imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo...

170
imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1

Transcript of imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo...

Page 1: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1

Page 2: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 2

Page 3: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Settore

Politiche Educative

Aulo Crisma

PARENZO Gente, luoghi, memoria

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3

Page 4: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4

Page 5: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Presentazione di Andrea Ferrazzi

Introduzione di Valeria Frigo

PARENZOGente, luoghi, memoria

Verso la libertà Ritorno a PorecUna famiglia numerosa Il forno di Piero Cogheto Steno In Via Carducci Fora le Porte In Strada Granda Le RiveIl porto Mularìa di Marafor Il Ricreatorio Forza e Valore Giochi di bimbi La morte in divisa da balilla Il giardino del Vescovo I pretini della cattedrale Studenti Romoletto El sinter La Gobasilo Rodolfo Valenta, il centauro a tre ruote

9

11

17192129343946485254596164656869717577798183

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 5

Page 6: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

El mato Calussi Il professor Pighetti Musina Nato Vola Nicoleto Nassavecia Pasqualin Totalina Piero Fassina Zuane Don Antonio Sulle dighe Feste di Pasqua Via Tartini Cinema teatro Verdi 8 settembre 1943. El ribalton L’occupazione tedesca Al bagno Ritornano i Titini Profugo a casa sua Anche i morti traslocano Parentini e parenzani esuli

Glossario

Biografia

Postfazione di Alessandro Scarsella

Documentazione fotografica

858992959799

102107109114117119122124127132135139140141

147

151

155

162

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 6

Page 7: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 7

Page 8: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

8

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 8

Page 9: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Presentazione

La legge del 30 marzo 2004 n. 92 istituisce il Giorno delRicordo individuato nel 10 febbraio di ogni anno perconservare e rinnovare la memoria della tragedia dellevittime delle foibe e dell’esodo dalla loro terra di istriani,fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e nell’ambitodella complessa vicenda del confine orientale.Sin dall’istituzione del Giorno del Ricordo, l’Assessoratoalle Politiche Educative tramite gli Itinerari Educativi hainserito nella programmazione una proposta rivolta allescuole superiori per far conoscere quelle vicendestoriche, consapevoli di una doppia necessità, da unaparte entrare nel merito di vicende controverse che nonsono diventate ancora oggetto di memoriacondivisa,dall’altra il dovere civile e morale di farconoscere ai nostri giovani fatti storici per troppo tempotaciuti fornendo loro testimonianze, documenti, letture,vere e proprie lezioni di storia; insomma, strumenti percapire, per cominciare a leggere la complessità storica aldi là di falsi schematismi o posizioni ideologiche.Questo testo, che raccoglie la testimonianza di vita di unesule giuliano, Aulo Crisma, è uno strumento preziosoper capire come la normale vita di un giovane di allorapotesse essere totalmente sconvolta e sradicata dalluogo di origine.Una testimonianza preziosa che ci fa capire in mododiretto una tragedia storica a noi vicina e l’importanzadel dialogo tra le genti.

Andrea Ferrazzi

Assessore

alle Politiche Educative

9

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 9

Page 10: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 10

Page 11: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Introduzione

Il normale svolgimento in una scuola di un itinerario cheaffronta un tema difficile e ancora controverso, la tragediadelle foibe e l’esodo delle popolazioni istriane, giuliane e dalmate.L’approccio scelto come Itinerari Educativi è quello di accostarsi a quel dramma a lungo rimosso ascoltandole voci di letterati, poeti, storici.Alessandro Scarsella inquadra dal punto di vista storicoe letterario gli avvenimenti e i brani scelti, Maria PiaColonnello con la consueta bravura di attrice legge i testi riuscendo a catturare l’attenzione degli studenti.Ma ad un certo punto accade qualcosa di imprevisto,l’insegnante inaspettatamente mette in gioco i suoiricordi personali di figlia di un esule giuliano e i suoiinterventi fanno da contrappunto a quelli degli esperti.È vita vissuta raccontata con emozione profonda; i ragazzi,tutti, hanno uno scatto di attenzione, colgono i sentimentiprofondi della loro insegnante e ne sono partecipi.Improvvisamente quelle vicende storiche lontane si incarnano in persone concrete, nelle loro storie e sofferenze.Con la pubblicazione di questo testo di Aulo CrismaParenzo. Gente, luoghi, memoria noi speriamo di riuscirea trasmettere quelle emozioni a tanti altri giovani,consapevoli che dopo l’emozione servono il ragionamentoe la conoscenza storica.L’autore non ha scritto il suo libro appositamente per noi,in realtà il testo era già pronto; penso, immagino, l’abbiascritto prima di tutto per se stesso, per fissare i puntisalienti di una storia difficile e senz’altro l’avrà scritto per i suoi familiari, per i suoi nipoti, per lasciare loro la sua storia, ma credo sarà contento dell’uso cheintendiamo farne rivolgendoci a tanti studenti e ai giovaniin generale.Un’ultima annotazione, non secondaria, l’autore è il padredell’insegnante protagonista dell’episodio qui raccontato.

11

Valeria Frigo

Responsabile

dei Servizi di

Progettazione Educativa

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 11

Page 12: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

12

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 12

Page 13: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Dedico questo libro a mia moglie Mariache mi ha lasciato fare quasi tutto ciò che volevo,ai miei cari figli Amina e Marcoe ai miei carissimi nipoti Luca e Irene

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 13

Page 14: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

14

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 14

Page 15: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

PARENZO Gente, luoghi, memoria

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 15

Page 16: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

16

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 16

Page 17: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Verso la libertà

Una leggera bava di garbin increspava l’acqua facendolascintillare al chiaro sole di maggio. Il pisspaiss filavafinalmente fuori dal porto. Comincio a respirare piùtranquillo. Riempio i polmoni con grande piacere, come sel’aria fosse diventata improvvisamente diversa, inebriante.E anche l’umile peschereccio, che da solo è rimasto alposto dei vaporetti Nesazio e Salvore e della motonaveSan Giusto per collegare Parenzo a Trieste, sembra fierodel suo nuovo ruolo avanzando lesto sui flutti. Pochi minuti prima era ancora attraccato alla banchinain vicinanza del molo. Un gendarme della milizia titinanon dava il benestare alla partenza. Con in mano il miolasciapassare che mi concedeva di trasferirmitemporaneamente a Trieste per ragioni di studio, volevaappurare se questo viaggio era dovuto esclusivamenteal motivo indicato sul documento. Ispezionando conmolta flemma le valigie, aveva preso in mano i libri, tuttidi scuola, uno per uno, sfogliandone le pagine. Chi sacosa stesse cercando. Messaggi clandestini agli esuliche già avevano tagliato la corda? Non si dava per vintoe continuava il suo puntiglioso esame. “Che cos’è questo?“ mi domanda con piglio severo.Aveva puntato il dito sulla prima pagina di un testo diOrazio dove apparivano due minuscoli rettangolini, unodi colore rosso e uno di colore verde, staccati di mezzocentimetro. “Che cosa significa questa bandiera?“Che bandiera?” faccio io mostrando meraviglia. “Questa xe bandiera tagliana…”“Macché bandiera italiana. Non vede che non c’è il biancoin mezzo?”.“Xe bianco de pagina”.“Le pare bianca la pagina? A me non sembra propriobianca. Il libro è vecchio. Pensi che lo adoperavano imiei fratelli che hanno quindici anni più di me”.“Par mi xe bandiera tagliana. Cossa vol dir? Chi ga fatobandiera? Ti?”.“Sono stato io, sì”. “Parché?”.

17

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 17

Page 18: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

La discussione diventava un interrogatorio. Il milizianoera intenzionato a smascherare un pericoloso nemicodel popolo. Il capobarca dava ogni tanto un’accelerata almotore, che era acceso da più di trenta minuti, per farcapire che l’ora della partenza era passata da un pezzo.Gli altri passeggeri erano anche loro impazienti. “Vede? Mia zia mi ha regalato una penna a colori e hovoluto provarla”.“Dove xe pena?”.“È qui, in questo astuccio” gli rispondo estraendo l’oggettoincriminato. E gli faccio vedere come funziona: muovendodelle levette laterali si fanno uscire le mine colorate. Oral’attenzione va tutta sulla lucente penna metallica. “Xe de argento?”.“No. È d’oro” arrischio scherzando “ma de cluca”.Il poliziotto resiste alla tentazione di sequestrarmela. Mipermette di riporre nella valigia i libri sparsi sulcoperchio del boccaporto e soggiunge:“Altra volta pitura tua bandiera con blu in posto di verde”.‘Stai fresco, quella non è la mia bandiera’, dico tra me. E ad alta voce: “magari con una bella stella rossa sulbianco”. “Via. Barca può partire”.La barca finalmente, sciolti gli ormeggi, si stacca dallabanchina. Penso al regalo di gnagna Olimpia, al piccolotricolore dipinto sulla pagina del libro delle Satire e delleEpistole, ad Orazio, al vecchio professor Cumin che ce lodeclamava a memoria e commentava con pateticoentusiasmo. “Ibam forte via sacra…”. Anch’io andavovia forte, per caso, per un caso fortuito, legato a un “sì”pronunciato fuori dai denti da una guardia titina. Va’, pisspaiss, corri veloce, portami a Trieste. Volgo losguardo indietro. Osservo il campanile della basilicaeufrasiana rimpicciolirsi sempre di più. Addio Parenzo.Un ragazzo di neanche vent’anni ti abbandona senzarimpianto. Ha tutta una vita davanti a sé. Ha la libertàche si schiude piena di promesse in un chiaro mattinodel maggio 1946.

18

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 18

Page 19: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Ritorno a Porec

Vent’anni dopo avere lasciato Parenzo, vi ritorno per farvedere a mia moglie e ai miei figli dove “il mio corpofanciulletto giacque”. Già durante il viaggio in 850 daTrieste, sulle montagne russe delle strade dissestatedell’interno dell’Istria, nell’estate del 1966, vedendocampagne incolte, casolari abbandonati avverto unsenso di frustrazione. Attraversiamo piazza Cimarè semideserta per andare alcimitero a salutare i miei morti. Nella tomba sovrastatada una grossa croce di pietra riposano mio padre, miasorella Italia e mia nonna paterna. Fa una certaimpressione vedere il camposanto disseminato dinumerose stelle rosse issate su pali a capo delle tombe.Siamo in piena era atea e comunista. E i morti comunistirestano comunisti anche dopo morti. In quella che era stata via Carducci indico a moglie e figlila mia casa. Esiste ancora il forno costruito da mio padre.Un forno a legna che cuoceva ad ogni infornata il paneconfezionato con un quintale di farina. Anche treinfornate al giorno di buon pane fragrante. Ora quelli cheoccupano la mia casa cuociono cialde per gelati. Sonogentili e ci fanno entrare. In via Carducci non incontronessun compaesano e neanche nella vicina piazzaForaleporte. Quasi tutti i parenzani se ne sono andati, perrimanere italiani o, forse, per non dover diventare slavi,per non sottostare alla dittatura comunista. Nel pomeriggio camminiamo per Strada Granda daForaleporte a Marafor, da un capo all’altro dellapenisoletta che conserva la pianta dell’accampamentoromano di duemila anni fa, con la Decumana attraversatadal perpendicolare Cardine Massimo. In piazzadell’orologio e sulle rive ci sono ancora i vuoti provocatidall’ultimo bombardamento delle fortezze volanti del 25aprile 1945. A guerra ormai finita i titini, non si sa conquale pretesto,volevano far radere al suolo un’intera città. Rivedo strade, piazze, case che conosco ad una ad una.Nella mente mi si affollano i volti delle persone cheavevano abitato quelle case, che incontravo ogni giorno,che sentivo parlare nel colorito dialetto istriano, che ora

19

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 19

Page 20: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

ricordo dolcissimo. Ed ora quelle case svuotate dei lorolegittimi abitanti sono come corpi eviscerati e privi diidentità. Tra le pareti di quelle case ora risuona un’altralingua. Trst je nass, Trieste è nostra, avevano gridato i partigianidi Tito calando dal Carso per impossessarsi delcapoluogo giuliano dopo che i tedeschi se ne eranoandati. Lo hanno tenuto per quaranta giorni, la famosaquaresima titina. Gli alleati li hanno costretti adabbandonarlo e lasciarlo nelle loro mani. Porec je nass, Parenzo è nostra, possono dire ancoraoggi gli slavi vincitori. Io non sono ritornato a Parenzo.Sono ritornato a Porec, una città estranea, una cittàstraniera, con un nome che mi sa di ingiuria. Mi sentivosvuotato dentro. Mi pareva di avere perduto la terra sucui posare i piedi. Avevo perduto la terra in cui ero nato,dove avevo trascorso un’infanzia serena, una giovinezzaspensierata. Stetti così male che sarebbero passati altrivent’anni prima che ritornassi a Parenzo che non era piùParenzo. Era Porec.

20

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 20

Page 21: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Una famiglia numerosa

La mia era la famiglia più numerosa di Parenzo. Miamadre aveva ricevuto dal podestà un nastro azzurro contredici minuscoli fiocchi d’argento, corrispondenti alnumero dei figli partoriti. Una sola volta l’avevo vistafregiarsi il petto di quel riconoscimento, sollecitata dallefiglie, in occasione di una festa nazionale. Una gemellaera morta pochi mesi dopo la nascita. Quando qualcunomi chiedeva quanti fratelli eravamo io dicevo dodici, chemi pareva una quantità già abbastanza consistente e chemi permetteva di classificarmi undicesimo senza doverdare complicate spiegazioni. Il nonno di mio padre aveva trascorso sette anni nellamarina austriaca e faceva il cuoco. Una volta congedato hacontinuato a preparare pranzi per banchetti vari e dimatrimonio, guadagnandosi il soprannome di Cogheto,piccolo cuoco, che ha lasciato in regalo a tutti i discendenti.Mio padre Santo vulgo Pietro Crisma, universalmenteconosciuto come Piero Cogheto, faceva l’agricoltore. Eraproprietario di una campagna nelle vicinanze diMonghebbo, a quasi sei chilometri da casa. Non eragrande di statura, ma robusto e formidabile lavoratore. Luizappava due filari di viti mentre un suo aiutante nellostesso tempo a malapena arrivava in capo ad uno. Ed eraanche un bravo ballerino. Alla sagra in un villaggio slavoaveva osato danzare con una ragazza del posto. Il suofidanzato lo aveva rincorso fin quasi a Parenzo. Parenzo, al tempo della dominazione austriaca, era unacittadina tranquilla e operosa. Prima che arrivassel’elettricità il gasometro forniva il gas per l’illuminazionepubblica e delle case. Aveva regolari collegamenti permare con Venezia, Trieste e Pola. Nel 1913 la ferrovia ascartamento ridotto, la “Parenzana”, la collega a Triestein sei ore di viaggio. “E anche ’l tram de Òpcina ze natodisgrassià, vegnendo zo de Scòrcola el se ga ribaltà.Bona de Dio che iera giorno de lavor, e dentro no gheiera che ’l povero frenador..”. recita una vecchia canzonetriestina. Anche la Parenzana “se ga ribaltà” investitadalle raffiche di bora nel vallone di Muggia. Hannodovuto zavorrare i vagoni per ovviare all’inconveniente.

21

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 21

Page 22: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Vent’anni dopo la ferrovia cessava di vivere. Le corrieredell’INT, che erano molto più veloci, l’avevanosoppiantata. I circoli sportivi e la società di canottaggioerano centri di irredentismo. Mio padre era di palesisentimenti italiani. Ad un figlio aveva dato il nome diUmberto, una figlia l’aveva chiamata Italia. Allo scoppiodella prima guerra mondiale fu richiamato alle armi inartiglieria il 26 luglio del 1914, giorno di Sant’Anna.Aveva trentotto anni, una moglie dalla forte tempra, seifigli e un settimo in arrivo. Da poco aveva costruito unforno per cuocere il pane dei contadini che allora se loconfezionavano in casa. Prima di partire avevaprovveduto due carri stracarichi di legna. I suoisentimenti italiani lo portarono a Pisino, Budapest e inGalizia, sgnacà nella fortezza di Przemysl, sul fronterusso. Pasqualin Totalina, che forse non aveva maipensato di essere italiano e tanto meno dimostrato diesserlo, il suo servizio militare lo svolgeva a casa sua, aParenzo, a guardia sul molo prendendositranquillamente del “mona” da Nazario Sauro durante labeffa giocata agli austriaci, come sarà raccontato inseguito. Dopo il lungo assedio, invece, i soldati del fortenon avevano più neanche i topi per sfamarsi e furonocostretti ad arrendersi ai Russi. Mio padre, dopodiciassette giorni di tradotta, arrivò in Siberia. Lavorava in miniera. E l’inverno era, naturalmente,siberiano, con temperature di quaranta gradi sotto zero.Intanto nel ’17 arrivò la Rivoluzione d’Ottobre. Iprigionieri di guerra furono messi in libertà. Da ragazzino mi piaceva aprire l’atlante geografico e farmiraccontare la lunga avventura russa da papà. Il suo ditoscorreva veloce sulla carta geografica e si soffermava aindicare le varie località incontrate sul percorso. Dopoinnumerevoli giorni di viaggio arrivò a Porto Arcangelo,sul Mar Bianco. Aveva sentito che da lì sarebbe potutoritornare a casa. Gli proposero di arruolarsi con altriitaliani per combattere contro l’Austria. Alcuni siimbarcarono su una nave, altri rimasero a terra peraspettare un altro imbarco, che non arrivò mai. AdArcangelo si può leggere il giornale a mezzanotte senzabisogno di luce artificiale, mi diceva. Mi raccontò che in unpaese sul Volga le donne facevano il bagno nel fiume consolo il seno coperto. Molti anni dopo un vecchio

22

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 22

Page 23: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

documentario trasmesso in televisione testimoniava lostesso fatto. E mi raccontava che faceva il garzone di unmacellaio e a cavallo portava la carne nei villaggi. Fece anche il fornaio e si adattò a sbrigare qualsiasilavoro cercando sempre di avvicinarsi ad un portod’imbarco. Nei suoi spostamenti continui arrivò anche aMosca. Si trovò più volte in pericolo di vita durante gliscontri tra bolscevichi e russi bianchi. I bolscevichi neicomizi spiegavano alla gente sbalordita che Dio nonesiste. Gli avversari invece volevano far capire cos’è ilcomunismo con esempi concreti, come questo: se tutagli la legna sopra un ceppo e tieni in mano la scure,quando la sollevi per poi dare il colpo, il comunismo tidice: “dài” per aiutarti a fare lo sforzo. In realtà non tiaiuta un bel niente. La fatica è tutta tua. Poi con la Transiberiana raggiunse Vladivostok sperandodi poter far ritorno in famiglia da quella parte. Nulla dafare. Ritornò indietro e arrivò ad Odessa. Qui finalmentepoté imbarcarsi su una nave francese e sbarcare aBrindisi. Rimise piede a casa il 13 giugno 1919, giorno diSant’Antonio di Padova. Era rimasto assente per quasicinque anni. “Ora capisco perché mamma era tantodevota a Sant’Antonio che le ha reso suo marito”,rammenta mio fratello Santo. Riabbraccia la moglie Catina e i figli. Ne aveva lasciatisei ed ora sono sette e tutti ben cresciuti: Antonio,Steno, Amelia, Umberto, Italia, Romilda e Ottilia. Poiarriva la schiera del dopoguerra: le gemelle Bianca eBruna (che vivrà per soli cinque mesi), Maria, Santo,Aulo, che sono io, e Liliana che chiude la lunga fila.Papà è felice quando ha tutti i figli attorno, e pure imariti delle figlie sposate, in occasione delle festenatalizie. Steno suona la fisarmonica, Nino, marito diAmelia, lo accompagna con la chitarra, Sereno, maritodi Romilda, si esibisce alla batteria. Mamma e papàfanno un giro di valzer sotto gli occhi divertiti dei figli. Con l’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale,l’Austria aveva costituito a Parenzo una base diidrovolanti. L’hangar si trovava in uno spiazzo adiacentealla villa Pogatschnig. I piccoli aerei collocati sui carrellivenivano trainati fino allo scivolo in cemento costruitonella caletta davanti allo squero. Qui scendevanodolcemente a galleggiare sull’acqua per poi alzarsi in

23

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 23

Page 24: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

volo. Mio fratello Steno e altri ragazzini assistevanocuriosi alle manovre. Quando un idrovolante, forsetroppo carico di bombe, cominciò ad affondare invece diporsi in galleggiamento, tutti i ragazzi scoppiarono inuna fragorosa risata battendo felici le mani. Quell’aereo,quella mattina, non sarebbe partito con gli altri ascaricare bombe su Venezia o altrove su obiettivi italiani. Tonin, il primogenito, era entrato in seminario aCapodistria e frequentava l’Imperial Regio Ginnasio diquella città con buon profitto. La Chiesa allora nonaveva scuole proprie per preparare i futuri sacerdoti, chepotevano perciò respirare un’aria non del tutto chiusafino alla fine del liceo. Mia mamma, temendo incursioni aeree da parte divelivoli italiani, per un breve periodo sfollò con ibambini in un vicino villaggio slavo. Lì, per prudenza,Umberto, che portava il nome di un re d’Italia, diventòCheco, come Checo Bepe, l’imperatore d’Austria. AncheItalia cambiò nome. Papà, ritornato dalla Russia, riprese subito il suo lavorodi agricoltore. Per incrementare le entrate pensò diutilizzare il forno costruito prima della guerra non soloper cuocere il pane degli altri, ma anche il pane cheavrebbe prodotto in proprio. Mamma andò a Pola, checon l’arrivo dell’Italia era diventata il capoluogodell’Istria, a sostenere l’esame per conseguire ilpatentino di pistora. Steno fu mandato a Trieste aimparare il mestiere di pasticcere. Venne aperto unnegozio di vendita in Strada Granda, al pianoterra di unacasa goticoveneziana all’incrocio con il CardineMassimo. L’illuminazione era a gas, poiché le Belle Artinon permettevano di introdurre la luce elettrica Nel 1928papà vendette la campagna a Paoletti, che abitava incontrada, e si dedicò esclusivamente al forno. Era ilprimo ad alzarsi di notte per accendere la legna. Era luiche infornava e sfornava. In famiglia la manodopera nonmancava. C’era lavoro per tutti. Le figlie grandibadavano ai piccoli. Steno e Umberto a impastare ilpane. Una sorella dietro l’altra a vendere pane, paste ebiscotti. Romilda era esclusa perché studiava allemagistrali. Un giorno era andata dal dottor Gioseffi, cheaveva l’ambulatorio a fianco dell’hotel Venezia, per farsitogliere una spina che le si era conficcata sotto l’unghia

24

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 24

Page 25: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

di un dito. “Spòiete!” le ingiunse il medico. Romilda la ga ciapà su e la ze andada via de corsa. Italia aiutava la mamma in cucina e nei lavori di casa.Ma Ottilia, Bianca, Maria e Liliana nel susseguirsi deglianni sono state tutte brave e gentili commesse. QuandoSanto non ha voluto più studiare preferendo lavorare alforno, già funzionava l’impastatrice elettrica. Non era piùrichiesto l’aiuto di gnagna Lisa Bazzara per “domare” aforza di braccia l’immenso pastone e neanche quello delpec Mario Marussi. In seguito fu assunto come garzoneBepi Sferco, mio coetaneo e compagno di scuola alleelementari. Bepi, che aveva una sorella sola, sapevatutto delle donne, anche se avevano il marchese (lemestruazioni, mi ha spiegato). Io, che ne avevo sette,non sapevo niente. Un giorno mi aveva avvertito che la giovane supplentedi disegno delle magistrali in una piccola raduranell’isola di San Nicolò prendeva il sole su tutto il corpo.Bepi era stato, per così dire, fortunato. Io, qualchegiorno dopo, per così dire, no. Mio fratello Santo, più vecchio di me di tre anni, mi hafatto osservare che abbiamo avuto una vita libera. Io, acinque anni, trovandomi sul molo, mi imbarcai sulNesazio. Stava per sciogliere gli ormeggi quando unodei facchini di porto che abitava vicino a casa mia miscorse e mi portò a casa. Santo ed io andavamo, bambini, da soli nel negozio diMarieta Tencich Fora le Porte a comprarci le scarpe.Sarebbe passata la mamma in seguito a pagarle.Andavamo, più grandicelli, a sceglierci la stoffa per ilvestito nella bottega di Silvio Riosa, in Strada Granda. Epoi a farci prendere le misure da siora Angelica Bon, lasarta, anche lei in Strada Granda, che aveva la finestracon lo sburto. Aprendo il vetro posto sottoorizzontalmente e tirandolo come un cassetto avrestipotuto sputare sulla testa dei passanti. Con Liliana giocavo ad Arcibaldo e Petronilla, personaggidel Corriere dei Piccoli. Capitava rarissimamente chelitigassimo. Allora il papà prendeva in mano una bagolinae faceva finta di correrci dietro. Non avevo ancora diecianni quando mi consegnò una enorme banconota damille lire per portarla in banca a pagare la fattura della

25

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 25

Page 26: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

farina. Quell’incarico mi riempì di orgoglio per la fiduciache mi era stata concessa. Accompagnavo papà in lunghe passeggiate neipomeriggi domenicali verso Santo Spirito e il monteCaluzzi. D’estate andavo con lui alle sei di sera a fare ilbagno vicinoal piccolo promontorio del cimitero vecchio,là dove, poco distanti dalla riva, due scogli affioravanotondi e lisci come due tette nella bassa marea. Sel’accompagnavo all’osteria di Irma Blasevich, quasi difronte a casa nostra, a vedere le partite di bocce micomperava una passereta, una bottiglietta di gasosa conil collo chiuso da una sferetta di vetro che bastava fracarlain giù con il dito per aprirla. Tra i giocatori di boccecapitava di vederne uno speciale. Era Vittorio Bronzin, cheal posto delle braccia aveva due corti moncherini. Ai piedicalzava scarpette da ginnastica. E con il piede spingeva laboccia accanto al boccino. Quasi sempre rubava il puntoall’avversario che adoperava le mani. Ed era bravo agiocare al pallone, con un destro formidabile. Era difficileche facesse fallo di mano. Abitava sulla via parallela allaCarducci, verso il porto. Sua sorella Italia era fidanzata diun odontotecnico ungherese che veniva al forno con ungrosso libro di ricette di dolci, molti con patate. Steno gliprestava il sandolino. Più avanti, oltre la fanciullezza, con Santo, che giocavada centrattacco, andavo a giocare al pallone al camposportivo, tra la caserma e il silos o in Pradevisse. Santoera uno dei pochi ragazzi ad avere le scarpe con itacchetti. Ma se volevamo andare a giocare quandoinvece c’era da studiare, le scarpe da calcio restavano acasa e ci portavamo dietro una scatoletta di lucido perdare una patinata d’innocenza alle tomaie maltrattate. In famiglia regnava l’armonia. Ognuno aveva le sueincombenze. Ottilia, ad esempio, tra i vari compiti avevaquello di spolverare periodicamente vasi, vasetti, piattinie strafanici vari che stavano sempre nello stesso ordinesul ripiano della napa che sovrastava il grande spaker.Mamma era una brava cuoca e trovava il tempo disoddisfare le varie richieste di piatti diversificati. Miaccontentava sempre quando desideravo la minestra diorzo e fasioi o la jota che mi piacevano tanto E, oltre apreparare i pasti per la numerosa famiglia, aggiungevaaltre due razioni per sua mamma, nonna Tonina

26

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 26

Page 27: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Stramassera e sua sorella inferma, gnagna Zina, ziaTeresina, provetta ricamatrice. Era compito di noi piùpiccoli portare a turno le vivande nel portapranzo diferro smaltato color blu con le tre bacinelle di alluminioimpilate una sull’altra fino alla loro abitazione quasi infondo alla Via Decumana. Papà si era impegnato aprovvedere al sostentamento della suocera e dellacognata. Gli occhi pieni di riconoscenza della nonna edella zia erano il più bel regalo al nostro piccolosacrificio. E ci perdonavano con un sorriso se un po’ diminestra l’avevamo persa per strada. Talvolta mamma andava a Trieste a trovare Amelia, laprima figlia che si era sposata. “Starò via due giorni”diceva. Passati i due giorni Bianca chiedeva: “Maquando ritorna mamma?”. E papà: “Mi ha preparatocalze pulite per altri due giorni. Stai tranquilla. Verràdopodomani”. Steno una volta, all’insaputa di tutti, aveva nascosto tra ivestiti nel suo armadio una pignatella piena di fave deimorti. Io, Santo, Bianca, Maria e Liliana avevamoscoperto, ciascuno per conto proprio, il piccolo tesoro enon abbiamo resistito alla tentazione di mettere in boccadi quando in quando uno degli squisiti dolcetti. QuandoSteno, per Natale, volle farci la sorpresa di mettere intavola le fave, ebbe lui la sorpresa di trovare la pignattavuota. Rimase un po’ male, ma sorrise, forsecompiaciuto: in fondo, proprio fino in fondo, le sue faveerano state apprezzate.

27

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 27

Page 28: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Il forno di Piero Cogheto

Due erano i forni più importanti a Parenzo: il nostro, alegna, in via Carducci e quello meccanico dellaconcorrenza di Timotio Chersi, vicino alla Pia casa diRicovero. Mio papà era costretto ad indossare la camicianera nelle feste del regime per non perdere certeforniture, dato che non aveva titoli per competere con idue figli di Timotio che avevano fatto la Marcia su Roma.La sua “campagna di Russia” non portava benemerenze.Noi fornivamo di pane il convitto magistrale, lacompagnia dei carabinieri di stanza in cima al CardineMassimo nel palazzo di terra dei marchesi Polesini e leguardie di finanza alloggiate nell’edificio vicino alla Casadel Fascio in piazza dell’orologio. Spesso davamo il paneanche ai militari dell’esercito che periodicamentesoggiornavano a Parenzo in fondo a via Tamaro, nellacaserma prospiciente il campo di calcio. Dalla grande cucina al pianterreno, alzando un tramezzo,si era ricavato un piccolo locale di vendita. Quigiornalmente venivano a comperare il pane le famigliedelle vie vicine. Da una delle tre ville del viale veniva lasignora Giovanna Mengaziol, vedova e madre di Mario eLicio Visintini. Si fermava a scambiare quattrochiacchiere con mia mamma. Era orgogliosa dei suoibravi e buoni figlioli. Una mattina d’inverno avevo vistoche portava delle calzature alte fin sotto il ginocchio dimorbido pelo bianco. Gliele aveva portate suo figlioMario, capitano pilota, dalla Finlandia. Mi pareva chefossero d’orso. Mario qualche volta faceva due tre giri insegno di saluto sopra la sua casa con il bombardierebimotore. Proveniva dall’aeroporto vicino a Gorizia.Licio, ufficiale della marina militare, quando d’estateveniva in licenza, metteva in acqua il suo beccaccino conil quale bordeggiava in lungo e in largo nel porto.Comandante di sommergibile, probabilmente avevabisogno di navigare almeno un po’ in superficie, sulleamiche acque di casa. Mario, asso dell’Aeronautica, nelcorso della seconda guerra mondiale, nel 1941, sischiantò contro una montagna in Africa Orientale neltentativo di raccogliere e portare in salvo dei compagni

28

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 28

Page 29: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

caduti in territorio nemico. Gli fu conferita la medagliad’oro al valor militare. Alla Messa in suffragio nella basilica eufrasiana, sull’altocatafalco eretto nella navata centrale, non c’era la bara.Ai suoi piedi c’era Licio, impietrito nell’alta uniforme dicapitano di vascello. Io ero schierato nella navata lateraledi destra con i miei compagni in divisa di avanguardisti.Nel dicembre dell’anno successivo Licio non fece ritornodalla terza incursione, a cavalcioni di un maiale, nel portodi Gibilterra. Anche a lui fu conferita la medaglia d’oro alvalore militare. Queste due medaglie non lenirono ildolore di Giovanna Mengaziol. La scuola elementare diBorgo San Mauro a Trieste porta il nome dei due eroicifratelli. Dopo l’esodo la signora Giovanna era ospite diun istituto di suore al Lido di Venezia. Lì la incontrò laprofuga fiumana Marisa Madieri, giovane studentessadella scuola media, che volle ricordarla affettuosamentenel suo libro di memorie “Verde acqua”. Dalla seconda villa veniva al forno la moglie di VittorioSossi, il fotografo, che aveva lo studio in Strada Granda,di fronte alla cartoleria Greatti. Mio papà lo chiamava afotografare la nostra famiglia quando era al completo.Per entrarci tutti nell’obiettivo ci disponevamo su duerighe, i più piccoli davanti e gli altri dietro, con papà emamma al centro. Sossi era anche il fotografo dellescolaresche, dalle elementari alle superiori. Si chinavaad inquadrarci nascondendo la testa sotto un drapponero con la sua enorme macchina fotografica sorrettadal treppiede. La terza villa era abitata dalla famiglia PogatschnigPagano. La signora era molto alla buona. Arrivava fin danoi vestita da casa, con sopra una semplice vestaglia. Inoccasione della Pasqua preparava anche lei, come erad’uso, le pinze e le portava a cuocere da noi. Talvoltanon lievitavano bene perché aveva ecceduto nella dosedi burro o delle uova. Era piuttosto riservata. Nonparlava mai di suo figlio, l’architetto Giuseppe Pagano,che, ho visto in un’enciclopedia, si era laureato a Torino,aveva diretto la rivista “La Casa Bella”, realizzatol’istituto di fisica dell’Università di Roma, l’UniversitàBocconi di Milano, considerata la sua opera maggiore.Con altri architetti aveva elaborato il progetto «Milanoverde» nella zona Sempione – Fiera che, a detta degli

29

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 29

Page 30: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

esperti, fu una fra le più importanti proposte diurbanistica razionalista italiana. Volontario di guerra nel1941, nel 1943 aderì alla Resistenza. Catturato daitedeschi e deportato in Germania, morì a Mauthausennel 1945. I fratelli Visintini e Giuseppe Pagano, a Parenzovicini di casa, incontrarono nella stessa guerra unviolento, se pur diverso, destino di morte. Santola Laura Caluzzi, come le signore Visintini ePogatschnig, il pane lo comperava da noi. Abitava in fondoal viale, tra le tre ville e la casa Amoroso. Era la mammadel dentista dottor Vittorio, ricordato in queste pagine. Pure santola Russa comperava ogni giorno il pane fresco.Era la moglie di Gigi Sabatti che, anche lui come miopadre prigioniero di guerra, aveva portato dalla Russia. Tra gli altri clienti c’era la moglie del pretoreD’Alessandro, una bella e gentile signora. Abitava nellavilla Amoroso, accanto al cimitero vecchio, sulla stradache dal viale delle tre ville conduceva ai bagni Riviera.Una mattina d’estate avevo remato a lungo fuori dalporto con il sandolino di Steno. Attorno all’impugnaturadi un remo avevo fissato il capo di una lunga lenza dispago sforsin. Dall’altra parte un amo di mediagrandezza era accompagnato da una lucente escametallica. Ad ogni remata corrispondeva uno strattonedella lenza. Ma dopo un paio d’ore nessun pesce avevaabboccato. Remando sempre sotto costa ero già oltre ilBrulo, oltre l’nsenatura della villa Ghersina e lasuccessiva Punta Grossa. Entrai nella baia di Molindrio efinalmente il filo sotto le mie dita incominciò a tendersie a vibrare. Con estrema cautela tirai la lenza cheopponeva una certa resistenza. Tirai fuori dall’acqua unabella orata lucente. A casa la pesai: mezzo chilo.“Mamma, la porto alla moglie del pretore” dissi concalore. La gentile signora mi regalò un’aquilettad’argento da cinque lire. Avevo poco più di dieci anni.Ero contento e non sapevo che avevo praticato la pescain acque proibite. Poco tempo dopo la bella moglie delpretore scomparve e non se ne seppe più nulla. Il professor Mario Mirabella Roberti era il sovrintendentealle Belle Arti. In tempo di guerra, se mancavano mezzidi trasporto, si arrischiava a piedi da Trieste a Parenzo.Un pezzo di pane lo trovava da noi anche senza i bollinidella tessera. Mio fratello don Antonio mi aveva detto

30

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 30

Page 31: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

che il professor Mirabella aveva apprezzato il disegno diun calice che gli avevo fatto e che era stato riprodotto sulamina dorata per ornare la porticina di un tabernacolonella basilica. Un altro pezzo di pane veniva a prenderselo BiagioLubrano di Scorpaniello, nativo di Procida, marinaio distanza, al tempo dell’occupazione tedesca, agli aerofonidi Punta Grossa, che avvertivano l’avvicinarsi deicacciabombardieri angloamericani con il suono dellesirene cinque minuti prima che ci arrivassero addosso.Biagio, ragazzo magro e piissimo, quando smontava dalturno di guardia, alle due del pomeriggio, dopo averfatto più di quattro chilometri a piedi, si recava inbasilica a prendere la comunione, digiuno dallamezzanotte precedente, come era prescritto allora.Faceva penitenza anche per il suo capo, che prendeva ilsole nudo. Un altro marinaio della postazione, che si erafidanzato con una ragazza dell’entroterra, aveva chiestoa mio fratello Steno di fare il compare d’anello. Steno loaveva accontentato, ma aveva mandato me arappresentarlo al pranzo di nozze ed alla successivafesta, protrattasi fino a notte inoltrata perché avevapaura dei partigiani slavi nascosti nei boschi vicini. Quando arrivava Marianin, lo spazzacamino, con lascaletta e gli attrezzi del mestiere, mio papà gli chiedevadi stare in piedi su una gamba sola prima di consentirglidi entrare nella canna fumaria del forno. Se non riuscivaa reggersi su un piede, cosa che capitava spesso,doveva ripassare un altro giorno. Il forno nel pomeriggio rimaneva ancora caldo percuocere il pane delle donne. Esse lo portavano formatoin grosse strusse, adagiate sulle tole e coperte da untelo, e d’inverno anche da una coperta per proteggerledal freddo. Le tole erano collocate sulla testa protettadal cercine. Mi piaceva tanto mangiare quel pane scuro,cotto lentamente. Mia mamma mi accontentavascambiando un pezzo di pane nostro con quello dignagna Gigia Zonta, sorella di papà, con la quale avevasufficiente confidenza per proporre il baratto. Mio papàaveva sempre ragione quando qualche cliente silamentava se il suo pane non era riuscito a perfezione.La colpa era sempre della scarsità di lievito o del colpodi freddo o dell’acqua troppo calda o troppo fredda.

31

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 31

Page 32: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Siora Maria Vezzil, moglie di sior Piero che aveva labottega di generi alimentari dall’altra parte della strada,ogni sabato pomeriggio portava a cuocere una crostatacon la marmellata. Mio papà mi mandava a comperarglile sigarette Sport nel suo negozio, mia mamma acomperare diese schei di conserva. Sior Piero, quandocomperava il prosciutto dai contadini, vi infilzava unlungo ago di acciaio fino all’osso e poi lo annusava persincerarsi della buona salute del prodotto. Era un bravosuonatore di clarino ed un raffinato mangiatore di pesce.Un giorno aveva inghiottito una spina di dental cheaveva attraversato tutto l’apparato digerente perarrestarsi in prossimità dell’orifizio. Dovette intervenire ildottor Manzolin per sollevarlo dall’acuto dolore. Sulla strada che da via Carducci portava a Cimarè,subito dopo la casa di sior Piero Vezzil, abitavano iBlasevich della Cavallina. Uno di questi aveva sposatouna ragazza slava del contado. Prendeva in prestito iromanzi presso la biblioteca circolante di fronte allacartoleria Greatti, dove c’erano le signorine Cuzzi. Nellesere d’inverno leggeva a letto per sé e per la moglie, chenon sapeva leggere, ma era in grado di spiegare ciò cheil marito non aveva capito. Un esempio di pacificaintegrazione, non solo culturale. Non erano da sottovalutare le donne slave. Una, mi dicevaSteno, era così brava che, in campagna, faceva nellostesso tempo cinque lavori diversi: “la cagava, la pissava,la cantava, la magnava e la colzeva pasternassi…”.Papà parlava in russo con i contadini slavi dell’internoche venivano a comperare il pane. Si capivano. Ed erabravo ad appioppare soprannomi alle persone.Chiamava Colombina una sua cugina Burlini chearrivava al forno con la tola in testa e ai piedi le scarpevecchie ed oltremisura di suo marito. Il suo viso sottileproteso in avanti ed il corpo minuto giustificavano ilnomignolo. Fracapiano era l’appellativo di un anzianocarabiniere che con un suo compagno di ronda sisoffermava nel locale del forno a scaldarsi nelle freddenotti invernali. Nel camminare metteva giù il piedeadagio, come se camminasse sulle uova temendo diromperle. Avrà avuto i calli che lo costringevano a tantaprudenza, pensavo io. I pescatori di spugne dalmati portavano la loro farina

32

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 32

Page 33: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

bianchissima perché facessimo i bussolai biscottati esenza sale. Prima di mangiarli li avrebbero tuffati inmare infilati in una corda per ammorbidirli econtemporaneamente salarli. Periodicamente passavano da casa nostra uno deiFratelli Variola, proprietari del mulino di Cervignano delFriuli e il signor Ernesto Finzi di Trieste che ci fornivagrosse risme di carta sottile per incartare il pane. Traloro e mio padre, che li riceveva tranquillamente incucina, non c’erano soltanto rapporti di affari, ma anchedi stima consolidata in lunghi anni. Nel dopoguerra i signori Variola offrirono a mio fratelloSteno profugo un posto di operaio nel grande mulinoche avevano costruito a Trieste.

33

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 33

Page 34: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Steno

Quando il profumo di vaniglia inondava da un capoall’altro la via Carducci, voleva dire che Steno avevasfornato i biscotti del giovedì. Il venerdì nell’aria sispandeva l’odore del pane di Milano e dei saltimpansa.Il sabato altri effluvi più leggeri si potevano coglierenelle vicinanze del forno: quelli delle paste frolle e deizaleti, delle creme e del pandispagna che facevanovenire l’acquolina in bocca ai passanti. I pomeriggi dimezza settimana erano dedicati alla pasticceria. Ilmattino invece era tutto occupato fin dalle prime oredalla produzione del pane che, cotto nel forno a legna,emanava anch’esso gradito odore. Era Stefano Crisma, mio fratello, ventitré anni piùvecchio di me, Steno Cogheto, con questo soprannomeereditato dal padre, che a sua volta l’aveva preso anchelui dal padre del padre che aveva fatto il cuoco sulle navidella marina austriaca, l’autore di tanti buoni odori,corrispondenti a tanta buona roba. Era nato a Parenzonel 1904, il secondogenito di una lunga fila di fratelli e disorelle, l’ultima delle quali venne al mondo nel 1929.Aveva dieci anni e quattro fratelli più piccoli quandopapà partì per la guerra richiamato nell’artiglieriadell’esercito austriaco. Qualche anno dopo aver conclusole elementari, Steno con altri coetanei fu mandato allavoro agricolo presso l’Istituto Agrario. In seguito lamadre lo affidò come famiglio diurno alla famiglia diGiuseppe Blasevich, Bepi della Cavallina, padre di Irma,che in seguito avrebbe gestito l’osteria di via Carducci. Con il ritorno del papà dalla Russia nel ’19 dopo anni diprigionia, la vita in casa Crisma prese un’altra piega.Venne ripresa la cura della campagna, venne ripreso illavoro del forno e Steno, che aveva quindici anni, erabravo a far provvista di legna nel bosco. Ma nella suagiovane vita non c’era solo lavoro e sempre lavoro. Nongli mancavano i momenti di svago e questi erano offertidalla attività filodrammatica e ginnica del Ricreatoriodove il maestro Attilio Barzelogna, grande figura dieducatore, aveva apprezzato la particolare vis comica delgiovane e la sua possente struttura atletica. Poi Steno

34

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 34

Page 35: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

volse il suo interesse alla musica e imparò a suonare ilflicorno tenore, aspirando di emulare il campione diquesto strumento, un certo Cherubino che suonava nellabanda cittadina. E al flicorno si attaccò come ad un amatobiberon per i diciotto mesi del servizio militare a Ferrara,succhiando, ma sarebbe più esatto dire soffiando, note emasticando voracemente teoria musicale. Entrato a far parte della nuova banda che si era costituita aParenzo, imparò a suonare diversi strumenti: quasi tutti gliottoni, il clarino, il mandolino, la fisarmonica, ilcontrabbasso. In camera sua, che fungeva anche da studio,passavano a suonare insieme con lui molti amici, tra cui ifratelli Fratta ed il sassofonista Rabaz Un giorno mise inmano un banjo a suo cugino Burlini, che suonavanell’orchestrina di bordo della Vulcania e che era libero peralcuni giorni finché il transatlantico rimaneva fermo nelporto di Trieste. Steno rimase estasiato a contemplare ivirtuosismi dello strumentista che si produceva in unnumero improvvisato di, si potrebbe dire, alta acrobazia. AlRicreatorio Vescovile curò la preparazione e la formazionedi un gruppo di mandolinisti. Quando all’Arena di Poladavano le opere, Steno non ne perdeva neanche una.Partiva con la San Giusto e con la stessa motonave, chefaceva servizio speciale per le rappresentazioni liriche,ritornava a casa nel cuore della notte, in tempo perimpastare se non la prima, cui avevano provveduto altremani, almeno la seconda infornata. Fare il pec, fare il panettiere, voleva dire prima di tuttoalzarsi di notte. E alla levataccia seguiva un’enormefatica: impastare nella grande madia un quintale di farinaa forza di braccia e questo per ben tre volte nel corsodella mattinata. Le braccia erano quelle di Steno, delfratello Umberto e di gnagna Lisa,. Steno era andato aTrieste ad imparare il mestiere di panificatore mentrequello di pasticciere l’aveva appreso da suo cuginoUmberto Fassina, Umberto Depase, che dopo l’esodoemigrò con la moglie a Buenos Aires. Quando nelpanificio di Via Carducci arrivò una moderna impastatricedotata di due soli bracci, ma meccanici, impastare unquintale di farina era un giochetto da bambini. Il lavoroera svolto dalla macchina, e in modo perfetto, tanto chela pasta alla fine sembrava di seta. Ma poi era l’abilità delpec a foggiare i diversi tipi di pane, dai grandi ai piccoli

35

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 35

Page 36: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

formati, di svariate forme, dalle “strusse” ai cornetti,pane all’olio e comune, di pasta dura e di pasta mollecome le “bombette”, che ancora calde venivano portateall’Hotel Riviera per la prima colazione degli ospiti. Stenoera bravo. Tutto ciò che faceva lo faceva bene. Fossemusica, o pane o pastecreme, le pinze per Pasqua, lefave per i Morti o i panettoni per Natale ogni cosa eraaffrontata con perizia e gioiosa serietà. Sì, gioiosa,perché c’era il piacere del lavoro. Bastava guardarlomentre preparava i biscotti in modo ultra artigianale,tutto a mano, dall’impasto alla stesura della pasta con ilmatterello ed al taglio servendosi di una lunga e strettastecca di legno e della rotellina per ottenere un’infinità dipezzettini rettangolari dai bordi dentati, tutti della stessadimensione che sembravano fatti a macchina. E in tempodi guerra, ottenuto un pezzetto di terra da coltivare pocooltre la Madonna del Monte dai suoi amici Pacelatrichiamati alle armi, riesumò le sue radici contadine eprodusse fagioli, pomodori ed una grande quantità diottimi meloni. Su richiesta del maestro David, che era anche insegnantedi educazione fisica degli studenti dell’Istituto Agrario edelle Magistrali, Steno preparò un gruppo di tamburiniche avevano il compito di marcare il passo della marcianelle sfilate della GIL. Ma la sua operazione musicale piùimportante, il suo capolavoro, fu la costituzione dellabanda dei Marinaretti. Erano costoro degli orfanellialloggiati nella palazzina di Via Muzio e chiamati cosìperché portavano la divisa marinara. Steno era riuscito afare di trenta ragazzi, dai sette ai quattordici anni, unabanda di suonatori, dalle trombe ai tromboni, dai flicorniai bassi, senza trascurare i clarinetti ed i flauti. E per lasua banda aveva composto anche due vivacissime marce.Era uno spettacolo vedere questi trenta giovinettimarciare in fila per tre (con il resto di uno: era Steno chemarciava a lato della prima fila dei piccoli trombettieri,non tanto più alto di loro), disposti in ordine crescente,dai più bassi con gli strumenti leggeri fino ai piùgrandicelli con gli strumenti più pesanti. E quandosuonavano la meraviglia aumentava, perché i suoni eranopuri, amalgamati, solari. In una memorabile processione del Corpus Dominiofficiata dal Vescovo mons. Pederzolli, ad ogni sosta

36

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 36

Page 37: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

prevista per la benedizione, questa era preceduta dallosquillo delle trombe: un semplice accordo, ma di grandeefficacia, salutava l’Ostia alzata nell’ostensorio e dallariva la solennità degli squilli si librava sul porto e salivanell’azzurro del cielo. Steno aveva molta cura della sua forma fisica e facevalunghe gite in bicicletta per i saliscendi della terra istriana.Si fece costruire dal marangon Filippin, che aveva labottega dalle parti di Rivetta, un lungo e stretto sandolino,con i suoi bravi scalmi in ferro sporgenti dalle fiancate,come gli outrigger della canottiera, il seggiolino scorrevolesulle rotaie, sagomato anatomicamente per ospitare lenatiche del vogatore che, i piedi inseriti nel frontapiedi,poteva prendere la palata più ampia. Lo aveva battezzatoAulo, il nome del fratello minore, scritto in stampatello sulfianco di prua, ed ormeggiato nella caletta davanti allosquero, poco lontano dal moletto di Barbatoni Pipisdrel.Passando dalla battana di Barbatoni a quella di GigiCasarsa poco discosta, era agevole raggiungere ilsandolino assicurato all’ormeggio con una catena di ferrozincato. Assicurato fino ad un certo punto, poiché per bendue volte fu strappato dal fortunale e sospinto al largo inmare aperto. Fortuna volle che l’imbarcazione fosse statatrovata dai pescatori chioggiotti, rimorchiata in porto erestituita al proprietario. Steno nei tardi pomeriggid’estate, quando la brezza calava ed il mare diventavacalmo come l’olio, faceva lunghe remate dentro e fuori dalporto. Un giorno io e Toio David, che avevamo sei o setteanni, visto che s’era levato un bel vento di maestrale,avemmo l’idea di servirci del sandolino per navigare avela. Remando contro vento e infischiandocene delleondate, che prendevamo opportunamente di prua, cieravamo portati dall’altra parte del porto, al riparo delladiga nuova. E qui, tirati i remi a bordo, alzammo la vela,ossia aprimmo l’ombrello che avevamo portato con noi.Toio lo reggeva inginocchiato a prua. Io ero seduto apoppa e manovravo il timone tirando le funicelle. Dato cheil vento era piuttosto forte, la “vela” funzionavaabbastanza. E sospinti un po’ dal vento ed un po’ dalleondate, arrivati al centro del porto, i due argonauti viderodirigersi verso di loro una battana con dentro Steno cheremava come un matto. Appena li abbordò li investì diimproperi sgridandoli per la loro imprudenza. Noi due,

37

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 37

Page 38: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

mogi mogi, messi al sicuro nella battana, venimmoriaccompagnati a casa. Noi non avevano visto il pericolo.Steno sì, anche perché era prudente per natura e sollecitodel bene degli altri. Una prudenza che anni più tardi,quando suonava l’allarme per avvertire l’arrivo deicacciabombardieri, lo induceva a scappare verso Cimarè,lontano dal porto, dove venivano bombardate le navi checaricavano la bauxite, dopo aver gridato agli altri cheerano con lui di fare altrettanto. Anche il 25 aprile, sul finire della guerra, al primo segnaled’allarme gridò a me e a Bepi Sferco, che lo aiutavamonel forno, di scappare subito. Quella volta non si trattavadei soliti bombardieri bimotori. Erano quadrimotori,fortezze volanti. Solitamente questi grossi aerei portavanoil loro carico di rovina e di morte più a nord per scaricarlosulle grandi città. Tantissime altre volte erano stati vistiarrivare sopra Parenzo e poi deviare in altra direzione,come se a Parenzo avessero avuto riferimenti topografici,forse dati dalla presenza delle isole lungo la costa istrianache qui finivano. E i parenzani che, occhi al cielo, siattendevano la virata, ebbero la sgradita sorpresa divedere dei luccichii uscire obliqui dalla pancia degli aerei.In un batter d’occhio Bepi ed io rientrammo e ciaddossammo alla parete del locale del forno restandoimmobili per tutto il tempo, brevissimo, delbombardamento a tappeto. Quando quel finimondo cessòe si diradarono le tenebre, noi ragazzi ci guardammo l'unl'altro in faccia e scoppiammo in una fragorosa risata.Tutti e due avevamo il viso imbiancato dai calcinaccistaccatesi dal soffitto e dalle pareti. Steno ritornò moltotempo dopo e non ebbe la forza di sgridarci per la nostraimprudenza. Dopo tutto avevamo pure salvato il panetogliendolo dal forno prima che diventasse trisbiscotto. Anche Steno, come quasi tutti i suoi concittadini,abbandonò Parenzo. S’imbarcò sul Piss-paiss con pochimobili e l’impastatrice del pane. Ma un ordine superioreproibì la partenza dell’impastatrice, che fu fatta sbarcare.Steno partì più solo alla volta di Trieste, incontro alla libertàsì, ma anche incontro all’ignoto, un ignoto da profugo. Quando papà morì nel 1942 nonna Tonina preoccupatasi rivolse a Steno, diventato capofamiglia, per sapere seavrebbe continuato a fornirle i pasti come papà. Stenonon esitò un istante a rassicurarla.

38

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 38

Page 39: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

In via Carducci

Vicino a casa mia abitava barba Giovanni Pipeta. Era ilnònsolo della chiesa della Madonna degli Angeli, cheapre la porta principale sulla piazza Fora le Porte equella laterale sulla via Carducci. Coltivava anche ilpiccolo orto adiacente all’abside. Barba Giovanni eramio zio, fratello della mamma, detto Pipeta per la pipache teneva perennemente in bocca. Sua moglie, gnagnaLisa, veniva al forno ad aiutare ad impastare il pane finoa quando mio papà non ha provveduto l’impastatriceelettrica. Al loro figlio Toio, Vittorio, piaceva raccontarestorielle, come quella del barcaiolo che aveva perso unremo e poi l’altro e che poi per remare ha preso in manoi paioli che coprivano la sentina e, paiola, paiola perdeanche questi e gli resta soltanto il timone e alloratimona, timona, timona... tutto questo per dirtischerzosamente che cosa sei. La figlia Antonietta si èsposata con lo stradino comunale Clari. L’unico lussoche si era concesso consisteva in due magnificimaterassi di soffice lana. “Per i poveretti il letto è l’unicobene che possono godere” soleva dire. Dopo il pranzonuziale preparato e consumato nella casa paterna traamici e parenti, tra un bicchiere e l’altro si snodavanotutte le canzoni del repertorio popolare. Una diceva:“Magari col caro de Issici, magari col caro de Issici,magari col caro de Issici in America voio andar”. Il carrodi Issich era quello funebre, trainato da due cavalli.Un’altra canzone spiegava che “val più un bicer dedalmato che l’amor mio”. Ma questa, per fortuna, non lacantava lo sposo novello che, per cambiar discorso,intonava“ tute le done ghe piase ‘l maraschin”. Nella casa che confinava con la trattoria di Nadal Pierussiviveva un possidente che produceva un ottimo teran.Quando mandava il servo giù in cantina a spillarne unaboccaletta, lo obbligava a fischiare per tutto il tempodell’operazione, andata e ritorno compresi. Al servo nonriusciva così di farsi neanche uno sluc. Vicino a me abitava, in una casa con più appartamenti,un ragazzetto di nome Gigi. Il gabinetto in comune erasituato a pianoterra, in fondo al breve corridoio, sotto al

39

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 39

Page 40: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

primo pianerottolo del giroscala. Nel legno delpianerottolo c’era un buco e Gigi, per la pigrizia discendere una rampa di scale, faceva la pipì nel buco.Una volta non si era accorto che tra il foro delpavimento e il buco del cesso la strada non era libera.L’ha capito quando ha sentito le urla della donna che haricevuto la benedizione sulla testa. Lo canzonavamo: “Gigi, Gigi Pirola, ga roto la pignata.Su mare come mata la ghe coreva drio su parMontebelo. Gigi se ga sconto in t’un baùl. Su mare lo gatrovà che ‘l se gratava el…”. Probabilmente questa èuna filastrocca importata da Trieste. A Parenzo non c’èMontebello. Visavì abitava una famiglia di fontaniani. Fontane eral’unico paese della costa istriana dove si parlava slavo.Non c’era nessun attrito tra italiani e slavi. Non c’eraalcun motivo perché venisse meno il rispetto reciproco.All’epoca della vendemmia io e mia sorella Lilianaeravamo invitati da Vilma Gherghetta, la figlia deifontaniani nostra coetanea ad entrare con lei attraversouna piccola apertura rettangolare nella castellanaadagiata sul carro. La castellana era una grande botteche sarebbe stata riempita di uva. Era un divertimentoviaggiare sballottati fino alla campagna lontana qualchechilometro fuori Parenzo. Ed era divertente mangiarecon la forchetta ricavata con due abili colpi di roncolettadal papà di Vilma da un pezzo di canna. Poteva capitare che si litigasse tra bambini. E allorasaltavano fuori vecchie filastrocche: “ini, ini, oni, queisporchi de s’ciavoni, al pan i ghe disi cruca, a la farinamuca…”. E giungeva puntuale la risposta: “bianco rossoe verde, el color de le tre merde, bianco, rosso e blu, elcolor de la gioventù”. Pari e patta, si tornava a giocareamici come prima. Di fianco ai Gherghetta abitava barba Toni Pipisdrel conla famiglia di suo fratello Simon. Una sera d’estate lamularia più dispettosa di via Carducci aveva abbattutoun pipistrello in volo, servendosi di una lunga canna(non voglio parlare della tecnica che avevano usato), elo avevano deposto davanti alla porta d’ingresso, con ilbarbaro piacere di fare un dispetto. Barba Toni avevasolo la gamba sinistra sana. La destra era attorcigliataad un bastone che alla sommità portava una specie di

40

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 40

Page 41: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

sellino di legno su cui posava una natica. La scarpa delpiede destro aveva una incavatura sulla tomaia, giustaper aderire perfettamente al bastone che vi restavaincastrato. Così attrezzato riusciva a muoversiagevolmente anche sulle pietre sconnesse del molettoper raggiungere la sua battana ormeggiata davanti.Spesse volte m’imbarcavo con lui e mi mettevo ai remimentre lui scrutava il fondale attraverso il fondo di vetrodi una cassetta di legno. Con una grampola innestataall’estremità di un lunghissimo bastone catturava igranchi che camminavano pacifici e li issava lentamentea bordo. Era emozionante andare con lui di notte,armato di fiocina, pronto a colpire i pescigatto abbagliatidalla lampada a vapori di petrolio che illuminava più chea giorno l’acqua trasparente. Suo fratello Simon di quando in quando veniva a giornataa casa nostra a segare la legna per el spacher. Quando sisedeva a pranzo, alto com’era, allontanava la sedia dallatavola e si chinava per essere più vicino con la bocca alpiatto della minestra che ingoiava come un dislubià. Alla Madonna degli Angeli officiava il severo donFrancesco Sferco, insegnante di religione alle magistralidi Rivetta. Aveva una bella voce di tenore, chedispiegava potente nell’intonare i canti alla Vergine nellefunzioni del Rosario il mese di maggio. Io, maldestropiccolo chierichetto, la prima volta che reggevo tuttobaldanzoso il turibolo facendolo pendolare da una parteall’altra, me lo sbattei sugli stinchi spargendo le bracisul pesante tappeto a fiori in diverse gradazioni di rossoche ricopriva interamente il pavimento del presbiterio. Ilrumore fece voltare tutti i pretini inginocchiati davantiall’altare ai fianchi del sacerdote, che aveva capito tuttosenza neanche voltarsi. Con prontezza e alto sprezzo delpericolo di scottarsi, si precipitarono a raccogliere unaad una le braci gettandole sveltamente con le loro ditanel turibolo adagiato sul tappeto, il quale non patìsoverchi danni, grazie alla rapidità dell’intervento. Daquella sera don Francesco mi incaricò di reggere ilturibolo ogni volta fino alla fine del mese del Rosario.Pensava che sarei stato più attento. Infatti non seminaipiù le braci. Il chierichetto con il turibolo, oltre che darsi importanzaperché faceva dondolare il prezioso strumento con

41

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 41

Page 42: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

oscillazioni più o meno rapide per ravvivare le bronse alpunto giusto al momento giusto, che era quello in cuivenivano messi sopra i grani di incenso, ripeteva anche igesti del prete incensando l’Ostia consacrata racchiusanell’ostensorio quando questo veniva innalzato per labenedizione. Inoltre il chierichetto del turibolo godeva diuna certa libertà dovendo stare in sacrestia a ricevere lebraci dal nònsolo barba Giovanni Pipeta e accendere icarboni messi sopra per uscire soltanto poco prima dellabenedizione. Ma si trattava di una libertà vigilata, inquanto don Francesco voleva che la porta della sacrestiache dava sul presbiterio rimanesse socchiusa. Una seranon obbedii agli ordini e tenni la porta chiusa. Alla finedella funzione il sacerdote me ne domandò la ragione.Candidamente e prontamente risposi che tenendo laporta socchiusa si faceva corrente d’aria e siconsumavano di più le candele accese sull’altare. DonFrancesco alle mie parole non riuscì a stare serio,abbozzò un sorriso e non riuscendo a fare la suaabituale faccia severa, non replicò alla mia risposta. Ai bambini piaceva giocare talvolta a fare i preti. Anchea me e a Santo piaceva alzare un calice di vetro in cui lamamma aveva versato qualche goccia di vino bianco.Mettevamo una tovaglietta bianca sulla sedia chefungeva da altare. Ci paludavamo con vecchie gonnedelle sorelle. Uno di noi due era il celebrante e l’altrofaceva il vescovo sedendosi a fianco. E, come il nostrovecchio vescovo, faceva continuamente un doppioleggero movimento con il capo, accennandoalternativamente un sì ed un no, che noi interpretavamocome un rituale segno di croce. Succedeva che chimuoveva la testa dopo un po’ chiedesse il cambio: “Meson stancà de far el vescovo. Vien a farlo ti”. Nonsapevamo che quel movimento era dovuto ad un ticnervoso e che non rientrava nei doveri pastorali. Con il mio coetaneo amico e compagno di scuola e digiochi Silvio Gregori servii messa nella chiesa dellaMadonna degli Angeli in occasione del matrimonio diBruna Baccarini e Alberto Piccoli. I compari di anello aciascuno di noi regalarono una moneta d’argento dacinque lire. Un tesoro! Silvio ed il fratello Nino, piùvecchio di due anni fin da fanciulli avevano rivelato unaeccezionale dote di disegnatori. Ma erano bravi in tutto.

42

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 42

Page 43: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Nel lavoro erano di una precisione estrema. Invece digiocare alle vaghe, le s’cinche per i muli triestini, davantialla casa di Daniele e Svaldin (Osvaldo) Dallapicca, conle sferette di terracotta o quelle di vetro, molto piùpreziose, recuperate dalle bottigliette delle passerette, idue Gregori preferivano altri giochi in cui mettevano laloro inesauribile inventiva. Dietro la casa avevano unlungo cortile interno che finiva con una tettoia. Abbiamocostruito una teleferica che andava dalla finestra di unacamera al primo piano fino alla trave della tettoiautilizzando una grossa fune e una carrucola del padrecapomastro. Il grande mastello del bucato era la nostranavicella. Nino mi ha regalato un suo autoritratto ad olioche conservo gelosamente. Gastone Larosa possedeva un invidiato triciclo con ilmanubrio arricciato come quello delle biciclette dacorsa. Ma il manubrio non lo rendeva più veloce. Accanto al muro dell’orto della chiesa c’era la portadella casa di Maria Schissa, moglie del bravoscalpellino, profonda voce di basso nel coro diretto dalmaestro Zuliani. La Schissa era la nonna di Ita Pesaro,amica delle mie sorelle Maria e Bianca. Aveva i lunghicapelli grigi sempre arruffati come un mare in burrasca,con due grosse forcine di osso ai lati della testa cheavevano il compito, fallito, di bloccare il disordine. Sullalarga faccia avvizzita gli occhi inquieti roteavano senzaposa. Dalla bocca atteggiata ad un immobile disgusto,come quella di una scarpena, sporgevano due incisivigialli, i denti superstiti, che parevano zanne di tricheco,ma rivolte all’insù. È questo il ricordo che hodell’aspetto di Maria Schissa che, tuttavia, nonostante lasua aria dimessa, era espertissima nel trasformare isogni in numeri da giocare al lotto. Di quando in quandomia madre le faceva visita per salutarla e per raccontarleun sogno. Maria Schissa ascoltava attenta, rimanevaassorta a pensare per qualche istante e poi dava inumeri per un ambo o un terno, che mia madre avrebbegiocato senza eccessiva speranza. Adiacente alla piccola casa di Ita sorgeva un edificiomolto grande. Era stato l’abitazione delle guardiecomunali e in un fianco ospitava la caserma dei vigili delfuoco. Ogni domenica mattina i volontari al comandodel capomastro Sabatti, papà di Rita e Lionello che

43

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 43

Page 44: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

aveva una bella casa sul Pradevisse, uscivano per leesercitazioni. Simulavano l’emergenza dell’incendiomettendo in opera scale, srotolando maniche,impugnando idranti, tendendo ben sollevato da terra iltelone rotondo sul quale si lanciavano i pompierisaltando dalle finestre di una casa. Oppure fissavanoalla finestra più alta della prefettura l’estremità di unlungo budello di ruvida tela, in cui si infilavano i vigili acapofitto per sbucare dall’altra parte sulla strada comepartoriti con l’elmetto in testa. Due paia di robustebraccia li afferravano prima che toccassero terra.Assistere alle manovre dei pompieri era come essere alcirco. La caserma aveva ospitato per molti anni le classi dellascuola serale, dove insegnavano i maestri piùprestigiosi, tra i quali Carlo David, Cleva e Gonan. In unasaletta a pianoterra per un breve periodo c’era stato unambulatorio medico. Al piano superiore abitava lafamiglia della guardia municipale Servi. Il figlio Uci,ufficiale dell’esercito, era stato ferito in guerra ed eratornato con una placca d’argento, dicevano, al postodell’osso frontale. Lo avevano nominato segretario delFascio. Un pomeriggio, alla fine dell’adunata del sabato,davanti alle squadre di balilla e avanguardisti (i giovanifascisti erano al fronte) ci congedò con le parole di rito:“E per il Duce, eia, eia!”. E la risposta era: “Alalà!”. E soggiunse: “Rompete le...”. E qui fece unacommistione tra file e righe provocando una fragorosarisata generale.

44

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 44

Page 45: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Fora le porte

Nella toponomastica ufficiale era piazza Garibaldi. Ma pertutti era Fora le Porte, perché al tempo della Serenissimala città che occupava la lingua di terra protesa sul mareera chiusa da alte mura che, con le tre torri, laproteggevano sulla via di terra. Crollate le mura, erarimasto in vita un ideale confine che divideva e mettevain contrapposizione i ragazzi dell’una e dell’altra parte,quelli di Marafor e quelli di Simaré, i luoghi estremi deglischieramenti. Talvolta arrivavano allo scontro frontale inepiche battaglie come i ragazzi della Via Pal. A me,fanciulletto, un pomeriggio d’estate nella piazzettadeserta tra le cartolerie Greatti e Coana, era capitato diessere aggredito da tre ragazzini “nemici” poco piùgrandi di me. “Lo femo podestà, lo femo podestà”gridavano eccitati. Quando mi accorsi che volevanosputarmi sul bizarin, riuscii a divincolarmi e a scappare.Non ho mai capito che significato avesse quell’azione eche cosa c’entrasse il bizarin con il podestà. Sulla piazza si affaccia la chiesa dedicata alla Madonnadegli Angeli,che porge i fianchi uno sulla via Carducci el’altro sulla via Roma. Dalla piazza partono altre due vieprincipali: Una scende verso la riva costeggiando ilcinema teatro comunale Giuseppe Verdi e la scuolaelementare Giuseppe Picciola. L’altra, dalla parteopposta, conduce verso la Peschiera. Tra di loro si apreStrada Granda, l’antica via Decumana dei Romani. Fora le Porte è animata dalla mattina presto a serainoltrata per la partenza e l’arrivo delle corriere dell’INT.Sulla piazza, di forma irregolare, si aprono la bottega delbarbiere Gioseffi, dove Nicoleto Nassa Vecia avevaraccontato la storia dei buoni aviatori americani, lafarmacia Rocco, dove lavorava il papà del miocompagno di scuola Paolo Bernobini, detto Aspirina, labottega di scarpe di Marietta Tencich, l’altra farmacia,del dottor Castro, il panificio con pasticceria dei fratelliChersi. Nella farmacia Rocco andavo a comperareun’onsa de oio de rissino, i cioccolatini per i vermi (ocontro i vermi?), la limonata Rosé, l’ammoniaca in tocoper far lievitare i biscotti di Steno, il colorante per dare il

45

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 45

Page 46: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

color rosa alle fave. Sull’altra fila di case la biglietteriadelle corriere è vicino alla sempre affollata trattoriaDraghicchio. Sonia, la figlia dei gestori, aveva studiatocon me alle magistrali. Nella fornitissima drogheriaBernardon comperavamo la pittura bianca ed il patenrosso mattone per il sandolino. Quando mamma dovevafare il brodo mi mandava a comperare un chilo di castrànella macelleria del bechér sior Zane. Aveva uno stranobanco, alto fino alla testa dei clienti e lui da dietro,sporgeva dall’altezza dei suoi ginocchi. Era svelto neimovimenti e sgnacava il pezzo di carne sul piatto dellabilancia con tale violenza che non capivi mai se il piattosi abbassava per il peso della carne o per effetto delcolpo. Non ti lasciava il tempo di capire, perchésottraeva lestamente la carne prima che il piattorisalisse. Gigi Sabatti, che ha portato c casa la moglierussa, ha un bel negozio di radio e materiale elettrico.Aveva assunto un radiotecnico di Trieste, SalvatoreOrlando, un bravo ragazzo, che dopo un po’ si è messoin proprio dall’altra parte della piazza, accanto allafarmacia Castro. Alla fine della guerra ha sposato RitaSabatti, nipote del suo ex datore di lavoro, e con lei si ètrasferito in Australia. Nel grande negozio dei fratelliRocco, Umberto e Manlio, mia mamma andava a fare laspesa di generi alimentari. Appassionati cacciatorid’inverno, d’estate diventavano pescatori e con il loroguzzo a motore inseguivano orade e dentai. Erano deitipi burloni. Un giorno avevano fatto trovare una lepreimpagliata al loro collega di battute Attilio Matich. Unaltro giorno, d’accordo con gli altri negoziantibuontemponi della piazza, dicendo “Che bruta siera chete ga” avevano convinto uno, forse non troppo sveglio,ad andare dal dottore. S’erano divertiti a raccontare amia mamma, quando era andata in bottega, una miapiccola taciuta avventura. Era la prima volta che mi eroarrischiato ad inforcare la pesante bicicletta da donna ecorrere per la discesa di via Carducci fino in piazza. Ifratelli Rocco vedono un bambino piccolo su unabicicletta grande che nel fare la curva non riesce astringere i freni e va a sbattere contro il banchetto diBepi Tomè davanti alla bottega del barbiere, là doveinizia la via della stazione, che non sa, agitando lebraccia a destra e a sinistra, se salvare bottiglie vuote,

46

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 46

Page 47: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

vasetti o frutta che cadevano da tutte le parti. Ma laparte più comica, a detta dei Rocco, è stato vedermirialzare fulmineo da terra, risalire sulla bicicletta eripartire imperterrito a grandi pedalate. La moglie diUmberto, siora Letizia, quando non è alla cassa sta inpiedi con le braccia al grande sen conserte. Oltre i Roccoc’è il centralino telefonico con dentro un’impiegataindaffarata a mettere dentro e tirare fuori spinotti daibuchi e, oltre ancora, l’oreficeria Caluzzi. Dall’altra partele fa concorrenza l’oreficeria Dapretto. E poi la bottegadi frutta e verdura dei Tomé. “Sinque schei de zìzole esoldi indrìo”. Mi avevano detto di chiedere cinquecentesimi di giuggiole e pretendere il resto, che nonesisteva pagando con la più piccola monetina incircolazione, ma ero troppo piccolo per saperlo. VittorioTomè mi porgeva sorridendo un minuscolo scartossetodi grossa carta gialla trasformata all’istante in forma dicono con dentro le zìzole. In seguito avrei saputo cheVittorio era conosciuto come Vittorio da la carta biancaperché alla visita di leva proteggeva le sue parti intimecon un foglio di carta, non gialla, come quella che usavaper incartare le zìzole, ma bianca. Dalla parte della piazza verso l’imboccatura di via Romac’era il grande negozio di ferramenta di Bernardon. Iragazzi ricorrevano al proprietario, che disponeva di uncompasso con punta di diamante, per farsi tagliare undisco da una grossa lastra di vetro per costruirsi poi lamaschera da sub con un pezzo di camera d’aria di camion.

47

imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 47

Page 48: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

In strada granda

Rivista vent’anni dopo il mio esodo del ’46, la StradaGrande Decumana non mi sembrava proprio grandefisicamente. Bastavano pochi passi a percorrerla tutta daFora le porte a Marafor. E la vedevo stretta, quasi comeuna calle veneziana, tanto più che ostentava diversiesempi di case nello stile gotico della Serenissima. Duemillenni addietro l’avevano battuta i calzari dei legionariromani. Sulle lastre bocciardate di pietra dell’Istria dellapavimentazione erano passate numerose generazioni diparentini. Dopo l’esodo, pressoché totale, altri piedi lacalpestano. Tra le case non si sente più il melodiosocanto della parlata istriana. All’inizio della via, dalla parte della torre pentagonaleveneziana, dalla piccola bottega di tessuti sale i duegradini che la separano dal piano stradale il negozianteZuliani tenendo una pezza di tela colorata tra le braccia,gridando ad una contadina che era scappata unmomento prima e si allontanava quasi di corsa: “Lavada a remengo, la vegna qua”. Voleva riconquistare lafiducia della possibile acquirente procedendo ad unulteriore ribasso del prezzo. Dalla stessa parte della via, ma più lontano, nel negoziodi Silvio Riosa i tessuti erano di qualità e i prezzi nonerano a tira e molla. Tra il bar di Machin e la bottega di frutta e verdura diMusina lavoravano i barbieri Plinio e suo padre, sior PieroSignorini. Anche se il locale era affollato, alla domanda:“Quanto go da spetar?” La risposta era sempre la stessa:“Un quarto d’ora”. È diventato proverbiale il quarto d’orade barbier, che poteva essere piacevolmente occupatonella lettura della Tribuna Illustrata e della Domenica delCorriere. Plinio, nei momenti liberi, si dedicava allo studiodel mandolino, che poi ha abbandonato per sostituirlocon quello del violino. “I do strumenti ze parenti” dicevaPlinio “perché tuti do i ga le corde co le stesse note: sol,re, la, mi. Basta dir sorela mia e no te te le desmenteghipiù”. Il suo primo violino aveva la tastiera segnata dabarrette trasversali in metallo, come il mandolino. Inseguito il professor Pighetti gli ha insegnato a suonare un

48

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 48

Page 49: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

violino normale. Umberto Valenti è un rinomato “coiffeur” per signoreche fa le ondulazioni a signore e signorine, compaesanee forestiere. La famiglia del maestro Gonan gestisce unnegozio di calzature nella casa gotico-veneziana. Lamacelleria Caluzzi è più fornita di quella di sior Zane diFora le Porte. Oltre Signorini si apre la favolosa bottegadella signora Moro, madre della professoressa dimatematica Mirta. Vi si trova di tutto, dai giocattoli edalle bambole alle palle, ai palloni, dalle più economichepalline di terracotta alle bigliette colorate di vetro pergiocare alle vaghe, ami di ogni tipo e di ognidimensione, lenze di filo sottilissimo avvolto sullemasédole di sughero e togne e volighe varie. Accantoallo studio fotografico, nella biblioteca circolante, lesorelle Cuzzi distribuiscono libri. Da loro ho trovato tuttala letteratura russa che ha appassionato la mia gioventù.Mio fratello Steno, sempre prudente, voleva chenascondessi un libro di Massimo Gorkij, La Madre,quando erano venuti i tedeschi ad occupare l’Istria. Sull’angolo con la via che porta alla basilica si apre ilben fornito negozio di generi alimentari e coloniali diComuzzo. Entrando si sentiva subito un profumo di cosebuone. Ogni bottega ha un suo proprio odore. Nellacartoleria del cavalier Greatti, che vendeva anche iquotidiani, l’inchiostro di stampa la fa da padrone.Dall’altra parte dello slargo la cartoleria di Coana haeffluvi più leggeri. Nella tabaccheria di Semeia, il papàdi Alberto, il mio professore di terza magistrale inferiore,l’odore del tabacco è sovrastato da quello dellecaramelle. Dello stesso odore era impregnatol’impermeabile double face del professore. In fondo allo slargo tra le due cartolerie, un gradino piùbasso rispetto al piano stradale, nella bottega dilegatoria il maestro Attilio Barzelogna ha sempre lacompagnia di ragazzi che, approfittando della suainesauribile ospitalità, hanno fatto della sua bottega illuogo dei loro appuntamenti. Gli studenti si scambiano icompiti di latino e di matematica Attilio Barzelogna èstato maestro di ginnastica e di scherma. Nella grandepalestra con il pavimento in parquet sulla strada dellastazione ha insegnato anche a me ad impugnare ilfioretto e a metterlo nelle posizioni di difesa: in prima, in

49

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 49

Page 50: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

seconda in terza, in quarta. Mi piaceva particolarmentela parola magica “mezzocerchio”. Nella legatoria ilmaestro chiacchierava con i ragazzi, sapeva sempreascoltare con partecipata attenzione senza smettere difare il suo lavoro, che non gli mancava mai, perchéaveva da soddisfare le richieste della tipografia Coana edi numerosi uffici pubblici. Era inoltre l’anima dellemolteplici attività dell’oratorio parrocchiale, tra le qualila filodrammatica occupava un posto di rilievo. Strada Granda di giorno aveva un traffico pedonalenormalmente rarefatto. Gente che andava e tornava daivari negozi, dalle proprie case, dalla chiesa. Neipomeriggi di lezione di educazione fisica le ragazze delconvitto di Marafor, inquadrate e accompagnatedall’assistente, percorrevano la Decumana perraggiungere la palestra, tutte nella loro divisa blu,completata dal mantello e dal basco blu nella stagionefredda. Dalla bassa finestra della legatoria i ragazzi ghepetava qualche ociada nel breve spazio di visuale. Nelle sere, dai primi freschi autunnali, per tutto l’invernoe fino ai primi tepori primaverili, Strada Granda eraaffollata di ragazzi e ragazze, giovanotti e signorine, eanche da persone non più in giovane età, che andavanoavanti e indietro ciacolando in continuazione. Giovaninimpissaferai già allo spegnersi del giorno aveva acceso ilampioni a gas servendosi della speciale asta munita difiammella e di levetta per aprire il rubinetto. Gruppetti ditre, quattro ragazze affiancate e a braccetto occupavanoquasi mezza strada. Quando parlava una del centro,misteriosamente sottovoce, quelle delle ali siavvicinavano ad arco portandosi avanti per intenderemeglio e ritirarsi poi in linea con risolini d’intesa. I ragazziche le seguivano non capivano niente, come era naturale,di ciò che dicevano. Teo Toncina cantava “Done, late, latedone, tuto ‘l late lo compero mi” e il suo amico loaccompagnava modulando suoni di chitarra con il nasopizzicato sulla narice dal pollice traendo un piacevoleeffetto. Il bel Gei era il più ammirato dalle ragazze,fossero studentesse o sartine. Gigi el Bulo, el fio dellanternista, con le sue battute scherzose faceva sbellicaredalle risa la sua compagnia. Le coppiette camminavanocon passo svelto, come se avessero una meta daraggiungere. Mentre gli altri si lasciavano condurre dal

50

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 50

Page 51: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

flusso più lento della corrente. Piano piano Strada Grandasi svuotava. Gli studenti tornavano a casa a copiare laversione di latino passata da un compagno per avere lecarte in regola il giorno dopo. Le coppiette erano spariteda un pezzo. Teo Toncina continuava malinconico acantare “Late done, done late, tuto ‘l late lo compero mi”,accompagnato con la chitarra a naso del suo amico.

51

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 51

Page 52: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Le rive

D’estate la passeggiata serale si svolgeva sulle rive,rinfrescate da una piacevole bava di mare. Dal moloNazario Sauro al molo Riviera, dalla casa d’angolo dellacapitaneria di porto fino all’hotel Riviera sul moloomonimo, la luce elettrica dei bei lampioni di ghisa a trebracci dà un forte chiarore. Attraccato al molo Sauro ilvaporetto arrivato da Trieste riposa tranquillo. Ripartiràl’indomani mattina bonora. Il Caffé Parentino ha lefinestre spalancate, ma dentro gli avventori sono pochi.Un paio di ragazzi giocano stancamente a carambola. Lagelateria invece è affollata. Anche il Riviera ha la suagelateria. Nel giardino sulla pista rotonda da ballo simuovono le coppie di danzatori cullati dai lenti motividell’orchestrina. Un sabato sera ero seduto al tavolinocon mia sorella Romilda ed il suo fidanzato che eraarrivato da Pola con la motonave San Giusto. Quellasera, a tredici anni, il mio futuro cognato mi avevapromosso grande offrendomi un bicchierino di strega,un liquore secco e forte che ho centellinato a lungo pernon bruciarmi la gola. La domenica mattina, dopo la messa delle undici induomo, accompagnavo il papà sulla riva a comperareuna anguria dai ciosoti che avevano una barca piena deigrossi frutti succulenti. Lui sapeva scegliere quella buonaaccostandola all’orecchio e picchiettandola con le nocche. Prima della guerra all’osteria di Bastian, sulla rivadavanti alla pescheria, avevano installato un altoparlantecollegato ad un grammofono che diffondeva ad altavoce le canzoni del Trio Lescano ed altre dell’epoca.Parlami d’amore, tuli, tuli. tulipan... Qualche ragazzocamminava seguendo il ritmo sincopato. In qualchedisco Angelo Cecchelin raccontava le sue barzellette,non certo quelle politiche che più di una volta l’avevanocondotto dietro le sbarre. Tra l’osteria di Bastian e la sede della banca abitava ildirettore didattico, che era il papà del mio compagno discuola Gigi Maule. Mia mamma era andata a trovarlo conuna bella sgneca di prosciutto nella sporta per chiederglise poteva assegnare una qualche supplenza a sua figlia

52

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 52

Page 53: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Romilda, da poco diplomata. Non ha potutoaccontentarla. Tornata a casa la mamma ha detto al papà:“No go otegnù gnente, ma go portà indrio el persuto”.“Brava Catina, te ga fato ben” ha soggiunto mio padre. Nel tardo pomeriggio i battelli dei Donà e dei Zorzeto,ancorati poco lontani davanti al bel municipio costruitosul progetto dell’architetto triestino Berlam, marito diuna parentina, lo stesso del faro della Vittoria di Trieste,sciolti dagli ormeggi, si disponevano con la fiancata allabanchina per imbarcare la saccaleva e i pescatori, con lebattane munite di lampare a rimorchio. Si spingevano allargo dopo essere uscite dal porto tra la diga nuova e loscoglio della lanterna. Sarebbero rientrati all’alba conuna bella quantità di argentee sardelle se la notte illunefosse stata propizia.

53

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 53

Page 54: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Il porto

La penisoletta, che duemila anni or sono i Romaniavevano scelto per il loro insediamento militare, conl’insenatura a fianco del piccolo promontorio di SantoSpirito a sud e l’isola San Nicolò ad ovest, offriva giàl’idea di un buon porto. Ma i ripari naturali erano statiritenuti insufficienti, così, in epoca più vicina a noi, sonostate costruite due dighe in linea per tagliare la strada allibeccio. Una è attaccata alla parte meridionale di SanNicolò e l’altra ad un minuscolo scoglio che affioraappena dall’acqua. Tra una diga e l’altra, la bocca delledighe, c’è uno spazio di neanche trenta metri, attraversoil quale passavano ogni giorno i vaporetti della SocietàAdriatica di Navigazione Nesazio e Salvore checollegavano Pola e Trieste facendo scalo ad ognicittadina che si affacciava sul mare lungo tutta la rotta.In un secondo tempo è stata costruita un’altra diga, ladiga nova, più alta delle precedenti, attaccata alla partenord di San Nicolò, per opporsi al maestrale. Alla sera arrivava da Trieste il Celere, che attraccava,come i confratelli Salvore e Nesazio, al molo NazarioSauro. Qui trascorreva la notte per ripartire al mattinopresto per ritornare all’altro capolinea. Il viavai deivaporetti con il fischio allegro delle loro sirene dava vitaed allegria al porto. Sul molo c’erano sempre pronti adogni imbarco e sbarco due facchini per gettare e toglierela pesante passerella di legno con le ruote e il parapettodi ferro. Il portalettere all’arrivo del postale accorreva conil carretto dei sacchi dall’ufficio che era a pochi passisulla riva Venezia. Gli scaricatori portuali avevano ungrosso carro a quattro ruote che manovravano a mano oera tirato dalla mula di Balin. Balin era il soprannome delproprietario della mula, la mula bestia, in questo caso enon la mula nel senso di ragazza. Gli scaricatori, uominirudi e forti, quando scaricavano la farina ai panifici,portavano disinvoltamente i sacchi da un quintale sullaschiena. Soltanto dopo la guerra, imparando dagliamericani, i molini avrebbero usato sacchi da mezzoquintale. Anche le grosse stanghe di ghiaccio venivanosmistate alle trattorie, alle gelaterie e ai bar. I facchini le

54

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 54

Page 55: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

staccavano dal carro su cui erano accatastate con unarpione d’acciaio e, una alla volta, se le caricavano sullaspalla protetta da una cerata. Le botti piene di vinovenivano rotolate a forza di braccia su due robuste traviinclinate, agganciate alla parte posteriore del carro. La motonave San Giusto, grossa com’era e per ilpescaggio, non poteva passare per la bocca delle dighe,ma entrava in porto, quando proveniva da Pola,passando quasi di nascosto da dietro l’isola di SanNicolò, mostrando di colpo i suoi ponti superiori e iltozzo fumaiolo sopra la murata della diga nuova. Lavoce della sua sirena era piuttosto seria, intonata suisuoni gravi. Attraccava disinvolta, nonostante la stazza,sul molo Riviera, davanti al grande hotel dello stessonome. La San Giusto faceva la spola tra Zara e Trieste,toccando soltanto le città principali, tra cui Parenzo. Ogni estate un bel cutter bianco sostava per qualchegiorno ormeggiato al gavitello che galleggiava in mezzoal porto. L’eleganza della linea attirava perfino lacuriosità dei pescatori. Bella barca, ammettevanobofonchiando. Ma senza rimpianti passavano a caricarele saccaleve sui battelli, anch’essi eleganti se confrontaticon i bragozzi neri dei chioggiotti. I ciosoti non eranotanto ben visti dai pescatori parenzani, perchè, dicevano,essi usavano reti a strascico che rovinavano i fondali. Daparte loro i ciosoti, costretti a gettare le reti sull’altrasponda dell’adriatico, che è la nostra sponda, nonnascondevano un po’ d’invidia nei confronti dei colleghidi Parenzo che potevano contare ogni anno, nei periodiprefissati, sulla ricca e comoda pesca, quintali e quintalidi sievoli e bransini imprigionati nella peschera, la largavalle tra la penisola e Pizzal.D’estate il porto era attraversato da batane con la randae qualche leggero sloop con fiocco e vela Marconi chebordeggiavano in lungo e in largo. Lucio, il ragazzosomalo adottato dal console Franca, imbarcava un po’ dimularìa sul piccolo cabinato che faceva da nave corsara. Quando le navi scuola Amerigo Vespucci e CristoforoColombo hanno fatto sosta a Parenzo, hanno gettatol’ancora in rada, essendo le acque del porto nonabbastanza profonde. I visitatori erano trasportati a bordocon veloci lance a motore. Una grande bussola erasistemata su sospensione cardanica per averla, hanno

55

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 55

Page 56: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

spiegato, sempre orizzontale. Alla sera le lancesbarcavano sul molo Riviera gli allievi ufficiali, elegantinelle loro divise, pantaloni bianchi e attillato giubbinoscuro e un corto spadino che ballonzolava sul fianco.Passeggiavano a gruppetti di due o tre calamitando glisguardi delle ragazze. Le più ardite non si limitavano apetarghe qualche ociada, introducendo la conversazione. Anche il nostro compaesano Licio Visintini a suo tempos‘era arrampicato su quegli alti alberi a sbrogliare eimbrogliare le vele. Dalle banchine o dal molo, quando non c’era viavai dibarche, qualche pescatore dilettante gettava la suatogna. Se tirava su qualche guato o qualche slofa non sidegnava di metterli nel cesto e li ributtava in acqua,essendo buoni forse soltanto per il gatto. Altri pescatoridi togna per la loro abilità potevano essere consideratiprofessionisti. Uno era Giovanni Zecchini, il fratellomaggiore di Uci, anche bravo suonatore di sassofono.Con la sua battana a remi usciva dalle dighe e gettaval’ancora in un punto che lui sapeva individuare e chenon rivelava a nessuno, non lontano dalle secchesegnalate dal pal, il palo di ferro sormontato da uncerchio. Lavorava con quattro togne, ognuna delle qualiaveva quattro ami. Era sveltissimo ad innescare gli amicon l’esca adatta, svolgere le lenze dalle masedole disughero e gettarle in acqua. I riboni abboccavano voraci.Lui non aveva da fare altro che tirarli su, staccarli dagliami e ributtare le lenze nuovamente in acqua. In pocheore tirava su diversi chili dei prelibati pesci rossi. Unaltro bravo pescatore di togna era Angi Gioseffi, che dimestiere faceva il falegname con il padre. Era lento diparola perché un po’ balbuziente. Per avere le parolepronte intercalava tra l’una e l’altra “digo mi, digo ben”e, talvolta, aggiungeva “digo pulito”. Ma era svelto apescare gli spari che abbondavano dietro San Nicolò. Nella caletta davanti all’hangar il fondale era ricco di cassimarini e di nasture conficcate nella sabbia. I ragazzi sidivertivano a strizzare le oloturie per farle pisciareaddosso agli altri e poi a scagliarsele. Qualche nastura,detta pinna in italiano, veniva staccata non per il molluscoma per le grandi valve, brune all’esterno e madreperlaceeall’interno. Sempre davanti all’hangar, un po’ di fianco e apochi passi dalla marina, sgorgavano due polle di acqua

56

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 56

Page 57: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

dolce. Immergendo la mano la sentivi più fresca. Capitava talvolta ai ragazzi di trovarsi a passeggiare sulviale accanto allo squero nelle calde notti d’estate. Sequalcuno proponeva di fare un bagno nessuno si tiravaindietro. La mancanza di costumi da bagno non era unproblema. Il buio ci copriva. Scendere in acqua nudi eracome immergersi in una nera tinozza smisurata. Quandocominciavi a nuotare le braccia sollevavano miriadi digocce fosforescenti ed il corpo si sentiva accarezzato inogni parte. Nel tardo pomeriggio il giovane professore dimatematica delle magistrali aveva l’abitudine diprelevare nella canottiera lo skiff per calarlo in acqua evogare sul mare tranquillo, liscio come l’olio dopo lacaduta della brezza. Se c’ero lì lo aiutavo portando i remie se c’ero ancora lì al rientro lo aiutavo ancora.Sistemato il leggero canotto sulle mensole infisse nelmuro si metteva sotto la doccia incurante di esporre ilsuo corpo da atleta greco abbronzato dappertutto. Citeneva alla tintarella e non risparmiava l’olio di noce perottenere i migliori risultati. In un angolo tra la canottiera ed il muro di sostegnodella strada, in un bugigattolo, Toncina, il papà di Teo,usava le cortecce secche di pino per ottenere la tinta concui far diventare color marrone le reti dei pescatoriimmergendole in un grosso calderone posto sul fuoco. Verso mezzogiorno l’avvocato Dechigi usciva dalla casasulla riva, a due passi dalla canottiera, a chiamare i suoibambini che giocavano lì davanti: “Annio, Decio, Orio,Mara! Il pranzo è pronto”. Per alcuni anni mia sorellaMaria aveva fatto la stenodattilografa nel suo ufficio eassistito nei compiti i due ragazzini più grandi. Haconservato un caro ricordo della gentilezza dei genitori edella squisita educazione dei figli. Camminando sui moli o sulle banchine del porto c’erasempre qualcosa che attirava l’attenzione. Potevanocapitare degli imprevisti, come, ad esempio, che un torelloissato a bordo del piroscafo cadesse in acqua per la rotturadell’imbragatura, con successive manovre per recuperarlo.O che un Kant. Z 506 di linea ammarasse per avaria. Dal mare arrivarono i Veneziani ai quali Parenzo si eraaffidata nel 1267 per sottrarsi al potere feudale deivescovi. Dal mare arrivarono i marinai italiani liberatori

57

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 57

Page 58: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

la sera del 3 novembre 1918 con il cacciatorpediniereAbba e due torpediniere per ricongiungere Parenzo allamadrepatria. Dopo l’occupazione titina del 1945 un vecchio parensansaliva tutte le mattine sul campanile della cattedrale perscrutare il mare oltre il porto, nella speranza di scorgereuna nave degli angloamericani che arrivasse a liberarci.Ore e ore, giorni e giorni gli occhi fissi in quell’arco diorizzonte che restava sempre crudelmente deserto.Un’attesa insensata, rivelatasi vana dopo che gli alleatise n’erano andati da Pola nel 1947, con l’entrata invigore del trattato di pace che aveva consegnato l’Istriaalla Jugoslavia di Tito.

58

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 58

Page 59: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Mularia di Marafor

Marafor, la piazzetta in fondo alla Strada GrandeDecumana, deve il suo nome al romano Foro di Marte. Sudi un lato della piazza sorgeva un tempio dedicato al diodella guerra. Tutti i ragazzi che abitavano in Marafor edintorni erano famosi per lo spirito bellicoso e per l’accesarivalità nei confronti dei residenti fuori dalle porte, che siidentificavano con il gruppo di Simarè, la piazza VittorioVeneto all’altra estremità di Parenzo. Tra le due bande laguerra era permanente e non mancavano le occasioni discontri in campo aperto a suon di sassate. Nandin, il figliodel falegname Gioseffi, provvedeva a rifornire noi diSimarè di sciabole di frassino così taglienti che con uncolpo ben assestato recidevano l’erba. Queste armi dilegno però ci servivano più da ornamento che da oggettidi offesa, poiché evitavamo di giungere al corpo a corpo,per non buscarle. Se poi le bande si trovavano lungo ilviale dello squero quando il terreno era coperto di marronicaduti dagli ippocastani del viale, la battaglia si faceva piùaspra e non sempre si riusciva ad evitare i duri proiettiliche, se ti avessero colpito sulla testa avresti portato ilbernoccolo, poco lusinghiero trofeo, per parecchi giorni. I marroni degli ippocastani servivano anche perfuribonde battaglie navali. Caricati sulle battanevenivano lanciati da una barca all’altra per colpire glioccupanti. E sulla barca non avevi il tronco di un alberodietro il quale riparare la testa. E non ti saresti azzardatoa staccare dalla sentina un paiolo con cui farti scudo. Pernon apparire pusillanime. Gli addetti ai remi erano i piùesposti, perché era difficile badare alla manovra dellabarca e contemporaneamente scansare la gragnola. Anche i ragazzini più piccoli di Marafor, sulle orme dei piùgrandi, ostentavano baldanzosa fierezza e incuranza delleregole. Giravano sempre in gruppo. Una mattina d’estateerano in cinque o sei sul molo rimasto deserto dopo lapartenza del vaporetto. Scesi sulla gradinata che guardaverso l’hotel Riviera si sono liberati lestamente dei pochiindumenti, una canottiera e un paio di mutandine di satin,abbandonandoli su di un gradino della scalinata laterale esi sono tuffati allegri nello specchio di mare di fronte al

59

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 59

Page 60: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Caffè Parentino. I loro culetti bianchi si dimenavano eaffioravano in contrasto con il nero del resto del corpo.Ma la loro allegria cessa di colpo. Il commissario delleguardie comunali comanda di uscire immediatamentedall’acqua. “È proibito fare il bagno nel porto!”. Nella suagrande mano racchiude gli straccetti, che sarebbero ivestiti dei bambini. I quali, nuotando di malavoglia,approdano alla scalinata. E qui restano, perché nontrovano di che coprirsi. Implorano il commissario direstituire i loro panni. Il commissario è inflessibile: “Nonsapete che è proibito fare il bagno nel porto?”.Ora i bimbi, con le piccole mani che coprono il davanti,nella stessa posa dei calciatori in barriera preoccupati diproteggersi le parti intime, salgono dalla scalinata e sifermano con aria contrita davanti al comandante delleguardie comunali. “El ne pardona. No lo faremo più. Elne daga i vestiti che tornemo a casa”.I monelli tolgono le mani dalla protezione percongiungerle in atto di preghiera. Di fronte a loro lagrande figura del commissario nella sua divisa nera diordinanza con le striche rosse lungo il fianco esterno deipantaloni, la sciabola sottoscaio, le dita serrate intornoall’abbigliamento dei trasgressori che, nudi e neri comeabissini, a parte il bianco tra l’ombelico e le gambe, nudicome sono non possono ritornare in seno alle famiglie.Che gli raccontano a casa? Che il commissario ha lorosequestrato i vestiti?Gli avventori del Parentino usciti dal caffè si godono lascenetta. In mezzo al molo iI commissario resiste alleimplorazioni che si fanno sempre più lacrimose: “El nepardona. El sia bon”. Finalmente il burbero commissariosi impietosisce e lancia il groviglio di stracci. ai bimbiche si precipitano a raccoglierli E mezzo vestiti e mezzoda vestire, come cagnolini abbaianti al sinter, locircondano, tenendosi sempre a debita distanza, confaccia feroce gridando rabbiosi: “Tu mare putana, tumare putana, tu mare putana”. Mularìa di Marafor…

60

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 60

Page 61: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Il ricreatorio

Tutta, o quasi tutta, la gioventù di Parenzo è passata per ilRicreatorio. Dai fanciulli “crociatini” dell’Azione Cattolicaai grandi della filodrammatica. I crociatini e gli aspirantierano spesso intrattenuti dalla signorina Draghicchio, ziadi Ennio e di Dario, bravissima a raccontare le storie dellaBibbia e altre di contenuto locale, come la beffa diNazario Sauro agli austriaci o quella di un agricoltoreparensan che era tornato a casa dalla campagna distesosul carro con una gamba gravemente infortunata. Facevapena a vederlo camminare tutto rattrappito con l’artoinvarigolà, appoggiato ad un bastone. Alla fine dellaguerra che, grazie alla sua disgrazia, aveva evitato,all’arrivo degli italiani scagliò in alto il bastone e si mise acorrere colmo di gioia. Il campetto di calcio era contornato dal campiello,dall’orto del vescovo, dall’alto muro che limitava ilterreno della caserma dei carabinieri e dalle bassecostruzioni del teatrino e della contigua abitazione delvecchio nònsolo Vascotto, che viveva con la vecchiamoglie e la vecchia figlia Maria che portava occhiali conlenti spesse come fondi di bottiglia. Ogni pomeriggio frotte di ragazzini improvvisavano iloro giochi o correvano dietro al pallone, mentre donPiero Cleva, assistente al ricreatorio, leggeva il suobreviario o biascicava le sue preghiere. Ogni tantoqualche bimbetto ricorreva a lui per denunciare giocoviolento da parte dell’avversario o imprecazioni rivoltealla propria madre. Don Piero si limitava a dire unaparola di raccomandazione per rituffarsi nella lettura. Lepartite finivano al battere delle mani di don Piero chemandava tutti a casa. Ma prima di congedarli li mettevain cerchio attorno a lui nella sala del teatrino per larecita della preghiera, l’Atto di dolore e di pentimento:era come una doccia per l’anima che ritornava candidacome quella di un neonato. Gli sgambetti, i calci neglistinchi sferrati intenzionalmente, le parolacce profferite avoce strozzata, i… complimenti a tu mare, le tentazionidi spedire la palla nell’orto del vescovo per andarla aprendere oltre la ramà con il segreto intento di cogliere

61

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 61

Page 62: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

qualche fico o piluccare l’uva pendente dalla pergolasparivano d’incanto, e tutti innocenti come angiolettifacevano ritorno alle loro famiglie. Se pioveva i giochi si svolgevano nella sala o dietro ilpalco, nel locale che fungeva da spogliatoio in occasionedelle recite e ospitava gli armadi della biblioteca e ungrande e lungo tavolo, sul quale veniva fissata la retedel ping-pong. Nessuno ci faceva caso se le sue misurenon erano quelle regolamentari, le estremità finivano asemicerchio e i bordi smussati facevano fuggire per latangente la pallina che li toccava. Le partite diventavanopiù interessanti. Nella sala un giorno era comparso il calciobalilla,costruito artigianalmente da Checo Grabar, nonno diMario, mio compagno di studi e di giochi. I calciatorinon erano come gli attuali ometti di plastica dalle formeapprossimate, ma erano stati disegnati e ritagliati nellegno in varie posizioni e dipinti fin nei particolari delvolto e delle divise dal pittore Mechis. Dopo cena il ricreatorio, specialmente d’inverno,diventava il ritrovo dei giovani, che trascorrevano leserate in lunghe partite a carte o giocando a scacchi, adama. Si imparava pure a fumare, giocare a poker, ma igettoni non venivano mai cambiati in lire. Intensa eral’attività teatrale, che coinvolgeva gli attori e molti altriragazzi per la preparazione delle scenografie. AttilioBarzelogna, maestro di ginnastica, di scherma, provettorilegatore, era l’instancabile regista, suggeritore,truccatore di ogni spettacolo teatrale. Conosceva inoltre isegreti per produrre un’infinità di rumori: il vento, labufera, il treno, lo scalpitio dei cavalli, il rombo dei motoridegli aerei... Se poi erano in allestimento le operetteaccorreva in aiuto, per la parte musicale, don GiovanniFabbro, segretario del vescovo, che al pianoforteinsegnava le varie parti agli attori e dirigeva l’orchestra. L’anteprima era riservata alle ragazze delle magistraliaccolte nel convitto di Marafor e nel convitto delle suoredel Sacro Cuore. Al ricreatorio c’era sempre da lavorareper sistemare le sedie per gli spettacoli e per ricollocarleaccatastate in fondo alla sala quando gli spettacoli eranofiniti. Ma tutti prestavano la loro opera con entusiasmo.Anche le ragazze di quando in quando davano unacommedia sul palco del ricreatorio. Allora le compagnie

62

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 62

Page 63: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

erano unisex. Una volta la filodrammatica era andata intrasferta ad Umago per presentare in quel, grandissimoper me bimbetto di sei anni, teatro parrocchiale,l’operetta Gli studenti di Padova. Studenti che, per farsganciare quattrini all’avaro zio Cassiano a favore di suonipote, lo danno per malato grave e bisognoso dimedicine costosissime. Ma lo zio arriva inaspettato nelmezzo della festa, che gli studenti sono costretti atramutare su due piedi in veglia funebre attorno allabara del nipote trasformato in morto. Lo studenteimbroglione era Vitaliano Milanese e il buffissimo ziocampagnolo mio fratello Umberto. In un remakesuccessivo mio fratello Santo avrebbe ricoperto ilmedesimo ruolo con altrettanta spassosa comicità. Di contorno all’operetta era stato presentato SangueRomagnolo, tratto dal Cuore di De Amicis. Per le citateesigenze unisex la nonna era diventata nonno. Ed io,che recitavo la parte del nipotino, mi gettai alleginocchia di Vittorio Tomè morente gridando condisperato dolore:”Nonno, nonno!”.Nel teatro di Umago era iniziata e si era conclusa la miabreve carriera di attore.

63

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 63

Page 64: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Forza e valore

Era il nome della società dei canottieri. Forza e Valore.Queste virtù erano state praticate nelle tantissime regatealle quali avevano partecipato i fortissimi canottieriparentini dalla fondazione fino allo scoppio della secondaguerra mondiale. I muscoli li avevano fatti zappando damane a sera la dura terra rossa delle campagne istriane,battendo il grosso maglio sull’incudine, con il lavoro difacchino portuale o di pescatore. Uomini rudi che, dopouna giornata di duro lavoro avevano ancora forza, vogliaed entusiasmo per staccare il canotto dalle mensole,raddrizzarlo con movimenti sincroni e adagiarlo sul pelodell’acqua, infilare i remi negli scalmi, salire a bordo tuttiinsieme e allontanarsi nel porto per l’allenamento serale.“Op... là, op... là”, scandiva, implacabile come unmetronomo, la voce del timoniere per dare il tempo. Ivogatori come scolaretti diligenti obbedivano alla voceche imponeva il ritmo, allungando e accorciando legambe nel movimento del sedile sulle rotaie, allungandoe ritirando le braccia, le mani avvinghiate al remo, nellasuccessione delle poderose palate. E la barca filava quasia balzi sull’acqua, come un felino affamato che si gettaall’inseguimento della preda. Una forza inesauribile chetalvolta si metteva giocosamente in gara con la motonaveSan Giusto che navigava veloce dopo aver doppiato ladiga nuova. Dai ponti della nave i passeggeri assistevanodivertiti alla sfida. E valore da vendere, attestato dall’albo d’oro della societàcon la conquista dei primati nelle regate nazionali edeuropee. I vincitori ritornavano a casa con il vaporettodella sera proveniente da Trieste. Sul molo li aspettavanola folla plaudente e la banda dei bersaglieri. E poi festanella canottiera e gran ballo tra i canotti e sulla terrazza. Ai campionati nazionali che si svolsero a Napoli, primadella guerra, il quattro con della Forza e Valore eravicino al traguardo quando Mario Gressia, dettoBianchere, quarto remo, ebbe una crisi improvvisa.Bruno Giacomini, secondo remo, si trovò a remare perdue. Stringendo i denti riuscì a mantenere il vantaggio ea cogliere la vittoria.

64

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 64

Page 65: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Giochi di bimbi

Nella quinta classe della scuola elementare del maestroCortese tutti gli scolari avevano il papà, oppure il pare,come dicevano in dialetto. Solamente Doretto non avevané l’uno né l’altro. Non perché fosse orfano. Lui aveva ilbabbo! Doretto, con il quale passavo lunghi pomeriggi agiocare nella soffitta di casa sua, un bimbetto dailineamenti delicati e dai modi gentili, nel registro di classeera iscritto con l’altisonante nome di Teodoro, aggiunto alnon meno importante cognome De Manzolini. Il suo“babbo” non lo vedevamo quasi mai, e poco anche lasua mamma, nativa di Pescara. Doretto le si rivolgevachiamandola mammina, diminutivo che si addiceva allasua figura minuta e graziosa. Io, dal mio canto, non avreimai osato chiamare così la mia genitrice, anche perchénon era minuta. Il “babbo” di Doretto aveva un ufficio al pianterreno dellasua villetta, a un passo dalla vecchia distilleria dei fratelliRocco e dalla canottiera, adiacente alla casa delveterinario Di Giovanni. Il suo viso affilato sovrastante unlungo corpo magro era contrassegnato da sottili baffineri. Abitualmente calzava stivaloni di pelle marrone eportava pantaloni a prosciutto, come i militari dicavalleria. Il suo essere diverso da tutti gli altri padrigiustificava alla mia piccola mente il fatto che lui fosse un‘babbo’ e non un papà. Un babbo non tanto presente,forse, ma che al figlioletto regalava giocattoli costosi. Ungiorno Doretto aveva portato a scuola una minuscolamacchina fotografica giapponese, che stava racchiusa nelpalmo della mano. È una macchina da spie, avevaspiegato. Il giardinetto di casa non era mai teatro deinostri giochi. Quando non andavamo a caccia di uccellini,con il suo flobert ad aria compressa, ci rintanavamo nellasoffitta a fare esperimenti con la polvere da sparo chepreparavamo con lo zolfo acquistato nel negozio deiRocco Fuori le Porte e con la potassa comperata dall’altraparte della piazza, nella. farmacia. Il terzo ingrediente, ilcarbone, Doretto lo trovava in casa. Quando entravamonoi, il grosso gatto nero, dopo la prima volta che avevadovuto presenziare ai nostri esperimenti in una nube di

65

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 65

Page 66: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

fumo puzzolente di zolfo, preferiva svignarsela lestoprima che la porta venisse richiusa. Talvolta la nonna sentiva sopra la sua testa dei rumorisospetti. Allora dalla cucina, arrancando per la scala,saliva in soffitta. “Doreito! Che cosa state combinando?Dove siete che non vi vedo? Cos’è questo fumo? Cos’èquesta puzza?” allarmata tossendo chiedevanell’accento abruzzese. Il fumo e la puzza erano causatidalla miscela che preparavamo con diversi dosagginell’intento di ottenere la migliore polvere nera, quellache bruciava più rapidamente. Polvere che serviva per caricare un grosso tubo di ferroche il meccanico ci aveva otturato ad una estremità conuna saldatura. Non gli avevamo rivelato a che cosa ciserviva. Era diventato una specie di rudimentalemortaio. Un forellino praticato sulla canna in prossimitàdella culatta permetteva l’introduzione della miccia.Fissato a terra, caricato con la polvere da sparo esassolini, incendiata la miscela per mezzo della miccia, ilcannone funzionava. E come funzionava! Era sempreDoretto a dare fuoco alla miccia, che era abbastanzalunga per permettergli di correre al riparo. Io mi eroprudentemente allontanato già da prima. Questo giocopericoloso fatto da bambini incoscienti si svolgeva inluoghi deserti, tra i sassi del monte Caluzzi. E lì rimase,perché né io né Doretto saremmo diventati dinamitardi. I giochi con Tullio si svolgevano in una grande stanzacon le imposte chiuse, dietro l’ambulatorio del dottorSbisà, suo padre. Il buio era attenuato da una lampadinadi poche candele appesa ad un filo penzolante dalsoffitto. Un letto di ottone era il nostro ‘praho’ con ilquale veleggiavamo sui mari del Sud infestati dai pirati.La nostra fantasia sollecitata dai racconti di Salgaricreava sempre nuove interminabili avventure che ciimpegnavano per interi pomeriggi. Un giorno abbiamo voluto giocare all’aperto, sul molo. Ilpraho non era il letto di ottone della stanza buia, ma ilponte mobile che serviva per far scendere e salire ipasseggeri dei piroscafi provenienti da Pola o da Triesteche attraccavano nelle diverse ore della giornata, dall’albaalla sera. Questo robusto ponte, provvisto di parapetto,aveva delle piccole ruote di ferro, due al centro e due aduna estremità, che permettevano di avvicinarlo e gettare

66

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 66

Page 67: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

la parte senza ruote a poggiare sulla tolda del vaporetto.A fare questa manovra occorrevano due scaricatori delporto, uno da una parte e uno dall’altra, se per l’altamarea il livello del ponte era più alto del molo. Sul ponte, diventato la nostra giunca cinese, si eranoimbarcati altri marinai, cioè altri bambini, di Marafor e diRivetta. Il praho ad un certo punto piomba in mezzo aduna violenta tempesta. Una parte della ciurma si agita perfarlo beccheggiare. Altri lo fanno girare velocemente comefosse preso da un vortice. Io finisco fuori bordo,aggrappato disperatamente al parapetto. Non vogliocadere in mare, cioè sulle lastre di pietra del molo. Il prahoormai gira come una giostra. L’alluce del mio piede destroresta schiacciato dal peso della ruota di ferro, caricata dalpeso del ponte, sovraccaricato dalla ciurma urlante chefinalmente si ferma al mio ululato di dolore. La tempestacome per incanto si placa. Tullio mi accompagnasollecitamente all’ambulatorio del papà, che provvede adisinfettarmi la ferita e a fasciarmi il piede. Zoppicandoritorno a casa. E ho continuato a zoppicare fieramente pertanti giorni fino a quando non sono ritornato dal dottorSbisà che mi ha tolto la fasciatura. Allora, visto che nonavevo più male, ho capito che non occorreva piùcamminare zoppicando. Quasi quasi mi dispiaceva…Caro Tullio, quante affascinanti avventure ho trascorsoinsieme con te. Poi il mondo della fantasia è finito. Laguerra, che in principio era su fronti lontani, s’è avvicinatae ci ha mostrato il suo volto orribile dopo l’8 settembre,con l’occupazione titina e gli infoibamenti. Già da tempoavevi smesso di bordeggiare su e giù per il porto con iltuo leggero piccolo sloop, con la vela Marconi che siempiva al minimo alito di vento. Eri diventato solitario.Un soldato tedesco, dietro lo scoglio San Nicolò, havoluto saltare a bordo della tua battana per lanciare unabomba a mano, di quelle con il manico, contro gli spariche pescatori muniti di togna attendevano pazienti cheabboccassero. Tolta la sicura, ha avvicinato l’ordignoall’orecchio per contare i battiti che precedonol’esplosione. La bomba però è esplosa subito, troncandodi netto la testa del disgraziato. È questo fatto che ti hasconvolto? O qualcosa d’altro ti ha spinto a porre fine allatua giovane esistenza impiccandoti in quella stanza cheera stata teatro di fantastici giochi spensierati?

67

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 67

Page 68: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

La morte in divisa da balilla

Irrigidito supino sul letto, le mani lungo i fianchi in unaposizione innaturale di attenti, il piccolo corpo esanguevestito da balilla, la bianca piccola faccia ancora piùpallida sul nero funereo della camicia, le nude ginocchiaimpietrite tra il grigioverde dei calzettoni e i calzoncini diorbace, non risponderai più “presente” all’appello delsabato o a quello mattutino del maestro di scuola. Letue labbra non si schiuderanno più per sorridere allacarezza materna. I tuoi occhi non vedranno più il voltorassicurante del padre. Ormai devi fare a meno dicarezze e non hai più bisogno di rassicurazioni. Neancheil ruvido panno della divisa che ci pareva intessuta diortiche darà fastidio alla pelle delicata delle cosce. Mi hanno introdotto nella camera ardente a salutare ilcaro compagno di giochi e per la prima volta hoincontrato la Morte: crudele si era insinuata in un bambinofino a ieri traboccante di vita per rubargli il respiro, perspegnere la sua gioia e quella dei suoi genitori. Un gioco innocente di bambini si è voltato in tragedia.Sullo squero vicino alla marina i pescatori usavanosistemare le reti ad asciugare su lunghi pennoniorizzontali di abete sostenuti ad ogni estremità da tronchiverticali alti poco più di un metro. E alle reti così sollevateda terra era più agevole rifare le maglie rotte. Su questipennoni i bambini più bravi riuscivano a camminare inequilibrio, altri vi si appendevano come bradipi. Anche ilmio amico si è appeso al legno come tanti altri, cometante altre volte. Ma il grosso tronco si è staccato finendoa terra con il bambino e colpendolo sulla testa. Dal gioco alla morte, in un istante… Il giorno dei funerali la squadra dei balilla accompagnavala piccola bara al camposanto. Avevo l’impressione chetutti avessimo indosso la divisa della morte.

68

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 68

Page 69: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Il giardino del vescovo

Il giardino del vescovo era un luogo meraviglioso.L’acqua della peschera con l’alta marea lambiva i piedidell’alto muro che recingeva a mare il giardino delpalazzo vescovile. L’odore della salsedine si mescolavaai profumi dei fiori e dei pini. Dalla parte opposta unmuretto separava il giardino dalla terrazza di cementovasta quanto una pista da hockey, con grandi vetrateche davano luce ai sottostanti preziosi mosaicidell’oratorio di San Mauro. Vi si accedeva attraverso unarustica gradinata. Dall’altro lato della terrazza si alzavaprotettivo il fianco della basilica eufrasiana. Sembrava un mondo incantato, spalancato a ungruppetto di privilegiati fanciulli da don Giovanni, ilsegretario del vescovo. Ci lasciava pestare sui tasti dellasua Adler nell’ufficio della curia gli articoli per ilgiornalino. Le matrici di carta cerata, acquistate nellacartoleria Coana, erano piuttosto leggere e occorrevamaneggiarle con cura. I disegni venivano incisiadoperando la punta di un ferro da calze. Un’altraoperazione delicata era quella dell’inchiostrazione dellamatrice. Ci riempiva di soddisfazione vedere stampatisui fogli i frutti delle nostre fatiche. Ma poi era bellouscire nel giardino e nascondere tra le aiole il tesoro. Ipetali colorati dei fiori messi tra due lastrine di vetroerano le nostre gioie preziose. Le anziane sorelle delvescovo, che nei pomeriggi della bella stagione sisedevano a ricamare all’ombra degli alberi, di quando inquando distoglievano lo sguardo dal loro lavoro. Nonsembravano disturbate dai nostri giochi. Talvolta, ma raramente, non perché qualcuno ce loavesse proibito, ci arrischiavamo a portarci i pattini percorrere sfrenatamente sulla terrazza. Non a lungo, però,perché sentivamo che quel rumore disturbava queiluoghi. Era molto meglio seppellire tesori, un’occupazionesilenziosa che continuava tranquillamente anche quandomons. Trifone attraversava il giardino, nel tricot da bagnonero con le tirache, come quello dei lottatori, cappellofloscio nero sulla testa, bastone in mano, opanche aipiedi. Scendeva fino alla porticina che dava sulla

69

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 69

Page 70: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

peschera, muoveva pochi passi sulla stretta marinacoperta di scaglie di pietra e frammenti di laterizi levigatida secoli di risacca e continuava a camminareinoltrandosi nell’acqua, cappello in testa, bastone inmano, opanche ai piedi. Noi bambini eravamo soltantocuriosi di vedere se si tuffava. Grande e grosso, la suaentrata in acqua pareva il varo di un battello di pescatori,di un bragozzo o di una corazzata. Con la differenza che ilbattello, il bragozzo, la corazzata galleggiavano, ma ilvescovo no. Si inoltrava nell’acqua della rada fino aquando questa gli bagnava il collo. Poi lentamenteriguadagnava la riva. Il vescovo senza dubbio un tempo,essendo dalmata di Càttaro, sarà stato un buonnuotatore, capace di attraversare il largo specchio dimare, liscio come l’olio nel tardo pomeriggio dell’estate,fino al Pizzal, dall’altra parte dell’insenatura. Nel 1999, tornato a Parenzo, dopo una visita allacattedrale ho voluto, pagando il biglietto, attraversare laporta che dall’atrio pensavo desse adito al vescovado.Una volta quella porta non esisteva e dall’atrio si vedevala grande scala di pietra bianca che conduceva al palazzo.Ma quella porta si apriva sul nulla, sul vuoto. Non c’erapiù lo scalone, non c’era più la loggia, non c’era più ilpalazzo, non c’era più la terrazza, non c’era più il giardinoincantato. Un nodo mi si è stretto alla gola. Mi avevanofrantumato un sogno, distrutto una memoria preziosa.Tutti quei ricordi conservati gelosamente per tanti annime li son visti strappati brutalmente. E non riesco a capire perché, per portare alla luce purpreziose vestigia antiche, non siano riusciti a conservareanche ciò che vi era cresciuto sopra. La signorina croataaddetta alla vendita dei biglietti non ha saputorispondere. E ignorava anche che cosa ci fosse stato lìprima delle demolizioni. Per forza: non poteva averememoria di ciò che non le era appartenuto, che non eraappartenuto a nessuno dei suoi antenati. Ma nessuna demolizione scardinerà dal mio cuorel’immagine fatata del tesoro del giardino del vescovo.

70

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 70

Page 71: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

I pretini della cattedrale

Nella grande sacrestia del duomo, in alto sulla parete,sopra i massicci mobili dei paramenti, risaltavano questeparole messe in suasa: ANTISTITE PRO TRIPHONE. Io,novello chierichetto, avendo appena imparato a leggere,sillabando, a voce alta dissi: antistite pro tripone. La fragorosa risata di don Piero, che era appenarientrato dalla Messa e quella sommessa del Prete Picioche stava vestendosi per andare all’altare, mi fecerocapire che avevo detto qualcosa che forse non andava.Rilessi ad alta voce, sillabando più attento. C’eraquell’acca, ma ero sicuro che non andava pronunciata.Così Tripone fece ridere ancora i due sacerdoti. Trifone era il nome del vescovo, Trifone Pederzolli, cherealmente aveva un bel trippone. Solo più tardi qualcunomi avrebbe spiegato che ph in latino vale una effe e chequella scritta incorniciata era un invito per i preti forestieria pregare per il nostro vescovo durante la messa. Ero entrato a far parte del gruppo dei chierichetti dellacattedrale che avevo sei anni. La veste più piccola ditutto il grande armadio era troppo lunga per me. Avevabisogno di una mano di tersaroi per non farmiinciampare. Vi provvide un compagno con un pezzo dispago. Anche la cotta era abbondante e le sue manichecorte mi arrivavano un pezzo oltre il polso. Così bardato,insieme con un chierichetto vecchio del mestiere,reggendo a fatica il pesante messale, precedendo donAgapito, uscii dalla sacrestia per andare nella Cappelladel Crocifisso a servire la mia prima messa. Quella volta mi limitai a fare ciò che mi suggeriva il miocompagno: portare le ampolline, suonare il campanelloall’elevazione, ma non trasportare il messale da unaparte all’altra dell’altare, perché con quel peso e conquella lunga veste, che intanto si era liberata dellospago, il mio debutto da pretino si sarebbe concluso conun capitombolo. Nel duomo, ogni mattina dei giorni feriali, eranoparecchi i celebranti: tutti i canonici del Capitolo e isacerdoti della Curia. Ogni prete aveva il suo orario, ilsuo altare e il suo pretino servitore. Il primo a celebrare

71

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 71

Page 72: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

era il parroco, monsignor Agapito conte Agapito, dalnome e dal cognome identici che non sapevi mai se lochiamavi per nome o per cognome. Delle tre cappelleche si aprono sulla navata di destra egli occupava, allesei del mattino, la prima verso l’ingresso. Era laCappella del Crocifisso, buia anche di giorno. In essavenivano celebrati i funerali di terza classe. Alle sei e trenta, preceduto dal suo chierichetto, che eroio, usciva claudicante mons. Antonio Bronzin, Prepositodella Cattedrale. Lui officiava nella piccola Cappella delSantissimo, che si apriva al centro della navata laterale edi fianco all’altare aveva una porticina che dava sulgiardino della canonica. Ogni sacerdote aveva il suo gruppetto di fedeli, i quali,per comodità di orario o per simpatia, assistevanoquotidianamente alla sua Messa. Ad attendere mons. Bronzin nel tremolante baluginaredella candele c’erano sempre le stesse donne, quasi tutteanziane, e tra esse la più fedele era senz’altro Teresina, lasorella della Comare Rossa, l’ostetrica del paese. Mons. Bronzin era un sant’uomo, un sacerdoteumilissimo. Se ho capito qualcosa del valore dellaMessa credo di doverlo a lui, al suo modo di celebrare ildivino sacrificio, tutto raccolto, rapito in estasi, quasi intrance nel momento centrale. Il silenzio profondo, quasisottolineato dal brontolio del suo ventre, veniva appenaincrinato dalle parole misteriose della consacrazione:“Hoc est enim…” che, pronunciate sommessamente,restavano a galleggiare un istante nell’aria. Più avanti avrei saputo che mons. Bronzin, così umile,era un pozzo di scienza, un latinista insigne che pensavae scriveva in latino le sue prediche che poi traduceva initaliano. Mi ci era voluto un po’ di tempo ad imparare a memoriale formule latine della messa, però non mi era maientrata in testa la risposta completa all’Orate fratres.Dicevo. “Suscipiat Dominus sacrificium de manibustuis”, mi facevo venire un prolungato accesso di tosseche stava al posto delle parole omesse e concludevotutto serafico con “Ecclesiae suae sanctae”. Ogni chierichetto per il suo servizio alla Messa ricevevaun compenso che allora, negli anni Trenta, potevaandare da venti a cinquanta centesimi. Mons. Agapito si

72

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 72

Page 73: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

teneva sulla quota più bassa, mentre il mio sacerdoteera più generoso. Non raramente capitava qualche preteforesto che veniva a celebrare sul tardi, quando tutte lealtre messe erano finite. Tra i pretini presenti siaccendeva una lotta per accaparrarsi il forestiero: la suaMessa, che non durava più di venti o venticinque minuti,avrebbe fatto guadagnare persino due lire. Ma i pretini della cattedrale, oltre al rapporto di lavorodiretto con il proprio sacerdote, avevano da presenziarea tutte le cerimonie collettive che si svolgevano nelduomo: la Messa granda o il pontificale nei giornifestivi, i quaresimali, i Vesperi domenicali, i funerali…Quand’era il vescovo a celebrare il pontificale, la frotta deipretini in corsa andava all’assalto del palazzo vescovile,seguita dai preti che compostamente salivano le scale delvescovado. Sua Eccellenza mons. Trifone – già Tripone –Pederzolli, con a fianco il segretario, era pronto ascendere, vestito di rosso, rosso pure il quadrato congrosso ciuffolo e rosso il grande manto dal lungostrascico. E a questo punto tra i pretini stretti gli uni aglialtri si scatenava una sorda zuffa a colpi di gomitonascosti dalle cotte, a calci negli stinchi coperti dalle vesti:il vincitore avrebbe retto lo strascico. Chi sa perché tantoaccanimento per conquistare quella funzione… Forse,reggendo a due mani l’estremità del rosso drappo chefiniva sulle spalle del vescovo, si aveva l’impressione ditenere le briglie di un cavallo e di guidarlo. Ma altre lotte potevano scatenarsi fra i chierichetti peroccupare i posti più prestigiosi, come quello di tenere ilpastorale d’argento con l’artistica spirale finementecesellata, seduto sullo sgabello di velluto rosso adun’estremità del semicerchio dell’abside. Dall’altra parteun altro chierichetto seduto su di un altro sgabello divelluto rosso reggeva appoggiata al petto la mitriavescovile dai preziosi ricami di seta colorata e oro. Chireggeva la mitria bianca e senza ornamenti del Prepositonon era tanto soddisfatto del suo compito e invidiava glialtri due che si pavoneggiavano ai lati dell’altare, ben invista dei fedeli. Ma quando era don Piero Cleva ad assegnare gliincarichi, tutto il servizio dei chierichetti procedeva conordine e senza litigi. Bastava una sua occhiata per farfilare diritto anche il più scalmanato.

73

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 73

Page 74: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

In occasione delle festività pasquali sacerdoti echierichetti salivano in vescovado, i primi per far gliauguri al vescovo, gli altri per ricevere dalle sue maniuna piccola pinza, il dolce tradizionale della Pasqua. Il nònsolo Angelo Galante trattava i pretini conaffettuosa simpatia. Per ognuno aveva trovato unsoprannome… storico: Calandra, Sonnino, Mussolini…Se qualcuno faceva qualche malanno, come spandere ilfuoco del turibolo o rovesciare un candeliere, egliinterveniva paziente ad accomodare tutto. Talvolta, specialmente d’estate, i pretini aprivano unapesante porta sul retro della sacrestia per uscire sullaPeschera. Si svolgevano allora lunghe gare a far lescalette, a far rimbalzare scagliette di pietra o di terracottalanciate con forza sul pelo dell’acqua. Con i pezzettini dimattone o di coppo levigati ed assottigliati da secoli esecoli di risacca si ottenevano i risultati migliori. Se frugo un po’ più a fondo nella mia memoria dichierichetto trovo momenti di poesia nella Via Crucisdella chiesetta di Sant’Eleuterio, lungo la strada per lastazione, dove i venerdì della Quaresima si recava donAgapito accompagnato da due o tre pretini. Lacappellina era appena rischiarata dai ceri che con letremule fiammelle davano movimento ai quadri dellapassione di Cristo. E certe sere di maggio, primadell’imbrunire, nella chiesetta della Madonna del Monte,al rosario recitato da don Agapito, dalla porta spalancataentrava l’alito tiepido del mare e uscivano le Avemarieche prima di salire al cielo si profumavano della resinadei pini e s’intrecciavano con gli allegri voli dellerondini, mentre a ponente, oltre le torri veneziane, oltreScoio, il cielo s’infiammava in un tripudio di rossi.

74

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 74

Page 75: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Studenti

Eravamo (poco) studenti delle magistrali: Piero era unodi questi. A scuola si considerava un ospite passeggero,degnatosi di fermarsi un po’ con noi. Sempre elegante, icapelli neri tirati a lucido con la brillantina, prima disedersi, con pollice e medio pizzicava leggermente ipantaloni sopra il ginocchio, li sollevava lentamente diqualche centimetro e li abbandonava con gesto di fintanoncuranza, per non sciuparne la piega. I suoi grandiocchi tondi avevano una perenne aria interrogativa. Mauna volta la professoressa d’italiano, la venezianasignorina Benassi, spalancò grandi come oblò i suoiocchi da miope sopra il tema di Piero. Il quale,commentando il Comune Rustico di Carducci, con lafranca disinvoltura degli incoscienti, aveva affermatoche nessuno, meglio del poeta, avrebbe potuto parlarecosì bene del Comune Rustico, essendo di quel tempo. Gigi invece non era mai così sicuro e, nell’imminenza diun’interrogazione, si rivolgeva a Santa Rita, di cui avevaun’immagine, implorando aiuto. Se poi l’interrogazioneandava male, Gigi si rivolgeva ancora a Santa Rita e lediceva quello che, secondo lui, si meritava. Gigi e Piero erano compagni di banco. Mentre Pierosoffriva a stare a scuola, lo capivi anche dal modo comestava seduto, quasi sulle spine, Gigi invece se lasbabaciava, ossia se la spassava a interpretare la suaparte di studente pigro, ma arguto e sempre critico. Mi piaceva studiare con Mario perché fin da piccolopossedeva un’enciclopedia, un antico cavalletto dapittore e una enorme scrivania con saracinesca cheveniva tirata a coprire il piano di lavoro, costruita dalleabilissime mani di suo nonno, che sapevano produrretanto una passera dalla perfetta centinatura e fasciametirato a lustro fin, quanto un buon violino. Verso la fine dell’anno scolastico alla simpaticaprofessoressa di matematica Alma Moro mancavanoancora elementi di giudizio per emettere la sentenza:promozione o esami di riparazione. Perciò ci vollesottoporre ad una prova suppletiva convocandoci ascuola un pomeriggio. Noi, per superarla, avevamo

75

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 75

Page 76: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

preso le debite misure. Nell’istituto magistrale le finestre dell’aula doveeravamo stati convocati davano sul cortile della casermadei carabinieri. Appena avuto il testo del problema, cheprevedeva lunghissimi calcoli su figure geometriche conun numero così elevato di lati che sarebbe stato difficiledisegnare, Gigi lesto lo trascrive su un pezzo di carta, loappallottola e, ottenuto dalla professoressa il permessodi aprire la finestra, getta il messaggio. Questo vieneraccolto da Bepi Sicovich, famoso asso di matematicadell’istituto, che era in attesa nel cortile della caserma. Dopo venti minuti davanti alla finestra precedentementeaperta da Gigi un contenitore metallico di inchiostro dichina, a forma di proiettile, oscilla come un pendoloappeso al filo che scende dalla finestra soprastante dellostudio dei convittori. Gigi, con la scusa che l’aria lo disturba, chiedeall’insegnante il permesso di chiudere la finestra. Gliocchi di quanti erano al corrente del piano sonocalamitati dal pendolino e dai movimenti di Gigi, il qualeincontra qualche difficoltà, non prevista, nello staccare ilbarattolino cromato. Tira, tira, finalmente lo spago sispezza, Gigi nasconde nella mano il contenitore, chiudela finestra e ritorna nel suo banco. La professoressaseduta in cattedra non aveva visto nulla di sospetto. Siinsospettisce qualche minuto più tardi, quando ormaitutta la classe ha capito che Gigi ha in mano la soluzionedel problema e gli rivolge sguardi imploranti. La signorina, pensando che fossi io un possibilefornitore di aiuto, mi invita a sloggiare dal mio posto emi sequestra obbligandomi a sedere in cattedra. Ahimé!Non potrò beneficiare dell’aiuto piovuto dal cielo celatonel contenitore proiettile. Gigi può fare delle copie della soluzione e le distribuiscenei banchi vicini. Alla fine della prova, ancora madido disudore, toglie di tasca il santino di Santa Rita e lo baciaappassionatamente.

76

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 76

Page 77: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Romoletto

Prima di sgocciolare le parole dalla bocca se le rigiravatra i piccoli denti e le irrorava abbondantemente disaliva, così che uscivano lasciando una scia umidaall’angolo delle labbra. Lo chiamerò Romoletto, anche se questo non è il suonome, per serbargli l’incognito. Studiava anche lui comeme, anzi più di me, alle magistrali. Non era di Parenzo,veniva da una cittadina dell’interno. Un po’ grassottello,dalla sua bella faccia dai lineamenti fini trasudavamansueta bonarietà. Era sempre tranquillo, non creavaproblemi, perciò era impossibile non andare d’accordocon lui. Quando lo rividi molti e molti anni dopo, riconobbiprima che i suoi lineamenti, lo stesso modo strascicato,quasi biascicato di pronunciare le parole e di colpo mibalzò alla mente un banale episodio di cui fuinvolontario protagonista sul finire degli anni Trenta. Nella piazza dell’Orologio si svolge l’annuale saggioginnico delle scolaresche alla presenza di autorità epopolo. È il pomeriggio di un 24 maggio, piena estate aParenzo, dove per molti era già cominciata la stagionedei bagni. Nella piazzetta, separata dal mare dallamassiccia caserma delle finanze, che ospitava pure leprigioni, con l’orologio sul frontone, da cui prende ilnome, anche se la toponomastica ufficiale la chiamaPiazza Vittorio Emanuele, giunge dalla riva una leggerabava di ponente pregna della salsedine caratteristicadella bassa marea, piena di sapori. Il silenzio assoluto è rotto dalla voce del maestro CarloDavid, insegnante di ginnastica, imponente figura dieducatore che, occhiali scuri sugli occhi, impenetrabilicome saracinesche, scandisce i comandi: uuno, duue,tree, quattro. Come tirati da invisibili sottilissimi fili iragazzi delle magistrali in mutandine nere di satin emaglietta bianca con sul petto la sigla GIL, GioventùItaliana del Littorio, schierati a doppia distanza simuovono tutti insieme in spinte, torsioni, flessioni, su egiù, a sinistra, a destra, in una successione ritmicalunghissima, appresa in estenuanti ore di prove.

77

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 77

Page 78: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Maglietta e mutandine sono i soli indumenti checoprono i giovani corpi. Soltanto atleti come GinoPrivileggi e Albano Albanese usavano i sospensori pernon avere intralci nei loro salti. Gino, piccolo emassiccio, un poderoso insieme di muscoli, eraspecializzato nel salto con l’asta. La canna di bambù diallora non consentiva di raggiungere le vertiginosealtezze di oggi. Albano era un forte ostacolista, tra iprimi in campo nazionale, e andava forte anche nel saltoin alto: poteva competere con Ovidio Bernes, primatistaitaliano, senza sfigurare. Ma torniamo al nostro saggio ginnico. Romoletto siesibisce in seconda fila, proprio al centro delloschieramento. Ha di fronte, sui gradini della Casa delFascio che fanno da tribuna, il podestà, il capitano deicarabinieri, il preside Giuseppe de Manincor, che noichiamavamo Bepi del Manigo. Uuno, duue, tree,quattro… In una flessione sulle gambe, trac, saltal’elastico delle mutandine di Romoletto che, rialzandosinel movimento successivo, si trova denudato con lemutandine ammainate ai piedi. Egli suda freddo. Nonpuò fermarsi. Se arresta i suoi movimenti compromettel’armonia ritmica di tutto lo schieramento, fa naufragarein un istante ore e ore di preparazione, rende vanol’impegno dell’insegnante, getta nella vergogna ilprestigio degli studenti delle magistrali proprio di fronteai loro eterni rivali dell’istituto agrario. Romoletto,consapevole della sua responsabilità, non si ferma.Continua a muoversi come i suoi compagni: spinte,torsioni flessioni… Non perde un colpo. In una flessionefinalmente riesce ad agguantare le mutande traditrici esempre seguendo la successione ginnica se le tira su, letrattiene al posto giusto con una mano, mentre conl’altra prosegue il saggio. Va avanti così la sua ginnasticamutilata e grottesca. Pochi si accorgono che manca unbraccio nel concerto degli arti in movimento…Finalmente la pena di Romoletto e la nostra sofferenzahanno fine. Una indicibile sofferenza, perché cimordiamo a sangue le labbra per non scoppiare a ridere. Per fila dest, march. Si abbandona la piazza. Lasignorina di lettere sorride con simpatia al nostro eroedai gradini della tribuna.

78

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 78

Page 79: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

El Sinter

“Ocio ‘l Sinter!” si diceva scherzosamente come peravvisare qualcuno di stare attento. El Sinter era l’accalappiacani, era proprio questa lungaparola, che non avresti potuto usare efficacemente peravvertire qualcuno di un pericolo imminente, checertamente gli sarebbe caduto sulla testa prima che tul’avessi pronunciata tutta. Era molto più adatta la parola“sinter”. La portava cucita addosso con mal dissimulatanoncuranza un ometto dalla faccia impenetrabile, ilconato di un sorriso appeso al labbro inferiore, avvolto inuna larga giacca lunga come una palandrana, le braghealla zuava, ampie, scarponi militari dalla suola inarcata,come succede per le scarpe troppo lunghe rispetto alpiede, cappello di logoro feltro a tese abbassate calcato intesta, due occhi fissi a guardare un punto del terrenocinque metri davanti ma sprofondato al centro della terra.Le mani dietro alla schiena erano avvinghiate all’arnesedel suo mestiere, che era tenuto lì come per nasconderlo,ma che sporgeva minaccioso da dietro la testa.Somigliava ad una lunga frusta da domatore del circo,con un grande cappio all’estremità superiore pronto dainfilare attorno al collo dei cani randagi. Lo vedevi camminare in mezzo alla strada con l’aria diuno che finge di essere là per caso. Se qualche monellolo irrideva facendo il verso del cane, il Sinter continuavaimperterrito il suo cammino. Notavi, al più, un lievesussulto del laccio. I cani davano a vedere di conoscerlo e di conoscere lasua mansione, perché appena lo vedevano gliabbaiavano contro con insistenza, stando però aprudente distanza. Il Sinter faceva finta di niente eprocedeva sornione per la via, sempre con le manidietro la schiena serrate intorno al manico del laccio. Qualche volta succedeva che i cani volessero dimostrarepiù a lungo la loro avversione così che a mano a manoche l’uomo proseguiva, la muta abbaiante si faceva piùnumerosa. Pareva che la categoria cagnesca si fosseriunita per manifestare compatta il suo odio per ilnemico. Qualche cagnolino fatto temerario dalla giovane

79

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 79

Page 80: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

età si avvicinava fin quasi alle scarpe del Sinter, maquesti non gli dava bada: non si azzardava mai acatturare un cane se non quando questo era solo,temendo forse la reazione rabbiosa della muta. E tiravainnanzi fissando sempre lo stesso punto a cinque metridi distanza sprofondato nelle viscere della terra. Un giorno un ignaro bastardino che gironzolavatranquillo per la via si fece mettere il laccio attorno alcollo. Tuttavia, intuito il pericolo, puntava le zampe perresistere. Il sinter, insensibile al guaito del malcapitato,lo trascinava verso il macello, giù dalla via del vecchiomulino: Era ormai giunto vicino al Pra de Visse, dove iragazzi giocavano al pallone. Uno di loro si accorse diciò che succedeva: superò di corsa la breve scarpataerbosa che separava il campo dalla strada e, non vistodal Sinter, gli si avvicinò alle spalle e con mossafulminea allentò il laccio liberando la bestiola. Unabordata di fischi si levò dal prato all’indirizzo del Sinter,il quale con il solito abbozzo di sorriso proseguì ilcammino, la schiena leggermente più curva sotto il pesodell’onta subita. E intanto, per sollecitare la rimessa in gioco del palloneche era finito fuori dal verde catino del Pra de Visse,Nane Picio gridò: “Femo presto fioi, che i minuti zegrassiosi!”.

80

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 80

Page 81: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

La Gobasilo

I bambini che passavano davanti alla sua abitazione, inCandilion, allungavano il passo o andavano di corsa,come per sfuggire ad un pericolo incombente. La casadella Gobasilo, nella fantasia dei piccoli, alimentata damezze voci che coglievano dai discorsi dei piùgrandicelli, era l’antro della Sibilla, un luogo di incontripeccaminosi, un posto maledetto. Candilion poi, lostrettissimo vicolo della vecchia Parenzo, fra StradaGranda e la via che passava davanti alla casa delleSuore della Provvidenza, era fatto apposta per incutereterrore: un budello quasi sempre in ombra, spezzato dauna brusca curva ad angolo retto che pareva essere lìper sbarrarti il passo in caso di fuga. La Gobasilo era la gobba di Parenzo, Silo di cognome,Lucia di nome, di casato nobile, si diceva. Di giorno erarintanata nella sua dimora misteriosa e ne usciva sulcalar della sera, come una nottola solitaria. Camminava ascatti con passo nervoso sugli alti tacchi, vestita di nero,una gonna attillata da cui uscivano due lunghe gambesottili come paletti, calzate di chiaro, una giacchina corta,che era stata confezionata accuratamente sulla suafigura, alla quale aderiva senza far grinze, neppure sullagobba. Mi domandavo se per i suoi vestiti ricorreva allaperizia di qualche sarta o se vi provvedeva da sola. E inquesto caso non riuscivo a spiegarmi come riuscisse avestire così bene la sua deformità. Usciva all’imbrunire, dicevo. E passando dalla piazzettadella pescheria sbucava sulla riva, ma non camminavasul vialetto tra la torre veneziana e la capitaneria, no,andava lesta alla banchina, nei pressi della casa deldottor Sbisà. Passeggiava da qui al molo nellasemioscurità, avanti e indietro innumerevoli volte, senzamai azzardarsi di continuare la sua passeggiata sullaRiva Venezia, più stretta e più illuminata, forse per nonesporsi agli occhi indiscreti degli oziosi frequentatori delCaffè Parentino. I suoi passi bruschi, che trasmettevano alla gobba unmovimento ritmico, a volte si fermavano e pure lagobba smetteva di sussultare e la Femmina del Porto,

81

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 81

Page 82: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

come era stata scherzosamente chiamata e non solo perl’abitudine di passeggiare lungo la banchina, volgevalontano il suo sguardo, oltre la bocca delle dighe, oltre ilPal che più avanti segnalava una secca, per perderlonell’incerto orizzonte ove cielo e mare si confondevanonell’ultima debole luce. In quei momenti le si rimpiccioliva la gobba, le sigonfiava il petto e il profilo grifagno del viso affilato sifaceva altero. Poi di scatto il suo corpo produceva unquarto di giro e la passeggiata riprendeva nervosa lungola banchina, con sotto l’acqua che era diventata di pece. Un pomeriggio sul tardi un bragozzo chioggiotto èattraccato alla riva dove di solito sostano i pescherecci.Alcuni commercianti si avvicinano a valutare il pescato,diviso per genere nelle casse allineate in coperta. Ilparon della barca è a terra, pipa di gesso in bocca, ipiedi infilati nei grossi zoccoli dalla spessa suola. Uno dopo l’altro i commercianti si avvicinano al paron egli sussurrano qualcosa all’orecchio: ognuno fa la suaofferta. Questa specie di asta silenziosa si rivela un ritocivilissimo, senza fronzoli, essenziale. Si aggiudica ilpescato chi ha sussurrato l’offerta migliore. Poco distante, la figura nera della Gobasilo rivolta versoil mare sembra quella di un avvoltoio in riposo. I mercanti se ne sono andati. Dal bragozzo sono scesi ipescatori e si avviano trascinando i piedi nei larghi zoccoliverso l’osteria di Bastian, nei pressi della torre veneziana. Il paron è rimasto solo accanto alla barca. Con ariasoddisfatta fuma la sua pipa di gesso. “Lussieta!”.La Gobasilo scuote la gobba e mantiene fisso il volto almare. “Lussieta!” prosegue il capobarca nello strascicar delleparole caratteristico dei ciosoti … “Me deeto laseelpolina ?”.

82

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 82

Page 83: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Rodolfo Valenta, il centauro a tre ruote

Non galoppava come i mitici figli di Issione e Néfele, nécorreva indiavolato a cavallo di una motocicletta. Piùmodestamente posava il sedere sul sedile di un robustotriciclo, con il quale il suo corpo privo di una gamba eradiventato un tutt’uno: un centauro a tre ruote che simuoveva faticosamente su per il rato delle scuole o suquello della Madonna del Monte, o che scendeva veloceper le discese da Foraleporte o da Simarè, oppure chetrasmigrava lento da una parte all’altra della città. La carrozzella aveva il sedile a semicerchio chiuso ai latie dietro da uno schienale. Su di un fianco era fissata unarobusta leva che azionata dal braccio di Rodolfo avantied indietro trasmetteva per mezzo di un braccio di ferroil movimento alle ruote motrici. Il prolungamento dellaforcella che reggeva la ruota anteriore era piegato adangolo retto e costituiva una specie di barra del timone,la ‘ribòla’, che Rodolfo impugnava saldamente con lamano sinistra. Nessuno mi ha mai spiegato l’origine della mutilazionedi Valenta. Ed io non l’ho mai chiesta ad alcuno. L’hosempre visto così, un tronco tozzo e robustoperennemente incollato al suo mezzo di deambulazione,sormontato da una testa rotonda sormontata da corticapelli, d’inverno coperti da un basco blu. E due fortimani, una aggrappata alla leva di locomozione e l’altraalla leva di direzione. Non è possibile dire se Rodolfo fosse triste per lamenomazione fisica. Contento no, di certo. Ma non lodava a divedere. La sua faccia era impenetrabile, anchenei momenti in cui il suo labbro si atteggiava al sorriso.E questo accadeva quando i ragazzi, sospesa la partita oi giochi gli si raccoglievano intorno per ascoltare le suestorielle o vederlo leccarsi la punta del naso con la sualingua lunga come quella di un camaleonte. D’estate il centauro si scomponeva in due parti.Succedeva quando decideva di prendere un bagno.Allora manovrava il triciclo fino allo squero per scenderelentamente sullo scivolo dell’hangar.Discendeva dal mezzo appoggiandosi all’unica gamba

83

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 83

Page 84: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

ed alle braccia senza sforzo apparente. Toltisi i vestiti erimasto in costume da bagno si trascinava in acqua finoa trovarsi abbastanza al largo per poter galleggiare.Disteso sul dorso restava immobile per qualche istante ariposarsi e contemplare il cielo. Poi muoveva le mani, lealzava, le affondava ritmicamente come remi di battana.La parte inferiore del centauro restava sola sulla battigia,coperta degli indumenti dell’altra parte che siallontanava sempre più manovrando tra le barcheancorate nella caletta. Rodolfo a lente bracciate sidirigeva alla bocca delle dighe. Continuava a ... remareper ore e ore lontano dal porto, in mare aperto. Dalladiga non lo si scorgeva più. Si notava soltanto unoscintillio: era l’acqua mossa dalle mani colpita dalla lucedel sole che scendeva sull’orizzonte. Valenta si inoltrava in mare aperto anche quando ipescatori ed il banditore comunale avevano segnalato lapresenza di pescecani. Era sprezzo del pericolo oindifferenza di fronte alla morte? Forse lui avevaqualcosa di meno da perdere...

84

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 84

Page 85: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

El mato Calussi

Quando c’era la distribuzione dei nasi, il capostipitedella mia schiatta si precipitò ingordo in prima fila e sibeccò un naso di prima grandezza che passò in ereditàai suoi discendenti come inconfondibile contrassegno. Il progenitore dei Caluzzi invece s’era fatto avanti mentredistribuivano i denti e si pigliò una dentatura cavallinache si mantenne possente di generazione in generazionesino a finire nella bocca del nostro Vittorio Caluzzi, ilquale, o per i denti troppo lunghi o per il labbro troppocorto, o forse per entrambe le ragioni, esibiva la suaduplice chiostra in un perenne fisso sorriso che non sispegneva, immagino, neanche nel sonno. Vittorio, che era nato a Parenzo nel 1897, aveva studiatomedicina a Napoli. Nella città partenopea ebbel’occasione di mettere a frutto la sua perfetta conoscenzadelle principali lingue straniere facendo l’interprete ad uncongresso internazionale di filosofia presso l’Università. Diventato medico odontoiatra, si perfezionò a Vienna.Qui aveva aggiunto al suo tedesco l’inconfondibilegentile musicalità della parlata della capitale austriaca. Il dottor Caluzzi, dopo aver esercitato la professione aParenzo e a Trieste, dove fu pure direttore della CasaMaterna dell’Opera Nazionale di Assistenza all’ItaliaRedenta, che ospitava ragazze madri e lattanti, non saresistere alla passione per il mare e s’imbarca comemedico di bordo sulle navi del Lloyd Triestino,dell’Adriatica, dell’Italia. Ha calcato i ponti del Remo,dell’Esquilino e di altri scafi per finire poi sultransatlantico Vulcania, che, con la gemella Saturnia, fala spola tra Trieste e New York. Ogni arrivo del transatlantico nella città giuliana èannunciato dal suono fondo e prolungato della sirenache riempie il porto e si spande per le rive inondandopiazza granda e le strade tutte da Servola a Roiano. Il pilota accompagna il grande scafo nero al molo dellastazione marittima. Una sempre numerosa folla disfaccendati e curiosi osserva la manovra di attracco, chesi fa particolarmente interessante quando il comandante,un lussiniano, rifiuta il pilota e conduce da solo

85

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 85

Page 86: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

l’ammansito immenso mostro nero al molo. I passeggeri sbarcano frettolosi. Scende a terra anche ilnostro dentista che col caratteristico quasi traballantepasso dei marinai e con la dentatura al vento raggiunge ilvicino molo della Pescheria. Qui s’imbarca sul Nesazio, osul Salvore, che lo porterà a Parenzo, la cittadina istrianache per lui vale più di Trieste, più di New York e dovepassa tutti i suoi giorni tra l’arrivo e la partenza dellaVulcania, nella sua villetta in fondo al viale dello squero, aun passo dal mare. A casa lo aspettano la madre, santolaLaura e il padre, santolo Bepi. Sono chiamati santoliperché hanno tenuto a battesimo o a cresimainnumerevoli fiossi. Vittorio non va tanto d’accordo con lamadre che appena lo vede si produce in interminabilimonologhi. È costretto ad accendere la radio, non perzittirla, che sarebbe impossibile, ma per non sentirla.Invece con il padre l’intesa è perfetta, cementata dallacomune passione per la pesca. Capita spesso che ilmedico accompagni a Parenzo qualche vecchia americanaplatinata ingioiellata conosciuta nella traversata atlantica.Ma queste occasionali amicizie non riescono a distoglierlodal suo passatempo preferito. Sul gentil sesso i suoigiudizi sono categorici: le donne russe… quelle sì. Leitaliane? …troppo ferme… Le russe aveva avuto modo diconoscerle durante un suo soggiorno nell’UnioneSovietica per ragioni di studio. Era stato fino a Vladivostoke aveva fatto ritorno con la Transiberiana. Sbarcato definitivamente dal Vulcania, lavora a tempopieno, quando non è a pesca, nello studio dentistico dicasa. Gli capita una volta di estrarre un dente sano alposto di un dente cariato, così, per distrazione. Ma luinon si scompone, neanche se il cliente danneggiatos’inviperisce. Con la sua voce nasale e strascicata cercadi placare le ire del cliente, al quale propone uno scontocome indennizzo. E, se può, cambia discorso,raccontando di quella volta quando ha perso un dentallungo così mentre stava per tirarlo a bordo della battana. Quelle erano cose importanti! Non un dente estratto persbaglio. Probabilmente il dottor Vittorio era chiamato “elmato” perché trascurava il suo lavoro, al quale non sidedicava con troppa passione. Ma io credo che siaperfettamente normale che uno trovi più soddisfazione atirare su dall’acqua dentici e orate che denti sani o cariati

86

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 86

Page 87: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

dalla bocca della gente. E vuoi mettere la differenza diodori tra il mare pulito e le bocche dai denti marci?Mi raccontava l’amico e compagno fin dall’infanziaMario Grabar che quand’era ragazzetto aveva avuto unterribile mal di denti. Per tutta la notte aveva appoggiatola guancia dolorante sullo stipite della porta, cambiandospesso regione per ottenere sollievo dal fresco dellapietra. Al mattino il nonno Checo lo accompagna dalmato Calussi. Siamo in tempo di guerra. La corrente c’èe non c’è. Quando arriva Mario la corrente c’è e ildentista può lavorare sul dente cariato con il trapanoelettrico. Dopo un po’ la corrente se ne va e il trapano siferma. Ma ecco un faccione alla finestra: è NicoletoNassavecia. “Dotor, go qua le sepe, apena ciapae”. Il dottore abbandona il trapano penzoloni davanti allabocca spalancata di Mario. “Bele, proprio bele”, ammette il dentista accarezzandocon sguardo amorevole le grosse prede e continua aconversare tranquillo con il pescatore, mentre il trapanoper il ritorno della corrente si rimette a girareballonzolando davanti alla bocca sempre spalancata delragazzo. Anch’io un giorno avevo avuto bisogno di ricorrere allecure del dentista. La sala di attesa è piena di pazienti. Ildottor Vittorio dalla porta dello studio contempla conaria preoccupata tutta quella gente: andrà tardi a pesca,quel giorno. Mi mette in mano una palettina di retefinissima con un manico flessuoso. “La go portà dal’America. La serve par copar le mosche”. Congedato un altro cliente si riaffaccia alla porta e,vedendomi inoperoso poichè non c’erano più mosche ingiro, mi consegna un vasetto vuoto di latta. “Lalo, piciomio bel, fin che te speti el tuo turno fame el piasser deandar a colser un pochi de vermi che me ocore perandar a pescar”. È bassa marea. Un largo tratto di marina è scoperto. Lamelma è ancora lucida per l’acqua ritiratasi da poco.Sollevo dalla sabbia una lastrina di pietra dopo l’altra ecatturo lesto il verme prima che scappi nel suo cunicolo. Quando ritorno allo studio il dottore congeda l’ultimocliente e mi prende dalla mano il vasetto stracolmo divermiciattoli sbuliganti. Mi dice. “Lalo, no te dispiasevenir domani?”.

87

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 87

Page 88: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Nel 1947 Vittorio Caluzzi pubblicò a Trieste un librocontenente i suoi studi e ricerche su alcune sindromiintercorrenti tra le variazioni meteoriche e climatiche diun dato luogo e la salute dell’uomo. Nel dopoguerra, dopo l’esodo, incontrai il dottor Caluzzia Trieste. Dove? Ma lungo la banchina del porto,perbacco, vicino al molo della Pescheria. Camminavacon la solita andatura da marinaio, il corpo proteso inavanti, le punte dei piedi divaricate. Stranamente pensaiche quel modo di camminare, un po’ molleggiato,poteva essere anche di una persona angustiata dai calli. Mi riconobbe e si trattenne a conversare con me. Nonespresse alcun rimpianto per aver lasciato la sua bellacasa, la sua cara Parenzo. Mi disse che aveva aperto unostudio dentistico, dalle parti di via Udine, che avevacomperato una buona barca e che andava a pescare conil vecchio padre. “Go fato i conti: me convien serar l’ambulatorio, cussìno go da pagar l’afito, e andar a sgombri. Mi e mio parepodemo pescarghene tanti che a venderli guadagno depiù de quel che ciapo a far el dentista”.

88

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 88

Page 89: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Il professor Pighetti

Ero un fanciullo di sei o sette anni quando incontrai perla prima volta il professor Pighetti. Il fratello maggioremi accompagnò a casa sua, al primo piano delcasamento che sorgeva sul lato occidentale della Piazzadella Pescheria. Venni presentato come aspirante allievodi violino. Fu pattuito l’onorario e concordato l’orariodelle lezioni. Il violino che mi ero portato da casa conorgogliosa ostentazione giù dalla via Carducci, perpiazza Garibaldi, per un tratto della Strada GrandeDecumana e poi a sinistra per via Carli e un pezzo di viaMazzini, era, a giudizio del professore, troppo grandeper me. Si offrì di scambiarlo con un trequarti, sul qualele mie piccole dita avrebbero incontrato minore difficoltàad individuare le giuste posizioni sulla indefinita tastiera. Mio fratello, che di musica e di strumenti se ne intendeva,sebbene a malincuore, accettò il baratto, cedendo unbuon violino di grandezza normale, dalla bella voce caldae pastosa, per uno strumentino di poco valore e dallavoce stridula, pur di facilitarmi in tutti i modi lo studio. Due pomeriggi alla settimana salivo all’appartamentodel Professore per apprendere i rudimenti del mestiere.Era agevole ricordare il nome delle quattro corde:bastava ricordare le parole sorella mia, corrispondenti asol re la mi, come avevo imparato da Plinio Signorini. IlProfessore mi insegnava paziente a manovrare su e giùl’archetto con la mano destra, mentre le dita della manosinistra andavano esitanti a posarsi sulle corde a tentareuna traballante scala. Il grande soggiorno si riempiva apoco a poco di tremule note che uscivano dalla gracilecassa dello strumento e subito erano prese sottobracciodalla voce chioccia dell’insegnante che canticchiava ilsuono corretto: doo… ree… mii…Seduta in un canto dello scolorito divano, quasi assente,la moglie sferruzzava con grandi mani grassocce e lente,il capo chino sul petto abbondante che si alzava eabbassava come un grosso mantice, con gli occhi fissi allavoro che procedeva meccanicamente. Su di un alto trespolo un verde pappagallo assisteva purelui alla mia fatica, meno assente della sua padrona,

89

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 89

Page 90: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

poiché di tanto in tanto sottolineava con un gracchio didisapprovazione le mie inevitabili stonature. Loreto, cosìsi chiamava, forse stanco delle mie lamentazioni, a voltes’involava dalla finestra aperta. Il professore allorainterrompeva la lezione. Raddrizzava la testa, tiravaindietro il piede sinistro che era rimasto allungato inavanti, si sollevava di scatto dalla sedia e con passosvelto si avvicinava alla finestra per seguire con losguardo il fuggitivo. Anch’io correvo curioso al davanzale.La moglie continuava a sferruzzare indifferente. “Mannaggia! È scappato! Corriamo a prenderlo!”esclamava il Professore. E giù per le scale, andavamocon passo svelto nella piazzetta della Pescheria,giungendo trafelati attraverso il breve vicolo Pusterlasulla riva 3 Novembre. Loreto, che non amava compiere lunghi voli, si eraposato sul ramo di un alberello dalla chioma tosata apalla del vialetto davanti all’osteria di Bastian. Silasciava prendere dal Professore che lo riportava a casa,non senza avergli rivolto parole di rimprovero. La lezione di violino riprendeva straccamente e l’oravolgeva ormai al termine. Altre volte Loreto venne in soccorso ad alleviare le miefatiche con le sue scappatelle. E le lezioni, che eranodiventate meno che mezze lezioni, non mi facevanoprogredire granché. Mi stancai ben presto di fare lescale sul violino e di correre dietro al pappagallo. Lostrumento fu riposto in un armadio e lì rimase. Ma torniamo al professore, per osservarlo con maggiorattenzione. Questa allampanata figura napoletana,vestita di un completo grigio a quadratini, con le scarpericoperte dalle ghette color panna, che erano parteintegrante dell’abbigliamento in tutte le stagioni,camminava ritmicamente, a tempo, come comandato daun metronomo, con la spalla sinistra spostata in avanti.Il braccio destro, leggermente flesso, lo muoveva comese impugnasse l’archetto. La mano sinistra stavaaffondata nella tasca della giacca, oppure del cappottose era inverno. Teneva la testa leggermente piegata, conil mento proteso come per stringere un invisibile violino. Per quanti anni, mesi, giorni, serate, ore, spartiti, pagine,minuti, righi, battute, note, crome, biscrome… avevasuonato il professor Pighetti? E nella sua testa c’erano

90

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 90

Page 91: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

idee, pensieri normali, oppure si affollavano romanze,sonate, arie, sinfonie, tarantelle…?Prima di insegnare all’Istituto Magistrale e dare lezioniprivate ad aspiranti violinisti era stato in giro perl’Europa come professore d’orchestra. “Mannaggia a Marconi!” imprecava talvolta. Secondolui, con la diffusione della radio, si erano dovutesciogliere molte orchestre, e pure la sua. Si coglieva un’espressione di triste rimpianto sul suovolto esangue, che tuttavia era animato dai piccoli occhiscuri vivacissimi, roteanti all’insù alla ricerca di notesvolazzanti come farfalle o rapiti da melodie celesti. Per il professor Pighetti la musica era tutto. Agli alunnidelle magistrali voleva trasmettere almeno una partedella sua passione e a quelli del primo anno, nella primalezione, dettava con aria ispirata: “La mussica è l’artebella che esprime i diversi sentimenti dell’animamediante i suoni…”.

91

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 91

Page 92: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Musina

Nel suo negozietto di frutta e verdura in Strada Grandale cassette della merce erano disposte in bell’ordine supiani inclinati lungo le pareti, e coprivano sul davantibuona parte del piccolo banco di vendita. L’esiguospazio era sfruttato al massimo: La bottega pareva fattasulla misura del proprietario, del quale so soltanto ilsoprannome: Musina. Piccolo e grassottello, la tondatestolina calva lustra come una delle sue mele, la pellerosea senza grinze, due occhietti vispi sempre inmovimento a controllare l’ordine della mercanzia. Portava sempre lo stesso vestito nero, diventato lucidoper l’uso, ma pulitissimo. Sotto la giacca indossava unacamicia bianca, di quelle senza colletto. Di quando inquando si passava il fazzoletto sul collo a detergere ilsudore, come per mantenere più a lungo il pulitodell’orlo. Il vestito forse era stato confezionato moltianni prima e il sarto aveva preso le misure di un corpomagro, che ora faceva un po’ di fatica a starci dentro. Musina serviva i clienti con misurata gentilezza e pesavala merce con estrema precisione. Se volevi un chilo dimele, ti dava esattamente un chilo di mele, né un decain più né un deca in meno, anche se per arrivare allaprecisione del peso le sue manine grassottellearmeggiavano rapide a scambiare ripetutamente i fruttifino a raggiungere l’equilibrio dei piatti della bilancia. Sono entrato poche volte nella botteguccia di Musina, acomperare cinque schei di zizole, ma conservo di essa edel suo proprietario un’immagine simile a un quadropittorico dai tratti nitidi e dai colori vivaci, sui quali lapiccola figura vestita di nero del bottegaio risalta sulloschieramento dei frutti e delle verdure come quella di ungenerale sulle sue truppe. L’ho visto un giorno abbandonare il suo posto dicomando, ceduto provvisoriamente alla moglie, che perla sua corpulenza si era sistemata con qualche affannosull’alto sgabello dietro il banco. Sul lastricato di Strada Granda lo scalpiccio dei passetti èfitto come biscrome su uno spartito musicale. Loscalpiccio raggiunge l’angolo della bottega di Comuzzo e

92

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 92

Page 93: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

senza rallentare gira a destra verso il duomo, scende ibassi gradini sotto il portale esterno, risuonano più fortitra i muri del breve passaggio che conduce all’atrio. Qui ipassi si fanno sommessi e varcano la porta laterale chedà sulla navata di destra. Il nostro Musina si sofferma unistante, accenna una genuflessione e va spedito tra ibanchi della navata centrale, quelli disposti sulla sinistra. A quell’ora tarda del mattino le messe sono finite da unpezzo. In chiesa non c’è quasi nessuno. Il nònsoloAngelo Galante sta togliendo gli arredi sacri nellacappella del Cristo, dove il parroco mons. Agapito hacelebrato una messa da morto, e con la sua andaturalenta, le spalle curve, li riporta in sacrestia. Musina intanto si è infilato tra l’ultimo e il penultimobanco, verso l’estremità. Con gesti misurati toglie dallatasca della giacca una pagina di giornale ripiegata, ladispiega e la stende con cura sull’inginocchiatoio, pernon sporcare i pantaloni. S’inginocchia adagio per nonfar cadere la carta, si fa il segno della croce e incominciaa pregare. Io, curioso, mi avvicino e scopro un modo nuovo dipregare. Musina ha inventato una specie di catena dimontaggio delle preghiere che aumenta fortemente laproduttività con conseguente risparmio di tempo. Dallabocca socchiusa del nostro pio ometto, le mani giuntedavanti alla faccia, i gomiti sul banco senzaabbandonarveli troppo per non consumare i gomiti,escono frammenti di preghiera, uno dietro l’altro velocicome sparati da una mitraglia: Avemaria AvemariaAvemaria… graziaplena graziaplena graziaplena…dominusteco dominusteco dominusteco… e avanti cosìfino alla fine della preghiera. Riesco a capire che ogni pezzetto di preghiera vieneripetuto dieci volte. Così, invece di ripetere l’Avemariaintera dieci volte quante occorrono per recitare unMistero del Rosario, Musina ha trovato un modo cosìveloce di dire le preghiere che lui il Rosario lo recitaintero con tutti i suoi cinque misteri nello stesso tempo, oforse anche meno, che un altro fedele, un fedele normale,impiega per recitare una sola decina di Avemarie. Poi l’uomo, rasserenato e contento, si alza, raccogliedall’inginocchiatoio la pagina di giornale, la ripiega concura seguendo le vecchie piegature, la ripone in tasca. I

93

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 93

Page 94: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

suoi passetti risuonano nell’atrio, poi nel corridoioall’aperto, su per i gradini, sulle pietre di via dellaBasilica, in Strada Granda. Musina ha fretta di ritornarenella sua bottega, a sedersi sull’alto sgabello dietro ilbanco, a comandare le schiere di pomi e di pere.

94

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 94

Page 95: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Nato vola

Tra i passatempi della fanciullezza parentina c’era anchequello di andare a slittare sugli aghi secchi della pinetadi Madonna del Monte o di quella dei bagni Riviera, difianco alla Busa. Non era difficile costruire uno slittino con due pezzi dilegno ricurvi in punta e un’assicella inchiodata sopra ditraverso. Se qualche ragazzino aveva bisogno di aiutopoteva rivolgersi a Nandin, il figlio del falegname, che inquattro e quattr’otto avrebbe provveduto lui. Un pomeriggio d’estate con i soliti compagni di giocom’incammino, lo slittino sotto il braccio, verso laMadonna del Monte. Dopo Simaré vi si può arrivareinoltrandosi nell’ombra del viale di ippocastani,passando vicino alla casa di gnagna Antonia, oppurecamminando sull’asfalto della strada che passa davantialla cantina sociale. Ma questa strada non lapercorrevamo mai. Preferivamo prendere una terza via,un sentiero che poco fuori piazza Simaré correvaparallelo al viale, da questo separato dal Laco, una vastapozzanghera di acqua limacciosa. Avevamo costeggiato quasi metà del Laco quando, dallaparte opposta, alla stessa nostra altezza, scorgiamo dueuomini che sul bordo del viale vanno anch’essi in direzionedella Madonna del Monte. Probabilmente andavano araccogliere pigne e rami secchi. Tutti e due camminavanocon passo svelto e nervoso, allo stesso modo come spessoaccade tra padri e figli. La loro testa era rivolta verso di noi.Pareva che camminassero tressando, veloci come unabattana sospinta dalla bava di terra. I due vengono riconosciuti: sono padre e figlio. Il padreè Nato, cioè Fortunato. Ogni paese ha avuto il suo Icaroe Nato era il nostro, famoso, perché con le ali di dindiosi era buttato giù dalla fighera. Noi, monellacci, riparatidall’ampiezza dello specchio d’acqua, vogliamoricordargli la sua grande impresa e, ad un segnale,gridiamo forte tutti insieme. “Natooo…. Vola!”.accompagnando le parole con un gesto significativodelle braccia. Ripetiamo il grido e il gesto. Ma se nonabbiamo assistito, per la nostra tenera età, all’epico volo

95

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 95

Page 96: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

giù dalla fighera, vediamo ora un altro genere di volata.Nato, con invisibili ali ai piedi, corre avanti per tagliarcila strada alla fine del Laco, mentre suo figlio, non menoveloce di lui, corre per prenderci dalla parte opposta.Non avevamo previsto una manovra così bene ideataper prenderci in trappola. Non c’erano altre vie d’uscita.La paura mette le ali ai piedi anche a noi e, liberaticidegli slittini, ci affanniamo ad arrivare alla fine delsentiero prima che arrivi Nato a sbarrarci il passo.Corriamo a perdifiato. Il figlio di Nato è ancora staccatodietro di noi. Suo padre sta guadagnando terreno.Occorre mettercela tutta. Corriamo, corriamo con ilcuore in gola. Le nostre gambette fanno cinque passimentre i lunghi trampoli di Nato ne fanno due, malunghi lunghi. Il figlio ha diminuito il distacco. Sentiamoil suo respiro affannoso. Il padre sta per tagliarci lastrada. Ma noi vediamo la fine del sentiero a un passo.Un ultimo disperato sforzo e siamo fuori dalla trappola.Corriamo per i campi, chi di qua chi di là. Gli inseguitorinon sanno chi rincorrere e desistono. Siamo salvi. Molte ore più tardi, recuperato lo slittino, sto tornando acasa. “Lalo, te te ga divertì?” mi fa Bruna Mattiassich, lasorella del calighèr, ignara della nostra avventura.“Tanto” rispondo con un fil di voce.

96

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 96

Page 97: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Nicoleto Nassavecia

Quando lo incontravi non gli davi il buon giorno, ma gichiedevi semplicemente: “Nicoleto, quanti?”.E Nicoleto rispondeva con un numero: due, oppure tre,oppure quattro… Era il numero di aerei americani cheaveva visto alle prime luci dell’alba, mentre era fuori inmare con la sua vecchia battana a calar le nasse o a tirarsu il parangal. Nel periodo della guerra non passava una mattina senzache ricognitori alleati volassero bassi sull’acqua pocolontano dalla costa. Non sono mai riuscito a spiegarmi perché un uomo cosìgrande e grosso venisse chiamato Nicoleto. Nicolòsarebbe stato più appropriato: il troncamento dellaparola presupponeva una continuazione in crescendo,come Nicolone, che avrebbe reso meglio l’idea della suacorpulenza. Nicoleto – Nicolò aveva tutto di grande: iltestone rasato a zero, la mascella quadrata, il pancioneche stava quasi tutto fuori dai pantaloni slacciati di tre oquattro bottoni. Grandi anche le mani. E i piedoni, scalzise non c’era freddo, li posava adagio, come se dovessecamminare sui vetri rotti. Lo incontravo spesso Nicoletoquando passando per via Carducci si trasferivadall’osteria dell’Operaio a quella di Nadal, poco piùsotto, di fianco alla Madonna degli Angeli. Aveva legambe piegate ad arco, come schiacciate dal peso delcorpo. Se me lo trovavo davanti mi veniva la voglia dipassargli sotto quell’arcata. Avrei potuto farloagevolmente. Il diminutivo Nicoleto tuttavia rendeva a pennello labonomia del suo carattere. Non si arrabbiava mai,neanche quando tirava su le nasse e constatava chequalche dispettoso le aveva vuotate prima di lui. Almassimo borbottava un “fioi de cani”. Era bello vederlo tirare il gripo con gli altri pescatori, igrossi piedi ben piantati nell’acqua bassa della marina,le gambe più inarcate per lo sforzo. Si capiva,guardandole, perché lo avessero battezzato Do deSpade. Il nomignolo di Nassa Vecia era dovuto, penso,alla conoscenza che aveva dei fondali più pescosi dove

97

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 97

Page 98: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

calava sicuro le sue nasse, che gli procuravano grandegioia quando un astese goloso dell’esca prelibata vi siera imprigionato. Il vecchio pescatore un giorno attende il suo turno nellabottega del barbiere, posta in piazza Fora le Porte, tra lafarmacia Rocco e la strada che porta a Sant’Eleuterio.Nell’ampio locale, affollato da clienti e sfaccendati chechiacchierano del più e del meno, entra un pescatoreche aveva diviso con Nicoleto, quando si poteva andarein mare con il battello, le fatiche, le speranze, le attese diinnumerevoli lunghe notti di pesca alle sardelle. Il vecchio compagno, dunque, rivolge la domandad’obbligo: “Nicoleto, quanti?”.“Sète bassi… Stamatina iero fora con Toni, un bel tocooltra la diga nova, oltra la lanterna. Sentìmo un rumorpiù forte del solito… Ze sète aroplani che i svola bassisu l’aqua. Un momento dopo vedemo un aparechio chese destaca dai altri, e el vien verso de noi. Quando che ‘lze sora la nostra testa, vedemo el pilota che ‘l tira fora elbrasso e sbassando la man el ne fa: fioi, scufeve: e noide colpo se butemo longhi destesi a paiol. Subito dopo iscominsia a mitragliar come mati. Le bale ne fis’ciava nele rece. Bona che quel merican ne ga avertidi, altrimentino sarìa qua a contarve la storia.

98

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 98

Page 99: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Pasqualin Totalina

“Ciò, mona, guanta la sima!” gli aveva gridato NazarioSauro nella storica beffa, quando dal ponte di comandodi una nave italiana, entrato nel porto ‘austriaco’ diParenzo, era approdato tranquillamente al molo che poiavrebbe portato il suo nome. Il destinatario dell’ordine perentorio era PasqualinTotalina, entrato anche lui nella Storia, non propriocome l’eroe capodistriano, poiché in quel momento,vestito da soldato austriaco, con il lungo fucile in spalla,faceva il suo turno di guardia sul molo. Le cronacheraccontano che Pasqualin, ubbidendo pronto a quelcomando, raccolse la sagola, la trasse a sé per annodarela gomena alla bitta, una di quelle grosse colonne dipietra bianca che, ragazzi, ci divertivamo a saltare agambe divaricate. Si dice anche che Nazario Sauro, sceso a terra, cioè sulmolo, scambiò quattro chiacchiere con Pasqualin. Gli Austriaci si accorsero della beffa troppo tardi,quando la nave stava uscendo dal porto. E gli sparimandatile dietro suonavano più di saluto che di offesa. Non so se Pasqualin fosse stato punito comeresponsabile del fatto, poiché la logica militare di ogniesercito vuole sempre un colpevole per ogni sconfitta eun eroe per ogni vittoria. Può darsi che l’abbianotrasferito lontano da casa, a combattere in Polonia controi Russi, come era toccato a tanti parentini che avevanomanifestato troppo apertamente la loro italianità. Ilsentimento italiano era così radicato che perfino ibambini, che assistevano curiosi alle manovre degliidrovolanti dell”austriàca galina” sul piano inclinatodell’hangar, battevano le mani al colmo della gioia ogniqualvolta un aereo troppo carico di bombe non sistaccava dal carrello per mettersi in galleggiamento. Avevo conosciuto Pasqualin Totalina molti e molti annidopo, semplicemente perché prima non ero ancora venutoal mondo. L’ho conosciuto che era già avanti con gli anni.Faceva il pescatore autonomo, in quanto non dipendeva daun padrone di barca: era un libero pescatore. Libero permodo di dire, perché anche lui era condizionato dal

99

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 99

Page 100: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

bisogno di guadagnare il pane per sé e per la famiglia. Mi pare di ricordare che ormeggiasse la battana nellacaletta dello squero, tra l’Hangar e la Canottiera, dove siinoltravano a raggiungere acque un po’ più profondediversi rudimentali moletti, costituiti da mucchi di pietreoppure da paletti infissi nel basso fondale, uniti a due adue da traversi con sopra una stretta assicella. Ognipontile apparteneva a uno o più proprietari che alla suaestremità tenevano ormeggiata la barca. Pasqualin non era così ricco da possedere un ponticello,nemmeno in comproprietà, perciò la sua battanal’armizava al largo e per raggiungerla doveva saltare dauna all’altra delle imbarcazioni che si trovavano in mezzo.Una volta a bordo, toglieva i remi che erano infilati sottola coperta di prova, li metteva sul trasto, staccava lacatena dell’ormeggio e si spingeva fino al piccolo molodella canottiera per caricare le reti e le cassette. Pasqualin non era un pescatore d’alto mare: remavalungo la costa e sapeva dove calare le sue reti, in marinefuori mano, in acque limpide. Le sue reti erano speciali:vi si impigliava soltanto menodaia, e sempre menodaia.Mai un pesce più grosso, mai un angusel, unamenoletta, una scuransa, un guato o una slofa... Solo edesclusivamente menodaia. Il professore Pighetti, napoletano, ricordato in altrepagine, patetica figura di insegnante di musicaall’Istituto Magistrale, chiedeva a Pasqualin: “Ma perchélei, benedetto uomo, con tanti pesci grossi che stanno inmare, va a pigliare proprio i più piccoli ?”Se aveva avuto fortuna Pasqualin riempiva qualchecassetta con i pesci più piccoli che vivono in mare.Tornato a terra, con la cassetta sottoscaio, esile figura daspaventapasseri di povero pescatore, manicherimboccate sopra il gomito, pantaloni rimboccati sopra ipiedi scalzi, guance infossate per la bocca priva di denti,naso affilato con goccia pendula, luccicante comerugiada al sole e incerta se cadere o non cadere, andavadi casa in casa a vendere i pescetti, che passavano così,senza intermediari, dal mare alla farsora. Pasqualin nonusava bilance o stadere o altri aggeggi di misura. Ilpesce veniva offerto a manciate: la scarna mano venivaaffondata nella cassetta, sollevava una gran quantità dipesce e si ritraeva con neanche la metà dei pesciolini

100

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 100

Page 101: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

che aveva mosso e che andavano a finire nel piatto chela padrona di casa porgeva. La donna accettava senzadiscussioni il prezzo stabilito dal bravo Pasqualin.Perché discutere sull’argentea menodaia?

101

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 101

Page 102: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Piero Fassina

La battana aveva riposato, chiglia all’aria, tutto l’invernofuori dall’acqua, nello squero, di fianco allo scivolodell’hangar. Il fondo piatto s’era fessurato tanto che ipescatori avevano provveduto a calafatarlo e a dargliuna mano di blac. Ora è tempo di rimettere la barca in mare. Quattrouomini, due dalla parte di prua e due dalla parte dipoppa, la sollevano di peso e la capovolgono. Dallacoperta di prua, nel movimento, cade a terra una cartelladi scuola. È una semplice custodia di tela, roba fatta incasa, con un bottone da braghe per chiusura, unafettuccina attaccata a larghi punti per metterla a tracolla. Uno dei quattro la raccoglie mentre gli altri si avvicinanoincuriositi, la sbottona ed estrae dei quaderni: sullacopertina è scritto in grande: Piero Depase, classe terza. La barca viene calata in acqua ed ormeggiata a pochebraccia dall’hangar e la cartella viene consegnata alpapà di Piero, Steno Fassina, pescatore anche lui,abitante dalle parti di Marafor.La mattina seguente i passanti vedono un ragazzinorecalcitrante trascinato dalla madre per Strada Granda epoi per vie traverse fino alla scuola elementare. Tra unostrattone e l’altro fioccano i rimproveri di rito. “Invesse de andar a scuola, manigoldo…”.Invece di andare a scuola Piero preferiva studiare sulleallettanti grandi pagine colorate della natura. Conoscevain ogni più piccola insenatura tutte le marine di Parenzo,sia verso il Brulo a sud che verso nord, dalla Pescheraverso Pizzal e oltre. Era abilissimo nello snidare igransipori nel periodo delle grandi secche da sotto gliscogli come nel raccogliere i datteri di mare sulle rocceaffioranti a pelo d’acqua dello Sbrufador. Intrepidonuotatore attraversava il porto dal molo all’isola SanNicolò sfidando le ire del commissario Dassena cheaveva l’obbligo di far rispettare il divieto. Ma ecco che la mamma dà a Piero l’ultimo strattoneaccompagnato dall’ultimo rimprovero davanti alla portadella classe terza, dinanzi al maestro Manzolin cheesclama sorpreso: “Varda varda chi si vede… Da tre

102

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 102

Page 103: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

mesi non vedevo il tuo simpatico musetto… I tuoicompagni mi avevano detto che eri molto malato…”.“Tre mesi che no ‘l vien a scuola?! Sto fiolduncan el mega dito che ‘l ze sta assente solo ieri, sto busiaro: El locastiga, sior maestro, el ghe daga tante sardele, che ‘l sele merita! Po pensarà so pare a darghe el resto!”.“La staga tranquilla, siora Eugenia, ghe penso mi a stodiscoleto”. La scolaresca, che era rimasta attenta e muta dalmomento della riapparizione di Piero fino all’uscita dellamadre, accoglie il reduce con un brusio di saluto, zittitoda un perentorio “Silenzio!” del maestro, che senzaindugi assegna un tema da svolgere. Le testoline degli alunni si chinano assorte sui fogli, lepiccole mani muovono le penne a comporre parole eparole, una dietro l’altra. Nel silenzio assoluto si sentesoltanto il lieve stridìo dei pennini che graffiano la carta. Anche la testa arruffata di Piero è assorta nel lavoro,dimentica degli odori delle marine, del rumore dellarisacca, dei colori delle barche, degli scogli, dei pini,accesi dal sole o smorzati dalla foschia. Quando il maestro Manzolin legge il tema di Pierosbotta duro: “Hai copiato! Non è possibile che sia robatua! Figurarse, dopo tre mesi de vacansa a remengo parle marine, a torsiolon par le pinete… un componimentosenza neanche un errore, neanche uno piccolo piccolo, escritto bene… Hai copiato!”.“Non l’ho copiato, signor maestro!”.“Non è possibile: Per forza devi aver copiato”. “Alora el me diga da dove che lo go copià” si difendePiero attaccando impavido. “Tasi! Vedremo in seguito cossa che te ze bon de far”. In seguito il ragazzino fece tanto bene che il maestronon poté fare a meno di promuoverlo. A tredici anni al ragazzo non bastavano più i lidi di casa.Andò a Napoli dove si guadagnava da vivere facendo ilcameriere. Capì che per leggere il libro aperto della vitaè necessario sapere tante cose, che è necessariostudiare. Studiò nei momenti liberi dal lavoro e nelle orerubate al sonno. Dopo aver conseguito da privatista lamaturità, si iscrisse all’Università e si laureò in scienzepolitiche. Ci teneva a precisare che si era laureato allaprestigiosa facoltà di Firenze. Avrebbe potuto laurearsi

103

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 103

Page 104: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

anche in legge, gli mancava soltanto la tesi, ma nonl’attirava l’idea di essere avvocato. Alla fine della guerra d’Etiopia lavorava a radio AddisAbeba con Gianni Granzotto. Divenne funzionario delMinistero dell’Africa Italiana. Alla fine del secondoconflitto mondiale dal Partito d’Azione passò al PartitoComunista. Intanto era stato sciolto il Ministerodell’Africa Italiana e i dipendenti furono invitati ascegliere un’altra amministrazione dello Stato. Pieroscelse la Pubblica Istruzione e si sistemò in un tranquilloufficio del Provveditorato agli Studi di Verona. Condusse un’intensa vita politica. Fece parte dellaDeputazione Provinciale e come deputato provincialeebbe a che fare con il sanatorio della Grolla, inValpolicella, ove conobbe padre Valente, il cappellano,persona colta e pia. Piero scriveva dalla prima all’ultimariga le pagine del “Lavoratore”, il settimanale delpartito. Mandava corrispondenze dal Lago di Gardaall’Unità (rinunciando ad ogni compenso). Partecipava aconvegni e dibattiti nei quali la sua indole battagliera eraespressa dalla forza delle argomentazioni, esposte quasisempre con la calma più assoluta. Una volta a Legnago,negli anni del dopoguerra, si teneva un convegnosull’idrovia Tartaro-Canal Bianco. Tutti gli oratoriavevano parlato di progetti sulla navigazione internacome se fossero di imminente realizzazione. Anche Pieroprese la parola, non per unirsi al concerto delle bellepromesse, ma per denunciare, documenti alla mano, lamalafede dei politici di governo e delle amministrazionilocali che turlupinavano il popolo. Cercarono distrappargli il microfono di mano, ma lui tenne duro eportò a termine il suo intervento. Dell’idrovia si parlaancor oggi e, a distanza di cinquant’anni e passa, sifanno ancora studi e convegni…Piero, pur essendo politicamente avversario del sindacodi Verona senatore Uberti, uno dei fondatori del PartitoPopolare e della Democrazia Cristiana, era da lui stimatoper la sua obiettività e per l’integrità morale. E ilprovveditore agli Studi Ugo Zannoni, poeta e scrittoreveronese, parlava spesso con Piero di letteratura e dicritica letteraria e gli manifestava stima e grandeconsiderazione per l’onestà intellettuale. Piero riconosceva la ragione degli avversari, quando

104

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 104

Page 105: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

l’avevano, e ne dava atto sul foglio del partito. Ma ilpartito la pensava in tutt’altro modo: gli avversari hannosempre torto; i capitalisti sono i nemici della classeoperaia e i comunisti non possono dirne bene, mai. Piero un po’ alla volta si rese conto che era difficileconciliare la propria coscienza con l’interesse di parte eabbandonò l’attività politica. Le conversazioni con padreValente e quelle con monsignor Marini, altro preteintellettuale, lo invogliarono ad interessarsi di problemireligiosi che lui non aveva mai affrontato. Avendoseguito un curriculum di studi del tutto particolare, daprivatista, non aveva avuto l’occasione di sentir parlaredi religione sui banchi della scuola. Dai sacri testi diMarx e Lenin passò ai testi sacri della Bibbia e delVangelo, scoprendo in quest’ultimo quei valori che nonera riuscito ad incontrare prima. Quando veniva a trovarmi nel paesetto della montagnaveronese dove insegnavo, i nostri discorsi spaziavano inlungo e in largo sugli argomenti più vari. Mi piacevaascoltare la sua voce pacata. Dava l’impressione di unoche tirasse fuori i concetti dal profondo della coscienza, adifferenza di altri che prendono le parole al di fuori di sé ele allineano una accanto all’altra soltanto per formare frasi. Mi meravigliavo di sentire da lui, che era partito cosìpresto da Parenzo, rimanendo quasi sempre lontano,tante storie e tanti aneddoti sulle figure caratteristiche delpaese natìo. Mi raccontava delle sue prodezze di monelloche insieme con la mularìa della sua specie si tuffava allabocca delle dighe al passaggio del postale per passarglisotto la chiglia ed affiorare irridente dall’altra parte. Miraccontava del direttore della banca che, giuntoall’estremità del molo Nazario Sauro e al riparo dellalarga colonna che sorreggeva il bronzeo leone alato dellaSerenissima, si rivolgeva ispirato alla luna:“O spicchio diluna calante…”.Gli faceva eco la grossa voce canzonatoria di Chiarandini,famosa macchietta, uscito dal riparo della colonna: “Otoco de mona cressente…”.E mi diceva dello stesso Chiarandini, uomo alto egrosso, portato in gita a Roma, tanto per ridere, da ungruppo di notabili che facevano di tutto per seminarlopoiché non faceva far loro bella figura. Ma il grandeuomo non li perdeva mai. E magari quando quelli

105

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 105

Page 106: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

credevano di poter respirare tranquilli nel ristorante dilusso nel quale erano precipitosamente entrati, a metàdel pranzo capitava l’indesiderato, cartoccio di olive inmano, sputando noccioli a destra e a manca. “Me gavé volù?… Adesso godéme!” bofonchiavafilosofico. Mi parlava Piero pure della mamma, gnagna Eugenia,sorella di mio papà. Non potendo trattenerla in seno allapropria famiglia nell’appartamentino di una casapopolare a San Michele Extra, nella periferia di Verona,l’aveva sistemata in un decoroso pensionato in città. Eogni tanto la vecchia madre, borsetta sotto scaio e cofadi paglia nera in testa, arrivava sotto le finestre agridargli “sporco comunista”. Lo ‘sporco comunista’ che intanto era arrivato al più altogrado dell’amministrazione scolastica provinciale, scrisse“Il mio Amen”, una testimonianza sulla sua conversione. A Piero chiedo venia se l’ho ricordato così, alla buona,tra la gente di Parenzo. Mi piacerebbe avergli chiesto sesi ricordasse di quella volta, quando mi portò delleseppie e le demmo da cuocere alla mia padrona di casa.Quando tornammo dalla nostra escursione sui montiella ci disse accorata: “Sono più di tre ore che le cuocio,ma sono ancora dure…”.Potevamo immaginarlo che, non avendo dato istruzionialla buona donna che probabilmente non aveva maivisto seppie in vita sua, dovevano finire così, comesuole da scarpe. Cicio no ze par barca. E neanche percuocere sepe…

106

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 106

Page 107: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Zuane

È una domenica d’estate. Il caldo pomeridiano è appenamosso da un leggero garbin. La Diga, Scoio e Rivierasono affollati di bagnanti. Il duomo è quasi vuoto. Sedutinel presbiterio, i canonici cantano i Vespri. Uno sparutogruppetto di pie donne raccolto nei primi banchi rispondevolonteroso. Una voce in falsetto sovrasta le altre. Le parole latine dei salmi vagano nelle alte navate dellabasilica, girano attorno ai capitelli ricamati dellecolonne, si spandono nelle cappelle laterali… Qualchedevota vecchietta, vinta dalla sonnolenza, ciondola ilcapo, che alza di scatto colpita dal canto più forte dellavicina chinatasi al suo orecchio. L’addormentata siscuote e canta anche lei, meccanicamente, con ariavagamente estasiata,Nella cappella della Madonna il maestro Augusto Zulianiaccompagna all’organo. Don Piero Cleva dall’alto dellasua statura indica con una bacchetta le grosse notequadrate impresse sulle pagine ingiallite di un anticolibrone, posto su di un leggio dalla colonna tortile tuttatarlata. I chierichetti cantori seguono con occhi attenti ilmovimento della bacchetta che tocca uno dopo l’altroquei magici segni somiglianti a strani bacoli. Di fianco all’organo Zuane tira la fola per dare fiato allenote del maestro. Zuane, il campanaro, si è alzato prestoper suonare i mattutini. È un uomo dall’età indefinibile:il suo volto solcato da innumerevoli e fitte rughe, condue occhi stretti come piccole fessure, sembra quello diun eschimese. La pelle giallastra e incartapecorita parequella di un centenario, di una mummia dai muscolifacciali fissi in una inespressività antica. Zuane, attaccato con le mani callose all’asta del mantice,la schiena incurvata, alza e abbassa la leva con ariastanca, assente. Il movimento della leva di quando inquando rallenta: Zuane sta cedendo al sonno e anche lavoce dell’organo si fa fioca… Poi Zuane rinviene e ilsuono si rinvigorisce per poi cedere ancora più avanti. Il maestro Zuliani continua tranquillo l’accompagnamento,incurante dell’andamento ondulatorio del suono, cheperaltro si intona perfettamente all’ora e all’atmosfera

107

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 107

Page 108: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

liturgica. Ma ora siamo al Magnificat, occorre aumentare ilvolume per dar solennità al cantico di lode. L’organistacontinuando a suonare si china di fianco, sulla destra egrida: “Zuane, pompa!”.E per merito di Zuane le limpide vibranti note delCantico escono gonfie dalle canne, riempiono lacappella del coro, si riversano come fiumana per lenavate, colmano la cattedrale. E le pie donne ciondolantiraddrizzano il capo e cantano con rinnovato slancio.

108

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 108

Page 109: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Don Antonio

Mio fratello Umberto, direttore di “In Strada Granda”, miha chiesto di scrivere una commemorazione di nostrofratello prete per il periodico della famiglia parentina. Don Antonio, ultimo parroco italiano di Parenzo, con isuoi concittadini ha subito il peso dell’occupazionetitina, sofferto il distacco dalla amata terra natìa esopportato i disagi del profugo. La sua alta figura attorniata da uno stuolo di allegrifanciulli nelle passeggiate lungo le marine o per lestrade interne faceva venire in mente San GiovanniBosco. Don Antonio ha sempre svolto con grandeimpegno il compito di educatore dei giovani, senzapaternalismi, senza autoritarismi, ma conun’autorevolezza derivante dalla sua mente aperta, dallasua profonda cultura, dalla sua forte personalità, dallasua generosa dedizione agli altri. Figlio primogenito di Pietro e di Caterina Bazzara, èentrato giovinetto nel seminario di Capodistria. Ma ilseminario allora non aveva scuola propria, non si sa seper esigenze di economia o per una scelta di carattereeducativo, per non togliere dal contatto con il mondo gliaspiranti al sacerdozio fin dagli anni della fanciullezza epoi dell’adolescenza. Ed il piccolo Crisma ha frequentatol’Imperial Regio Ginnasio della cittadina istriana insiemecon gli studenti per così dire laici distinguendosi tra imigliori. Con le lezioni che dava ai coetanei ed anche aragazzi più avanti negli studi si pagava la retta delconvitto. Può darsi che sia stata la frequenza alla scuolapubblica a conferirgli quell’ampia apertura mentale che loha sempre contraddistinto e a stimolargli l’interesse perla scienza. Nella sua canonica entravano L’OsservatoreRomano e la rivista Sapere in tranquilla coabitazione. Dei preti croati che aveva incontrato e conosciuto si erafatta l’idea che essi si ritenevano prima croati e poisacerdoti. Qualcuno di loro aveva espresso un’opinionecritica sull’Italia dicendo che essa è come una messa damorto: senza Gloria, senza Credo, senza Benedizione.Giovane prete, raggiungeva a cavallo o in bicicletta permulattiere da ciclocross la parrocchia di Foscolino per la

109

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 109

Page 110: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

cura delle anime. La passione per il mare lo indusse,mentre era parroco a Fontane, a comperare una barca avela, una passera dal robusto fasciame in rovere,costruita nei cantieri di Lussino, dotata di randa aurica,ma con il picco che cadeva verticalmente sull’albero aprolungarne l’altezza. Con questa barca un pomeriggiod’estate ritornava a Fontane. Un fortunale di eccezionaleintensità lo sorprese quando da poco era uscito dalporto di Parenzo. Il padre, che nella guerra del ’14 enella lunga prigionia in Russia ne aveva viste di tutti icolori, compresa la Rivoluzione del 1917, trovandosiinnumerevoli volte in pericolo di morte, non era statomai visto così preoccupato. Temeva per la vita di suofiglio. Incaricò Mario Pellis, provetto e premuroso autistadi piazza, di correre con la sua Balilla lungo la costa.Trovò don Antonio sano e salvo nella baia di Molindriodove era arrivato fortunosamente a riparare. La passera, questo era il tipo di barca, lo accompagnò neisuccessivi trasferimenti a Orsera e a Parenzo. Quivi sullapassera ospitò più volte per qualche bordesada un altrouomo di mare, il vescovo mons. Raffaele Radossi che,nato a Cherso, non nascondeva il piacere di veleggiare.La barca in seguito sarebbe stata danneggiatairreparabilmente durante un bombardamento mentre eraricoverata nella vecchia distilleria dei fratelli Rocco nellevicinanze della canottiera. Don Antonio, quand’era parroco a Fontane, era riuscitoa comperarsi un’automobile, una Fiat decappottabilerossa, con un unico largo sedile su cui trovavano postoil guidatore e altre due persone. Poi, all’occorrenza,un’altra persona, se era di dimensioni ridotte, potevainfilare le gambe in una nicchia che si apriva sullatondeggiante parte posteriore dell’auto alzando unosportellino che, una volta aperto, fungeva da schienale.Su questa macchina Don Antonio fece salire il padre,che non dissimulò la sua soddisfazione, peraccompagnarlo fino a Trieste. Poi, per la guerra, furonorequisite le gomme. Il motore della Fiat fu trapiantato daOliviero Culot ad un battello di pescatori. Don Antonio siaccontentò di un mezzo meno comodo, una moto Frera250. Per affrontare le polverose strade di allora ripiegavala lunga veste talare entro la tuta, indossava casco,occhiali e somigliava ad un pilota di aerei della prima

110

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 110

Page 111: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

guerra mondiale. Divenne reggente della parrocchia di Parenzo il 1°agosto del 1944. Da allora condivise con i concittadini ipericoli dei bombardamenti e, finita la guerra,l’occupazione titina. Fu invitato ad accompagnare imembri della commissione alleata incaricata di stabilirei nuovi confini. Nel cimitero, parlando in latino con unesponente britannico, fece notare che tutti i morti ivisepolti erano italiani. Ma le decisioni erano state giàprese: l’Italia aveva perso la guerra e la Jugoslavial’aveva vinta. Una sera l’Ozna, la polizia segreta, l’avevaprelevato nella canonica e trattenuto nei suoi uffici einterrogato per una notte intera. Su che cosa? DonAntonio non si confidò mai con nessuno né suicontenuti dell’interrogatorio né sui metodi. Certamenteper nulla amichevoli, come poté capire chi vide la suafaccia dopo il rilascio. Don Antonio provvedeva adistribuire segretamente alle famiglie degli infoibati gliaiuti che corrieri clandestini gli recapitavano da Trieste.Si suppone che la polizia avesse voluto estorcergli nomie fatti su questa operazione, ma si è fermamenteconvinti che intimidazioni, minacce e maltrattamenti nonavessero indebolito la sua resistenza. Era incominciato l’esodo. Don Antonio aveva trasformatol’ufficio parrocchiale in ufficio anagrafico. Compilavadocumenti di battesimo per tutti i richiedenti, certificandola data di nascita che compariva nei registri. Talidocumenti erano accettati dalle autorità italiane ed eranoutili specialmente a coloro che, abbandonando Parenzo dinascosto, non intendevano recarsi nella sede municipaledove impiegati titini facevano diventare serbo-croati tutti inomi italiani, storpiando anche i cognomi farcendoli dipipe, segni e lettere del loro alfabeto. Mons. Crisma (era stato nominato canonico penitenzieredel Capitolo Cattedrale il 1° febbraio 1945), sbarcò aTrieste il 13 ottobre 1948 per iniziare la sua movimentatavita di profugo. Riceveva subito l’incarico di insegnarereligione nella Scuola Media Duca d’Aosta e nellaScuola di Avviamento Commerciale Guido Corsi.Contemporaneamente era fatto cappellano del Collegiodella Beata Vergine di Via Scorcola. Nel febbraio del ’49divenne confessore ordinario delle Piccole Suoredell’Assunzione di Via S. Gabriele.

111

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 111

Page 112: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Dal 15 ottobre 1949 al 15 ottobre 1950, per decretodell’Arcivescovo di Udine, divenne rettore dell’Oratoriodella Madonna Missionaria di Tricesimo e AssistenteEcclesiastico della Casa Esercizi. Ad ascoltare le suelezioni accorrevano folle di fedeli e molte persone cheda anni si erano staccate dalla Chiesa. Mons. Crismasapeva esprimere concetti elevati con parole semplici ericorreva talvolta all’aneddoto dotto proveniente ancheda fuori dei testi sacri, sovente dal pensiero orientale. Ritornato a Trieste, rimase fino alla fine del 1951 alVillaggio del Fanciullo di Opicina, alternando l’assistenzaspirituale ai ragazzi con l’insegnamento della religionenella Scuola di Avviamento di S. Croce e nelle scuoleelementari di San Sabba. Durante l’estate fu assistentespirituale in Carnia ad un gruppo di giovani in un centrodell’Opera Figli del Popolo organizzato da mons.Marzari. Per l’occorrenza don Antonio, che era statosempre un buon pianista, diventò fisarmonicista peraccompagnare i canti di montagna. Colpito da emorragia cerebrale, ricoverato nell’OspedaleMaggiore, rimase per parecchi giorni tra la vita e lamorte. Nel delirio ripeteva ossessivamente: “Basta, basta.Lasciatemi in pace, lasciatemi in pace…”. Il medico che loassisteva commentò: “Devono avergliene fatte di brutteper ridurlo così”. Una notte nelle mani della poliziasegreta lo aveva segnato indelebilmente. Ma grazie a Diosi ristabilì e poté continuare a fare del bene. Con decreto della Curia Vescovile di Trieste fu nominatomembro del Consiglio di Amministrazione dell’Ente diCulto S. Giusto e riconfermato per un altro triennio condecreto del 1953. Dall’Ufficio diocesano catechistico funominato insegnante di Religione per tre ore settimanalial Dante, per due ore a S. Croce e per 12 ore al Timeus. Dal gennaio 1952 al 1° giugno 1953 ha abitato con lamadre in mezzo ai profughi istriani a S. Croce. Conlettera del 29 maggio 1953 S. E. Mons. Santin, Vescovodi Trieste, gli affidava la chiesetta della Regina Pacis inVia Commerciale e gli comunicava l’assegnazione di unappartamento nelle vicinanze della chiesa. Dal poggiolopoteva contemplare un vasto panorama, che dal portoandava all’orizzonte e si apriva dalle punte dell’Istria allalaguna di Grado. La madre non era per niente consolatanel contemplare quello stesso mare che bagnava la sua

112

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 112

Page 113: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Parenzo che non avrebbe più visto. Dall’ottobre 1953 don Antonio era catechista nellascuola elementare di Via Commerciale e alla ScuolaMedia del Dante. Sapeva andare incontro alle esigenzedegli alunni passando dalla religione alla spiegazionedella matematica che non avevano capito. La Curia Vescovile di Trieste con decreto del 31.1.1955 lonominò assistente ecclesiastico diocesano dei FanciulliCattolici e, nell’aprile dello stesso anno, III vicariocooperatore di S. Antonio Taumaturgo. Nel luglio vennenominato Vice Assistente ecclesiastico diocesanodell’Unione Donne di Azione Cattolica, riconfermatoassistente diocesano dei Fanciulli Cattolici e nominatoConsulente ecclesiastico del Segretariato per l’AzioneMissionaria. Nel febbraio 1956 venne riconfermato perun altro triennio membro del Consiglio diAmministrazione dell’Ente di culto. Nell’ottobre del ’56divenne II Vicario cooperatore della nuova parrocchiadei SS. Pietro e Paolo. Dal giugno 1953 al novembre1958 fu confessore settimanale al Villaggio del Fanciullodi Opicina e delle Ancelle della Carità di Via Ginnastica.Col 1° dicembre 1958 divenne economo parrocchiale allaMadonna della Provvidenza e catechista nella Scuolad’Arte di Via Besenghi. Nella nuova parrocchia di Via Besenghi, voluta dalvescovo Mons. Antonio Santin, il suo costante impegnonell’educazione dei giovani lo portò ad istituire unricreatorio e a tenere incontri di formazione per fidanzati. Nel ’62-’63 era cappellano al Sanatorio SantorioSantorio. Nell’ottobre ‘63 confessore volontario a S.Girolamo nelle vigilie e nelle feste e, alla morte di mons.Cleva, penitenziere nei giorni feriali a S. AntonioTaumaturgo per invito di Mons. Carra. E a S. AntonioNuovo si concluse la sua operosa vita terrena. Un ictuslo stroncò al rientro in sacrestia dopo la celebrazionedella S. Messa. Era il 7 luglio 1971. Le innumerevolipersone che parteciparono commosse ai suoi funeralitestimoniavano la riconoscenza per ciò che comeSacerdote, come Educatore, come persona carica diumanità aveva loro dato.

113

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 113

Page 114: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Sulle dighe

La diga attaccata al piccolo scoglio era poco frequentata.Vi indugiavano i bagnanti solitari amanti della quiete.Invece la diga attaccata all’ombrosa isola di San Nicolòera spesso animata da chiassosi gruppi di ragazze eragazzi. Uno di questi, sollevato da terra il piede sinistro,ne stringeva l’alluce tra il pollice e l’indice della manodestra costituendo un ostacolo, che scavalcava con unrapido saltello del piede destro. Campione di questoesercizio era Nello Giustiniani, il figlio del cancelliere deltribunale. Chi si provava ad imitarlo, finiva con losbattere il ginocchio sul mento. Gei, il campione dibellezza oggetto degli sguardi desiosi delle mule che loincrociavano in Strada Granda, si metteva a camminaresulle mani a testa in giù fin sull’orlo della diga. Eflettendo le braccia si dava una leggera spinta pertuffarsi senza timore di scorticarsi la pancia o i piedisulle grosse lastre di pietra della parete verticale. E tuttigli altri ragazzi si producevano in tuffi di stile personale,con rincorsa o da fermi, con impennata in alto esuccessiva caduta a piombo, oppure ad angelo con lebraccia aperte che venivano chiuse un istante prima delcontatto con l’acqua. E non mancava il plonzo delburlone incurante della spanciata che si beccava tantoper far ridere gli spettatori, né il salto mortale. Le risatesi alzavano più fragorose se l’impatto produceva losfilamento del costume troppo lasco di elastico. Alcuniprendevano la diga per il lungo correndo veloci percatapultarsi in mezzo alle bocche di entrata al portoraggomitolati come palle. Altri, dopo la lunga rincorsa,continuavano comicamente a correre in aria. Le mule sitenevano in disparte per non essere scaraventate inacqua con lancio invarigolado a cavatappi e poisapussade a ripetizione. Qualche altro dava sfoggio della sua bravuradistendendosi in apnea sul fondo del mare dove restavaimmobile per quasi due minuti. Però nessuno riusciva afare il vaporetto come lo smilzo Pipi Perusin. Si mettevaa fare il morto, un piede sopra l’altro che erano la prua evorticava velocemente le mani dietro alla testa, e filava

114

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 114

Page 115: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

come un battello del Mississippì sospinto dalla ruota dipoppa. Alle dighe si arrivava quasi tutti con la battana.Qualcuno giungeva a nuoto lasciando terra e indumentisugli scogli del monte del cimitero vecchio. Uno chearrivava sempre a nuoto era Lauro. Dire che arrivasse anuoto non sarebbe proprio esatto, perché lui nonnuotava, ma faceva il delfino: immersioni di venti, trentametri, rapida emersione per una boccata d’aria, altraimmersione e altro rifornimento d’aria e così di seguito,a farsi il giro del porto. Era di poche parole, Lauro. Mase gli chiedevi che film avevano dato il giorno taledell’anno tale al cinema teatro Verdi, lui ti sapeva dire iltitolo e i nomi del regista e degli attori. Un fenomeno dimemoria. E un calcolatore formidabileale. In pochiistanti ti dava il risultato di una moltiplicazione diparecchie cifre al moltiplicatore. Alla diga nuova, molto più alta delle altre, attaccataall’altra parte dell’isola, che proteggeva il porto dal latodi maestra, si andava di rado, solo per fare qualche tuffopiù impegnativo, essendo più alta. Sulle dighe dopo l’8 settembre del ’43 e la calata deiTitini non ci andava quasi più nessuno, anche se l’estatesi protraeva in un molle languore. In quel quasi c’ero io,che approdavo con il sandolino. Un pomeriggio trovaidisteso a prendere il sole sul piano inclinato della parteelevata della diga un giovanotto magro, in slip, la pellescura come un abissino, la testa incorniciata da una foltacapigliatura nera e barba alla Carlo Marx. Era Artabano.Non l’avevo mai visto prima a Parenzo. La suamisteriosa apparizione coincideva con l’arrivo deipartigiani slavi. Ma lui era di origini parenzane, mi avevadetto. Forse era nipote di Bernobich, un pescatore dipoche parole, che da un momento all’altro si era messoa predicare la rivoluzione assumendo un ruolo daprotagonista in mezzo ai partigiani slavi. Avresti pensatoche Artabano fosse uscito da sottoterra se solo nonavesse avuto quella pelle bruciata dal sole. Parlavasottovoce, Un tipo di intellettuale nutrito dimarxismoleninismo. Nei lunghi pomeriggi sulla digadiscutevamo di letteratura russa, che lui conoscevamolto più di me, specialmente nelle opere di contenutopolitico. Poi, quando nell’Istria arrivarono i Tedeschidispiegando tutta la loro potenza militare, Artabano

115

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 115

Page 116: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

disparve, all’improvviso come era venuto. E svanì nelnulla anche lo zio apostolo della rivoluzione comunista. Mio fratello Steno mi ordinò di nascondere il libro Lamadre, di Gorkij, che avevo prelevato alla bibliotecacircolante di fronte alla cartoleria Greatti.

116

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 116

Page 117: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Feste di Pasqua

Dopo le funzioni del Venerdì Santo la processione escedalla cattedrale e si inoltra per via della Basilica e poigira in Strada Granda. In testa al corteo uno deipescatori del paron Zorzeto, con il lungo camice celestedella confraternita della Madonna, regge un altissimocrocifisso di legno. Ai lati due chierichetti portano icandelieri. Le fiammelle ondeggianti riverberano unaluce incerta sul lastricato e sul Cristo che avanzaspettrale nel buio della notte. Dalle case non trapela ilminimo chiarore. Non danno luce neanche i lampioni agas dell’illuminazione pubblica. Giovanin impissaferaiera passato prima ad abbassare la levetta di erogazione.Dal corteo si levano preghiere e i mesti canti liturgicidella Via Crucis. Al primo piano di una casa in stilegotico-veneziano si affaccia l’ombra di una donna con inbraccio un bimbo che piange a dirotto. Quando gli passasotto, il pescatore alza il Cristo crocifisso esclamando:“Ocio babau!”. Il bimbo s’acquieta. Il corteo nons’accorge di questo estemporaneo fuori programma, senon nelle prime file, e prosegue nell’itinerarioabbandonando la via Decumana in prossimità della torrecon il leone di San Marco per ritornare in chiesapassando per la parallela via Vergottini. La basilicaeufrasiana riserva una sorpresa ai fedeli che vi rientrano.I loro occhi sbottonati per il buio si aprono ancor di piùal vedere, alta, sull’altare maggiore, una smisuratacroce, larga e piatta, che lungo tutto il suo contornoporta cento e più lumini ad olio, ciascuno con unafiammella tremolante, che tutti insieme fanno apparirela croce come fosse soltanto di luce. Uno spettacolosuggestivo che si ripete ogni anno la sera del VenerdìSanto a conclusione della cerimonia religiosa. Il Sabato Santo, nelle case le donne, che hanno giàultimato le pulizie straordinarie, sono indaffarate aimpastare le pinse, le tradizionali focacce pasquali, fattecon farina, uova, zucchero, burro e lievito di birra. Per ibambini, con la stessa pasta, le mamme preparano latitola: una piccola treccia con un uovo collocato ad unaestremità e trattenuto da due filoncini di pasta incrociati.

117

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 117

Page 118: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Per la cottura si rivolgono al forno a legna di PieroCogheto in via Carducci o a quello meccanico di TimotioChersi vicino alla casa di ricovero, secondo la vicinanzao la preferenza. Anche altri forni più piccoli sono adisposizione per la cottura delle pinse, che vengonoadagiate su di una larga tavola di legno, che negli altrigiorni dell’anno serve per trasportare le strusse, grosseforme di pane di oltre un chilo di peso, che le donneconfezionano con la farina del loro grano, prodotto nellaloro campagna e macinata nel vecchio mulino di viaBernardo Parentino. Le tavole sono più o meno grandi, aseconda del numero dei componenti della famiglia. Per tutto il pomeriggio del Sabato Santo e fino a sera c’èun continuo viavai di tavole che vanno al forno sullatesta delle massaie, che si proteggono con il cercine, uncanovaccio intrecciato a ciambella. Sopra le tavole lepinse sono accuratamente protette da una coperta, pernon comprometterne la lievitazione. Il fornaio sa quandole focacce sono pronte per essere infornate. Alloraimpugna un coltello sottile come un pugnale e vi praticatre incisioni a zigzag partendo dal centro. Intinge unapennellessa nelle chiare d’uovo e la passa sopra i dolci,che a cottura ultimata, accertata con un legnettoaffondato nella pasta, risulteranno a tre grossi spicchicolor caramello, divisi dai tagli praticati in precedenzache si sono allargati e rimasti più chiari. Le donne ritornano a casa, la tavola sulla testa, per lo piùsoddisfatte del loro lavoro. Domani il pranzo, consumatol’agnello pasquale, si concluderà con una fetta di pinsa. Il lunedì dopo Pasqua Parenzo si svuota. Tutti sciamanoa Madonna del Monte. Di solito l’aria già mite invogliaad uscire di città, ad incamminarsi, lasciata Simarè, lapiazza Vittorio Veneto, per il viale Vidulich sotto gliippocastani fino all’antica chiesetta dedicata allavisitazione di Maria a Sant’Elisabetta, in mezzo alla vastapineta. Tomé è qui con i primi gelati della stagione. Ibanchetti di bibite fanno affari. I ragazzi badano ai lorogiochi, in particolare quello che consiste nel colpire unuovo sodo da una certa distanza con una moneta. Maper vincere non basta colpirla. La moneta deve rimanereinfissa nell’uovo.

118

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 118

Page 119: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Via Tartini

Dall’angolo di piazza Foraleporte, dove sbocca la viaCarducci, scende verso la riva la via Tartini, el rato de lescuole. Il rato, che vuol dire strada in salita, è tale se lo sipercorre dalla riva a Foraleporte e, ovviamente, è indiscesa se lo si prende dalla parte opposta. Fin dafanciullo lo percorrevo per portare con un carretto di legnoa due ruote, con il timone tenuto nella parte posteriore,una grande cesta colma di pane ancora caldo, dal fornoalla panetteria in Strada Granda. Nella discesa mi divertivoa correre e ogni tanto a sollevarmi da terra e restare inaria appoggiato al timone, controbilanciato dal peso dellacesta. Altre volte la percorrevo seduto sul portapacchianteriore della grossa e pesante bicicletta da donna,tenendo in equilibrio sulle ginocchia un grande lamarinpieno di paste creme, mentre mio fratello Santo pedalavaattento a non far cadere me e le paste destinate allapanetteria che era anche pasticceria in Strada Granda. A metà della via Tartini, vicino alle scuole elementari,aveva la sua officina il meccanico Oliviero Culot, bravoad aggiustare motori di automobili e di barche. Nonrifiutava la sua opera se qualche ragazzino volevarendere più vera la sua modesta scacciacani. Sul lato opposto si apriva un grande cortile con lerimesse delle corriere della ditta Dari. Una rimessa con ilpavimento di petòn serviva da balera popolare. Più giùuna sala ospitava i suonatori della fanfara dei bersaglieriper le loro prove. L’estremità della via, verso piazza dell’Annessione, eraoccupata da un lato dalle scuole elementari e dall’altrodal cinema teatro Verdi. Per la visita alla scuola, intitolata a Giuseppe Picciola, daparte del ministro Bottai, io ed un compagno della quintaclasse nell’uniforme dei balilla eravamo schierati uno perparte alla porta d’ingresso. All’arrivo del ministroscattammo sul presentat-arm, seri come soldatini. Anchela scuola era seria, con insegnanti, uomini per i maschi edonne per le femmine, piuttosto severi. Il mio maestroOddone Cortese era severo e bonario nello stesso tempo.Quando ci preparava per l’annuale saggio ginnico restava

119

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 119

Page 120: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

nell’abituale compostezza e, per mostrare le diverseposizioni, chiamava me a fare il manichino indicandomitutti i movimenti del corpo, della testa, delle braccia edelle gambe che i compagni avrebbero dovuto imitare.Orlando Bruni, l’alunno magro come un spin de bacalà,era prescelto per le lezioni di anatomia: le costole, losterno, le clavicole e le scapole erano chiaramente visibilisotto la pelle. Il maestro Manzolin indossava un traversonnero e sulla cattedra se ne stava posata tranquilla unabagolina di canna dindia. Di solito era sufficiente quellasottile taciturna presenza a tenere calma la classe. Ogniscolaro sapeva che, all’occorrenza, la bagolina sibilandosi sarebbe crudelmente abbattuta sul palmo delle manidello scolaro reo di qualche mancanza. Alla fine dellelezioni i bambini delle altre classi chiedevano agli alunnidel maestro Manzolin: “Quante sardele te ga ciapà?”. Ilmaestro giudicava la colpa e comminava la pena con unsorriso beffardo sulle labbra. Il reo doveva presentare lemani e sopportare il supplizio: due, cinque, dieci sardele,ossia colpi di bacchetta sul palmo proporzionati allagravità della colpa. Guai a tirare indietro la mano perscansare il colpo! Si arrischiava di raddoppiare il castigo. L’atletico maestro David, che era anche insegnante dieducazione fisica per gli studenti delle magistrali, nonesitava a sollevare i discoli da terra prendendoli per ilcollo della giacchetta o della camicia. Meno male, che itessuti erano resistenti. Il maestro Cleva otteneva ladisciplina senza bagoline. Per la sua magrezza il maestroGonan era soprannominato maestro Ciodo. Mio fratelloSanto quando era in terza dal maestro Gueli hacancellato il buono sulla pagella e ha scritto lodevole. Ilmaestro ha invitato la mamma a scuola e l’haaccompagnata con il figlioletto e la pagella deturpata daldirettore Maule, che era il papà di Gigi, mio compagnoalle magistrali. Santo ha detto che lui ha corretto lapagella perché il maestro si era sbagliato. Ha datolodevole al suo vicino di banco che sapeva meno di luied era pronto a confrontarsi. Durante la ricreazione qualche volta gli scolari piùgrandi facevano a gara per vedere chi pisciava piùlontano. Stando nell’antigabinetto qualcuno spingeva ilsuo getto fin oltre il basso finestrino ed innaffiava ilbasilico nell’orticello del bidello.

120

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 120

Page 121: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Molti anni dopo il maestro Cortese, saputo che ero aTrieste durante le vacanze estive, ospite di mio fratellodon Antonio e della mamma nella canonica di viaBesenghi insieme con mia moglie e i due figlioletti, volleincontrarmi per salutarmi. Che piacere rivedere il caroinsegnante. Mi sentivo ancora uno scolaretto di fronte alui, non parendomi vero di essere diventato suo collega.Manteneva la sua linea asciutta con lunghissimecamminate sul Carso. “Te te ricordi de Edi Sabion?” midomandò sorridendo. Edi aveva gettato della sabbia nellapentola della refezione scolastica. Il suo atto sconsideratonon aveva fatto perdere la pazienza al nostro indulgentemaestro che, tuttavia, non aveva dimenticato lamarachella.

121

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 121

Page 122: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Cinema teatro Verdi

Il cinema teatro Verdi ha la bianca ed ampia scalinata diaccesso rivolta sulla piazzetta dell’Annessione. Leproiezioni dei film avvenivano tre giorni alla settimana.La sala per metà verso il palcoscenico era occupata dafile di dure sedie di legno, che costituivano i secondiposti. L’altra metà, dietro, con le sedie dal sedile eschienale leggermente imbottiti e ricoperti di tessutoverde, era riservata ai primi posti. Nell’evenienza dispettacoli teatrali, tuttavia molto rari, le sedie imbottitepassavano davanti e quelle di legno dietro. Una galleriasovrastava l’atrio e l’ultima fila dei primi posti e correvastretta lungo le pareti laterali. La parte retrostante avevadei gradoni di legno che fungevano da sedili. I bigliettidella galleria erano a prezzi popolari. La cabina di proiezione si trovava tra la sala e la galleria,non in posizione centrale, ma spostata sul fianco verso lavia Tartini sulla quale si apriva una porta. Sullo stipite diquesta porta, alta rispetto al piano stradale, che rimanevaaperta se non c’era troppo freddo, era appoggiata laspalla del cineoperatore Gandusio, che si fumava beatouna sigaretta mentre la pellicola si svolgeva dalla grossabobina. Succedeva spesso che una salva di fischi loavvisasse che la pellicola s’era rotta. Lo schermo restavainondato dalla forte luce bianca della potente lampada adarco finché Gandusio non provvedeva a ripararla. Una volta Gigi el Bulo, figlio del lanternista, studenteall’ultimo anno delle magistrali, aveva organizzato unospettacolo di varietà tutto impostato sulla vita dell’istitutocon garbate parodie dei professori. Una sera d’estate un grosso contadino che abitava dalleparti di Rivetta si era addormentato ubriaco, le bracciaappoggiate al parapetto bombato della galleria. Nelmezzo di una scena piena di pathos di un film d’amore,nella sala esplose un alto strillo di donna. Lo strilloprolungato e straziante come quello della sirena deipompieri aveva indotto Gandusio a interrompere laproiezione e ad accendere le luci in sala. Tutti glispettatori si voltarono per capire che cosa stesseaccadendo. Nell’ultima fila delle sedie imbottite una

122

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 122

Page 123: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

signora gridava fuori di sé. Dalla galleria sgocciolava unliquido: la pipì del ragazzone addormentato in galleriaaveva bagnato il seno prorompente della moglie delcapitano comandante della compagnia dei carabinieri.Due soldati dell’arma salirono in galleria a coprire dipache il responsabile di quell’offesa. Ma era come seavessero colpito di pugni un sacco di patate. E quasicome un sacco di patate trascinarono il reo in caserma. Poco dopo che i tedeschi avevano occupato l’Istria, inteatro furono convocati i cittadini da una specie dicomitato di salute pubblica. Erano invitati specialmente igiovani, che tuttavia si tennero prudentemente alla larga.Uno sparuto pubblico che occupava a malapena due o trefile di sedie ascoltava attento una persona anziana che, inpiedi in platea, parlava della necessità di costituire uncorpo a difesa del territorio. “È giunta l’ora di alzarsi inpiedi!”, tuonò a voce più alta. Al che le persone sialzarono titubanti in piedi guardandosi a vicenda con ariasmarrita. Poi, ancora esitanti, si sedettero una dopo l’altra. Anche i titini appena arrivati nel ’45 dopo che i tedeschise n’erano andati convocarono la gioventù nel teatroVerdi. Un druse slavo sui trent’anni parlò per due ore inuno sconnesso italiano di marxismo e comunismo aicompagni studenti ed alle compagne studente.

123

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 123

Page 124: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

8 settembre 1943. El ribalton

Gigi Maule, figlio del direttore didattico, non era forsetra i ragazzi più studiosi della mia classe, ma certamentetra i più perspicaci. Anche lui aveva ascoltato alla radiola voce del maresciallo Badoglio che dava l’annunciodell’armistizio dell’Italia con gli Angloamericani conclusoda quelle parole sibilline: ‘la guerra continua’. “Ora sìche si mette male!” fu il suo lapidario commento. Fino ad allora Parenzo aveva trascorso quegli anni diguerra in relativa tranquillità, lontana com’era dalle zonedi operazione. Il razionamento dei generi alimentari, tracui il pane, non portava eccessivo disagio poiché granparte della popolazione possedeva campagna e riuscivaa non consegnare tutto il grano dovuto all’ammasso.L’eccedenza al consumo della famiglia diventava mercedi scambio per ottenere altri beni o servizi. La realtà del conflitto era percepita con ansiosapreoccupazione da chi aveva al fronte un padre, un figlioo un fratello. E prorompeva crudelmente nelle casequando annunciava la morte di un congiunto. Settembre a Parenzo è ancora un mese di bagni con unatemperatura da piena estate. Nei giorni successivi all’8cominciano ad affluire nel cortile della caserma in fondoalla via Tamaro, a pochi passi da Simaré, decine edecine di camion carichi di militari provenienti dallaCroazia. Tutti i parenzani che hanno parenti in quellazona di guerra sono lì a chiedere notizie dei loro cari aisoldati che hanno un’unica preoccupazione:abbandonare la divisa e trovare abiti civili per tornaresubito in seno alle loro famiglie. E tutti i soldatiottengono dalla generosità dei parenzani, con o senzacongiunti in guerra, un paio di pantaloni, una camicia,una giacca, una maglia, non importa se della tagliagiusta o sbagliata per poter da civili intraprendere ilviaggio di ritorno a casa. Nel cortile della caserma una piccola parte del regioesercito italiano si dissolve. Anche i camion militariperdono a poco a poco i componenti asportabili.Doretto, il mio compagno di giochi, riesce a recuperareun motorino di avviamento e due grossi accumulatori. Il

124

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 124

Page 125: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

meccanico Oliviero Culot salda all’asse del motorino unaprolunga d’acciaio con un’elica all’estremità.Trasportiamo non senza fatica gli accumulatori fino allosquero e fissiamo il motorino con elica sulla poppa diuna battana. Il nostro improvvisato fuoribordo è pronto.Contatto! L’elica gira troppo veloce e Doretto non riescea tenerla in acqua. Esperimento fallito. Forse occorrevaun reostato per modulare la velocità. Non abbiamo iltempo di perfezionare l’aggeggio. Altri eventiincombono. Dopo pochi giorni calano in città i partigiani titini.Portano armi di ogni specie e cartucciere incrociate sulpetto; hanno una grossa stella rossa cucita sul berretto,sia civile che militare. Sono tutte facce sconosciutequelle che si aggirano sempre più numerose e disinvolteper le nostre vie e si insediano negli uffici civili. Maqualche faccia nostrana si mescola a quelle forestiere. Sirespira un’aria rarefatta di preoccupata attesa. Si hal’impressione che un baratro stia per spalancarsi davantia noi. La sera la gente si rinchiude in casa e spranga leporte. Passi pesanti risuonano nell’oscurità delle strade.“La guerra è finita” ha dichiarato il maresciallo Badoglio.A Parenzo la fine della guerra è diventata un incubo. Un mattino corrono voci che i titini durante la nottehanno prelevato e portato via delle persone. Anche ilbabbo di Doretto è stato arrestato. Un po’ alla voltaspariscono commercianti, impiegati, insegnanti.Sparisce anche Giovannina Trottola, la bidella dellapalestra e della casa del fascio. Non si sa dove liabbiano condotti. Qualcuno dice che sono stati messi inprigione a Pisino. I parenti accorrono lì con la speranzadi rivederli, di riaverli. Ritornano a casa delusi e piùangosciati che mai. Nessuno si sente al sicuro in quei lunghi giorni. Eancora meno sicuri ci si sente di notte nella propriacasa, temendo di udire battere alla porta colpi secchi dipugni ostili. Finisce settembre e sta per finire nel nostro magazzinola farina per fare il pane per la gente. I titini si muovonoagitati. Hanno notizie che una colonna motorizzatatedesca è entrata in Istria. Sono intenzionati ad andarlecontro, coinvolgendo uno sparuto gruppo di giovani,sulla strada di Varvari. Ma basta la vista da lontano dei

125

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 125

Page 126: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

soldati per squagliarsela in fretta. A Parenzo non vedipiù neanche una stella rossa. I tedeschi prendonopossesso della città. Si ha netta la strana impressionedella fine di un incubo. Il giorno dopo arriva una barcacarica di farina. La gente può mangiare.

126

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 126

Page 127: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

L’occupazione tedesca

La Wehrmacht prende possesso della città occupandogli edifici pubblici e gli alberghi più grandi, come l’hotelRiviera e l’hotel Venezia. Dopo pochi giorni i giovani chenon hanno mai prestato servizio militare sono invitati adarruolarsi nella Landschutz, un corpo a difesa delterritorio. L’invito, poiché nessuno si fa avanti, sitrasforma in ordine. L’hotel Guetti, in Predol, il largoPretorio, diventa la caserma delle reclute che vengonovestite da soldati tedeschi, istruite in tedesco e imparanoa marciare cantando inni militari tedeschi. La vita scorre quasi normale. Ognuno si dedica alle suefaccende. Gli studenti e gli scolari frequentanoregolarmente le loro scuole. Non c’è più il terrore dellesparizioni notturne. Ma dove sono andate a finire quellepersone, oltre quaranta, strappate alle famiglie? Si sa che iprigionieri rinchiusi nel castello di Pisino erano statitrasferiti altrove. Due giovani che verso la fine di ottobrecercavano i genitori hanno notato intorno alla foiba diVines, presso Albona, tracce di sangue sull’erbacalpestata. Hanno avvertito le autorità, che hanno inviatouna squadra di vigili del fuoco da Pola per un sopralluogo.Dalla voragine profonda 140 metri, giorno dopo giorno,con l’aiuto di un argano, vengono recuperati i corpi diottantaquattro vittime, che vengono pietosamente distesesulla terra per il riconoscimento, non facile, da parte deiparenti. Vengono riconosciute anche le salme di cittadinidi Parenzo. Tra i vigili di Pola c’è Bruno Giacomini, fortecampione della Canottieri Forza e Valore. Abitava in fondoalla Via Carducci, oltre la falegnameria di Beno Galli,fratello della poetessa Lina Galli. Le sue scarne parole ciraccontano sì la fatica dell’impresa, ma soprattutto l’orroreprovato di fronte a tanta barbarie. Ora si sa quale finehanno fatto quelle persone, buttate vive nel baratro. Eranoimpiegati, insegnanti, bottegai, artigiani, possidenti eanche la bidella della casa del fascio e della palestra,Giovanna Della Picca, più conosciuta come GiovaninaTrotola, piccola donna vivace e allegra. Una volta stavaportando sulla testa una damigianetta di olio di oliva perfriggere le fritole di carnevale. In Strada Granda, proprio

127

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 127

Page 128: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

davanti alla bottega di frutta e verdura dei Musina, èscivolata e si è trovata seduta per terra con la damigianarotta e tutto l’olio spanto intorno. Si è messa a ridere, maa ridere più forte di tutti quelli che, contagiati dalla suailarità, avevano assistito alla scena.

La caratteristica terra rossa dell’Istria è particolarmentericca di bauxite, che abbonda nella campagnacircostante. Il porto di Parenzo diventa luogo d’imbarcodel minerale, che viene trasportato da decine e decine dicamion dalle cave dell’interno in continua processione. Iconducenti dei camion sono giovani lombardi, quasitutti bergamaschi e milanesi vestiti di mimetica einquadrati nella Speer. La bauxite viene scaricata suimoli e trasferita sulle chiatte e sul grande piroscafo, chea loro volta la scaricheranno a Porto Marghera dovediventerà alluminio prezioso per l’industria bellica. Acausa di questo materiale strategico Parenzo diventazona di guerra. Ogni mattina alle prime luci dell’alba duericognitori angloamericani provenienti da sud sorvolanoa bassa quota la costa. La gente li chiama familiarmenteBepi e Toni. Se ci sono navi o chiatte attraccate ai molisi può star sicuri che tra poco arriveranno icacciabombardieri. Un esiguo distaccamento di marinaidella X Mas è di stanza sul promontorio di Punta Grossaaddetto agli aerofoni per segnalare l’avvicinarsi diaeroplani e dare l’allarme. L’urlo delle sirene precede dipochi minuti l’arrivo degli aerei. Appena il tempo discappare dal porto per ripararsi dietro le prime case.Quel tempo a me serve per prendere il cannocchialeappartenuto al bisnonno di mio papà e correre allafinestra della soffitta del secondo piano da dove potevoscorgere gli aerei che scaricavano le bombe sul porto. Alprimo sibilo delle sirene mio fratello Steno stava giàfuggendo di casa gridando “Aulo, scappa!” Di solito le incursioni avvenivano al mattino. Ma unpomeriggio l’allarme mi sorprese in Strada Granda. Miavviai di corsa per cercare riparo nel campanile accantoal duomo: i suoi grossi muri erano considerati sicuridalla gente che abitava nei paraggi. Non avevo ancoraattraversato del tutto la via della Basilica che le bombeincominciarono a scoppiare furibonde tra gli sparidell’antiaerea. Sembravano vicinissime. Accanto a me si

128

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 128

Page 129: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

trovava a correre Nane Breccia, pescatore, e ben notobestemmiatore, dell’equipaggio di paron Zorzeto.Superato il portale di via Vergottini e saltati d’un balzo isottostanti gradini, non ci arrischiammo a superare quelbreve corridoio scoperto che portava all’atrio e ciinfilammo, a metà del corridoio, sulla destra, per laporta, per caso aperta, nella saletta di catechismo delleragazze di azione cattolica. Ci mettemmo con la schienaal muro di fianco all’ingresso. Nane, le mani giunte, lafaccia disperata, supplicava la Vergine: “Madona santa,iutéme! Madona santa iutéme!” E per tutto il tempo delbombardamento innalzò al cielo le sue accorateinvocazioni. Poi il frastuono cessò. Il fischio prolungatodella sirena annunciò la fine del bombardamento. Naneuscì per primo, sollevato tirando felice una madona. Eaggiunse: ”Anca stavolta la gavemo portà fora”. Un’altra volta i bimotori scaricano bombe sul porto. Dallechiatte ormeggiate sul molo Sauro i tedeschi rispondonocon le mitragliere. Dalla finestra della soffitta vedo gliaerei volare bassi e accanirsi sul piroscafo attraccato almolo Riviera. Le pallottole traccianti che escono dalleroteanti mitragliere a quattro canne situate in planciadànno un senso di gioco. Il marinaio addetto alcannoncino antiaereo posto sul cassero di poppa staanche lui a quel gioco di morte. Vedo un bombardierecolpito. Pure la nave è centrata. E vedo il marinaio delcannoncino tuffarsi in mare. Di notte, quando le chiattenavigano sotto costa e vengono intercettate dagli aerei, labattaglia si fa spettacolare, con le scie multicolori dellepallottole che squarciano l’oscurità. In una fredda mattina di dicembre sul molo si è formatauna montagna di bauxite. Un camionista, dopo averribaltato il materiale, vi ha lasciato il camion in cima. Ilcamion, forse per la rottura dei freni, è scivolato inmare. Un capitano delle SS, conosciuto come il Tigreper la sua cattiveria, pistola in pugno, obbliga ilmalcapitato conducente a tuffarsi in acqua a legare ilmezzo con una fune di acciaio. Tempo addietro avevo visto quello stesso capitano tirarfuori dalla sua casa in Marafor l’avvocato Amoroso, unvecchio mingherlino, dalla faccia rinsecchita, e spingerlocon bruschi colpi sulla schiena davanti a sé. Ad ognispinta il poveretto era costretto a fare affrettati piccoli

129

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 129

Page 130: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

passi per non cadere a terra. Il sabato sera i ragazzi della Speer ancora in tutamimetica ballano con le ragazze nell’unico stanzone dellacanottiera nello spazio lasciato libero dalle imbarcazioniadagiate sulle mensole lungo le pareti. L’orchestra èrannicchiata in fondo, sui gradini che portano allaterrazza. Veramente non è che ballino. Le coppie,addossate come sono le une alle altre, non riescono amuovere neanche mezzo passo. Nessuna coppia riesce atenere la posizione classica delle mani intrecciate e dellerelative braccia sporgenti all’infuori all’altezza del collo.Ma nessuno si lamenta. Nessuno ghe bassìla. È giàconsolante stare abbracciati stretti stretti. Nell’estate del ’44 i tedeschi reclutano ragazzi e uominida mandare a lavorare con la Todt. Dietro suggerimentodi mio fratello mi presento alla caserma vestito da pec:traversa bianca legata in vita e calottina bianca in testa.Al sottufficiale dico: “Ich mache brot für deutschensoldaten”. Lui mi dà un’occhiata e mi manda via: “Weg,weg”. Altri miei coetanei sono mandati a scavar trinceedalle parti di Capodistria. Anche Bepi Servi, che non è più giovane, deve lasciaremoglie e figlio. Però non resta via tanto. Sul posto dellavoro dopo qualche giorno di pala e picon ha accusatoun forte dolore al braccio destro. Non poteva alzarlo piùdi un po’. Quando il soldato tedesco ha convalidato lasua infermità e lo rimanda a casa Bepi è così contentoche sta per alzare il braccio nel saluto “Heil Hitler!”, masi ferma in tempo con il braccio appena discostopronunciando a denti stretti “Ahi... Hitler”. Bepi Servi haraccontato la sua avventura molto tempo dopo, intempi, per certi versi, più sicuri. Mi è venuto in mente unaltro racconto della signorina Draghicchio. Al tempodella prima guerra mondiale un parentino richiamatoalle armi ha dichiarato di essere sordo. Invitatoall’ospedale militare di Pola ha sostenuto così bene lasua parte che la commissione medica l’ha lasciatoandare. Uscito in strada, mentre passava sotto lafinestra del primo piano, un medico e un suo collegahanno lasciato cadere dietro di lui una monetad’argento. Il sordo s’è voltato e ha rivolto lo sguardo inalto, incontrando la faccia divertita dei sanitari, che lohanno lasciato andare.

130

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 130

Page 131: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Un nucleo della Kriegsmarine ha preso alloggionell’albergo Venezia. Quasi tutti i marinai sono giovani ogiovanissimi. Hanno compiti di polizia portuale, matalvolta sono aggregati ad altri corpi in rastrellamentinell’entroterra. I ragazzi sono gentili e socievoli. Io faccioamicizia con uno di loro, mio coetaneo. Si chiamaHelmut Beneke. Proviene da Oldenburg. Chiamato allearmi ha dovuto lasciare la famiglia e gli studi. Luiimpara un po’ d’italiano ed io imparo un po’ di tedesco.Viene a messa con me la domenica in cattedrale. Lafunzione gli appare buffa. Lui viene a casa mia ed iovado a ... casa sua, all’hotel Venezia, che conserva ilcarattere di albergo. Helmut occupa con un compagnouna camera al primo piano. La finestra dà sul porto, condavanti il verde dell’isola San Nicolò. Mi fa vedere comesi smonta la rivoltella d’ordinanza, senza entusiasmo. Mipresta un settimanale illustrato: Deutsche Adria Zeitung.L’Adriatico era diventato tedesco. Il mio primo bicchieredi champagne me l’ha offerto lui. Mi ha regalato unopuscolo con le foto degli aerei tedeschi eangloamericani, con l’indicazione dei dati significativi.Così potevo riconoscere quelli che venivano a sganciarele bombe. Dopo aver arrischiato di venire mitragliati daun caccia inglese abbiamo dovuto sospendere le uscitein mare con la iole della Forza e Valore, insieme con isuoi commilitoni Wolfgang e Willy.

131

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 131

Page 132: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Al bagno

Nel settembre del 1944 l’estate volgeva stancamente allafine. Gli echi della guerra giungevano attenuati dalontananze rassicuranti. Nella piccola città la vitascorreva quasi tranquilla. I pochissimi giovani rimasticercavano di fugare i pensieri molesti e rendere menotristi le loro giornate e meno monotone le serate. Unaffiatato gruppetto di ragazzi e ragazze ogni domenicapomeriggio si raccoglieva per il bagno nella pineta diRiviera, oppure a San Nicolò, nell’isola dei marchesiPolesini. Nella pineta il posto prescelto era tra la “busa”e la cappellina dei frati, una minuscola edicola inmattoni semidiroccata. La grande busa era il vuoto cherestava dopo l’asportazione di un immenso macigno dipietra. Il buon maestro Cortese aveva detto ai suoiattenti scolari che quel blocco era stato trasportato viamare, immerso nell’acqua e assicurato tra due barconi,fino a Ravenna per ricavare il monolito di copertura delsepolcro di re Teodorico. Dopo le nuotate e i giochi nell’acqua limpida i ragazziimbastivano passatempi che potevano andar bene pertutte le età, tanto erano ingenui, come quello del frateche ha perso le ciabatte e la ricerca di chi le ha trovate:Chi, mi? Ti, sì. Mi no. Chi po? Poi, quando il sole sicalava infuocato per la quotidiana “tociada” in Adriaticoe l’aria si rinfrescava, iniziavano le danze. Se non c’eraBartolo Neri, il simpatico capitano di lungo corso con lasua fisarmonica e con la fidanzata Ada, la musica uscivadalla Voce del Padrone. Nini Sparavier, padrone dellapesante cassa con grammofono, la collocava sulterreno, dimentico dell’immane fatica sostenuta perportarla da casa sua, l’antica costruzione romanica diMarafor all’estremità di Parenzo, fino ai Bagni Rivieradistanti qualche chilometro. Sollevava il coperchio espalancava sul davanti le due portine per far uscire ilmassimo del volume. Quattro giri di manovella edanzatrici e danzatori già pronti muovevano i piedi nudisugli aghi secchi dei pini fin dalla prima battuta dellaconsumata musica orecchiata per tutta la stagione. Lecoppie per lo più erano fisse. Maria si abbandonava

132

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 132

Page 133: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

languida e bionda tra le braccia di Nini, scuro di pelleanche d’inverno, un sorriso permanente increspato agliangoli della bocca, vivacissimi occhi neri sorridentianch’essi. Nella Zonta si adagiava in quelle lunghe diStefano Massisso. Rita dalla risatina trillata si intrecciavafelice a Mario Orlando, il radiotecnico venuto da Triestea lavorare per Gigi Sabatti e poi messosi in propriodall’altra parte di Fora le Porte. Assidue erano ancheSilvia Travan, Letizia Giorio, Giovannina Bencich, lesorelle Ancilla e Bruna. Non mancavano i cavalieri,anche se non erano sempre gli stessi. Nella, generosa, più delle altre accondiscendeva a farballare con lei i più giovani che non avevano una ragazzafissa, assumendo l’aria protettrice della sorella maggiore. L’ultima domenica di settembre sull’isola San Nicolò, trala diga e lo stabilimento balneare ormai deserti, le danzesulla radura erbosa duravano più del solito. Per Nini lasfacchinata del trasporto del grammofono era stata piùleggera, dovendolo tenere sotto scaio per pochi passi,da Marafor alla Riva davanti al caffè Parentino, dovel’aspettava la battana. Nessuno diceva che era ora ditornare a terra. Tutti forse pensavano che quello potevaessere l’ultimo ballo della stagione, l’ultimo ballo albagno, così libero, così intimo, e volevano goderlo finoin fondo. Quel pomeriggio non avevo avuto bisogno didisturbare per un giro di valzer o di tango le ragazze chesembravano attaccate più che mai ai loro innamoratiQuel pomeriggio era arrivata Ia, brunetta allegra esottile. Era la prima volta che entrava nel gruppo. Nonabbiamo perso un disco, fosse di valzer, tango, di ritmolento, di ritmo moderato o allegro: queste ultime eranole definizioni autarchiche indicate sui 78 giri Columbia,Voce del Padrone, Odeon, Cetra. Soltanto un Odeonaveva un “fox beguine”, Amore, amor, amor e uno“slow fox” sull’altra faccia, T’amo, cantate da CorradoLojacono. Mario, il radioriparatore, era quello che piùvivacemente esprimeva con il suo corpo il ritmo, con latesta che si ergeva oscillante sul collo, con due antenneinvisibili sulla fronte a cogliere le note che sispandevano nell’aria, i piedi che si movevano a scattiprecisi in sincronia con la musica e con la sua Rita chedocile lo assecondava nei movimenti. Nella e Stefano stretti stretti anche il ritmo allegro

133

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 133

Page 134: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

ballavano lentissimamente. Maria e Nini, la bionda e ilmoro, erano perduti chissà dove. Anche le altre coppieparevano vagare in altri mondi. Io avevo una dama tuttaper me. I nostri giovani corpi aderivano nel tango, sistaccavano nel valzer, si riavvicinavano nello slow. Le vocidi Bruno Pallesi, di Luciano Tajoli, di Carlo Buti, diCorrado Lojacono e di tutti gli altri cantanti checonoscevo a memoria mi arrivavano smorzate. Ogni tantole ginocchia di Ia toccavano le mie. Le rotule vibravanocome diapason in risonanza. La melodia pervadeva lemembra. Negli occhi della ragazza si accendevanolustrini. Forse anche nei miei, perché lei sorridevaguardandoli. La struggente “Melodia de nuestro adios”suonata dall’Orchestra Argentina ci riempiva dimalinconia. Le ginocchia continuavano a tintinnare. Adun tratto, come mossi da un’unica volontà,interrompiamo la danza. Tenendoci per manopercorriamo di corsa la diga in tutta la sua lunghezza esaltiamo in acqua. L’acqua non bolle. Ci accarezza tiepidamentre risaliamo, stretti, come per un ultimo giro di ballo. Finita la guerra, l’esodo ci coinvolse tutti disseminandociin giro per il mondo. Molte coppie fisse del ballo albagno rimasero legate nel matrimonio. Stefano e Nellarimasero a Trieste. Mario e Rita con molti altri salparonoper l’Australia. Maria e Nini, più avventurosi, finironoall’estremo sud del Sud America, nella Terra del Fuoco,dove anche il mese per così dire più caldo dell’estateaustrale era freddo come un nostro mese invernale. AdUshuaia nacque Ada, la loro figlia primogenita, oraresidente a La Spezia, che dopo cinquant’anni è ritornatain quei paesi inospitali per conoscere il posto doveaveva aperto gli occhi. Il pesante grammofono è ormai un pezzo di antiquariato,un oggetto che dovrebbe finire nelle mani di Ada e deisuoi fratelli Roberto e Mario con la raccolta dei dischiche hanno accompagnato gli anni spensierati dei lorogenitori. Tra essi c’è un Gorni Kramer, che vidi neldopoguerra alla Fenice a Trieste esibirsi con lafisarmonica. Si era già costruita la faccia virgolettata daibaffetti e sormontata da una calotta lucida di capelli neriche avrei rivisto molti anni dopo in televisione. Lacanzone, un ritmo lento, cantata da Grimaldi, “AspettoMaria”, era particolarmente cara a Nini Sparavier.

134

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 134

Page 135: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Ritornano i titini

Verso la fine della guerra Steno mi ha fatto capire chepoteva risultare pericoloso essere amici di un ragazzodella Kriegsmarine. All’inizio dell’occupazione tedescami aveva detto che sarebbe stato prudente nascondereun libro di Massimo Gorkij, La Madre, che avevo presonella biblioteca circolante. Un vecchio soldato della Wehrmacht, avrà avuto più disessant’anni, veniva al forno qualche pomeriggio aprendere un po’ di pane e scambiare quattrochiacchiere. Con aria più spaurita che sicura parlava diarmi segrete che avrebbero presto ribaltato il corso dellaguerra portando la Germania alla vittoria. Però si capivache ormai neanche lui era convinto di ciò che diceva. I tedeschi, alla fine di aprile 1945, abbandonano Parenzosenza far saltare in aria il porto. I marinai dellaKriegsmarine se ne sono andati anche loro. Spero cheHelmut sia potuto ritornare a casa.

Parenzo aveva visto arrivare la salvezza dal mare quandosi affidò nel 1267 alla Repubblica di Venezia, alla qualerimase fedele nei secoli, per sottrarsi al potere feudale deivescovi. Dal mare arrivarono i marinai italiani la sera del3 novembre 1918 con il cacciatorpediniere Abba e duetorpediniere per ricongiungere Parenzo alla madrepatria.Invece da terra arrivarono i Titini nel settembre 1943 e itedeschi subito dopo e ancora i Titini nel ’45. Un vecchio parensan saliva tutte le mattine sulcampanile accanto alla cattedrale per scrutare il mare dauna parte e dall’altra dell’isola San Nicolò nella speranzadi scorgere una nave degli angloamericani che arrivassea liberarci. Ore e ore, giorni e giorni, mesi, anni, gliocchi fissi in quell’arco di orizzonte che restava semprecrudelmente deserto. Un’attesa insensata, rivelatasivana dopo che gli alleati se n’erano andati da Pola nel1947 con l’entrata in vigore del trattato di pace, cheaveva regalato l’Istria alla Jugoslavia di Tito. Questa volta, a differenza della prima calata, i partigianivestono tutti divise militari di pesante panno inglese colortabacco e danno a vedere una certa organizzazione, che

135

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 135

Page 136: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

però non ci appare per nulla rassicurante. È troppo vivo ilricordo degli infoibamenti del ’43. Nelle sere d’estate drusi e drugàrise affollano la piazzaForaleporte. Si dispongono al centro formando un ampiocerchio tenendosi per mano, non come i bambini quandofanno il girotondo, ma stringendosi le mani dopo averincrociato le braccia sul petto. In questo modo il cerchiodiventa più compatto e non c’è la possibilità di allentarela stretta. Girano adagio intorno accennando un passo didanza e cantano nenie in onore di Tito. “Druse Tito,liubiesizie biele”, che all’incirca sta per “Compagno Tito,violetta bianca” e altre frasi che nessuno di noi capisce.Dopo qualche sera qualche giovane dei nostri si inseriscenel Kolo. Lo faccio anch’io insieme con Mario Grabar eRenato Mosetti, tra drusi e drugàrise accaldati e sudatinelle divise invernali. “Brusé Tito e compagnia bela” è lanostra frase che si intrufola nella litania slava. Quando da pochi giorni avevo finito gli esami diabilitazione magistrale, Sergio Tessari, figlio delsegretario comunale di Orsera, mi propose di andare alavorare con lui nell’ufficio annonario aperto in unastanzetta al primo piano della vecchia caserma di viaCarducci. Accettai. Quello fu per me il primo lavororetribuito, in jugolire. Un ragazzo croato, che aveva laqualifica di primo referente, vi sostava rare volte,occupato com’era nelle frequenti riunioni politiche nellasede principale in via Roma. Nella stanza faceva partedell’arredamento, in quanto non si muoveva mai dallasedia su cui stava seduto, il commissario Dassena, ilmitico comandante delle guardie comunali. Senza la suadivisa nera, con le striche rosse ai lati dei pantaloni e ibottoni color argento della giacca, non era più lui. Privatodell’involucro che lo sorreggeva altero, specie quando erain compagnia della sciabola che teneva stretta sottoscaio, non aveva voglia di parlare e se ne stava taciturnoper ore. Neanche Sergio con i suoi giochetti, come quellodi mettere capocchie di fiammiferi svedesi nella sua pipa,riusciva a toglierlo dall’apatia. Nell’ufficio c’era poco da fare. Io avevo il compito dirilasciare i permessi di “esportare” a Trieste a a Pola,dove c’erano gli angloamericani,generi alimentari egrappa. Di solito si trattava di modeste quantità chevenivano portate ai parenti nelle zone amministrate

136

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 136

Page 137: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

dagli alleati. Riempivo il modulo, gli imprimevo il timbrocon la stella che non era rossa, a causa del colorviolaceo dell’inchiostro del cuscinetto, contornata daparole croate per me incomprensibili, e vi apponevo lafirma. Se c’era il primo referente a compilare il modulo,si divertiva a storpiare nomi e cognomi italianitrasformandoli in croati con l’inserimento delle lettere ke j e con l’aggiunta della pipa in ich. Una mattina ero solo in ufficio. Mi venne richiesto didare il nullaosta al trasporto di un grosso quantitativo divino a Pola. Compilai, timbrai e firmai il permesso. Nelpomeriggio mi si presentò accigliato il druse Giovanni emi rimproverò per non aver rifiutato il nostro vino agliimperialisti. Le mie giustificazioni, come quella che glialleati avevano combattuto la stessa guerra contro ilnazifascismo, e l’altra, che il vino veniva pagato bene,non servirono a nulla. Le pesanti botti di rovere piene divino che già erano sul camion furono scaricate. Giovanni era un pacifico agricoltore che abitava nellamia stessa via. Aveva condotto una vita tranquilla, casae campagna. Finita la guerra, scappati i tedeschi, sirivelò antifascista assumendo cariche importantinell’amministrazione titina. La mia carica, e anche quelladi Sergio Tessari, non erano importanti. Sicché, qualchemese dopo, al nostro rifiuto di optare per la cittadinanzaiugoslava, venimmo licenziati. Intanto nel mese di maggio 1945 altra gente scompare dinotte. E viene infoibata barbaramente. Soltanto nel 2001 ilgoverno croato concederà il permesso di porre unagrande lapide all’interno del cimitero con i nomi dei 94parentini trucidati nel settembre 1943 e nel maggio 1945.In testa porta scolpite queste parole: “Caduti nel vorticedella guerra 194-1945”. Come se fossero caduti da soli... Mons. Raffaele Radossi prima di diventare vescovo erastato parroco ai Frari di Venezia. Era un efficacepredicatore e quando celebrava lui in cattedrale la gente,anche quella non devota, accorreva ad ascoltare paroleche spesso erano di chiara condanna dei regimi totalitarie che diventavano di conforto per coloro che eranoobbligati a sopportare la brutalità di quei regimi. Il suolinguaggio non piaceva alle autorità titine, che cercaronoin vari modi di intimidirlo. Lo accusarono anche dicontrabbando perché, quando si recava a Pola, nella sua

137

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 137

Page 138: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

macchina c’era qualche pacchetto che dei parenzaniinviavano ai loro parenti che risiedevano nella cittàamministrata dagli alleati. Lo accompagnava il suo altosegretario don Piero Nardini, che era sempre pronto adaccogliere a casa sua i giovani con i quali intrattenersi ininteressanti conversazioni. Nell’esodo seguì il vescovoche era stato posto sulla cattedra di Spoleto. A Parenzo mons. Radossi istituì il seminario minore. Io,novello diplomato alle magistrali, venni incaricato diinsegnare disegno nelle tre classi inferiori e tutte lematerie in una classe preparatoria, con il compito diirrobustire la preparazione dei giovinetti che, per causevarie, non avevano potuto frequentare regolarmente leelementari. Dopo tanti anni rividi a Trieste alcuni diquegli studenti diventati preti.

Durante la prima calata titina avvenuta subito dopol’armistizio, i contadini dell’interno erano giunti con carritrainati da buoi, con sopra botti, tini, damigiane equalcuno perfino con castellane usate per lasvuotamento delle fogne, e avevano prosciugato lecantine dell’istituto agrario. Alla seconda calata, dopo la partenza dei tedeschi,vengono prelevate altre persone. Ora si sa, dopo ilritrovamento degli infoibati del ’43, quale fine sarà lororiservata. Il prof. Benedini, preside dell’istituto di agraria,viene nascosto e messo in salvo dai suoi studenti che,esulati in Italia, hanno potuto terminare gli studi aBagnoregio con il loro preside. Molti di loro hannotrovato lavoro nel Lazio come periti agrari. Ho saputoche a uno, occupato in un’azienda del principe Torlonia,veniva servita la colazione a letto. Per molti di noi giovani l’abbandono della nostra bellaParenzo, non più nostra e non più bella, ha spalancatonuovi panorami e offerto avventurose prospettive di unavita nuova, e per questo più interessante. Certamenteper mia mamma, per mia nonna Tonina stramassera dinovant’anni e per tutti quelli avanti in età, lasciare lapropria casa era una pena indescrivibile.

138

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 138

Page 139: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Profugo a casa sua

Sono con mio fratello Santo a Parenzo in un limpidopomeriggio di primavera. Camminiamo lungo il mare diritorno dai bagni Riviera. Davanti alla villa Amoroso nonc’erano ancora le colate di cemento che poi hannoinvaso la caletta con nuove banchine per l’attracco delleimbarcazioni da diporto. Proprio davanti alla casavediamo un uomo non più giovane saltare dalla stradasu una barca. “Quel de sicuro no ze un cicio”, dico amio fratello. “Te vedi subito de come ch’el se movi ch’elze omo de mar”. Ci avviciniamo all’uomo, lo salutiamo egli chiediamo: “El ze forse de Parenso?”.L’uomo salta agilmente su dalla barca e, puntandol’indice su mio fratello dice: “Ti ti ze Santo” e puntandol’indice su di me aggiunge: “E ti ti ze Aulo”. Noirestiamo a bocca aperta davanti al nostro interlocutore,che vuole metterci alla prova per vedere se loriconosciamo. “Mi stavo a rente de casa vostra, de là dela ramada che divideva le nostre corte”. “De là de la ramada stava Gigi Casarsa, con siora Giovanasu moier e su fia Anita. Andavimo sempre a colzer i fighisu le fighere che i gaveva ne l’orto”, rispondiamo. “Ma mi stavo là prima dei Casarsa. Mi son Giani D. eprima de la guera fasevo ‘l pitor con Eto Dean”. Gianiricordava le nostre fisionomie di fanciulli e ci avevaprontamente riconosciuti ormai anziani dopo tantissimianni. Ci invita a casa sua a bere il caffè e ci racconta chein tempo di guerra era marinaio a bordo della VittorioVeneto, che era stata colpita. Strada facendo incontriamoun gruppo di pensionati. Lui li saluta e scambia alcuneparole in croato. Ha dovuto imparare la lingua dei nuoviarrivati. Che tristezza. Giani e sua moglie, che era delcontado, non se la sentivano di abbandonare la propriacasa in Simarè. I loro figli lavorano nelle attività turistiche,integrati nella realtà sociale. Anche Giani ha dovutoadattarsi per non sentirsi del tutto un estraneo in quellaterra che non è più la nostra terra. I pochi italiani che sono rimasti in Istria sono diventatipiù profughi di quelli che se ne sono andati in giro per ilmondo.

139

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 139

Page 140: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Anche i morti traslocano

Dopo il crollo del comunismo e la disintegrazione dellaJugoslavia Parenzo diventa croata. Nel cimitero sonosparite le stelle rosse dalle tombe dei titini, che ora nonsono diverse dalle altre preesistenti. Nel 2006 è scadutol’ultimo periodo per cui era stata pagata la tassa diconcessione per la nostra tomba di famiglia. All’ufficioamministrativo un’impiegata ci informa che se vogliamorinnovare la concessione dobbiamo pagare la nuova tassa.È piuttosto elevata, perché non siamo residenti. Miofratello Santo ed io, entrambi avanti con gli anni,decidiamo di non mantenere la concessione, anche pernon lasciare obblighi ai nostri figli. L’amministrazione delcimitero, quando avrà bisogno dell’area occupata dallatomba, trasferirà i resti del papà, della sorella e dellanonna nell’ossario comune. Anche i morti diventerannoprofughi, senza patria e senza nome. E un po’ alla volta,con i vivi che hanno abbandonato le loro case e i mortiche esuleranno dalle loro estreme dimore, la primigeniagente italica sparirà dalla terra istriana, ingoiata daun’immane foiba.

140

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 140

Page 141: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Parenti e parenzani esuli

Dal nome della colonia romana Julia Parentium deriva ilnome Parenzo, che dà due aggettivi per indicare gliabitanti: parentini e parenzani. Parentini è più elegante esi usa per indicare i nobili, come i marchesi Polesini cherisiedevano nell’isola San Nicolò, e i benestanti. Anchel’elegante caffé sulla Riva Venezia, con il biliardo pergiocare a carambola e l’annessa gelateria, era il CafféParentino. Gli appartenenti al popolino erano senz’altroparenzani. Ma sia gli uni che gli altri hanno scelto la viadell’esilio, in seguito all’assegnazione alla Jugoslavia diTito della nostra terra, con lo stesso inconsolabiledolore. I parentini sono partiti tutti. Dei parenzani unaesigua parte è rimasta esule in casa a sopportare ladittatura slava comunista. La vita penosa nel Silos del capoluogo giuliano, enorme egelida costruzione di cemento che da contenitore digranaglie diventa inospitale ricetto per migliaia di profughiistriani, fiumani e dalmati, è sofferta ed efficacementedescritta da Marisa Madieri in “Verde acqua”. Altri hannoraccontato delle condizioni degli italiani rimasti in Istria. Iprimi anni sono stati duri, specialmente per gli anzianiospitati nelle baracche ed in altri edifici adattati adabitazioni collettive dei campi profughi in diverse partid’Italia. In seguito, a mano a mano che l’Italia usciva dalleristrettezze del dopoguerra, anche per gli esuliaumentavano le possibilità di trovare lavoro, sia a Trieste,dove si erano fermati molti, che in tante regioni d’Italia eall’estero, nelle Americhe e in Australia.

Quand’ero partito da Parenzo nel maggio del 1946 abordo del Pisspaiss ero quasi contento di andarmene, diabbandonare la piccola cittadina per la grande città,Trieste, dove c’erano Amelia, la primogenita delle sorellee suo marito Nino Borghese, che mi avrebbero accoltocome un figlio. Non provai i disagi dei centri di raccolta che avevano patitocoloro che non avevano parenti a Trieste o in altre partid’Italia. Grazie all’interessamento di mio cognato, che ingioventù aveva fatto il vigile urbano ed all’aiuto di un suo

141

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 141

Page 142: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

vecchio collega che era diventato dirigente di un ufficiocomunale, ottenni la residenza nel costituito TerritorioLibero di Trieste amministrato dagli angloamericani. Avreipotuto, sempre tramite le conoscenze di Nino, entrarecome impiegato all’ufficio anagrafico. Ma io preferiisfruttare l’occasione offerta dal governo italiano, che avevariservato ai profughi il dieci per cento dei posti liberi nellevarie amministrazioni. Così andai a fare il maestro per unanno in provincia di Bergamo. L’anno successivo inoltrai domanda di insegnamentonella provincia di Verona, dove, al provveditorato aglistudi, era occupato mio cugino Piero Depase, senzaindicare una specifica sede. Arrivai alla stazione di PortaNuova a Verona un giorno d’autunno del 1947. Lastazione era stata veramente malridotta daibombardamenti. Da Portanuova mi portai a PortaVescovo, alla stazione del tram che mi avrebbe condottoa Tregnago, in Val d’Illasi. Mi ero avvicinato almanovratore per osservare meglio il nuovo ambiente: lavalle fiancheggiata da colline si restringevagradualmente. Il guidatore, visto che ero un forestiero,mi domandò: “Dove va, giovanotto?”.“A Giazza”, risposi. “A la Giassa, poareto?”.Quella voce impietosita, più che farmi preoccupare mifece incuriosire. Pareva che andassi alla fine del mondo.Non ebbi il tempo di chiedere informazioni. Eravamogiunti al capolinea. Avrei dovuto attendere una corrierache alla sera mi avrebbe trasportato a Selva di Progno,ultima località raggiunta da mezzi di servizio pubblico.Qui pernottai nella locanda e il mattino mi avviai a piediper arrivare a destinazione, a sei chilometri di distanza. Lavalle diventava sempre più stretta e i monti sempre piùalti. Lungo la strada non c’erano né pali del telefono néfili per l’energia elettrica. Andavo davvero verso la finedel mondo? Dopo un’ora buona di cammino ero giunto aGiazza, l’ultimo paese della Val d’Illasi, un gruppo di case,una sopra l’altra intorno alla chiesa e al campanile dallasommità tondeggiante. I monti ora si ergevano dietro e aifianchi del centro abitato quasi minacciosi nell’ariacaliginosa di un giorno sulla fine di ottobre. Ero arrivato, l‘avrei saputo in seguito, nell’ultima isolalinguistica germanica dei Monti Lessini, dove ancora era

142

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 142

Page 143: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

parlato il tauçias gareida, un antico idioma alto tedescouna volta diffuso su tutto il territorio dei Tredici ComuniVeronesi. Incontrai i miei nuovi colleghi, zio e nipote. Ilmodesto edificio scolastico, con tre aule su tre piani,una volta era stato un albergo con stallo. Cesare Battistiqui di passaggio aveva dormito prima di raggiungereTrento e la morte per impiccagione. Giazza era incastrataalla confluenza di due piccole valli nella valle d’Illasi. Dauna delle valli scorreva abbondante e perenne l’acquache faceva funzionare una segheria, un mulino, l’officinadel fabbro, una piccola falegnameria e la centralinaelettrica che dava corrente a tutte le case, operadell’intraprendente maestro. Nel paesetto sembrava di essere non fuori dal mondo,ma in un altro mondo. La vita scorreva semplice etranquilla per i settecento abitanti del centro e dellecontrade sparse intorno. Gli uomini erano mandriani,boscaioli e operai stagionali della forestale. Quei pochiche frequentavano le tre osterie giocavano a tressettenelle lunghe serate invernali. Ragazzi e ragazze siincontravano nei filò al caldo delle stalle. Le ragazze chepreparavano il corredo si rivolgevano a me perchédisegnassi il monogramma da ricamare sulla biancheria.In qualche famiglia mi chiamavano a fare iniezioni. Ascuola avevo invitato gli scolari a recitare le preghiered’inizio lezione in cimbro, la loro lingua materna. IlComune ci aveva prestato un vecchio ciclostile perstampare il giornalino scolastico, “Roasan un Pergan”,Fiori delle Montagne, che conteneva anche racconti scrittinell’antico idioma. Gli alunni più bravi in disegno loillustravano incidendo le figure sulla matrice di cartacerata con un ferro da calza che non bucava il foglio. Unatecnica che avevo imparato da ragazzino mi ritornavautile. E mi ritornarono utili le mie conoscenze marinarequando, salito sul tetto della chiesa ad osservare il lavorodi sostituzione delle tegole rotte, potei congiungere senzafare nodi i due capi di una grossa e vecchia corda che siera spezzata e serviva ai muratori per issare con unacarrucola il materiale necessario. Avevo abbandonato aperti radiosi luoghi di mare perstabilirmi in una stretta e sperduta valle, dove il soled’inverno si faceva vedere piuttosto tardi sbucando dadietro le montagne del fianco sinistro per nascondersi

143

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 143

Page 144: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

frettoloso dietro quelle del fianco opposto. Una seraall’osteria dei Tre Garofoli comperai da un reduce dellacampagna di Russia i suoi sci militari con relativibastoncini di bambù per mille lire e un fiasco di vino rosso.Con i giovani miei coetanei imparai a sciare e ad uscire suiLessini innevati percorrendoli in lungo e in largo. Mi adattai facilmente all’ambiente, anche a dormire sulmaterasso riempito con i cartocci del granoturco. Ipaesani mi volevano bene. Anche la collega, che sposai.Dopo cinque anni di matrimonio ci trasferimmo con idue figlioletti a Selva di Progno, capoluogo del Comune,dove avevamo costruito una bella casa. Mi interessai alla storia dei Cimbri e dei Tredici Comunicui avevano dato origine, partecipando alle attivitàculturali del Curatorium Cimbricum Veronense, che mipremiò con il titolo di Gran Massaro e la medaglia d’oro.Questa la regalai a mio nipote Luca per ricompensarlodei vivaci fumetti che aveva disegnato, era in quintaelementare, per l’opuscolo “Bar lirnan tàuã – Noiimpariamo il cimbro”. In un numero del giornalino “Roasan un pergan” eracomparso il racconto, fatto da uno scolaro, sul viaggio diun’anziana signora, che in vita sua non si era mai mossada Giazza, per andare dai parenti nell’Agro Romano. Ilnipote che l’attendeva alla stazione Termini si nascose perfarle uno scherzo. La donna preoccupata camminavasotto la pensilina gridando: “Bo du pist, mai seal? Iségami fiort!” (Dove sei, anima mia ? Mi vedo persa!). Anch’io, tutte le volte che tornavo a Parenzo, provavo unpenoso, profondo senso di smarrimento. Non percepivopiù l’anima del paese natio.

144

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 144

Page 145: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

145

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 145

Page 146: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

146

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 146

Page 147: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Glossario

armizàr ormeggiare astese astice bàcoli scarafaggite gira i bàcoli hai i grilli per la testa bagolina bastoncino barba zio bassilar badarci, dare importanza bechèr macellaio bizarìn pene blac catrame bordesada bordeggio busiaro bugiardo calighèr calzolaio cassimarini oloturie ciapar su prendere su cluca maniglia della porta oro de cluca oro finto, ottone cofa cesta, berretta di paglia (scherzosamente)dentàl dentice diese dieci dindio tacchino dislubià lupo affamato farsora padella per friggere fighera fico (albero) fiossi figliocci fracare premere gnagna zia grampola attrezzo di ferro con punte ricurve per prenderegranchi gransiporo granciporro gripo grifo, rete a strascico che si cala in acqua bassavicino alla costa impissaferai addetto all’accensione dei lampioni a gas invarigolà intorto, da varigola (succhiello) masédole tavolette, per lo più di sughero, per avvolgerviil filo della togna (vedi)mona stupido mularìa insieme di muli muli ragazzi

147

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 147

Page 148: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

napa cappa nònsolo sacrestano ociada occhiata opanche specie di sandali pache pacche, bòtte paiòl tavoletta di legno a copertura e protezione dellasentina della barca parangàl palamito pasternassi erbe commestibili pec panettiere peschera peschiera, nome dato al seno di mare a norddella penisola parentina petàr un’ociada dare un’occhiata furtiva petòn pavimento di cemento pisspaiss dialettizzazione di pitch pine, pino americano.È così denominato il motopeschereccio costruito contale legno plonzo tuffo, dall’inglese plungerato strada in pendenza saltimpansa filoncino dolce fatto con la pasta del panedi Milano sapussade messe con la testa sott’acqua sbabaciarsela spassarsela scarpena scorfano scartosseto piccolo cartoccio schei soldi, centesimi scufarse accucciarsi scuféve accucciatevi selpolina seppiolina sepe seppie sgnacà scaraventato sgneca grossa fetta sinter accalappiacani sluc sorso sotoscaio sottobraccio spacher cucina economica a legna o a carbon sparavier sparviero spòiete spògliati strafanici cianfrusaglie striche strisce strussa forma grande di pane suasa cornice tersaroi terzaruoli

148

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 148

Page 149: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

tirache bretelle togna lenza tola tavola di legnotorsiolon in giro visavì dirimpetto, dal francese vis-à-visvoliga retino

149

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 149

Page 150: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

150

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 150

Page 151: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Biografia

Aulo Crisma è nato a Parenzo il 25 aprile 1927. Nel 1945si è diplomato presso l’Istituto Magistrale ReginaMargherita e nello stesso anno ha avuto inizio la suaattività didattica nel Seminario Minore di Parenzo comeinsegnante di disegno nelle tre classi inferiori e di tuttele materie in una classe preparatoria.Nel maggio del 1946, come tanti altri istriani, è costrettoad abbandonare la sua città natale e trova rifugio aTrieste. Usufruendo di una disposizione legislativa delGoverno italiano a favore dei profughi, inoltra domandaper insegnare in una scuola elementare della provincia diVerona. Viene designato a Giazza, frazione del Comune diSelva di Progno, un paese incastonato tra i montidell’Alta Val d’Illasi, che è rimasto l’ultima enclave in cuiè parlato il cimbro, un antico idioma tedesco, un tempodiffuso in tutta l’area dei Tredici Comuni Veronesi.Nel 1948 risulta vincitore nel concorso magistraleordinario e sceglie la sede di Giazza. Qui nel ’51 sposa lacollega Maria Dal Bosco. Nel ’57 gli sposi sitrasferiscono con i figlioletti nel capoluogo, doveavevano costruito la loro casa.A Selva, oltre all’insegnamento nella scuola elementare,ha diretto il Centro di Lettura, diventato poi CentroSociale di Educazione Permanente, ha diretto ilPatronato Scolastico che amministrava cinque mense eorganizzava il trasporto dei bimbi delle scuole materne edegli alunni delle elementari e medie. Per un periodo,negli anni Sessanta, è stato giudice conciliatore. È statocorrispondente e collaboratore del quotidiano L’Arena diVerona. Ha fatto parte del direttivo provinciale delSinascel e del direttivo del Curatorium CimbricumVeronense e a questa associazione che opera per lasalvaguardia della lingua e della civiltà cimbra ha dato edà il suo contributo con articoli, studi e monografie. DalCuratorium ha ottenuto l’onorificenza di Gran Massarodei Cimbri con medaglia d’oro. Nel 1979, ottenuto l’abbuono di sette anni riservato aicombattenti, reduci e assimilati, va in pensione.Dal 2000 risiede a Tencarola, Padova, dove è vicinissimo

151

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 151

Page 152: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

alla famiglia del figlio e meno lontano dalla figlia.Dal 1970 ha iniziato a spedire alla pubblicazione “InStrada Granda”, che esce semestralmente a Trieste perla Famiglia Parentina, delle pagine riguardanti figurecaratteristiche fissate nella sua mente fin dalla lontanainfanzia. Intendeva così inserire tra le tante pagine dimemorie storiche qualche nota di colore riguardanteanche le persone più umili. Era un modo, questo, perrestare attaccato alle sue origini.

Scritti di Aulo Crisma:

Guardie e contrabbandieri sui Monti Lessini (con RemoPozzerle), Ed. Taucias Gareida, Giazza-Verona 1990.

Lessinia, una montagna espropriata (con RemoPozzerle), HIT Edizioni, San Martino Buonalbergo, 1999.

Bar lirnan tauã. Noi impariamo il cimbro, corsoessenziale della parlata cimbra dei XIII Comuni Veronesi,con illustrazioni di Luca Crisma, Ed CuratoriumCimbricum Veronense, Verona, 2001.

152

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 152

Page 153: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

153

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 153

Page 154: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

154

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 154

Page 155: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

A margine di un pensiero minoritario

Nel quadro della letteratura sui tragici eventi che dal 1943al 1947 caratterizzarono le province italiane dell’Istria edella Dalmazia, la componente autobiografica e letestimonianze affidate alla scrittura privata, si affiancanoai rari vertici rispettivamente toccati in poesia e in prosada Biagio Marin e da Quarantotti Gambini, da una parte,da Stuparich, da Tomizza e da Sgorlon dall’altra. La confluenza, quindi, nella ricostruzione di quelladolorosa esperienza di testi eterogenei per intenzione,valore e stile, risulta a ben vedere giustificatadall’interazione tra letteratura e storiografia quale unadelle possibili vie d’attraversamento della memoriastorica1. Il testo letterario assomma il plusvalore di cuirisulta dotato, quindi la propria artisticità, a un contenutodocumentario che può apparire portatore di un punto divista paradossalmente più oggettivo, proprio laddove lamassa critica di informazioni e di ricordi non corrispondea una visione dei fatti unitaria e a una ideologiainterpretativa condivisa. Nondimeno la necessitàpreliminare dell’impianto narrativo autobiografico sembracorroborarsi nelle opere letterarie della seconda fase 2, incui spiccano le voci di Enzo Bettiza, per il versantezaratino e, ancora per la comunità giuliana, presenzefemminili di notevole e quasi imprevisto spessore, qualiMarisa Madieri, Nelida Milani e Anna Maria Mori. L’originalità della narrazione proposta da Aulo Crismarisiede in tal senso nell’aver rovesciato il rapporto tra lacentralità traumatica dell’esodo e la cornice corale diriferimento. Laddove sembra in effetti prioritario perl’autore il compito di ricostruzione della società edell’ambiente di Parenzo, bloccandone la realtà perdutacome in un fermo immagine al momento della suapartenza, nel maggio del 1946 – quindi avvenuta primaancora che, nell’anno successivo, la firma del Trattato dipace avesse, senza consultare la popolazione residente,stravolto definitivamente l’identità culturale dell’Istria. Ilgiovane Crisma la sua scelta la fa come gli oltre 350.000veneti e non veneti ovvero italiani, più semplicemente,di là de mar. Una partenza senza rimpianti per un

155

Alessandro Scarsella

1 Cfr. la felice sintesi di

Guido Crainz, Il dolore e

l'esilio. L'Istria e le

memorie divise d'Europa,

Roma, Donzelli, 2005.

Quindi l’indagine a

tappeto di Katia Pizzi,

Trieste: italianità,

triestinità e male di

frontiera, Bologna, Gedit,

2007

2 Cfr. la sistemazione

proposta da Corinna

Gerbaz Giuliano, che

separa una prima

letteratura dell’esodo,

caratterizzata da nostalgia

e risentimento, dalla

seconda ondata, a

ridosso della caduta del

Muro e della dissoluzione

della Jugoslavia; la

seconda, a dominante

femminile, improntata

dall’assenza di rancore

(La produzione letteraria

di Marisa Madieri, in

“Quaderni d’Italianistica”,

XXXII, 1, 2011, pp. 65-81)

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 155

Page 156: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

diciannovenne e “verso la libertà”, quindi due ritorni adistanza di venti e quarant’anni in una città di cui rimanel’involucro esterno, l’aspetto ancora veneziano dellecalli, dei palazzi, mentre l’essenza ne risulta dileguata,mentre l’anima sembra aver abbandonato il corpo comenell’ultimo verso dell’Eneide: vitaque cum gemitu fugitindignata sub umbras.Rispetto quindi alla maggior parte delle testimonianzesull’esodo degli istriani e dei dalmati, l’esperienza dellospaesamento, non sentita nell’immediato shockprovocato dell’abbandono coattivo della propria terra edella propria gente, riaffiorerà solo allorché nell’uomogià maturo rinasce l’impellenza del ritorno. Nel libro profetico di un’anima indubbiamente difrontiera assoggettata alla sorte, Il mio Carso, ScipioSlataper (1888-1915) aveva scritto:

E anche noi ubbidiremo alla nostra legge. Viaggeremoincerti e nostalgici, spinti da desiderosi ricordi che nontroveremo nostri in nessun posto. Di dove venimmo?Lontana è la patria e il nido disfatto. Ma commossid'amore torneremo alla patria nostra Trieste, e di quicominceremo. […] Noi andremo nel mondo soffrendo conte. Perché noi amiamo la vita nuova che ci aspetta. Essa èforte e dolorosa. Dobbiamo patire e tacere. Dobbiamoessere nella solitudine in città straniera, quando s'invidia ilcarrettiere bestemmiante nella lingua compresa da tuttiattorno, e andando sconsolati di sera fra visi sconosciutiche non si sognano della nostra esistenza, s'alza losguardo oltre le case impenetrabili, tremando di pianto edi gloria. Noi dobbiamo spasimare sotto la nostra piccolapossibilità umana, incapaci di chetare il singhiozzo d'unasorella e di rimettere in via il compagno che s'è buttato indisparte e chiede: “Perché?”. Ah, fratelli come sarebbebello poter esser sicuri e superbi, e godere della propriaintelligenza, saccheggiare i grandi campi rigogliosi con lagiovane forza, e sapere e comandare e possedere! Ma noi,tesi di orgoglio, con il cuore che ci scotta di vergogna, vitendiamo la mano, e vi preghiamo d'esser giusti con noi,come noi cerchiamo di esser giusti con voi. Perché noi viamiamo, fratelli, e speriamo che ci amerete. Noi vogliamoamare e lavorare 3.

156

3 Scipio Slataper, Il mio

Carso, prefazione di

Emanuele Trevi, Firenze,

Giunti, 1995, pp. 104-105

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 156

Page 157: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

Le lacerazioni all’origine dell’esodo sono quelle cheSlataper riteneva di poter trascendere nell’affermazione diun’appartenenza duplice, persino multipla, sebbenedeterminata dalla componente linguistica e culturaleitaliana preminente. Slataper cadrà tra i primi nella Grandeguerra. La storia gli darà prima ragione e poi torto. Inazionalismi alimentati da ideologie del conflitto spostanoi confini orientali con la folle facilità di una partita di risiko.Anche Tito avrebbe a ben vedere detto: “Il Carso è mio!”.Come ebbe a scrivere Biagio Marin nel 1952:

Ciò che lo Slataper non poteva prevedere, si è i sistemie i mezzi della lotta attuale. Lo Slataper uomo ancoradell’Ottocento, poteva chiederci: “ma che sul seriocredete che gli slavi possano impedire un giorno lanostra vita? Che gli slavi possano negarci le scuole?Togliere l’italianità dalla nostra anima o costringerci ascappare”? Ebbene, nel 1912 nessuno forse lo credeva,ma nel 1952 noi sappiamo che si può fare veramentetutto questo, e anche di più: ridurre un uomo a cencio,togliendoli ogni dignità, e fosse egli il più colto degliuomini 4.

A terribile conferma di un errore storico e culturaleoriginario, mezzo secolo dopo riprendono invece le pulizieetniche lasciate in sospeso e la Jugoslavia diviene ex-Jugoslavia. Difficile ascoltare le duplici ragioni di cui parlaPedrag Matvejevic 5; impossibile però un giudizio storicoprivo di sfumature. Biagio Marin da parte sua avevaelaborato il tema tanto a caldo, quanto con sufficientelucidità per non saper scorgere all’orizzonte del traslatobiblico dell’esodo le conseguenze irreversibili dellapunizione divina:

E tu, Signor, t’ha visto ‘l gran pecao,e t’ha mandao su noltri l’uragan,la to gran man che pùo n’ha sdradicaoche n’ha dispersi pel mondo lontan 6.

L’infanzia e l’adolescenza di una persona nata dopo il1925, cresciuta nel clima di consenso per il regimefascista, potevano essere trascorsi senza presagi e in unaserenità innocente, ancora nei primi tre anni della guerra,

157

4 La nostra lotta

nazionale secondo Scipio

Slataper, in Biagio Marin,

Autoritratti e impegno

civile. Scritti rari e inediti

dell’Archivio Marin della

Fondazione Cassa di

Risparmio di Gorizia, a

cura di Edda Serra, con la

collaborazione di Pericle

Camuffo e Isabella

Valentinuzzi, Pisa-Roma,

Fabrizio Serra Editore,

2007, pp. 148-151

5 “Certe verità storiche

vanno poste nel contesto

che renda possibile una

visione complessiva, non

staccata dal quadro

globale” (P. Matvejevic ,

Delle minoranze, “Cives”,

4, 2006, pp. 175-178).

Cfr.anche gli interventi nel

volume La guerra è orrore.

Le foibe tra fascismo,

guerra e Resistenza (atti

del convegno, Venezia 13

dicembre 2003), Verona,

Arc, 2004 (per Matvejevic ,

pp. 98-99, 146-147). Per un

orientamento generale e di

tipo informativo, cfr. anche

il più recente Il giorno del

Ricordo, a cura di

Alessandro Cuk e Antonio

Zett, Venezia, Alcione, 2010

6 Biagio Marin, Elegie

istriane, con un discorso

di Carlo Bo, Milano,

Scheiwiller, 1963, p. 52

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 157

Page 158: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

perché ignara del retroterra di fatti di sangue e delrisentimento che stava covando sotto la cenere deivillaggi sloveni e croati messi a ferro e fuoco dalle milizie:

Non c’era nessun attrito tra italiani e slavi. Non c’eraalcun motivo perché venisse meno il rispetto reciproco.[…] Poteva capitare che si litigasse tra bambini. E allorasaltavano fuori vecchie filastrocche: “ini, ini, oni, queisporchi de s’ciavoni, al pan i ghe disi cruca, a la farinamuca...” E giungeva puntuale la risposta: “bianco rossoe verde, el color de le tre merde, bianco, rosso e blu, elcolor de la gioventù”. Pari e patta, si tornava a giocareamici come prima.

Microcosmi. Microcosmi fragili che si frantumano in millepezzi a partire dall’8 settembre del 1943. Magris non dàuna definizione della struttura di un microcosmo: si capiscesolamente che si tratta di fenomeni, paesaggi, individui estili di vita anteriori a forme di nazionalizzazione ieri eantitetici alla globalizzazione oggi 7. Il microcosmo è unadimensione che ha elaborato l’alterità come principioponendo la linea di confine con l’altro non al limite esterno,bensì al cuore del suo sistema. All’identità che fonda ilmetadiscorso nazionalistico, il microcosmo oppone la forzadi una tradizione di coesistenza pacifica e di dialogo. Se laliquidità sarà il contrassegno della globalizzazione, lasolidità impronta al contrario il microcosmo: la pietrad’Istria con cui si è edificato per secoli da un lato all’altrodel golfo del Carnaro ne è la materia e la metafora allostesso tempo. Dopo l’8 settembre è la volta dei sequestri di persona,delle sparizioni notturne, dei primi infoibamenti,dell’occupazione tedesca, del ritorno di Tito, dei cognomiitaliani già storpiati con suffissi consonantici slavizzanti edei nuovi infoibamenti (che porta ad almeno 94 il numerodelle vittime parentine), quindi della diaspora degli italianid’Istria in Italia e l’emigrazione fino ai lidi australi piùremoti: Argentina e Australia. Il narratore insiste sulladiversa attitudine con cui un giovane, con l’avveniredavanti, poteva affrontare lo sradicamento rispetto a unanziano; nonché sulla condizione di essere comunqueprofughi anche per coloro, pochi, che rimasero in unpaese ormai croato. Crisma sembra ridimensionare la

158

7 Magris, Claudio,

Microcosmi, Milano,

Garzanti, 1997. Sul

principio sovranazionale

della cultura

mitteleuropea e il lascito

di valori dell’impero

asburgico, cfr. dello stesso

autore l’ormai canonico

Il mito absburgico nella

letteratura austriaca

moderna, Torino, Einaudi,

1963 (prima edizione), ma

anche le cautele espresse

da Biagio Marin e rimaste

inedite per quarant’anni:

L’eredità della cultura

austriaca nel libro di

Claudio Magris (1968), in

B. Marin, Paesaggi, storia

e memori. Pagine rare e

inedite dall'archivio Marin

della Fondazione Cassa di

Risparmio di Gorizia, a

cura di Edda Serra, con la

collaborazione di Pericle

Camuffo e Isabella

Valentinuzzi “Studi

Mariniani”, 12, 2008,

pp. 143-147

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 158

Page 159: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

personale condizione di trauma e la ricaduta di sofferenzaprovocata dal disadattamento. Qui si inserisce l’aspetto più originale di questo raccontoautobiografico. L’autore che ne è il protagonista sembraattraversare consapevole ma immune il dramma incorso, sebbene il destino o l’inconscio prefissassero unameta non indifferente, anzi speciale, al giovane maestroelementare. Avvalendosi del diritto di riserva dei postiper i profughi, Aulo ottiene infatti l’assegnazione pressouna scuola della provincia di Verona, un territorio che glirivela un volto sconosciuto della regione del Veneto:

ultima isola linguistica germanica dei Monti Lessini,dove ancora era parlato il tauçias gareida, un anticoidioma alto tedesco una volta diffuso su tutto il territoriodei Tredici Comuni Veronesi.

Il vento dell’Adriatico l’ha catapultato inavvertitamente inun altro microcosmo di cui ignorava l’esistenza e che, nonsenza sorpresa, lui si sente del tutto in grado di potercomprendere, quasi fosse l’unico a poterlo fare. Laformazione di veneto anomalo e la sensibilità affinata daldolore segreto di esule istriano che ha perdute la barca ela terra 8, sono le premesse dell’assunzione delle ragionidella comunità cimbra, minoranza alloglotta di ceppogermanico, e la legittimità della sua sopravvivenzalinguistica e materiale:

Mi interessai alla storia dei Cimbri e dei Tredici Comunicui avevano dato origine, partecipando alle attivitàculturali del Curatorium Cimbricum Veronense. […] Inun numero del giornalino Roasan un pergan eracomparso il racconto, fatto da uno scolaro, sul viaggiodi un’anziana signora, che in vita sua non si era maimossa da Giazza, per andare dai parenti nell’AgroRomano. Il nipote che l’attendeva alla stazione Terminisi nascose per farle uno scherzo. La donna preoccupatacamminava sotto la pensilina gridando: “Bo du pist, maiseal? I ségami fiort!” (Dove sei, anima mia? Mi vedopersa!). Anch’io, tutte le volte che tornavo a Parenzo, provavo unpenoso, profondo senso di smarrimento. Non percepivopiù l’anima del paese natio.

159

8 Cfr. il lamento

del pescatore profugo

da Pola di Giacomo

Noventa, Versi e poesie

(1956), a cura di

Gianfranco Manfriani,

Venezia, Marsilio, 1986;

cfr. anche “della vita il

doloroso amore”

dell’Ulisse di Umberto

Saba, Tutte le poesie, a

cura di Arrigo Stara,

Milano, Mondadori, 1988,

p. 556

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 159

Page 160: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

L’identificazione con la cultura cimbra, quale espressadirettamente nelle ultime intense righe del testo, divienela certezza di una missione che si traduce in attività distudio, di promozione, di ricerca su quella minoranzaesigua ma significativa, dando luogo a pubblicazioni ericonoscimenti. La soluzione al personale rovelloidentitario non fu quindi esclusivamente individuale,come pure poté logicamente avvenire per altri “esodati”.Il vero lieto fine tuttavia della storia è l’estendersi di unaconsapevolezza nuova e la capacità di conservarel’empatia anche quando la sindrome nostalgica si associaalla frustrazione derivata da inutili tentativi di ritorno edeludenti visite. Nulla sarà come prima, si legge in unromanzo di Tomizza, ultima anima di frontiera, chedescrive l’atmosfera di uno dei migliaia di addii che siverificarono nella Zona B nel 1954:

e singhiozzava. E la sua vita stretta tremava sotto le miemani, e io cercavo di calmarla e le asciugavo le lagrime.E le dicevo: “Non è niente, Femia. Il mondo si puòancora rimediare. Tutto potrà tornare come prima pernoialtri poveretti”.“Come prima mai, Francesco. Non dire come prima” 9.

In un suo successivo discorso, Tomizza sottolineerà lafunzione mediatrice degli scrittori nati in una “terradilaniata” e l’assumersi l’onore di metter da parte ilrancore “per abbracciare in sé le piccole ragioni le piccoleragioni sacrosante e il legittimo sentire di tutti”10. Il tempoe la buona volontà hanno in parte rimarginato la feritapolitica. Insolvibile resta piuttosto il debito umano percoloro che si macchiarono di vera colpa.

160

9 Fulvio Tomizza, Materada

(1960), Milano, Bompiani,

p. 166. Dello stesso autore,

cfr. i saggi raccolti nel

volume Alle spalle di

Trieste, Milano, Bompiani,

1995 (in particolar modo,

Un popolo troncato,

pp. 125-131)

10 Fulvio Tomizza,

Scrittori di frontiera a

servizio della pace, in

Stato e frontiera: dalla

Mitteleuropa all'Europa

unita, Firenze, Cesati,

1998, pp. 28

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 160

Page 161: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

161

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 161

Page 162: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

1 Veduta aerea di Parenzo

2 La chiesa Madonna

degli Angeli, tra via Roma

e via Carducci, si apre

sulla piazza Fora le Porte

(fuori dalle mura venete)

3 Piazza Garibaldi per la

toponomastica ufficiale,

ma da sempre piazza

Fora le Porte per i

parentini. Da qui

partivano le autocorrere

dell’INT per Trieste,

Pisino e Pola

162

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 162

Page 163: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

4 La Strada Grande

Decumana (la “Strada

Granda”)

5 Una delle case in stile

gotico-veneziano in

Strada Granda

6 La Riva Venezia.

Sul molo è attraccato

il Nesazio (uno dei

piroscafi della linea

Pola-Parenzo-Trieste)

7 Sul molo Nazario Sauro

il leone di San Marco,

“dono di Venezia a

Parenzo fedele”. Sullo

sfondo a sinistra, sul

molo Riviera, la lupa

capitolina, “dono

dell’Urbe a Parenzo

romana”

163

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 163

Page 164: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

8 Il porto visto dall’isola

di San Nicolò

9 La palestra sociale

inaugurata nel 1909.

Era utilizzata anche dagli

studenti degli istituti

magistrale e agrario

10 Il maestro Odone

Cortese con la classe

quinta del 1937. L’autore

è il terzo da destra in

prima fila

164

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 164

Page 165: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

165

11 Una foto d’occasione

nei giardini del Vescovo.

Anche i chierichetti del

Duomo partecipano ad

una festa che coinvolge

tutto il clero parentino,

probabilmente in

occasione del 25° di

ordinazione del Vescovo

Trifone Pederzolli (la figura

massicia al centro). Alla

sinistra del Vescovo, con il

capo reclinato, Mons.

Antonio Bronzin, del quale

l’autore (nella foto ai suoi

piedi) fungeva da

chierichetto fisso per la

messa quotidiana alle 6 e

30 del mattino.

Proseguendo verso destra,

dopo il sacerdote in nero,

c’è Mons. Agapito conte

Agapito, parroco di

Parenzo

12 Lo squero. Qui i

pescatori riparavano le

reti. Spesso era anche

campo di gioco per i

bambini

13 L’interno della Basilica.

Nella cappella della

Madonna, sulla destra,

c’era l’organo che Zuane

alimentava a forza di

braccia

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 165

Page 166: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

166

14 Piazza

dell’Annessione,

antistante il teatro.

È visibile uno dei torrioni

delle mura venete

15 Don Antonio quando

era parroco a Fontane

16 Piero Fassina, al quale

è dedicato un capitolo,

a Giazza, alla fine

degli anni 40, con la

moglie dell’autore

17 La famiglia Crisma

al completo (genitori

e i dodici figli), nel cortile

di casa, presumibilmente

nel 1938

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 166

Page 167: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

167

18 Don Antonio accoglie

nella sua passera una

parte dei fratelli (questa

barca è citata nel capitolo

“Don Antonio”)

19 Il teatro Verdi

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 167

Page 168: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

20 Maria, sorella di Aulo

Crisma, con il marito nel

1948 davanti alla loro

baracca ad Ushuaia, Terra

del Fuoco (Argentina):

“Avevano lasciato le

baracche italiane riservate

agli esuli istriani, per

ritrovarsi ancora in una

baracca nell'altro

emisfero, nella città più

meridionale del mondo”

21 Maria nel paesaggio

desolato della Terra del

Fuoco

22 Autoritratto di Nino

Gregori diciottenne, olio

su tela regalato all'autore

(Nino e il fratello Silvio

sono menzionati nel

capitolo “in via Carducci”.

I due fratelli sono stati per

molti anni direttori artistici

di “Famiglia Cristiana”)

168

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 168

Page 169: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

23 Aulo Crisma

169

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 169

Page 170: imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 1arca.unive.it/bitstream/10278/30459/1/parenzo-2.pdfParenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 3. imp. Parenzo 12-03-2012 10:09 Pagina 4. Presentazione di

170

imp. Parenzo 12-03-2012 10:10 Pagina 170