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Fare spazio alle famiglie I servizi alle famiglie in Italia La famiglia del disabile e la consulenza educativa I significati, le paure e i linguaggi della sessualità umana L’adozione: aspetti positivi e negativi Diventare padri in Italia I Consultori Familiari della Federazione Lombarda oggi Consultori Familiari Organo della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana Numero 4 - 2005 - anno 13

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Fare spazio alle famiglie

I servizi alle famiglie in Italia

La famiglia del disabile e la consulenza educativa

I significati, le paure e i linguaggi della sessualità umana

L’adozione: aspetti positivi e negativi

Diventare padri in Italia

I Consultori Familiari della Federazione Lombarda

oggiConsultoriFamiliari

Organo della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana

Numero 4 - 2005 - anno 13

Sommario

Editoriale Domenico Simeone Pag. 3

FORMAZIONE

Fare spazio alle famiglie: potenzialità educative delle Reti di ascolto, accompagnamento e sostegnoChiara Sità “ 9

I servizi alle famiglie in Italia. Questioni aperte e prospettive futureChiara Sirignano “ 17

STUDI E RICERCHE

La famiglia del disabile e la consulenza educativa Roberto Franchini “ 31

I significati, le paure e i linguaggi della sessualitàumanaRomolo Taddei “ 43

L’adozione: aspetti positivi e negativiMarina Manciocchi “ 55

DOCUMENTI

Diventare padri in Italia. Fecondità e figli secondo un approccio di genereIstat “ 67

PROGETTI E ATTIVITÀ

I Consultori Familiari della Federazione LombardaCentri di Assistenza alla Famiglia (FeLCeAF).Una realtà dinamica e in forte crescita Aurelio Mosca “ 79

DALLA CONFEDERAZIONE

La pillola abortiva. Un delitto in solitudineGiuseppe Noia “ 107

Consultori familiari oggi

Organo di informazione e formazionedella Confederazione ItalianaConsultori Familiaridi Ispirazione Cristiana (ONLUS)

Autorizzazione del Tribunale di Roman. 432 del 2-10-1993

Direttore Responsabile:Goffredo Grassani

Direttore Editoriale:Domenico Simeone

Comitato di Redazione:Raffaele Cananzi Giancarlo GrandisAntonino LeocataAngiolina Motroni OnoratoGiuseppe NoiaGiuseppe PallanchLuigi PatiChiara SitàLuciano Viana

Segreteria di Redazione:Sandro De Toni

Comitato Scientifico:Francesca BaroneCesare Massimo BiancaRaffaele CananziIgnacio Carrasco De PaulaGiuseppe NoiaLuigi PatiPaolo OttonelloAngelo SerraLiliana Zani Minoja

Direzione RedazioneLargo F. Vito, 1 00168 RomaTel. 06 30.17.820Fax 06 35.019.182e-mail: [email protected]. 70853007

Impaginazione e Stampa:Vannini Editrice srlGussago - Brescia

Hanno collaborato

Stefano Bonometti Dottorando di Ricerca - Università degli Studi di Macerata

Livia CadeiDocente di Metodologia della ricerca educativa - Università Cattolica del Sacro Cuore - Brescia

Roberto Franchini Docente di Pedagogia Speciale - Università Cattolica del Sacro Cuore - Brescia

Aurelio Mosca Referente area formazione Fe.L.Ce.A.F. - Milano

Giuseppe NoiaPresidente della Commissione scientifica della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione CristianaProfessore Associato di Medicina dell’età prenataleUniversità Cattolica del Sacro Cuore - Roma

Marina Manciocchi Psicologa Dirigente nella ASL RM H e Referente del GILAdozioni. È Psicologa Analista e Docente del Centro Italianodi Psicologia Analitica, membro del Comitato scientificodella Scuola di Specializzazione in Psicoterapia dell’Etàevolutiva del CIPA

Domenico SimeoneDirettore editoriale della rivista “Consultori Familiari Oggi”Professore Associato di Pedagogia Generale presso l’Università degli Studi di Macerata

Chiara Sirignano Ricercatrice di Pedagogia generale - Università degli Studidi Macerata

Chiara Sità Assegnista di ricerca - Università Cattolica del Sacro Cuore -Brescia con il contributo del Premio di ricerca “Prof. Michelangelo Petrini”

Romolo Taddei Direttore del Consultorio Familiare d’Ispirazione Cristianadi Ragusa - Psicologo e psicoterapeuta

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Editorialesottotitolo

Domenico Simeone

L’attuale contesto sociale, contrassegnato da rapidi mutamen-ti, ha messo in discussione la struttura, le funzioni e il signifi-cato stesso della famiglia. Essa si presenta come un sistema direlazioni che diviene sempre più articolato in una società a suavolta sempre più complessa.I genitori si trovano, quindi, di fronte ad un contesto socialeframmentato e disorientante, senza il supporto di quegli sche-mi interpretativi globali caratteristici del passato. Provvisorietà,reversibilità, attenzione al quotidiano, difficoltà ad assumereuna logica progettuale sono elementi suscettibili di renderesempre più fragile e incerta la funzione educativa genitoriale.La dinamica frammentazione-complessità aumenta l’insicurez-za degli adulti circa le loro capacità di azione, la qual cosa siripercuote in maniera diretta sulla vita familiare e comunitaria. La complessità e la parcellizzazione minano le potenzialitàeducative dei genitori, ai quali però è chiesto di ridare senso,ordine e futuro alla società. Infatti, nonostante, nella societàodierna, i modelli tradizionali di convivenza siano stati colpitida una grave crisi, la famiglia rimane l’ambito relazionale pri-vilegiato in cui ogni uomo nasce, cresce e si sviluppa. Essa è illuogo affettivo, di apprendimento e di esperienza in cui il sog-getto costruisce la propria identità e la propria capacità di met-tersi in relazione con gli altri.

È stata offuscata enegata la verità del“concepito”, che è“figlio”

CORSI E CONVEGNI

La famiglia di fronte alle sofferenzeLivia Cadei “ 113

SCHEDE BIBLIOGRAFICHE “ 123

COMUNICATO DELLA PRESIDENZA “ 133

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7delle giovani generazioni deve, quindi, essere accompagnatodal sostegno che la società può offrire alla famiglia perché pos-sa essere in grado di svolgere tale compito. Vi è, rispetto alpassato, una maggiore richiesta di competenze educative. Es-sa nasce dalla consapevolezza che le abilità legate alla rela-zione di coppia e al ruolo genitoriale non possono essere im-provvisate: richiedono un serio processo di apprendimento e dipreparazione.In questa prospettiva il consultorio familiare può svolgere unruolo fondamentale quale luogo di sostegno alla genitorialità.Un simile aiuto alla famiglia deve mirare alla emancipazionedella medesima e deve essere orientato allo sviluppo delle suepotenzialità educative. L’obiettivo è il miglioramento delle ca-pacità educative dei genitori, delle loro abilità relazionali, invirtù di incontri che vadano oltre le questioni meramente tec-niche e strumentali dell’educazione stessa. Tali iniziative di so-stegno per genitori devono poter ridare fiducia a quelle fami-glie che vivono difficoltà nell’educazione dei figli, incremen-tando attitudini relazionali e la consapevolezza del ruolo edu-cativo genitoriale. Esse si configurano, pertanto, come unostrumento per rafforzare e sostenere le competenze educativegenitoriali; per aiutare i genitori ad affrontare i problemi che sipresentano nell’educazione dei figli; aumentare la consapevo-lezza intorno non solo alle difficoltà, ma anche al fascino delcompito educativo; favorire uno stile educativo rispondente aibisogni di tutti i membri della famiglia.

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6L’avventura di diventare uomini e donne maturi si gioca nel-l’intreccio dei rapporti tra le generazioni (adulti e minori) e trai generi (maschile e femminile). Lo sviluppo della persona e lasua maturazione affettiva sono possibili soltanto in un positivocontesto relazionale. Una risposta concreta al bisogno di educazione delle giovanigenerazioni, quindi, è data dalla capacità dei genitori di stabi-lire una comunicazione educativa in grado di promuovere lacrescita umana dei figli. Essi hanno bisogno di essere accolti,di trovare non soltanto un mondo di cose e di informazioni, mauno spazio di relazione che dia senso alla loro esperienza e unadirezione ai loro compiti di sviluppo. Tramite il linguaggio del-l’accettazione gli adulti possono incoraggiare il processo di cre-scita che porta i figli al passaggio dalla dipendenza all’autono-mia e getta le basi per uno sviluppo sereno delle loro poten-zialità. I figli hanno bisogno di testimoni credibili con cui con-frontarsi per trovare la propria strada nel mondo, hanno biso-gno di adulti che sappiano «compromettersi» nella relazioneeducativa, hanno bisogno di educatori che sappiano aprire leporte del futuro perché sogni, desideri, progetti possano tro-vare dimora.I genitori sono chiamati ad un arduo compito educativo: incre-mentare il dialogo intergenerazionale, affrontare in modo co-struttivo i conflitti, offrire sostegno nei momenti di difficoltà.La capacità dell’adulto di riformulare la comunicazione educa-tiva è la premessa indispensabile per la transizione delle gio-vani generazioni verso la vita adulta. È necessario che i genito-ri siano capaci di dialogare, mantenendo un equilibrio dinami-co e sviluppando la capacità di adattamento flessibile, creati-vo, al cambiamento, senza perdere il controllo della relazione. Inoltre, l’esperienza quotidiana spinge i genitori ad interrogar-si non soltanto su ciò che avviene nei figli, ma anche sui mu-tamenti che riguardano la coppia coniugale di fronte al cam-biamento della prole. Genitori e figli, quindi, si trovano impe-gnati in una impresa evolutiva congiunta i cui esiti dipendonodalla qualità delle relazioni in gioco e dalla capacità di affron-tare il cambiamento: si tratta di una «coevoluzione» che inve-ste, simultaneamente e in modo interconnesso, gli uni e gli al-tri. I rapidi mutamenti che coinvolgono i figli obbligano anchela coppia genitoriale ad una ridefinizione del proprio ruolo edelle funzioni educative.In questa intricata situazione, risulta sempre più arduo per pa-dre e madre assumere una chiara funzione educativa. Il pri-mato riconosciuto alla famiglia nell’ambito dell’educazione

Formazione

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Fare spazio alle famiglie:potenzialità educative delle Reti di ascolto, accompagnamento e sostegno per genitori

Chiara Sità

Il presente contributo si pro-pone di mettere in luce, apartire dall’esperienza france-se delle reti di ascolto, ac-compagnamento e sostegno aigenitori (Reaap), le nuove sfi-de educative che coinvolgonoi servizi che, a vario titolo,operano nell’ambito del soste-gno alla genitorialità.Le azioni, numerose e moltodiversificate, che si iscrivononell’ambito del sostegno allagenitorialità sono fondate sulriconoscimento della famigliacome contesto primario per losviluppo dei suoi membri ecome soggetto portatore di unsapere e di competenze edu-cative essenziali. Per questola famiglia costituisce un mi-crosistema da accompagnaree valorizzare nelle sue capa-

cità di cura. In quest’ottica, iservizi hanno il compito dicoadiuvare, facilitare, pro-muovere le potenzialità di cuiciascuna famiglia è portatri-ce, riconoscendo la presenzadi importanti risorse relazio-nali nel contesto familiare.L’intervento educativo in favo-re dei genitori si attua pertan-to anche in situazioni di as-senza di patologia o di rischiopsico-sociale. Le Reaap sono nate in Fran-cia nel 1999, a partire dallariflessione innescata in diver-si ambiti (scientifico, politico,scolastico, socio-educativo...)dal riconoscimento di una si-tuazione di difficoltà chesembrava coinvolgere in modosempre più diffuso la relazio-ne tra la generazione adulta e

Reti di ascolto,accompagnamento e sostegno ai genitori

volgersi direttamente a lorosapendo che spesso hannouna voce importante negli ac-quisti della famiglia (vestia-rio, automobile, articoli va-ri...).Queste considerazioni hannomesso educatori, politici, ri-cercatori, di fronte alla neces-sità di valorizzare e rafforzareil ruolo e le competenze deigenitori senza copevolizzarli,di promuovere l’esercizio con-giunto della funzione genito-riale, di aprire una riflessionecondivisa sulle difficoltà edu-cative quotidiane ripartendodai genitori stessi, dal loro sa-pere e dai loro luoghi di vita.È stata cosi promossa la crea-zione delle reti di ascolto, ac-compagnamento e sostegnoper i genitori (Reaap) che sisono qualificate come retiplurali, semplici, aperte chesi propongono le finalità di:

1. associare i genitori e ac-compagnare la loro auto-or-ganizzazione, promuoven-do socializzazione, scam-bio di esperienze, aiuto re-ciproco;

2. sviluppare il partenariato ela complementarietà tra idiversi servizi pubblici e leassociazioni che lavoranocon le famiglie;

3. suscitare innovazione nelleazioni di sostegno alla ge-nitorialità;

4. iscrivere l’azione delle retinella durata, non tantodelle iniziative messe in

atto, destinate a mutarecon l’evoluzione dei biso-gni, quanto della strutturadel dispositivo di sostegnoche può costituire una ri-sorsa importante situatatra l’ambito informale equello strutturato.

Le azioni messe in atto nell’ambito delle ReaapAttualmente in Francia sicontano circa 4200 reti terri-toriali di ascolto, accompa-gnamento e sostegno ai geni-tori, ciascuna delle quali con-tiene diverse iniziative: gruppidi auto mutuo aiuto, spazigioco gestiti direttamente daigenitori, attività di consulen-za educativa, spazi per geni-tori e bambini, atelier inter-culturali per genitori e moltealtre azioni svolte con la col-laborazione di associazioni,istituzioni pubbliche, scuole. Nello spirito delle Reaap, iprofessionisti hanno un ruolodefilato e si limitano ad ac-compagnare l’esplicitazionedei bisogni, la progettazione econduzione delle attività, avolte con il supporto di volon-tari, e a intervenire con azionidi ascolto, consulenza, orien-tamento nel caso in cui si ma-nifestino situazioni che ne-cessitano di una presa in cari-co specialistica.Il panorama delle azioni mes-se in atto attraverso il disposi-tivo delle Reaap è estrema-mente variegato e in continuomutamento; si possono met-

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13i più giovani. I segnali mag-giormente preoccupanti diquesto disagio sono stati resivisibili, in Francia, dall’au-mento di episodi di devianza,violenza e bullismo che vede-vano come protagonisti ragaz-zi di età sempre più giovane.Nella situazione di allarmegenerata da questa constata-zione, il primo soggetto ad es-sere messo in discussione èstato la famiglia, che, a fron-te di questi episodi, sembravanon corrispondere più alla suafunzione educativa.Insegnanti, operatori sociali,giudici minorili hanno condi-viso la percezione di trovarsidi fronte ad una generazionedi adulti fragili, smarriti, insi-curi di fronte ai loro figli.La tentazione di colpevolizza-re la famiglia, divenuta inca-pace di esercitare un ruoloeducativo verso le generazionipiù giovani, è stata stempera-ta da alcuni rapporti di ricer-ca che hanno messo in luce ladiversità e la complessità de-gli elementi coinvolti in que-sta situazione di crisi1. Si è ri-levato infatti che i genitorinon hanno abbandonato la lo-ro funzione, ma avvertono unacrescente insicurezza nell’e-sercizio del loro ruolo di fron-te ai problemi della quotidia-nità. Questo vissuto sembraessere legato a numerosi fat-tori: la difficoltà ad esercitare

in modo congiunto una fun-zione educativa nelle famigliedivise o ricomposte, semprepiù numerose, l’insufficienzadi un modello di famiglia im-perniato esclusivamente sulruolo materno, l’isolamentodelle famiglie, il disorienta-mento di molti nuclei familia-ri di recente immigrazione,soprattutto nella relazionecon il sistema scolastico. Èstato rilevato inoltre che, pa-radossalmente, la capillarediffusione di una vulgata psi-cologica sull’educazione, so-prattutto di matrice psicanali-tica, sembra non aver contri-buito a rassicurare i genitori,ma piuttosto ad alimentare laloro incertezza e a spingerli acercare risposte ricorrendoagli esperti.A partire da queste considera-zioni è stata formulata l’ipote-si che forse i genitori, lungidal rinunciare alle loro respon-sabilità, siano stati progressi-vamente esautorati dagli stes-si professionisti dell’educazio-ne, che hanno rafforzato il lo-ro status di depositari di veritàvalide per tutti.Un ulteriore fattore di debo-lezza dei genitori è legato alfatto che per la prima volta inquesti anni il bambino e l’a-dolescente sono diventatiobiettivi commerciali moltoambiti. Le pubblicità e i mes-saggi dei media tendono a ri-

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1 I. THÉRY, Couple, Filiation et Parenté Aujourd’hui; Rapport aux Ministères de la Justi-ce, de l’Emploi et de la Solidarité, Juin 1998; AA.VV., Rapport de la Commission d’En-quête sur l’État des Droits de l’Enfant en France, 6 Mai 1998.

Adulti fragili,smarriti, insicuri di fronte ai figli

Reti territoriali di ascolto,accompagnamento e sostegno ai genitori

educative connesse a questotipo di interventi sono molte-plici e mettono in questioneuna pluralità di aspetti propridella prassi quotidiana deglioperatori sociali ed educativi. In primo luogo, le reti di so-stegno ai genitori chiedono diavvicinare per quanto possibi-le tutte le famiglie, senza sta-bilire un target specifico. L’e-sigenza di aprire le iniziativea tutte le famiglie si scontraspesso con la difficoltà a rag-giungere effettivamente unafetta della popolazione che vi-ve condizioni di povertà, disa-gio o difficoltà e che potebbetrarre grande beneficio dallacostruzione di relazioni di aiu-to reciproco, di appartenenza,di promozione di corresponsa-bilità3.In secondo luogo, le Reaappropongono servizi aperti eflessibili che domandano unamodificazione delle rappre-sentazioni dei servizi alle fa-miglie e delle loro modalitàoperative. I luoghi di incontroe di sostegno alla genitorialitàsi qualificano come spaziaperti sul quartiere, facilmen-te accessibili e non etichet-tanti, che vorrebbero assomi-gliare al «cortile», a uno spa-zio naturale di incontro traadulti o anche tra generazionidiverse. I genitori che li fre-quentano sono invitati ad ap-propriarsi degli spazi disponi-bili, a modificarli in base alle

loro esigenze, a proporre del-le attività. Le Reaap sembra-no proporre una visione diffe-rente, oltre che degli spazi,anche dei tempi dei servizi:emerge in questa prospettival’esigenza di un tempo diver-so, di un tempo «familiare»anche nei servizi sociali ededucativi. Si può affermareche in queste esperienze èpossibile trovare un’organiz-zazione dei tempi nei serviziche poggia su categorie nuo-ve per le istituzioni, tradizio-nalmente riferibili al tempodella famiglia. Ad esempio,acquistano importanza gliaspetti della ritualità, dellaconvivialità e della duratanella costruzione delle rela-zioni tra famiglie e professio-nisti. Si creano spazi e mo-menti per stare insieme, al dilà di una concezione del ser-vizio come semplice offerta diprestazioni. La diversa nozio-ne della temporalità portacon sé una nuova visione delservizio e delle figure profes-sionali, connotate forse concontorni più sfumati. Le fun-zioni di valutazione e control-lo delle capacità genitoriali,tradizionalmente ascritte aiservizi sociali e in modo par-ticolarmente marcato nel mo-dello francese, lasciano spa-zio a nuove modalità di rela-zione tra operatori e genitori.Nella prospettiva delle Reaaptale relazione è connotata da

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15tere in luce però alcuni ele-menti in particolare:1. La prevalenza del lavorocon gruppi di genitori (circa il60% delle azioni) piuttostoche con singoli o coppie; leazioni messe in atto in questacornice si propongono di darealle famiglie spazi e tempi perla condivisione, lo scambio, lasocializzazione come possibi-le alternativa al ricorso a unesperto per trovare risposta ailoro dubbi. Questo non signi-fica ovviamente che gli opera-tori non siano presenti accan-to alle famiglie e che non visia la possibilità di consulen-ze individuali, ma la sceltadella dimensione di gruppo èlegata alla finalità esplicita dirompere l’isolamento, sdram-matizzare alcuni problemiquotidiani, ridare fiducia aigenitori2.2. La ricerca di nuovi linguag-gi attraverso i quali entrare incontatto con i genitori: nonpiù soltanto la parola, ele-mento tradizionalmente cen-trale nei gruppi di auto mutuoaiuto, ma anche altre moda-lità di espressione sono inco-raggiate e valorizzate: mi rife-risco ad esempio all’esperien-za di un atelier di fotografiasulla paternità che ha coinvol-to un gruppo di papà uscitidal carcere, ma anche la scul-tura, la pittura, il cinema han-no permesso di sperimentarealtre forme di coinvolgimento,

che si sono rivelate significa-tive sopratutto per i genitoristranieri che non padroneg-giano bene la lingua. Nelcampo delle arti, bisogna se-gnalare anche la presenza ri-levante di esperienze di rac-conto e di scrittura, oltre alruolo fondamentale svolto dalteatro, in particolare con ilteatro dell’oppresso, il teatro-forum, la costruzione di spet-tacoli fatti dai genitori per ibambini.3. Il forte impulso dato allapratica della mediazione fa-miliare intesa in senso ampio:la mediazione non costituiscesoltanto un’azione che puòcoinvolgere coppie in crisi oin vista di separazione, matutte le famiglie in tutte la fa-si del loro ciclo di vita. Lamediazione è vista come unastrategia per la prevenzionedei conflitti e per ricostruire orafforzare le relazioni familia-ri attorno a questioni comuni.Esistono così forme di media-zione diversificate, che posso-no coinvolgere ad esempio ge-nitori e figli, genitore e «nuo-vo genitore» nelle famiglie ri-costruite, nonni che in segui-to al divorzio dei figli nonhanno la possibilità di incon-trare i nipoti, coppie miste,famiglie affidatarie che vivonocon difficoltà la relazione coni genitori naturali, conflitti disuccessione.Come si può intuire, le sfide

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Tempo “familiare”

Il lavoro con gruppi di genitori

2 Circulaire 99-153 du 9 mars 1999. 3 B. RIBES, L’accompagnement des parents, Dunod, Paris, 2003, p. 128.

Ricerca di nuovi linguaggi

Mediazione familiare

queste situazioni, agli opera-tori è richiesto un grande im-pegno dal punto di vista del-l’accoglienza, dell’ascolto, del-la relazione con gli altri servi-zi del territorio eventualmentein grado di rispondere a biso-gni specifici.L’esperienza delle reti diascolto, accompagnamento esostegno per i genitori ha si-nora dato esiti significativinella misura in cui è stato co-struito un vero spazio, fisico esimbolico, per le famiglie. Inquesto spazio il gruppo noncostituisce un ripiego e un so-

stituto dei servizi che non cisono, ma un luogo in cui èpossibile appropriarsi o ri-ap-propriarsi di una dimensionerelazionale in un’ottica di«normale» scambio tra geni-tori7. Questo percorso, accom-pagnato e facilitato dagli ope-ratori, può contribuire a pro-muovere l’intreccio di legamie la ricostruzione di significa-ti connessi all’esperienza ge-nitoriale, fattori essenziali perprevenire situazioni di isola-mento, disagio, senso di im-potenza.

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17parità e cooperazione, nel ri-conoscimento che professio-nisti e non professionisti sonoportatori di saperi differenti,ma altrettanto significativinel campo dell’educazione.L’attenzione all’autonomiadelle famiglie non dovrebbecomportare, però, un’eclissidell’operatore. Anzi, propriola volontà di promuoverel’empowerment4 dei genitorisi traduce in una presenza as-sidua delle figure professio-nali accanto alle famiglie co-me premessa necessaria perdare loro legittimità, respon-sabilità e spazi di azionemantenendo una funzione diaccompagnamento in tutte lefasi del percorso, di informa-zione, sensibilizzazione, for-mazione, mediazione con lealtre istituzioni coinvolte nel-la rete. Attraverso questa pre-senza gli operatori legittima-no la partecipazione dei «non-professionisti» (i genitori) aitavoli di lavoro delle istituzio-ni e danno loro la possibilitàdi essere interlocutori attivi ecompetenti. In questo tipo diazioni, che coniugano l’ap-porto di risorse professionalie non professionali, l’asim-metria relazionale è sfumata,ciascuno è educatore e sog-getto di educazione, ciascunoè portatore di un sapere cheentra a pieno titolo nella co-struzione di progettualità.

Questa situazione non risultaconfusiva nella misura in cuila diversità degli apporti èchiara per tutti i soggetticoinvolti, in un contesto incui le differenze sono accoltee valorizzate. In questa pro-spettiva, la possibilità di ap-prendere ciascuno dal saperedell’altro costituisce parte in-tegrante del processo educa-tivo e apre nuovi spazi e nuo-ve possibilità di azione5.La modificazione del rapportotra operatori sociali ed educa-tivi e utenza non è certamen-te un processo privo di diffi-coltà, sia dal punto di vistaoperativo, sia da quello dell’i-dentità professionale. Ancheper questo motivo nelleReaap si è riscontrato fre-quentemente il ricorso a figu-re professionali meno conno-tate, meno strutturate e menolegate a istanze di controllorispetto a quelle tradizionali(come ad esempio l’assistentesociale). Sono così numerose,in queste iniziative, le figuredi animatori socio-culturalicon competenze psicologicheed educative. Sul versanteopposto, il rischio sotteso aquesto tipo di pratiche è quel-lo di adottare una malintesapostura «non-giudicante» checonduce a trascurare l’ascoltoattento e la cura verso le per-sone e le famiglie che vivonosituazioni di difficoltà.6 In

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Coniugare risorse professionali e non professionali

4 D. SIMEONE, La consulenza educativa. Dimensione pedagogica della relazione d’aiuto,Vita e Pensiero, Milano, 2002, pp. 92-98.

5 E. SCABINI, Psicologia sociale della famiglia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, p. 279.

6 FEDERATION DES CENTRES SOCIAUX ET SOCIOCULTURELS DE FRANCE, Cooperation Partenaria-le et Projet Educatif. Rapport final, 2004.

7 B. TILLARD (a cura di), Groupes de Parents. Recherches en Éducation Familiale etExpériences Associatives, L’Harmattan, Paris, 2003.

Uno spazio fisico e simbolico per le famiglie

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I servizi alle famiglie in ItaliaQuestioni aperte e prospettive future

Chiara Sirignano

Le trasformazioni socio-cultu-rali verificatesi in questi ulti-mi trent’anni hanno provocatouna ridefinizione degli stili divita delle famiglie italiane e,contemporaneamente, una re-visione lenta, ma continua deicriteri sulla base dei quali so-no state concepite le politichefamiliari con la conseguentetraduzione prassica dei serviziad esse rivolti.In ragione di ciò, la pedago-gia, in particolare quella so-ciale e familiare, è tenuta aprendere atto dei cambiamen-ti culturali avvenuti, al fine direndere migliore l’elaborazio-ne delle riflessioni e delleproposte educative che si po-trebbero attuare all’internodei servizi stessi rivolti allefamiglie.

In questa cornice, il discorsosulla famiglia e sui servizi adessa offerti non può altro cheessere interconnesso con ciòche poi è stato tradotto e pro-dotto sul piano giuridico-so-ciale.Con il termine «servizi alle fa-miglie» intendiamo indicaretutte quelle forme di interven-to atte a promuovere il benes-sere della persona e, dunque,di tutta la sua famiglia, maanche e soprattutto le azionimirate a sostenere l’organiz-zazione familiare in caso dipresenza di gravi situazioni didifficoltà.Negli anni, nonostante le dif-ficoltà economico-finanziariedel nostro Paese, si è svilup-pata una politica sociale cheha gradualmente inteso e in-

I servizi alle famiglie

tutti quei meccanismi basatisolo sull’assistenzialismo che,al contrario, portano alla suatotale dipendenza.Tali obiettivi appartengono aduna teoria pedagogica e aduna prassi educativa che mi-rano fortemente al potenzia-mento e alla promozione del-la persona in tutti i suoiaspetti2.Per offrire servizi alle famiglieè necessaria una rigorosa pro-grammazione territoriale (Re-gione, Comune, Provincia) col-legata ad un’altrettanta e si-stematica progettazione edu-cativa al fine di: 1. rilevare in primis i bisognispecifici delle famiglie;2. riconoscere il privato socia-le e avvalorarlo attraverso for-me di collaborazione; 3. costituire una équipe inter-disciplinare con lo scopo diprogrammare e coordinare leiniziative sul territorio; 4. valutare periodicamentel’operato svolto e l’evoluzionedi nuovi bisogni nella prospet-tiva della conferma o riformu-lazione del progetto.Ogni prestazione offerta daiservizi sociali, sanitari ed edu-cativi rappresenta una risorsaper le famiglie. Ciò incide sullosviluppo familiare rispetto allasua storia, alle sue dinamicherelazionali e alle sue modalitàdi funzionamento.Ogni servizio agisce su due li-velli: uno tecnico, relativo al

contenuto dell’operato, l’altrorelazionale, riguardante lemodalità interattive dell’inter-vento.Si può affermare che, tradi-zionalmente, i servizi alle fa-miglie si articolano in inter-venti diretti maggiormente aisingoli individui. Solo ultima-mente si comincia anche a in-dirizzare le azioni di sostegnoagli interi nuclei familiari. Gliapprocci delle politiche italia-ne nei riguardi delle famigliesembrano oscillare tra unacentralità dichiarata, ma soloformale, della famiglia e lasua sostanziale marginalitàcome soggetto delle stessepolitiche sociali.Se a livello teorico la promo-zione della famiglia viene di-chiarata dal nostro paese co-me importante per il ben-es-sere di tutti, sul versante del-le misure adottate permango-no tuttavia ancora molte am-biguità.Più precisamente, le famiglievengono valutate in base allagravità della situazione in cuiversano, senza tener conto,nel contempo, che ogni fami-glia ha un suo ciclo di vita eche gli eventi critici che essasi trova a vivere sono spessorisolti grazie alla solidarietàdella parentela e della comu-nità.Il quadro che emerge è carat-terizzato da un sovraccaricofunzionale della famiglia, dal-

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21tende i servizi nei seguentimodi: servizi finalizzati all’i-struzione e alla formazione(asili nido, scuola, università,associazioni); servizi proietta-ti verso la prevenzione/promo-zione (consultori familiari,centri di mediazione familia-re, centri per le famiglie); ser-vizi di sostegno e assistenzaper le situazioni gravi e pro-blematiche (assegni economi-ci, servizi per disabili, orfani,anziani, malati cronici, ecc).I servizi sociali costituiscono,quindi, una rete complessa diinterventi, posti in essere daenti pubblici o privati1, rivoltia persone o a gruppi in situa-zioni problematiche, più omeno gravi, che differiscono aseconda delle circostanze.Sul piano operativo ogni servi-zio sociale possiede un’unitàorganizzativa preposta all’e-sercizio di una o più funzioniaventi carattere di tendenzia-le continuità.La finalità che presiede ogniattività è quella di promuove-re la piena autonomia dellepersone-utenti attraverso l’e-laborazione di progetti di di-verso genere, ma sempre ba-sati su una matrice di tipoeducativo-formativo.I servizi sociali si caratterizza-no, dunque, per la loro strut-tura e per le attività specifi-che offerte, quali assistenza,prevenzione, riabilitazione,recupero o integrazione socia-

le. Tali attività, inoltre, sonomigliorate e/o revisionate incoerenza con la mutazionedei bisogni della persona edella società.Parlare di servizi sociali allafamiglia significa, dunque,analizzare quelli esistenti, ca-pirne la natura, il loro signifi-cato, le modalità d’azione e illoro utilizzo da parte degliutenti. Leggere pedagogica-mente i bisogni delle famigliesignifica tentare di prestareun’opportuna collaborazioneper un loro miglior soddisfaci-mento e individuare il deli-nearsi di nuove domande e dinuove risposte, per il rinnova-mento delle strutture esisten-ti o per l’ideazione di nuoveproposte.I servizi sociali, di qualsiasigenere, dovrebbero essere ca-ratterizzati, sempre e comun-que, da:1. una spiccata e flessibilecapacità di osservazione e diascolto degli utenti;2. un autentico rispetto delsingolo utente e dalla sua va-lorizzazione in rapporto al-l’ambiente circostante;3. un sistema operativo di re-te efficace ed efficiente;4. un’abilità nel non perpe-tuare il bisogno e di non crea-re dipendenze.Non creare dipendenze ha unforte significato educativo,poiché promuove l’autonomiadel soggetto a svantaggio di

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La rete dei servizi sociali

1 Vi è, infatti, tutta una serie di associazioni che cooperano con il servizio pubblico at-traverso varie forme di volontariato.

2 M. CORSI, Il coraggio di educare. Il valore della testimonianza, Vita e Pensiero, Mila-no, 2003.

Una rigorosaprogrammazioneterritoriale

iniziative proposte dalle ammi-nistrazioni locali e dalle asso-ciazioni promosse sul territorionazionale per creare una map-pa delle risorse esistenti a so-stegno delle famiglie.Inoltre, attraverso la creazio-ne di una banca-dati relativaalla legislazione esistente incampo nazionale e internazio-nale, è premura dell’osserva-torio analizzare le modalità dicoordinamento e raccordodelle politiche per la famigliatra i livelli nazionale, regiona-le, provinciale e comunale.La famiglia ha il ruolo prezio-so di consolidamento delle re-lazioni tra le persone e le ge-nerazioni, di rafforzamentocontro il rischio di emargina-zione e di guida nei processidi coesione sociale.L’impegno del governo italia-no è di rafforzare il ruolo del-la famiglia intesa come prota-gonista dei processi decisio-nali che la riguardano (e nonpiù solo come destinataria diinterventi assistenziali) attra-verso il sostegno alla natalitàe alla genitorialità, alle giova-ni coppie; la riforma del regi-me fiscale; la promozione distrumenti di conciliazione travita professionale e responsa-bilità familiari; lo sviluppodella rete di servizi diversifi-cati e dislocati sul territorio,anche a partire dallo sviluppodel sistema dei servizi per laprima infanzia.La finanziaria del 2002 haistituito il fondo per gli asili

nido da ripartire fra le regio-ni. Tali risorse sono destinateanche alla realizzazione dimicro-nidi sui luoghi di lavo-ro e a facilitazioni di creditoper favorire l’accesso all’al-loggio da parte delle giovanicoppie.Sono continuate le erogazio-ni degli assegni alle famigliecon basso reddito, con tre fi-gli minori e a sostegno dellamaternità. A partire dal2003 e per tutto il 2004 èstato previsto un bonus dimille euro a famiglia per tut-ti i secondi figli nati e perquelli successivi. Infine, vi èparticolare attenzione al so-stegno delle famiglie in si-tuazione di bisogno, specifi-che agevolazioni per i fami-liari con disabili a carico e ilfinanziamento di progetti percase-famiglia, gestite da as-sociazioni di volontariato.Nonostante ciò, stenta a de-collare un vero e proprio si-stema di sostegno alla fami-glia per i noti problemi finan-ziari dell’Italia. Inoltre il si-stema fiscale ignora tuttorala famiglia come soggetto,cosicché essa è fortementepenalizzata, rispetto a queisoggetti non sposati o senzafigli.Le ultime leggi finanziarie han-no rivalutato le detrazioni fisca-li per familiari a carico e laconsistenza degli assegni per ilnucleo familiare. Tuttavia ledetrazioni sono ancora moltobasse rispetto agli effettivi bi-

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23l’esistenza di forme assisten-ziali/riparative, con rare azionidi effettiva promozione dellafamiglia attraverso una vera epropria logica di rete; da fa-miglie normali frequentemen-te prive di aiuto di fronte a fa-si critiche proprie del ciclo divita e da una concezione difamiglia profondamente cam-biata. La recente legge di riforma deiservizi sociali, la 328/2000,(della quale, tuttavia, sonoancora al vaglio gli effetti)sembra voglia garantire allepersone e alle famiglie un si-stema integrato di interventi eservizi sociali3. Tale riforma fupreceduta dalla legge 53 del2000, relativa al sostegnodella maternità e della pater-nità per il diritto alla cura ealla formazione e per il coor-dinamento dei tempi dellacittà e dall’introduzione degliassegni di maternità (dal1998) a favore del primo fi-glio, ma sempre con il vincolodi particolari criteri di acces-so, collegati al reddito, comegli assegni per le famiglie conpiù di tre figli.Il 27 gennaio del 2004 si è in-sediato il nuovo Osservatorionazionale sulle famiglie4. Ilnuovo organismo si inseriscein un quadro di riferimento

segnato da un approccio inno-vativo alle politiche familiari,delineato nel Libro Bianco sulWelfare (febbraio 2003), co-me uno strumento atto a mo-nitorare le esigenze specifi-che del territorio, sia a livellonazionale che locale.Gli scopi principali sono quellidi attivare una rete articolata alivello territoriale che permettaun costante e sinergico scam-bio di informazioni, conoscen-ze, esperienze in materia di so-stegno alla famiglia, di raffor-zare la collaborazione tra i variorgani istituzionali che opera-no in quest’ambito e di conso-lidare il confronto con il mon-do del terzo settore.Nello specifico, i compiti daassolvere sono primariamentequelli di osservare i cambia-menti della famiglia e delletipologie familiari e di moni-torare i principali indicatorisocio-demografici. La raccoltadi tali dati permette di indivi-duare nuovi modelli di rela-zione tra le famiglie, le istitu-zioni, l’associazionismo socia-le e il sistema produttivo, alfine di elaborare strategie perla promozione e il sostegnodelle relazioni e delle respon-sabilità familiari.Altro obiettivo è quello di rac-cogliere e diffondere le varie

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Un sistema integrato di interventi

e servizi sociali

La famiglia protagonista

3 P. DONATI, “Quali nuove politiche sociali per la famiglia?”, in OSSERVATORIO NAZIONALE

SULLE FAMIGLIE E SULLE POLITICHE LOCALI DI SOSTEGNO ALLE RESPONSABILITÀ FAMILIARI, Fami-glie: mutamenti e politiche sociali, 2002, 1.

4 L’Osservatorio si basa su una convenzione tra il Ministero del Lavoro e delle PoliticheSociali e il Comune di Bologna con funzioni di capofila. Attualmente ne fanno parte irappresentanti di 25 Comuni italiani. Si confronti al riguardo il sito internet: www.osservatorionazionalefamiglie.it

L’Osservatorio nazionalesulle famiglie

e sulle politiche locali di sostegno

alle responsabilitàfamiliari

sforzo continuo per dare ri-sposte educative ai nuovi bi-sogni della famiglia per pro-gettare e valutare i servizi allefamiglie in una prospettivapromozionale e non più solodi assistenza.Conoscere le famiglie nelledimensioni relazionale ededucativa, studiarne le modi-ficazioni e i rapporti con i ser-vizi fa sì che si possano co-struire nuovi progetti da se-guire e orientare programmipolitico-sociali teleologica-mente chiari in risposta allepersistenti sollecitazioni dellasocietà attuale.Inoltre, per ciò che riguarda ilpiano organizzativo dei servizi,qualsiasi tipo di offerta d’aiutoo sostegno relativa agli ambitifamiliari si presenta comeun’attività educativa, comples-sa e interdisciplinare, per cuisono necessarie competenze esaperi molteplici, nonché unpercorso formativo adeguatoper chi opera in questo campo.Contemporaneamente si ri-chiede pure un lavoro di équi-pe e una sinergia di rete tra levarie istituzioni interessate(Stato, Regione, Province, Ser-vizi sociali, Scuole, Università,Consultori familiari, Centri perle famiglie, Tribunali, ASL, As-sociazioni, ecc.).È necessario consideraresempre il variegato e com-plesso mondo dei bisogni del-la società, per giungere aduna nuova cultura di pienosostegno, valorizzazione e ri-

conoscimento degli interventiapplicati a varie situazioni fa-miliari.Bisogna pure considerare ilfatto che la questione dellecompetenze e quella dellacollaborazione interdiscipli-nare, pur ricevendo molticonsensi dai vari ambiti pro-fessionali attinenti ai diversiproblemi di tipo familiare,non sono state ancora esauri-te in modo soddisfacente pertutti. L’attuale riflessione sui cam-biamenti nelle famiglie italia-ne, da parte delle scienze del-la formazione, ma non solo,dovrebbe «provocare», nell’of-ferta dei servizi alla persona,alla coppia e alla famiglia,una pluralità di percorsi for-mativi di aiuto. Tuttavia que-sto panorama è ancora moltoincerto, sia in ambito pubbli-co sia in quello privato, ancheper il fatto che probabilmentemancano specifici corsi diformazione di un certo rilievo,riconosciuti dallo Stato.La prospettiva istituzionale,che ha spesso indicato il rap-porto tra famiglie e servizicome una dipendenza delleprime dai secondi, è statamessa più volte in discussio-ne, ma pochi sono stati icambiamenti, nonostante dapiù parti si rappresenti sem-pre più una visione che vedele famiglie come soggetti bi-sognosi di risposte, dallequali dovrebbe scaturireun’interpretazione sinergica,

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25sogni e assai inferiori rispettoad analoghe misure in vigorenei maggiori paesi europei.Gli interventi volti a tutelarela maternità e i genitori lavo-ratori dipendenti non hannoancora avuto l’effetto sperato.Gli stessi enti locali si trovanoin forte difficoltà, poiché de-vono, di fatto, provvederequasi in modo autonomo aiprovvedimenti emessi a livellonazionale e regionale.A tal riguardo, nel corso del2004, il Ministero del Lavoroe delle Politiche sociali haattivato un monitoraggio sudue piani. Il primo riguardalo stato di avanzamento rela-tivo alla costruzione dei si-stemi integrati dei servizi alivello regionale. Ciò ha pro-mosso alcune innovazioninell’organizzazione dei servi-zi: un esempio è quello dellacosiddetta porta sociale5. Ilsecondo si sta occupandodella spesa sociale, che neiprossimi due anni dovrebbeportare (in collaborazionecon l’ISTAT) alla realizzazio-ne di una banca dati conte-nente le modalità di trasferi-mento e di utilizzo dei fondiassistenziali ai Comuni.In sintesi, la legislazione na-zionale sulle politiche sociali

è stata ed è una legislazionedi spesa, volta a concederebenefici per una famiglia rile-vante sul piano pubblico soloin quanto bisognosa; guidatadall’idea che si tratti di affer-mare le pari opportunità pertutti senza discriminazioni disesso; riversata sugli enti lo-cali, che poi non sempre sonoin grado di attuarla in modoadeguato per carenze finan-ziarie.Rispetto alla politica naziona-le, si può affermare che mag-giori innovazioni sono avvenu-te a livello locale e regionale,attraverso l’attuazione di ser-vizi e interventi rivolti alle fa-miglie: un esempio pilota èrappresentato dai Centri perle famiglie della Regione Emi-lia-Romagna. Le famiglie sono, attualmen-te, realtà sempre più com-plesse, dinamiche, in conti-nuo cambiamento.La famiglia è il nucleo princi-pale e naturale in cui si rea-lizza la formazione della per-sona, così come le relazionieducative sono un aspetto pe-culiare e fondamentale dellafamiglia. Ciò richiede alla pe-dagogia sociale e familiare(ma anche agli altri settoriscientifico-disciplinari) uno

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Conoscere le famiglienelle dimensionirelazionale ed educativa

5 Il 18 maggio 2004 è stata presentata a Roma la ricerca La porta sociale: una buonapratica per l’accesso alla rete dei servizi, commissionata dal Ministero del Welfare,realizzata dallo studio CEVAS e pubblicata on-line. Nel testo sono messi in evidenzapercorsi di innovazione che alcuni Enti Locali stanno svolgendo per consolidare le re-ti territoriali dei servizi alla persona e alle famiglie. Queste esperienze sono state rac-colte per promuovere tali attività a livello nazionale, per definire i livelli essenziali del-le prestazioni e per valutare lo stato di attuazione del sistema dei servizi che devonogarantire i diritti sociali dei cittadini. Cfr.: www.welfare.gov.it

La “porta sociale”

Una banca dati

i percorsi di ristrutturazionedelle relazioni sia sul pianoconiugale, sia su quello pa-rentale, favorendo il supera-mento di situazioni difficolto-se di vario genere, portandoall’acquisizione di una suffi-ciente consapevolezza deipropri ruoli. Parallelamenteall’interno della famiglia sichiariscono gli stili relazionalie, in una prospettiva di mi-glioramento, ci si prefigge dicreare una sana organizzazio-ne, che non perda mai di vistai bisogni ed i sentimenti diognuno.Per un gruppo familiare, rileg-gersi pedagogicamente signi-fica anche riuscire ad autova-lutarsi, proiettandosi nel futu-ro e facendo tesoro delleesperienze passate, dal mo-mento che tale percorso nonvuole assolutamente crearerapporti di dipendenza conl’esperto delle relazioni edu-cative.Si è fatta prima menzionedelle scuole per genitori e deigruppi di auto/mutuo aiuto,che possono essere organizza-ti con modalità differenti, se-condo i bisogni e le esigenzedelle famiglie.I gruppi di auto/mutuo8 aiutopossono essere identificaticome luoghi in cui si attivano

processi di catalizzazione diquelle risorse umane che, puresistendo, non riescono a ve-nire fuori, vuoi per una diffi-coltà personale intrinseca,vuoi per la presenza di forticondizionamenti esterni al si-stema familiare. Essi permet-tono il confronto su alcune te-matiche che i vari componen-ti delle famiglie si trovano acondividere. Tale condivisioneè molto importante, perché èproprio dalle medesime espe-rienze e dalle testimonianze,che ogni persona può trarrebeneficio per la propria storia.Muovono tale tipo di percorsoformativo i principi della mu-tualità e della reciprocità, so-stenuti dalla volontà di comu-nicare e per questo di raccon-tare e raccontarsi9.I corsi di formazione, denomi-nati anche parent training,sono tesi a sostenere la cop-pia parentale nel migliorare lapropria funzione educativagenitoriale10.Gli interventi formativi hannol’obiettivo di potenziare le abi-lità relazionali, rendendo le fa-miglie capaci di gestirsi in au-tonomia, attraverso fasi chepossono avere la funzione di:1. informare - gli esperti pos-sono fornire informazioni, adesempio, sul ciclo di vita del-

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27con finalità precise, dei ser-vizi sociali6.Le politiche sociali per la fa-miglia da anni riproduconosempre lo stesso schema:vengono proposti interventi ri-volti soltanto a situazionimolto gravi sottoforma di ser-vizi di sostituzione o atteggia-menti di delega alle famiglie,nonostante siano sotto gli oc-chi di tutti le profonde tra-sformazioni subite dalle stes-se sia sul piano strutturale siasu quello delle relazioni digenere.Il lavoro di rete sociale e l’in-tegrazione tra i servizi formalie informali dovrebbero esserein grado di mettere a disposi-zione delle famiglie pedagogi-sti esperti nei processi di atti-vazione delle risorse persona-li, al fine di fare da catalizza-tori alle offerte di rete, siapubbliche, sia private.Attualmente, come in passa-to, l’importanza del gruppofamiliare, in qualità di luogoprimario, unico e originaledella promozione del ben-es-sere di ogni suo componente,è esaltato da parte di diversiambiti di studio. Tuttavia, alivello pratico, sembrano es-

servi poche iniziative a favoredelle famiglie che presentanosituazioni di difficoltà, nonnecessariamente derivanti dagravi patologie, ma dall’acca-dimento di eventi critici.Quello che viene offerto sibasa, molto spesso, sulla li-bera iniziativa di persone me-ritevoli, appartenenti ad asso-ciazioni private, o che dannoil proprio contributo all’inter-no di strutture, come adesempio i Consultori familiaricon un’organizzazione priva-ta. Alcune forme di supportosono presentate sotto la for-ma di prevenzione e/o aiuto evengono rese visibili attraver-so la proposta di scuole pergenitori, gruppi di auto-mu-tuo aiuto o corsi di educazio-ne familiare7, spesso soste-nuti da convenzioni con i Co-muni o le Province.L’obiettivo dovrebbe esserequello di offrire risposte ade-guate all’instabilità che sem-pre di più i nuclei domesticisi trovano ad affrontare, su-scitando nel gruppo familiareriflessioni adeguate e sensibi-lizzandolo alla possibilità diessere aiutato.Tali attività possono facilitare

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I gruppi di auto/mutuo aiuto

Le politiche sociali per la famiglia

6 G. ROSSI SCIUMÈ, “Famiglia e servizi sociali personali”, in P. DONATI (a cura di), Primorapporto sulla famiglia in Italia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 1989,p. 220.

7 Nella già menzionata legge 328/2000, vi è un riferimento esplicito ai “… servizi for-mativi e informativi di sostegno alla genitorialità” (Capo III: “Disposizioni per la rea-lizzazione di particolari interventi di integrazione e sostegno sociale”, art. 16, comma3c): questi dovrebbero essere però concepiti secondo un carattere interdisciplinare, diintegrazione e collaborazione, nella progettazione e nella realizzazione degli interven-ti, tra i servizi e le istituzioni presenti sul territorio. Inoltre, bisognerebbe focalizzarsidi più sul corso di vita delle famiglie e non su quello individuale, come anche sull’o-biettivo di rendere le famiglie attive e protagoniste dei vari percorsi offerti.

8 S. CECCHI, “I gruppi di auto-mutuo aiuto e di empowerment delle famiglie”, in P. DI

NICOLA (a cura di), Prendersi cura delle famiglie, Carocci, Roma, 2002, pp. 169-204.9 V. IORI, Fondamenti pedagogici e trasformazioni familiari, La Scuola, Brescia, 2001,

pp. 99-106. 10 D. SIMEONE, La consulenza educativa. Dimensione pedagogica della relazione d’aiuto,

Vita e Pensiero, Milano, 2002, pp. 215-216.

Corsi di formazioneper genitori

l’altra politica11.L’operazione culturale richiedeil procedere di un’analisi sem-pre più chiara e coerente dellemodalità di trasformazione del-le famiglie italiane e dei loronuovi bisogni educativi, mentre

quella politica necessita di unavisione più «familiare», chetenga conto della famiglia co-me gruppo unico e originale enon solo come la somma degliindividui che la compongono.

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29la famiglia, sulle varie proble-matiche educative che si pre-sentano, sui rapporti tra le ge-nerazioni e i generi;2. discutere - scegliendo dicomune accordo una temati-ca, si possono riportare le pro-prie esperienze, spiegando co-me si sono affrontate le diffi-coltà, con chi e come si sonorisolte, ovviamente sia positi-vamente, sia negativamente;3. formare - è il momento piùdelicato, poiché in questa fasesi dovrebbero rielaborare le ri-flessioni svolte, al fine di in-nescare quei processi ritenutivalidi per promuovere cambia-menti positivi sul piano dellerelazioni sia coniugali, sia pa-rentali, dimostrando di avereacquisito consapevolmente lapossibilità di potere essere,per sé e per gli altri, fonte disignificato.Tali percorsi offrono la possi-bilità di poter usufruire di unospazio privilegiato e di espertia disposizione per affrontare itemi riguardanti il diveniredelle famiglie. Con finalitàprevalentemente pedagogi-che, si promuove la consape-volezza e la responsabilità deimembri della famiglia in rife-rimento ai loro specifici ruoli,affinché siano messi in gradodi elaborare nuove e positivemodalità per relazionarsi, inprimo luogo tra loro comecoppia coniugale e genitoria-le, in secondo luogo con i pro-pri figli.La figura esperta che conduce

questi programmi si presentacome un facilitatore, un me-diatore dei processi di comu-nicazione tra partecipanti, fi-nalizzati allo scambio di infor-mazioni e al potenziamentodelle loro risorse.Ovviamente ciascun tipo diprogramma ha i suoi obiettivipre-determinati sulla basedelle esigenze e dei bisognispecifici delle famiglie, percui si opera non solo sull’es-sere propriamente coniugi e/ogenitori, ma anche sulle pro-blematiche connesse a parti-colari fasi del ciclo di vita del-la famiglia.Le varie iniziative di formazio-ne e/o sostegno proposte da va-ri organi istituzionali pubblici eprivati, seppure eterogenee,sembrano unite da una finalità,protesa a ridare fiducia e spe-ranza a tutte quelle famiglieche si trovano momentanea-mente in una fase critica dellaloro esistenza.È ormai tempo che tutte leagenzie educative, compresolo Stato, si impegnino per av-vicinarsi alla complessità ealla pluralità che le famiglieitaliane stanno vivendo, sen-za avere la pretesa di interve-nire con varie iniziative, inter-pretabili come risposta aduna crescente incapacità edifficoltà degli adulti di at-tendere alle loro responsabi-lità familiari.Affinché ciò cominci ad acca-dere, sono rese necessariedue operazioni, una culturale,

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11 M. CORSI, Famiglia e consultori familiari, Vita e Pensiero, Milano, 1988, p. 131.

Una nuovacultura e una nuovapolitica per la famiglia

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Studi e ricerche

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La famiglia del disabilee la consulenza educativa

Roberto Franchini

La famiglia è l’unità originariadi Cura1: è questo un postula-to largamente condiviso dallescienze umane, che rintraccianel nucleo familiare l’organi-smo da cui parte e a cui ritor-na continuamente l’azione diaiuto, volta alla costruzione eallo sviluppo equilibrato dellapersonalità dei suoi compo-nenti. Nei confronti dei pro-fessionisti dell’educazione,pertanto, la famiglia non sitrova in una posizione di su-bordine, per così dire deriva-ta: viceversa, essa è la cellula

base dei servizi primari, an-che se (e proprio in quanto) ditanto in tanto si trova nellacondizione di dover «delega-re» alcune sue funzioni adaltri, in virtù di una maggio-re competenza o più sempli-cemente di un bisogno dicompletamento (supplemen-to) della sua stessa azione diCura.Tuttavia la situazione sembracomplicarsi alquanto quandoall’interno del nucleo familia-re è presente un figlio disabi-le.

1 Il termine Cura, ripreso dalla riflessione di Heidegger, esprime la natura «esistenzia-le», e dunque originaria e insopprimibile, della progettualità dell’uomo, nella sua du-plice espressione di prendersi-cura delle persone e aver-cura degli altri uomini. Cfr. M. HEIDEGGER, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 1976, p. 248: “La perfectio del-l’uomo, il suo pervenire a ciò che esso, nel suo esser-libero per le possibilità più pro-prie (per il progetto), può essere, è «opera» della Cura”. Per un approfondimento cfr.R. FRANCHINI, “La famiglia e la Cura”, in La Famiglia, 2004, 226, pp. 63-73.

La famiglia unità originaria di «cura»

indicare la condizione esi-stenziale di un individuo che,a causa di multiformi fattori,si trova in una situazione dihandicap, inteso come “… si-tuazione di svantaggio sociale(…) che limita o impediscel’adempimento di un ruolonormale”.Nel 2001, inoltre, la stessaOrganizzazione Mondiale del-la Sanità ha inteso superarele già importanti affermazioniore descritte, e, con la pub-blicazione del sistema ICF5,ha proposto alla comunità in-ternazionale un modello an-tropologico ed ecologico disalute all’interno del quale laperdita di attività dell’indivi-duo (disabilità) e la carenzadi ruolo sociale (handicap)vengono ricontestualizzate inun modello di lettura e di in-tervento che in luogo di con-siderare il limite, la mancan-za, tende a mettere a fuocol’esistenza di potenziali livel-li di evoluzione e di cambia-mento, i quali possono esse-re di volta in volta traguarda-bili per questa persona (fat-tori personali) in questa si-tuazione di vita (fattori am-bientali).All’interno di questo sposta-mento di prospettiva, per

molti versi radicale, il ruolodella famiglia deve essere ri-compreso, e comunque nuo-vamente interpretato alla lucedi un sicuro protagonismo,prima e oltre l’intervento del-l’operatore esperto. Se il mo-mento iniziale della diagnosiè spesso indispensabile perindividuare cause e confinidella patologia, oltre alle suepurtroppo inevitabili conse-guenze, immediatamente do-po viene il momento di guar-dare ad altro, dirigendo le ri-sorse non nella direzione diuna sovente improbabile gua-rigione, ma nella prospettivadi ogni possibile miglioramen-to del livello di abilità e di par-tecipazione sociale dell’indivi-duo «diversamente abile»6. Suquesto terreno non di terapiasi tratta, ma di educazione:treatment is education7.Se l’aiuto alla persona disabi-le deve essere contestualizza-to entro un orizzonte non inprimo luogo terapeutico, maeducativo e pedagogico, allo-ra la famiglia conserva il suoineliminabile primato. Alla fa-miglia spetta la Cura educati-va: entro lo spazio familiare direlazioni e di multiformi storiedi vita si gioca l’avvenire del-l’individuo, il suo grado di at-

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35In questo caso non è ragione-vole pensare che la Cura deb-ba essere assunta sotto l’ini-ziativa di un operatore esper-to? La questione della disabi-lità non oltrepassa per princi-pio gli ambiti della competen-za familiare, già così fragili incircostanze normali? E poi, lafamiglia del disabile non è giàda sempre esposta al rischiodi modalità relazionali incon-grue, a causa del passatotrauma della nascita del figlioe della presente continua mi-naccia dello stress del caregi-ver2?Prima ancora di questi inter-rogativi, cui la riflessione ten-terà una risposta, è bene esa-minare alcuni possibili osta-coli alla Cura familiare neiconfronti del figlio disabile, ecioè:1. la possibile (e frequente)identificazione tra la condi-zione della persona disabile ela malattia;2. la possibile (e frequente)approssimazione della condi-zione della famiglia del disa-bile alla stregua di famigliamalata, in quanto nevrotizza-ta e «disturbata».

La disabilità è malattia?Se la disabilità è malattia, èlogico concludere che l’inter-vento sulla disabilità è da ri-condurre al paradigma clini-co. Posta questa premessanon vige più alcun dubbio: laCura appartiene all’operatore,che in particolare si identificanel terapeuta, dotato di unbagaglio professionale (e nonsemiprofessionale)3 di tecni-che e strumenti di diagnosi eprognosi.Ma è proprio così? Può la disa-bilità essere ricondotta allastregua della malattia? Inrealtà questa incongrua identi-ficazione è già stata affrontatae superata dalle più recenti in-dicazioni dell’OrganizzazioneMondiale della Sanità, la qua-le, già nel 1980, con la pub-blicazione del sistema ICIDH,aveva allontanato la disabilitàdall’incongrua etichetta dellapatologia, riportandola al suosignificato di “… limitazioneo perdita (…) della capacitadi effettuare una attività, nelmodo o nei limiti consideratinormali per un essere uma-no”4. Ancora, il termine disa-bilità assume spesso un valo-re più sfumato e generico, ad

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2 Così la letteratura anglosassone nomina la persona che all’interno del nucleo familia-re ha il compito prevalente di erogare cura all’individuo con problemi di non autosuf-ficienza.

3 Con semiprofessione A. Etzioni ha inteso indicare quel gruppo di mestieri che non sicontraddistinguono per competenze distanti dal senso comune, ma al contrario man-tengono una strutturale colleganza con il vivere e il fare di ogni uomo (con la Cura co-me esistenziale, si potrebbe dire). Cfr. A. ETZIONI, The Semiprofession and their Orga-nization. Teachers, Nurses and Social Workers, The Free Press, New York, 1969.

4 Cfr. ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ, ICIDH, Classificazione internazionale dellemenomazioni, delle disabilità e degli svantaggi esistenziali, Centro lombardo per l’e-ducazione sanitaria, Milano, 1980.

5 ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ, ICF, Classificazione internazionale del funzio-namento e delle disabilità, Erickson, Trento, 2001.

6 L’espressione è di Dario Ianes, nel tentativo di superare i possibili equivoci che la pa-rola disabile (o la frase «portatore di handicap») può generare.

7 Questa frase, perentoria nella sua semplicità, è di Eric Schopler. Cfr. ad es. L.R. WATSON,C. LORD, B. SCHAFFER , E. SCHOPLER , La comunicazione spontanea nell’autismo, Erick-son, Trento 1998, p. 170.

La disabilità è malattia?

La famiglia e la cura educativa

Sullo sfondo vige il “postulatodella non accettazione”8: leazioni dei protagonisti dellavita familiare sarebbero na-scostamente guidate dalla ne-gazione del problema, o persi-no dal rifiuto del figlio, atteg-giamento che, attraverso l’in-sidia del senso di colpa, pro-durrebbe complessi nevrotici icui sintomi si ravvisano pro-prio nella simbiosi, ovveronell’ambiguo evitamento.Celebre a questo proposito èla sequenza lineare di fasi at-traverso la quale, a parere ditale letteratura, la famigliadel disabile si troverebbe apassare: dallo shock iniziale igenitori percorrono gli stadidella negazione e del senso dicolpa, per giungere ai più evo-luti processi di patteggiamen-to e infine di accettazione e diriorganizzazione delle risorseintra ed extrafamiliari. Questoitinerario costituirebbe unadinamica, progressiva reazio-ne ad una ferita narcisisticache, provocata dallo iato trafiglio sperato e figlio reale,renderebbe labili e indistinti iconfini tra malattia del figlioe nevrosi dei genitori9.È evidente come questa visio-ne della famiglia richieda, in

modo transazionale, un ruoloaltrettanto rigido dell’operato-re: questi, affiancandosi alnucleo familiare, è chiamatoad assumere un atteggiamen-to clinico ed interpretante,essendo pronto a leggere, die-tro ai comportamenti e allecomunicazioni dei genitori, isintomi dell’appartenenza auno o all’altro stadio del per-corso nevrotico reattivo. Al centro dell’intervento suldisabile c’è in ogni modo l’o-peratore, il quale, mentre sioccupa del figlio, riveste neiconfronti dei genitori un ruoloasimmetrico e dominante,che in alcuni casi si traducein un vero e proprio atteggia-mento di colpevolizzazionedelle famiglie, mentre in casipiù sfumati si esprime cometensione salvifica e scarsa di-sponibilità all’ascolto.Opportunamente si è notatocome questa concezione dellafamiglia del disabile, insiemealla conseguente pratica ope-rativa, non siano affatto de-dotte e supportate da un im-pianto di analisi e di ricerca,ma come probabilmente essesiano il frutto di un’indebitageneralizzazione di alcune os-servazioni tratte dall’espe-

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37tività e il ruolo (i ruoli) cheegli riuscirà ad esercitare nel-la sua esperienza personale.Se, lungo il tragitto della cre-scita e dell’evoluzione, altriprotagonisti si inseriranno, atraguardare il medesimo obiet-tivo di facilitazione del cam-biamento verso il meglio, essilo potranno fare in quantoavranno ricevuto una delega,che li abilita ad affiancarsi al-la famiglia nel difficile e affa-scinante compito di educazio-ne della persona.La famiglia del disabile saràin poche o in molte circo-stanze tentata di delegare laCura, privandosi del fardellodella responsabilità riguardoalle decisioni e agli esiti de-gli interventi (è indubbia-mente delicata la situazionedella famiglia della personadisturbata). Anche l’operato-re sarà esposto al desideriodi accettare questa delega,assumendo su di sé l’esclusi-va delle risoluzioni e deiprovvedimenti: in questo rap-porto transazionalmente (efatalmente) equilibrato trachi passivamente chiede echi attivamente propone sigioca in realtà uno squilibrio,attraverso il quale la famigliaè espropriata, di principio odi fatto, dai suoi compiti ori-ginari.L’espropriazione del ruoloeducativo operata nei riguardidella famiglia del bambino di-sabile è senz’altro asseconda-ta o persino postulata da una

visione derivante da stereotipipsicanalitici, per altro moltodiffusa nei servizi, prospettivache assimila la condizionedella famiglia del disabile aquella di nucleo disturbato etendenzialmente psicopatolo-gico.

La famiglia del disabile: famiglia disturbata?Nella letteratura scientifica enella conseguente praticaoperativa riguardo alla fami-glia del disabile prevale laconcezione che il nucleo fa-miliare, il quale vede al suointerno la presenza di unapersona portatrice di handi-cap, sia già da sempre «di-sturbato», incline ad assume-re strategie relazionali incon-grue, addirittura dannose,quando non a rischio psicopa-tologico.In particolare il modello psi-canalitico, tentando una let-tura psicodinamica delle rela-zioni intrafamiliari, fornisceun quadro dai contorni rigidie preconcettuali: la madre simantiene sin dalla nascita,senza riuscire ad uscirne, inun rapporto simbiotico con ilfiglio; il padre è distante senon addirittura assente, men-tre ambedue si impegnano inun processo, destinato perprincipio a fallire, di ricercaossessiva di una soluzione,tale da «guarire» lo sfortuna-to bambino, mutando profon-damente la sua diagnosi-de-stino.

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8 Cfr. M. ZANOBINI, M. MANETTI, M. C. USAI, La famiglia di fronte alla disabilità. Stress,risorse e sostegni, Erickson, Trento, 2002, p. 15: “… tutto ciò che dicono e fanno igenitori rischia infatti di essere interpretato ora come negazione del problema, ora co-me rifiuto del figlio ed eccessiva volontà di normalizzazione, in una logica senza scam-po dove il postulato della non accettazione è già in anticipo filtro interpretativo di qua-lunque comportamento.

9 Cfr. ivi: “… l’idea di un impatto necessariamente negativo della disabilità sulla vitadelle famiglie ha finito per dominare la letteratura e guidare la ricerca sull’argomentoper decadi, dando centralità a concetti quale lutto, dolore, tristezza cronica.”

La famiglia del disabile:famiglia disturbata?

fare tesoro delle loro espe-rienze”12. Per di più, la man-cata considerazione della pos-sibile positiva evoluzione del-l’evento «disabilità» conducegli operatori a mantenere ilrapporto con la famiglia neiconfini di uno stretto copioneasimmetrico, entro il quale èconsentito loro decidere tutto,richiedere molto, informarepoco13. Nella nostra proposta, che in-tende superare le visioni ri-duttive sulla famiglia del di-sabile, la consapevolezza del-la Cura come esistenziale fa-miliare, insieme alla percezio-ne dell’intrinseca parzialitàdella delega ricevuta, conferi-scono all’operatore il compitoprofessionale della confer-ma14, mossa relazionale chechiede al professionista dipartire da un presupposto ra-dicalmente opposto a quellopsicanalitico: sino a provacontraria l’evento disabilitàha prodotto nella famiglia nonla drammaticità della nevrosi,ma una maggiore solidità ecompetenza, fondamento dalquale partire per progettareprassi partecipative e collabo-

rative.L’esistenziale della Cura po-stula un nuovo equilibrio dipoteri tra famiglia ed operato-ri, e conseguentemente la de-lineazione di sequenze di me-todo entro le quali si riaffermiil protagonismo familiare. En-tro questo orizzonte il profes-sionista dell’aiuto, sia essoinsegnante, terapeuta o edu-catore, è chiamato ad avvalo-rare il contributo del nucleofamiliare, esercitando, oltrealle sue funzioni specifiche,anche un’azione volta a facili-tare la genitorialità. Da que-sto punto di vista risulta mol-to promettente il filone di ri-cerca e di intervento che,ispirandosi ultimamente a Ro-gers, si riunisce intorno alconcetto di «counseling».

Il counseling come modellodella relazione di aiutoIl modello di relazione di aiu-to dall’indirizzo del counse-ling sembra poter fornire al-cune importanti indicazioni,opportune nel contesto dellapresente riflessione, dise-gnando un’azione di aiuto leg-gera, mai sostitutiva, sempre

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39rienza di alcuni nuclei fami-liari, magari proprio di quelliche per l’appunto si sono ri-volti ad operatori di matriceanalista. L’influenza del pro-fessionista e dei suoi paradig-mi teorici è oltre tutto facili-tata dell’«effetto alone» chesovente la disabilità reca consé: da questo «errore ottico»si origina la convinzione chechiunque viva l’esperienzadel limite, e a fortiori il fami-liare, debba a tutti i costiuscirne traumatizzato, e dun-que tendenzialmente nevro-tizzato.Se alla famiglia spetta la Cu-ra come esistenziale familia-re, e se il professionista hal’importante compito di con-fermargliela, facilitando esupportando la funzione geni-toriale, allora questa visionedeve essere superata, a pro discenari meno interpretativi,che abbiano come punto dipartenza non la rigidità dell’u-no o dell’altro schema, ma lalettura della famiglia come fe-nomeno complesso, “… diffi-cilmente e ingiustamente ri-conducibile a modelli inter-pretativi unidirezionali, chetalvolta hanno come effettol’esclusione dei familiari daimportanti processi decisio-nali ed educativi. Nella com-plessità dei diversi percorsiconvivono fonti di disagio edesperienze positive, ragioni di

conflitto e di appagamento,non necessariamente mutua-mente esclusive o attribuibilia «tipologie» familiari diver-se”10.Davanti ad un fenomenocomplesso, che contiene piùdi una variabile e per di piùdi segno ingiudicato, non èmetodologicamente correttoformulare ipotesi aprioristi-che. Se l’osservazione dellefamiglie presenta in alcunicasi fenomeni riconducibiliall’esistenza di sindromi ne-vrotiche, in altri casi si assi-ste ad evoluzioni radicalmen-te opposte, dove l’evento del-la disabilità produce riorga-nizzazioni positive delle co-stellazioni valoriali, generan-do nei genitori maggiore soli-dità intra ed interpersonale,come appunto può avvenirequando, affrontando situa-zioni difficili, gli uomini av-vertono di diventare più forti,meno turbati dalle piccolez-ze, più consapevoli delle co-se che contano11.Ancora, altri “… cambiamen-ti riguardano l’accrescimentodi competenze e di conoscen-ze. Questo tipo di arricchi-mento, talvolta sottovalutatodai servizi riabilitativi e edu-cativi che a distanza di annitrattano i genitori come se l’e-vento fosse appena accaduto,è invece ben presente ai geni-tori, che via via imparano a

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Il counseling come modello della relazione di aiuto

10 Ibidem, pp. 7-8.11 Cfr. ibidem, p. 29.

12 Ivi.13 Cfr. ibidem, p. 155: “La nostra esperienza diretta ci porta a sottolineare come anco-

ra oggi fra gli operatori sia diffuso il malcostume di tenere la famiglia all’oscuro sulpercorso riabilitativo: la famiglia non solo spesso non conosce le attività svolte dal pro-prio figlio, ma talvolta non ha la minima idea degli obiettivi che il servizio intende rag-giungere o che ha raggiunto”.

14 Nella riflessione di Buber la conferma esprime un valore fondamentale della relazio-ne io-tu, “… un sì che permette all’uomo di esistere e che può venirgli soltanto da unaltro essere umano” (Cfr. M. BUBER, Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo, Ci-nisello Balsamo (MI), 1993, pp. 116-117. Nella nostra prospettiva la relazione di aiu-to, quando è autentica, conferma l’altro, piuttosto che avvalorare paradossalmente unacondizione di debolezza, quando non di mancata autonomia e di dipendenza.

ne di un’ipotesi: l’azione del-l’operatore non è infatti diret-ta al problema in sé, ma allaricostruzione delle capacitàdell’altro, che sovente si pre-sentano, o meglio si nascon-dono, dietro la presenza cosìingombrante della crisi perso-nale e a volte anche della di-sperazione. Il professionistasin dall’inizio dirige la sua at-tenzione non sugli aspettiproblematici, correndo conciò stesso il rischio di guar-darli come dall’esterno, conocchio clinico e distaccato,ma sulla persona, sull’insie-me vitale dei suoi progetti edei suoi valori, cui il proble-ma stesso è per così dire at-taccato, senza la possibilitàdi poterlo esaminare separa-tamente.Ciò che cambia è la naturadella relazione: da una partec’è l’asimmetria di chi guar-da all’altro come il portatoredi un problema, per occu-parsi clinicamente di que-st’ultimo, magari assumen-dolo su di sé, e comunquetrattandolo categorialmentecome una «cosa», come unoggetto inquadrabile nell’u-na o nell’altra etichetta giàda sempre conosciuta; dal-l’altra c’è la simmetria di chisi gioca nella relazione, ri-volgendo lo sguardo all’altroche sta di fronte, e centran-dosi sulla sua esistenza di

persona che, pur avendo unproblema, è in cerca di unasoluzione, in modo tale che isuoi progetti e le sue ipotesihanno già da sempre mutatola natura del problema, ren-dendolo inidoneo a unaqualsiasi categoria: il pro-blema è infatti attaccato allapersona, e dalla persona ri-ceve configurazione e pro-spettive di soluzione.La scelta dell’operatore delcounseling di centrarsi sullapersona non è pertanto primadi tutto una deliberazione ditipo etico (anche se è indub-bio il valore assiologico diquesta indicazione), ma è unorientamento metodologico,che risponde sul piano opera-tivo al presupposto teoricodella tendenza attualizzante,o per meglio dire all’imperati-vo pedagogico della ricostru-zione della medesima. “L’at-tenzione alla persona possie-de anche (e soprattutto) unpreciso significato tecnico),nel senso che è da Rogers in-dicata come condizione ne-cessaria senza la quale la re-lazione di aiuto non può avereefficacia. (...) Risulta allora«tecnicamente» necessarioche la persona venga trattatain modo tale da poter speri-mentare, già nel processo diaiuto, un adeguato e autenti-co clima di autodeterminazio-ne, responsabilizzazione, va-

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41poggiata sul fondamento del-la «tendenza attualizzante»,da intendersi come originariacapacità della persona (e del-la famiglia) di comprendere lapropria situazione e di gestireil problema prendendo da so-lo e pienamente la responsa-bilità delle scelte eventuali.Anche i principali studiosidel counseling (R. Carkhuff15,R. Mucchielli16, J. O Leary17,etc.) avvertono la già esplora-ta preoccupazione, quellacioè di distinguere il collo-quio educativo (ma più in ge-nerale l’arte di aiutare, direb-be Carkhuff) da altre forme diapproccio all’individuo incondizione di bisogno, formeche, in luogo di confermarlonella sua libertà di persona,tendono a relegarlo al ruolopassivo di colui che di voltain volta riceve qualcosa, sen-za nulla mettere di proprio, epertanto smarrendo la Cura(consegnandola cioè, o persua volontà o di fatto, nellamani dell’operatore).Ogni volta che il professioni-sta consiglia, insegna, conso-

la, interroga o ipotizza, e co-munque agisce in prima per-sona, invece di aprire spazi,facilitando la riflessione e lanarrazione dell’altro, il risul-tato è il medesimo: l’aiuto siirrigidisce entro uno schemanel quale sia il processo che ilrisultato sono il prodotto dellacompetenza esperta del pro-fessionista, mentre l’indivi-duo (la famiglia) che ha ri-chiesto l’aiuto si smarrisce difronte alla sapienza propriocosì dimostrata (o al contrariovi si ribella, sottraendosi allarelazione)18. Ciò che rimaneall’altro è soltanto la possibi-lità di accettare l’azione del-l’operatore, oppure rifiutarla,dimostrandosi pertanto nonall’altezza del consiglio rice-vuto, incapace di assumerlosu di sé, o addirittura così im-pertinente da mettere in dub-bio la competenza del profes-sionista.L’arte di aiutare consiste in-vece in qualcosa di molto piùcomplesso rispetto alla sem-plice elargizione di un consi-glio o alla misurata costruzio-

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15 Cfr. R. CARKHUFF, L’arte di aiutare, Erickson, Trento, 1993.16 Cfr. R. MUCCHIELLI, Apprendere il counseling. Manuale di autoformazione al colloquio

di aiuto, Erickson, Trento, 1997.17 Cfr. C. J. O’LEARY, Counseling alla coppia e alla famiglia. Un approccio centrato sulla

persona, Erickson, Trento, 2002.18 Cfr. F. FOLGHERAITER, “La relazione d’aiuto nel metodo di R. Carkhuff”, in R. CARKHUFF,

L’arte di aiutare, p. 18: “In tutte queste strategie di aiuto vi è un presupposto comu-ne, che non è dato invece per il counseling: l’aiuto (inteso come «prodotto» realizza-to: soluzione di un problema, soddisfazione di un bisogno, superamento di una crisi,etc.) dipende interamente dalla competenza (expertise) di chi aiuta. L’aiuto, in questaprospettiva, è visto come un «bene» che passa da chi lo possiede a chi lo richiede;dare un aiuto è un operazione o un processo attraverso cui un «vuoto» o una carenza,posti dentro una persona, vengono colmati o compensati a prescindere dall’attività,l’impegno, l’apprendimento di questa persona «ricevente»”.

19 F. FOLGHERAITER, “La relazione di aiuto nel counseling e nel lavoro sociale”, in R.MUCCHIELLI, Apprendere il counseling. Manuale di autoformazione al colloquio diaiuto, p. 10.

privilegiato per l’intervento diaiuto, ritagliando una rifles-sione specifica sul cosiddettocounseling familiare. Moltoprima di questo, l’esperienzadel consultorio familiare haoriginato, negli Stati Uniti ein Europa, una feconda seriedi riflessioni sulla natura e ledimensioni della consulenzaalla famiglia21.Una società consapevolmen-te attenta a non sottrarre al-la famiglia la Cura, una ra-zionalità politica pronta acogliere la fertilità di un agi-re diffuso, volto a rinforzarele competenze familiari, so-no i fondamenti di una ci-viltà pronta a costruirsi co-me comunità educante, o,che è lo stesso, come comu-nità-che-cura. In siffattoorizzonte il ruolo del consul-torio diventa di un’importan-za vitale per il benessere(Welfare) della città dell’uo-mo: certo, non il consultorioal quale molto spesso assi-stiamo, conformato alla logi-ca clinica e incline al model-lo ambulatoriale, ma un con-sultorio che è “… espressio-ne del territorio, vera e pro-pria istituzione formativa dibase alla quale la popolazio-ne si rivolge per trovare pos-sibilità di confronto e di ap-

profondimento in ordine aiproblemi familiari, tra i qua-li un posto privilegiato spet-ta a quelli connessi con l’e-ducazione”22.La storia del distretto sociosa-nitario in Italia, tuttavia, de-pone sovente per la tesi oppo-sta, denunciando l’ottica sa-nitarista, in un paradigma diintervento che più o menoscientemente “… rimuove lafamiglia e il mondo vitale delsoggetto come elementi ines-senziali e disfunzionali aduna corretta erogazione delleprestazioni”23.Certamente incontrare la fa-miglia, piuttosto che un sin-golo individuo, magari nellospazio rassicurante di un am-bulatorio, è un’impresa diffi-cile, o, per meglio dire, com-plessa. Molte sono le parti ingioco, e non si tratta soltantodi confermare una persona,quanto di facilitare il ripristi-no di una corretta comunica-zione intrafamiliare, agevo-lando i normali itinerari di re-lazione, comprensione e soli-darietà reciproca tra membridello stesso nucleo.È in questo caso ancora piùurgente che il professionistanon intervenga con facili solu-zioni, rischiando oltre tutto diapparire parziale24, e comun-

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43lorizzazione”19.È evidente, allora, che l’ap-proccio del counseling si pre-senta inadatto quando l’obiet-tivo della relazione non è enon può essere il ripristinodella capacità di una persona(o della famiglia) di aver curadi se stessa, quanto e più pro-priamente l’intervento sullapatologia. Qui prende terrenol’utile distinzione tra terapiapsicologica, idonea laddovel’individuo (il paziente) o lafamiglia (disturbata) non èpiù in grado, a causa di untrauma o di una malattia, diaffrontare la propria condizio-ne di disagio, e intervento for-mativo, che, a differenza diquello terapeutico, ha comepresupposto non la patologia,e dunque la disfunzionalità,ma la libertà della persona, edunque la sua intatta proget-tualità di evoluzione verso ilmeglio.Se è così, risulta chiaro co-me l’intervento educativo (ilcounseling pedagogico) deveessere applicato ad un cam-po molto più esteso rispettoa quello di stretta pertinenzapsicoterapeutica. L’aiuto èinfatti opportuno (e forse ne-cessario) anche a prescinde-re dalla patologia, in quantonon è rivolto alla guarigione,ma al reciproco e solidale

porgersi la parola della con-ferma, quella che in ogni mo-mento della vita dell’uomo,sia nelle crisi che nelle ordi-narie situazioni di vita20, ognipersona è in grado di darci,mentre il professionista la of-fre su di un piano di compe-tenza esperta.

Il counseling familiareLa parola della conferma av-viene per ogni uomo primadi tutto all’interno della pro-pria famiglia. Alla famigliaspetta in primo luogo la Cu-ra, come esistenziale fami-liare rivolto alla piena affer-mazione della persona e delsuo progetto di vita. Il rap-porto tra genitori e figli pri-ma, tra figli e genitori poi,ma più in generale tra mem-bri dello stesso nucleo fami-liare richiama continuamen-te ogni individuo alla strut-tura trascendentale e origi-naria dell’aver-cura, e que-sto prima che l’azione di aiu-to diventi, in modo conse-guente e subordinato, agirepolitico e comunitario, e in-fine, in via derivata e quasiin una sorta di delega, azio-ne tecnica e professionale.Consapevoli di questa pre-messa, gli studiosi del coun-seling hanno intravisto nell’e-sperienza familiare un terreno

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Il counseling familiare

20 Efficace è la distinzione di Hopson tra crisis counseling e developmental counseling:il primo si configura come intervento su situazione di impasse personale o di passag-gi evolutivi particolarmente ardui, il secondo si presenta non come risposta su situa-zioni determinate, ma come agire diffuso, rivolto ad offrire all’individuo continui sti-moli per l’evoluzione personale.

21 Per un approfondimento sulla storia del consultorio familiare vedi la prima parte di D. SIMEONE, La consulenza educativa. Dimensione pedagogica della relazione di aiuto,Vita e Pensiero, Milano, 2002.

22 L. PATI, “Spazi pedagogici nell’attività consultoriale”, in Consultori familiari oggi,1996, 1-2, pp. 96-97.

23 G.B. SGRITTA, Famiglia, mercato, Stato, Angeli, Milano, 1988, pp. 214-215.

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I significati, le pauree i linguaggi dellasessualità umana

Romolo Taddei

I significati della sessualitàumanaDesidero lumeggiare i signifi-cati della sessualità umana,le paure che aleggiano in tan-ti uomini e donne nell’espri-mere la tenerezza e i linguag-gi che la sottendono nelle suevarie forme.La sessualità umana va oltreil dato anatomico – fisiologi-co. Nell’uomo infatti essa nonpuò essere vissuta senza unsignificato. Anche quando sidecide di non ricercarlo, taledecisione equivale a ricono-scerlo. L’uomo, al contrariodell’animale, si interroga sul-la sessualità ed è alla ricercacontinua di significati. Il

cammino della sessualitàumana è caratterizzato da tresignificati che ne costituisconol’essenza:IDENTITÀ (Io) – RELAZIONE(Tu) – GENERATIVITÀ (L’altro)1.Escludere uno di questi tre si-gnificati, significa negare lastruttura stessa della sessua-lità umana. Questi tre ele-menti infatti si richiamano esi integrano a vicenda.Esamino ora questi significati.

L’identitàL’ io nasce sempre all’internodi una relazione. C’è sempreuna relazione che mi precede.Da un altro ho origine. Di unaltro ho bisogno per realizzar-

1 Diverse idee provengono da una comunicazione orale di Giovanni Salonia in occasionedi un Seminario di Gestalt sulla sessualità.

que negando alla famiglia ilsalutare processo di negozia-zione, che la renderebbe piùsolida e pronta ad affrontarealtre crisi o passaggi evolutivi.Il consulente familiare, inve-ce, aiuta la famiglia a faremergere dalla reciproca nar-razione, e a tratti anche daspezzoni di comunicazionerabbiosa o di altra pericolosanatura, le regole implicite, iruoli, le pressioni ambientali,i modelli intergenerazionali, iconfini, le alleanze, le gerar-chie ed ogni altro fattore chedi volta in volta inibisce o fa-cilita la comprensione reci-

proca, nella direzione di unapiena e sistemica presa di re-sponsabilità sui problemi e,conseguentemente, sulle de-cisioni da prendere assieme. Tutto questo nella convinzio-ne che il miglior modo di af-frontare le questioni, e traqueste anche gli interventieducativi sul disabile, comeanche la formulazione del suoprogetto di vita, non è quelloescogitato dall’operatore pro-fessionale, ma sempre e inogni caso quello deciso dallafamiglia, nell’ambito dellasua cosciente, seppur (o pro-prio perché) faticosa, espe-

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24 Il problema della parzialità dell’operatore è affrontato da O’Leary nei termini non diuna semplice negazione (non essere parziali è infatti praticamente impossibile), maattraverso il costrutto della “… parzialità multidirezionale…”, che consiste in quel-l’atteggiamento empatico che conduce l’operatore a chiedersi continuamente, e perogni persona coinvolta: “Cosa è successo a ognuna di queste persone? Che cosa stan-no facendo queste persone a quest’altra?”. Per un approfondimento vedi il già citatoC.J. O’LEARY, Counseling alla coppia e alla famiglia.

I significati della sessualità umana

L’identità

non esiste autentica crescitaumana. Ogni persona nascecome essere di tenerezza. Ilbambino ha bisogno delle ca-rezze della madre e del con-tatto con il suo corpo, comeha bisogno del latte o del ci-bo per vivere. È risaputo chebuona parte dei disturbi psi-cologici, psicosomatici o disocializzazione derivano davuoti vissuti all’alba della vi-ta. La tenerezza pertanto nonsi insegna, ma si comunicaincarnandola e testimonian-dola. Il primo gemito di ogniessere umano non è l’iniziodi una “vita di pianto” comepensava G. Leopardi, mal’appello a farsi riconoscerecome essere che invoca la te-nerezza, sentendosi amato esentendo di amare.S’intravede, pertanto, la gran-de responsabilità che hanno igenitori nella formazione deifigli, specie nei primi tre annidi vita. È in questa fase dellavita che si strutturano quellemodalità relazionali che poi sirivivranno nella fanciullezza,nella adolescenza, nel matri-monio, nella fase adulta enella vecchiaia. Si è portati aripetere quello che si è vissu-to da piccoli. Goodman direb-be in maniera descrittiva edincisiva: “Ciò che non si chiu-de si perpetua”.

La relazioneIl secondo significato è la re-lazione. La sessualità è il ri-mando ad un’altra persona.

Scoprirsi maschio o femminaavviene non «accanto», ma«di fronte» a una personadell’altro sesso. Mi scopromaschio di fronte ad unafemmina e viceversa. La ri-cerca dell’altro, poi, non ètanto una ricerca del piacere(concezione freudiana), maricerca dell’altro in quanto al-tro, cioè è ricerca di contatto.Secondo il grande assunto diFairbairn “la libido non è ri-cerca di piacere, ma ricercadell’oggetto”. Il rapporto ses-sualità–relazione è un rappor-to complesso, nel senso chela sessualità all’interno diuna relazione dà un significa-to a quella relazione, decisa-mente diverso da una relazio-ne in cui non c’è sessualità.Basta una goccia d’innamora-mento per cambiare un rap-porto tra due persone. Quan-do la sessualità si unisce allarelazione e la relazione si uni-sce alla sessualità, il rappor-to tra i due partner si confi-gura in una precisa fisiono-mia di coinvolgimento affetti-vo. Nel momento in cui unarelazione diventa sessuale ela sessualità diventa relazio-ne, scattano configurazioni,processi molto complessi: iprocessi dell’affettività profon-da, dell’affettività intima. Lasessualità diviene in tal modovia per accedere a qualcosa diprofondo. Ciò che può verifi-carsi nel prosieguo del cam-mino è che i due potrannoavere una buona affettività ed

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47mi. Nella sorpresa del tu, sidesta l’io – irriducibile iden-tità. A livello della sessualità,l’identità si esprime nel se-guente modo: io non ho uncorpo, ma ”io sono il mio cor-po”. Si nasce maschi o fem-mine, uomini o donne lo si di-venta.“La nascita biologica delbambino e la nascita psicolo-gica dell’individuo non coin-cidono nel tempo. La prima èun evento drammatico, osser-vabile e ben circoscritto; laseconda è un processo intra-psichico e «relazionale» (ag-giungiamo noi) che si svolgelentamente”2.Perché una persona possa es-sere se stessa e dirsi contentadi esistere, è necessario chesi senta confermata da partedei genitori e di entrambi i ge-nitori. È fondamentale che ilpadre dica al proprio figlio:“Sei un maschio e appartienia noi maschi” e che la madreaffermi: “Sei interessante ebello come maschio”. Una so-la conferma è insufficiente epuò provocare un blocco eduna sfasatura nella propriaidentità. Queste conferme sitrasmettono attraverso la ge-stualità che il padre e la ma-dre comunicano al bambino,attraverso le carezze e le pa-role. Si trasmettono attraversonon tanto il gesto di allattare

il proprio bambino, ma la mo-dalità che si usa per allattare.C’è partecipazione, contattooculare, coinvolgimento, gioia,nel modo in cui la madre tie-ne il bambino e lo allatta?Margareth Mahler3 parla didiversi modi di tenere inbraccio il figlio: c’è un allat-tamento efficiente, ma senzacontatto; c’è un allattamentocon un atteggiamento purita-no e non disinvolto; c’è un al-lattamento giocoso fatto disorrisi, di gioia, di partecipa-zione; c’è un allattamentomotivato dall’orgoglio dellamadre e basato sul successo;c’è un allattamento rigido eassente.È necessario pure sentirsitoccati da parte dei genitori,in tutte le parti del corpo,senza paura, senza ansia,senza invadenza. Attraversol’essere toccati si percepisceciò che viene chiamato «ilcorpo vissuto». Le confermeverbali e non verbali, il mododi allattare e le carezze nonsono altro se non espressionidi tenerezza. Si potrebbe af-fermare che essa è un dirittonativo iscritto nel DNA diogni essere umano. Non èesagerato dire che la tenerez-za sia un diritto come il dirit-to al lavoro, alla istruzione,alla casa, ecc. Senza leespressioni della tenerezza

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2 M.S. MAHLER, F. PINE, A. BERGMAN, La nascita psicologica del bambino, Boringhieri,Torino, 1978, p. 39.

3 M.S. MAHLER, F. PINE, A. BERGMAN, La nascita psicologica del bambino, pp. 83-85.

La relazione

mini che indicano continua-zione ed innovazione)4.Questa dimensione è insita inogni rapporto sessuale e ri-chiama sempre un due e untre. Di primo acchito sembrache ci sia un rapporto a due.In realtà c’è un rapporto incui il terzo (la possibilità o nodi avere un figlio) è presente.La generatività non è acciden-tale, fortuita, ma necessita diuna decisione: “Mi apro aldono dell’altro o non miapro”. La coppia prende que-sta decisione in base alle pro-prie possibilità economiche,psicologiche, relazionali, edu-cative, spirituali e richiama ilsenso della responsabilità.La generatività che si esprimeattraverso il figlio rappresentail vertice. Ma prima deve es-serci quella all’interno dellacoppia. Il figlio, prima di es-sere generato nella carne, de-ve essere generato nel pensie-ro, nel cuore, nel desiderio,nel rapporto a due. Si è padrio madri non in quanto si ge-nera, ma in quanto si vive unacomunione d’amore e di vitaall’interno della coppia.Quando non c’è una generati-vità fisica (per motivi indipen-denti dalla volontà della cop-pia), ci può essere ugualmen-te una generatività affettiva,spirituale, di apertura versol’altro, che si può realizzare

mettendosi a disposizione e alservizio della comunità civileed ecclesiale.

Le paure ad esprimere la te-nerezzaSono molte e con varie sfu-mature le paure che bloccanonella cella della solitudine. Sivive nella generazione dellapaura.

1. La paura del giudizio al-trui: posso mostrare, in unasocietà violenta e forte, la de-bolezza di domandare pubbli-camente un segno di affetto? 2. La paura del definitivo: conquale coraggio potrei chiede-re ad una persona di restarelegata a me nell’amore pertutta la vita? 3. La paura della responsabi-lità: posso farmi carico deglialtri, in particolare dare vitaad un essere umano che di-penderà da me? 4. La paura del futuro: ci sa-ranno spazi per la mia e altruicrescita? Qualcuno mi saràaccanto nell’ora della prova,del dolore, della morte?5. La paura del narcisista cherifiuta di riconoscere la pro-pria dipendenza dall’altro. Ilnarcisista è un individuo chesi preoccupa solo di sé, amasolo se stesso o meglio l’im-magine che si è fatto di sé edesclude l’altro. Non ama con-

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49una scarsa sessualità oppureuna buona sessualità ed unascarsa affettività. Si potrannoverificare difficoltà a livelloaffettivo o a livello sessuale.E, nel momento in cui metto-no insieme queste modalitàrelazionali, i due possonoavere paura di consegnarsil’un l’altro, di lasciarsi anda-re, di arrendersi (fobia del-l’appartenenza), oppure pos-sono avere paura di essere sestessi, di affermarsi, di espri-mere se stessi (fobia dell’au-tonomia). Ciò che potrà veri-ficarsi sarà la tenerezza senzala forza, che diventa impo-tenza o la forza senza la te-nerezza, che diventa violen-za.La tenerezza sta per calore,accoglienza, appartenenza; laforza sta per autonomia, sanaaggressività, affermazione dise stessi. La tenerezza è lacapacità di essere attenti allepiccole sensazioni. Quando latenerezza diventa l’unica po-larità, questa si carica del-l’aggressività rimossa e diven-ta incapacità di incontrarsi. Ècome se si prolungasse la fa-se dell’accoglienza e non siarrivasse alla fase della mani-polazione. Quando la tenerez-za si carica dell’aggressivitànegata, repressa, esasperal’accoglienza, esaspera il mo-mento della vicinanza, nelmomento in cui invece si ri-chiede la forza. La forza di-venta patologica quando nonsente le piccole sensazioni e

ha bisogno di avere sensazio-ni forti per sentire.Queste due modalità relazio-nali nell’uomo e nella donnasi coniugano in modi diffe-renti. Nell’uomo, la forza di-venta la capacità di contene-re un livello di intrusività, ilpene “per penetrare deve es-sere duro”; nella donna laforza è la capacità di percepi-re un livello di contenimento:“posso aprirmi senza frantu-marmi”. Il pene per entraredeve essere duro e la vaginadeve contenerlo. La vaginadeve potersi aprire, allargaree restringersi: se si allargatroppo, c’è la paura di nonessere capace di restringersie, se sta sempre stretta, c’èla paura di perdere la propriaidentità. Un uomo che hapaura di penetrare una donnaha molta aggressività verso lastessa. Una donna che hapaura di lasciarsi andare te-me di perdere la propria iden-tità.Il modo per coniugare e faresintesi tra queste due moda-lità relazionali (forza e tene-rezza), sta nel mantenere unequilibrio tra la forza, sinoni-mo di autonomia, e la tene-rezza sinonimo di calore.

La generativitàUso la parola generatività enon riproduzione, (termineche indica una produzioneche si ripete) perché gli esse-ri umani non si riproducono,ma procreano e generano (ter-

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Le paure ad esprimerela tenerezza

4 Per un ulteriore approfondimento cfr E. SCABINI, “Incrementare «il famigliare»: ilcompito perenne della famiglia in un mondo che cambia”, in L. SANTOLINI, V. SOZZI

(a cura di), La famiglia soggetto sociale, Città Nuova, Roma, 2002, pp. 69-78.

La generatività

la tenerezza, teme il contattofisico, pensa male di chi è af-fettuoso, erge barriere psico-logiche per non soffrire in unrapporto che, pur bello all’ini-zio, è subito vissuto male, alpensiero che tutto, presto, fi-nirà.

I linguaggi della sessualitàumanaVoglio ora cogliere e descrive-re i segni e i gesti concretidella sessualità umana, per-ché essa si situa nella geo-grafia del corpo. Il corpo è lospecchio in cui la tenerezzasi riflette, si esprime e si co-munica. Lo specifico del lin-guaggio corporeo della tene-rezza è di condurre all’incon-tro e non al possesso, alloscambio paritario e non al do-minio, al dono di sé all’altro enon alla passione violenta etravolgente.I segni immediati e concretidi questo incontro sono: glisguardi, la voce e la sua tona-lità, il contatto fisico, la ca-rezza, l’abbraccio, il bacio,l’intimità sessuale.

Gli sguardiQuesti rivelano e dicono checosa si sta vivendo. Comuni-cano se si è corrucciati, tristi,inquieti, oppure felici, sereni,teneri ecc. Gli occhi sono lospecchio dell’anima, sono laluce brillante del volto (cfr 1Gv 2,16). L’anima è come

un’arpa e gli occhi ne tra-smettono le vibrazioni. Il pri-mo incontro appartiene agliocchi; si entra in contatto conlo sguardo prima che con leparole. Secondo l’immagineplastica di Malcom de Chazal,lo sguardo è “… la più bellasala di appuntamenti”5. C’èun’intima relazione tra senti-menti e sguardi. Gli aggettiviche si usano abitualmente perqualificare lo sguardo si pos-sono usare per qualificare isentimenti e l’animo che ne èla sede. Si vede il mondo at-traverso i sentimenti, la gioiao la tristezza, l’amore o l’osti-lità. Lo sguardo traduce o tra-disce il modo in cui si vede.Ci sono diversi tipi di sguardi:c’è lo sguardo obiettivante. Èquello sguardo che riducel’altro ad essere un sempliceoggetto di desiderio “comel’uomo che spoglia una donnacon gli occhi” e le nega il di-ritto di essere un soggetto.C’è lo sguardo di rifiuto, quel-lo del burocrate, che nonguarda ed evita di entrare incontatto con l’altro. C’è losguardo di difesa di chi haqualcosa da nascondere o dichi non vuole lasciare trapela-re notizie sul suo mondo inti-mo. C’è lo sguardo autoritariodi chi vuole far sentire che èsuperiore.C’è lo sguardo arrabbiato dichi devia lo sguardo, lo ab-bassa e non vuole guardare

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51frontarsi con gli altri per nonprendere contatto della suaimmagine mitica e vive la vitacome competizione.

6. La paura di chi si vergognaad esternare i sentimenti cheprova e trattiene tutto dentro,dando l’immagine di una per-sona dura, fredda e autoritaria.

7. La paura di chi nella vitanon si è sentito amato dallefigure per lui/lei significative,quali i genitori e, non volendosentirsi ancora una volta “bi-donato”, preferisce non attac-carsi a nessuno per non ri-schiare di vivere un altro ab-bandono.

8. La paura di chi cerca sem-pre nell’altro la conferma delsuo essere uomo/donna e spe-ra di trovare nelle effimere epasseggere avventure amoro-se la risposta a questa suaspasmodica ricerca.

9. La paura di chi si chiude inse stessa e ha paura di avvici-nare un uomo (questo valeper la donna); oppure di chidisprezza e tratta male ladonna, perché una volta è sta-to ferito, mostrandosi duro earcigno (questo vale per l’uo-mo).

10. La paura di chiedere te-nerezza, perché se uno chie-de, si espone, si mette in unaposizione di debolezza, ri-schiando di essere rifiutato,deriso, offeso, ignorato.

11. La paura di chi pensa, or-ganizza e vive la relazione dicoppia sotto l’influsso di una

emotività ansiogena dipen-dendo dagli alti e bassi emo-tivi del momento, piuttostoche avere un atteggiamento difiducia e di sereno ottimismo.Gli scambi tra marito e mogliesono calcolati dall’ansia diriaprire vecchie ferite o diprovocare rotture. Si vive larelazione stando sempre al-l’erta.Alla base di queste paure cisono tante ferite: il non es-sere stati amati come si vo-leva essere amati dai proprigenitori; il timore di un lorolitigio e la conseguente pau-ra che essi separandosi ciabbandonassero; l’umiliazio-ne subìta d’essere stati offe-si da loro; il dolore di nonsentirsi importanti per loro;la tristezza di passare inos-servati e di non sentirsi con-siderati.

Tempo fa una persona mi di-ceva: ”È bello quando tu michiami per nome, perché nes-suno a casa mia mi chiamaper nome. Non mi sento vista,considerata, accettata, ama-ta. Piuttosto sono etichettatae trattata come una sguattera.Mio padre addirittura osa dir-mi che io sono la sua disgra-zia perché, se io non fossi esi-stita, lui si sarebbe risposa-to”. Coglievo tanta tristezza etanto dolore in queste sue af-fermazioni.

Chi è ferito nella fiducia onell’amore, tende a rigettare

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I linguaggi della sessualità umana

5 M. DE CHAZAL, Sens plastique, Gallimard, Parigi, 1948, p. 82.

zione commossa di fronte adun racconto doloroso oppuredi fronte ad una persona indifficoltà; le carezze di dol-cezza date ad un bambino; lecarezze di tenerezza cheesprimono sentimenti di ap-partenenza e di coinvolgimen-to reciproco; le carezze di se-duzione tipiche degli innamo-rati. Sotto il profilo psicofisi-co, il gesto della carezza por-ta una sensazione diffusa dipiacere e di appartenenza. Illinguaggio del carezzare èl’opposto dell’afferrare attra-verso cui si esercita un domi-nio, come quando si afferraun oggetto senza chiedere ilpermesso, ed è anche l’oppo-sto del lasciarsi andare agliimpulsi immediati o epider-mici. Accarezzare è rispettodella libertà dell’altro in uncontesto di amorevolezza9.

L’abbraccioRisulta più impegnativo edesprime un incontro fatto diaccoglienza e di dono di sé al-l’altro, di condivisione e di af-fetto. L’abbraccio può espri-mere rassicurazione, protezio-ne, sostegno; può trasmetterefiducia di fronte a situazioni didolore o di paura; può indica-re riconciliazione o dare co-raggio; come può inaugurareun nuovo cammino. Ci sono

diversi tipi di abbracci: gli ab-bracci vigorosi, gli abbracciprolungati, gli abbracci sedut-tivi, gli abbracci di lato, gli ab-bracci «pacca sulla spalla»,gli abbracci «cerchiamo di es-sere cortesi», gli abbracci co-me se si fosse manici di sco-pa10. Ciascuno di questi ab-bracci ha uno stile e un signi-ficato differente. Comunque,un abbraccio dovrebbe riempi-re il cuore come le braccia.Virginia Satir, terapeuta fami-liare di fama, afferma che siai piccoli sia i grandi hanno bi-sogno di almeno quattro ab-bracci al giorno per sopravvi-vere, otto per vivere, dodiciper stare bene e vivere serena-mente.

Il bacioRiveste una particolare forzanell’ambito dello scambio af-fettivo. Il bacio è uno dei lin-guaggi corporei più coinvol-genti ed impegnativi e richia-ma «vecchi sapori», risalential primo gesto infantile. Essoriflette il mondo della inti-mità, del sesso, dell’amore edella storia personale.Contiene sempre la «firma»emotiva di chi bacia e di chiviene baciato. Non lo si dà achiunque e non lo si riceveda chiunque. Suppone unminimo di intesa affettiva.

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53l’altro perché trova difficoltàad incontrarlo.C’è lo sguardo benedicenteche comunica approvazione efa sentire importante, com-piendo il miracolo di rifletterela profondità dell’altro, senzacosificarlo. C’è lo sguardo didilezione che comunica, inmaniera del tutto particolare,la unicità ed irripetibilità del-l’altro. Questo è, per esempli-ficare, lo sguardo della perso-na innamorata che rivela ca-pacità sopite dell’altro; fascoprire un coraggio scono-sciuto; dà energie nuove; spri-giona vitalità. Solo chi è statoinnamorato può capire6!

La voce e la sua tonalitàLa voce si connota per il con-tenuto emotivo che porta consé. Il tono di voce può assu-mere modulazioni rasserenan-ti, carezzevoli, amorose, dol-ci, oppure imperiose, risenti-te, colleriche, ansiose. Ogniconiuge si accorge quandouno scambio verbale con ilproprio partner – anche di ri-chiamo o di correzione - con-tiene uno stato d’animo di af-fetto oppure nasce da collerao da rivincita7.

Il contatto fisicoEsprime sempre il bisogno di«essere con», cioè di non es-

sere soli, come pure di «esse-re per» diventando dono - ac-coglienza l’uno all’altro. Piùintenso è l’affetto, più forte sifa il contatto, al punto da vo-ler lasciare un segno nell’al-tro/a, imprimendo un segno inlui/lei8. Questo è un significa-to sotteso da quanto è dettonel Cantico dei Cantici: “Met-timi come sigillo sul tuo cuo-re, come sigillo sul tuo brac-cio” (Ct 8,6). Il sigillo si por-tava al dito o al braccio o sulpetto con una catenella e ser-viva come documento di iden-tità. In un rapporto di coppiaciascuno è il sigillo per l’altro.Senza l’altro/a, si è vuoti eanonimi, senza la tenerezza fi-sica si è senza una identitàconiugale, perché quest’ulti-ma si caratterizza proprio perla tenerezza.

La carezzaLa carezza viene dal latino«caritia». In tale gesto l’altroappare come caro (carus), va-le a dire «prezioso, importan-te», come se colui che offre lacarezza dicesse a colui che lariceve: “Tu vali. Ti voglio be-ne. Tu meriti stima, apprezza-mento. Tu sei importante enon voglio più stare senza dite”. Ci sono diversi tipi di ca-rezze: le carezze di protezioneche indicano una partecipa-

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6 Per un ulteriore approfondimento cfr. R. TADDEI (a cura di), Cammini di relazione, El-ledici, Torino, (di prossima pubblicazione).

7 Per un ulteriore approfondimento cfr. C. ROCCHETTA, Viaggio nella tenerezza nuziale,Dehoniane, Bologna, 2003, pp. 111-112.

8 C. ROCCHETTA, Viaggio nella tenerezza nuziale, pp. 112-113.

9 C. ROCCHETTA, Viaggio nella tenerezza nuziale, pp. 113-114 e P. BALESTRO, Parlare l’amore, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1993, 111-119.

10 Per un ulteriore approfondimento, D. SCHNARCH, La passione nel matrimonio - Sesso eintimità nelle relazioni d’amore, Cortina, Milano, 2001, pp. 155-188.

Un linguaggio di riconciliazioneOgni coppia sa che molti liti-gi e discussioni si risolvonoalmeno in parte o definitiva-mente in un rapporto sessua-le d’amore.

Un linguaggio di stabilitàCi si conferma reciprocamen-te nel proprio modo di essere,nonostante i propri limiti e leproprie vulnerabilità.

Un linguaggio di identità Si rafforza in modo unico l’i-dentità sessuale di entrambi iconiugi. L’amore sessuale ècentrale nella vocazione almatrimonio. Senza lo scam-bio sessuale di amore e di te-nerezza, una relazione non èconiugale. Nell’intimità co-niugale si entra in comunionecon l’altro, così da diventareuna sola persona senza cessa-re di essere due. In questarealtà spirituale, le identitàindividuali non sono perdute,ma rinforzate.

Un linguaggio che evoca l’e-sperienza con Dio.C’è una correlazione tra l’e-stasi provata nello scoprire enell’essere riscoperti fisica-mente ed emotivamente nel-l’intimità e quella sperimen-tata nell’essere scoperti eamati da Dio. Maslow parladell’orgasmo come un even-to spirituale e persino misti-co. Molte coppie lo confer-

mano e trovano l’esperienzadell’orgasmo come la piùchiara esperienza del divinoche abbiano mai conosciuta.In questa esperienza orga-smica esse si sentono cono-sciute e amate nel profondodi se stesse, libere di la-sciarsi andare e diventare to-talmente vulnerabili nei con-fronti della persona amata.Un giornale americano, TheMinneapolis Star Tribune,qualche anno fa fece scalpo-re allorquando, dopo una ri-cerca sul campo, scrivevache le donne di fede eranosessualmente più soddisfat-te nel fare l’amore, godevanodi più e più frequentementemarito e moglie avevano rap-porti sessuali13. Una sessua-lità vissuta bene, frequente-mente e reciprocamente pia-cevole, è vitale per una cop-pia di sposi.

Un linguaggio che confermala sessualità sacramentaleIn un tempo in cui le personesono alienate e prese da tan-te cose, si dovrebbe insegna-re alle coppie a prendersi deltempo per la loro intimitàsessuale. Il rapporto sessualediviene un potente linguaggiocorporeo di passione e diamore tra due persone che sipenetrano reciprocamentenel corpo e nello spirito inuna intimità incarnata nelquotidiano.

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55C’è, poi, una varietà di baci,con contenuti diversi: il ba-cio focoso e appassionato deifidanzati; il bacio sbrigativomentre si sta andando in uf-ficio; il bacio sdolcinato esvenevole, che provoca rab-bia piuttosto che desiderio; ilbacio soffocante; il bacio im-paziente di chi è preso da af-fari più importanti; il baciodato a malincuore; il baciodebole, molle della passivitàe dell’erotismo negato; il ba-cio protettivo e di rassicura-zione tipico del padre e dellamadre; il bacio dell’amicosimbolo di un saluto affet-tuoso; il bacio degli sposiche manifesta la volontà diessere l’uno per l’altro con ildesiderio di non separarsi edi conservare una profonda eduratura comunione di amo-re e di rafforzarla.

L’intimità sessualePer quanto riguarda l’inti-mità sessuale ci sono lin-guaggi che esprimono biso-gni e sentimenti non sessua-li. Secondo Friederich11, peresemplificare, si può ricer-care una relazione sessualecome sollievo dall’ansietà edalla tensione; come provadi identità; come fuga dallasolitudine e dalla sofferenza;come dimostrazione di pote-

re sull’altro/a; come possibi-lità di avere un figlio, signi-ficato maturo se espressionedell’amore reciproco deipartner, infantile se si usa lagravidanza per avere un og-getto tutto per sé o per for-zare il partner a prendere de-cisioni; come manifestazio-ne di rabbia e distruzione;come mezzo per ricreare ilmondo fiabesco delle cocco-le e dei sogni; come espres-sione di seduzione e di sen-tirsi competenti e grandi; co-me difesa dei sentimentiomosessuali vagamente te-muti e tacitati. Ma oltre que-ste motivazioni, la sessualitàumana può esprimere altrilinguaggi12.

Un linguaggio di gratitudineÈ un modo per rendere gra-zie, per la reciproca presenzadel marito e della moglie.Possono dire, con o senza pa-role: “Grazie perché sei qui, tisento, ti tocco, ti sono gratoin questo momento, per ieri eper tutto il tempo in cui sta-remo insieme”.

Un linguaggio di speranzaL’un l’altro si rassicurano diessere desiderati, apprezzatie si confermano a voler stareinsieme nel futuro.

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11 Per un ulteriore approfondimento cfr., M.A. FRIEDERICH, “Motivation for Coitus”, in Cli-nical Obstetrics and Ginecology, 1970, 13, pp. 691-700.

12 Per un ulteriore approfondimento cfr., J. DOMINIAN, Matrimonio: fede e amore, Citta-della, Assisi, 1984, pp. 136-140 e G. FOLEY, Family Centered Church, Sheed & Ward,Kansas City, 1995. 13 Riportato da G. FOLEY, Family Centered Church, p. 93.

Sperimentare profondamenteil sesso fino a perdere se stes-si nel piacere, e arrendersi al-l’altro, è vivere il sacramentodelle nozze. Nel momentodell’orgasmo, l’ultimo bran-dello di auto-consapevolezzascompare per dare vita ed as-saporare un momento estati-co. Ci si abbandona amorosa-mente con tutto se stessi, cor-po, mente e cuore, nelle brac-cia dell’amato/a.Trascurare la passione ses-suale è una vera infedeltà re-ciproca. Gli psicologi affer-mano, attraverso la Scaladell’Intimità Sessuale, chela qualità di una relazionesessuale coniugale dipendemolto più dalla qualità dellarelazione totale (cioè dallaqualità dell’apertura e del-l’ascolto che si ha nella co-municazione nell’arco delle24 ore) che dalle posizioni estrategie che si usano nel fa-re l’amore. Pertanto la qua-lità di un matrimonio in tut-te le sue sfaccettature di-pende da una sana e soddi-sfacente vita sessuale che siriflette sulla vita stessa dellacoppia.

ConclusionePer un consultorio familiarecristiano la formazione dicoppie giovani a fare uso del-le loro espressioni della ses-sualità rappresenta un compi-to ed una sfida.Un compito perché richiedenegli operatori una prepara-zione non comune, fatta disensibilità e di competenze.Una sfida perché, essendo lasessualità umana una realtàin divenire, richiede impegno,ricerca di strategie e un conti-nuo mettersi in discussione.

Mi auguro che un consultoriofamiliare cristiano aiuti lecoppie giovani a vivere unasessualità non tanto a dimen-sione sanitaria, ma a dimen-sione umana, non come unaavventura e una ricerca dipiacere, ma come una con-quista, un dono di sé all’altro,e soprattutto fornisca un aiu-to a scoprire il senso dellasessualità umana. Tutto que-sto richiede tempo, impegnoe formazione ai veri valori del-la vita che sono: l’amore e lalibertà.

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L’adozione:aspetti positivi e negativi Marina Manciocchi

Nel nostro lavoro si incontra-no a volte famiglie nelle qualinon c’è amore, oppure nonc’è un amore «sano» e i lega-mi che si instaurano al lorointerno, sia nella relazione tragli adulti che nel loro rappor-to con i figli, appaiono segna-ti da questa incapacità diamare in maniera adeguata.La sofferenza però colpisce inmaniera differente gli adulti ei bambini, poiché gli adultipossono chiedere aiuto, utiliz-zare meccanismi difensivi,agire, parlare, mentre i bam-bini non sanno farlo, se nonattraverso la formazione disintomi psicofisici. La psichedi un bambino è molto delica-ta, poiché non ha strutture di-fensive adeguate; non c’è an-cora un “Io” costruito e co-

razzato, capace di compren-dere ed elaborare le vicende ei sentimenti nei quali vienecoinvolto. Un bambino non hastrumenti per elaborare ungrande dolore e quando lafonte della sua sofferenzaproviene da coloro dai qualidipende la sua crescita fisicae psicologica, da coloro chedovrebbero amarlo e proteg-gerlo, egli si sente del tuttoindifeso. In genere non riesceneanche a ribellarsi, perchénon può perdere il contattoaffettivo e relazionale con ilgenitore. Un aspetto partico-lare di questa sofferenza ècollegato agli aspetti proble-matici dell’adozione, sia na-zionale che internazionale.Il fatto che un bambino noncresca con i propri genitori

Elaborare il doloredell’abbandono

esprime pure gioia, felicità epositività. Possiamo immaginare che lapsiche del bambino stia cu-rando con una fantasia ripara-trice la profonda sofferenzaprodotta dalla perdita dellafamiglia biologica. Ma possia-mo anche riflettere sull’im-portanza di ciò che avviene,quando il bambino sul pianodella consapevolezza cerca diutilizzare risorse positive etenta di costruire un nuovo at-taccamento alle persone che,pur se non sono i genitori na-turali, sono però diventate perlui fondamentali.La psicologia della personaadottata presenta alcuni temicomuni a tutti coloro che vi-vono questa esperienza. L’a-spetto più importante riguar-da il vuoto profondo che sicrea nell’individuo, quandonon si conosce la storia delleproprie origini e non si vivenel contesto familiare al qua-le biologicamente si appartie-ne. Il bisogno di ritrovare lepersone fisiche alle quali bio-logicamente l’individuo è col-legato e con le quali avrebbedovuto naturalmente crescereè sempre presente nella men-te e nella fantasia della per-sona adottata. Normalmente si cerca sem-pre di trovare nel corpo e nelcarattere di ognuno di noiquegli elementi che ci rendo-no somiglianti ai nostri fami-liari. Questo bisogno di somi-gliare a qualcuno è fonda-

mentale, specialmente du-rante la nostra infanzia. L’im-magine del nostro corpo ciappartiene e ci fa sentire col-legati alle persone dalle qua-li siamo nati; infatti è sem-pre sorprendente come ibambini adottati tendano asomigliare anche fisicamenteai genitori adottivi! Non sem-pre però questo avviene e lanon somiglianza fisica con igenitori costituisce un disa-gio sia per il bambino adotta-to sia per i genitori adottivi.Spesso, durante l’iter per l’a-dozione, le coppie esprimonoil desiderio che il bambinosomigli fisicamente a uno diloro. Un altro aspetto molto diffi-cile da elaborare è il doloreinsanabile prodotto dal rifiu-to e dall’abbandono da partedi chi ci ha generati. La per-sona adottata si chiede sem-pre perché non viva con i ge-nitori naturali e quale sia ilmotivo per cui è stata toltadalla famiglia di origine.Molte fantasie vengono ela-borate su questi motivi chesono ignoti a tutti. E questefantasie condizionano ilcomportamento sia dellacoppia adottiva che del bam-bino. Siamo di fronte ad unaesperienza di «Non-Amore»,qualunque sia il motivo cheha determinato l’allontana-mento del bambino dai geni-tori biologici.L’abbandono è un tema mol-to delicato, legato al lutto e

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59naturali non è un’esperienzaeccezionale nella nostra cul-tura. In passato era frequen-te che, nelle famiglie conpiù figli, alcuni bambini ve-nissero allevati da nonne ozie invece che dai genitorinaturali, per i motivi più va-ri; ed accadeva anche, in uncerto tipo di famiglie, che ilfiglio venisse affidato, fino acirca tre anni, ad una baliache veniva pagata per questocompito. Pertanto non dob-biamo necessariamente con-siderare patologica questasituazione.In fondo, un bambino è ingrado di amare chiunque glivoglia bene. E il suo bisognoche esista qualcuno che sioccupi di lui è così naturaleche egli sa bene adattarsi al-le condizioni nelle quali gliadulti lo fanno vivere. In luic’è sempre una spinta positi-va, un’energia che lo spingecon fiducia ad andare avan-ti, superando qualunqueostacolo, adattandosi adogni situazione che la vitagli presenta. Nel mio lavorocon i bambini segnalati dalTribunale per i Minorenni so-no sempre stata colpita dal-la presenza in loro di questerisorse interne, per cui riu-scivano a superare qualun-que esperienza, purché nonfosse troppo distruttiva. Tro-vo la stessa capacità neibambini adottati.

Elementi di Psicologia dell’adozioneDa molti anni mi occupo dipreparare le coppie che sirendono disponibili per l’a-dozione sia nazionale che in-ternazionale e, dopo l’arrivodel bambino, le seguo anco-ra, per aiutarle negli even-tuali problemi che possonopresentarsi fino a che l’ado-zione non è definitiva. Lamaggior parte dei bambiniadottati mostra subito unanotevole capacità nel sapersiinserire nel nuovo ambiente.Questo fatto suscita semprela mia meraviglia: si leganoimmediatamente ai nuovi ge-nitori, fino a quel momentosconosciuti per loro, li seguo-no in un nuovo Paese facen-do un lungo viaggio per arri-varvi, imparano rapidamenteuna nuova lingua e modifica-no i gusti anche nel mangia-re e nel vestire. Desideranodopo pochi mesi essere«realmente» figli dei nuovigenitori adottivi, iniziando aconsiderarli genitori biologicie affermando di essere natiproprio dalla pancia dellamadre, pur sapendo che èuna madre adottiva.Tutto ciò lascia intuire unagrande sofferenza e unprofondo trauma nel bambi-no. E questo può spiegare ilfatto che egli si impegni cosìfortemente nel tentativo di ri-cucire lo strappo dalle proprieradici! Ma bisogna anche ri-conoscere che il bambino

Elementi di Psicologia

dell’adozione

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La nuovalegislazione

poiché ha già sperimentatoun trauma, quello della ste-rilità e dell’impossibilità diavere un figlio proprio. Comeogni bambino ha bisogno divivere con la propria famigliabiologica, così ogni coppiaavrebbe bisogno prima ditutto di avere un proprio fi-glio biologico. Quando ledue persone arrivano al Ser-vizio Adozioni, hanno già vis-suto varie delusioni, allequali si aggiunge la com-plessità dell’iter adottivo.Quasi sempre, il profilo delloro MMPI (Minnesota Mul-tiphasic Personalità Inven-tory) mostra un elevato pun-teggio sulla scala della De-pressione. Devono poi accet-tare di essere valutati daoperatori autorizzati e scono-sciuti, i quali hanno il com-pito di scrivere una relazionesu di loro e sulle loro capa-cità di essere bravi genitori.Queste coppie devono saper-si adattare, adeguarsi, esse-re pazienti, essere sottopo-ste a esami medici e test,confrontarsi su temi moltopersonali e privati, come laloro sterilità, devono motiva-re a estranei il loro desideriodi avere una famiglia com-pleta. Anche per questo glioperatori che seguono lecoppie ricevono ora una for-mazione costante e vengonoaggiornati e seguiti con at-tenzione nello svolgimentodi questo delicato incarico.

La nuova legislazione Negli ultimi anni sono stateapportate molte modifiche al-la legge n. 184 che, nel1983, aveva cercato di met-tere ordine nelle proceduredell’adozione nazionale e in-ternazionale, distinguendoledall’affidamento familiare edall’adozione speciale. Lemodifiche hanno riguardato ilconcetto stesso di adozione,ponendo l’accento non più sulbisogno della coppia di avereun figlio, ma sul diritto diogni bambino ad avere unafamiglia. Il percorso formativoper le coppie avviene ora alloscoperto, ufficialmente, conoperatori molto qualificati,per cui nulla viene più nasco-sto; è stato così eliminatoquel silenzio che ha determi-nato in passato molta soffe-renza intorno all’adozione,poiché non se ne parlava maiapertamente, né da parte del-le coppie, né da parte dellepersone adottate. Inoltre lalegge ha introdotto la possibi-lità che l’individuo adottato,compiuti i venticinque anni dietà, possa rivolgersi al Tribu-nale per i Minorenni, chiede-re di poter leggere il propriofascicolo e tutte le informa-zioni che lo riguardano, cono-scere finalmente la propriastoria e le notizie sulla fami-glia di origine.L’Italia è la terza Nazione cheadotta sul piano internaziona-le, dopo il Canada e la Fran-cia. Nel nostro Paese, 69 En-

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61alla perdita, argomentiprofondamente difficili daelaborare anche quando unindividuo è maturo. Immagi-niamo allora come questovissuto possa essere deva-stante e pericoloso in unbambino. Ognuno di noi,quando teme l’abbandono eil rifiuto, organizza alcune di-fese. Una di queste è la ne-gazione, ma la negazione diun problema è uno dei mec-canismi di difesa più perico-losi per la salute mentale de-gli individui. Invece, sia daparte della coppia che chie-de di adottare, sia da partedel bambino una volta che ègiunto nella nuova famiglia,la negazione della realtà psi-cologica dell’adozione si pre-senta immediatamente ed èdifficile da modificare.Aggiungiamo anche che lacoppia adottiva spesso nonriesce a fare veri progetti sulfuturo del figlio, in quanto ilnon sapere nulla della fami-glia di origine determina an-che un’incertezza non verba-lizzata sul futuro del bambi-no. La mancanza di una con-tinuità con la famiglia biologi-ca e il vuoto che ne conseguepuò dare un senso di non ap-partenenza sia alla coppiache al bambino e accompa-gnerà sempre quest’ultimonel suo percorso di crescita,anche se potrà non esserci al-cun sintomo a segnalarlo. Non è facile per la coppiaadottiva parlare con il loro

bambino del fatto che è statoadottato. Molti genitori nonriescono a farlo. E anche ilbambino, finché è piccolo, ingenere non vuole parlarne,perché il suo bisogno è quellodi appartenere totalmente esicuramente alla nuova fami-glia che ha imparato con fati-ca ad amare. Egli investe ognisua energia per superare lapaura di perdere nuovamentetutto e desidera profonda-mente cancellare la sua nonappartenenza biologica allanuova famiglia. Ma da questafantasia irreale può semprenascere il dramma.In terapia il senso di angosciaper questo vuoto e il bisognodi colmarlo è subito presente.Quindi è importante renderela coppia consapevole di que-sto dolore e di questa ferita dicui il bimbo adottato è porta-tore. È anche importante chela coppia sia consapevole cheil figlio ha il diritto di mante-nere il contatto con le proprieorigini, a cominciare dal no-me che non dovrebbe esserglimai cambiato, perché conquel nome è stato chiamatofin dall’inizio della sua esi-stenza. L’altro consiglio chediamo è di dare un nome an-che ai genitori biologici e ri-cordarli positivamente ognitanto, così che il bambinopossa farli continuare ad esi-stere dentro di sé senza pau-ra.Anche la coppia presentaaspetti psicologici difficili,

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Una storia

porta la formazione e il lavorodegli operatori.

28/03/2001, legge 149 –Modifica la legge 184/83 eintroduce il concetto che ilgiudice «deve» ascoltare ilparere del bambino non comefatto discrezionale, ma comerispetto del diritto del minore.Amplia a 45 anni la differen-za di età tra i coniugi e il mi-nore adottato, consente l’ado-zione anche alle coppie nonancora sposate che convivonostabilmente da oltre tre anni.Stabilisce la procedura in ba-se alla quale la persona adot-tata, compiuti i 25 anni dietà, può chiedere al Tribunaledi consultare il proprio fasci-colo e conoscere i motivi chehanno determinato la suaadozione.

Una storiaTeresa si è presentata nel mioufficio per svolgere un tiroci-nio necessario ai fini dellalaurea. Appariva molto piace-vole e sicura di sé, minuta nelsuo aspetto fisico, allegra eaperta al dialogo. Ho registra-to i suoi dati anagrafici, no-tando così che aveva circa 30anni ed era nata in uno Statodel Sud America. Solo alloralei ha aggiunto che era stataadottata e mi ha chiesto dipoter parlare della sua espe-rienza.La sua prima affermazione èstata che le adozioni interna-zionali non dovrebbero avve-

nire e che lei aveva sempredesiderato rimanere con lasua famiglia naturale. Nellafamiglia adottiva non si eratrovata bene, specialmentecon la madre che non le ave-va mai dimostrato amore,mentre il rapporto con il pa-dre era stato più positivo.Quando venne adottata, lamadre aveva già 54 anni ed èmorta alcuni anni fa. Cre-scendo, Teresa le aveva sem-pre fatto domande sulla suaadozione, ma non avevanomai ricevuto risposte. Anchequesto l’aveva fatta molto sof-frire. Inoltre suo padre si sba-gliava ogni volta che faceva ri-ferimento all’età della figlia eancora oggi si confonde sullasua età, mentre la madre lasollecitava sempre a compor-tarsi «da grande».La storia di Teresa sembravauna favola con la strega catti-va. Pensai che forse stavaesasperando i suoi ricordi.Per la mia esperienza, i geni-tori adottivi sono così felici diavere un figlio che è difficileche poi non lo amino; inoltre,il diritto della persona adotta-ta di conoscere le proprie ori-gini ora è ben noto alle coppieche presentano domanda diidoneità all’adozione; e vieneanche chiesta la loro disponi-bilità ad aiutare il figlio a tor-nare nel Paese di origine,qualora lui lo voglia. Teresaperò è giunta in Italia nel1981. La procedura per leadozioni, a quei tempi, era

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63ti privati sono stati autorizzatidalla Commissione per leAdozioni Internazionali ad oc-cuparsi delle procedure per laricerca all’estero di bambini;è un numero rilevante! Va an-che ricordato che in Italia so-lo il 30-35% delle coppie chedanno la disponibilità all’ado-zione nazionale riesce ad ave-re un bambino. Quindi lamaggior parte delle coppie sirende sempre disponibile atutte e due le procedure diadozione. Descrivere nei det-tagli la statistica dell’adozio-ne richiederebbe molto spa-zio, ma ci si può rivolgere aiServizi Adozioni di ogni Re-gione per avere queste infor-mazioni. Le modifiche più importantisono conseguenti alle Con-venzioni internazionali e alleLeggi nazionali sotto elenca-te. Dopo queste modifiche le-gislative, le varie Regioni han-no elaborato un protocollometodologico e operativo sul-la procedura da seguire. Inol-tre in ogni ASL sono stati se-lezionati gruppi di operatorispecializzati con il compito diinformare, formare e sostene-re la coppia che presenta lapropria disponibilità all’ado-zione.

20/10/1989 - A New York vie-ne pubblicata la Convenzionedell’ONU sui diritti del fan-ciullo. Enuncia il diritto allalibertà di espressione del fan-ciullo, il quale passa così dal-

l’essere visto soltanto comeoggetto da proteggere, a sog-getto di diritti da rispettare,soprattutto con il diritto diesprimersi in ogni occasioneche lo riguardi.

29/5/1993 - Convenzionedell’Aja. È un accordo che im-pegna gli Stati firmatari al ri-spetto della Convenzione del-l’ONU sui diritti del fanciullo.Entra nel merito dell’adozioneinternazionale riguardo allacooperazione tra gli Stati.Stabilisce che l’adozione in-ternazionale avvenga solo do-po che le autorità dello Statodi origine del minore abbianopreso in considerazione i de-sideri e le opinioni espressedal bambino. Stabilisce che ilminore ha diritto prima di tut-to ad essere adottato nel Pae-se di origine e solo dopo, seciò è impossibile, può essereadottato all’Estero.

31/12/1998, legge n. 476 -Lo Stato italiano ratifica laConvenzione dell’Aja. Vieneistituita la Commissione perle Adozioni Internazionali pre-sieduta da un Giudice del Tri-bunale per i Minorenni. AllaCommissione viene affidato ilcompito di supervisionare tut-ta la procedura per l’adozioneinternazionale. Essa ha ilcompito di autorizzare all’a-dozione all’estero gli Enti chene fanno richiesta, stabilisce icompiti degli Enti e li coordi-na, ne aggiorna l’Elenco, sup-

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che il sacerdote le presentò,perché era molto in difficoltàdopo la morte del marito, acausa della guerra civile. Ledissero che in Italia la bambi-na avrebbe studiato e avrebbepotuto vivere meglio; inoltrela madre credeva che Teresasarebbe tornata a casa all’etàdi 15 anni. Ma non fu così.Anche una sorella della ma-dre, una zia, aveva dato inadozione un figlio ad un’altracoppia italiana e anche leinon aveva più saputo nulla disuo figlio. Teresa ha promessoalla zia che avrebbe cercatoquel cugino una volta tornatain Italia e lo ha fatto, sempreattraverso il sacerdote; ha rin-tracciato l’altra famiglia adot-tiva e ha parlato telefonica-mente con il ragazzo, infor-mandolo di essere sua cuginae che poteva, se lui lo deside-rava, metterlo in contatto coni suoi familiari in Sud Ameri-ca o dargli alcune informazio-ni. Il ragazzo è stato moltoturbato da queste notizie, si èspaventato e non ha ancoravoluto incontrare Teresa.Ho fatto notare alla ragazzache avrebbe dovuto essere piùcauta, perché il cugino potevanon avere il suo stesso bisognodi conoscere la propria storia epoteva anche non essere anco-ra pronto. Lui è più giovane diTeresa, si trova molto benecon i genitori adottivi e puòaver vissute come disturbantio premature le informazionisulla famiglia biologica.

Quando Teresa ha incontrato lasua madre biologica, ha sco-perto di avere un’età inferiorea quella a lei nota, poiché ladata di nascita che apparivanei suoi documenti era quelladella sorellina morta, maggioredi tre anni; quindi la ragazzaaveva tre anni di meno diquanto aveva sempre creduto.Allora mi è sembrato di capi-re che cosa poteva essere ac-caduto: la sua data di nascitaera stata alterata e sostituitacon quella della sorella forsenon per errore, ma per rende-re possibile l’adozione, datal’elevata età della madreadottiva. La consapevolezzadell’alterazione dei dati, ilsenso di colpa per la trasgres-sione e il timore di venire sco-perti potevano poi avere pro-dotto nei genitori adottivi, so-prattutto nella madre, l’inca-pacità di trattare la piccolacon spontaneità ed affetto li-beramente espresso.Il recupero della famiglia diorigine è un’esperienza trau-matica, come la separazione.La differenza è che il ricon-giungimento avviene da adul-ti e quindi è più sopportabile.Però una persona adottatapuò entrare in contatto con ilsuo passato solo se lo deside-ra in maniera profonda ed èabbastanza forte da soppor-tarne tutte le emozioni conse-guenti.La determinazione e la forzadel carattere di Teresa dimo-strano come, qualunque espe-

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65completamente diversa dal-l’attuale, poiché la legge 184che ha regolato l’adozione èstata promulgata nel 1983.Negli anni precedenti, l’ado-zione avveniva secondo quan-to prescritto da alcuni articolidel codice civile che si limita-vano a descrivere, in manierasommaria, lo stato di bisognodel bambino da adottare, sta-bilivano rigidamente solo ladifferenza di età tra gli adot-tandi e il minore (che non do-veva superare i 45 anni, nor-ma questa che è stata poireinserita con la legge 149del 2001). Ho subito infor-mato Teresa del fatto che lalegge sull’adozione era statamodificata e che lei poteva ri-volgersi al Tribunale per i Mi-norenni del proprio territoriodi residenza, per chiedere dileggere il proprio fascicolo,ma la ragazza aveva già pen-sato ad un altro modo per ri-solvere il suo problema. Dopo la morte della madreadottiva, la ragazza avevachiesto al padre di aiutarla atornare nel suo Paese di origi-ne. Lui si era opposto, ma Te-resa ha cercato di nascostotra i documenti della famigliaquelli che la riguardavano, liha sottratti e fotocopiati. Harintracciato un sacerdote ita-liano che era andato in passa-to a trovarla e che le avevafatto capire di essersi occupa-to della sua adozione. Lo haincontrato e gli ha chiesto tut-te le informazioni che ricorda-

va. Poi ha deciso di parlare dinuovo e più apertamente consuo padre, il quale, di frontealla decisa volontà della fi-glia, le ha finalmente fornitoulteriori notizie sulla sua fa-miglia di origine.Così è iniziata una ricerca ve-ra e propria. Teresa è riuscita,con l’aiuto del sacerdote, ascoprire il nome della madree il paese dove era nata, èpartita per il Sud America edha rintracciato due sorelle; at-traverso di loro ha raggiuntola madre naturale e il fratelloche vivono da anni in Califor-nia. Queste sono le notizieche ha raccolto: sua madre haavuto cinque figli; Teresa èstata la quarta; la terza figlia,nata tre anni prima di Teresa,è morta quasi subito, per unamalattia; suo padre era unguerrigliero e venne uccisodai militari subito dopo la na-scita dell’ultima figlia.C’era un sogno ricorrente cheTeresa faceva da bambina:“Ero in una stanza buia, conaltre persone; c’erano finestrein alto, attraverso le quali sivedevano lampi luminosi e sisentivano fuori botti rumoro-si”. Lei si svegliava angoscia-ta e pensava che nel sogno laspaventassero i lampi e i tuo-ni di un temporale. Ora capi-va che nel sogno tornava lapaura che provava da piccola,quando sentiva i rumori dellaguerriglia nel suo paese.La madre accettò di dare Te-resa in adozione alla coppia

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rienza facciamo, è semprepossibile trovare in noi risorseed energia per reagire, andareavanti sulla nostra strada, mo-dificare la nostra vita. La sicu-rezza e il coraggio con cui laragazza ha ripercorso a ritrosola propria storia, tornando alluogo di partenza e ritrovandola propria famiglia di origine,dimostra che tutte le lacerazio-ni e le ferite possono esserecurate e sanate da un punto divista psicologico, poiché lapsiche umana ha risorse e ca-pacità autocurative ecceziona-li. Solo le esperienze troppo di-struttive e troppo cariche dipatologia sono difficili da recu-perare.

Ciò che Teresa ha vissuto èstato faticoso e doloroso, manon tanto patologico da bloc-carla nella sua creatività enella sua intelligenza. Hascelto di rimanere a vivere inItalia. E il rapporto con il pa-dre è migliorato.La finalità della nuova proce-dura dell’adozione è di garan-tire una maggiore protezionee un maggiore rispetto delbambino, fornire un correttoaiuto e un sostegno alla cop-pia, impedire gli episodi dimanipolazione e di forzaturasulle famiglie in difficoltà, co-me invece è accaduto nellastoria di Teresa.

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L’ampia letteratura scientificasu fecondità e figli è quasiesclusivamente basata su da-ti riferiti alla sola popolazionefemminile. Il ruolo maschile èstato, fino agli anni più recen-ti, generalmente ignorato.L’Istat ha introdotto per la pri-ma volta nell’Indagine Multi-scopo quesiti sulla storia co-niugale e riproduttiva ancheper gli uomini. Si ha così lapossibilità di cogliere leprofonde interazioni esistentitra comportamenti maschili efemminili e capire quantoambedue incidono nel deter-minare le attuali tendenze de-mografiche. Nel volume ven-gono analizzate le recenti tra-sformazioni dei modi di fareed essere famiglia in Italia,considerando esplicitamente i

comportamenti maschili dalmomento in cui si lascia la fa-miglia di origine, passandoper la formazione di una pro-pria famiglia, ed arrivando al-l’assunzione di responsabilitànel ruolo paterno. I dati utiliz-zati derivano dalle indaginiMultiscopo “Famiglia e sog-getti sociali” (1998) e “Usodel Tempo” (2002-2003).

Assunzione di impegni e responsabilità in età sempre più tardivaIn Francia, Inghilterra, e inlarga parte dei paesi occiden-tali, all’età di 25 anni la mag-gioranza dei giovani ha già la-sciato la casa dei genitori.Viceversa, in Italia, nella clas-se d’età 25-29 la grandemaggioranza dei giovani in

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Diventare padri in ItaliaFecondità e figli secondo un approccio di genere(Fonte: Istat comunicato stampa del 20 ottobre 2005)

Assunzione di impegni e responsabilità in età sempre più tardiva

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ti nalizzare, in presenza di fi-gli, da una parte, la realizza-zione professionale femmini-le e ad incentivare, dall’al-tra, un maggior impegno la-vorativo maschile per il mer-cato.

I padri più vecchi al mondo:generazioni di padri e figlisempre più lontaneNonostante sia ampiamentericonosciuta l’importanza diosservare i cambiamenti ri-guardanti la formazione dellafamiglia e la fecondità ancheda una prospettiva maschile,sono ancora pochissimi glistudi che vanno in questa di-rezione. Eppure la paternitàrappresenta un elemento cru-ciale per comprendere lequestioni demografiche inEuropa.Passando quindi ad analisiche considerano esplicita-mente il fattore maschile neicomportamenti riproduttivi,emerge subito un dato ecla-tante. Si è spesso messo inevidenza che le donne in Ita-lia sono tra quelle che neipaesi occidentali arrivano inpiù tarda età all’esperienzadella prima maternità, mamolto più estremo in questosenso è il comportamento ma-schile.L’età mediana alla nascita delprimogenito per le donne natenella prima metà degli anni’60 risulta di poco superioreai 27 anni, con un aumentodi poco meno di 2,5 anni ri-

spetto alle nate ad inizio anni’50. Si tratta comunque di va-lori sostanzialmente in lineacon quanto accaduto inmolti altri paesi occidentali(circa un anno in più rispettoalla Francia, mezzo anno inpiù rispetto alla Spagna, mamezzo in meno invece rispet-to alla Finlandia). L’età me-diana al primo figlio per gliuomini nati nella prima metàdegli anni ’60 supera invece i33 anni, ed è aumentata dicirca 3,5 anni rispetto ai natiad inizio anni ’50. Si tratta dilivelli che risultano in assolu-to i più elevati rispetto a qual-siasi altro paese, per quantoconsentano di dirci i dati par-ziali disponibili (sono adesempio inferiori ai 31 anni ivalori di Spagna, Francia eFinlandia).Analisi più approfondite sullascelta di avere il primo figlio,considerando le caratteristi-che di entrambi i coniugi, evi-denziano inoltre un più mar-cato effetto negativo dell’etàdi lui rispetto all’età di lei:più tardi gli uomini arrivanoad entrare in coppia e piùtendono a posticipare ulterior-mente la decisione di mettereal mondo un figlio. La pro-pensione ad avere il primo fi-glio si riduce di circa l’80% -a parità di altre caratteristi-che - per chi si sposa attornoai 35 anni rispetto a chi sisposa attorno ai 25, e ciò va-le sia al Nord che nel Sud Ita-lia. L’età femminile sembra

70Italia coabita ancora conmamma e papà. Nella fascia30-34 anni vive ancora con igenitori circa il 40% degli uo-mini e circa il 20% delle don-ne.Il percorso di transizione allostato adulto più comune inItalia è quello di permanenzanella casa dei genitori fino aitrent’anni ed uscita diretta-mente per matrimonio. Se daun lato percorsi di transizionealla vita adulta più tradiziona-li rendono più stabile e solidala condizione di paternità ita-liana rispetto agli altri paesi,dall’altro il passaggio tardivoe diretto dalle cure della ma-dre a quelle della moglie sen-za fasi intermedie di vita dasingle o condivisione con coe-tanei di un appartamento po-trebbe non favorire negli uo-mini in Italia la maturazionedi un atteggiamento collabo-rativo nei riguardi degli impe-gni domestici.

Un mercato matrimoniale intrasformazione I profondi cambiamenti cultu-rali a cui si è assistito nel cor-so del dopoguerra hanno resopossibile il raggiungimento dilivelli di istruzione via via piùelevati, soprattutto per ledonne. Ciò ha contribuito allaformazione di coppie con lastessa età e lo stesso titolo distudio, ma anche a un au-mento delle coppie nelle qua-li lei è più matura o più istrui-ta di lui.

Lo scarto di età tra gli sposi inprime nozze, pur mantenen-dosi a favore degli uomini, èandato progressivamente ri-ducendosi nel corso degli an-ni, passando in media da cir-ca 4 anni per quelli celebratia fine anni ‘60 ai meno di 3anni attuali.La quota di donne con istru-zione superiore a quella dellosposo è più che raddoppiatanegli ultimi trent’anni (pas-sando da meno del 10% per imatrimoni celebrati a fine an-ni ’60, a circa il 22% attua-le), mentre è diminuita netta-mente la situazione nella qua-le lui ha titolo di studio di li-vello superiore (da 18% a14%). Tale condizione è de-stinata a diventare ancor piùcomune data la maggiore sco-larizzazione femminile, ri-spetto a quella maschile, nel-le generazioni più recenti.Rimane da capire perché lariduzione del gap culturale eper età tra partner sembriaver avuto finora così scarsoimpatto sui rapporti di gene-re all’interno della coppia,ed in particolare sulla condi-visione degli impegni dome-stici e delle attività di cura.La risposta si deve forse alparadosso che, nonostantele donne siano mediamentepiù istruite dei loro mariti,per vari motivi conta di granlunga più il lavoro del mari-to. La carenza di politiche diconciliazione tra famiglia elavoro tendono quindi a pe-

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Un mercatomatrimoniale

in trasformazione

I padri più vecchi al mondo:generazioni di padri e figli sempre più lontane

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ti miliari (anche supportata dapolitiche ad hoc) acceleri latransizione al secondo figlio.Anche per l’Italia (in partico-lare per il Centro Nord) si os-serva, nelle coppie più giova-ni a doppio reddito, che unaconsistente partecipazionedei padri alla cura del primofiglio si ripercuote positiva-mente sulla fecondità, ed inparticolare sulla probabilitàdi andare oltre al figlio unico.Si tratta di un comportamen-to emergente ma per ora an-cora minoritario. Nell’Italiacentrosettentrionale infatti imaggiori effetti positivi sullanascita del secondo figlio siottengono in corrispondenzadi coppie in cui la moglie nonlavora, e questo effetto è an-cor più forte se il marito haun lavoro di livello elevato. Ilmodello stimato mostra infat-ti come, a parità di altre ca-ratteristiche, le coppie in cuilei non lavora e lui ha un la-voro di alto livello presentanouna propensione ad andareoltre al figlio unico tra il 10%ed il 20% più elevata rispet-to alle altre coppie. Mentrese lei dopo la prima nascita siè trovata a dover interrompe-re il lavoro, la propensione adavere il secondo figlio si ridu-ce di oltre il 25%. Sono risul-tati che sembrano conferma-re complessivamente la pre-senza di una grande difficoltàdi conciliazione tra lavoro dientrambi i partner da unaparte e fecondità e figli dal-

l’altra. Difficoltà che porta inmolti casi alla rinuncia adavere più di un figlio. Le stra-tegie che risultano legate aduna maggiore fecondità sono,da un lato, quella più moder-na e simmetrica (ma ancoraminoritaria), in cui lei man-tiene il lavoro e lui mostrauna consistente collaborazio-ne alla cura, oppure quella,più tradizionale, in cui lei ri-nuncia al lavoro per dedicarsialla famiglia e lui incentiva ilsuo impegno lavorativo per ilmercato.Per quanto riguarda l’istruzio-ne è interessante l’emergeredi un netto effetto ad “U”,con una propensione più bas-sa ad avere il secondo figlioper le coppie d’istruzione in-termedia, e più alta per quel-le con bassa istruzione o, alcontrario, con alto titolo distudio. Le coppie con elevataistruzione tendono da un latoa mostrare una maggiore sim-metria di ruoli (usando più fa-cilmente la flessibilità lavora-tiva ad alto livello come risor-sa) e dall’altro ad avere mag-giori risorse economiche checonsentono di attivare aiutiesterni per il lavoro di cura edil lavoro domestico.Tutto ciò riguarda soprattuttol’Italia centro-settentrionale.Nel Meridione invece si con-ferma una generale propen-sione ad avere almeno due fi-gli, sostanzialmente indipen-dentemente dalle caratteristi-che della coppia. Unica ecce-

72invece incidere negativamen-te solo quando lei è più gran-de di lui.La bassissima fecondità ita-liana è stata da alcuni autoriletta come l’esito di un mo-dello di «iperrazionalizzazio-ne». Il fatto che in età piùmatura si diventi più riflessivie prudenti, meno disposti amettersi in gioco o in discus-sione con eventi carichi divincoli e responsabilità, sem-bra generare un atteggiamen-to più cauto nei confronti del-la scelta di avere un figlio, ri-spetto a chi si sposa in etàpiù giovane. Ciò sembrerebbevalere soprattutto per gli uo-mini. Le donne hanno infattiuna precisa deadline del pe-riodo fecondo che impone lo-ro, con il passare degli anni,di decidere se rinunciare omeno. Mentre per gli uominila decisione può essere ri-mandata sine die dato cheteoricamente la possibilità diprocreare dura finché dura lapropria vita. I meccanismicausali alla base dei risultatiottenuti rimangono tutti daapprofondire.In ogni caso la conseguenzadi tutto ciò è che gli uomini inItalia tendono a fare meno fi-gli ed in età più avanzata ri-spetto al resto dei paesi occi-dentali. Ne deriva anche chela distanza tra padri e figli intermini di età risulta semprepiù ampia in una società nel-la quale i cambiamenti sono,invece, sempre più rapidi e si

confrontano esperienze di ge-nerazioni nate e socializzatein epoche sempre più lonta-ne. Si tratta di un altro ele-mento importante delle tra-sformazioni sociali in atto nel-la società italiana.

La scelta di avere un secondoe terzo figlio: tra tradizione edinnovazioneCon il primo figlio i genitorisperimentano le reali diffi-coltà legate alla cura delbambino e si rendono contodel tempo e delle energie chequesto effettivamente com-porta. È dopo il primo figlioche le madri si trovano ad af-frontare ancora di più il pro-blema della conciliazione deiruoli.Nel caso dopo la prima nasci-ta la partecipazione domesti-ca paterna risulti nulla o in-soddisfacente, è possibileche da parte delle madri ilsacrificio in termini di temposia valutato come eccessivo,con conseguente propensionea fermarsi al primo figlio,specialmente in mancanza diaiuti esterni e di adeguatepolitiche di sostegno. Studicondotti negli Stati Uniti evi-denziano come le coppie«moderne» in cui la donnasvolge meno del 55% delleattività domestiche, hannopiù frequentemente un se-condo figlio. Similmente,studi condotti in Svezia mo-strano come una più equacondivisione dei compiti fa-

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La scelta di avere un secondo

e un terzo figlio:tra tradizione

ed innovazione

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ti Queste variazioni sono tutta-via marginali rispetto a quelleche caratterizzano i bilanci ditempo quotidiano delle donnea seguito della maternità. Di-ventare madri, infatti, com-porta un consistente incre-mento delle ore dedicate allavoro familiare (poco menodi 3 ore e 2 ore per le donnelavoratrici). Passando da 1 fi-glio a 2 figli il tempo dedica-to al lavoro familiare cresce di40 minuti, fino a più di un’o-ra passando al terzo figlio osuccessivi. I tempi dei padri,al contrario, non risultano va-riare in funzione del numerodei figli. Nel passare da 1 a 2figli i padri incrementano illavoro familiare di 4’ e da 2 a3 figli di altri 3 minuti.

Cresce la partecipazione deipadri nel lavoro familiareSebbene il contributo dei pa-dri al lavoro familiare resti re-siduale, tra il 1988 e il 2002-2003 si è registrata comun-que una crescita nella loropartecipazione, sia in terminidi numerosità di soggetti chesvolgono attività di lavoro fa-miliare (aumentata di 6 puntipercentuali), sia in termini ditempo mediamente dedicatoa tali attività (+21 minuti).Una crescita lenta se si consi-dera che sono passati ben 14anni, ma pur sempre una cre-scita. Numerosi fattori, sia ditipo strutturale che comporta-mentale, possono aver contri-buito a tale crescita. Il mag-

giore coinvolgimento dei pa-dri nel lavoro familiare è spie-gato sia da mutamenti strut-turali (livello più elevato deltitolo di studio del padre, cre-scita dell’impegno extra-do-mestico delle partner) sia dal-la crescente propensione deipadri a svolgere lavoro fami-liare. Tuttavia, il coinvolgi-mento dei padri si accrescesolo nel lavoro di cura (da 27a 45 minuti) mentre diminui-sce in quello domestico.Partecipano di più i padri conun più elevato titolo di studio(dedicano al lavoro familiare1h13’ i padri con al più la li-cenza elementare contro1h47’ di quanti hanno conse-guito la laurea), i lavoratori di-pendenti (1h53’ contro 1h14’dei lavoratori autonomi),quelli che hanno la partneroccupata (1h55’ contro1h31’ nel caso in cui la don-na sia casalinga). Anche la di-mensione territoriale apparesignificativa: i padri del Sudsono coinvolti mediamenteper 1h27’ al giorno contro1h58’ dei padri residenti nelNord-Ovest.Infine, se il numero di figlinon modifica in maniera si-gnificativa il contributo deipadri al lavoro familiare, il di-scorso è diverso considerandol’età e il sesso del figlio. Unfiglio piccolo, infatti, induceanche i padri ad essere piùpresenti nella vita familiare:in presenza di un figlio mino-re di 6 anni, i padri dedicano

74zione è il titolo di studio fem-minile, quando si tratta dilaurea, ciò agisce negativa-mente sulla probabilità diavere il secondo figlio.Riguardo invece alla fecon-dità di ordine superiore, nelMeridione le famiglie numero-se continuano ad essere qua-si esclusivamente associate alivelli di istruzione bassa e aminor benessere economico(fino a vere e proprie situazio-ni di povertà). Nell’Italia cen-tro-settentrionale, invece, trale famiglie numerose sta au-mentando il peso (seppur an-cora minoritario) delle fascedi popolazione più benestan-ti, in grado di attivare maggio-ri risorse.

Permane un’asimmetria di ge-nere nel lavoro familiareA distanza di 14 anni dallaprima indagine sui tempi divita, la rilevazione sull’Usodel tempo 2002-2003 con-ferma una forte disuguaglian-za di genere nel lavoro fami-liare. Continuano a ricaderesulla donna oltre i tre quartidel tempo complessivamentededicato dalla coppia al lavo-ro familiare (78,3%). L’asim-metria nella divisione dei ca-richi di lavoro all’interno allacoppia si attesta su livelli si-mili, seppure un po’ più bassianche se si considera il lavorodi cura in presenza di almenoun figlio con meno di 14 anni(72,7%) e la donna che lavo-ra (74%).

La partecipazione dei padrialla gestione della vita fami-liare misurata in termini ditempo mediamente dedicatoalle attività di lavoro familiaresi attesta, nelle coppie con fi-gli in cui l’uomo ha tra i 25 ei 44 anni, su 1h42’; la diffe-renza rispetto a quanti nonhanno figli è di meno dimezz’ora (24 minuti), se siconsiderano tutti gli uominianche quelli che non hannodedicato neanche 10 minutial lavoro familiare. Il 78,9%dei padri dichiara di svolgerenel corso della giornata un’at-tività di lavoro familiare peruna durata di 2h10’; il che si-gnifica che oltre un quintonon vi dedica neppure 10 mi-nuti. Se si considerano gli uo-mini in coppia senza figli il74,1% è coinvolto nel lavorofamiliare per 1h46’.L’organizzazione della vitaquotidiana dei padri non subi-sce quindi grandi modifiche aseguito della nascita dei figli.Se si confrontano gli uomini tra25 e 44 anni in coppia senzafigli con i padri della stessaclasse di età, la ripartizione trale varie attività delle 24 ore ap-pare molto simile: l’analisi det-tagliata, tuttavia, dei vari tem-pi/attività della vita quotidianamette in luce la necessità per ipadri di rinunciare a circamezz’ora di tempo libero e a 8minuti di attività fisiologiche,per investire maggiormente, in-vece, nelle attività di lavoro, re-tribuito e familiare.

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Permane un’asimmetria

di genere nel lavoro familiare

Cresce la partecipazione dei padri nel lavoro familiare

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ti l’indagine sull’uso del tempoconfermano ciò che già si evi-denziava nell’indagine del1998: l’impegno dei padriaumentava in presenza di untitolo di studio più alto, di unorario di lavoro più contenutoe nel caso in cui la donna la-vorava. La presenza di aiutiesterni alla famiglia, retribuitie non, non sostituiva le curepaterne, anzi laddove c’erano

aiuti esterni anche i padrisembravano più propensi acollaborare. Ciò significa cheprobabilmente gli aiuti esternisono essenzialmente sostitu-tivi del tempo materno, la ma-dre che lavora cioè lascia li-bera una certa quota di atti-vità di cura che viene fornitada più soggetti, tra cui ancheil padre.

76al lavoro familiare mediamen-te ben 52 minuti al giorno inpiù rispetto a quanti hannoun figlio di età compresa tra11 e 13 anni (1h56’ contro1h04’). Infine un datocurioso, emerso anche in altrericerche internazionali, ri-guarda l’impatto del sesso deifigli sul coinvolgimento pater-no. I padri di figli solo maschidedicano al lavoro familiare12 minuti di tempo in più deipadri solo di figlie femmine.Le variazioni riguardano es-senzialmente il lavorodi cura. Anche il numero dipadri effettivamente coinvoltinel lavoro familiare è più ele-vato in presenza di soli figlimaschi: l’81,6% contro il77,1%.

Il coinvolgimento dei padri èmaggiore nel lavoro di curadei figli I padri che mediamente nelcorso di una giornata svolgonoattività di cura sono più nu-merosi di quanti svolgono at-tività domestiche (58,6%contro 50,7%) e, mediamen-te, è pure più elevato il tempoche dedicano alla cura dei fi-gli rispetto ai lavori di gestio-ne della casa (rispettivamente45 e 38 minuti).Di conseguenza, nonostantel’impegno dei padri nella curadei figli continui ad essere se-condario rispetto a quello del-le madri, il confronto con lapartner evidenzia un’asimme-tria interna alla coppia rispet-

to al lavoro di cura più conte-nuta (72,7%) di quella rileva-ta per le attività domestiche(85,4%). Potendo scegliere ipadri preferiscono contribuireal lavoro familiare dedicando-si ai figli, piuttosto che al la-voro di pulizia della casa, pre-parazione pasti, lavare, stira-re, eccetera.La dimensione della scelta èevidentemente secondaria perle madri: in un giorno mediotrascorrono il 62 per centodel tempo complessivamentededicato al lavoro familiaresvolgendo lavori domestici.Appena il 28 per cento è im-piegato per le attività di curadei figli. Per i padri le percen-tuali sono rispettivamente36,5% e 43,2%.La preferenza dei padri versoattività non routinarie o checomunque privilegiano la di-mensione relazionale piutto-sto che quella dell’accudi-mento, sembra confermataanche dall’analisi delle speci-fiche attività di cura dei figli.Mentre le mamme rispondonoalle più diverse esigenze deifigli, e la gran parte del lorolavoro è rappresentato da cu-re fisiche o sorveglianza (darda mangiare, vestire, fare ad-dormentare il bambino o sem-plicemente tenerlo d’occhioper untotale del 58,3%), il la-voro di cura dei padri si espli-cita per lo più (57,7%) in at-tività ludiche o di sempliceinterazione sociale con i figli.I dati analizzati a partire dal-

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Il coinvolgimento dei padri è maggiore

nel lavoro di cura dei figli

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Progetti e attività

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Questo contributo è il testodella relazione che il dott.Aurelio Mosca ha presentatoal Convegno della FeLCeAF:“Il futuro dei Consultori Fa-miliari. Dall’accreditamentonuove opportunità al serviziodella famiglia, nuovi modellinella continuità della propriaispirazione ideale”, svoltosi aMilano il 18/19 novembre2005.

Premessa Una riflessione sul futuro deiConsultori Familiari di ispira-zione cristiana non potevanon avere come riferimento

per il suo svilupparsi la cono-scenza della realtà costituitadagli oltre 40 centri associatialla Federazione LombardaCentri di Assistenza alla Fa-miglia (FeLCeAF). Una realtàche ha assunto, a partire dal2002, una nuova importantedimensione: l’accreditamentoregionale.Interrogarsi sul proprio futuroe sulla propria identità com-portava il fatto di misurarsi edi misurare i cambiamentiche l’accreditamento ha ri-chiesto per ottenere questoriconoscimento e capire qualimutamenti ciò abbia introdot-

Premessa

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I Consultori Familiaridella FederazioneLombardaCentri di Assistenza alla Famiglia(FeLCeAF)Una realtà dinamica e in forte crescita

Aurelio Mosca

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introdurre anche questa varia-bile di lettura avrebbe reso an-cora più complesso il lavoro elo avrebbe forse anche fuor-viato dal suo focus specifico:delineare le dimensioni identi-tarie e di funzionamento ope-rativo dei Consultori di ispira-zione cristiana in rapporto aiprocessi di cambiamento in-nescati dall’accreditamento.

1. La realtà dei ConsultoriFeLCeAFI Consultori della FederazioneLombarda Centri AssistenzaFamiglia (FeLCeAF) sonocomplessivamente quaranta,29 dei quali erano accreditatisecondo la normativa regiona-le alla fine del 2004 (alla finedel 2005 i Consultori accredi-tati sono diventati 32).I Consultori accreditati:1. sono distribuiti in modoprevalente nell’area metropo-litana milanese - 7 nella Cittàdi Milano - e della provincia,con presenze in alcuni deiprincipali capoluoghi di pro-vincia (Varese, Brescia, Ber-gamo, Lecco);2. rappresentano il 70,7%dei Consultori privati accredi-tati in tutta la Regione Lom-bardia;3. sono presenti in tutte leDiocesi lombarde ad eccezio-ne di Cremona e Mantova.

1.1. La disponibilità verso l’utenzaL’accreditamento non prevedevincoli o obblighi di apertura

all’utenza; il monte-ore setti-manale di disponibilità all’ac-coglienza rappresenta un im-portante indicatore di servizioverso l’utenza:1. l’87% dei Consultori èaperto per un orario che va ol-tre le 26 ore settimanali;2. il 13 % ha un apertura trale 21 e le 25 ore settimanali;in tutti i casi distribuite tra i3 e 5 giorni settimanali (in al-cuni casi compreso il sabato).Il confronto tra «prima» e«dopo» l’accreditamento se-gnala che per oltre i 2/3 deiConsultori (68%) il monte-ore settimanale non è cam-biato.

1.2. Le risorse umane (opera-tori e figure professionali)Una delle dimensioni più rile-vanti del cambiamento intro-dotto dall’accreditamento ri-guarda il numero e la «qua-lità» professionale degli ope-ratori consultoriali. Questa di-mensione ha incidenza nonsolo sul piano quantitativo eorganizzativo, ma altresì suquello qualitativo e operativointeressando sia la «numero-sità» di chi opera in consulto-rio che la sua «funzionalità». L’analisi di questi aspetti èstata condotta attraverso duevariabili:1. il numero complessivo de-gli operatori impegnati nelleattività consultoriali, il nume-ro di ore di attività svolte e latipologia del loro rapporto conil Consultorio;

82to nel «tessuto» vivo della re-te consultoriale di FeLCeAF.Ma anche di interrogare iConsultori sulla rappresenta-zione che di questi mutamen-ti operatori e responsabilihanno elaborato sia retrospet-tivamente sia in chiave pro-spettica, per il loro futuro.Per comporre questo «qua-dro», così articolato, sono sta-te utilizzate informazioni «og-gettive» tratte da fonti ufficia-li1 ed è stata realizzata un’in-dagine qualitativa attraversoun’«intervista semistruttura-ta» condotta con responsabilie operatori dei Consultori.Le ipotesi e gli interrogativiche questo lavoro mirava a ve-rificare hanno riguardato:1. l’accreditamento regionalee i cambiamenti organizzativi,gestionali e di assetto delleattività che hanno inciso sullaprassi e/o sul profilo identita-rio dei consultori familiari diispirazione cristiana;2. l’accreditamento come vin-colo e/o come arricchimentoper lo sviluppo e l’aggiorna-mento dell’identità e dellaprassi dei consultori.

Due domande e ipotesi com-plesse, come complessa e ar-ticolata è la realtà dei Consul-tori che si trovano anche inmomenti diversi del percorsodi accreditamento che si può

però ormai considerare giuntoalla conclusione della fase«pionieristica», di avvio, e staentrando in una fase di con-solidamento e sviluppo. Due domande alle quali, daparte delle diverse «fonti» de-scritte, si è cercato di dare ri-sposta intersecando due livel-li descrittivi e di interpretazio-ne della realtà:1. l’analisi di alcune variabili«strutturali» (personale, as-setto delle responsabilità,équipe, ecc.) e di funziona-mento (attività svolte) deiconsultori;2. Il confronto tra «prima» e«dopo» l’accreditamento re-gionale di alcune di questevariabili.

Si tratta quindi di un contri-buto di conoscenza tutto «in-terno» alla realtà dei Consul-tori FeLCeAF che, in terminispecifici, propone una letturasul versante dell’«offerta» diservizi e prestazioni escluden-do una lettura dal punto di vi-sta della «domanda» che adessi si rivolge. Così come daquesta lettura sono stati di-chiaratamente esclusi la di-mensione economica delle at-tività consultoriali e il rilievoche ad essa ha apportato l’ac-creditamento regionale con leremunerazioni tariffarie delleprestazioni e delle funzioni;

1 1. Le schede ”R1 2004 – Rendicontazione attività consultori privati. Situazione al5/4/2005”;2. le schede dei Consultori accreditati trasmesse agli uffici regionali per la rendicon-tazione 2004 delle funzioni non tariffabili e di educazione alla salute e prevenzione;3. le “Schede di rilevazione attività 2004”.

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La realtà dei Consultori FeLCeAF

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Lo psicologo risulta essere lafigura professionale percen-tualmente più presente tra glioperatori consultoriali con il18,6%, sul totale dei 1.004operatori, pur facendo regi-strare una sensibile diminu-zione percentuale (-7%) ri-spetto alla sua presenza pre-cedente l’accreditamento.Una diminuzione che risultaperò «attenuata» se analizzatacon l’andamento del numero diore di attività che fa registrareuna diminuzione percentualedi minore rilievo (-5%). Il Consulente Familiare risultainvece essere l’operatore cheha subito la più drastica ridu-zione in termini sia d’incidenzapercentuale sul totale deglioperatori, sia di variazione traprima e dopo l’accreditamento.Il Mediatore Familiare e l’As-sistente Sociale risultano infi-ne essere le due figure profes-sionali che, pur con incidenze

percentuali limitate, hannoregistrato le percentuali dimaggior incremento tra primae dopo l’accreditamento.La diminuzione della presenzapercentuale di Ginecologi(21,4%) è da considerare pa-rallelamente all’aumento delleOstetriche come numero dioperatori sul totale (+17,6%)e ancor più come ore di atti-vità svolte (+47,1%).Si segnala la dinamica in con-trotendenza della figura delConsulente Legale che dimi-nuisce in termini di operatori(-25%) ma aumenta comenumero di ore di attività svol-te (+14,3%).L’accreditamento non sembraaver segnato significativi mu-tamenti nella composizionedelle risorse professionali deiConsultori:1. confermando la prevalenzadelle componenti professio-nali di ambito psico-sociale;

842. la suddivisione nelle diver-se figure professionali previ-ste - e non - dagli standard diaccreditamento.Nella tabella che segue sonoindicati in sintesi i principalidati di riferimento relativi allaprima variabile. (Vedi tab.1)

Nei 29 Consultori accreditatialla fine del 2004 risultavanopresenti 1.004 operatori, conun aumento di oltre il 90%(91,8) rispetto alla situazioneprecedente l’accreditamento.Se rapportato al numero di oredi attività (4.969), più cheraddoppiato tra prima e dopol’accreditamento (105,6%), ilnumero di operatori equiva-lenti a tempo pieno risulta es-sere di 138 a fronte dei 67precedenti l’accreditamento.Analizzando le diverse formedel rapporto di lavoro e impe-gno nei Consultori:1. rimane nettamente prevalen-te il rapporto di tipo volontario(62,6%), che riguarda circa i2/3 degli operatori sia primache dopo l’accreditamento, purfacendo registrare la diminuzio-ne più accentuata (-6,8%);2. gli operatori dipendenticrescono di oltre il 150% purregistrando l’incidenza per-centuale più bassa (5,6%).

I Consultori accreditati hannoquindi «assorbito» l’urto dell’a-deguamento agli standard dipersonale dell’accreditamentoadeguando in modo quantitati-vamente rilevante le proprie ri-sorse professionali senza modi-ficare sostanzialmente la natu-ra prevalentemente volontari-stica dell’impegno richiesto. Ladiminuzione dell’incidenza diquesta forma d’impegno deveessere tenuta monitorata al fi-ne di verificare se si tratta diuna dinamica di assestamentodovuta all’introduzione deinuovi standard oppure se si ri-proporrà come un vero e pro-prio trend nel medio-lungo pe-riodo.

La presenza degli operatorianalizzata secondo le percen-tuali di variazione nel tempoprima e dopo l’accreditamen-to delle figure professionalimaggiormente presenti nel-l’attività consultoriale secon-do il numero e le ore di atti-vità dichiarate viene illustratanella seguente tabella (Vedi

tab. 2).

Nella categoria «Altro» sonostate inserite sia figure pro-fessionali non previste tra glioperatori consultoriali dallanormativa (pedagogisti, lau-reati in scienze dell’educazio-ne, sociologi, ecc.), sia opera-tori senza un titolo di studiospecifico e che svolgono atti-vità di supporto (segretarie,operatori di accoglienza).

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(tab. 1) (tab. 2)

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con l’utenza in caso di recla-mi” (1,4%) . Per la gestione«interna», in particolare pergli aspetti tecnico-professio-nali, in oltre il 90% dei Con-sultori vengono individuatefigure di coordinamento peraree professionali (sanitaria,psico-sociale) o per aree diattività (consulenza, educa-zione alla salute, metodi na-turali).Quest’ultima caratteristica,non rilevata precedentemen-te all’introduzione dell’accre-ditamento, insieme alla pre-valente funzione di «rappre-sentanza» esterna della figu-ra del Direttore possono esse-re considerate come risposte«adattative» dei Consultorialla più complessa articola-zione professionale e di atti-vità che l’accreditamento haintrodotto.Il terzo elemento innovativoregistrato dopo l’accredita-mento (la limitata introduzio-ne di forme di retribuzionedei Direttori) al momento as-sume più la valenza di un «se-gnale» che, insieme al «ruo-lo» prevalente del Direttore(la rappresentanza esterna, inaltri termini il «marketingstrategico»), induce a ritenereche questa figura stia affron-tando una vera e propria «mu-tazione genetica» nell’ambitoconsultoriale. Una «mutazio-ne» che ne ridefinisce l’iden-tità e la funzione: da «garan-ti» delle attività e dell’identitàa «pianificatori» e gestori del-

le risorse in una visione sem-pre meno autocentrata e sem-pre più «di sistema» nel qua-le collocare il Consultorio.

L’équipeIl lavoro in équipe rappresen-ta una delle principali carat-teristiche dell’identità e del-l’operatività dei Consultori.L’accreditamento ha esplici-tamente e formalmente ri-chiesto che questa caratteri-stica costituisse elementoqualificante l’attività consul-toriale, pur non indicandonetratti identificativi e di qua-lità.L’indagine su questa caratte-ristica, ritenuta «strutturale»e quindi non solo formale oestemporanea, dell’attivitàconsultoriale ha teso a porrein evidenza alcuni di questitratti.In ventidue Consultori (75%)sono attive, oltre all’équipeche discute i casi, due o piùéquipe che:1. nel 70% si occupano diprogrammare e realizzare leattività di educazione alla sa-lute e prevenzione;2. nel 26% si occupano delleattività di consulenza per imetodi naturali;3. nel 4% sono invece indivi-duate per «aree» di attività:sanitaria, psico-sociale, edu-cativa.

È stata quindi indagata lapresenza alle riunioni d’équi-pe delle diverse tipologie di

862. inserendo una maggiore arti-colazione di competenze siasociali che relazionali ed edu-cative che non trovano ancoraun’adeguata «visibilità».

Una riflessione a parte richie-de la dinamica che ha inte-ressato la figura del Consu-lente Familiare: il suo marca-to ridimensionamento, sia co-me numero di operatori checome ore di attività svolte, vaoltre l’incidenza attribuibileal mancato riconoscimento daparte della normativa sull’ac-creditamento. Il trend segna-lato dall’indagine attesta unadinamica «ad esaurimento»di questa figura per un ricam-bio generazionale che nonpuò essere rivitalizzato dapercorsi formativi da una par-te «bloccati» dal mancato ri-conoscimento, ma dall’altraanche sopravanzati dall’intro-duzione di sempre nuovi pro-fili professionali di formazio-ne universitaria che chiedonosbocchi operativi sul mercatodel lavoro.

Le modalità di funzionamento«interno»Alcune caratteristiche «strut-turali» del funzionamento in-terno dei Consultori :1. la figura del Direttore;2. l’articolazione dell’équipe;3. l’organizzazione delle atti-vità formative, sono state indagate come in-dicatori non solo del funzio-namento quantitativo dei ser-

vizi, ma altresì del loro orien-tamento al miglioramentoqualitativo.

Il Direttore La figura del Direttore delConsultorio è presente in tuttii Consultori accreditati; nonha una connotazione di conte-nuto professionale specifico:solo nel 10% dei Consultori èrimasta la coincidenza di que-sta figura con la precedentefigura del Direttore Sanitario.I Direttori hanno in netta pre-valenza un rapporto di tipovolontario senza alcuna formadi remunerazione; una formadi remunerazione del Diretto-re è stata introdotta con l’ac-creditamento nel 13% deiConsultori.L’attività che i direttori di-chiarano di svolgere in modoprevalente, e che quindi as-sorbe in misura maggiore illoro impegno e le loro ener-gie, è quella «di relazione»esterna al Consultorio: con glienti pubblici (ASL, Comuni)per il 22%, con Parrocchie eDecanati (12%). Il controllodelle attività interne (19%) ela partecipazione alle riunionidi équipe (15%) costituisco-no ambiti di minore coinvol-gimento o nei quali la perce-zione di «impegno» per i di-rettori è meno accentuata.Una conferma di questo mi-nor coinvolgimento viene dal-la funzione meno scelta daiDirettori tra quelle indicatedall’intervista: “il rapporto

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tenza consultoriale:1. il numero totale delle pre-stazioni erogate nel 2004 èstato pari a 104.025 di cui:- 63.609 prestazioni socio-sanitarie, pari al 61,1% deltotale;- 40.416 prestazioni sanita-rie, pari al 38,9% del totale;2. gli utenti che hanno fruitodelle prestazioni dei ConsultoriFeLCeAF nel 2004 sono stati29.632;3. il numero medio di presta-zioni per utente è stato 3,5;4. il numero medio di utentiper Consultorio è stato di1.021.Sono stati inoltre realizzati933 Corsi di educazione allasalute/prevenzione per 32.177partecipanti (Vedi tab. 4).

Nella tabella che segue sonopresentati il confronto e ledifferenze di rendimento per-centuale 2003-2004 circa ivolumi di prestazioni erogatein forma diretta all’utenza (Ve-

di tab. 5):Tra il 2003 e il 2004 il volu-me complessivo di prestazionierogate è cresciuto media-mente del 31,6% con unmaggior incremento percen-tuale (37,8%) per le presta-zioni socio-sanitarie rispetto aquelle sanitarie (22,8%).Se si scompongono le presta-zioni sanitarie nelle due tipo-logie prevalenti (Mediche ePsicologiche) si registra untrend di crescita più accen-tuato delle prestazioni medi-che (36,8%) rispetto alle pre-

88operatori che vengono indica-te nella seguente tabella (Vedi

tab. 3).

Complessivamente la compo-sizione integrata dell’équipeviene garantita in percentualielevate. Il quadro è completa-to dal 20% dei consultori chedichiara la presenza di un Su-pervisore esterno, per la di-scussione dei casi; per un al-tro 20% questa funzione vie-ne svolta da un operatore in-terno del consultorio.

1.3.3. La formazioneOltre il 90% dei Consultori(91%) promuove la formazio-ne dei propri operatori:1. nel 41% organizzandola inmodo diretto ;2. nel 50% favorendone lapartecipazione ad iniziativeesterne sia proposte daglioperatori stessi sia seleziona-te dal Direttore.

Attraverso le attività formativei Consultori:1. nel 48% perseguono il mi-glioramento qualitativo delleattività;

2. nel 18% un migliore fun-zionamento del lavoro di equi-pe;3. nel 18% l’estensione dellagamma di prestazioni;4. nel 16% la coerenza con iprincipi ispiratori.

L’indagine completava la cono-scenza degli aspetti qualitativirichiedendo indicazioni:1. sulla definizione di percorsistandard per tipologie di casi-stica (47% dei consultori);2. su una definizione condivi-sa tra gli operatori di «Consu-lenza familiare» (30%).

1.4. Attività e prestazioni nel-l’ambito dell’accreditamentoregionaleLe attività e le prestazionirealizzate nel 2004 sono sta-te analizzate nei loro volumicomplessivi e scomposte se-condo le classificazioni e letipologie previste dall’accre-ditamento regionale :1. prestazioni socio-sanitariead elevata integrazione;2. prestazioni sanitarie2;3. attività di educazione allasalute e prevenzione;e laddove possibile mettendoin rilievo il confronto tra il2003 e il 2004.

1.4.1. I volumi complessivi Nel diagramma che seguevengono sintetizzati i volumicomplessivi delle prestazionierogate in forma diretta all’u-

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2 Secondo il nomenclatore tariffarie delle prestazioni specialistiche ambulatoriali.

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passa tra il 2003 e il 2004dal 49,6 al 51,1%.Il grafico che segue mette inevidenza, per ciascuno deiventinove Consultori accredi-tati, la distribuzione percen-tuale delle componenti socio-sanitarie e sanitarie delleprestazioni erogate e il con-fronto con i due valori «me-dia» (61,8% e 38,9%). An-che per questo aspetto è pos-sibile osservare la notevolevariabilità dei comportamentidi performance tra i Consul-tori:1. con alcune situazioni diforte «polarizzazione» sulleprestazioni socio-sanitarie,con valori percentuali che su-perano il 90% delle presta-zioni erogate;2. con valori «limite» delleprestazioni sanitarie che sicollocano mediamente attor-no al 70%;

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stazioni del campo psicologi-co (9,3%).Il numero medio di prestazio-ni erogate per sede consulto-riale passa dal 2003 al 2004da 2.726 a 3.587.Il grafico che segue mostra uninteressante confronto suicomportamenti erogativi deiventinove Consultori accredi-tati: si tratta del «profilo» del-le prestazioni medie per uten-te. È possibile osservare l’am-pia variabilità delle prestazio-ni medie erogate da ciascunConsultorio (da 0,5 a 8,0) afronte di un dato medio pari a3,5 che pone in evidenza larilevante disomogeneità dei«rendimenti», ma altresì dei

criteri adottati per la defini-zione dei percorsi di soste-gno/aiuto (Vedi tab. 6).Sul piano economico la com-posizione percentuale delleentrate derivanti dalle attivitàe prestazioni (descritte in pre-cedenza) accreditate è de-scritto nel seguente grafico(Vedi tab. 7).

1.4.2. Analisi delle prestazio-ni per tipologiaSi è già osservato che nel2004 la percentuale di pre-stazioni socio-sanitarie è statadel 61,1% rispetto al 38,9%delle prestazioni sanitarie. Ladistribuzione percentualeconfrontata con le prestazionierogate nel 2003 mette inevidenza una situazione illu-strata nella tabella e nel grafi-co che seguono (Vedi tab. 8).Si registra complessivamenteuno «spostamento» dell’equi-librio tra le due grandi tipolo-gie di prestazioni a favoredelle prestazioni socio-sani-tarie che passano dal 58,3%del totale al 61,1% con unadiminuzione della «compo-nente» sanitaria delle presta-zioni consultoriali che in ter-mini relativi passa dal 41,7%al 38,9%, ma in termini as-soluti (vedi grafico) crescedel 22,8% (Vedi tab. 9).Alla crescita delle prestazionisanitarie sono maggiormenteinteressate le prestazioni ditipo medico ostetrico-gineco-logico la cui quota, relativaalla componente sanitaria,

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3. con un esiguo gruppo diConsultori con performance«in equilibrio» (50-50) tra ledue componenti (Vedi tab. 10).

1.4.2.1. Le prestazioni sani-tarie Analizzando le componentidelle prestazioni sanitarie, siosservano i seguenti elementi:

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921. tra il 2003 e il 2004 si assi-ste a uno spostamentodell’«equilibrio» interno all’areasanitaria a favore delle presta-zioni mediche che dal 49,6%passano al 55,1% del totaledelle prestazioni sanitarie;2. le prestazioni psicologichescendono dal 50,4% al44,9% (Vedi tab. 11).Il grafico che segue analizzal’andamento di performancedelle singole prestazioni delledue sotto aree (psicologica emedica); in proposito è possi-bile osservare:

1. la conferma della prevalen-za di incidenza % dei colloquipsicologici clinici con una di-minuzione dal 33,8% al29,1% del totale delle presta-zioni;

2. un lieve aumento % dellevisite ginecologiche, passatedal 16,8% al 18,5%, dei PAPtest e delle ecografie gineco-logiche;

3. una sostanziale confermadelle percentuali del 2003 re-lative alle prestazioni di psi-coterapia (Vedi tab. 12).

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1.4.2.2. Le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integra-zioneNel 2004 oltre 60.000 pre-stazioni, il 61,1% del totale,rientrano nell’elenco delleprestazioni socio sanitarie«ad elevata integrazione» (so-no state il 58,3% nel 2003);nel grafico che segue vienepresentata la distribuzionepercentuale tra le singole pre-stazioni (Vedi tab. 13).Il confronto con la situazioneregistrata nel 2003 pone inevidenza:1. un marcato incremento(dal 34,1% al 42,6%) dellaprestazione «incontri di grup-po» che diventano la presta-zione relativamente più ero-gata sostituendo al primo po-sto la consulenza/mediazionefamiliare;2. una diminuzione (dal43,9% al 38,2%) degli inter-venti di consulenza/mediazio-ne familiare;3. una diminuzione delle visi-te colloquio dal 21,8% al19,0%;

(tab.11)

(tab.12)

(tab.13)

(tab.14)

4. la pressoché totale assenzadi prestazioni come l’«assi-stenza a domicilio» e le duetipologie di «relazioni» previ-ste nell’elenco dell’accredita-mento (Vedi tab. 14).

1.4.3. Le attività di educazio-ne alla salute e di prevenzio-neNel 2004 dai 29 Consultoriaccreditati sono stati realizza-ti 933 Corsi di educazione al-la salute e di prevenzione,corrispondenti all’80,9% dei

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seguono solo al 14,2%, men-tre gli altri argomenti si atte-stano attorno a una media del10%.Queste caratterizzazioni sonoconfermate anche dalla distri-buzione percentuale dei par-tecipanti suddivisi per argo-menti dei corsi, come eviden-ziato nel grafico che segue(Vedi tab. 16).L’analisi del numero mediodi partecipanti per argomen-to/corso consente di comple-tare l’osservazione dellescelte dei Consultori in que-sta attività. Si osserva infat-ti che i Corsi con argomentidi minor presenza percen-tuale (preparazione alle di-versi fasi del ciclo di vita -9,4%; sostegno alla genito-rialità - 9,3%) registrano un

numero medio di partecipan-ti nettamente più elevatodella media (54,7% e60,2%), mentre i corsi suaffettività e sessualità regi-strano un numero medio dipartecipanti sotto la media(31,9%). Questi elementi fa-rebbero ritenere che gli argo-menti meno rappresentatinon dimostrano un minor in-teresse o minore attività daparte dei Consultori ma lapossibilità di una maggior«resa» in termini di parteci-pazione (Vedi tab. 17).Se si analizza la realizzazio-ne dei corsi come performan-ce (n° dei Corsi per Consulto-rio) è possibile osservare (ve-di grafico che segue) come i2/3 dei Corsi (76,1%) sonorealizzati da 1/3 del Consul-

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94Corsi realizzati dai Consultoriprivati accreditati di tutta laregione Lombardia. Ai Corsihanno partecipato 32.117persone, pari al 75,5% deipartecipanti ai Corsi dei Con-sultori privati accreditati. Cia-scuno dei Consultori accredi-tati FeLCeAF ha realizzatomediamente 32 corsi con unamedia di partecipante perCorso di 34,4 persone.

Nel grafico che segue vienepresentata la distribuzionepercentuale dei diversi argo-menti dei corsi realizzati (Vedi

tab. 15).Si osserva che una netta pre-valenza relativa tra gli argo-menti affrontati nei Corsi ri-guarda le tematiche legate asessualità e affettività con il46,6% dei Corsi realizzati; lerelazioni di coppia e familiari

(tab.15)

3 Il gruppo di lavoro che ha preparato il Convegno era composto da don Silvano Caccia,don Pino Gamalero, don Edoardo Algeri, ing. Antonio Maggioni, dott. Bruno Vedovati,sig. Camillo Ronchetti, dott. Aurelio Mosca.(tab.16)

(tab.17)

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96tori (34,0%). Anche in que-sto caso la variabilità deicomportamenti di rendimen-to tra i Consultori è partico-larmente accentuata (Vedi

tab. 18).

2. Accreditamento e cambia-mentiL’indagine sul tema del rap-porto tra accreditamento e icambiamenti indotti è statacondotta attraverso un’inter-vista ai responsabili di 25Consultori attraverso unatraccia semistrutturata com-posta da ventisette item. L’in-tervista è stata condotta daquattro dei componenti delgruppo di lavoro3 che ha ela-borato la traccia di intervista,mentre la traccia è stata vali-data attraverso un test diconfronto condotto con alcu-ni responsabili di Consultorinell’ambito di un Corso diformazione organizzato dallaFeLCeAF. Obiettivo principaleera la rilevazione delle valu-tazioni/opinioni e dalla rico-struzione delle rappresenta-

zioni «interne» sulle conse-guenze e gli sviluppi che l’ac-creditamento regionale ha in-trodotto nella vita dei Consul-tori. Un’attenzione specificaè stata dedicata ai rapporticon le realtà ecclesiali checostituisce elemento caratte-rizzante l’identità dei Consul-tori di FeLCeAF.

2.1. I cambiamenti percepiti All’indagine di questo temaerano riservati una serie diitem dell’intervista che indi-cavano alcuni aspetti dellarealtà consultoriale (dall’orga-nizzazione, alle relazioniesterne, ai valori di riferimen-to) sui quali si riteneva l’ac-creditamento avesse inciso intermini di modifiche e cam-biamenti.Oltre il 50% dei Consultori(55%) ritiene che l’accredita-mento abbia cambiato moltoo abbastanza alcuni aspettidella propria realtà mentre,per il 17% l’accreditamentoha modificato poco la propriaesperienza consultoriale, così

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come analoga percentuale(17%) pensa che l’accredita-mento non abbia indotto al-cun cambiamento.Nella tabella che segue ven-gono esposti nel dettaglio gliaspetti sui quali i Consultoriritengono che l’accreditamen-to abbia inciso (Vedi tab. 19).Verso i valori di riferimentodell’attività consultoriale:1. per il 52% l’accreditamen-to non ha introdotto significa-tivi cambiamenti nei riferi-menti e nei criteri della pro-pria attività;2. per il 48% l’accreditamen-to ha portato nella vita deiConsultori riferimenti di tipoimprenditoriale e di professio-nalità favorendo il supera-mento di impostazioni assi-stenziali o caritatevoli.È significativo segnalare cheper uno solo dei Consultori in-tervistati viene fatto riferi-

mento a un‘influenza dell’ac-creditamento su aspetti valo-riali, riguardante nello speci-fico le modalità di gestionedelle richieste di contracce-zione.Il successivo aspetto indagato(se l’accreditamento ha fattoemergere somiglianze o diffe-renze con realtà di servizio al-la famiglia pubbliche e priva-te) non ha trovato riscontronelle risposte rilevate (98% diriscontri negativi); è possibileipotizzare che i processi rifles-sivi e di analisi siano ancoramolto «autocentrati» e pocoorientati a percepire le valen-ze di confronto con la realtàesterna. Anche le esigue ri-sposte rilevate sembrano piùattribuibili a rappresentazioni«a priori» o al prevalere dipreoccupazioni di assimilazio-ne a modelli precostituiti, chea un effettivo riscontro con la

(tab. 18)

(tab. 19)

Accreditamento e cambiamenti

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98realtà. Infatti, in merito alconfronto con le altre realtà,nelle risposte dei Consultori(2%) prevalgono le seguentisomiglianze e/o differenze:1. la diminuzione della perso-nalizzazione degli interventi;2. la continuità delle prese incarico;3. l’aumento della connota-zione sanitaria;4. la diminuzione dell’autono-mia.

2.2. Cambiamenti immaginati L’intervista chiedeva di de-scrivere quali evoluzioni o in-voluzioni i Consultori ritengo-no ipotizzabili rimanendo im-mutati contesto e condizioninormative ed economiche delproprio accreditamento. Le ri-sposte possono essere rag-gruppate in due categorie disenso. 1. Le evoluzioni, (70% dellerisposte), costituite dall’insie-me di feedback che descrivo-no ampliamenti e diversifica-zioni delle attività consulto-riali, tratteggiando una pre-senza del Consultorio come«presidio per la famiglia» cheoffre servizi e prestazioni al-dilà dell’attuale configurazio-ne anche legislativa dei Con-sultori familiari. A tali servizie prestazioni- viene attribuita una conno-tazione positiva;- le si stima accompagnatee/o subordinate all’assunzio-ne di una capacità di iniziati-va autonoma da parte deiConsultori;

- e richiedenti l’attivazione ela ricerca di fonti e canali difinanziamento innovativi ri-spetto all’attuale assetto.2. Le involuzioni: con una di-chiarata connotazione negati-va il 30% dei Consultori in-tervistati ritiene possibili «ar-retramenti» nella vita e nelruolo del Consultorio, l’accen-tuazione degli aspetti sanitaridella propria attività, limita-zioni al mantenimento e allosviluppo delle attività per i«tagli» delle entrate derivantidall’accreditamento, l’accen-tuarsi delle limitazioni allapropria autonomia e libertàd’iniziativa derivanti dall’irri-gidimento di vincoli e normeburocratiche.In particolare quest’ultimopunto viene riferito anche adaspetti di «contenuto» dell’at-tività consultoriale e a servizinon rientranti nell’attuale as-setto normativo dell’accredi-tamento (metodi naturali,«sportelli» adolescenti, ecc.).

2.3. I cambiamenti richiestiQuesta sezione dell’intervistaha indagato quei cambiamentiche i Consultori ritengono ne-cessari rispetto all’attuale con-figurazione sia dell’accredita-mento sia della situazione diservizi rivolti alla famiglia. In-nanzitutto deve essere regi-strato che tutti i Consultori,seppur con accentuazioni di-verse, ritengono necessari al-cuni cambiamenti; in nessunadelle risposte raccolte è pre-sente un rifiuto o una sempli-

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99ce «presa d’atto» della situa-zione senza la delineazione diindicazioni di innovazioni daintrodurre. Questo descrive unatteggiamento complessivo diapertura e «attività» da partedei Consultori che si pongono,seppur criticamente, in modocostruttivo e di ricerca versol’«esistente» senza appiattirsipassivamente su di esso. Ladescrizione dei cambiamentirichiesti e proposti riguardanodue aspetti dell’accreditamen-to e dell’organizzazione delleattività dei Consultori stessi. 1. Il «sistema di regole» del-l’accreditamento: l’insiemedelle norme e delle indicazio-ni regionali che dal 2001 re-golamenta l’accreditamento.Pur non entrando nei conte-nuti specifici dei singoli temi,le indicazioni si sono polariz-zate attorno a questi aspetti:- la modifica e l’adeguamentodelle «tariffe» riconosciutedalla Regione per le singoleprestazioni, ritenute inade-guate a sostenere i costi uni-tari sia perché bloccate al2001, sia perché esigue in sestesse;- la ridefinizione della gammadelle prestazioni previste, inparticolare quelle a elevataintegrazione, sia sul piano deicontenuti sia rispetto al nu-mero limitato, e quindi l’inse-rimento di nuove attività (me-todi naturali);- la modifica delle modalità edelle forme dell’integrazione edella multidisciplinarietà del

lavoro consultoriale: «come»fare Consultorio assicurandoun approccio personalizzato evalutazioni interdisciplinari emultidimensionali;- l’introduzione di una mag-giore flessibilità dei percorsidi aiuto e sostegno.2. Il «sistema-Consultori FeL-CeAF»: i Consultori si perce-piscono sempre di più comeun insieme di realtà che, purmantenendo una propria au-tonomia e specificità legatealla propria storia e al conte-sto territoriale ed ecclesiale diriferimento, affrontano pro-blemi gestionali, organizzati-vi, di contenuto delle proprieattività comuni e condivisi. Inquesto senso l’accreditamen-to ha rappresentato un «valo-re aggiunto» al processo dicoesione e alla costruzione ditratti identitari omogenei. An-che si manca una dichiarazio-ne esplicita e diretta, le pro-poste emerse con maggiore ri-levanza per via induttiva fan-no dire che i Consultori si per-cepiscono ormai, in prevalen-za, come un «sistema» e chie-dono che questa definizionevenga raccolta e riconosciuta,oltre che sostenuta. Una ri-chiesta che viene rivolta allaFeLCeAF e che tocca «proces-si» vitali per il futuro, il raffor-zamento della coesione del«sistema» e la possibilità disinergie funzionali sia alla so-stenibilità economica che agliequilibri delle risposte con-sultoriali alla domanda di ser-

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101ecclesiale, la funzione e ilruolo «percepiti» come feed-back da parte della Comunitàecclesiale: 1. per il 66% il Consultorioviene considerato come “…un aiuto ad affrontare situa-zioni familiari difficili”;2. il 23 % ritiene che il Con-sultorio costituisca per le Co-munità ecclesiali “… unostrumento per la pastorale fa-miliare”; valutazione da inter-pretare con quella del 3% deiConsultori che pensano che leComunità ecclesiali vedanonel Consultorio un’iniziativa“in concorrenza” con le atti-vità pastorali;3. per il 6% il Consultorio vienevissuto dalle Comunità come“… un onere economico”;4. il 2% dichiara di non avereelementi per pronunciarsi sul-l’argomento.Le due figure ecclesiali previ-ste nell’attività dei Consultori– Consulente ecclesiale, Con-sulente etico – sono formal-mente nominate in 21 dei 29consultori accreditati (72%);la loro presenza «operativa» èstata rilevata:1. in 13 Consultori (62%) peril Consulente ecclesiale;

2. in 14 Consultori (67%) peril Consulente etico.

I «contenuti» della collabora-zione e la sua complessità so-no stati indagati chiedendo diindicare per quali attività econ quali realtà ecclesialiquesta collaborazione si svi-luppa.Nella tabella che segue sonoindicate le attività e la «fre-quenza» della collaborazioneper ciascuna di essa così co-me indicate dai Consultori (Vedi tab. 20).Sommando le percentuali dirisposta «molto» e «abba-stanza»:1. la preparazione dei fidan-zati al matrimonio rappresen-ta l’attività che i Consultoriindicano come forma più fre-quente di collaborazione traConsultorio e Comunità eccle-siale; 2. il 60% indica nella capacitàdel Consultorio di affrontare lesituazioni familiari in difficoltàla seconda area di maggiorecollaborazione, confermandola percezione dei Consultori diessere considerati una risorsaper questa area d’interventoda parte delle Comunità;

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100vizi da parte delle famiglie.Nella loro articolazione le in-dicazioni rilevate sono sinte-tizzabili nei seguenti punti :- il rafforzamento del ruolo edei contenuti di servizio dellaFeLCeAF;- una programmazione «di re-te» delle attività e prestazionidei Consultori;- il potenziamento delle atti-vità di coordinamento tra iConsultori;- la concertazione di lineed’indirizzo su problematichegestionali e di sviluppo condi-vise.

3. I rapporti con la ComunitàecclesialeNell’«intervista» un focusparticolare è stato dedicato airapporti dei Consultori con lerealtà ecclesiali (Parrocchie,Decanati, pastorale familiaree altre realtà laicali); si inten-devano approfondire moda-lità e reciprocità delle rela-zioni con queste realtà checostituiscono il contesto diorigine e di riferimento deiConsultori.Le relazioni con la Comunitàecclesiale sono state indagatechiedendo un giudizio sinteticoe la descrizione dei «contenu-ti» e degli «strumenti» dellacollaborazione. Il giudizio disintesi vede prevalere valuta-zioni positive, mentre apparerilevante la percentuale di si-tuazioni in cui le relazioni traConsultorio e realtà ecclesialeassume scarsa consistenza:

1. per il 65% la relazione vie-ne definita come “costrutti-va”;2. per il 26% è invece “senzaincidenza”.Il 9% non esprime una valu-tazione esplicita; posizionequesta attribuibile, nell’ipote-si più benevola, a una irrile-vanza delle relazioni o, nell’i-potesi peggiore, a un giudiziocritico ritenuto non dichiara-bile. Se si assimilano le valu-tazioni della “non incidenza”con quest’ultima posizione,per oltre 1/3 dei Consultori lerelazioni con la Comunità ec-clesiale assumono una conno-tazione ritenuta “al minimo”irrilevante. Quest’ultima indu-zione trova peraltro una con-ferma indiretta nella consta-tazione che nessuno dei Con-sultori valuta presenti nellarelazione con la comunità ec-clesiale elementi o motivi diostacolo.Le indicazioni di cambiamentosono prevalentemente auspi-cate (80% delle risposte), masenza una traduzione concretae operativa. La maggior curadelle relazioni con i parroci e idecani è l’unica indicazioneche emerge come significati-va, mentre in misura molto mi-nore si suggeriscono modalitàpiù vincolanti per la direttapartecipazione dei sacerdotialla vita consultoriale.

L’indagine ha verificato altresìcome i Consultori ritengono diessere visti dalla Comunità (tab. 20)

I rapporti con la Comunità

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1023. le attività formative (forma-zione educatori, corsi genito-ri) appaiono l’area, indicatada circa il 50% dei Consulto-ri, in cui il margine di svilup-po della collaborazione appa-re ancora ampio;4. l’affido e l’adozione noncostituiscono un attività sul-la quale i Consultori vengo-no chiamati alla collabora-zione da parte delle Comu-nità.

La collaborazione non appareparticolarmente articolata:meno del 50% dei Consultori(44%) indica relazioni con lerealtà laicali (Associazioni,movimenti, ecc.); l’80% haconsolidato collaborazionicon più di uno dei soggetti in-dicati:1. i Centri di aiuto alla vita(CAV) rappresentano la realtàindicata da oltre il 50% deiConsultori che dichiarano re-lazioni di collaborazioni conaltri soggetti/iniziative delmondo ecclesiale;2. 1/3 dei Consultori indica leCaritas parrocchiali comepartner della collaborazione;3. per 1/3 le Commissioni de-canali o parrocchiali di pasto-rale familiare rappresentanointerlocutori per forme di col-laborazione;4. le Associazioni di solida-rietà familiare sono indicatedal 24% dei Consultori;5. il 17% indica in “altri mo-vimenti ecclesiali” i partnerdella collaborazione.

Sintesi e conclusioniUna sintesi degli esiti del la-voro di conoscenza e indaginerealizzato contiene inevitabil-mente il duplice rischio dellariduttività e della semplifica-zione. Le dimensioni identita-rie dei Consultori di ispirazio-ne cristiana sono emerse, intutta la loro complessità e ar-ticolazione, legate inestrica-bilmente alla storia delle sin-gole realtà, al contesto territo-riale ed ecclesiale di riferi-mento, al radicamento nellarealtà stessa realtà ecclesialee alla partecipazione di que-sta alla vita del Consultorio,all’intreccio delle identitàprofessionali e delle culturedi appartenenza specifica de-gli operatori/volontari. In rife-rimento alle due domande/ipo-tesi che hanno improntato l’in-dagine, è possibile delinearedue ordini di risposte: il primo,di carattere generale e sinteti-co e il secondo, articolato per«profili d’identità» dei Con-sultori.In termini generali sono que-sti i «tratti» che emergonocon maggior evidenza «di sin-tesi»:1. sono cresciute le risorse diprofessionalità presenti nelleattività consultoriali, conun’articolazione di maggiorecomplessità sia sul piano cul-turale che di operatività;2. complessivamente l’«offer-ta» di servizi e prestazioni si èsviluppata in modo esponen-ziale privilegiando le aree di

Sintesi e conclusioni

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103contenuto più tradizional-mente contigue all’esperienzae alla storia dei Consultori diispirazione cristiana: l’atten-zione ai bisogni relazionali,la dimensione psico-sociale,l’attenzione alle dimensioniformative;3. emergono significativi svi-luppi, seppur quantitativa-mente ancora limitati, versouna maggiore complessitàdelle prestazioni in direzionedell’integrazione con profes-sionalità e prestazioni dell’a-rea sanitaria;4. la stabilità dei riferimentivaloriali non appare messa indiscussione: i due «segnali»in controtendenza (il calo diincidenza dell’impegno volon-tario e la riduzione della pre-senza della figura del Consu-lente familiare) sono da inter-pretare in un quadro più allar-gato di modifiche e cambia-menti culturali e normativi;5. l’elaborazione e l’aggiorna-mento degli «approcci» speci-fici alle diverse problematicheconsultoriali (consulenza emediazione familiare, integra-zione, «olismo» della sogget-tività) appaiono come proces-si da sviluppare in modo piùcompleto e partecipato;6. le dimensioni gestionali eorganizzative interne hannoassunto un rilievo importante,richiedendo competenze esupporti sia sul piano funzio-nale che con l’introduzione diuna visione di «sistema» del-la rete dei Consultori.

Alla verifica della prima delledue ipotesi (l’accreditamentoha inciso sull’identità e sullaprassi dei Consultori) i «tratti»delineati in precedenza offro-no una validazione parziale: irilevanti sviluppi registrati sulpiano operativo, della prassi edell’organizzazione non ap-paiono accompagnati da mu-tamenti nei riferimenti specifi-ci della cultura consultorialeche dal 1978 ad oggi ha ca-ratterizzato la presenza deiConsultori familiari d’ispira-zione cristiana lombardi. La«parzialità» di questa primaconclusione, se da una partestimola ad ulteriori approfon-dimenti, più sul piano dell’ela-borazione teorica, sul rapporto«circolare» tra prassi e iden-tità, apre a ulteriori approfon-dimenti sul piano conoscitivoe sul piano delle prassi:1. una dimensione trascuratanel rapporto tra cambiamentioperativi e identitari è stataquella dello sviluppo tempo-rale di questo rapporto e del-la reciproca incidenza tra ledue dimensioni, non solo rife-rita alla constatazione che an-che l’accreditamento regiona-le sta entrando in nuova fase;2. i Consultori hanno consoli-dato un patrimonio di espe-rienza e di riferimenti cultura-li e professionali che consen-te loro di sviluppare ulterior-mente le loro attività ancheverso settori e prestazioni me-no contigui alla propria espe-rienza e ai propri riferimenti,

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1051. l’equilibrio quantitativo trale tipologie di prestazioni èspostato verso le prestazioni«specialistiche-sanitarie»,considerate come «volano»delle attività consultoriali ocome «porta d’accesso» per ibisogni più complessi dellafamiglia;2. le attività di prevenzionevengono sviluppate nella lorocompletezza;3. non si esclude a priori unrapporto anche di tipo «priva-to», di scambio, con l’utenza;4. l’accreditamento viene per-cepito come sollecitazione aricercare nuovi equilibri attra-verso una differenziazionedelle attività;5. il riferimento alla realtà ec-clesiale è stabile, ma con ca-rattere di discontinuità.

Nell’individuazione dei treprofili non sono implicati,neppure indirettamente, unavalutazione di merito né tantomeno orientamenti di tenden-ze che solo lo sviluppo delconfronto tra le realtà consul-toriali potrà delineare con ladiscussione di questo contri-buto.

Circa la validazione della se-conda ipotesi/interrogativo(l’accreditamento vincolo /op-portunità), anche in questocaso è possibile concludere inmodo parziale: l’accredita-mento ha certamente rappre-sentato un’opportunità per

quelle realtà consultoriali chene hanno interpretato l’attua-zione in termini di «servizio»e ampliamento dell’«offerta»di prestazioni e attività, rice-vendone vantaggi e beneficisia d’immagine che economi-ci. Prevale la valenza di «vin-colo» dell’accreditamento:1. nei Consultori di dimensio-ni ridotte e quindi con margi-ni di sviluppo più limitati;2. nelle realtà dove le valenzeorganizzative/gestionali sonopiù deboli;3. nelle realtà più evolute, mache non vedono riconosciute asufficienza istanze di analogaevoluzione delle condizioni eregole dello stesso accredita-mento; in queste situazionisembra prevalere una richiestadi «reciprocità»: “lo sviluppodi cui siamo stati capaci, inat-teso dai più, ora deve essereaccompagnato da una analogacapacità di adeguamento delleregole che, diversamente, sitrasformerebbero in una limi-tazione e in un vincolo”.Un’istanza razionale, que-st’ultima, fondata sulla con-sapevolezza delle proprie pos-sibilità, non emotiva (cioèprocurata dall’entusiasmo dinuove risorse e «territori» pro-fessionali da esplorare), tantoda essere in grado di chiederel’aggiornamento e l’innovazio-ne di nuovi supporti e di unnuovo ruolo da parte di FeL-CeAF.

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104senza vedere intaccata la vi-sione valoriale e antropologicache impronta la propria pras-si, ma, anzi, estendendola aservizi e attività offerti oggi inmisura più limitata.

Il secondo ordine di rispostealle due ipotesi iniziali è arti-colato attraverso il tentativodi tracciare almeno tre «profi-li d’identità» dei Consultori.Come già dichiarato in prece-denza, si tratta di profili che,al vantaggio della sintesi edella facile assimilazione aun’«immagine» di servizio,accompagnano il rischio dellariduttività e della semplifica-zione.Primo profilo: Il ConsultorioFamiliare (senza aggettivi).Si tratta di realtà, numerica-mente limitate, nelle quali l’ac-creditamento è più recente:1. dove prevalgono le attivitàdi accoglienza, ascolto, valu-tazione del bisogno;2. il numero di utenti è me-diamente elevato a fronte diun numero di prestazioni me-dio per utente quantitativa-mente al di sotto della mediae poco differenziato;3. pur disponendo di tutte lefigure professionali richiestedall’accreditamento, l’operati-vità appare centrata sulla figu-ra del Consulente familiare;

4. il riferimento alla realtà ec-clesiale locale ha caratteristi-che di reciprocità;5. prevale la percezione del-l’accreditamento come cam-biamento a «rischio» sul pia-no organizzativo ed economi-co.

Secondo profilo: Il ConsultorioFamiliare – «4141»4

Si tratta di realtà consultoria-li dove:1. prevalgono le prestazionisocio-sanitarie (psico-sociali)con un forte trend di crescitadi «incontri di gruppo» tra il2003 e il 2004;2. le attività specialistichehanno rilevanza nulla o moltolimitata;3. sono fortemente sviluppatele attività di prevenzione;4. l’accreditamento viene per-cepito come un’opportunitàche ha favorito una crescita,governata, ma che apre ad unafase di incertezza cui non è an-cora chiaro come fare fronte;5. il riferimento alla realtà ec-clesiale è consolidato e aper-to alla ricerca di nuove formedi collaborazione.

Terzo profilo: Il ConsultorioFamiliare – “Mille non piùmille”5

Realtà consultoriali, numeri-camente limitate, dove:

4 La cifra è riferita alla numerazione della Deliberazione della Giunta Regionale dellaLombardia con cui è stato normato l’accreditamento e indicate le prestazioni socio-sa-nitarie integrate.

5 La definizione fa riferimento alla numerazione dei codici delle prestazioni ambulato-riali specialistiche sanitarie espressa in migliaia.

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Uno dei “teoremi” più diffusie radicati nel mondo medico enella cultura popolare è quellodi pensare che l’aborto volon-tario sia meno traumatico seeffettuato nelle epoche preco-ci della gravidanza, conse-gnando, così, la pratica aborti-va (e tra queste la RU 486,detta pillola del “mese dopo”)al criterio della “proporziona-lità traumatica”: più piccolo èl’embrione più sicuro e più ac-cettabile è l’aborto, con mino-ri conseguenze per la donna.La sicurezza della praticaabortiva inoltre, da togliere al-la clandestinità e al privatoper consegnarla al mondo del-la sanità pubblica è stato unodei capisaldi della legge 194.

Abbiamo assistito negli ultimivent’anni, anche nel campodel prenatale a una corsa ver-tiginosa all’anticipazione delladiagnosi: il prelievo dei villicoriali (10-12 settimane) alposto dell’amniocentesi, il bi-test al posto del tri-test, la va-lutazione del liquido retronu-cale ecc. esprimono l’atteg-giamento che insegue la “sin-drome del feto perfetto”, sin-drome non scritta in nessun li-bro ma che oggi “respiriamo”profondamente e che si carat-terizza da un iter compulsivodi esami diagnostici semprepiù precoci e sempre più an-siogeni: è il teorema della“proporzionalità traumatica”:l’idea che la diagnosi precoce

La pillola abortivaun delitto in solitudine1

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1 Il presente articolo è apparso su “Il Sole 24 Ore Sanità” il 4 ottobre 2005, p. 20.

di un’anomalia corrisponda aduna scelta più precoce e, incaso di malformazione, a unascelta abortiva meno traumati-ca sul piano fisico e psichico.È ovvio che sul piano fisico -biologico la precocità dell’in-terruzione possa essere grava-ta da minori complicazioni.Ma quando parliamo della“persona umana” la sicurezzanon può essere valutata solosotto l’aspetto della tecnicaabortiva e degli aspetti fisico-biologici: la salute psichicadelle donne è un fatto ricono-sciuto da tutti come estrema-mente importante, e per lasua salvaguardia viene invo-cato il diritto all’interruzionedi gravidanza dopo i 90 gior-ni. Mi chiedo allora: “come sipuò continuare ad accettare,nella prassi medica soprattut-to, il criterio di proporziona-lità traumatica” quando tuttala letteratura scientifica evi-denzia la devastante conflit-tualità psicologica post-abor-tiva, quando l’elaborazionedel lutto (anche di aborti pre-coci e spontanei) è la causadi depressioni profonde, diperdita di libido, di infertilitàe di perdita di capacità gesta-zionale successiva, quandonei nostri studi le donne cigridano che la “perdita” di unfiglio non è proporzionale alsuo peso in grammi o alla sualunghezza?”. Il tasso di soffe-renza che evidenziano le don-ne dopo un aborto, in effetti,non è altro che la dimostra-

zione esperenziale di una evi-denza profonda che il mondomedico si rifiuta di vedere onon ne valuta la reale gravità:che, cioè, si può interrompereuna percezione biologica manon è possibile eliminarequella psichica né anticipar-la. In definitiva il vissuto rela-zionale col proprio figlio nonviene eliminato con l’elimina-zione dell’embrione.La RU 486 riconduce la pra-tica abortiva volontaria, sottol’apparente finalità della pre-cocità e della sicurezza (si-gh!) (il 13% richiede un’eva-cuazione chirurgica Ojidu JIet al., J. Obstet. Gynaecol.2001) nel tunnel dell’abortofai da te (Faucher P. et all.,Gynecol Obstet Fertil.2005), invertendo e contrad-dicendo le motivazioni stori-che e psico-sociali che han-no motivato fortemente lalegge 194: un aborto privato,per quanto precoce e sicurosia, aggiunge solitudine a so-litudine. Inoltre mentre nel-l’aborto chirurgico l’interru-zione di gravidanza viene de-legata tecnicamente a unaterza persona, nell’abortochimico da RU 486 è la stes-sa madre che si autosommi-nistra il veleno che uccideràil proprio figlio. Gli effetti fi-sici sono gli stessi di unaborto chirurgico eseguito inanestesia: contrazioni, espul-sione, emorragia, ma con laRU 486, la donna vive tuttoquesto in diretta, senza

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e neanche l’assistenza medica.È il massimo della responsa-bilizzazione psicologica!!Colgo queste profonde con-traddizioni di tipo scientifico,etico ed umano nel momentoin cui si vorrebbe un usoestensivo dell’aborto farmaco-logico alla società italiana,già pesantemente colpita da

un malessere diffuso che ci faassistere, sempre più fre-quentemente, a malattie del-l’anima e della psiche, e incui, purtroppo, i protagonistisono, spesso, una madre e unfiglio, la diade preziosa che lacultura pseudo-scientificasembra voler sempre più se-parare e dividere.

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Il Convegno promosso dalla ri-vista “La Famiglia”, in occa-sione del 40º anniversario difondazione e in collaborazio-ne con il Centro di Consulen-za per la Famiglia di Modena,ha posto come oggetto di ri-flessione e di studio il rappor-to tra la famiglia e le soffe-renze. In due giornate (18 e19 novembre 2005), la tema-tica è stata argomentata se-guendo un itinerario che, dal-l’inquadramento della que-stione e dall’esplorazione del-le situazioni problematichenelle quali la famiglia può in-correre, volge al recupero del-le risorse di cui la famiglia

medesima è portatrice e allapromozione di competenze daparte degli operatori che la af-fiancano.Poco esplorato, il tema dellerelazioni familiari intrecciatecon l’esperienza del soffriresembra essere confinato neglispazi del privato e del fluiredel tempo intimo. Di per sé,gli ostacoli e le difficoltà delragionamento sulla sofferenzasono da sempre argomentatidall’elaborazione filosofica.Lo scacco della ragione postadi fronte alle domande delperché e del che cosa sia ildolore1 dimostra l’insufficien-za delle risposte che il lin-

La famiglia di frontealle sofferenze.Promuovere risorse, generare speranza

Livia Cadei

1 “Per nulla facile da spiegare in termini concettuali: proprio in quanto esperienza, circostanza vissuta e patita, il dolore presenta un significato intuitivo dominante, a tal punto immediato da far sembrare inutile qualsivoglia esplicazione”, P. FISOGNI,Il dolore e la sofferenza, Firenze Libri, Firenze, 2002, p. 17.

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117tratterebbe di chiose scarsa-mente consolatorie che, a benvedere, in qualche modo irri-dono la fatica individuale dichi porta sulle spalle un far-dello doloroso. In questo sen-so, la riflessione pedagogicaorientata a riscattare le espe-rienze del soffrire avanza l’i-potesi esistenziale della ricer-ca di un senso strettamenteconnesso con la concezionedella vita. La proposta contenuta nellaprima giornata di riflessione edi studio, quindi, ha intesoprocedere dalla presentazionedi «forme di sofferenze fami-liari», dove l’urto del doloreinvade i rapporti e gli affettitra le persone. Nelle situazio-ni di conflittualità della cop-pia, di travaglio nell’eserciziodelle funzioni educative ma-terne e paterne, di disequili-brio con le famiglie di origine,di vincolo negli schemi delmaterialismo dilagante, G.P.Di Nicola ha delineato il filoconduttore della sofferenza,quale «normale” costellazio-ne della vita quotidiana. Intutte queste condizioni, però,la relatrice ha individuato al-tresì la possibile conquista diuna impensata capacità diprofondità, che sulla scortadel pensiero di S. Weil, rico-nosce la precarietà e la fragi-lità della vita non fine a sestesse, ma come qualcosa dicostitutivo.“La sofferenza in situazione”è il titolo proposto dalla tavo-

la rotonda, nella quale diversiinterlocutori hanno accostatoil tema della sofferenza, apartire dalle problematichedifferenti che la famiglia puòtrovarsi ad affrontare. In pri-mo luogo, P. Fagandini ha in-vitato a riflettere sul temadella sofferenza di fronte adun’esistenza che fatica ad af-facciarsi alla vita. In secondoluogo, l’intervento di L. Croceha posto in luce gli aspettiproblematici della conquistadi una qualità della vita perun figlio disabile. In terzo luo-go, D. Vecchi, affrontando iltema della separazione dellacoppia, ha rilevato il senso diimpotenza che accompagnal’esperienza di un progettosenza futuro. Infine, G. Zani-netta ha elaborato la propriariflessione in merito al percor-so di accompagnamento dellafamiglia verso l’ultima tappadell’esistenza di un propriocongiunto. Unite dalla lineaideale del ciclo di vita fami-liare, che va dalla nascita allamorte, le quattro esperienzepresentate sono state acco-munate meglio dal propositodi dare risalto alle competen-ze familiari che, pur minac-ciate dall’evento imprevisto,non sembrano sconfitte.Il tema dell’attribuzione disenso alle sofferenze nell’esi-stenza umana è stato affron-tato da E. Fizzotti, il quale,smascherando i tentativi dimistificazione della mentalitàcontemporanea efficientista e

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116guaggio umano riesce a for-mulare nell’esperienza di unfenomeno al tempo stesso fi-sico, psicologico, emotivo edintellettuale. Tuttavia, in pro-spettiva educativa rilevante èil recupero di un’ulteriore pro-prietà del problema che, inmodo più diretto, si interrogain merito al come della soffe-renza, vale a dire circa le di-verse modalità attraverso cuil’individuo fa fronte alla con-dizione dolente2. La riflessio-ne pedagogica, cioè, muovedal riconoscimento della di-mensione naturale della sof-ferenza, senza sottostimarel’irruenza con la quale essa ir-rompe nella vita dell’uomo, ir-rispettosa di ogni schema re-lazionale, ma di quella espe-rienza subisce il fascino dellemolteplici ed originali strate-gie poste in essere.Il discorso educativo, allora,si misura con la sfida di ri-concettualizzare il tema dellasofferenza, laddove né il ra-zionalismo moderno, con iltentativo di controllo espressodalle risposte di rimozione odi esasperazione terapeutica,né lo scomposto recupero del-

le emozioni tipico dei nostrigiorni, le cui eccedenze rap-presentano solo una possibi-lità di immedesimazione alie-nata, sembrano offrire oppor-tunità di recupero per un au-tentico rapporto tra il dolore ela vita.In questa direzione, il conve-gno organizzato dalla rivistadiretta dal prof. Luigi Pati, haintrodotto il tema della soffe-renza all’interno di una con-cezione del ciclo di vita fami-liare, non come regolare edideale successione di tappe,ma come percorso articolato ecomplesso. “Nel percorrere lediverse fasi di crescita, nel di-sporsi alla novità e all’am-pliarsi dei rapporti, nel diffe-renziarsi dei ruoli e delle fun-zioni”3, il tragitto tracciatodalla esistenza di una fami-glia si dipana attraverso situa-zioni tanto di sofferenzaquanto quelle di gioia.D’altra parte, ricollocare al-l’interno della naturalità l’e-sperienza del soffrire, nonpuò certo corrispondere allaconstatazione della fatale di-spensa del dolore o alla suafattualità senza sviluppo. Si

2 Sul tema S. Natoli richiama alla “(...) differenza cruciale tra il reggere nel dolore e ilresistere al dolore. Il reggere coincide con la capacità di governarsi nella sofferenza,il resistere coincide con l’attestarsi accanito e testardo in essa. (…) governarsi nel do-lore significa salvaguardare la propria forma, trarre da se stessi il massimo della forzae poi, eroicamente, cadere. Resistere al dolore significa, al contrario, rimanere attac-cati al proprio sé, dove il sopravvivere vale di più del bel morire (…). La resistenza,così interpretata, non si risolve in un mero istinto di sopravvivenza, ma il sopravvive-re è inscritto nell’orizzonte di una grande apertura, nel futuro di una promessa”. S.NATOLI, L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, Feltri-nelli, Milano, 2004, p. 370.

3 L. PATI, “La famiglia di fronte alle sofferenze. Promuovere risorse, generare speranza”,in La Famiglia, 2005, 232, p. 3.

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119tra le famiglie, offrendo lorooccasioni di incontro e discambio, attribuisce valore al-le risorse reciproche. In linea con le precisazioniconcettuali emerse, i relatoridella tavola rotonda hanno in-teso dare risalto alla condizio-ne attiva giocata della fami-glia in una molteplicità deiruoli. Inserite in una comunitàterritoriale (E. Musi), a con-fronto con altre famiglie (B.Volpi), in dialogo con i servizinella comunità locale (G. Maz-zoli) o con il consultorio (P.Borghi), esse vanno riconqui-stando spazi di azione edesprimono una soggettività ingrado di promuovere cultura.La relazione di L. Pati ha pre-disposto la riflessione verso iltema della speranza. L’educa-zione a sperare prende le di-stanze tanto dal fatalismoquanto dall’ottimismo. Al pro-posito, l’intervento richiamale parole di E. Fromm, quan-do afferma che “l’ottimismo èuna forma alienata di fede, ilpessimismo una forma aliena-ta di disperazione”. La spe-ranza è paradossale, “signifi-ca osare, pensare l’impensa-bile, ma agire entro i limiti diquel che è realisticamentepossibile (…) questa speranzanon è né passiva né paziente;al contrario, è attiva e impa-ziente, e ricerca ogni possibi-lità di azione entro la sferadelle possibilità reali”5.

La speranza, precisa l’autore,è costitutivamente determina-ta dalla dimensione del pro-getto, che si specifica attraver-so le categorie dello spazio edel tempo. È attraverso la qua-lità delle relazioni intessute ela dinamica articolazione tra ilpresente, il passato e il futuroche la speranza si qualifica inchiave pedagogica. Nell’eser-cizio del ruolo adulto, coluiche educa a sperare è solleci-tato ad ampliare le possibilitàdella comunicazione. Laddovela parola diventa muta, alla te-stimonianza si aprono maggio-ri possibilità educative.L’intento di precisare le com-petenze atte ad accrescere lasperanza nella famiglia soffe-rente è stato affidato all’ulti-ma tavola rotonda. Tra quelle,la progettualità, la consulenzaeducativa, l’empatia e la curasono accomunate per la pos-sibilità di offrire alla famigliaun itinerario di apprendimen-to trasformativo. Progettare,nella lettura offerta da P. Tria-ni, significa lavorare per am-pliare gli spazi di vita sensati.Con l’intervento di D. Simeo-ne, la consulenza da partedell’operatore si connota inprimo luogo, quale capacitàdi stare in una situazionecomplessa e, successivamen-te, come abilità a sostenere lapersona nella soluzione deiproblemi e nella ricerca dellerisorse necessarie.

5 E. FROMM. Anatomia della distruttività umana (trad. dall’inglese), Mondadori, Milano,1989, pp. 545, 547.

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118positivista, rinsalda il profon-do legame esistente tra laconcezione della vita e la mo-dalità di rapportarsi alla soffe-renza. Quest’ultima interpellala persona individualmente,poiché, come afferma Natoli,“nessuno è sostituibile nelproprio dolore così come nonlo è nella propria morte”4.L’individuo, inoltre, è chiama-to a rintracciare risposte sem-pre nuove alle specifiche emolteplici situazioni in cuiviene a trovarsi. Ciò fa appel-lo alla sua personale respon-sabilità. Da qui consegue laconcezione della vita comecompito, nella accezione del-l’irripetibilità, ma anche deldono che a ciascuno spetta dicogliere ed interpretare.L’invito del relatore, allora, è aconsiderare il valore esisten-ziale della sofferenza, mai ri-dotta a puro accadimento. Sitratta di un orizzonte possibileallorché, con il coraggio di unconfronto aperto, l’uomo con-cepisce il soffrire “all’internodi un contesto valido”, ossia,coglie la propria esistenza co-me un continuum cui è in gra-do di attribuire un significatopiù ampio e scorge la possibi-lità di “soffrire per amore diqualcuno o qualcosa”, cioè in-terpreta la propria vita comeapertura e relazione.Ricchi di stimoli inoltre, sonostati i diversi spezzoni filmicisottoposti a una lettura critica

da parte di M. Toscani, alloscopo di avvantaggiare la ri-flessione anche del linguag-gio originale della cinemato-grafia. Durante la seconda giornatadel convegno, gli interventisono stati strutturati con ilproposito di richiamare l’at-tenzione verso due interroga-tivi di fondo: come promuove-re le competenze familiari, in-debolite ma non annullate difronte al dolore? In che modole competenze degli operatoripossono sostenere la speranzanella famiglia messa alla pro-va dalla sofferenza?Tentare di dare una risposta alprimo quesito presupponeuna prospettiva orientata avalorizzare le risorse presentinella compagine familiare.Un valido contributo in que-sta direzione è stato offertodalla relazione di V. Iori, che,a seguito di una ricostruzionecritica dell’evoluzione dellafamiglia, da estesa e ricca direlazioni a nucleo sempre piùristretto, ha guidato la rifles-sione verso l’identificazionegià nelle forme di disagio del-le risorse utili al superamentodello stesso. Occorre per que-sto proposito sostenere le fa-miglie nel percorso di ricono-scimento delle molteplici ri-sorse di cui sono portatrici,laddove l’esperienza del dolo-re rischia di offuscarle.Rafforzare la fiducia reciproca

4 S. NATOLI, L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, p. 19.

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120Dell’empatia A. Bellingreripone in luce la virtù pedago-gica, nell’accezione di qualitàspeciale dello spirito che as-sume nei confronti dell’altroun atteggiamento etico-con-templativo. L. Mortari, infine,intende porre attenzione sullerelazioni di cura, in cui qual-cuno si assume la responsabi-lità di favorire la crescita del-l’altro. Attendere ai bambini,ai malati, agli anziani, allora,rappresenta una pratica cul-turale fondamentale, poichéconsente la costruzione dellaciviltà. In conclusione, alla luce delleconsiderazioni emerse duran-te le due giornate di studio edi riflessione, si profila una

concezione del rapporto trafamiglia e sofferenza come undifficile, ma possibile equili-brio, sostenuto dal tentativodi afferrare il senso dell’espe-rienza del soffrire. Con V.Frankl è possibile riconoscereche: “La risposta che l’uomosoffrente dà alla domanda sulperché della sofferenza, attra-verso il come egli la sopporta,è sempre una risposta muta,ma (…) è l’unica risposta cheabbia senso”6. Si tratta di untragitto doloroso, senza possi-bilità di scorciatoie o sostitu-zioni, per il quale nel limitec’è l’apertura offerta da unaccompagnamento discreto esignificativo.

6 V. FRANKL, Homo patiens. Soffrire con dignità (trad. dal tedesco), Queriniana, Brescia,2001, p. 129.

Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana - Onlus

Largo Francesco Vito, 1 – 00168 ROMATel. 06.3017820 Fax 06.35019182 E-mail: [email protected].

SCUOLA PERMANENTE RESIDENZIALEDI FORMAZIONE

PER OPERATORI CONSULTORIALI

CORSO MONOGRAFICOInfanzia, adolescenza, età adulta:

salute e malattia

Salesianum 26 – 29 gennaio 2006

DIRETTORI

Prof. Giuseppe NoiaPresidente della Commissione Scientifica

Prof. Avv. Raffaele CananziPresidente della Commissione Giuridica

Salesianum - Via della Pisana, 1111 - 00163 - RomaTel. 06.658751 - Fax 06.65875617

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122PROGRAMMA LEZIONI

Giovedì 26 gennaioOre 15,00 Apertura dei lavori

Saluti di benvenutoAvv. G. Grassani, PresidenteOn.le M.P. Garavaglia, Vice Sindaco di Roma

Presentazione del corsoDirettori della Scuola: G. Noia e R. Cananzi

Valore etico e pastorale del progetto di formazioneCoordinatore della Scuola: Don G. Grandis

Ore 15,15 INFANZIA: PROGETTO BAMBINO

Il bambino “soggetto”Docente: L. Nestola

Riflessione bioetica sull’infanzia da amare e da salvare: ruolo della famiglia e della scuolaDocente: A. Leocata

La maturazione psicodinamica nella prima infanziaDocente: L. Viana

Venerdì 27 settembreOre 8.45 ADOLESCENZA - SALUTE E SVILUPPO

Epidemiologia delle malattie a trasmissione sessuale e comportamenti a rischioDocente: A. Lucisano

Sviluppo adolescenziale e identitàCorporeità e sessualitàDocente: M.L. Di Pietro

L’educazione dell’adolescente tra dipendenza e autonomiaDocente: V. Orlando

Ore 15.00 Disagio e disadattamento nell’adolescenza: vecchie e nuove dipendenzeC. Climati

Adolescenza ed esperienza scolasticaAmicizia e gruppo dei pariDocente: E. Fainella

Ore 21.00 Tour guidato nella città di Roma

Sabato 28 gennaioOre 9,00 L’ETÀ ADULTA - SALUTE E MALATTIA

Questioni bioetiche di fine vita: accanimento terapeutico, eutanasia e donazione degli organiDocente: G. Gambino

123Salute, malattia e accompagnamento del morenteDocente: C. Navarini

L’educazione degli adulti: un aiuto per affrontare i processi di cambiamento del ciclo di vitaDocente: D. Simeone

Ore 15,00 GRUPPI DI STUDIOConduttori: i docenti relatori

Domenica 29 gennaioOre 9,00 Tavola rotonda:

INFANZIA, ADOLESCENZA, ETÀ ADULTA: SALUTE E MALATTIALA PROGETTUALITÀ CULTURALE COME GRANDE RISORSA DEI CONSULTORIPresiede: G. NoiaPartecipano: E. Fainella, G. Gambino, A. Leocata, L. Nestola,L. Viana

Pranzo di salutoAnnuncio del prossimo Corso

ISCRIZIONILa “Scuola Permanente Reidenziale di Formazione per Operatori Consultoriali”, di-retta dai professori Giuseppe Noia e Raffaele Cananzi, promuove un corso mono-grafico, che avrà luogo al Salesianum di Roma dal 26 al 29 gennaio 2006, sul te-ma: Infanzia, adolescenza, età adulta; salute e malattia, coordinato da Don Gian-carlo Grandis, consulente ecclesiastico della Confederazione.Il corso è in linea con l’obiettivo della Scuola, che è quello di formare chi operanei Consultori nel servizio alla persona, alla coppia e alla famiglia, addestrandoli aconiugare conoscenze, competenze e abilità con il paradigma dell’antropologia cri-stiana e a coltivare la relazione d’aiuto e di ascolto empatico. Il corso può essereproficuo anche a chi aspira a lavorare nei Consultori, nei centri di ascolto, di aiu-to o di servizio alla famiglia o negli organismi di pastorale familiare.Per chi ha frequentato il corso che si è svolto al Salesianum di Roma dal 14 al 18settembre 2005, quello attuale costituisce il secondo modulo previsto dal piano distudi, che è articolato, ai fini del conseguimento dell’attestato finale della Scuola,in tre cicli.Grazie all’organizzazione della Scuola in moduli tematici, caratterizzati da una spe-cifica ed organica proposta culturale, è possibile iscriversi a questo corso anchesenza aver frequentato il precedente.Gli interessati a conseguire l’attestato finale dovranno comunque frequentare i trecorsi indicati dal piano di studi, nella sequenza da loro prescelta.La Confederazione concede anche questo corso 60 borse di frequenza riservate aglioperatori dei Consultori familiari di ispirazione cristiana delel regioni Abruzzo Cam-pania, Lazio, Marche, Molise, Toscana, Umbria. A carico dei borsisti sono le solespese di viaggio e la quota di iscrizione (€ 50,00).Per gli altri iscritti, il costo dell’intero soggiorno, da versare direttamente al Sale-sianum, ammonta a € 132,00 in camera doppia e € 153,00 in camera singola,oltre la quota di iscrizione di € 50,00 da versare alla Segreteria della Confedera-zione.La quota di iscrizione e frequenza, per chi non ha necessità di alloggio, è fissatain € 100,00 (cento/00), comprensiva dei pasti, da versare alla Segreteria dellaConfederazione.

SchedeBibliografiche

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125In tutte e tre le ipotesi, le domande di iscrizione devono pervenire entro il 15 di-cembre 2005 a mezzo fax al 06,35019182 oppure via E-mail: [email protected].È previsto un tour turistico notturno guidato nella città di Roma

DIRETTORI DELLA SCUOLANOIA prof. Giuseppe, presidente Commissione ScientificaCANANZI avv. Raffaele, presidente Commissione Giuridica

COORDINATORE DEL CORSOGRANDIS don Giancarlo, Consulente ecclesiastico

DOCENTI CLIMATI Dott. Carlo, Addetto stampa Pontificia Università Europea “Regina

Apostolorum”DI PIETRO Prof. Maria Luisa, Associato di bioetica Università Cattolica - RomaFAINELLA Prof. Elda, Vicepresidente ConfederazioneGAMBINO Dr. Gabriella, Esperto scientifico Comitato Nazionale BioeticaGRANDIS Don Giancarlo, Consulente Ecclesiastico della ConfederazioneGRASSANI Avv. Goffredo, Presidente della ConfederazioneLEOCATA Prof. Antonino, Primario emerito di pediatriaLUCISANO Prof. Antonino, Professore Ostetricia e Ginecologia

Università Cattolica - RomaNAVARINI Dr. Claudia, Docente di Bioetica all’Università Europea - RomaNESTOLA Dott. Pantaleo, Pedagogista, Presidente Federazione LazioNOIA Prof. Giuseppe, Prof. Medicina Età Prenatale Università Cattolica - RomaORLANDO Prof. Vito, Ordinario di pedagogia sociale e sociologia Pontificia

Università Salesiana - RomaSIMEONE Prof. Domenico, Associato pedagogia generale Università di Macerata,

direttore “Consultori Familiari Oggi” VIANA Dott. Luciano, Psicologo, psicoterapeuta, presidente Federaz. Piemonte

INFORMAZIONILa Segreteria della Confederazione dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristianaè attiva dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle 13 - Tel. 06.3017820 - oppure, percomunicazioni urgenti, al n. 328.6242482

COMITATO ORGANIZZATORE Ing. Antonio Adorno, sig.ra Maria Bovolotto, avv. Raffaele Cananzi, don GiancarloGrandis, av. Goffredo Grassani, prof. Giuseppe Noia, dott. Giuseppe Pallanch, p.i.Giuseppe Zambarbieri.

ECMÈ stato richiesto l’accredimento ECMPer il precedente corso, il Ministero della Salute ha assegnato 32 crediti formati-vi per gli psicologi e 38 per i medici, biologi, ostetriche, infermieri.

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Il tema scelto per il nonoRapporto del CISF (Centro In-ternazionale Studi Famiglia) èdi grande attualità: si trattadel dibattito circa la necessitàdi rivedere le interrelazioni trafamiglia e lavoro al fine di ri-solvere le tensioni e i conflittiche esistono fra essi. Il cura-tore, Pierpaolo Donati, ricon-duce la relazione famiglia/la-voro al tema della cosiddetta«conciliazione» o riconcilia-zione tra i due termini delproblema.Il Rapporto del CISF si ponesulla scia delle analisi sino adoggi condotte che hanno per-messo di esplorare la famigliaitaliana per mostrarne granparte delle sfaccettature pos-sibili alla luce dei dibattiti piùrilevanti dal punto di vistaculturale e di politica sociale. All’interno di questo nonoRapporto gli autori propongo-no una visione «altra» dellaconciliazione tra famiglia e la-voro che non si limita a ri-chiamare la famiglia per te-matiche di emergenza, ma in-tende rilanciare una politicafamiliare di altro profilo chesappia coniugare famiglia eoccupazione professionale.I problemi non hanno a chefare soltanto con la questionedei tempi di lavoro e dei tem-pi di famiglia, certamente

densi di squilibri e tensionireciproche. È in gioco l’interae complessa relazione fra dueambiti di vita, la quale va in-quadrata, analizzata e affron-tata con interventi operativi inquanto relazione e non sem-plicemente in quanto sommadi esigenze di cura in famigliae di impegno professionalenel lavoro.La domanda chiave su cui ilrapporto si snoda è “perché ecome dobbiamo parlare diconciliazione?” e di seguito“come perseguire la concilia-zione?”. Il Rapporto offre unapanoramica dell’esistente,delle modalità con cui si cer-ca di risolvere questo proble-ma, delle «buone pratiche»,partendo dalla constatazioneche le famiglie contribuisco-no in modo sostanziale allacostituzione del capitale uma-no e sociale della nostra so-cietà.I legami familiari stabili cherendono possibili le attenzionie l’apprendimento reciprocofra generazioni sono una ca-ratteristica essenziale dellanostra civiltà. Ma è altrettan-to tipico dell’Occidente averinventato un mercato capitali-stico globale che sfida e con-suma proprio la sua risorsaprimaria, la famiglia. L’ag-gressività del mercato, la cor-

P. DONATI (a cura di), Famiglia e lavoro: dal conflitto a nuove sinergie.Nono Rapporto CISF (Centro Internazionale Studi Fami-glia) sulla famiglia in Italia, Edizioni Paoline, CiniselloBalsamo (Milano), 2005, pp. 448.

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128sa ai consumi e a livelli piùelevati di welfare, costringonooggi a chiedersi quali compitilegati alla cura dei figli o dialtri familiari o all’economiadomestica debbano essere as-solti in prima persona e qualisia invece possibile o più op-portuno delegare ad altri. Aquesti interrogativi non è pos-sibile dare un’unica risposta.L’importante è sapere chel’assunzione di compiti e re-sponsabilità richiede tempo,sia in termini di quantità chedi qualità: disponibilità e affi-dabilità costituiscono le fon-damenta delle relazioni fami-liari, che sono di cura (nelsenso di care) e di intercon-nessioni generazionali di piùvasto significato. Il tempo èperciò, nel contesto familiare,una risorsa centrale. Le diffi-coltà che esistono nel conci-liare vita familiare e vita pro-fessionale variano in funzioneanche del contesto in cui lefamiglie vivono (tipi di settoriproduttivi dei contesti, tipo diistruzione ricevuto, i servizi dicura, l’urbanistica), del sensoe dei significati attribuiti allafamiglia, alle generazioni, al-l’economia domestica.Nei capitoli iniziali l’articola-zione del rapporto pone in lu-ce due piani di discorso.Il primo è centrato sulla di-mensione culturale degli stilidi vita, sviluppato, in partico-lare negli interventi di Gian-carlo Blangiardo (capitolo II) eGiovanna Rossi (capitolo III).

Il secondo piano di discorsorecupera la dimensione strut-turale-organizzativa, messa inluce da Michele Tiraboschi(capitolo V) con l’illustrazionee il commento della riformalegislativa del mercato del la-voro (Riforma Biagi). Si pone in luce, inoltre, l’im-portanza degli studi sulle«buone pratiche» che, nelsettore pubblico e privato, de-scrivono opportunità reali diconciliazione (trattati nel ca-pitolo IV di Riccardo Grandinie nel capitolo VIII di France-sco Belletti).Un capitolo apposito, il VII, diMauro Paladini, affronta il te-ma del lavoro domestico(compiuto da terzi) secondo ilpunto di visto giuridico, parti-colarmente sfavorito e pocoriconosciuto.Nelle attuali condizioni dicambiamento sociale, quelledi una società delle reti cheva globalizzandosi, vita fami-liare e vita professionale nonsono più due mondi ben deli-mitati, con caratteristiche op-poste e ruoli ben definiti. Lasfida attuale sta piuttosto neltrovare costantemente nuoviequilibri tra gli interessi e leesigenze di questi due ambitidi vita che si vanno continua-mente ridefinendo al loro in-terno, attraverso processi chesono fatti di transizioni preca-rie, di incertezze normative,di una continua morfogenesidelle forme di vita e di lavoro.Il rapporto si schiera decisa-

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129mente per un assetto societa-rio del welfare che abbia co-me criterio-guida quello dellasussidiarità. Per favorire unasimile soluzione della «conci-liazione» tutti gli attori devo-no assumere tale prospettiva:governi centrali e locali, im-prese, sindacati, associazionidel terzo settore e di privatosociale, associazioni familiari

in particolare. È la loro rete adoversi impegnare per crearecondizioni strutturali e cultu-rali che consentano alle per-sone di dedicarsi alla fami-glia, nel rispetto delle oppor-tunità tra i sessi e della reci-procità fra le generazioni.

Stefano Bonometti

Gli autori di questa intensa ri-flessione operano nel campodella ricerca relativa all’infan-zia e all’adolescenza. Entram-bi sono convinti del fatto chel’ascolto autentico rappresen-ti l’aiuto migliore da offrire alnumero sempre maggiore digiovani che vivono situazioniesistenziali difficili. Preoccu-pati della richiesta di aiuto incostante aumento a loro rivol-ta, si sono posti di fronte alproblema della reale entità edelle cause del massicciodiffondersi delle patologiepsichiche tra i giovani. L’o-biettivo qui dichiarato li hacondotti alla scoperta di undiffuso malessere, di un’origi-

nale tristezza che attraversatutte le fasce sociali. Secondoi due studiosi, viviamo inun’epoca dominata da quelleche Spinoza denominava“passioni tristi”: un sensopervasivo di incertezza e difrustrazione, che spinge achiudersi in se stessi, a per-cepire il mondo come minac-cia costante, alla quale è pos-sibile rispondere insegnandoai propri figli la gioia del faredisinteressato, dell’utilità del-l’inutile, del piacere di colti-vare i propri talenti senza finiimmediati. Si tratta, in ultimaanalisi, di un invito ad aprirenuove piste per nuove prati-che cliniche.

M. BENASAYAG, G. SCHMIT,L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2004, pp. 131.

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Il volume, frutto dell’ampiaesperienza dell’autrice comepresidente della Commissioneper le adozioni internazionali,costituisce un valido strumen-to per la conoscenza delle ca-ratteriste attuali del processodi adozione internazionale,delle norme che lo regolano,della “filosofia” che lo sostie-ne. Dopo una breve storia del-l’adozione in Italia e una rapi-da, ma efficace presentazionedella normativa di riferimentoviene presentato il percorsodell’adozione internazionalenei suoi aspetti principali.Nella seconda parte vengonopresentate le istituzioni coin-volte (il Tribunale per i mino-renni, i Servizi territoriali, gliEnti autorizzati, la Commis-sione per le adozioni interna-zionali) e i loro compiti in ri-ferimento al processo adotti-vo. Nella terza parte del volu-me sono svolte alcune consi-derazioni sulla cultura dell’a-dozione internazionale nel no-stro paese, ne vengono illu-strati i limiti e vengono avan-zate proposte di cambiamentodella normativa vigente. Nel-l’ultima parte sono presentatealcune questioni particolarirelative alle diverse fasi delprocesso di adozione attraver-

so le e-mail giunte alla Com-missione per le adozioni inter-nazionali e le relative rispostedella Presidente della mede-sima Commissione.Il volume presenta in modochiaro ed efficace gli aspettirilevanti dell’adozione inter-nazionale; descrive schemati-camente, ma in modo esau-stivo, il percorso dell’adozio-ne internazionale dalla “di-chiarazione di disponibilitàall’adozione” all’incontro con“il figlio venuto da lontano”;avanza proposte concrete dimiglioramento della normati-va attualmente in vigore, masoprattutto delinea alcuniprincipi fondamentali che do-vrebbero guidare l’adozioneinternazionale (il principio disussidiarietà, la priorità del-l’interesse del minore, la soli-darietà con il,paese di originedel minore, ecc…).Per tutte queste ragioni il vo-lume può essere un’utile«guida» per le coppie che siavvicinano all’adozione inter-nazionale e al tempo stessoun valido strumento di lavoroper gli operatori del settorechiamati, a diverso titolo, adinteragire con i genitori adot-tivi.

Domenico Simeone

M. CAVALLO,Figli cercasi. L’adozione internazionale: istituzioni, leggi,casi, Bruno Mondadori, Milano, 2005, pp. 224.

Nelle prime battute del volu-me, C. Sità afferma: “Le azio-ni educative rivolte ai nucleifamiliari costituiscono un te-ma ancora poco approfonditonegli studi pedagogici”. Deli-neato l’ambito entro il quale illavoro intende collocarsi, laprecisazione non pone in dub-bio il riconoscimento delle fi-nalità di valorizzazione e dipromozione delle responsabi-lità genitoriali quali obiettiviprioritari sia per la riflessionescientifica pedagogica sia perla normativa attuale nel no-stro Paese. L’attenzione crescente e l’in-teresse condiviso per una te-matica che rappresenta unagrande sfida del tempo pre-sente, tuttavia, trovano i lorolimiti speculativi ed applicati-vi di fronte alla complessitàche deriva dalla precisazionedell’idea di famiglia, dall’i-dentificazione delle azioni disostegno e dalla valutazionedei modelli di intervento edu-cativo. Escluso, quindi, un in-genuo quanto sterile tentativodi sistematizzazione, l’autriceaccosta il complesso quadrodi indagine rintracciando nel-la prospettiva fenomenologicala chiave interpretativa attra-verso la quale offrire un con-tributo alla comprensione delsignificato e dei presupposti

pedagogici di sostegno allagenitorialità.Nel lavoro orientato da sensi-bilità educativa, prevale unaconcezione della famiglia co-me soggetto sociale portatoredi specifiche risorse. In que-sto senso, le azioni educativenon sembrano vanificarsi difronte all’identità plurale del-le famiglie contemporanee,cui in modo incerto possonocorrispondere nuovi modelli,ma guadagnano il propriosenso e ambito di interventonel riconoscimento e nellapromozione della soggettivitàdelle famiglie stesse. Alla luce di tale prospettiva, ilvolume prende avvio con l’in-tento di rispondere ad alcuniquesiti di fondo: chi sono lefamiglie di oggi? Come vivo-no, quali sono i significati checostruiscono nella loro vitaquotidiana? Di quali bisognisono portatrici e quali risorsesono in grado di attivare? In particolare, nei primi duecapitoli del volume, dopo averinquadrato la condizione ge-nitoriale nella società con-temporanea anche sulla basedelle coordinate legislative at-tuali, l’autrice procede allaprecisazione dei concetti dicui intende avvalersi per unalettura pedagogica del soste-gno alla genitorialità. Anzitut-

CHIARA SITÀ, Il sostegno alla genitorialità. Analisi dei modelli di inter-vento e prospettive educative,La Scuola, Brescia, 2005.

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L’uomo, inteso come unità-complessità biologica di men-te e corpo, vive e si rapportaattraverso differenti forme dimotricità nell’ambiente fisicoe relazionale. A partire daquesto presupposto, la comu-nicazione corporea è posta alcentro di questa complessa,interessante riflessione in me-rito alla codifica ed alla deco-difica dei messaggi prove-nienti dal corpo. Il linguaggionon verbale, collegato, ap-punto, agli svariati movimentiche le nostre membra produ-cono, aiuta a comunicare i

nostri sentimenti ed i nostristati d’animo, completandoaltre forme comunicative,quelle linguistica in primis. Èpossibile decidere di non co-municare verbalmente, manon è possibile evitare dimandare messaggi, più o me-no consapevoli, tramite il cor-po. Ogni essere umano è,quindi, chiamato ad integrarequeste due dimensioniespressivo-comunicative, chesi intersecano all’interno del-la sua vita quotidiana, a favo-re di un’autentica espressi-vità, che ci unisce al mondo.

F. CASOLO, S. MELICA, Il corpo che parla. Comunicazione ed espressività nelmovimento umano, Vita & Pensiero, Milano, 2005, pp. 235.

to, dall’esame delle idee diprevenzione e promozione,della cultura alla domicilia-rità, del ben-trattamento, del-l’empowerment e della parte-cipazione si ricava una conce-zione del sostegno inteso adattribuire la centralità deisoggetti, in virtù delle lorocompetenze e responsabilità.In secondo luogo, il ragiona-mento è rafforzato dall’impie-go di alcune categorie peda-gogiche quali determinazionicostitutive per l’esame dellerisorse familiari. Il tempo, lospazio e la relazione, pertan-to, sono nuclei teorici fonda-mentali in cui si specificanola progettualità, la responsa-bilità, la cura, la generatività,il dono, la soggettività pubbli-ca e politica della famiglia.Nei capitoli successivi, il pro-posito dell’autrice è quello diprocedere alla luce degli ele-menti teorici acquisiti verso laconcretezza di progetti attua-ti. In questa direzione il ragio-namento mira a rintracciare lerisposte ai seguenti interroga-tivi: quali sono le risorse rico-nosciute da parte dei servizisocio-educativi alla famiglia

nello svolgimento della suafunzione genitoriale? In chemodo tali risorse sono assun-te nei progetti di sostegno?Come si delinea la relazionetra famiglie e operatori? Diquesti ultimi, quali compe-tenze emergono? Il lavoro di ricerca propostocon l’analisi degli interventidi sostegno ha la propria ra-zionalità pedagogica non tan-to nella scelta delle metodolo-gie adottate dagli operatoriquanto nei modi in cui il sog-getto-famiglia viene assuntonei progetti presi in esame. Atal fine l’autrice struttura ilproprio disegno di ricerca at-traverso la precisazione degliobiettivi, la giustificazione delcampione prescelto, la pre-sentazione degli strumenti diraccolta delle informazioni.Con l’approfondita analisi teo-rica e con l’articolata propo-sta del percorso di ricerca ilvolume di C. Sità si configuracome una ricca riflessione pe-dagogica in virtuosa circola-rità tra la teoria e le pratichein merito al sostegno alla ge-nitorialità.

Livia Cadei

Comunicatodella presidenza

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Destinazione della quota del 5 per mille dell’imposta sul redditodelle persone fisiche

La legge 23 dicembre2005 n. 266, articolo 1,comma 337 (c.d. legge

finanziaria) ha previsto perl’anno 2006, a titolo inizialee sperimentale, fermo restan-do quanto già dovuto a titolodi imposta sul reddito dellepersone fisiche, che una quo-ta pari al 5 per mille di taleimposta sia destinata in basealla scelta del contribuente alsostegno del volontariato edelle altre organizzazioni nonlucrative di utilità sociale(ONLUS), nonché delle asso-ciazioni di promozione socia-le, oltrechè delle associazionie fondazioni riconosciute cheoperano nei settori dell’assi-stenza sociale e socio-sanita-

ria, dell’assistenza sanitaria,della beneficenza, dell’istru-zione della formazione e dellosport dilettantistico.Tale quota si aggiunge a quel-la dell’8 per mille a favoredella Chiesa Cattolica.Onde beneficiare di tale nuo-va disposizione normativa edal fine di reperire risorse perl’attuazione degli scopi istitu-zionali, la Confederazione Ita-liana Consultori Familiari diIspirazione Cristiana - ONLUS,entro il termine stabilito del10 febbraio 2006, ha presen-tato regolare domanda diiscrizione nell’elenco dei sog-getti destinatari della sopra ri-chiamata disposizione norma-tiva.

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138Conseguentemente, si eviden-zia che ogni contribuente po-trà indicare nella propria di-chiarazione dei redditi il codi-ce fiscale della Confederazio-ne (97092240585), al finedi destinare in modo diretto -ad un soggetto del quale ilcontribuente stesso condividagli specifici scopi istituzionali- la quota del 5 per mille del-la propria imposta.Alternativamente, lo stessocontribuente potrà destinare

tale quota ad una Federazioneregionale o ad un Consultorioaderenti alla nostra Confede-razione, che abbiano presen-tato analoga domanda.Ringraziamo fin d’ora tutti co-loro che, sensibili alle finalitàdella nostra Confederazione edelle sue associate, vorrannoprofittare di tale opportunitàapportando il proprio contri-buto sia direttamente, siapromuovendo tale iniziativapresso terzi.

Note redazionali

1. Gli articoli vanno inviati al seguente indirizzo:Domenico SimeoneUniversità Cattolica del Sacro CuoreVia Trieste, 1725121 BRESCIAcorredati dal relativo file di Word per Windows su supporto magnetico, oppure possono essere inviati al seguente indirizzo di posta elettronica: [email protected].

2. L’articolo dovrà essere accompagnato da: indirizzo pubblico o privato dell’autore, ente di apparte-nenza, qualifica, numeri di telefono o di fax, indirizzo di posta elettronica.

3. Criteri per la presentazione degli articoli:a) usare carattere Arial, corpo 12, interlinea 2, allineamento giustificato;b)usare il tasto enter (a capo) soltanto per i cambi di paragrafo;c) non usare comandi di sillabazione, stili o macro;d)non usare doppi spazi per allineare o far rientrare il testo;e) il titolo dell’articolo dovrà essere scritto in grassetto;f) usare i seguenti modi di subordinazione del testo: titolo grassetto tondo, titolo grassetto corsi-

vo, titolo tondo, senza numerazione;g) negli elenchi usare la seguente gerarchia: numeri seguiti da un punto: 1.; lettera minuscola segui-

ta da parentesi chiusa: a); lineette medie: -;h)dopo i segni di punteggiatura lasciare sempre uno spazio; non si devono invece mettere spazi pri-

ma dei segni di interpunzione, dopo una parentesi aperta e prima di una parentesi chiusa;i) nel citare i passi direttamente da un altro autore porre all’inizio e alla fine della citazione le vir-

golette “…” e, nel caso di omissioni all’interno di un brano, indicarle con […];j) le citazioni in nota a piè di pagina vanno redatte secondo i seguenti criteri:

- citazione da libriIniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore in maiuscoletto seguito dalla virgo-la, titolo del volume in corsivo seguito dalla virgola, casa editrice, luogo e anno di edizione, intondo e separati da virgole, eventuale indicazione della pagina (p.) o delle pagine di riferimento(pp.) seguite dal numero.Esempio: L. PATI, Progettare la vita. Itinerari di educazione al matrimonio e alla famiglia, La Scuola,Brescia, 2004, pp. 36-37.

- citazione da rivisteIniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore in maiuscoletto seguito dalla virgo-la, titolo del contributo in tondo e tra virgolette “…” seguito dalla virgola, in titolo della rivistaper esteso in corsivo seguito dalla virgola, anno di pubblicazione seguito dalla virgola, numerodella rivista in corsivo seguito dalla virgola, indicazione della pagina (p.) o delle pagine di riferi-mento (pp.) seguite dal numero.Esempio: G. NOIA,“L’embrione: il figlio sconosciuto”, in Consultori Familiari Oggi, 2003, 2-3, pp. 27-41.

- citazione da volume collettaneoIniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore in maiuscoletto seguito dalla virgo-la, titolo del contributo in tondo e tra virgolette “…” seguito dalla virgola, in iniziale puntata delnome e cognome per esteso del curatore del volume in maiuscoletto seguito dall’indicazione (acura di) e dalla virgola, titolo del volume in corsivo seguito dalla virgola, casa editrice, luogo eanno di edizione, in tondo e separati da virgole, eventuale indicazione della pagina (p.) o dellepagine di riferimento (pp.) seguita dal numero.Esempio: A. SERRA,“Sessualità: natura e cultura”, in N. GALLI (a cura di), L’educazione sessuale nel-l’età evolutiva,Vita e Pensiero, Milano, 1994, pp. 23-66.

- in caso di opere già citate precedentemente indicare soltanto l’autore, il titolo del volume o delcontributo e le pagine di riferimento.Esempio: L. PATI, Progettare la vita. Itinerari di educazione al matrimonio e alla famiglia, pp. 36-37.

In copertina rielaborazione del dipinto “Famiglia d’acrobati con scimmia” di Pablo PicassoGöteborg, Konstmuseum