Supponiamo che il potenziale in un punto dipendadalla densità di carica in ogni altro punto secondo una certa funzione-f(r12)-della distanza fra i punti. Il potenziale nel punto (1) sarà dato dall’integralesu tutto lo spazio di jµ moltiplicata per tale funzione:

Aµ(1) =∫jµ(2)f(r12)dV2.

Richiediamo che il risultato sia relativisticamente invariante. Come "distan-za" bisogna scegliere la "distanza" invariante tra due punti dello spazio-tempo. Il quadrato di tale distanza è

s212 = c2(t1−t2)2−r2

12 = c2(t1−t2)2−(x1−x2)2−(y1−y2)2−(z1−z2)2. (3.14)

Per avere una teoria relativisticamente invariante bisogna prendere una fun-zione del valore assoluto di s12 o una funzione di s2

12.Allora la teoria di Bopp si basa sul fatto che

Aµ(1, t1) =

∫jµ(2, t2)F (s2

12)dV2dt2. (3.15)

Rimane da scegliere un’adatta funzione per F . Si suppone che F sia moltopiccola eccetto quando l’argomento è quasi nullo; così che il grafico di talefunzione assomigli a una punta stretta con area finita, centrata nel puntos2 = 0 e con larghezza all’incirca a2.Quando si calcola il potenziale nel punto (1), solo quei punti (2) per i qualis2

12 = c2(t1−t2)2−r212 differisce da zero di meno che ±a2 producono un effetto

apprezzabile. Si può riassumere affermando che la funzione F è importantesolo quando

s212 = c2(t1 − t2)2 − r2

12 ≈ ±a2. (3.16)

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Supponiamo ora che a sia sufficientemente piccolo in modo tale che si abbiar12 � a. Allora l’equazione (3.16) afferma che le cariche contribuisconoall’integrale dell’equazione (3.15) soltanto quando la quantità t1 − t2 cadenell’intervallo

c(t1 − t2) ≈√r2

122 ≈ r12

√1± a2

r212

.

Fig(3.2) Funzione F (s2)

Siccome a2/r212 � 1, la radice quadrata può essere approssimata con 1 ±

a2/2r212, perciò si ha

t1 − t2 =r12

c

(1± a2

2r212

)=r12

c± a2

2r12c.

Da questo risultato notiamo che nell’integrale di Aµ i soli tempi t2 che contanosono quelli che differiscono da t1, cioè da tempo al quale si vuole il potenziale,per il ritardo r12/c. In poche parole la teoria di Bopp tende alla teoria diMaxwell, nel senso che essa dà effetti di onda ritardata.Se integriamo l’integrale dell’equazione (3.15) rispetto a t2 da −∞ a +∞,tenendo fisso r12, allora anche s2

12 va da −∞ a +∞. L’integrale verrà davalori di t2 che cadono nell’intervallo ∆t2 = 2× a2/2r12c, centrato nel puntot1 − r12/c.Supponiamo che la funzione F (s2) assuma valore K nel punto s2 = 0; alloral’integrale rispetto a t2 darà approssimativamente come risultato Kjµ∆t2,ossia

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Ka2

c

jµr12

.

Si deve scegliere il valore di jµ all’istante t2 = t1 − r12/c, perciò l’equazione(3.15) diventa

Aµ(1, t1) =ka2

c

∫ jµ(2, t− r12/c)

r12

dV2

Se si pone K = q2c/4πε0a2, si ottiene proprio la soluzione delle equazioni di

Maxwell corrispondente al potenziale ritardato, inclusa la dipendenza da 1/r.La teoria di Bopp prevede una massa elettromagnetica finita dell’elettrone,mentre energia e massa mostrano la giusta relazione secondo la teoria dellarelatività.C’è un’obiezione in questa teoria, come in tutte le altre teorie che sono stateesposte: tutte le particelle obbediscono alle leggi della meccanica quantistica,perciò si deve fare una modifica quantistica all’elettrodinamica.Gli effetti quantistici portano dei cambiamenti: la formula per la massa ri-sulta modificata e la costante } appare, ma il risultato è infinito, a meno dinon escludere in qualche modo una certa integrazione. Inoltre, il risultatodipende da come si troncano gli integrali.Nessuno ha avuto successo nel costruire una teoria quantistica coerente apartire da nessuna delle teorie modificate. Le idee di Born e Infeld non sonomai state convertite in una teoria quantistica soddisfacente e lo stesso lo sipuò affermare per le onde anticipate e ritardate di Dirac o di Wheeler e Feyn-man e della teoria di Bopp. Non si sa come costruire una teoria coerente,che includa la meccanica quantistica, la quale non dia un risultato infinitoper l’energia intrinseca dell’elettrone o di qualsiasi carica puntiforme. Nellostesso tempo non esiste una teoria soddisfacente che descriva una carica nonpuntiforme. Un problema insoluto. Riassumendo:-la teoria elettromagnetica prevede l’esistenza di una massa elettromagneti-ca, ma al tempo stesso fallisce perché non si ha una teoria coerente;-l’idea di una massa elettromagnetica trova conferma nell’esperienza;-le masse elettromagnetiche delle particelle sono all’incirca le stesse di quelladell’elettrone.Per esempio, il protone e il neutrone sono due particelle identiche dal pun-to di vista delle interazioni ma diverse elettricamente. Esse presentano unapiccola differenza delle masse. Tale differenza, espressa come la differenzadelle energie di quiete mc2 misurate in Mev, è circa 1,3 Mev, cioè circa 2,6volte la massa in quiete dell’elettrone. La teoria classica prevederebbe unraggio che è circa 1

3e 1

2del raggio classico dell’elettrone, ossia circa 10−13

cm. In realtà si dovrebbe adoperare la teoria quantistica, ma per un caso

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strano, tutte le costanti (2π, }, ecc..) risultano combinate in modo tale che lateoria quantistica dia all’incirca lo stesso raggio della teoria classica. L’unicaelemento di discrepanza è il segno sbagliato! Il neutrone è piu pesante delprotone.

Ci sono diverse altre coppi , o triplette di particele che sembrano esserele stesse eccetto per la carica elettrica. Esse interagiscono con i protoni eneutroni per mezzo delle interazioni forti caratteristiche delle forze nucleari.

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