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Coniato in Francia ai tempi del Secondo Impero, in riferimento ai disegni egemonici di Napoleone III, il termine «imperialismo» si affermò in Inghilterra, alla fine degli anni ’70 dell’800, per indicare il programma di espansione coloniale del governo Disraeli ed entrò poi nell’uso comune come sinonimo di politica di potenza e di con- quista territoriale su scala mondiale. In generale, l’imperialismo rappresentò la ten- denza degli Stati europei a proiettare più aggressivamente verso l’esterno i propri inte- ressi economici, le proprie esigenze di difesa, la propria immagine nazionale e la pro- pria cultura: la fusione di queste diverse componenti – economiche, politiche, ideolo- giche – si tradusse in una politica di potenza su scala mondiale, realizzata con la forza e spesso perseguita come fine in sé. Sull’imperialismo sono state avanzate, fin dall’inizio del ’900, diverse interpretazioni. Nel tentativo di identificare i moventi che ne erano alla base, molte delle teorie pro- poste, soprattutto – ma non soltanto – da parte di studiosi e politici marxisti, hanno posto l’accento sui fattori economici e sui legami con le trasformazioni del sistema capita listico, lasciando in secondo piano gli aspetti ideologici e politico-militari. Il libe- rale di sin istra John A. Hobson (1858-1940) e la marxista Rosa Luxemburg (1870-1 919) hanno individuato le cause più profonde nel sottoconsumo, ovvero nella discrepanza tra la crescente capacità di produrre ampie quantità di merci e la stabilità del potere d’acquisto dei compratori, da cui deriverebbe la necessità per il commercio di trovare sbocchi nei mercati esteri. Nella più celebre di queste teorie, Nikolaj Lenin (1870- 1924) definì l’imperialismo lo «stadio monopolistico del capitalismo», la «fase supre- ma» del suo sviluppo. Secondo Lenin, l’imperialismo era caratterizzato da cinque ele- menti: 1) la concentrazione della produzione e del capitale , con la formazione di gran- di monopoli; 2) la fusione del capitale bancario con il capitale industriale e la forma- zione del «capitale finanziario»; 3) la grande importanza acquistata dall’esportazione Le teorie dell’imperialismo ECONOMIAeAMBIENTE GIARDINA-SABBATUCCI-VIDOTTO © 2010, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI Indiani al lavoro dopo la raccolta del tè in una colonia britannica L’impero coloniale britannico fu senz’altro il più vasto fra quelli creati dagli Stati europei. I suoi domìni, infatti, che nel 1876 coprivano un’area di 22 milioni e 500 mila chilometri quadrati con circa 252 milioni di abitanti, raggiunsero, nel 1914, 33 milioni e mezzo di chilometri quadrati con circa 394 milioni di abitanti, contro i 10 milioni e 600 mila chilometri quadrati (con 55 milioni e 500 mila abitanti) conquistati nello stesso periodo dalla Francia.

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Coniato in Francia ai tempi del Secondo Impero, in riferimento ai disegni egemonicidi Napoleone III, il termine «imperialismo» si affermò in Inghilterra, alla fine degli

anni ’70 dell’800, per indicare il programma di espansione coloniale del governoDisraeli ed entrò poi nell’uso comune come sinonimo di politica di potenza e di con-quista territoriale su scala mondiale. In generale, l’imperialismo rappresentò la ten-denza degli Stati europei a proiettare più aggressivamente verso l’esterno i propri inte-ressi economici, le proprie esigenze di difesa, la propria immagine nazionale e la pro-pria cultura: la fusione di queste diverse componenti – economiche, politiche, ideolo-giche – si tradusse in una politica di potenza su scala mondiale, realizzata con la forzae spesso perseguita come fine in sé.Sull’imperialismo sono state avanzate, fin dall’inizio del ’900, diverse interpretazioni.Nel tentativo di identificare i moventi che ne erano alla base, molte delle teorie pro-poste, soprattutto – ma non soltanto – da parte di studiosi e politici marxisti, hannoposto l’accento sui fattori economici e sui legami con le trasformazioni del sistemacapitalistico, lasciando in secondo piano gli aspetti ideologici e politico-militari. Il libe-rale di sinistra John A. Hobson (1858-1940) e la marxista Rosa Luxemburg (1870-1919)hanno individuato le cause più profonde nel sottoconsumo, ovvero nella discrepanzatra la crescente capacità di produrre ampie quantità di merci e la stabilità del potered’acquisto dei compratori, da cui deriverebbe la necessità per il commercio di trovaresbocchi nei mercati esteri. Nella più celebre di queste teorie, Nikolaj Lenin (1870-1924) definì l’imperialismo lo «stadio monopolistico del capitalismo», la «fase supre-ma» del suo sviluppo. Secondo Lenin, l’imperialismo era caratterizzato da cinque ele-menti: 1) la concentrazione della produzione e del capitale, con la formazione di gran-

di monopoli; 2) la fusione del capitale bancario con il capitale industriale e la forma-zione del «capitale finanziario»; 3) la grande importanza acquistata dall’esportazione

Le teorie dell’imperialismoECONOMIAeAMBIENTE

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Indiani al lavorodopo la raccolta del

tè in una coloniabritannica

L’impero colonialebritannico fu

senz’altro il più vastofra quelli creati dagliStati europei. I suoi

domìni, infatti, chenel 1876 coprivanoun’area di 22 milionie 500 mila chilometri

quadrati con circa252 milioni di

abitanti, raggiunsero,nel 1914, 33 milioni e

mezzo di chilometriquadrati con circa

394 milioni diabitanti, contro i 10

milioni e 600 milachilometri quadrati

(con 55 milioni e 500

mila abitanti)conquistati nellostesso periodo dalla

Francia.

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di capitali in confronto con l’esportazione di merci; 4) il sorgere di associazioni mono-polistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo; 5) la compiutaripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche. All’opposto, altri studiosi hanno messo l’accento sui fattori politici. L’economista esociologo austriaco Joseph Schumpeter (1883-1950) ha sostenuto, contrariamente a

Lenin, che l’imperialismo deriva non dallo sviluppo del capitalismo ma dalla suacarenza. Il capitalismo è per sua natura pacifico: attraverso il libero gioco della doman-da e dell’offerta favorisce l’attenuazione degli istinti aggressivi e lo sviluppo degli scam-bi e, riconoscendo e rispettando l’eguaglianza dei contraenti, crea le condizioni miglio-ri per la democrazia. L’imperialismo dunque, secondo Schumpeter, è «una forma diatavismo». Si collega cioè ai residui di strati sociali (caste militari, gruppi aristocratici,ecc.) e di forze politiche (monarchie, aristocrazie) dominanti in passato e che soprav-vivono in epoche recenti. Un’ulteriore teoria riconduce l’imperialismo al disordine deirapporti internazionali che spingerebbe ogni Stato a ricercare la propria sicurezza inuna politica di potenza e di espansione imperialistica. Secondo il filosofo Carl Schmitt,

l’imperialismo deriva dall’esistenza di un rapporto di minaccia totale reciproca tra gliStati, tale da rendere irresistibile in ciascuno di essi la spinta a rafforzarsi e a espandersia spese degli altri.Le diverse teorie divergono non solo nella descrizione della natura e delle caratteristi-che dell’imperialismo, ma anche nell’individuazione dei suoi termini cronologici.Secondo molti studiosi, l’età dell’imperialismo andrebbe dagli anni ’70 dell’800 al1914, mentre altri spostano in avanti la data finale, comprendendovi la Seconda guer-ra mondiale o, come nel caso di alcuni marxisti, considerandolo tuttora operante. Ildibattito tra le diverse teorie è ancora aperto. Un punto però mette d’accordo tutti glistudiosi: sebbene il colonialismo abbia costituito la manifestazione più appariscentedell’imperialismo, i due fenomeni non devono essere confusi. Non solo è esistito un

colonialismo moderno (secoli XVI-XVIII) non imperialistico, ma nell’800 e nel ’900 ilcolonialismo è stato solo un elemento dell’imperialismo.

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Truppe colonialiconvenute a Londraper celebrare i

sessant’anni diregno della reginaVittoria, 1897