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I reperti esposti nella sala provengono dall’area della chiesa cattedrale intitolata a Santa Maria Assunta. L’edificio ingloba e riutilizza un tempio la cui costruzione si fa tradizionalmente risalire alla fine del IV secolo a.C., in concomitanza della de- duzione coloniale del 303 a.C., ma che invece dovrebbe risalire ad un periodo compreso fra la metà del III ed la prima metà del II secolo a. C. sulla base dei con- fronti strutturali e delle associazioni degli arredi sacri rinvenuti nelle due cam- pagne di scavo condotte alla fine degli anni ’70, dopo il rinvenimento fortuito di parte del podio nei locali adibiti a caldaia sottostanti la sacrestia; del resto, già in passato la tradizione locale e le fonti letterarie attestavano la presenza di una strut- tura templare preesistente sotto la chiesa, costruita – secondo l’epigrafe medie- vale scolpita sul portale – ex idolis falsis 82 , e che attesta la trasformazione del tempio in chiesa cristiana, avvenuta forse nel V secolo, quando la città divenne sede ve- scovile 83 . Il complesso sacro forse era dedicato alla triade capitolina per la possibilità di una tripartizione dello spazio interno e per la forma e le dimensioni dell’area absidale; ma i rinvenimenti di materiali mobili attestano esclusivamente il culto di Diana, Ercole, Minerva e Marte 84 . La struttura, orientata secundum coelum, cioè secondo l’asse est-ovest all’epoca della costruzione, fu eretta su un lato dell’antico forum pe- cuarium della città, nei pressi dell’incrocio del kardo maximus con il decumanus ma- ximus, sul rialzo naturale del colle e su un’imponente sistema di terrazzamenti in opera quadrata alti circa 3 m, visibili nei sotterranei del contiguo Seminario, in un pozzetto di scolo dell’acqua presso il campanile e nella sala delle conferenze San Tommaso d’Aquino 85 . È probabile che vi lavorarono le stesse abili maestranze che eressero i templi di Ae- sernia, di Villa San Silvestro presso Cascia e di altre strutture dell’area sub appen- ninica, mutuando e trasformando la tipologia templare etrusco-italica. La prima campagna di scavo ha posto in luce le pareti del tempio realizzate con blocchi in opera quadrata di IV maniera in travertino locale e con pietrame di piccola pez- zatura inserito in un riempimento successivo; l’alzato romano è oggi visibile al- l’interno nel presbiterio, nell’ufficio parrocchiale e all’esterno nel lato settentrionale, lungo via Ravo. Durante la prima campagna di scavo fu posto alla luce il podio, alto m 2,35 e lungo m 20, dalla particolare sagoma a doppio cuscino direttamente confrontabile con le modanature degli stilobati del tempio di Aesernia e di Villa IL TEMPIO ROMANO Dal Museo alla città 43 museo dellamediavalledelliri sora museo museo museo

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I reperti esposti nella sala provengono dall’area della chiesa cattedrale intitolataa Santa Maria Assunta. L’edificio ingloba e riutilizza un tempio la cui costruzionesi fa tradizionalmente risalire alla fine del IV secolo a.C., in concomitanza della de-duzione coloniale del 303 a.C., ma che invece dovrebbe risalire ad un periodocompreso fra la metà del III ed la prima metà del II secolo a. C. sulla base dei con-fronti strutturali e delle associazioni degli arredi sacri rinvenuti nelle due cam-pagne di scavo condotte alla fine degli anni ’70, dopo il rinvenimento fortuito diparte del podio nei locali adibiti a caldaia sottostanti la sacrestia; del resto, già inpassato la tradizione locale e le fonti letterarie attestavano la presenza di una strut-tura templare preesistente sotto la chiesa, costruita – secondo l’epigrafe medie-vale scolpita sul portale – ex idolis falsis82, e che attesta la trasformazione del tempioin chiesa cristiana, avvenuta forse nel V secolo, quando la città divenne sede ve-scovile83.Il complesso sacro forse era dedicato alla triade capitolina per la possibilità di unatripartizione dello spazio interno e per la forma e le dimensioni dell’area absidale;ma i rinvenimenti di materiali mobili attestano esclusivamente il culto di Diana,Ercole, Minerva e Marte84. La struttura, orientata secundum coelum, cioè secondol’asse est-ovest all’epoca della costruzione, fu eretta su un lato dell’antico forum pe-cuarium della città, nei pressi dell’incrocio del kardo maximus con il decumanus ma-ximus, sul rialzo naturale del colle e su un’imponente sistema di terrazzamenti inopera quadrata alti circa 3 m, visibili nei sotterranei del contiguo Seminario, inun pozzetto di scolo dell’acqua presso il campanile e nella sala delle conferenzeSan Tommaso d’Aquino85.È probabile che vi lavorarono le stesse abili maestranze che eressero i templi di Ae-sernia, di Villa San Silvestro presso Cascia e di altre strutture dell’area sub appen-ninica, mutuando e trasformando la tipologia templare etrusco-italica. La primacampagna di scavo ha posto in luce le pareti del tempio realizzate con blocchi inopera quadrata di IV maniera in travertino locale e con pietrame di piccola pez-zatura inserito in un riempimento successivo; l’alzato romano è oggi visibile al-l’interno nel presbiterio, nell’ufficio parrocchiale e all’esterno nel lato settentrionale,lungo via Ravo. Durante la prima campagna di scavo fu posto alla luce il podio,alto m 2,35 e lungo m 20, dalla particolare sagoma a doppio cuscino direttamenteconfrontabile con le modanature degli stilobati del tempio di Aesernia e di Villa

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San Silvestro presso Cascia, eretti in un medesimo ambito cronologico, culturalee politico86.Il perimetro della chiesa e del tempio coincidono in gran parte (m 24x37), mentresotto il pavimento attuale si conserva quello romano costituito da lastre rettan-golari di calcare compatto di montagna in cui sono stati individuati cinque imò-scapi, cioè gli incavi destinati ad accogliere le colonne. Sulla base delle dimensionidegli imòscapi (m 1,70 di diametro) e delle proporzioni prescritte da Vitruvio (se-condo cui il diametro delle colonne doveva essere pari alla metà del diametro del-l’imòscapo, la loro altezza corrispondere ad 1/3 della larghezza del tempio), iltempio poggiava su colonne di 85 cm di diametro e di 8 m di altezza che, a giu-dicare dai rocchi sparsi o riutilizzati nel complesso sacro, erano di ordine tusca-nico, cioè dal fusto liscio, dal capitello a cuscino bombato e su base circolare87.Gli imóscapi sono oggi visibili all’altezza del primo pilastro di destra e di sinistra,gli altri furono individuati accanto al terzo pilastro della navata destra e sinistraed al quinto pilastro della navata sinistra, ma coperti dalla nuova pavimenta-zione88.. Il tempio doveva avere forse una struttura tripartita con pronao tetra-stilo in antis (ingresso con quattro colonne frontali), a cui si entrava o per unascala con una prima rampa posta trasversalmente, simile a quella moderna, equindi con una seconda frontale, come suggeriscono l’allineamento e la posi-zione delle imposte degli archi di sostruzione visibili nei sotterranei del Semina-rio, di recente restaurati.Un bassorilievo su lastra marmorea di rivestimento, risalente al II secolo a.C.,raffigurante un Ercole in movimento, con asta e mantello ferino, è forse la testi-monianza che il tempio fu dedicato al semidio, almeno in una delle fasi costrut-tive, ed è da porre in relazione con i vicini e coevi rinvenimenti dell’iscrizioneedita in CIL X, 5708 e dedicata ad Ercole e del frammento di clava, entrambi espo-sti nel Museo.Qualche rocchio sistemato nei pressi della chiesa testimonia che le colonne, liscee più larghe alla base, sono di ordine tuscanico. Durante i recenti lavori di siste-mazione del sepolcreto vescovile sono state rinvenuti altri rocchi di colonne89.La seconda campagna di scavo, nel 1979, individuò nell’area posteriore alla chiesa,ad un dislivello di m 4 e ad una quota di circa 3,50 m dal piano di calpestio, la pre-senza di un’altra struttura, sicuramente templare, distrutta da una frana e in cui

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in età medievale e post-medievale furono scavate alcune tombe90. Il muro, co-struito con la stessa tecnica e lo stesso materiale utilizzati nell’altro edificio sacro,fu seguito per una lunghezza di 15 m e per un’altezza di 1,50 m e per quattro fi-lari di blocchi; anche questo ambiente poggiava su un podio a doppio cuscino.Nello scavo furono rinvenuti tre blocchi modanati pertinenti ad un altare, non as-semblabili in un unico pezzo, e le lastre di rivestimento esposte nel Museo.Alcuni basoli in loco ma anche reimpiegati nel lastricato della vicina via Terenzisono di chiara appartenenza alla strada che metteva in comunicazione i due edi-fici, secondaria e parallela rispetto al decumanus maximus.

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Ara votiva con iscrizione sacra ad Ercole(inv. 2026)

Provenienza ed epoca di rinvenimento:Sora, località Rava rossa o presso la chiesa cattedrale, secolo XIXMateriale e tecnica di esecuzione:blocco in calcare locale con cimasa aggettante; gli spazi scandiscono i piedi saturniMisure :altezza cm 63larghezza cm 50spessore cm 40cimasa cm 12altezza delle lettere cm 2,3segni distinguenti sia di forma tondeggiante che triangolareDatazione: II secolo a. C.

M(arcus) <et> P(ublius) Vertuleieis C(aii) f(ilii)quod re sua d[if]eidens asper<e>afleicta parens timensheic vovit voto hocsolut[o] decuma factapoloucta leibereis lube(n)tes donu danuntHercolei maxsumemereto semol teorant se voti crebrocondemnes

“I fratelli Marcus e Publius Vertuleieis, figli di Caius, esaudito il voto fatto dal padreper salvare il patrimonio in grave difficoltà, offrono volentieri un banchetto sacrocon la decima dei propri averi; ad Ercole assai meritevole donano [l’ara votiva eforse una statua] ed insieme ti pregano che li condanni spesso al voto”

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L’iscrizione documenta che i fratelli Vertuleieis dedicarono l’altare votivo ad Er-cole “per grazia ricevuta”, testimoniando con una certa ostentazione pubblica lapropria riconoscenza e organizzando un pollouctum, cioè un banchetto, senza ba-dare a spese, ma impiegando la decuma, la decima parte del patrimonio o dell’at-tività precedentemente compromessa e poi salvata grazie all’intervento divino91.La cena herculanea era solitamente imbandita presso l’altare del semidio, in genereposto nel forum pecuarium, nei pressi del tempio. In tale ottica il luogo del rinve-nimento non va cercato nell’impervia località Rava rossa - come riferito nel XIX se-colo -, ma nell’attuale piazza Indipendenza, che anche recentemente ospitava iltradizionale mercato del bestiame, in un luogo posto all’imbocco dell’antica viadella transumanza per l’Abruzzo e l’Adriatico e accanto al tempio che probabil-mente, almeno in una delle fasi costruttive, era dedicato al semidio. Il rinveni-mento di un’epigrafe che elenca i magistri Herculanii di un collegio funeratizio92,di numerosi bronzetti votivi raffiguranti Ercole, in massima parte dispersi93, diuna base di sostegno di una statua, esposta nel museo, e di una lastra marmoreadi rivestimento con rilievo di Ercole vestito di pelle ferina e astato, conservatanella sacrestia della chiesa cattedrale94, testimoniano l’assimilazione dal pantheònitalico e la diffusione in età romana del culto di una divinità preposta alla tuteladel bestiame e dei pastori. Il nome Vertuleius è attestato anche in un’altra epigrafe,riutilizzata nella costruzione di un palazzo del centro storico95.Secondo gli epigrafisti del XIX secolo e del primo Novecento, l’iscrizione è in versisaturni, il primo schema metrico latino, usato nel III secolo a. C. dai poeti Nevioe Livio Andronico; l’iscrizione in metro saturnio più antica è conservata nei MuseiVaticani ed è quella incisa sul sepolcro di Lucius Cornelius Scipio Barbatus, consolenel 298 a. C.96

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Base di sostegno di statua di Ercole(inv. 2046)

Provenienza, anno e modalità di rinvenimento:Sora, località Rava rossa o nell’area della chiesa cattedrale di Santa Maria assunta,XIX secoloMateriale e tecnica di esecuzione:marmo; presenza di fori laterali per incasso dei perni di fissaggio della statuaMisure:altezza cm 103diametro massimo cm 40Datazione: II secolo a. C.

La clava fungeva da sostegno di una statua di Ercole, in proporzione alta almeno3 m e perciò collocabile solo nel grandioso tempio poi trasformato in chiesa cat-tedrale e forse dedicato alla divinità almeno in una delle fasi costruttive, quandoi Romani donarono ad alcune città colonizzate del Lazio meridionale, tra cui Sora,una statua di Ercole97.Il suo culto era particolarmente diffuso nel territorio e onorato dai commerciantidi bestiame e dai pastori. E’ raffigurato da numerosi bronzetti votivi (statuette inbronzo risalenti al IV-III secolo a. C.) e da un rilievo marmoreo di rivestimentodel tempio; è inoltre testimoniato dall’iscrizione votiva edita in CIL X, 5708 e daun’epigrafe trovata a San Domenico, ora perduta, che elenca i magistri Herculanii,responsabili di un’associazione funeratizia simile alle odierne confraternite98.

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Provenienza:località Sant’Amasio (Arpino) e Fosso del Medico (Arce)Materiale e tecnica di esecuzione:Argilla; realizzazione in serie con la tecnica della matrice a stampoDatazione: III-II secolo a. C.

Nella bacheca sono esposti solo alcuni dei numerosi frammenti di ex voto raccoltialla fine degli anni ’70 e attualmente conservati nel deposito del museo; essi eranole offerte sacre a divinità salutifere per la sanatio, il rito con cui s’implorava la gua-rigione della parte riprodotta o si ringraziava del voto esaudito. Dopo un periodod’esposizione nel tempio, per lasciare posto ad altri manufatti simili, erano ripo-sti nei depositi votivi, cioè le favissae (“fosse”). I reperti provengono da alcuni deinumerosi santuari della valle del Liri, costruiti nei luoghi posti in corrispondenzadi vie della transumanza e presso fonti dalle proprietà salutari, in cui più antica-mente si celebravano i riti propiziatori del ver sacrum, cioè la “primavera sacra”,un rito annuale con cui le genti italiche chiedevano agli dei prosperità e salute.Le offerte alle divinità anticamente consistevano in animali e frutti ma poi, ancheper motivi economici, si passò al dono simbolico di terrecotte figurate: animalidomestici, testine, parti anatomiche quali mani, piedi, uteri, falli, fegati, occhi, oanimali domestici insieme a ceramica grezza, dipinta, a vernice nera di tipo cam-pano A e B. L’uso di plasmare con la terracotta statue, busti e teste a grandezza na-turale, statuette di devoti o di offerenti ed ex – voto raffiguranti parti anatomiche,animali e frutti è una delle manifestazioni artistiche più significative delle civiltàetrusca, laziale, sannitica e campana tra il V ed il II secolo a. C. da parte di arti-giani etruschi che rielaborarono modelli importati dalle colonie della Magna Gre-cia, nel momento in cui i luoghi di culto attraggono maggiormente i ceti popolarie ne sono espressione religiosa, in un momento di ripresa economica99.Presso i santuari, molte botteghe artigianali producevano gli ex voto a basso costoper fedeli di censo non elevato e in serie, utilizzando la tecnica dello stampo cheprevedeva l’uso di una matrice in cui era versata l’argilla che veniva poi sottopo-sta ad essiccazione al sole o a cottura e quindi dipinta con colori vivaci.Gli esempi esposti provengono dalla stipe di Sant’Amasio (Arpino), dove sorgevanel III secolo a. C. una struttura templare, poi sostituita da una chiesa100; essi con-

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LACERAMICACAMPANAE GLI EX VOTO

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sistono in una testa femminile velata, integra, dal viso ovale, secondo la consuetatipologia risalente al III secolo a. C., ed un frammento di volto; entrambi i pezzisono realizzati con la tecnica di lavorazione “a maschera”101. Le teste isolate, o lemani o i piedi, erano offerte agli dei al posto della figura intera perché meno co-stose delle statue e costituiscono l’ex-voto più diffuso nei santuari italici.Dalla località Fosso del Medico (Arce) provengono una testa miniaturistica velatadel tipo attestato in gran quantità nella vicina località Pescarola (Casalvieri) e inparte depositato nel Museo (n° 31 testine), un utero, un fegato102.Altri votivi raccolti, insieme a numerosi frammenti di piatti, coppe e vasi minia-turistici, in ceramica ricoperta da vernice nera databili tra il IV e il II secolo a. C.,provengono dai santuari di Monte del Fico (Boville Ernica) e di Antera (Veroli)103.

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Ceramica a vernice nera “Campana B”Provenienza e modalità di rinvenimento:località Sant’Amasio (Arpino) e San Pietro (Pescosolido), durante lavori agricoliMateriale e tecnica di esecuzione:argilla ricoperta da vernice nera, di produzione locale o regionaleDatazione: fra la seconda metà del III ed il II secolo a. C.

Nella bacheca sono esposti una coppa miniaturistica carenata, con il bordo rien-trante (tipo Morel 2744 c1), un piattello dall’orlo svasato e dal basso piede (tipoMorel 1623 a1), di contesto sacro; invece una coppa emisferica su basso piede adanello (tipo Morel 2765 a1) e una coppa miniaturistica su piede scanalato, con de-corazione ad incisioni sull’orlo svasato e bombato (tipo Morel 1571 c1), sono ap-partenenti al corredo di una tomba, delimitata da pietre a secco e coperta dategoloni, rinvenuta in località San Pietro, nel territorio di Pescosolido104.Si tratta di esempi ben conservati di vasellame, piuttosto comune nella zona e diffusoin Etruria, Lazio e Campania, che trae il nome dalla particolare tecnica di cottura inambiente riducente con cui si otteneva il rivestimento di color nero brillante105.Il nome di “Campana B” è stato attribuito dagli studiosi a questa produzione va-scolare in base alle caratteristiche dell’impasto, della pellicola di copertura e deimodelli classificati da Jean Paul Morel nel 1981106. Una prima classificazione digenere fu offerta da Nino Lamboglia che distinse la produzione vascolare sullabase delle caratteristiche dell’impasto e della vernice nelle tre tipologie afferentiai diversi luoghi di produzione: la “Campana A”, prodotta dal III secolo a. C. inCampania, “Campana B”, fabbricata dal II secolo a. C. in Etruria, “Campana C”,realizzata dal II secolo a. C. in Sicilia107.In località Sant’Amasio, nei pressi del fiume Melfa, doveva sorgere già nel III se-colo a. C. un santuario fornito di favissa; al tempio si sovrappose dal V secolo d.C. una chiesa, per la cui costruzione si riutilizzò materiale di spoglio romano. Siricorda che nella medesima località fu rinvenuto un thesaurus assai simile a quelloconservato nel Museo, contenente un monetiere cospicuo. L’altro materiale vo-tivo e ceramico proveniente dalla zona consiste in numerosi frammenti di cera-mica campana B a vernice nera, due testine muliebri, un frammento di tegolonecon bollo anepigrafe, un’impugnatura di pastorale di età medievale108.

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I santuari rupestri di colle San Casto (Sora), Carpello (Campoli Appennino),Pozzo Favito sul monte Tartaro (Veroli)

I santuari rupestri, generalmente dedicati alle divinità della pastorizia, dell’agri-coltura e della caccia, erano aree sacre ricavate nella roccia nei pressi delle princi-pali direttrici della transumanza.Sulle pendici del colle di San Casto, in località Rava rossa, è scavata nella rocciaun’area sacra dedicata al dio Silvano da un collegio di lignarii (commercianti di le-gname) e frequentata fra il II secolo a. C. ed il II secolo d. C.Al di sotto e all’interno di tre edicole destinate ad accogliere bronzetti votivi (cioèstatuette in bronzo raffiguranti divinità, forgiate a partire dal VI secolo a. C.), sileggono le epigrafi edite rispettivamente in CIL X, 5709 e 5710:

CultoresSilvanicur(ante)M(arco) Albo [P]iero

Gli associati della confraternita consacrata a Silvano realizzarono la nicchia sottola guida di Marcus Albus Pierus109.

L(ucius) Sabidius M(arci) f(ilius) [me]mord(ono) d(edit)

“Lucius Sabidius memore dette in dono”. Il personaggio citato fece scolpire pergrazia ricevuta l’edicola e l’iscrizione.

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I LUOGHI DI CULTO SUBURBANI

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Un’altra edicola consacrata al dio Silvano si trova in località Carpello (CampoliAppennino), in cui la divinità è raffigurata con falce e cane110.

In località Pozzo Favito, sul monte Tartaro, a m. 1200 di altezza, è scavato nella roc-cia un santuario; difatti sulla parete si legge l’iscrizione edita in CIL X, 5779, cheattesta la compresenza del culto di Juppiter Aera (o Atratus, cioè tenebroso, infer-nale) con gli dei locali, in un’area boschiva attraversata dai pastori111 .C(aio) CalvisioL(ucio) Passieno co[n]s(ulibus)M(arcus) M(enius) M(arci) f(ilius) Rufus sac(erdos) VIL(ucius) Vibidius L(ucii) f(ilius) sac(erdos) IIIovi ae[r]is et dis indigetibu[s]cum aedicl[a] et baseet [ae]di et porticu d(e) s(ua) p(ecunia) (posuerunt)

L’epigrafe testimonia che sotto il consolato di Caius Calvisius e Lucius Passienus (4a. C.), Marcus Menius Rufus, figlio di Marcus, eletto sacerdote per la sesta volta, eLucius Vibidius, figlio di Lucius, nominato sacerdote per la seconda volta, siste-marono a proprie spese un’edicola con base e porticato, dedicandola a Giove chegoverna i cieli e alle divinità locali dei boschi. Si tratta di un esempio di evergeti-smo di cui la formula de sua pecunia fecerunt assicura che l’opera fu realizzata noncon i fondi erariali, ma con una personale donazione.Le iscrizioni votive scritte su un piano preparato direttamente sulla roccia nonsono frequenti e, in genere, sono situate nelle vicinanze di templi.

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Stele togata(inv. 2028)

Provenienza:ignotaMateriale e tecnica di esecuzione:marmo; stele acefala, lavorata solo frontalmente, frammentata alla base e mutila;foro nella superficie posteriore, in alto a sinistra, per l’incastro di un perno di fis-saggio alla parete di un monumento funerarioMisure:altezza cm 202larghezza alla base cm 60spessore cm 27Datazione: fine I secolo a. C. - inizi I secolo d. C.

La stele era in origine incassata nella facciata o collocata in una nicchia, oppure inun’edicola funeraria con parete di fondo chiusa, come lasciano ritenere la posturarigidamente frontale della figura e la resa appiattita delle forme sul lato poste-riore; essa raffigura un personaggio maschile che in vita aveva ricoperto qualcheincarico pubblico: stringe difatti il rotolo di papiro e veste la toga ampia degli uo-mini liberi e di rango, obbligatoria per i magistrati e facoltativa per i clientes, libertio ingenui, protetti e tutelati in cambio di servigi e voti dal patronus, un personag-gio in vista e potente; egli infatti poteva affrancare i servi, patrocinare e beneficarei suoi clientes, tanto più numerosi quanto egli era importante.La toga virilis, un mantello in lana bianca e di forma semicircolare, rappresentaval’abito ufficiale del cittadino romano adulto e poteva essere fusa (ampia) o exigua(aderente), ma in genere misurava tre volte la circonferenza della vita della per-sona e due volte la sua altezza. La sua vestizione richiedeva l’aiuto del vestiplicus(da vestem plicare, piegare, avvolgere il vestito), uno schiavo specializzato nel com-porre le pieghe. Veniva appoggiata sulla spalla sinistra, nel senso della lunghezza,mentre il lembo posteriore era portato in avanti, passando al di sotto o al di sopradel braccio destro, per poi ricadere dietro la spalla sinistra. Restò in uso molto alungo, dall’epoca monarchica fino al VI secolo d. C., e fu soggetta sia al controllo

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TOGATO

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della legge, in quanto abito ufficiale, che alle trasformazioni della moda. Duranteil I secolo a.C., a seguito della forte ellenizzazione della società romana, si diffusel’uso di drappeggiare la toga alla maniera del mantello greco, cioè con il bracciodestro completamente coperto. Il tipo di veste crebbe in ampiezza con il tempo:in età tardo-repubblicana giungeva a metà circa del polpaccio, nell’ultimo quartodel I secolo a.C. arrivava alle caviglie, fino a raggiungere la massima ampiezzanel II secolo d.C. Con la toga si indossavano i calcei, un tipo di calzatura alta echiusa, una sorta di stivaletto in pelle, che poteva essere dotata di stringhe, an-nodate al di sopra del malleolo o a metà polpaccio. I ritratti togati, i più diffusi nelperiodo tardo-repubblicano fino al II secolo d. C., erano i preferiti dal cittadino ro-mano, almeno da coloro che avessero meritato l’immortalità per qualche illustre ca-gione112. La scultura, particolarmente accurata nella resa del panneggio e delmovimento, denota l’abilità dell’artista e la ricchezza del committente. La lun-ghezza della toga, che doveva giungere almeno sino alle caviglie, e la resa graficadel panneggio, permettono di attribuire la statua all’epoca augustea (ultimi de-cenni del I secolo a.C.), anche per paralleli con altri togati di fine I secolo a.C. -inizi I secolo d.C.La stele manca della testa; il fenomeno della permutatio capitis, soprattutto nelbasso Impero, non è certo infrequente perchè la testa era lavorata a parte e adat-tata a richiesta113; nella precedente collocazione infatti era completata da una testavirile marmorea più tarda114. La stele è confrontabile con un busto togato da nic-chia, dello stesso periodo, conservato nell’Abbazia di San Domenico115.

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Iscrizione commemorativa ed elogiativa(inv. 2039)

Provenienza:ignota; fino al 1999 era murata nella parete esterna della sacrestia della chiesa diSanta Restituta, sul Lungoliri Mazzini, insieme ad altro materiale di epoche dif-ferenti ma proveniente dalla stessa area.Misure: altezza cm 67, larghezza cm 52, spessore cm 42Presenza di 2 fori di incasso nella superficie superiore, di 1 foro nella superficie la-terale di sinistra, di 2 fori nel lato destro. Altezza lettere: 1ª linea cm 6,2; 2ª lineacm 4,5; 3ª linea cm 5; 4ª linea cm 3,2; la t in 4ª linea è più alta; presenza di segni di-stinguenti triangolari.Datazione: seconda metà del I secolo a.C.

L(ucio) Firmio L(ucii) f(ilio)prim(o) pil(o) tr(ibuno) mil(itum)IIII vir(o) i(ure) d(icundo)colonia deductaprim(o) pontificilegio IIII Soranahonoris et virtutis

c a u s s a

“A Lucius Firmius, figlio di Lucius, primus pilus e tribuno dei soldati, quattuorvircon poteri giurisdizionali, primo pontefice della nuova colonia, la quarta legionein congedo a Sora a titolo d’onore e valore.”

L’iscrizione è un’importante testimonianza della deduzione coloniale nella se-conda metà del I secolo a. C., quando avvenne lo stanziamento di una colonia dimilitari della IV legione in congedo, assegnatari delle fertili terre della valle delLiri, documentato dalla notizia della distribuzione agraria nel Liber coloniarum,dalle tracce su terreno della centuriazione (suddivisione agraria), dalla castrame-tatio (pianificazione urbana), dall’iscrizione CIL X, 5711, che attesta una colonia

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SORACOLONIA

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Iulia Praetoria, ma soprattutto dai tanti fregi con rilievi d’armi e dalle statue lo-ricate116.Nell’epigrafe sono ricordate in senso crescente le precedenti cariche del suo cur-sus honorum: prima di ricoprire la carica di primus pontifex, cioè di fondatore dellacolonia secondo i sacri riti, Lucius Firmius era stato primipílus (uno dei 60 centurionial comando di una centuria dell’esercito romano), tribunus militum (comandante)della quarta legione (corpo scelto di un’armata che contava dai 3000 ai 6000 sol-dati) e quattuorvir iure dicundo (uno dei quattro capi con compiti giurisdizionali,eletti annualmente) nella fase municipale di Sora, successiva alla guerra sociale.L’iscrizione commemorativa ed onoraria di Lucius Firmius fu dedicata da parte diuna IV legione, definita Sorana e non Sorae (di Sora) perché ormai in congedo;essa era destinata a qualche monumento eretto per onorare tale personaggio. Danotare la forma arcaica caussa (al posto del classico causa)117.Secondo una diversa lettura dell’epigrafe, Lucius Firmius avrebbe ricoperto nonsolo la carica di pontifex, ma anche di primus quattuorvir iure dicundo anche dopola deduzione coloniale118. Senz’altro l’iscrizione testimonia che la città mantenneil quattuorvirato anche nel passaggio da municipium a colonia119.

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STATUE LORICATEProvenienza, modalità ed epoca di rinvenimento:Sora, viale San Domenico(“a 500 passi prima di Sora verso Isola”), XIX secolo, in-sieme ai cippi terminali con iscrizioni edite in CIL X, 5721 e in CIL X, 5778. Que-st’ultima epigrafe prescrive l’estensione laterale dell’area sepolcrale, pari a 40piedi, quindi a circa 12 m.Materiale e tecnica di esecuzione: marmo; la statua più alta è lavorata anche nellasuperficie posterioreMisure:(inv. 2026)altezza cm 129larghezza cm 54spessore cm 35stele acefala, mutila e lavorata nella superficie posteriore(inv. 2029)altezza cm 90larghezza alla base cm 50spessore cm 33lavorazione abbozzata nella superficie posterioreDatazione: I secolo d. C.

Le due statue provengono dalla necropoli estesa nei pressi dell’odierno viale SanDomenico e sicuramente erano collocate in un imponente monumento funerarioappartenuto ad un tribunus militum, il comandante di una legione, o ad un altis-simo ufficiale dell’esercito romano della colonia di soldati dedotta alla fine del Isecolo a. C.Il tipo di lorica (da lorum = striscia di cuoio) rappresentato è la corazza militareanatomica di tradizione ellenistica, diffusa dall’età augustea fino al III secolod.C.120: era priva di rilievi sul busto, ad eccezione delle fibbie a cerniera (humera-lia), decorate da fulmini stilizzati, e del gorgonéion (testa di Medusa, il mostro mi-tico dalla chioma di serpenti) sulla scollatura; i rilievi di gorgonéia sono ripetutisull’estremità arrotondate dei pendagli che si sovrappongono ad una fila di stri-sce rettangolari e sfrangiate e ad una corta tunica. Al lato, gettato sulla spalla e trat-tenuto dal braccio sinistro, il mantello militare (paludamentum), un tipico capo

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d’abbigliamento dei generali in missione di guerra e in uso nel rango equestre.Il motivo decorativo del gorgonéion ricorre anche in un capitello figurato di lesenascanalata conservato nella chiesa di Santa Restituta e forse pertinente ad un mo-numento funerario121.La raffigurazione in habitu militari era un onore particolare concesso solo ai per-sonaggi più importanti: Plinio affermava infatti che “è uso greco non coprire il corpo;i Romani, invece, da soldati quali sono, aggiungono la corazza”122.

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Datazione: III-II secolo a. C.

Dopo la porta-finestra è possibile vedere un muro lungo 2,87 m e alto 2,17 m inopera poligonale di III maniera, costituito da 4 fila di blocchi sbozzati e bugnati,sovrapposti con una certa regolarità. Si tratta delle sostruzioni di una villa del III-II secolo a. C. inglobate nel XIV secolo dal palazzo del Museo.La villa era inserita nel reticolo delle insulae formato dall’incrocio delle vie prin-cipali con le secondarie; essa era a pianta rettangolare e fornita di cisterna.Altri rinvenimenti in quest’area di strutture murarie, pavimentazioni e lastricatistradali documentano la presenza d’abitazioni costruite fra il III secolo a. C. ed ilI secolo d. C., servite da una strada pedemontana (oggi via Pianello, via Gelsi e viaTerenzi) parallela all’asse principale, il decumanus maximus, l’odierno Corso Volsci.Queste ville furono costruite in età repubblicana e poi abbandonate dalla secondametà del I secolo d. C. quando le condizioni economiche divennero difficili; il la-tifondo soppiantò le culture intensive della valle, la proprietà terriera passò nellemani dei liberti, sempre più numerosi a giudicare dalla frequenza di nomi e co-gnomi d’origine libertina nelle epigrafi sorane di I-II secolo d. C.Un’altra villa rustica terrazzata da mura in opera poligonale è stata rinvenuta nel2001 durante uno scavo d’emergenza in via Ravo a Sora123.

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LE MURA IN OPERAPOLIGONALENELMUSEO

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VILLA

VILLE

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Capitello corinzieggiante figurato

Provenienza, anno e modalità di rinvenimento :Sora, 1840, durante i lavori di costruzione dell’argine, alla profondità di m 2,50 ri-spetto al livello del fiume, nei pressi dell’argine sinistro del fiume Liri, insieme amateriale architettonico e di arredo. Nel medesimo punto, nel 1880, furono rin-venuti due frammenti di un capitello simile, oggi sistemato nel Vescovado. E’ al-tamente probabile che il sito di provenienza non coincida con quello dirinvenimento, invece individuabile nell’area di San Giuliano (Ospedale vecchio),dove sorgeva un complesso funerario.Materiale e tecnica di realizzazione:marmo, lavorazione con trapano a corda e punteruolo; semirifinitoDimensioni:altezza cm 74larghezza massima cm 85Datazione: II – III secolo d. C.

Il capitello, appartenente ad un edificio di imponente mole, appare decorato daun’articolata figurazione: agli angoli e in altorilievo si staccano dal fondo quattroeroti (cupidi alati) aggettanti, un’aquila campeggia al centro di ogni lato e poggiagli artigli su ghirlande di fiori e frutta; in basso, una prima ed una seconda co-rona di foglie d’acanto. Il pezzo è confrontabile con il capitello corinzieggiante efigurato da altorilievo di Vittorie, in marmo proconnesio, risalente ai primi due de-cenni del III secolo d. C., conservato a Roma nell’Anfiteatro Flavio124.Probabilmente il capitello era stato messo in opera senza essere terminato oppurenon era destinato ad una visione ravvicinata, come dimostra la persistenza deifori di preparazione dei motivi decorativi. Nella superficie superiore furono rea-lizzate le cavità destinate all’innesto di perni di vincolo al blocco di architrave ele canalette di scolo del piombo fuso. L’altezza ed il diametro inferiore del pezzolasciano intuire che esso era montato su un fusto alto più di 4 m.La notizia del rinvenimento del capitello in esame fu indirettamente fornita al Fio-relli da Giustiniano Nicolucci – allora ispettore di zona – che, nel relazionare nel1880 sul rinvenimento occasionale effettuato durante i lavori di costruzione del-

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CAPITELLO

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l’argine presso il nuovo ponte di Napoli sulla sinistra sponda del fiume Liri, accanto adun fondo del sig. Evangelista Tronconi, alla profondità di met. 2,50 dal livello attuale delfiume (antico livello della città in epoca imperiale), afferma che a pochi metri di di-stanza da tale punto quaranta anni prima (e dunque nel 1840) erano stati scoperti… un capitello corintio di marmo, un gran pezzo di cornicione in pietra calcare ed una sta-tua grossolana parimente in pietra calcare, materiali in qualche modo omogenei aquelli rinvenuti nel 1880, consistenti in cinque grossi blocchi di marmo bianco, confu-samente addossati gli uni sugli altri, […] una grande tazza anche di marmo bianco, spez-zata in due, ed un rocchio di colonna parimenti marmorea, del diametro di met. 0,54 edella lunghezza di met. 1,40. La tazza marmorea è di forma quadrata, avendo ciascun latola lunghezza di cm 76, l’altezza di cm 48. La conca mediana ha il diametro di cm 60, e laprofondità centrale di cm 40. La tazza era sostenuta da un piede, che n’è distaccato, diforma circolare, del diametro di cm 60 e dell’altezza di cent. 20. Dalla parte superiore degliangoli del vaso, e dal mezzo di ciascun lato, sporge per cent. 10 un Genio alato. Le ali deiGenî angolari si distendono ampiamente sulle parti delle due facce prossime agli angoli,quelle dei Genî mediani sono invece abbassate fino all’imo del vaso.Fra un Genio e l’altro si distende un ornato, che potrebbe dirsi a merletto, essendo for-mato di un panneggiamento a piccoli trafori; e al di sotto ricorre un ornato a foglie, ches’intrecciano vagamente fra loro. La base della tazza è anch’essa abbellita da un festone difoglie, che tutta intorno la ricingono.La datazione e la provenienza del capitello esposto possono dunque essere rico-struite a posteriori sia sulla base del rinvenimento del 1880 sia in relazione e con-fronto con due frammenti di diversa grandezza, attualmente sistemati nell’atriodel Vescovado; se ricongiunti, essi appaiono pertinenti ad un solo capitello che,per apparato figurativo e tecnica di esecuzione, imita quello esposto nel Museo;se il capitello corintio di marmo rinvenuto nel 1840 è con ogni probabilità quelloesposto nel Museo, nei frammenti del Vescovado è riconoscibile la tazza marmorearinvenuta nel 1880: infatti il frammento maggiore presenta una rottura che lo di-vide a metà, il rilievo e le dimensioni di entrambi i pezzi appaiono simili a quelliindicati nella relazione del Nicolucci, lo stato di conservazione, la presenza di se-dimi e di molluschi calcificati sulla superficie indicano che essi sono stati moltotempo immersi nell’acqua o in terreno umido e quindi in condizioni di ritrova-mento compatibili con la zona del ponte di Napoli, in passato soggetta ad eson-

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dazioni; del resto, ancora oggi sul greto del fiume è possibile individuare blocchimodanati in marmo bianco. I punti di contatto fra il capitello del Vescovado conquello esposto nel Museo sono il materiale, la tecnica di realizzazione ed il tipo dicomposizione figurativa, anche se più stilizzata e di maniera; potrebbe quindi es-sere coevo o, più sicuramente, una sua tarda imitazione.Le misure dei frammenti del Vescovado sono le seguenti: altezza del frammentomaggiore cm 47, lato cm 89-92, diagonale della faccia superiore cm 110, diametrodell’incavo centrale cm 60, profondità dell’incavo cm 35. Due incavi più piccolisono ricavati alle estremità di un lato ed erano utilizzati per l’inserimento di pernidi fissaggio. Il frammento minore (quello che il Nicolucci identifica nel “piede dellatazza”) è alto circa cm 27 ed il diametro della faccia superiore misura cm 63. I fram-menti, per la cavità ricavata nella superficie superiore, erano stati riutilizzati inepoca imprecisabile in funzione di acquasantiera forse nella cappella che sorgevain piazza Cerere (oggi piazza Garibaldi), nei pressi del palazzo Tronconi.Nella relazione del 1880 si manifesta qualche perplessità sulla coincidenza tra lo-calizzazione e sito di provenienza per i rinvenimenti del 1840 e 1880; anzi siavanza la possibilità che il materiale fosse stato trasportato qui dall’area, un tempoperiferica, di San Giuliano, tradizionalmente indicata da fonti locali come il sitodel “tempio di Serapide”, più sicuramente di un grandioso monumento funera-rio di età imperiale, soggetto nel XVII secolo ad un’incessante opera di spolia-zione125.Appare più problematica la definizione delle figure ed il loro significato nei fram-menti del Vescovado: è possibile che le figure umane rappresentate simbolegginodue differenti condizioni sociali; il togato è emblema di preminenza civile, l’altrodi appartenenza alla classe popolare, ma entrambi partecipi e spettatori di unevento commemorato dal monumento e di cui il capitello era elemento portantee “narrante”.

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Schema di decorazione del capitello del Vescovado - frammento maggiore:

Lato ASerie di fiori

Figura maschile togata.

Cupidi alati e nudi agliangoli.

Foglie d’acanto(corona superiore).

Lato BSerie di fiori

Aquila centrale.

Cupidi angolari.

Foglie d’acanto(corona superiore).

Lato CSerie di fiori

Figura maschile centrale,con corta tunica indossatasu pantaloni e conmantello.

Cupido angolare (evanido).

Foglie d’acanto(corona superiore).

Lato D?

Figura centrale evanida.

Cupidi laterali.

Foglie d’acanto(corona superiore).

Schema di decorazione del capitello del Vescovado - frammento minore:

Corona inferiore di foglie d’acanto

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Base per statua con iscrizione commemorativa(inv. 2041)

Provenienza ignota (ma nel XIX secolo fu vista in foro ad Sanctae Restitutae, nelcentro di Sora)Materiale e tecnica di esecuzione:blocco in calcare locale; specchio epigrafico ribassato e scorniciato.Sul lato sinistro, un urceus (brocca), sul destro una patera (coppa bassa e larga),simboli della libagione; sulla superficie superiore, tracce di incastro del perno disostegno e del piede sinistro di una statua eretta in onore di Marcus Baebius Se-cundus.Misure:altezza cm 112larghezza cm 73spessore cm 63altezza lettere: 1ª linea cm 8, 2ª linea cm 5, le altre dai 4 ai 3 cmDatazione: seconda metà del I secolo d. C.

M(arco) Baebio M(arci) f(ilio)Rom(ilia tribu) Secundoaed(ili) praef(ecto) i(ure) d(icundo) II (duo) vir(o)q(uin)q(uinquennali) viocuro ex s(enatus) c(onsulto) II (iterum) d(ecreto) d(ecurionum)M(arcus) Baebius M(arci) f(ilius) Rom(ilia tribu) SabinusM(arcus) Valerius M(arci) f(ilius) Rom(ilia tribu) SeptiminusM(arcus) Valerius M(arci) f(ilius) Rom(ilia tribu) Secundinushered(es) eius ex testament(o) i[psiu]sl(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum) cuius dedic(atione) crustumet mulsum populo divisum

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BAEBIUS

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“A Marcus Baebius Secundus, figlio di Marcus, della tribù Romilia, eletto aedilis, prae-fectus, duovir quinquennalis, viocurus su decisione del Senato e per disposizione deidecurioni per la seconda volta, [costruirono questo monumento] Marcus BaebiusSabinus, figlio di Marcus, della tribù Romilia, e Marcus Valerius Septiminus, figlio diMarcus, della tribù Romilia, e Marcus Valerius Secundinus, figlio di Marcus, dellatribù Romilia, suoi eredi per testamento. Il luogo [per il monumento] fu concessoper decreto dei decurioni e, nell’occasione, al popolo furono distribuiti ciambelledolci e vino melato”126.Il blocco é il piedistallo di una statua eretta in un luogo pubblico in cui l’iscrizioneè concepita come un elogium127; l’iscrizione documenta che il consiglio municipaledei decurioni (ordo decurionum) concesse per decreto deliberando con voto consi-liare, in esecuzione delle volontà testamentarie del defunto, un’area pubblica af-finché gli eredi vi collocassero la base e la statua. Era infatti consuetudineassegnare gratuitamente un’area pubblica, particolarmente frequentata, per la se-poltura dei cittadini benemeriti 128.Non è specificato il motivo della dedica e dell’onore riservato a Marcus BaebiusSecundus, ma certo egli era stato il massimo magistrato di Sora e aveva ricopertoin ordine crescente le cariche del cursus honorum: era stato aedilis (amministratoree finanziatore delle opere edili di pubblica utilità), praefectus iure dicundo (magi-strato straordinario con ampi poteri giurisdizionali)129 , duovir quinquennalis (unodei due capi della colonia nel quinto anno del mandato amministrativo, incari-cato di effettuare il censimento e redigere la nuova lista dei consiglieri) e viocurus(dirigente e responsabile della viabilità pubblica del territorio, una carica impor-tante vista la considerazione della manutenzione stradale in quei tempi). Le cari-che gli erano state conferite e reiterate dal senato locale130.Un’altra base di sostegno per statua, provvista – come il blocco in esame – di sca-nalature e fori per l’incassatura di perni di sostegno, fu rinvenuta nel 1907 du-rante lavori occasionali nei pressi del monastero di Santa Chiara (sito accanto allavilla comunale e distrutto nel terremoto del 1915)131.

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Ritratto funerario

Provenienza ed epoca di rinvenimento:Sora, in località Madonna della Quercia, prima metà secolo XIXMateriale:marmo biancoMisure:altezza cm 34larghezza massima cm 24Datazione: II secolo d. C.

La testa, in base alle misure, alla descrizione e alla riproduzione fornite in NotizieScavi, dovrebbe essere quella vista nel 1910 dall’Aurigemma e rinvenuta intornoal 1830 nella casa del contadino Carmine Zaino, a un 250 metri circa da Sora, presso lastrada Sora-Atina, in località Madonna della Quercia; la testa proviene quindi dal se-polcreto costruito in età imperiale ai margini dell’antica strada che da Sora con-duceva ad Atina132.Il giovane raffigurato apparteneva all’aristocrazia perchè era prerogativa di taleclasse sociale godere del “diritto di immagine”, con cui sopravviveva l’uso anticodelle maschere funerarie e commemorative degli antenati; la sua famiglia eraanche ricca perché poteva permettersi di commissionare una scultura in marmo,materiale più pregevole del comune calcare locale e scarsamente utilizzato in zona.La datazione all’età imperiale dipende dalla lavorazione stilizzata della capiglia-tura a ciocche ondulate e dal realismo nella rappresentazione dei lineamenti edegli occhi133.

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RITRATTO

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Provenienza:Sora, San Pietro di Bagnolo in località Valpara, a km 4 dal centro urbanoMateriale:calco dell’originale marmoreo di lastra di rivestimento (o di stele) di naòs con fi-gurina di Iside, inserito nella facciata della chiesa di Santa Restituta a SoraDatazione: I – II secolo d. C.

Il bassorilievo raffigura la dea Iside sormontata dal disco lunare e da un betilo(una pietra di forma piramidale sacra alla dea) ed incorniciata dalla caratteristicaporta di accesso al tempio a lei dedicato134. La lastra testimonia la diffusione nelLazio, incominciata a metà del II secolo a. C. e rafforzata dalla seconda metà delI secolo d. C., dei culti egizi, importati da mercanti italici o da veterani delle guerrecivili, combattute anche in Asia, in una Sora cosmopolita e ricca, o da un nuovoceto di liberti spesso di provenienza asiatica135. In passato sono state rinvenute epurtroppo perdute due statue raffiguranti la dea136. Per motivi di ordine pubblicoe per disposizioni legislative – come l’editto del senato de sacris Aegyptiis Iudaici-sque pellendis emanato sotto Tiberio e l’esilio, nel 19 d. C., di 4000 liberti colpevolidi professare culti egizi o giudaici -137, il culto della dea egiziana fu inizialmenteosteggiato e svolto preferibilmente extra pomoerium, cioè fuori del confine sacrodelle città; in seguito conobbe una più ampia diffusione anche in associazione conaltre divinità del pantheon alessandrino, come il dio Serapide, documentato aSora da un’antica tradizione letteraria che ne colloca il tempio nell’area dove oggisorge la chiesetta dedicata a San Giuliano martire.Il successo di tale culto misterico (e perciò segreto) era dovuto al fascino dell’eso-tico, ai riti di iniziazione e purificazione cui si sottoponevano gli adepti, alla pro-messa di felicità terrena, di salvezza eterna e di rinascita; a differenza dellareligione ufficiale, depositaria dei valori della collettività romana, il culto isiacoben rispondeva ai bisogni individuali in un momento di crisi dell’Impero.Diffusi più in città che nelle campagne e in zona attestati anche a Casamari e Atina,i culti orientali scomparvero tra la fine del IV e la metà del V secolo d. C., quandofurono assimilati dalla religione cristiana.

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FREGIO ISIACO

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La presenza militare, la creazione di un ceto dirigente legato a Roma e l’ascesasuccessiva del ceto libertino si espresse in una vasta monumentalità e nella co-struzione di necropoli centuriali, in area suburbana, e in diversi sistemi di sepol-tura fuori dell’abitato, lungo le due strade principali che conducevano alla città dasud e da est. Le tombe erano costruite e abbellite secondo l’importanza e le risorsefinanziarie: da tombe semplici “a cappuccina” (cioè formate da una cassa in ter-racotta a sezione triangolare), stele funerarie, cippi a pigna e cippi terminali chedelimitavano e segnalavano l’ampiezza dei recinti sepolcrali, urne cinerarie, finoai lussuosi mausolei cilindrici, ad altare o “a dado” decorati dai fregi dorici e con-tinui con rilievi d’armi, per celebrare e ricordare il grado dei militari di stanza aSora in seguito alla deduzione della colonia triumvirale.Le testimonianze funerarie più numerose risalgono ad un periodo compreso frala seconda metà del I secolo a.C. ed il I secolo d. C., e non senza ragione: è a par-tire da questo momento infatti che diventano sempre più frequenti le attestazionidi tombe erette per celebrare lo status sociale del defunto e, in un certo qual modo,l’eroizzazione in quanto vir triumphalis. I monumenti, differenziati per tipologiaed importanza, riflettono l’ideologia generata dai nuovi assetti istituzionali, poli-tici, economici e sociali ed un inedito - almeno per la mentalità romana - cultodella personalità che preluderà all’individualismo e allo spiritualismo dell’età im-periale. Se nella prima età repubblicana le tombe erano generalmente prive di vi-sibilità esterna e rispecchiavano una pratica riconducibile alla sfera privata o diappartenenza alla collettività, dal II secolo a. C. si affermò il gusto per l’autocele-brazione attraverso la massima evidenza data ai sepolcri e lo sviluppo di monu-mentali architetture funerarie dotate di complessi apparati decorativi, epigraficie simbolici. I monumenti maggiori, come del resto i piccoli segnacoli, tuttavia,non avevano una reale funzionalità, ma soltanto una valenza simbolica e cele-brativa poiché la tomba del defunto era posta sotto le fondazioni e le sue ceneriin un cinerario, simile all’esemplare conservato nel Museo, in genere provvisto diuna copertura dotata di un condotto libatorio.Altri esempi attestati sono le are funerarie su cui periodicamente si svolgevano iriti funebri, consistenti in una consumazione, in onore del defunto, di bevande ecibi posti in vasi che spesso venivano poi frantumati e abbandonati a terra intornoalla sepoltura. Le aree sepolcrali potevano avere dimensioni variabili, come do-

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museoL’ARTE FUNERARIAE LE SEPOLTURE DI ETA’REPUBBLICANAED IMPERIALE

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Dal Museo alla città

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cumentano i numerosi cippi terminali che assolvevano alla funzione di delimi-tare lo spazio legalmente consentito alla costruzione della tomba; all’interno delrecinto erano accolte, oltre ai monumenti funerari principali dei proprietari, le se-polture di interi nuclei famigliari, dei discendenti, dei liberti e anche degli schiavi.Un’area funeraria in zona era esclusiva pertinenza di un’associazione ed era de-stinata alle sepolture dei propri membri, come testimonia un’epigrafe del I secolod. C. rinvenuta nell’area di San Domenico, dedicata ai magistri Herculanii.Altissima la frequenza di sepolture di liberti a partire dalla fine del I secolo d. C.,attestata dal cospicuo numero di iscrizioni sepolcrali con nomi grecanici ed orien-tali e l’indicazione del patronus, a volte egli stesso un liberto: la sovrabbondanzadi tituli sepolcrali (circa la metà delle iscrizioni rinvenute nel territorio comunale)dedicati a schiavi liberati o comunque con nomi e cariche tipici di tale condizionesi spiega con l’ascesa sociale ed economica di tale classe grazie all’acquisto o co-munque al lavoro di vasti appezzamenti agricoli o allo sfruttamento di attivitàproduttive e al desiderio di supplire all’esclusione dalla vita politica della cittàcon l’autocelebrazione funeraria. L’insistente e frequente menzione nelle iscrizionidel sevirato, l’unica carica accessibile ai liberti, serviva a tramandare la memoriadella loro partecipazione, se pur marginale, alla vita politica della comunità138.Un mutamento radicale nell’aspetto delle necropoli anche a Sora risale adun’epoca successiva al III secolo d. C., quando si diffusero nuovi rituali di sep-pellimento, caratterizzati dal prevalere delle inumazioni sulle cremazioni, e si ela-borarono nuove tipologie di monumenti funerari che divennero caratteristichedelle necropoli tardo-antiche. Da questo periodo divenne sempre più diffuso l’usodi casse e sarcofagi per le deposizioni dei defunti e si svilupparono tipologie fu-nerarie che rispondevano ad un nuovo rito funebre, rivolto principalmente allasfera famigliare e non più teso alla celebrazione del defunto. I frammenti di un sar-cofago marmoreo conservato nel Museo, la notizia di altri ritrovamenti di casse esarcofagi soprattutto nell’area di San Domenico, testimoniano l’evoluzione dei ri-tuali sepolcrali per effetto delle religioni orientali e cristiana.

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Blocchi di architrave - fregi dorici figurati con motivi d’armi

misure del blocco con bucranio, due elementi floreali e gladio(inv. 2039)lunghezza cm 150altezza cm 70spessore cm 51

misure del blocco con schinieri, elmo e scudo(inv. 2031)altezza cm 51lunghezza cm 169spessore cm 50

In questa sala sono esposti due blocchi in calcare locale di architrave decorati dafregi dorici, scoperti nel 1927 in uno scavo occasionale a 3 m di profondità in CorsoVolsci n°6 (anche oggi corrispondente al medesimo palazzo)139, insieme a variomateriale funerario, nel medesimo luogo in cui precedentemente era stata rinve-nuta l’epigrafe funeraria edita in CIL X, 5749, oggi conservata nel Museo140. I bloc-chi, appartenenti allo stesso monumento funerario, sono decorati da una serie dimetope separate da triglifi laterali, in cui appaiono rilievi di vario tipo: un buce-falio (testa taurina) con infula (benda sacra), pronto al sacrificio, un rosone, unamargherita a 12 petali che alludono alle offerte floreali nei riti annuali dei Rosalia141,un gladius (spada a lama corta) con impugnatura a pomello, chiuso nel fodero de-corato e provvisto di cingulum (lacci e cintura per appendere la spada)142, unoscudo semicilindrico con spina centrale, un elmo a calotta emisferica (del tipomontefortino, ornato dal rilievo di una testa di ariete stilizzata e fornito di para-guance e due piccole corna in alto), e due tibiales (schinieri o parastinchi). Per ti-pologia ed apparato figurativo, i reperti risalgono alla fine I secolo a. C., ad unperiodo circoscritto fra il 40 ed il 20 a. C.L’architrave coronava, stuccato e dipinto, un monumento funerario a forma d’al-

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FREGI DORICISPARSA AC DISIECTAMEMBRA

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tare con pulvini (e, tra l’altro, un pulvino è conservato nel Museo) o “a dado”; diquest’ultimo tipo a Sora resta un lato presso la chiesa di San Domenico.Il repertorio ornamentale dei vari fregi dorici – di cui il territorio fornisce numerosiesempi – consiste in fiori e soprattutto armi, in ricordo della consuetudine diesporre le armi provenienti dal bottino di guerra all’ingresso della casa o sullatomba dei personaggi che si erano distinti militarmente. In particolare, i due bloc-chi rappresentano con realismo ed enfasi elementi figurativi che alludono alla con-dizione e al grado militare del defunto e ne permettono la datazione attraversouna classificazione tipologica e tenendo conto del realismo che informa l’arte ro-mana: se il bucefalio (la testa del toro prima di essere immolato) ed i fiori sono sim-boli della pietas e richiamano l’atto del sacrificio e gli onori funebri, le armi – inparticolare i tibiales che proteggevano la gamba dalla caviglia al ginocchio - atten-gono alla sfera della virtus e rivelano che egli fu un ufficiale, forse di quella quartalegione citata nell’iscrizione CIL X, 5713; probabilmente aveva militato nei terri-tori celtici al seguito di Cesare intorno alla metà del I secolo a. C., dato il tipo dielmo rappresentato, e poi era stato richiamato in servizio durante le guerre civili.I monumenti coronati da fregi dorici sono una classe di sepolcri abbastanza dif-fusa nei territori romanizzati: in genere essi presentano una base “a dado”, unasopraelevazione a naìskos oppure una terminazione ad altare con pulvini. Per la ca-pacità di coniugare linearità e modularità, i fregi dorici erano la decorazione piùadatta a tali monumenti. Ad eccezione di pochi esempi, fino alla media età re-pubblicana l’ordine dorico fu ignorato e solo dal II secolo a.C. fu adottato dall’ar-chitettura italica, adeguando i canoni ellenici alle nuove esigenze espressive eoperando la mediazione fra l’arte ellenistica ed il realismo romano, spesso concommistione di altri stili. Dalle guerre di conquista della Grecia in poi, fra la finedella guerra sociale e l’età triumvirale, esso si estese all’uso civile e soprattuttofunerario: il severus mos doricorum ben corrispondeva, infatti, alla linea di rigoremorale e celebrativo voluto dalla propaganda augustea e perciò si impose nel-l’architettura funeraria, per rendere il funus simillimum triumpho e divenendo ilveicolo ideale per temi e messaggi inerenti la vita del defunto e l’ideologia fune-raria. Il fregio dorico si diffuse in area campano-laziale, soprattutto in associa-zione della rappresentazione di armi, tra la fine del I secolo a. C. e i primi anni delI secolo d. C., con lo scopo di celebrare, con il rigore formale di un’arte sobria e ra-

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zionale, la fusione delle virtù romane con le italiche, il rispetto della tradizioneed il senso delle origini comuni, nell’ottica della pacificazione dopo la fine delleguerre civili; per questi motivi, fu espressione del consenso al difficile compro-messo sociale del principato di Augusto nelle regioni maggiormente interessatedal cambiamento politico e simbolo della restaurazione necessaria alla costru-zione dell’Impero di cui Augusto era princeps per designazione divina e per ado-zione143.Le tombe con fregi d’armi appartenevano, infatti, ai soldati in congedo ricom-pensati con la distribuzione agraria, effettuata tra il 42 a. C. ed il 31 a. C.; del resto,della centuriazione condotta con la limitatio Augustea restano tracce su terreno ela notizia nel Liber Coloniarum144; anche l’iscrizione di Firmius (CIL X, 5713, espo-sta nella sala I) e le statue loricate sono ulteriore indizio di una massiccia presenzadi militari.Altri trionfi d’armi sono scolpiti in alcuni fregi continui, senza riquadri, poi reim-piegati nella costruzione dell’abbazia di San Domenico.Numerosi materiali di spoglio della vicina necropoli furono riutilizzati per la co-struzione del monastero di San Domenico nell’XI secolo e, dopo il terremoto del1654, persino della chiesa di Santa Restituta.La pratica del reimpiego di rovine d’età classica, consueta già nell’antichità, era di-venuta abituale nel Medioevo, soprattutto durante la costruzione delle grandi fab-briche abbaziali dell’Ordine benedettino, tra cui l’Abbazia di Montecassino e diSan Domenico a Sora.Edifici funerari furono smantellati e fornirono materiale prezioso per la costru-zione della chiesa: blocchi lisci e modanati, fregi dorici e continui, epigrafi, capi-telli, lacunari, cornici decorate da astragali e scene agresti145, elementi ditrabeazione, sarcofagi. Altri blocchi all’inizio del XX secolo furono utilizzati per lacostruzione della vicina centrale idroelettrica146.I viaggiatori del Grand Tour nei secoli XVIII e XIX subirono il fascino delle rovinecon cui l’Abbazia era stata edificata su quell’insula Fibreni che aveva dato i natalia Marco Tullio Cicerone e che l’oratore e politico romano aveva descritto nel DeLegibus e nelle lettere al fratello Quinto147.Per tali viaggiatori, questo lembo di terra costituiva un perfetto equilibrio tra sto-ria e natura poiché vi era traccia dell’utopia rappresentata dalla Saturnia tellus e

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dall’età dell’oro; in quest’immagine si coniugava il sublime dell’antichità e il pit-toresco del paesaggio, qui ampiamente rappresentati.A ricordo della visita e delle suggestioni letterarie ed archeologiche evocate dalluogo, uno dei tanti viaggiatori del passato, l’inglese Charles Kelsall, descrisse lerovine e fece scolpire nel 1818 una lapide, prima interrata nell’orto della clausuraabbaziale, al confine virtuale dei territori di Sora ed Arpinum, oggi murata nellachiesa di San Domenico sopra la porta d’ingresso alla cripta della chiesa, nell’aladi sinistra; le lettere sono quasi del tutto scomparse e scarsamente intelligibili148.Il testo è il seguente:

Siste viator si tibi placuerunt profueruntqueArpinates chartae venerare incunabulaMarci Tullii Ciceronis et insulam Fibreniubi ipse officiis senatoriis negotiisqueforensibus solutus philosophia sublimiamicorum coetu ruris amoenitateanimum ingentem reficere consuevitCarolus Kelsall Anglusde sua pecuniaMDCCCXVIII

“Fermati, o viandante, se ti piacque e ti giovò venerare le opere, le origini arpinatidi Marco Tullio Cicerone e l’isola del Fibreno dove egli stesso, libero dai doveri po-litici e dagli impegni forensi, fu solito ritemprare il suo grande animo con la su-blime filosofia, l’incontro degli amici e la bellezza della campagna. L’ingleseCharles Kelsall [fece scolpire] a proprie spese nell’anno 1818”.

Anche altri viaggiatori, l’Hoare o il Gregorovius, non mancarono di descrivere lapresenza di rovine antiche, attribuite alla villa di Cicerone, e accesero una diatribaperdurata fino ad oggi149.

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Il fenomeno artistico dei fregi dorici e continui, con rilievi d’armi o fiori, è a Sora ein paesi limitrofi piuttosto diffuso; si riporta di seguito un elenco completo di altrifregi dorici e continui presenti nel territorio sorano150.- Fregio dorico rinvenuto a m 6 di profondità, durante la costruzione dell’argine in-terno del fiume, a 250 m dal ponte San Lorenzo e oggi murato nella facciata dellachiesa di Santa Restituta, in marmo151.- Fregio dorico riutilizzato nella costruzione del monastero annesso alla chiesa diSan Domenico abate, incassato nel lato destro del cortile, raffigurante due elementifloreali. Calcare locale. Misure: lunghezza 69 cm, altezza cm 44, spessore non rile-vabile152.- Fregio dorico riutilizzato nella costruzione della chiesa di San Domenico abate, in-cassato nel lato esterno destro del cortile, raffigurante un rosone. Calcare locale.Misure: lunghezza 70 cm, altezza 53 cm, spessore non rilevabile153.- Fregio dorico riutilizzato nella costruzione della chiesa di San Domenico abate, in-cassato nel lato esterno destro della chiesa, raffigurante una patera ed un elementofloreale. Calcare locale. Misure: lunghezza 79 cm, altezza 69 cm, spessore non rile-vabile154.- Fregio dorico riutilizzato nella costruzione della chiesa di San Domenico abate, in-cassato in posizione capovolta nel lato esterno sinistro in alto, raffigurante un fiored’acanto ed un bucranio. Calcare locale. Misure non rilevabili per l’altezza di po-sizionamento155.- Fregio continuo riutilizzato nella costruzione della chiesa di San Domenico abate,individuabile nella parete destra, raffigurante un elmo crestato ed un’arma di in-certa identificazione (uno spallaccio?). Misure: altezza cm 56, larghezza cm 81,

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spessore non rilevabile156.- Fregio continuo riutilizzato nella costruzione della chiesa di San Domenico abate,individuabile nella parete destra, raffigurante le falerae. Misure: lunghezza 56 cm,al-tezza 72 cm, spessore non rilevabile157.- Fregio continuo riutilizzato nella costruzione della chiesa di San Domenico abate,individuabile nella parete destra, raffigurante due insegne militari. Misure: lun-ghezza 123 cm, altezza 58 cm, spessore non rilevabile158.- Fregio continuo riutilizzato nella costruzione della chiesa di San Domenico abate,individuabile nella parete destra, raffigurante le falerae e l’insegna di aquilifer, dicui resta solo la traccia. Misure: lunghezza 58 cm, altezza 146 cm, spessore non ri-levabile159.- Fregio continuo riutilizzato nella costruzione della chiesa di San Domenico abate,individuabile nella parete destra, raffigurante elementi dell’equipaggiamento mi-litare (hasta, pilum, scutum, lorica, gladius, manica). Misure: lunghezza 52 cm, altezza155 cm, spessore non rilevabile160.- Fregio continuo incassato nella cripta della chiesa di San Domenico abate, raffi-gurante elementi dell’equipaggiamento militare (due schinieri, galea, lorica, parma).Misure: lunghezza 170 cm, altezza 60 cm, spessore non rilevabile161.- Fregio continuo riutilizzato nella costruzione dell’ala destra del monastero an-nesso alla chiesa di San Domenico abate, raffigurante vari elementi floreali su altamodanatura inferiore costituita da una tenia piatta, un listello e due gole. Misure:lunghezza cm 87, altezza cm 57, spessore non rilevabile162.- Fregio continuo individuato in via D’Annunzio, 2 (adiacenze via Napoli). Il bloccoin calcare locale, capovolto in loco e molto corroso, è delimitato in basso ed in altoda una tenia alta cm 6. Da sinistra, nell’ordine, raffigura a forte rilievo un tondeg-giante clipeus, quindi una parma con umbone centrale, sovrapposta leggermente allaprecedente arma, poi un elemento ovoidale non ben identificabile in un preciso og-getto e, in ultimo, una galea provvista di visiera, paranuca e largo paraguancia. Sullasuperficie posteriore, si nota un incavo destinato all’alloggiamento di una grappametallica. Misure: lunghezza cm 141, altezza cm 55, spessore cm 46163.- Fregio dorico riutilizzato, capovolto, nella costruzione del basamento del cam-panile della chiesa cattedrale di Santa Maria assunta, raffigurante tre elementi flo-reali. Calcare locale. Misure: lunghezza 98 cm, altezza 35 cm, spessore cm 50164.

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1. Monumento a dado o ad altare

I fregi dorici esposti sono l’elemento decorativo che tipicamente coronava i mo-numenti funerari a dado o ad altare, costruiti con l’intenzione di celebrare e ve-nerare il defunto ad imitazione delle strutture templari. Di derivazione orientale,tale tipologia ebbe grande diffusione nelle città italiche ma anche nelle provinceromanizzate tra il I secolo a. C. ed il I secolo d. C. e conobbe un progressivo adat-tamento ed evoluzione da forme più semplici a dimensioni imponenti. In effetti,un lato di un grandioso monumento a dado è addossato alla chiesa di San Do-menico, che fu appunto costruita con materiale di spoglio del sepolcreto ed in par-ticolare anche con i blocchi perfettamente lavorati del monumento in esame. Lastruttura è composta da un nucleo in opera cementizia ricoperto da un paramentodi blocchi rettangolari in travertino posti di testa e di taglio e poggia su un podioalto 3 m, visibile dal lato interno del parcheggio e dal prato laterale alla chiesa, chesi innalza da una quota inferiore rispetto al piano di calpestio odierno; al suo in-terno, una camera con volta a botte raggiungibile da un’apertura e da uno strettocorridoio. Sul podio in origine si impostava un parallelepipedo che ospitava lacamera superiore a pianta quadrata, di cui resta il lato di fondo e l’attacco delle pa-reti laterali per una larghezza complessiva di m 7,23. Il monumento doveva esserecoronato da pulvini o acroteri angolari a palmetta, fregi ed elementi architettoniciche conferivano un aspetto assai simile a quello templare165. Nei casi conosciuti inzona e affini per tipologia, la struttura architettonica era caratterizzata da alcunielementi ricorrenti: la scansione della superficie del monumento da lisce parastedi ordine tuscanico, fra cui era inserito lo spazio per la tabula funeraria, o dafigurazioni celebrative che esprimevano il livello sociale del defunto scolpite sul-l’architrave. Altri esempi in zona di elementi architettonici di decorazione e di in-tegrazione della struttura – oltre ai blocchi di architrave con fregi dorici descrittiin seguito - sono il blocco angolare di un monumento funerario, decorato da le-sena sormontata da capitello a sofà con foglia d’acqua centrale, o il blocco con fre-gio dorico raffigurante nella metopa di destra due scudi ovali e, in quella disinistra, un bucranio, riutilizzati nella costruzione della chiesetta di Santo Stefanoa Vicalvi166, oppure la lastra, pertinente ad una struttura tombale, con scena dicombattimento gladiatorio, murata in un’abitazione di Castelliri, o ancora il fre-

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LE TIPOLOGIE DI MONUMENTIATTESTATI NELTERRITORIO

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gio sistemato nell’atrio della chiesa di Santa Maria del Campo ad Alvito167. Altroelemento decorativo di simili monumenti, anche nella versione meno imponentee monumentale, è il busto conservato nella clausura di San Domenico, origina-riamente inserito in una nicchia.

2. Monumento a corpo cilindrico

Una diversa tipologia di monumento funerario trova inedita possibilità di rico-struzione con i materiali rinvenuti durante i lavori di restauro degli anni ’90 ef-fettuati nell’Abbazia di San Domenico, accatastati nel prato antistante il latosinistro della chiesa, e con i blocchi curvilinei e modanati riutilizzati e perfetta-mente adattati alle dimensioni delle absidi della chiesa, pertinenti ad almeno seimonumenti funerari a corpo cilindrico di diversa ampiezza168.Infatti la prima abside, da sinistra, poggia su di una zoccolatura composta da cin-que blocchi modanati, l’abside centrale su nove blocchi, di cui il secondo da sini-stra è scolpito da kyma ionico databile alla fine del I secolo d.C.169, la terza absidesu sei cornici.Nel prato, nei pressi della parete sinistra della chiesa, è sistemato un frammentodel corpo cilindrico di un monumento funerario e sei frammenti della zoccola-tura di un altro.In dettaglio e a titolo esemplificativo, attraverso il rilievo della curvatura dei sin-goli frammenti su cui poggiano le absidi e dei blocchi sistemati nel prato, è pos-sibile ricostruire in via ipotetica la dimensione di almeno sette tombe a piantacircolare che qui sorgevano e che poi hanno fornito ottimo materiale di costru-zione dell’Abbazia. Le tombe cilindriche, differenti per dimensioni e volumetria,risalgono al periodo augusteo e, a giudicare dal kyma ionico e dagli elementi de-corativi datanti, anche al I-II secolo d. C. inoltrato, quando evidentemente il se-polcreto conobbe una fase di ampliamento e ristrutturazione.

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1° monumento: la terza cornice della prima abside da sinistra apparteneva ad unmonumento circolare del diametro di m 3,67;2° monumento: la seconda cornice dell’abside centrale (quello decorato da kymaionico) era parte di un monumento circolare del diametro di m 4,74;3° monumento: la settima dell’abside centrale apparteneva ad una tomba del dia-metro di m 8,30;4° monumento: la quarta cornice della terza abside di destra era parte di unatomba circolare del diametro di m 3,18;5° monumento: i blocchi C,D,E,F,G, alti circa cm 34, sistemati nel prato accanto allachiesa sono pertinenti ad un monumento del diametro di 10,20 m; (v. p. 116)6° monumento: il frammento A, alto cm 55 e spesso cm 25, costituisce invece partedel tamburo di un monumento del diametro di circa m 2,45; (v. p. 116)7° monumento: il frammento B, alto circa cm 33, apparteneva ad una tomba daldiametro di m 8. (v. p. 116)

La tipologia di edificio funerario circolare, ampiamente diffusa tra la seconda metàdel I secolo a.C. ed il I secolo d. C. per influsso del modello costituito dal colossalemausoleo che Augusto fece costruire a Roma ed importato dall’Oriente elleni-stico170, era costituita da uno zoccolo generalmente cubico, da un corpo interme-dio a tamburo dal diametro di dimensioni comprese fra 6 e 18 m, nel quale eranoinseriti l’iscrizione ed eventuali decorazioni, e da una bassa copertura conica. Al-l’interno era ricavata la camera sepolcrale, con pareti movimentate da nicchie perle urne cinerarie e finestre e da altri elementi, anche questi riutilizzati nella co-struzione della chiesa abbaziale, come un blocco rettangolare con lato di base cur-vilineo.Il costo elevato del terreno e della costruzione, della decorazione e del manteni-mento di siffatti monumenti inducono a credere che tra la fine del I secolo a. C. ei due secoli successivi la città conobbe un elevato impulso urbanistico ed econo-mico grazie alla presenza di un ordine politico e di una nuova classe egemone,forse quella creatasi dopo la terza deduzione coloniale del 126 d. C., se tale noti-zia non è priva di fede.m

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Provenienza:ignota; fino al 2000 sistemato nella chiesa di Santa Restituta. Come per altri mate-riali ivi conservati o murati, è possibile la provenienza dall’area di San Dome-nico171.Materiale e stato di conservazione:marmo italico; frammento della lastra frontale e del fondo.Dimensioni:altezza cm 45larghezza massima cm 43larghezza del fondo cm 34,5Datazione: III – IV secolo d. C.

Frammenti della lastra frontale e del fondo della cassa rettangolare di un sarcofagocon strigilature (scanalature a doppia S, come la forma dello strigile, un attrezzousato per la pulizia della pelle) convergenti verso il centro; all’estremità super-stite è rappresentato un pilastrino le cui scanalature sono rese da una doppia seriedi baccellature, sormontata da un capitello a foglie lisce. Al centro doveva trovarsiuna tabula per l’iscrizione funeraria o un clipeo (un tondo) con immagine del de-funto172.Il sarcofago è una tipologia di sepoltura assai diffusa in tarda età imperiale,quando l’inumazione sostituì l’incinerazione, proibita dalle religioni orientali edal Cristianesimo; tale tipologia di sarcofagi, realizzati all’interno di officine dimarmorarii - non attestati in zona -, soddisfaceva una committenza di censo ele-vato. Nel territorio altri esempi, di diversa fattura e decorazione, sono stati docu-mentati in passato173.

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SARCOFAGO

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Iscrizione(inv. 2032)

Provenienza: ignotaMateriale e tecnica di esecuzione:blocco in calcare locale; specchio epigrafico lavorato in piano e riquadrato da unlistello e da una gola rovescia; la restante superficie è lavorata a bocciarda.Misure:altezza cm 62larghezza cm 49spessore cm 42lettere cm 3-5Datazione: II secolo d. C.

D(is) M(anibus)L(ucio) Virio FortunatoViria Fortunata etNatalis parentesfilio pientissimo

“Agli dei Mani, per il devotissimo figlio Lucius Virius Fortunatus [fecero] i geni-tori Viria Fortunata e Natalis.”

L’iscrizione ricorda che la tomba è res religiosa e perciò resa inviolabile dalla tu-tela degli dei Mani (le anime dei morti divinizzate). I genitori dello sfortunato Lu-cius Virius Fortunatus erano di differente condizione sociale ed economica: infattila madre doveva essere di nobili origini perchè ha il gentilizio Viria174, perché pre-cede nella dedica il padre e perchè il figlio assunse il nomen dalla madre; del restoil padre è identificato con un solo nome e perciò è probabile che fosse un servo.Nella seconda linea la F è aplografa, cioè aggiunta successivamente e più alta dellealtre lettere175.m

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ISCRIZIONI FUNERARIE

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Iscrizione(inv. 2027)

Provenienza, modalità di rinvenimento e anno:Sora, tra i materiali di spoglio impiegati nella ricostruzione secentesca della chiesadi Santa Restituta e sistemati negli ambienti della torre campanaria durante la-vori di restauro effettuati nel 1999; come altro materiale qui depositato è probabilela sua provenienza dall’area funeraria romana di San Domenico176.Materiale e tecnica di esecuzione:blocco in calcare locale a base espansa, zoccolatura e cimasa scontornata e moda-nata, coronato da timpano con piccola patera ombelicata centrale; sulle superficilaterali, rilievi di un urceus e di una patera ombelicata.Misure:altezza cm 72larghezza cm 30spessore cm 35lettere alte cm 4Datazione:seconda metà del I secolo d. C.

D(is) M(anibus)Q(uinto) Curtidi[o]ChresimoQ(uintus) Curtidi[us]Primus[-]atri

“Agli dei Mani, Quintus Curtidius Primus [fece] per il padre [o per il fratello] Quin-tus Curtidius Chresimus”

L’ara era posta sulla tomba di Quintus Curtidius Chresimus e rappresentava inscala un monumento funerario del tipo a forma di tempio.Ai lati del blocco sono raffigurati un urceus e una patera, la brocca ad un’ansa e la

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scodella usate per la libagione di miele, vino, latte ed acqua durante i riti funebridei Parentalia (dal 13 al 21 febbraio), dei Rosalia (maggio e giugno) e dei Lemuria(dal 9 al 13 maggio), celebrati nella seconda metà di febbraio, assai simili alleodierne festività dei Defunti. La dedica agli dei Mani serviva ad invocare gli spi-riti dei morti divinizzati a protezione della tomba, divenuta res religiosa, e a ga-ranzia della sua inviolabilità da eventuali manomissioni e profanazioni177.L’epigrafe informa che l’erede Quintus Curtidius Primus fece costruire l’ara perQuintus Curtidius Chresimus, il cui cognomen grecanico Chresimus – attestato anchein un’epigrafe di Via Roma ad Isola del Liri, edita in CIL X, 5696 e in altre iscrizionidi Sora - era in genere diffuso fra schiavi o liberti (ex schiavi) ed i loro discen-denti178. Nell’iscrizione di Isola il Chresimus citato è un sevir Augustalis, una magi-stratura in voga in età augustea ma già in declino alla fine del I secolo d.C., quandopiù difficilmente si trovarono plebei arricchiti desiderosi di fregiarsi di titoli cheportavano un po’ di lustro e grandi spese. Infatti già nella prima metà del II secolod. C. i monumenti di seviri sono quasi scomparsi, Per tutti questi motivi, insiemealla dedica agli dei Mani – in genere indicata proprio nel I-II secolo d.C. – e al fattoche il nome del dedicante sia in nominativo, l’iscrizione risale ad un periodo com-preso fra la fine del I sec. e la prima metà del II secolo d.C.

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Cippo terminale(inv. 2042)

Provenienza, modalità ed anno di rinvenimento:Sora, viale San Domenico (in località Pozzo Pantano, a m 2 di profondità), intornoal 1980.Tecnica di esecuzione e materiale:cippo centinato in calcare locale con zoccolatura grezza per interroMisure:altezza cm 120larghezza cm 43spessore cm 42lettere alte cm 9Datazione: I secolo d. C.

In fr(onte) p(edes) XIII (tredecim)

“[Il lato dell’area sepolcrale] sul fronte stradale [misura] 13 piedi”179

Il cippo serviva a dichiarare l’estensione del recinto funerario di proprietà del de-funto ed eventualmente della sua trasmissibilità ai suoi eredi; esso era interratofino a coprire la zoccolatura grezza e sistemato in corrispondenza del ricettacolodelle ceneri oppure ai quattro angoli di un edificio tombale. L’epigrafe in esameprescrive una larghezza sul fronte stradale di 13 piedi romani, pari a m 3,84;spesso in questo tipo di cippi è indicata anche la misura del lato interno dell’areasepolcrale occupata con la formula in agr(o) p(edes) (in campagna).Il cippo proviene dalla necropoli sorta ai lati dell’asse centuriale di prolunga-mento del decumanus maximus (oggi via Napoli, viale San Domenico e S.S. n° 82della valle del Liri) e costituita da tombe di diversa epoca, fattura, dimensione eimportanza: a cappuccina (un tipo di sepolcro formato da una cassa e da una co-pertura in terracotta), recinti sepolcrali, segnacoli “a pigna” ed imponenti monu-menti funerari a pianta quadrangolare o rotonda abbelliti da fregi180.

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Una lastra riutilizzata nel medioevoMateriale e stato di conservazione:calco di originale in marmo collocato attualmente nella facciata della chiesa diSanta Restituta181. Lastra marmorea opistografa, cioè recante sul recto (il lato conl’iscrizione più recente) l’epigrafe del privilegio di Carlo II d’Angiò del 13 novembre1292 e sul verso (la faccia con epigrafe più antica) di uno dei quattro frammenti un’epi-grafe funeraria del I secolo d.C., sormontata da una modanatura alta cm 10, for-mata da un listello e una gola, con cui si documenta il restauro di un monumentofunerario di Magia, figlia di Lucio182.Misura complessiva della lastra:larghezza cm 207, altezza cm 34; misura dell’epigrafe romana:larghezza cm 105,spessore: cm 7,5, altezza cm 34.L’epigrafe medievale ha lettere alte cm 1,03, in ma-iuscolo lapidario romano con modifiche onciali

[——]ria L(ucii) F(ilia) Magia S[——]cuius refectio

L’iscrizione medievale riporta un privilegio con cui il re Carlo II d’Angiò nel 1292concedeva un provvedimento particolare e un trattamento più favorevole a Sora,proclamando la sua diretta annessione al Regno, sottraendola così al controllo eall’ingordigia del vassallo Jacques de Burson ed esaudendo le vive preghiere deisudditi, stanchi dei suoi soprusi.La collocazione attuale dell’epigrafe rispecchia e conserva nel tempo la centralitàe l’importanza istituzionale e religiosa di piazza Santa Restituta183.

Un’altra lastra era murata, fino al 1999 – anno dei restauri alla chiesa di Santa Re-stituta -, ed ora è conservata nel deposito del museo. Sulla lastra l’iscrizioneA D MCCXXVI (Anno Domini millesimo ducentesimo vigesimo sexto)

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Cippo funerario(inv. 2035)

Provenienza, modalità ed anno di rinvenimento:Sora, viale San Domenico, secolo XIX; trasportato nella Sottoprefettura (oggiMuseo) alla fine del XIX secolo, fu utilizzato nella ricostruzione del palazzo, dopoil terremoto del 1915, come lastra pavimentale e “riscoperto” durante il recente re-stauroMateriale e tecnica di esecuzione:calcare locale, cippo centinato con zoccolatura grezza per interroMisure:altezza cm 114larghezza massima cm 51spessore cm 26lettere alte cm 5 (1ª linea), cm 4 (2 ª e 3 ª linea)Datazione: I secolo d. C.

C(aii) Helvi C(aii) l(iberti)PhiloniciHelvia C(aii) l(iberta) Artimyd<e>collibertade [su]o feci<t>

“[Tomba] di Caius Helvius Philonicus, liberto di Caius.La colliberta Helvia Artimyde, liberta di Caius, fece a proprie spese”184.

Il cippo, originariamente piantato a terra nel sepolcreto esteso nei pressi dell’at-tuale viale San Domenico, segnalava la tomba del liberto Caius Helvius Philonicuse fu scolpito a spese della liberta Helvia, forse sua moglie. Il termine colliberta in-dica che entrambi erano stati al servizio dello stesso padrone, Caius Helvius, cheli aveva emancipati (affrancati).I liberti assumevano il praenomen ed il nomen del patronus, aggiungendo even-tualmente il cognomen, spesso di origine greca o orientale; le liberte, invece, veni-

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ILMUSEO NELMUSEO

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vano chiamate con il nomen del patronus al femminile e con il cognomen.I liberti, dopo l’emancipazione, diventavano liberi e dotati di molti dei diritti diun cittadino romano “ingenuo”, cioè nato libero, pur rimanendo legati all’anticopadrone da motivi di opportunità economica e sociale.

Le altre epigrafi e il materiale architettonico del lapidarium

In questa appendice sono raccolte e documentate quelle epigrafi rinvenute a Sorasoprattutto tra la fine del secolo XVIII e la prima metà del secolo seguente, tra-scritte per visione diretta nel 1876 o grazie a precedenti contatti epistolari con altristudiosi (l’Helbig e il Brunn) e con eruditi locali da Teodoro Mommsen nel X librodel CIL (dal n° 5708 al n° 5778); altre epigrafi furono notate e descritte dagli ispet-tori di zona Salvatore Aurigemma, Antonio De Nino, Giuseppe Fiorelli e Giusti-niano Nicolucci in Notizie Scavi d’Antichità (NSc 1879, 17-18; 1879, 117-119; 1880,391; 1910, 294-312).Delle circa 95 iscrizioni (di cui due rupestri) di cui ebbero notizia gli studiosi, oggisolo 22 sono conservate nel Museo. Non tutte finora hanno trovato spazio nel-l’allestimento e per questo nell’esposizione si è preferito adottare un criterio diesemplarità. Il materiale sistemato nei corridoi e nel deposito è in massima partefunerario e consiste in un pulvino, un cippo a pigna e 13 iscrizioni che provengonodalle aree sepolcrali che si estendevano ai margini delle principali strade d’ac-cesso alla città, nei pressi delle via Sora – Cereatae e Sora-Fregellae (corrispondenteall’attuale S.S. n° 82 della valle del Liri, denominata viale San Domenico e via Na-poli nell’ambito del territorio comunale), Sora-Atina (oggi via Roma e via Sferra-cavallo in sede urbana e S.S. delle Vandre in area extra-comunale), Sora-Antinum(corrispondente all’attuale S.S. n° 82 della valle del Liri, denominata via Marsicanain ambito comunale). Le iscrizioni furono raccolte nel corso della seconda metà delXIX secolo, allorché si tentò di istituire un Antiquarium. Un’iscrizione funeraria,rinvenuta in località Madonna della Quercia in un fondo di proprietà Mobilj Car-rara, fotografata alla fine degli anni ’70 all’interno del palazzo municipale, ogginon risulta reperibile: presumibilmente, anche per le ridotte dimensioni, è statatrafugata185.

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In buona parte le epigrafi funerarie provengono dunque da necropoli costruitesuccessivamente alla seconda colonizzazione (seconda metà del I secolo a. C.) perevidenti necessità di un nuovo ceto dirigenziale che desiderava celebrare la pro-pria dignità con una monumentalità ricercata e corrispondente alla moda archi-tettonica invalsa nel periodo. Più tardi - fra la fine del I sec. d. C. e tutto il secolosuccessivo – i sepolcreti furono utilizzati anche da liberti, le cui tombe sono rico-noscibili dalle epigrafi con cognomina greci ed orientali; probabilmente discen-denti degli schiavi condotti a Sora nell’ambito della colonizzazione della finedell’età repubblicana, riuscirono ad innalzare il proprio status economico e so-ciale grazie alla creazione di imprese agricole e artigianali (tra le epigrafi conser-vate una è dedicata ad un patronus vestiarius, produttore di stoffe, un’altra ad unveterinario) di grande impulso all’economia locale e all’introduzione di cultiorientali.L’altissima ricorrenza di personaggi di condizione libertina nel repertorio epigra-fico non è quindi casuale, ma spiegabile con l’ascesa economica di tale ceto o il ten-tativo di affermare un ruolo sociale e politico marginale.In appendice, è riportata un’iscrizione scolpita sulle finestre del palazzo MobìliCarrara, ben più tarda, presente in allestimento.

Nel complesso, le epigrafi conservate nel Museo sono catalogabili in:1) cippi terminali2) cippi con indicazione confinaria e/o nome del defunto e talvolta del dedicante3) cinerario4) ara o blocco5) sacre6) commemorative/ onorarie7) su un segnacolo di tomba.

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1) I cippi terminaliIn origine essi erano infissi nel suolo fino alla zoccolatura grezza e posti ai quattroangoli del recinto o degli spigoli esterni dell’edificio funerario. I tre cippi conser-vati nel Museo recano il titulus pedaturae, cioè l’indicazione dell’estensione del ter-reno di proprietà destinato alla sepoltura, talvolta acquistato in vita, del defunto edei suoi eredi; le dimensioni sono espresse secondo due parametri consueti, rela-tivamente al fronte della strada (in fronte) su cui di norma si allineavano le tombe,e verso la campagna (in agro), formulate in piedi romani.2) I cippi funerariIl titulus pedaturae può trovarsi anche insieme ad un titulus maior, cioè un’iscrizionenon limitata ad un’indicazione numerica, ma provvista di informazioni onomasti-che sul dedicante e il dedicatario e posta a segnalare un ricettacolo per le ceneriposto sotto terra. I cippi di tale tipologia conservati nel Museo sono cinque.3) Un’iscrizione su blocco cinerarioIl blocco era destinato ad accogliere le ceneri del defunto nominato nell’iscrizione.4) Blocchi e are funerarieOtto iscrizioni sono su are funerarie, utilizzate per svolgere periodicamente i riti fu-nebri della libagione e per segnalare la sepoltura sottostante delle ceneri del defunto;altre sono su blocchi originariamente inseriti in monumenti di più vaste proporzioni.5) Le iscrizioni sacreLe tre epigrafi sacre (Martei, CIL X, 5708 e Minervae) sono ben più antiche, poichérisalgono ad un periodo compreso fra il II ed il I secolo a.C., quando avvenne a piùriprese la sistemazione dell’area sacra del tempio romano, dall’altomedioevo tra-sformato in chiesa cattedrale ed in seguito intitolato a Santa Maria assunta.6) Le iscrizioni commemorative e onorarieLe due iscrizioni edite in CIL X, 5713 e 5714 assolvevano al compito di comme-morare ma anche elogiare l’impegno politico e sociale di due personaggi politicidi spicco, vissuti a distanza di circa un secolo. Una era la base di una statua in pu-blico posita.7) Iscrizione su operculus urnaeUn segnacolo di tomba (comunemente definito cippo “a pigna”).

Cippi, iscrizioni, blocchi, are

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1. Cippo funerario(inv. 2028)

Provenienza, modalità ed anno di rinvenimento:Sora, presso via Marsicana, durante i lavori di sistemazione nel 1980 degli arginidel torrente LacernoMateriale e tecnica di esecuzione:cippo centinato in calcare locale.Dimensioni:altezza cm 105larghezza cm 53spessore cm 34lettere alte cm 5-7Datazione:I secolo d. C.

V(ivus fecit)M(arcus) MarciusM(arci) l(ibertus) Agrippa

Il cippo funerario segnala la tomba di un certo Marcus Marcius Agrippa, liberto diun Marcus Agrippa186. L’espressione vivus (o vivus fecit) significa che l’area sepol-crale fu acquistata e il monumento commissionato da Marcus Marcius Agrippaquando egli era ancora in vita, forse per sfiducia nei confronti degli eredi o nellaperizia del costruttore.

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2. Cippo funerario(inv. 2055)

Provenienza:Sora, località Madonna della Quercia (“rinvenuto in un fondo del signor Mobili Car-rara”), nei pressi dell’antica “via delle tombe” tra Sora ed Atina.Materiale:calcare localeMisure:altezza cm 38larghezza cm 46spessore cm 32lettere alte cm 7 (1ª linea) e 6,5 (2ª e 3ª linea)Datazione:I secolo d. C.

RupiliaeT(iti) l(ibertae) Amaryl(lidi)in fr(onte) p(edes) XVI

“[Monumento funerario] di Rupilia Amaryllis, liberta di Titus [Rupilius]. Sul latodella strada [esso misura] 16 piedi”187.

Il cippo delimita l’area sepolcrale, larga sul fronte stradale circa 5 m. Il cognomenAmaryllis è tipicamente servile e tradisce l’origine greca.

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3. Cippo funerario(inv. 2029)

Provenienza:ignotaMateriale e tecnica di esecuzione:cippo centinato in calcare localeMisure:altezza cm 93larghezza cm 44spessore cm 32lettere alte cm 3-0,7Datazione: prima metà del I secolo d. C.

[—-] ai C(aii) l(iberti)[—-] Rom(ilia tribu)i[n fronte] ped(es) XII

“[Monumento funerario] di Caius, liberto di Caius, della tribù Romilia; [esso mi-sura] sul lato stradale 12 piedi”188.

Il cippo prescrive l’estensione del recinto sepolcrale sul fronte stradale, pari a circa3,5 m.

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4. Cippo funerario(inv. 2044)

Provenienza:ignotaMateriale e tecnica di esecuzione:cippo centinato in calcare localeMisure:altezza cm 116larghezza cm 44spessore cm 45lettere alte cm 5-6Datazione: I secolo d. C.

v(ivus fecit)M(arcus) Septumiu[s]M(arci) l(ibertus) Felixpatronosibi et suis

“[Costruì] da vivo Marcus Septumius Felix, liberto di Marcus, per il patronus, per séed i suoi”189.

Il liberto Marcus Septumius Felix costruì la tomba da vivo non solo per sé ed i suoiparenti, ma anche per il patronus, forse quel Marcus da cui era stato affrancato. Laformula v(ivus fecit) significa che l’area sepolcrale fu acquistata e il monumentocommissionato da Marcus Septumius Felix quando egli era ancora in vita, forseper scarsa fiducia nei confronti degli eredi o nella perizia del costruttore.

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5. Iscrizione funeraria(inv. 2030)

Provenienza:ignotaMateriale e tecnica di esecuzione:blocco centinato in calcare localeMisure:altezza cm 80larghezza cm 50spessore cm 32lettere alte cm 4-5Datazione: I secolo d. C.

L(ucii) Renni[L(ucii)] l(ibertus) ChresimiVIvir(i)[U?]mbeiae (mulieris) l(ibertae)Primigeniae

“[Monumento funerario] del seviro Lucius Rennius Chresimus, liberto di Lucius, edi Umbeia Primigenia, liberta di Umbeia.”

L’iscrizione funeraria attesta la proprietà di un recinto sepolcrale da parte del se-viro Lucius Rennius Chresimus, liberto di Lucius Rennius, e di Umbeia Primigenia, li-berta di Umbeia, forse moglie di Lucius Rennius. La carica di seviro era l’unicaconcessa a chi non fosse di libera nascita. Il liberto, dopo la manomissione, assu-meva il praenomen ed il nomen (gentilizio) del patronus, le donne di nascita servileacquisivano il nomen della patrona. I cognomina Chresimus e Primigenia, oltre ad es-sere tipici nomi di schiavo, sono frequenti in età augustea e tradiscono l’originegreca190.

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6. Ara funeraria(inv. 2031)

Provenienza: ignotaMateriale e tecnica di esecuzione:calcare locale; scontornato da modanatura superiore formata da listello e doppiagola rovescia e dalla modanatura inferiore a gola rovesciaMisure:altezza cm 95larghezza cm 50spessore cm 51altezza lettere cm 3,5-0,7Datazione: II secolo d. C.

D(is) M(anibus)Pacciae Mu+[—-]DonataeM(arcus) Tossius Gal[(eria tribu?)]

“Agli dei Inferi. Per Paccia Munda Donata [fece l’erede] Marcus Tossius della tribùGaleria”191.L’ara fu eretta da Marcus Tossius, forse marito o comunque erede di Paccia Donata,il cui cognomen tradisce l’origine servile.

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7. Iscrizione funeraria(inv. 2059)

Provenienza: dal territorio soranoMateriale: calcare localeMisure:altezza cm 63larghezza cm 41spessore cm 30lettere: 1ª linea: cm 6,5; 2ª linea: cm 6Datazione: I secolo a. C. – inizi I secolo d. C.

L(ucii) Voltili P(ublii) l(iberti)Philoclis

“[Tomba] di Lucius Voltilius Philoclis, liberto di Publius”192.

L’iscrizione è abbastanza antica poiché il liberto non ha lo stesso prenome del pa-drone che lo affrancò193.

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8. Iscrizione funeraria(inv. 2038)

Provenienza: rinvenuta presso la via Vecchia (Sora, viale San Domenico)Materiale e tecnica di esecuzione: cippo centinato in calcare localeMisure:altezza cm 58larghezza cm 53spessore cm 28altezza lettere cm 5- 4,5Datazione: I secolo d. C.

[C(aio)] Naevio C(aii) l(iberto) Antioch[o]patrono vestiario[C(aio) Na]evio C(aii) l(iberto) Antiocho l(iberto)[Is]timiniae P(ubliae) l(ibertae) Secundae[C(aio) N]aevio C(aii) l(iberto) Diogeni conlibe[rtus]Naeviae C(aii) l(ibertae) DorchaeDiogenis libertae

“A Caius Naevius Antiochus, liberto di Caius (Naevius), produttore di stoffe, a CaiusNaevius Anthiocus, liberto di Caius (Naevius), a Istiminia Secunda, liberta di Publia,al conliberto Caius Naevius Diogenes, liberto di Caius (Naevius), a Naevia Dorcha, li-berta di Caius (Naevius), liberta di Diogenes”.

L’iscrizione ricorda la sepoltura collettiva di liberti nella necropoli sorta nei pressidi viale San Domenico e documenta la presenza in zona di un’industria produt-trice di stoffe, di cui Caius Naevius Antiochus era il proprietario o il gestore, magariper conto dell’ex padrone Caius Naevius . Un altro personaggio citato è il collibertoCaius Naevius Diogenes, che insieme a Caius Naevius Antiochus era stato al serviziodello stesso padrone che poi li aveva emancipati (affrancati). Caius Naevius Dio-genes era diventato tanto ricco da potersi permettere una schiava, Naevia Dorcha,che in precedenza era stata al servizio del suo antico padrone194.

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9. Iscrizione funeraria(inv. 2033)

Provenienza: rinvenuta “a 500 passi prima di Sora verso Isola”, insieme alle statueloricate e all’iscrizione edita in CIL X, 5778195.Materiale e tecnica di esecuzione:calcare locale, cippo centinato con zoccolatura grezza per interroMisure:altezza cm 80larghezza cm 42spessore cm 34lettere alte cm 7 (1ª linea), cm 6 (2ª linea)Datazione: I secolo d. C.

C(aii) Arri C(aii) l(iberti)Atti

“[Tomba] di Caius Arrius, liberto di Caius Attius”196.

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10. Iscrizione funeraria(inv. 2024)

Provenienza:Sora, Corso Volsci 6Materiale e tecnica di esecuzione: calcare locale; blocco scontornato da listelloaggettanteMisure:altezza cm 43larghezza cm 91,5spessore cm 45lettere: 1ª linea cm 7,5; 2ª linea cm 7Datazione: fine I secolo a. C.

M(arci) Pomponi M(arci) f(ilii)Menae

“[Tomba] di Marcus Pomponius Mena, figlio di Marcus”197.

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11. Iscrizione funeraria(inv. 2034)

Provenienza:ignotaMisure:altezza cm 58larghezza cm 72spessore cm 39lettere alte cm 11Datazione: fine I secolo a. C.

Valeri M(arci) f(ilii)[Ro]m(ilia tribu)

“[Tomba] di Valerius, figlio di Marcus, della tribù Romilia”198.

L’iscrizione era il titulus di un monumento funerario di vaste proporzioni.L’indicazione della tribù si diffuse dopo la concessione della cittadinanza romana(89 a. C.) e comunque prima del censimento del 70-69 a. C.

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12. Iscrizione funeraria(inv. 2036)

Provenienza: extra portam S. Laurentii in aedicula S. Petri Caelestini (Sora, largo SanLorenzo)Misure:altezza cm 48larghezza cm 89,5spessore cm 63lettere alte nella 1ª linea cm 7,5, nella 2ª cm 6, nella 3ª cm 5,8Datazione: inizi I secolo d. C.

Plotulena[e]C(aii) [l(ibertae)] RufaeC(aius) Pontius Surus d(e) s(uo fecit)

“[Tomba] di Plotulena Rufa, liberta di Caius. Caius Pontius Surus costruì a suespese”199.

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13. Urna cineraria con iscrizione funeraria(inv. 2043)

Provenienza, modalità ed anno di rinvenimento:Sora, chiesa di San Domenico abate, recuperata nel 1814 dal materiale di crollodella torre costruita sul monumento funerario a sinistra della chiesa, insieme al-l’iscrizione edita in CIL X, 5734; entrambi le iscrizioni furono portate nella chiesadi Santa Restituta200.Materiale e tecnica di esecuzione:blocco in calcare locale con incavo a sezione troncoconica nello specchio superioreMisure:diametro dell’incavo cm 32altezza dell’incavo cm 15altezza del blocco cm 46larghezza cm 57spessore cm 54lettere alte cm 7 nella 1ª linea; cm 6 nella 2ª lineaDatazione: inizi del I secolo d.C.

L(ucii) Valeri(i) Q(uinti) f(ilii)Rom(ilia tribu) Nigri

“[Tomba] di Lucius Valerius Niger, figlio di Quintus, della tribù Romilia”201.

L’urna cineraria era una sepoltura diffusa tra il I secolo a. C. ed il II secolo d. C.,quando si preferì la pratica della cremazione all’inumazione: le ceneri del defuntonominato nell’epigrafe erano raccolte in un vaso di terracotta o vetro inserito nellacavità a sezione conica del blocco e sigillato da un coperchio, che poteva essere unasemplice lastra con condotto libatorio indispensabile per i riti funerari della liba-gione (introduzione di una mescolanza di acqua, vino, latte, miele, olio e sanguedelle vittime sacrificali o di cibo). Questo semplice dispositivo era in genere uti-lizzato nel caso di sepolture individuali; nel caso invece di monumenti con se-

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polture plurime era frequente l’uso di disporre intorno all’edificio funerario di-versi condotti per libagioni; in questo modo il liquido non raggiungeva più i sin-goli resti, ma la terra in cui erano contenute le sepolture. Un altro tipo di coperturadi simili cinerari è il blocco a sezione triangolare (con cavità corrispondente aquella della base a cui era fissato da grappe di piombo)202 , oppure uno di queicippi “a pigna” (un segnacolo delle tombe spesso con l’iscrizione OSSA, databiletra la fine del I secolo a. C. ed il I secolo d. C., piuttosto diffuso nel Lazio)203. Al-cuni elementi che concorrono a datare l’iscrizione ad un periodo compreso tra lafine dell’età repubblicana e l’inizio di quella imperiale sono l’indicazione dei trenomi (prenome, nome e soprannome o cognome) insieme al patronimico (figlio diQuintus) e all’annotazione di appartenenza ad una tribù, la Romilia – a cui eraiscritto il territorio sorano in seguito alla concessione della piena cittadinanza ro-mana dopo il 90 a. C. – divenuta obbligatoria per le operazioni di censimento pre-scritte dalla lex Iulia municipalis del 46 a. C.Esempi di copertura di un blocco con cavità sono riconoscibili nel frammento dicoperchio di cinerario con foro centrale per condotto libatorio e nel frammento dilastra di marmo con condotto libatorio in piombo ancora conservato, provenientidalla necropoli di San Giovanni in Compito e conservati nel Museo archeologicodel Compito Don Giorgio Franchini a Savignano sul Rubicone (FC)204.

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14. Cippo “a pigna”

Provenienza, modalità e anno di rinvenimento:Broccostella, lavori di ampliamento della strada statale delle Vandre nel 1980Materiale e tecnica di esecuzione:calcare locale, rilievo decorativo vegetalealtezza cm 70circonferenza alla base cm 140, circonferenza al centro cm 165 (a 25 cm di altezza)Datazione: fine del I secolo a. C. - I secolo d. C.

Segnacolo delle tombe ad incinerazione con rilievo di festone vegetale ed iscri-zione O(ssa), del tipo piuttosto diffuso nel Lazio e rinvenuto anche ad Atina, Isoladel Liri, Casalvieri, Vicalvi, Alvito e San Giovanni Incarico205.

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15. Pulvino d’ara(inv. 2049)

Provenienza ignotaMisure:altezza cm 53larghezza cm 55spessore cm 38Datazione: fine I secolo a. C.- inizi I secolo d. C.

Elemento architettonico di coronamento laterale di un monumento funerario adara, ornato da rilievi di foglie lanceolate206.

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16. Un’iscrizione tardo-cinquecentesca

Sulle cornici delle finestre superstiti del palazzo Mobìli Carrara, distrutto dal ter-remoto del 1915, e ripristinate nel Museo secondo la soluzione originaria, è scol-pita l’iscrizione in lettere capitali di una orazione che si recita dopo la celebrazionedel Vespro e nella Compieta, l’ultimo momento di preghiera della giornata primadel riposo notturno207. L’orazione fu introdotta, sulla base della preghiera Te lucisante terminum attribuita a Sant’Ambrogio e risalente al IV secolo d. C., nel Bre-viario romano riformato e scritto dopo il Concilio di Trento (1545-1563) e diffusodal 1568 da papa Pio V208 . L’epigrafe quindi risale ad un periodo successivo e te-stimonia il fervore religioso della famiglia che fece costruire il palazzo; le corniciin secoli diversi subirono rimaneggiamenti ed integrazioni delle parti perdute orovinate con materiali diversi (sia in arenaria sia in pietra) e, a giudicare dai foripraticati nella superficie, erano stuccate.Accettato come terminus post quem il 1568, esse furono realizzate quindi in un pe-riodo presumibilmente compreso fra l’ultimo trentennio del secolo XVI ed i primianni del secolo XVII e sono espressione, insieme alla costruzione di nuovi edificisacri, all’introduzione del Collegio dei Gesuiti e del Seminario vescovile, del climadi rigore controriformista del tempo invalso anche a Sora.

<ha>bitationem istamvisita Domineet omnes i<n>sidias ini<mi>ci e (?)ab ea longe repel[le]et angeli tui sanctihabitent <in> ea q(ui) n(os) in t(ua) p(ace custodiant)

“Visita, o Signore, codesta abitazione e scacciane tutte le insidie del nemico. I tuoisanti angeli vi abitino per custodirci nella tua pace”.

La preghiera, nel testo liturgico, continuava così: “…et benedictio tua sit super nossemper; per Dominum nostrum Iesum Christum. Amen” (e la tua benedizione sia sem-pre su di noi. Per Cristo nostro signore. Amen).

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I FRAMMENTI DI SAN DOMENICO

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1 Sul carteggio in esame, BERANGER 1983, 5 – 11; sui rinvenimenti ed il materiale raccolto du-rante le ricognizioni, RIZZELLO 1983c, 12 – 44.

2 CANCELLIERI 1976-1977, 71, 72 (foto); TANZILLI 1982, 116-121. Sulla città in generale, COA-RELLI 1982, 229-232, 235-237; BERANGER-FERRACUTI-GULIA 1990.

3 Delibera n°629 del 22/X/1979, con cui si stabiliva di affidare al Centro di Studi Sorani “Vin-cenzo Patriarca” la direzione scientifica, il compito di inventariare e catalogare il materiale su-perstite nonché di redigere un progetto scientifico; un gruppo di studiosi redasse una propostadi progetto scientifico ed effettuò una vasta campagna di ricognizione che assicurò al Museo unfondo di reperti fittili provenienti da varie località del frusinate, poi inventariati e quindi conser-vati in casse sistemate nel magazzino del museo. L’incarico dell’allestimento fu affidato a Gian-franco Cautilli. Il progetto è stato elaborato in più fasi da Gianfranco Cautilli, Mario Morganti eRenato Morganti, autori anche del progetto di riuso del complesso monumentale. Sulle fasi delrestauro e sulle destinazioni d’uso del palazzo, MAGNANI, 165-178; SERAFINI 2005, 67-68; VA-RAGNOLI 2001.

4 Il progetto scientifico è stato redatto dalla scrivente. Nella sala furono esposti l’altare con dedicaarcaica a Marte (inv. 2047-2048), il thesaurus (inv. 2051-2052-2053), il calco del bassorilievo di Er-cole - di cui l’originale è attualmente conservato nella chiesa cattedrale -, l’epigrafe CIL X, 5708(inv. 2026), la base d’appoggio per statua (inv. 2050), i frammenti di antepagmenta, il rivestimentobronzeo del thesaurus, i frammenti di altare modanato, la coppa a vernice nera (inv. 2057), la coppaminiaturistica a vernice nera (inv. 2058), la tegola con bollo (inv. 1482), un frammento di ex voto(inv. 5), un frammento di brocca (inv. 1174), una testina votiva (inv. 2), ex voto (inv. 4, 1171, 1474,1473), due coppette (inv. 1471, 1472), le stele loricate (inv. 2028, 2029), la stele togata (inv. 2030), leepigrafi CIL X, 5713 (inv. 2038) e CIL X, 5714 (inv. 2041).

5 Il progetto, redatto da Alessandra Tanzilli (ambito storico e archeologico dalla preistoria al se-colo XVII), da Gianfranco Cautilli, progettista incaricato, e Mario Morganti (ambito storico-ar-chitettonico dal secolo XVIII al secolo XX), presentato nel giugno 2006, è stato approvato efinanziato dalla Regione Lazio nell’ambito del DOCUP, Agenda 2000, e dal Comune di Sora, perun importo complessivo di circa € 650.000.

6 Sull’aspetto geografico e geomorfologico della valle sorana, TANZILLI 1982, 11; BONI, PA-ROTTO 1969, 177-599; Note illustrative della Carta Geologica d’Italia, Ercolano 1968, in allegato al fo-glio 152 della Carta 1:100.000 dell’IGM.

7 Interventi di bonifica agraria nell’Italia romana, in Atlante tematico di topografia antica, 4, 1995. CON-VENTI 2004.

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NOTE

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8 Sulle origini dell’industrializzazione a Carnello, RIZZELLO 1990d, 131-138. Sul Liri nelle fonti ar-chivistiche, RUGGERI-DE SORBO 2006; sul fiume nelle fonti letterarie, DI FAZIO 1998, 145-154.

9 TANZILLI 1982, 9; RIZZELLO 1998a, 7- 36.

10 Sul fenomeno linguistico, ravvisabile anche nel caso dell’antico nome della Terracina volscaAnxur, formato da anc + sur, RIZZELLO 1994, 5 – 111.

11 PAGANO 1985, 230.

12 Il dipinto, opera del pittore senese Francesco Vanni (1563-1610), è conservato nella chiesa an-nessa al Convento dei Passionisti a Sora. La litografia del Pacichelli, il cabreo e la riproduzionedell’altorilievo a stucco, conservato nel castello Boncompagni di Isola del Liri, sono in PACI-CHELLI 1703, 21; CARBONE 1970, 34, 59;TANZILLI 1982, 12; NICOSIA 1999 e TANZILLI 2004.

13 NICOLUCCI 1863; NICOLUCCI 1867; NICOLUCCI 1869; NICOLUCCI 1870; NICOLUCCI1871; NICOLUCCI 1872a; NICOLUCCI 1872b; NICOLUCCI 1877.

14 CHIAPPELLA 1962; ALONZI 1965; BIDDITTU, CASSOLI, MALPIERI 1967, 321-348. BIDDITTU1967-68, 5-17.

15 Per una sintesi storica e dei rinvenimenti, TANZILLI 1982, 16-31; RIZZELLO 1998a, 7-36; BID-DITTU-SEGRE, 41.

16 BIDDITTU – SEGRE, 55-89.

17 Liv., X, 1, 2: “Sora agri Volsci fuerat”: difatti Sora era l’estremo avamposto dei Volsci al confinedei territori controllati dai Marsi e dai Sanniti.

18 NICOLUCCI 1887, 1; RIZZELLO 1991. Per confronti, GABRICI, 1915, c. 153; CARETTONI 1958-1959, 177; CARETTONI 1965, 131-132; BIDDITTU 1969, 288; RIZZELLO 1991, 68-69, 74-75, fig. 19;FORTINI 1988, 21, 24-25.

19 Sul sepolcreto, NICOLUCCI 1873; NICOLUCCI 1887; CARBONE 1971, 97-98; RIZZELLO 1991,33-139.

20 Ad Alvito, in contrada Noceto, fu rinvenuta una situla al cui interno erano frammenti di arma-ture militari, mentre dalla località Santa Maria del Campo, sempre ad Alvito, proviene un gan-cio per cinturone decorato da palmette ed elementi floreali (RIZZELLO 1996, 10-13).

21 Liv., VII, 27, 7.

22 Liv., VII, 28, 6.

23 Liv., IX, 23, 2: “Sora ad Samnites defecerat interfectis colonis Romanorum”; Diod., XIX, 72, 3. La ci-tazione dell’uccisione di coloni romani in tale anno ha indotto a ritenere che già allora, ben primaquindi della deduzione coloniale del 303, Sora fosse stata colonizzata.

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museo24 Liv., IX, 43, 1; Diod., XX, 80, 1.

25 Liv., IX, 44, 16.

26 Liv., X, 1, 1; Vell. Pat., I, 14, 5.

27 L’indicazione della tribù si diffuse in modo graduale soprattutto dopo il 91 a. C., data d’iniziodella Guerra Sociale e della lotta per la concessione della cittadinanza, e comunque prima delcensimento generale, condotto nel 70-69 a. C.

28 Liv., XXVII, 9, 7 e XXIX, 15, 5.

29 Liv., IX, 24.

30 Liv., IX, 24.

31 Il colle in passato era caratterizzato da un aspetto più alpestre, almeno a giudicare dagli eventi fra-nosi di cui c’è ampia traccia sul lato occidentale del rilievo e soprattutto se si considerano le vastefluitazioni delle emergenze archeologiche (mura, depositi votivi, resti abitativi) in molti altri lati.Anche i numerosi eventi tellurici (i più rovinosi avvennero negli anni 1349, 1654, 1688, 1915) hannocontribuito, se pure parzialmente, a mutare il suo aspetto nel corso dei secoli. Sulle mura e sui la-certi murari superstiti, BERANGER 1981, 39-47, TANZILLI 1982, 51-64. Erroneamente quanto in-spiegabilmente, soprattutto se si ripensa alla dettagliata e inoppugnabile descrizione liviana,MEZZAZAPPA (115) fa risalire la costruzione della cinta muraria alla deduzione del 303 a. C.

32 CRISTOFANI 1992, 20 - 22; AVILIA – BRUTO 1998, 59-72.

33 CONTA HALLER 1978; ORLANDI 2000, 24-30.

34 La descrizione e l’esame dei reperti è in RIZZELLO 1998a, 12 – 15.

35 FERRACUTI 1989.

36 Del rinvenimento dei materiali in oggetto al momento non esiste pubblicazione; chi scrive ebbemodo di poterli visionare per gentile concessione di Federico Bistolfi, un archeologo della dittaautorizzata ad effettuare lo scavo nell’area circoscritta tra il cinema Capitol e l’edificio del Museo.

37 Liv., Epit., 73; App., Samn., I, 14, 182.

38 App., Samn., I, 46, 20; Serv., Ad Aen., 9, 587.

39 Cic., Pro Plancio, 22. La creazione del municipium sorano è, in particolare, attestata dall’iscri-zione sul rivestimento bronzeo del thesaurus, in cui è menzione del quattuorvirato.

40 Lib. Col., I, 237, 18-19; Plin., Naturalis Historia, III, 5, 63. Sull’iscrizione, pp. 51-60; anche nelleiscrizioni CIL X, 5711, 5670 e 5771 è citata la presenza di una colonia a Sora.

41 Si ricorda che la centuriazione era il sistema adottato dai Romani per la divisione delle terre. Un

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agrimensore, il tecnico esperto di misurazione dei campi, tracciava con la groma il percorso didue assi principali, il Kardo Maximus e il Decumanus Maximus, rispettivamente orientati secundumcoelum, cioè N – S ed E – W, e altri cardini e decumani secondari numerati progressivamente daquelli centrali; in questo modo il territorio era ripartito in quadrati, detti centurie (quadrati conlato di 20 actus e contenenti 100 heredia, da cui il nome di centuria) perché divisi tra cento asse-gnatari, a ciascuno dei quali andavano due iugeri, cioè un heredium. Questo schema a reticolo or-togonale era utilizzato non solo per la divisione in lotti omogenei delle campagne, ma anche perla fondazione di città, di colonie e per la costruzione d’accampamenti militari.La centuriazione ha lasciato in molti territori un’impronta che non si è più cancellata. Special-mente nelle regioni pianeggianti, l’impianto stradale e i canali d’irrigazione ancora oggi rical-cano le linee dei cardini e dei decumani tracciati tanti secoli fa.

42Lib. Col., I, 244: “in forma Sorana Starium Virum militem datum a Metellio Nepotem p(raefecto) u(rbis)v(iro) c(larissimo) IIII k(alendis) Aug(ustiis) Marco Antonio triumviros et Ambibalo co(n)s(ulibus).” Suiconferimenti onorifici del titolo di colonia in età imperiale, GRELLE 1972; LAFFI 2007, 35.

43 HOARE 1819, 219-220; AURIGEMMA 1911; TANZILLI 1982, 31 - 39; GELSOMINO 1984, 41-75;RIZZELLO 1985, 23 - 100; NICOSIA 1991;RIZZELLO 1992, 49-71. Resti di una strada glareatasono stati rinvenuti nell’area di piazza Annunziata, nei pressi della chiesetta di San Giuliano(FRASCA 2006, 66).

44 Un’analisi delle fonti archivistiche e una ricerca materiale attenta e approfondita del tracciatodella via Vecchia e del canale è in CONTE 2007, 31-39. Sul rinvenimento dei resti di un doppio la-stricato di grandi pietre massiccie (sic!) lungo via Napoli, LOFFREDO 1911, 576. Riguardo il rinveni-mento di cospicuo materiale epigrafico nell’area della strada fuori della porta di Mezzogiorno,durante la costruzione della Regia strada borbonica in sua sostituzione, PISTILLI 1798, 213; DENINO 1879b, 117-118. Sui rinvenimenti nell’area di San Domenico, la trasformazione della viaVecchia e la costruzione di viale San Domenico,TANZILLI 1982, 64-101 (con bibliografia prece-dente).

45 Sui rinvenimenti nelle vie citate, TANZILLI 1982, 31-39; RIZZELLO 1985, 23-100.

46 La strada è segnalata dal ritrovamento di un ripostiglio di 114 monete a Morrea (AQ), databilifra il 274 ed il 296 d. C.

47 La strada è documentata da numerosi rinvenimenti funerari; all’inizio del IV secolo d. C. risaleil cippo miliario dell’epoca di Massenzio (306-312 d. C.) in granito riutilizzato nella cripta dellachiesa di San Domenico abate, segno che la via a quei tempi conservava una certa importanza.Sull’iscrizione del cippo miliare, AURIGEMMA 1910, 299-301; TANZILLI 1982, 90-94; RIZZELLO1985, 33. Il testo dell’epigrafe è il seguente:Imp(eratori) D(omino) N(ostro) Maxentio sem per Aug(usto)m(ilia passuum) XIIIIII“Per il nostro signore ed imperatore Massenzio, sempre Augusto, 16 mila passi.” La misura in-dicata corrisponde a circa km 24, pari alla distanza fra Sora e Verulae. Presso Fregellae, un’iscrizionerisalente al II secolo d. C., testimonia che in tale periodo la strada era ancora attiva e funzionante;NSc 1885, 321; COARELLI 1979.

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museo48 L’antica via è testimoniata dai numerosi rinvenimenti funerari e, in particolare, dal corredo mo-netale dell’imp. Massimiano (250-310 d. C.) scoperto all’interno di una tomba a cappuccina e dal-l’iscrizione edita in CIL X, 5688. Recentemente, nei pressi del ponte Marmone, durante scaviautorizzati dalla Soprintendenza nell’ambito delle opere di sistemazione del parco fluviale, sonostati rinvenuti basoli della strada romana.

49 La strada romana è attestata dai rinvenimenti di un’ara funeraria del II secolo d. C. (CIL X, 5729)e di una moneta coniata durante l’impero di Alessandro Severo (208-235 d. C.).

50 Il passaggio di una via è documentato da un’ara funeraria, oggi murata all’interno della chiesadi Santa Restituta in località Carnello di Sora, edita in CIL X, 5687, databile al 161 d. C., e dal rac-conto del martirio di Santa Restituta, avvenuto nel II secolo d. C., ripreso più tardi dalla Passio,una composizione attribuibile al primo cinquantennio del IX secolo, con cui si documenta la pra-ticabilità di questa strada anche in epoca altomedievale. Cfr. VERRANDO 1985, 84.

51 Il rinvenimento nei pressi della confluenza del torrente Lacerno nel Liri dell’iscrizione CIL X,5735, oggi nel Museo, e di una tomba in località San Marciano durante la costruzione del nuovoOspedale “SS. Trinità” sono un indizio del passaggio in loco della strada romana (TANZILLI1982, 150-151).

52 Sul rinvenimento nel 1812 di tale epigrafe, AURIGEMMA 1911, 526-527. Su un’epigrafe fune-raria del sevir Aurunculeius e di sua moglie Aurunculeia, ora conservata nella clausura dell’Abba-zia, MOLLE 2006.

53 ASC, fondo Intendenza Borbonica - Bonifiche - “Arginatura al fiume”, Busta 44 – fascicolo 183:“Danni avvenuti all’abitato del Comune di Sora per lo sversamento del fiume Liri – anno 1857”: “…ilponte sulla strada provinciale verso Napoli è stato grandemente danneggiato, perché superato dalle acque,per moltissima estensione. Delle adiacenti campagne è divenuto un lago di melma e di fango, come è purel’interno di questo abitato, e di tutti i terranei.”Lettera del 29 luglio 1858: “… Ne’ giorni 27 e 29 dicembre 1856, il fiume Liri traboccava da’ suoi ripari, efra gli altri danni che produsse vi fu quello del scrollamento di una parte del parapetto del ponte di Napoli, arestaurare il quale parapetto con uffizio 22 agosto 1857, l’Intendente di Terra di Lavoro mi facea tenere vistatodalla Deputazione delle Opere pubbliche provinciali il progetto de’ lavori a farvisi della spesa di ducati 4100.”

54 P. FILIPPO 1974, 11-112, indica nel luogo oggi occupato dalla chiesetta di San Giuliano la cavade’ Gesuiti, da cui furono estratti, smantellando monumenti romani, i materiali con cui furono co-struiti il Collegio dei Gesuiti con annessa chiesa e la porta di Corte. Una veduta del ponte, rea-lizzata nel 1831 da Virginio Vespignani, un artista al seguito di un altro viaggiatore del GrandTour, è in BERANGER 1998b; esso fu raffigurato anche in un dipinto, trafugato durante il se-condo conflitto mondiale ma riprodotto in un fascicolo edito nel 1965 dal Comune di Sora. Sulponte, HOARE 1819, nota 57, 220; GELL 1846, tav. 41; AURIGEMMA 1911, 516-517; BERANGER1981, 60; TANZILLI 1982, 111; RIZZELLO 1985, 41.

55 ASC, fondo Intendenza Borbonica - Bonifiche - “Arginatura al fiume”, Busta 44 – fascicolo 183:Lettera datata 6 giugno 1860 indirizzata all’Intendente:“Nella costruzione della nuova luce al pontesul Liri coi fondi della Provincia, si è chiuso il varco di un condotto che serviva ad incanalare le acque delfiume bisognevoli all’irrigazione di fondi sottostanti, coltivati a granone nella stagione estiva. I proprie-tari ed i coloni non potendo più usufruire di tal beneficio, e vedendo deperire il ricolto di tal genere, muo-vevano di breve le più vive doglianze, che potrebbero esser causa di spiacevoli avvenimenti.” Lettera del

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27 giugno 1860: “Si rende noto all’Intendente del Corpo degli Ingegneri delle acque e strade la riaper-tura di un corpo di irrigazione nel muro nuovo a sinistra, praticandovi un portellone da usarsi solo neltempo dell’irrigazione, e ciò per impedire le (esondazioni?) che si potrebbero produrre al nuovo indicatomuro.”

56 La distruzione del ponte romano-medievale in blocchi di opera quadrata in travertino locale nel1883 avvenne per la sua inadeguatezza strutturale (D’OVIDIO 1899, 214; AURIGEMMA 1911,504; TANZILLI 1982, 36, 140-142). Il ponte era stato descritto da HOARE 1819, 220. Sulla rico-struzione e sulla riutilizzazione dei blocchi superstiti, TANZILLI 1989, 62-68.

57 BERANGER 1991b; CAUTILLI-MORGANTI 1999; ASF: Catasto Gregoriano, Mappa del centrourbano (1876).

58 CANCELLIERI 1977, 57, 70; HOARE 1819, 220.

59 Sulle raffigurazioni della città nella cartografia antica, TANZILLI 1982, 12; NICOSIA 1991, 51;TANZILLI 2004, 20 e 22. Bisogna notare che però la via Vecchia, poi sostituita da viale San Do-menico, dopo San Giuliano raggiungeva il sito oggi occupato da Via Dante Alighieri; la strada,visibilmente ad una quota inferiore rispetto al piano di calpestio della vicina piazza Garibaldi enon in asse con l’antico corso (decumanus maximus), probabilmente ripercorre quel diverticolo dicongiunzione tra la via Vecchia e la strada che conduceva ad Atina. Nella mappa catastale del 1876(ASF), Via Dante Alighieri è denominata Via antica Napoli e appare in linea con la disposizione del-l’antico ponte di Napoli, prima della sua distruzione nel 1878 e la sua ricostruzione a pochi metripiù ad ovest rispetto al sito originario.

60 Alcuni loci della Passio Sanctae Restitutae forniscono preziose indicazioni topografiche sull’in-dividuazione e la posizione del foro della città romana nello spazio che oggi forma piazza Indi-pendenza, presso la quale sorge il tempio romano. Infatti i compagni di martirio di Santa Restitutafurono condotti in locum qui forus dicitur ad antiquissimum phanum (VERRANDO 1985, 25). Delresto, anche l’iscrizione medievale scolpita sul portale della chiesa ricorda che la sua sacra sogliafu funestata dalla morte di una fanciulla ([l]iminibus sacris olim fu[n]ere fedatis v(irg)inis); FERRA-CUTI 1986b, 68-69; sull’iscrizione, PARLATO-ROMANO 1992, 455; TANZILLI 1998, 24-25 e CER-RONE-FERRO 2007, 345–351.

61 Sulla regolarizzazione dell’ansa del Liri, RIZZELLO 1983c, 484-488.

62 Lib. Col., I, 237, 18-19.

63 PALMA 1982, 871-877.

64 Sulla centuriazione della campagna sorana, TANZILLI 1982, 158-160; per l’indagine condottasulle fotografie aeree scattate dalla RAF, SCARDOZZI 2004, 63-71. Per confronti, BRIGHI 1998.

65 Structures agraires 1987, 136-137, fig. 29. Secondo i ricercatori di Besançon la pianura sorana erasuddivisa in maglie quadrate di 15 actus per lato (532,20 m) orientate 35° 40’ verso NO; tale si-stema non avrebbe previsto però l’orientamento sulla base del tracciato del kardo maximus, men-tre altre maglie quadrate sono rintracciabili seguendo il sistema delle centurie con 20 actus di lato.

66 Le grappe erano in piombo poiché tale metallo raggiunge la fusione ad una temperatura infe-

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museoriore rispetto ad altri (340°); il piombo veniva colato direttamente in opera nella cavità predispo-sta; cfr. CAGNANA 2000, 202.

67 La prima campagna di scavi fu avviata dalla Soprintendenza archeologica del Lazio in seguitoal fortuito rinvenimento, nel 1974, durante i lavori di sistemazione della caldaia sottostante la sa-crestia, di un tratto del podio modanato; i risultati furono presentati e pubblicati da ZEVI GAL-LINA 1978 e da MARTA 1982. Successivamente, la seconda campagna di scavi dellaSoprintendenza archeologica del Lazio, nel 1978-79, pose in luce l’area occidentale, scoprendouna seconda struttura templare; i risultati della seconda campagna furono presentati e pubblicatida LOLLI GHETTI-PAGLIARDI 1980.Sul rinvenimento dell’altare, ZEVI GALLINA 1978, 65; AE 1985, 266; CATALLI, SCHEID 1994, 55-65. Il culto di Marte è attestato anche sul colle San Casto, dove fu rinvenuta una testina con elmoa calotta attribuita a Marte in un deposito votivo con materiali databili dal VI secolo a. C.; RIZ-ZELLO 1980, 87 e figg. 309-310; RIZZELLO 1994, 86-89. Il culto, con l’appellativo di Numiternus,è attestato anche ad Atina; (GIUDICI 2006, 47-62).

68 SHOE MERITT 1965, vol. I, 107-108; vol. II, tav. XXVIII, 3. Per l’altare di Verminus, dedicato dalduovir Aulus Postumius Albinus in occasione di un’epidemia di peste a Roma nel 175 a. C., CIL I,(sec. ed.), 804; CIL VI, 3732=31057= ILS 4019= ILLRP 281.

69 MONTI 1991, 29.

70 Un simile altare è stato scoperto a Fregellae (oggi Ceprano), ma anche a Pieve di Socana (Arezzo)e, di recente scoperta, ad Orvieto nell’area di Campo della Fiera, l’antico Fanum Volumnae, grazieagli scavi di Simonetta Stopponi dell’Università di Macerata, risalente alla fase più antica deltempio, quella del V secolo a. C. Per gli altari di Lavinium, GIULIANI 1981, 169-177. È possibileche l’altare sia il rimaneggiamento successivo di un pezzo più antico, come lascia pensare la frat-tura centrale nella fascia dove fu scolpita l’iscrizione e la ricomposizione con la grappa metallica.Sulle grappe a doppia coda di rondine, ADAM 1984, 56-57.

71 SHOE MERITT 1965, vol. I, 90-92; vol. II, tavv. XXV, 2 e LXXVI, 1.

72 Fino agli anni ’90 le monete erano all’interno dei magazzini della Soprintendenza archeologicadel Lazio nei pressi del tempio di Ercole a Tivoli, dove sono state viste e studiate. Chi scrive hatentato di rintracciarle, purtroppo senza fortuna, recandosi nei magazzini. Per l’analisi dei singolipezzi, CATALLI - SCHEID, 55 – 65.

73 Una raccolta di 50 monete potrebbe apparire irrilevante per un santuario tanto importante,anche in considerazione dell’arco cronologico da esse rappresentato (l’emissione più antica è del211 a. C., l’ultima del 39 - 41 d. C.); è plausibile invece ritenere che le monete rinvenute all’in-terno del thesaurus fossero quelle circolanti nel I secolo d. C. - quando forse diminuì la frequenzanel tempio -, che fossero offerte rituali, e quindi puramente simboliche, e che solo periodica-mente le valvae venissero aperte e svuotate. Sul problema della funzione dei thesauri, CATALLI-SCHIED, 64 – 65 e BODEI GIGLIONI 1977, 33-76.

74 Il thesaurus fu rinvenuto a 1,22 m di distanza dal campanile, vicino alla scala e ad una profon-dità di 1,23 m dal piano di calpestio del cortile (ZEVI GALLINA 1978, 65; MARTA 1982, 174-175).Insieme ad altri materiali era stato utilizzato per colmare il piancito su cui furono creati nel 1893alcuni ambienti di comunicazione diretta fra il Seminario e la chiesa, distrutti nel 1944 ma di cui

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resta traccia nel fornice tamponato nella parete meridionale esterna. Cfr. SQUILLA 1957, 32.Il salvadanaio era dunque collocato nell’area più vicina al tempio e all’altare, senza essere inglo-bato al suo interno, onde permettere di versare prima di entrare nel tempio le offerte sacrificali eprobabilmente di praticare l’abluzione nel pozzo lustrale, forse riconoscibile nella profonda ca-vità visibile nei pressi del campanile; nella medesima collocazione è stato rinvenuto quello deltempio di Esculapio a Fregellae. Le modalità di rinvenimento - ad una quota non troppo bassa ri-spetto all’attuale piano di calpestio, anche in considerazione che l’interro è di circa m 3 – sugge-riscono che il thesaurus fosse quasi interamente visibile; giova ricordare che le relazioni di scavosono piuttosto lacunose: ad esempio, nulla si sa sui tempi e le modalità di rinvenimento del ma-teriale mobile o di rivestimento del tempio, tanto che risulta difficile operare a distanza di trentaanni una ricostruzione stratigrafica degli scavi, tanto più utile perché permetterebbe di com-prendere le fasi di costruzione e ristrutturazione del tempio.

75 In Italia sono state individuate in tutto circa venti cassette per le offerte, ma gli esemplari più di-rettamente e tipologicamente confrontabili con quello di Sora sono stati scoperti ad Arpino in loca-lità Sant’Amasio, nel fondo “Morrone Pelato”, all’interno del quale furono rinvenute circa 100monete di bronzo, ma di cui pare restino solo venti (SOGLIANO 1896, 370-371; BODEI GIGLIONI1977, 47 e KAMINSKI 1991, 169); a Fregellae, oggi Ceprano, nel tempio di Esculapio (COARELLI1981; COARELLI 1986, 36); a San Vittore del Lazio (GIANNETTI 1973a); a Pausulae, in località SantaLucia di Morrovalle nel tempio del dio Apollo (ILLRP 49, CORDELLA, CRINITI 1988, 190; KA-MINSKY 1991, 63-181); a Benevento (DEGRASSI 1967, 25-31). Più recentemente esempi direttamenteconfrontabili sono stati rinvenuti ad Ardea in località Le Salzare - Fosso dell’Incastro (DI MARIO2007, 71-73) e ad Anagni. I due thesauri anagnini sono di diversa epoca e realizzazione: il più anticorisale alla piena età repubblicana ed è stato riconosciuto in un frammento di colonna in pietra localerinvenuto nel 1923 durante i lavori di ristrutturazione della chiesa di Sant’Angelo (MAZZOLANI1969; NONNIS 1995, 153-165), l’altro, costituito da due pezzi accostati fra loro con al centro un in-cavo, presumibilmente chiuso in origine da un coperchio litico o forse da un’ogiva e assai simile aquello rinvenuto a Fregellae, è stato recentemente rinvenuto nelle vicinanze della cattedrale durantei lavori di pavimentazione di Piazza Innocenzo III fra l’ottobre del 2003 ed il febbraio del 2004 (GATTI2006). La vicinanza alla cattedrale, sotto cui sono stati individuati resti di mura e di opera quadratadi un tempio, contribuiscono all’identificazione in una cassetta delle offerte.

76 CATALLI - SHEID, 55-65. Sulle offerte, CATALLI 2000, 20-22. Un P(ublius) Caesius Rom(iliatribu) aedilis Sorae, publicanus Romae è menzionato nell’iscrizione edita in CIL V, 976 (LOFFREDO1911, 574). Un Caesius è citato anche nell’iscrizione edita da AURIGEMMA 1910, 295.

77 Le lastre in oggetto dovrebbero essere le antepagmenta di 70 x 65 cm individuate nella secondacampagna di scavi e descritte da LOLLI GHETTI-PAGLIARDI 1980, 177. Per tale tipologia di an-tepagmenta, ANDRÉN 1940, 440, 478, 448.

78 CAGNANA 2000, 89.

79 ANDRÉN 1940, 429, 449, 508; MUZZIOLI 1981, 197-199.

80 Il funzionamento e la tipologia sono raffigurati in RESCIGNO 1998, 31-32.

81 KOCH 1912, 65-67; RESCIGNO 1998, 139, fig. 192, relativo ad un esemplare conservato nelMuseo Campano (inv. P652). Della medesima tipologia sono le antefisse conservate nel Museodella città di Aquino; GIANNETTI 1973, 48, fig. 11; GIANNETTI 1986, 21-24. Le antefisse raffi-

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museoguranti Arthemis Persica, secondo la consueta iconografia che rappresenta la dea di prospetto e subase piatta, con lungo chitone e apotygma stretto sotto il seno, mentre con le braccia distese ed al-largate regge le zampe di due leoni rampanti ai suoi fianchi, sono consuete nel Lazio; per con-fronti, Roma medio repubblicana 1973, 127 n°143; per il tipo, ANDRÉN 1940, 230. Per quantoriguarda la documentazione del culto della dea in zona, si ricorda il rinvenimento di una sta-tuetta raffigurante Diana nella stipe votiva di San Casto (RIZZELLO 1980, 84 e 87).

82 Difatti LOFFREDO 1911, 582 affermava che “…qualcuno ha creduto vedere nei sotterranei di quellafabbrica gli avanzi di un anfiteatro e qualche altro il luogo donde i sacerdoti del dio Sole, cui si vuole fossededicato un tempio ivi esistente, poi convertito in chiesa cristiana, mandavano i loro responsi. Ma certa-mente i molti ruderi di antiche mura e grandi pietre quadrilatere senza cemento connesse fan chiaro indi-zio di grandi sostruzioni ivi un tempo esistenti. E forse, oltre il tempio del Sole, di cui parla la scritta n.44 (?), là dappresso ritrovata, io porto opinione che anche la basilica Cesarea, nominata nella scritta n. 4(CIL X, 5670) , potesse quivi rattrovarsi. E la piazza or detta “nuova” tra cui quell’edificio si eleva, dovevaessere il foro della città, trovandosi così nominata in qualche antica scrittura, ed essendo quasi media fral’attuale e quella parte della città volta a tramontana, dopo le varie distruzioni abbandonata per estendersipiù verso occidente….”In seguito all’incendio del 1916, che distrusse buona parte della chiesa e dei suoi arredi, venne allaluce il magnifico portale a racemi con iscrizione sui listelli inferiore e superiore, in cui – tra l’al-tro – si legge che “l’arco fu innalzato per ordine di Roffrido sulle soglie sacre profanate dall’ucci-sione di una vergine”, che si suole identificare con Santa Restituta, patrona di Sora; sullaquestione, VERRANDO 1985, 77-98. Del resto, nel 1961, durante lavori di pavimentazione dellachiesa cattedrale, era stato portato alla luce il lastricato del tempio (SQUILLA 1971, 51), oggi par-zialmente individuabile solo all’esterno, e cioè in quei blocchi posti sopra il podio nel lato meri-dionale o in quelli inglobati nella tessitura muraria della cortina settentrionale.

83 La chiesa cattedrale, inizialmente dedicata a Santa Maria e a San Pietro, era in origine più pic-cola, aveva la facciata a capanna interrotta da tre portali ad arco, di cui il centrale più ampio, men-tre l’interno era illuminato da tre monofore aperte sui lati lunghi e da una su quello frontale. Lachiesa fu incendiata nel 1103 durante l’occupazione normanna, ma fu restaurata ed ampliata diben 8 metri, come avverte l’iscrizione latina del portale. Il papa Adriano IV riconsacrò la chiesa,che nei documenti del tempo appare dedicata solo a Santa Maria Assunta in cielo, il 9 ottobre1155.Dopo le distruzioni del 1156 e del 1229, l’edificio fu nuovamente restaurato: restano della fase ro-manica un leone stiloforo, un capitello ed una cornice con tralci d’edera. Alla fine del XIII secolofu costruito il campanile, più basso di un piano dell’attuale: la campana più antica risale al 1321,mentre sono del secolo XV il trittico del Salvatore, oggi nella cappella del Purgatorio, e l’affrescodi Madonna in gloria, nella lunetta ricavata sopra la porta interna del lato meridionale dellachiesa.Nel secolo XVI l’edificio conobbe un periodo di decadenza: la parete settentrionale fu inglobatanella linea difensiva dopo l’ampliamento della cinta muraria e la costruzione del torrione a guar-dia della porta degli Abruzzi, ma dal ‘600 in poi pregevoli arredi sacri, restauri ed ampliamentine modificarono l’originario aspetto: si aggiunsero al primitivo edificio la sacrestia, il battistero,il Coro d’Inverno, la cappella del Purgatorio, il portale del lato meridionale. L’edificio assunse icaratteri tardo-barocchi che mantenne fino al 1916, quando un incendio lo distrusse parzialmente;il restauro diretto dall’ing. arch. Paolo Cassinis ripristinò l’antico rigore architettonico ispiratoallo stile gotico-cistercense mutuato dalle vicine chiese di San Domenico e dell’Abbazia di Fos-sanova. Il restauro condotto alla fine degli anni ‘70 dall’ing. Roberto Marta, in concomitanza con

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la prima campagna di scavo, ha messo in evidenza tutte le fasi architettoniche della chiesa an-notando le monofore murate per l’allungamento del pronao, evidenziando le peculiari caratteri-stiche costruttive dei diversi periodi come il podio e, in particolare, la tessitura muraria visibiledietro l’altare e nel lato settentrionale esterno, le monofore del primo impianto medievale, al finedi conservare una memoria eloquente e sintetica di epoche e stili che, pur lontani nel tempo,hanno la stessa dignità di memoria.

84 Le dimensioni del presbiterio hanno conservato il rapporto tra cella maggiore e larghezza to-tale (4/10) prescritto dall’architettura romana e peculiare dei capitolia; cfr. De Arch., I, 7, 1.

85 Le opere di sostruzione erano state viste nel palazzo di via XI Febbraio (MANCINI 1865, 205;RIZZELLO 1991b).

86 Il tempio della colonia latina di Aesernia è, come l’omologa struttura di Sora, ancora in situ e lasua struttura è per planimetria coerente con la costruzione della chiesa cattedrale; il podio ha lastessa sagoma dei templi di Sora, di Ardea in contrada Casalinaccio, di Villa San Silvestro pressoCascia, costruito nel 290 a. C., e degli altari di Lavinium, ben più antichi; per la tipologia del tem-pio di Isernia, ZEVI GALLINA 1981, 101-104; TERZANI 1989; MARASCO, DE ROSE, PAONE,CATALANO, MORRA 2000, 17 – 42. In particolare, sulle modanature dei templi di Isernia e VillaSan Silvestro, SHOE MERITT 1965, vol. I, 90, 91 (figg. 18 e 19), 92; nel vol. II, tavole XXV, 5 eLXXVI, 1; EDLUND-BERRY 2008, 443, fig. 7.

87 De Arch., IV, 6.

88 Sull’identificazione della tipologia del tempio, sulla base della posizione delle colonne e del-l’ipotesi del fronte, RIZZELLO 1986, 47-63.

89 Nella sacrestia e in uno dei magazzini del complesso sacro sono conservati inoltre alcuni fram-menti di ceramica invetriata di età post-medievale, un frammento di pluteo decorato da nastriviminei, frammenti di ceramica campana “B” a vernice nera; nel medesimo luogo sono conser-vati i materiali provenienti dal saggio di scavo d’emergenza di via Ravo, e cioè un’anfora fram-mentata e ricomposta, frammenti di ceramica sigillata, buccheroide e campana, frammenti diintonaco decorato da modanature e guttae, per la cui descrizione si rimanda a TANZILLI 2006,15-21.

90 Sulla descrizione delle fasi dello scavo e dei rinvenimenti, LOLLI GHETTI-PAGLIARDI 1980,177-179.

91 CIL X, 5708; HENZEN 1845, 71-80; PANCIERA 1967, 57; SOLIN 1981, 57-58. LOMMATZCH1918, 630, n. 1531, afferma che l’epigrafe sacra fu rinvenuta a ½ Km fuori la città, ai piedi del monteS. Casto alla Rava rossa; i Sorani raccontarono al Mommsen che era stata conservata a cura del canonicoTommaso Lanna. Si trova nel giardino della chiesa di S. Restituta, e davanti a questa è situata una grandeclava, trovata molto prima dell’epigrafe, ma forse del medesimo sacrario. Sui dubbi circa la provenienzadell’ara votiva, TANZILLI 2006, 15, nota 1; difficilmente reperti come l’ara votiva e soprattutto unastatua alta almeno tre metri, a giudicare dalle dimensioni del frammento di sostegno (la clava),avrebbero potuto trovare una consona collocazione in un sito così impervio e poco frequentatocome la Rava rossa. Come in altri simili casi, la cena herculanea - il pollouctum offerto al popolomenzionato nell’epigrafe - era imbandita presso un altare del semidio, posto generalmente nel

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museoforum pecuarium. Anche dalla vicina Alba Fucens – anch’essa colonia nel 303 a. C. - proviene labase di donario con iscrizione dedicatoria ad Ercole (CIL IX, 3907), oggi conservata nell’Anti-quarium di Avezzano (CATALLI 1998, 17). Prima del recente restauro, il blocco - spezzato in duein due frammenti – era stato ricomposto con mastice; l’intervento però non aveva intaccato lospecchio epigrafico, tanto da risultare perfettamente e quasi integralmente leggibile. Invece l’in-tervento condotto nel biennio 1999-2000 ha irreparabilmente e sciaguratamente abraso buonaparte della metà inferiore dell’iscrizione, come risulta dalla comparazione con la lettura offerta dalMommsen e con la documentazione fotografica in TANZILLI 1982, 145.

92 Sull’epigrafe dei magistri Herculanii, AURIGEMMA 1910, 294-298. Erroneamente MEZZA-ZAPPA 2003, 106, afferma che tale iscrizione sarebbe quella edita in CIL X, 5708, confondendo ledue iscrizioni ed i luoghi di rinvenimento.

93 La tradizione dei bronzetti figurati in ambiente preromano aveva diffusione cultuale e vo-tiva,mentre in età romana, oltre che funzione cultuale (spesso le statuette erano conservate nei la-rari per il culto domestico), anche decorativa. Dal territorio di Alvito provengono dieci bronzetti(di cui cinque scoperti in località Santa Maria del Campo), poi conservati nella collezione Graziani;per tale repertorio, RIZZELLO 1996, 10-13; a Sora è documentata un’importante collezione di Erco-letti di bronzo, vista da Achille Lauri nel palazzo di Carlo Tuzi e poi trafugata (LAURI 1957, 21).Un bronzetto di Ercole in assalto proviene dal vallone del Lacerno (RIZZELLO 1989, 138-139). Ladiffusione del culto del semidio è testimoniata da Dionigi d’Alicarnasso (I, 40, 6), secondo cuiogni città aveva luoghi di culto dedicati al semidio; del resto, Livio (IX, 44) ricorda che a molte co-lonie latine e romane furono donati simulacri di Ercole.

94 La lastra è stata rinvenuta durante lavori occasionali nella sacrestia (RIZZELLO 1990, 25) ed èpertinente ad una fase di ristrutturazione più tarda, quando ai rivestimenti ed ai materiali archi-tettonici fittili si sostituirono quelli in marmo o in pietra.

95 L’iscrizione funeraria, su un blocco in calcare locale, si trova nei pressi della chiesa di San Gio-vanni Battista, in via Cittadella n°42 ed è inserita in una parasta di Palazzo Branca. Nell’epigrafe,databile al I secolo d. C., si legge P(ublius?) Vertuleius Filodam(us) Q(uintus) Proculeius Q(uinti)l(ibertus) Hilarus S(ibi) et suis [fecit]. (SOLIN 1981, 54-55;TANZILLI 1982, fig. 110, 113). Anche inun’iscrizione funeraria su lastra in marmo lunense, formata da quattro frammenti ricomposti,conservata nella clausura del Monastero della chiesa e risalente al I secolo d. C., è attestato un Hi-larus; il testo è il seguente: [—-] A ++ [—-][—-]s C(aii) (et) L(ucii) l(ibertus) Hilarus + [—-], cioè “Hi-larus, liberto di Caius e Lucius, [fece]” (SOLIN 1981, 53). Il nomen Vertuleius è più voltedocumentato nelle epigrafi sorane (CIL X, 5708; AURIGEMMA 1910, 294-298 e 302).

96 Sull’elogio di Scipione Barbato, ZEVI 1970, 63-73.

97 Liv., IX, 44.

98 Sui rinvenimenti di bronzetti a Sora, LAURI 1957, 21; AURIGEMMA 1910, 296; RIZZELLO 1980,84, 87 (nota 8); su un bronzetto votivo rinvenuto in una vicina località, RIZZELLO 1990a, 138-139.

99 Sui repertori ceramici di tipo votivo provenienti da alcuni depositi dei santuari del Lazio me-ridionale, cfr. RIZZELLO 1980, 58-70, 13-54 e RIZZELLO 1998b, 41-78; ONORATI 1993, 113-118;FERREA –PINNA 1986, 89-144; BAGGIERI-RINALDI 1999, 110. Sul fenomeno degli ex voto e la

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loro diffusione nella valle di Comino, ORLANDI, MORELLO 2000. Sulle stipi votive in area ro-mana confrontabili con quelle del Lazio meridionale, Roma medio repubblicana 1973, 138.

100 Sui rinvenimenti, frutto di campagne di ricognizioni e di donazioni, RIZZELLO 1983a, 16-17.

101 Testa muliebre velata con tunica e tenia (inv.1473), frammentata in basso a destra e sul retro, nasoscheggiato; altezza cm 20,5; in argilla color salmone – bruno chiaro, scagliette di mica nera, pi-rosseni e granuli di carbonato nell’impasto; interno vuoto. Cfr.RIZZELLO 1983b, 16. Riguardoesempi simili per tipologia di realizzazione e dimensioni, Roma medio repubblicana 1973, 166-167e fig. 226 della tav. XLI; 318, n° 469, tav. LXXI; STUART JONES 1922, 306, n. 8, tav. 119.

102 A Fosso del Medico è documentata l’esistenza in antico di una struttura templare per la pre-senza in situ di rocchi di colonne, capitelli e blocchi (RIZZELLO 1980, 73-83; RIZZELLO 1983a,19-20). A Pescarola, presso sorgenti d’acqua sulfurea, furono costruiti in epoche diverse un san-tuario dedicato alla dea Mefite, assimilata più tardi a Venere, terme e una necropoli, attivi fra ilVII ed il I secolo a. C. Il materiale ceramico e bronzeo qui rinvenuto durante occasionali ricogni-zioni e conservato nel Museo di Sora, confrontabile con gli ex voto della valle d’Ansanto e diCanneto, consiste essenzialmente in materiale votivo (testine muliebri, votivi anatomici), monetee un’arma minaturistica (inv. 640), per cui cfr. RIZZELLO 1980, 93 e RIZZELLO 1983a, 17-19. Di-mensioni dei reperti: utero (inv. 11) altezza cm 8, frammentario sul lato, in argilla color salmone-rossiccio con intrusione di pirosseni, interno vuoto e concavo, per cui RIZZELLO 1980, 153, n°15;fegato o rene (inv. 1171) in argilla rossiccia con intrusioni silicee, largo cm 6,3, frammentario e ri-composto, retro piatto, per cui RIZZELLO 1980, 152; RIZZELLO 1983, 20; RIZZELLO 1998, 54. Te-stina muliebre velata (inv. 1): altezza cm 4,6, argilla depurata, interno pieno (RIZZELLO 1980,153, n° 1); testa muliebre (inv. 1474): altezza cm 9,4, lavorazione “a maschera”, argilla color sal-mone, con pochi granuli di carbonato, scaglie di mica nera, pirosseni (RIZZELLO 1983, 16).

103 Sui rinvenimenti in tali località, RIZZELLO 1983a, 21-24 e RIZZELLO 1983a, 12-15.

104 Sui rinvenimenti di Pescosolido, effettuati occasionalmente da Stefano Guadagni e DomenicoCicchinelli in loc. San Pietro, posta al di sopra della fonte Chiarenzo, RIZZELLO 1985, 93; sulleceramiche di Sant’Amasio, RIZZELLO 1980, 73-75; RIZZELLO 1983, 16.

105 Per la ceramica qui esposta, si possono instaurare diretti confronti con gli esempi scoperti aFregellae e ad Aquinum; cfr. NICOSIA 1976, 5-64; NICOSIA 1979, 23-41; MALANDRINO 1990, 16-32. In particolare, per la coppetta rinvenuta a Sant’Amasio (inv. 1471, del diametro di cm 9,8) siindividua il tipo Morel 2744 c1 (MOREL 1981a, 216, pl. 69) risalente alla seconda metà del III se-colo a. C.- II secolo a. C.; la coppetta (inv. 1472, diametro di cm 9,8) rinvenuta a Sant’Amasio, èdi tipo Morel 1623 a1, databile al II secolo a. C.; la coppa di San Pietro (inv. 2057, del diametro dicm 13,4 ed un’altezza di cm 5,5) è di tipo Morel 2765 a1, risalente alla metà del III secolo a. C., econfrontabile con l’esempio analizzato da NICOSIA 1976, tav. IV, n°63, 44; nella coppa miniatu-ristica di San Pietro (inv. 2058, diametro cm 9,4, altezza cm 4) si individua il tipo Morel 1571 c1,con confronti locali con l’esempio vascolare offerto da NICOSIA 1976, tav. VI, n° 126, 62.

106 MOREL 1981a, 244. MOREL 1981b, 81-96.

107 LAMBOGLIA 1952, 182.

108 RIZZELLO 1980, 73-85; RIZZELLO 1983a, 16-17.

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museo109 Sul sito, DE NINO 1879b, 119; BERANGER 1979, 53; RIZZELLO 1986b, 4-8; BERANGER 1998,238; sul culto di Silvano, DORCEY 1992, 88-104; sulle iscrizioni, SOLIN 1981, 58; SOLIN-KAJAVA1992, 357-362. Si ricorda che, secondo quanto trádito, in tale località furono rinvenute l’iscrizioneedita in CIL X, 5708 e la base d’appoggio (la clava), più verosimilmente provenienti dall’area dellaCattedrale.

110 RIZZELLO 1986 b, 9-12.

111 RIZZELLO 1980, 55- 57; RIZZELLO 1986 b, 14-17; RIZZELLO 1994, 103 – 109; sull’iscrizione,BERANGER 1979, 53-58; DEGRASSI 1969, p. 59 sgg.; DEGRASSI 1971, 135-139; GIANNETTI1982, p. 24 sgg.; KAJAVA, ARONEN, SOLIN 1989, 103 – 109; SOLIN –KAJAVA 1992, 365-369,n°17. L’iscrizione si trova nei pressi del confine tracciato tra lo Stato Pontificio ed il Regno delleDue Sicilie, tra le due colonne confinarie n° 179 e 180.

112 Plin., Nat. Hist., XXXIV, 18.

113 Plin., Nat. Hist., XXXV, 4.

114 Fino al 1999 la testa era sistemata sulla stele togata, a sua volta poggiata sul capitello corin-zieggiante figurato, nel cortile dell’edificio scolastico di via Napoli, oggi sede decentrata del-l’Università di Cassino. Nel vicino porticato era depositata anche l’iscrizione CIL X, 5708.

115 Per esempi affini, le stele togate di Venafro (DIEBNER 1979, 104-105, tavole VF 2-3 di pag. 210-211 e tavola IS 2); appare simile anche alla statua in calcare (altezza m 1,53, priva della testa, dellamano sinistra e della parte inferiore delle gambe a partire dalle ginocchia) conservata presso i Ci-vici Musei di Udine, casualmente venuta alla luce nel 1935 nell’isola di Sant’Andrea dove, forse,era stata reimpiegata nella costruzione del porto romano. Sono inoltre individuabili affinità ti-pologiche e contestuali con i togati (statue identificate con i numeri 11 109 e 11 110) rinvenuti du-rante gli scavi al Seminario di Mantova; cfr. TAMASSIA 1976, 126-134; TAMASSIA 1980, 137-155;BOSI 1983, 97-115. Si possono inoltre instaurare confronti con il togato di Maccaretolo; a tal pro-posito, NEGRETTO 2005, 161-198. Il busto togato da nicchia di Sora (altezza cm 57, larghezza allabase cm 50, spessore massimo cm 19) è attualmente conservato in un locale interno della Clau-sura del complesso abbaziale di San Domenico; in un altro locale contiguo sono conservati i se-guenti materiali inediti: n° 12 tubuli di dimensioni omogenee (cm 50 circa), una semicolonnascanalata su base modanata (61 cm di altezza, cm 35 il diametro del fusto), una base di colon-netta medievale, un frammento con rilievo floreale di età medievale, assai simile alla lavorazionenel retro dello stemma con giglio esposto nel museo e con un frammento incassato in una pareteinterna della chiesa di San Domenico, con piccoli fori per l’inserimento di stucco. Un frammentodi stele togata femminile, più tarda a giudicare dall’acconciatura a chioccioline, è attualmenteconservata nel cortile del castello Boncompagni di Isola del Liri (RIZZELLO 1985, 94, foto 33).

116 Plin., Nat.Hist., III, 63; Lib. Col., 237, 17-19. Certamente Sora fu una colonia “storica”, creata cioèdopo l’accordo di Bologna del 43 a. C.; infatti, nell’elenco fornito da Plinio in genere l’appellativogiuridico precede il nome in quelle città dove avvenne una deduzione coloniale in età triumvi-rale o postaziaca. LAFFI 2007, 119-125.

117 HOARE 1819, 220; ROMANELLI 1819, 366; TUZI 1727, cap. I; LISI 1728; CIL X, 5713 = ILS,2226=ILLRP, 498 a; DEGRASSI 1962, 90-91; SOLIN 1981, 58-59; TANZILLI 1982, 126; KEPPIE 1983,136.

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118 Per questo motivo, l’aggettivo prim(o) in quinta linea non andrebbe riferito a pontific(i), ma alsostantivo precedente quattuorvir(o) i(ure) d(icundo) in terza linea; in tal modo l’epigrafe andrebbecosì tradotta: “a Lucius Firmius, figlio di Lucius, primípilo, tribuno dei soldati, quattuorvir giuri-sdicente del municipio e primo quattuorvir anche della colonia dedotta, pontifex, la quarta legionesorana a titolo di onore e valore”; secondo tale lettura, quindi, Firmius mantenne un ruolo diprimo piano sia prima che dopo la fondazione coloniale. Probabilmente Sora mantenne l’ordi-namento quattuorvirale anche nel successivo status coloniale; solo successivamente al quattuor-virato subentrò il duovirato, come si evince dalle iscrizioni CIL X, 5670 (per cui SHERK 1970,n°46) e CIL X, 5714. Sulla diversa lettura, LAFFI 2007, 55, 130, 132-134, 145.

119 LAFFI 2007, 130, 145.

120 VERMEULE 1959; VERMEULE 1978; VERMEULE 1980. Vedasi il trofeo monumentale prove-niente dagli horti Sallustiani (TALAMO 2008), la statua loricata di età traianea in marmo tasio rin-venuta negli scavi del Governatorato nel foro di Traiano e quella in porfido rosso conservata aBologna nella sede della Banca di Roma, acquistata ad un’asta di Christie’s a Roma, la statua lo-ricata di Brindisi risalente al I-II secolo d. C. (LAURENZI 2008). Un simile esempio è descritto daFORLATI TAMARO 1965, 191 – 195.

121 Il luogo attuale di conservazione è la sala per le conferenze al primo piano della preposituradella chiesa di Santa Restituta. Le misure del capitello figurato con gorgoneìon su lesena scanalatasono: altezza cm 62, larghezza massima cm 45, larghezza della lesena cm 42, spessore cm 21. Ledecorazioni con testa di medusa non sono infrequenti in monumenti funerari, come nel caso deifregi scolpiti nei pulvini della tomba ad altare di Barbona e nel rilievo di trapezoforo che incor-nicia il monumento di Caius Menius Bassus sulla via Valeria a Tivoli (HESBERG 1994, 199, 204, fig.141) ma anche nel rilievo figurato con armi dai Mercati di Traiano (UNGARO 2008).

122 Plin., Nat.Hist., XXXIV, 18.

123 TANZILLI 2006, 15-21.

124 BIANCHI-MATTHIAS-COLETTA 2003, 43, 54 (fig. 30).

125 NICOLUCCI 1880, 390-391. Il Loffredo (LOFFREDO 1911, 576) riferisce che ai suoi tempi ilpezzo era sistemato nella piazza Santa Restituta e fungeva da piedistallo alla statua togata attri-buita a Servilio Barea. L’Autore afferma che il pezzo in questione “…vuolsi appartenesse al grantempio di Serapide, che nella leggenda di S. Giuliano Martire, dicesi crollasse … il giorno del martirio diLui…” e che con i materiali di spoglio di tale edificio si fabbricò “…il Palazzo Gesuitico, e la portadetta di Corte, sul ponte di Sud-ovest…”. Sulla spoliazione dell’edificio tradizionalmente identificatoin un Serapeo, TUZI 1727, 236; LISI 1728, 118; P. FILIPPO 1974, 111-112; TANZILLI 1982, 101-104;RIZZELLO 1984, 22-23.In seguito il capitello fu collocato nell’atrio dell’edificio scolastico di via Napoli, oggi sede delPolo universitario, a sorreggere la stele di togato con la testa virile, dove è rimasto fino al 1999. Ilcapitello dell’atrio del Vescovado, ancora spezzato, è stato fotografato nel 1981 (negativo 32-38.VW 81, Fototeca dell’Istituto Archeologico Germanico). E’ altamente probabile che i materialiappartengano ad un contesto funerario di II – III secolo d. C. e che siano pertinenti ad un impo-nente mausoleo, sorto all’incrocio della via principale con la strada per Arpinum che attraversaval’area su cui oggi sorge la cappella di San Giuliano – costruita anche con blocchi modanati di più

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museomodeste dimensioni - ed un tempo occupata dall’opificio Tomassi. I materiali di tale edificio fu-nerario furono poi rilavorati e parzialmente riutilizzati nel ‘600 e all’inizio del ‘700 per la costru-zione del palazzo dei Gesuiti (oggi sede del Municipio) e della settecentesca porta di Cortecommissionati dai Boncompagni. I reperti scoperti nei pressi del ponte di Napoli (NICOLUCCI1880, 391) sono dunque da porre in relazione con gli undici blocchi, prodigiosamente scoperti eora conservati nel magazzino comunale di località Santa Rosalia, nella cui piazzola antistanteerano altrettanto miracolosamente apparsi nella notte del 26 settembre 2001 e che, con ogni pro-babilità, erano provenienti dall’area di San Giuliano.

126 CIL X, 5714=ILS, 6290; SOLIN 1981, 59;TANZILLI 1982, 117.

127 MOMMSEN 1846, 42-45.

128 ANTICO GALLINA 1997, 208. Sui decurioni, MANCINI G., s.v. Decuriones, in Diz. Ep., vol. II,2, 1539-1541. Da ricordare che le lapidi e le statue erette dai privati cittadini per onorare perso-naggi illustri o lasciare memoria di sé erano considerate proprietà privata, ma vincolate all’usopubblico. Queste norme di tutela dei monumenti, sia pubblici che privati, facevano parte delleleggi urbanistiche estese a tutto il territorio dell’Impero. Fornisce un’attenta lettura ed una ri-flessione approfondita dell’epigrafe GELSOMINO 1985, 67-70.

129 BUONOCORE 1996, 19-31. Talvolta i praefecti iure dicundo erano nominati dai decurioni ex legePetronia; cfr. LAFFI 2007, 73.

130 Le strade erano sottoposte ad una costante opera di revisione; difatti, l’iscrizione edita in CILX, 5688 ricorda che nel II-III secolo d. C. la strada fra Cereatae e Sora fu lastricata per decreto de-curionale e con spesa pubblica; all’inizio del IV secolo d. C. risale il cippo miliario in granito con-servato nella cripta della chiesa di San Domenico abate, segno che la vicina strada all’epocaconservava una certa importanza. Le cariche di viocurus e persino di sommi magistrati giurisdi-centi con poteri censori come i duoviri quinquennales potevano essere conferite anche dal senatolocale in piena autonomia; a tal proposito sono illuminanti l’iscrizione in esame e l’epigrafe CILX, 5670 del 107 d. C., rinvenuta a Fontana Liri, per cui SHERK 1970, n° 46; LAFFI 2007, 75-76.Inoltre, la menzione del duovirato in iscrizioni imperiali potrebbe dimostrare che nel I e nel II sec.d. C. era ormai avvenuto il passaggio dall’ordinamento quattuorvirale ad uno duovirale, pro-prio delle colonie, e che Sora mantenne anche successivamente alle deduzioni lo status di colo-nia. Su tale cambiamento istituzionale, LAFFI 2007, 136.

131 AURIGEMMA 1910, 307.

132 AURIGEMMA 1910, 311-312.

133 Sul carattere celebrativo dell’iconica romana, FABBRINI 1987, 35-48.

134 TANZILLI 1982, 148 – 150; su un culto di Serapide tramandato dalla tradizione, TANZILLI1982, 101, nota 213; RIZZELLO 1984, in particolare 17-24, sui rinvenimenti di testimonianze diculti isiaci a Sora. Sulla località di provenienza, SQUILLA 1971, 123-132.

135 BRICAULT 2005. Il pezzo è confrontabile anche con la stele arpocratea conservata nel MuseoArcheologico Nazionale di Napoli (inv. 1013), per cui cfr. BERRIOLA 2008, 192 e con il partico-

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lare del naòs del Naoforo Farnese conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. ARoma, nei pressi di piazza Campo dei Fiori, furono rinvenute agli inizi del secolo XX due lastremarmoree raffiguranti sacerdoti della dea offerenti e portatori di naòs contenenti immagini isia-che; cfr. I marmi colorati della Roma imperiale, Venezia 2002, 344-345. Sulla diffusione nel Lazio, GA-SPARINI 2008, 100-109 (con bibliografia precedente).

136 Il ritrovamento di statuette marmoree raffiguranti Iside avvenne in area urbana nel 1890(LAURI 1956, 379) e nel 1909-1910, nei pressi del ponte di San Lorenzo (AURIGEMMA 1910, 309).Il materiale fu trafugato e disperso.

137 La repressione ordinata da Tiberio è ricordata da Giuseppe Flavio (Ant. Jud., XVIII,65-80), Ta-cito (Ann., II, 85), Suetonio (Tib., XXXVI, 1-2) e Seneca (Ep., CVIII, 22).

138 HESBERG 1994, 273-275.

139 Ringrazio della precisazione l’arch. Alessandro Bardi, discendente dell’antico proprietario delpalazzo.

140 Schedario ASL, 1927; LAURI 1957, 21; TANZILLI 1982, 122- 125. I due fregi dorici, di indubbiocontesto funerario, provengono da un luogo diverso da quello di rinvenimento, poiché anche trala fine del I secolo a. C. e la prima metà del I secolo d. C. – epoca a cui risalgono i fregi in esame -il sito era occupato da costruzioni residenziali e non certo funerarie. E’ possibile quindi che si trattidi materiale di spoglio in giacitura secondaria, qui trasportato ed utilizzato come ottimo materialeda costruzione. Insieme ai due fregi dorici furono rinvenuti anche tre rocchi scanalati di colonnain stile dorico (due sono riconoscibili in quei rocchi, sistemati nel chiostro del Municipio almenofino agli anni ’80, poi dispersi), un capitello corinzio, un busto acefalo di statuetta, una trabeazionedel peso di 14 quintali, oggi non più rintracciabili. I fregi dorici, fino al 1999 – anno in cui sono statitrasportati all’interno del Museo e restaurati -, erano sistemati nei pressi della chiesa di Santa Re-stituta. Sull’iscrizione edita in CIL X, 5749, anche DE NINO 1879b, 17. E’ certo però che molti deimateriali funerari rinvenuti nel secolo scorso, per incuria ma soprattutto per la venalità di quanti– pur preposti al controllo – hanno trafugato e svenduto reperti preziosi per la ricostruzione sto-rica, sono irrimediabilmente scomparsi; grazie alla cortesia della sig.ra Anna Lauri Tuzi, ho potutoconsultare qualche anno fa gli appunti olografi di Achille Lauri, Ispettore onorario ai Monumentie alle Antichità di Sora agli inizi del XX secolo, conservati nell’archivio di famiglia in una cartelladal titolo “Articoli fatti o in preparazione”. Nel foglio intitolato Tombe e camposanto, la frase “L’usodelle tombe in Sora è antichissimo: ce lo dice il ritrovamento dei sarcofagi scoperti lungo la via Sferracavalloe la via Valfrancesca, poi rubati e venduti agli antiquari…” allude evidentemente ad altri fortuiti rin-venimenti funerari presso le strade di accesso alla città da nord e da est.

141 Gli elementi floreali descritti sono assai simili a quelli scolpiti nel fregio dorico riutilizzato nellacostruzione del campanile della chiesa cattedrale, assai vicina al luogo di rinvenimento dell’ar-chitrave esposto.

142 Il tipo di gladius raffigurato è quello usato anche nei giochi gladiatori; in effetti molte armi raf-figurate nei fregi di San Domenico sarebbero quelle usate anche dai gladiatori, per cui POLITO1998, 158. Del resto, a Castelliri è inserita in una casa, ubicata nei pressi della strada statale, unalastra marmorea che raffigura una scena di duello fra gladiatori. Per tale rilievo, RIZZELLO 1985,95-96.

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museo143 Sul fenomeno artistico del fregio dorico in ambito italico, TORELLI 1968, 36. Per una biblio-grafia sull’argomento e per confronti con altre aree italiche, soprattutto nel quadro artistico ditardo ellenismo medio-italico, GULLINI 1974; FELLETTI MAJ 1977, 204; FERCHIOU 1987, 413;PAOLETTI 1992, 265-277. Sulla rappresentazione di armi in contesti funerari, FRANZONI 1987;POLITO 1997. Sulla tipologia di monumenti decorati da fregi dorici, BELTRAN FORTES 1997, 119-125; NOELKE 1996, 77-104. Il fenomeno è interpretato sul piano storico ed artistico, in partico-lare per i fregi dorici con armi, da CAPALDI 2005, 72-73 e da CANDELORO 1985, 51-65. Il vastoed inedito repertorio di fregi dorici in area laziale è pubblicato da RIZZELLO 1979; TANZILLI1982, 74-78, 122-125, 138 e 140; BELLINI 1988, 261-269;RIZZELLO 1990; BELLINI 1991, 9-22; RIZ-ZELLO 1999, 75-98; DI FAZIO 1999, 261-268.

144 Si rimanda al paragrafo sulla centuriazione.

145 TANZILLI 1982, 86-90.

146 TANZILLI 1982, 96-99, nota 207.

147 Cic., De Legibus, II, 1, 1; II, 1, 3;II, 2; Epistulae ad Quintum fratrem, III, 1, 3.

148 KELSALL 1820, 114-115, con disegni di J. Balzar. Riproduzione dei disegni e annotazione dellabibliografia precedente in TANZILLI 1982, 20, 70, 80.

149 In particolare, una descrizione suggestiva del sito è in HOARE 1819, 247, 249 e in GREGORO-VIUS 1884, 14-15. Una sintesi sul dibattito relativo all’identificazione della villa natale di Ciceronein questo luogo, TANZILLI 1982, 20-22.

150 Per confronti con altri esemplari di area italica e sulla tipologia dei fregi di San Domenico, PO-LITO 1997; POLITO 1998, 158, note 246, 247, 248; 164, nota 286. L’Autore ritiene che le armi rap-presentate possano essere gladiatorie. Per altri fregi d’armi rinvenuti in zona, TANZILLI 1982b,108-109; TANZILLI 1983, 37.

151 AURIGEMMA 1910, 308-311.

152 TANZILLI 1982, 74-75.

153 TANZILLI 1982, 74-75.

154 TANZILLI 1982, 74, 77.

155 Un tipo di bucefalio accostabile a quello rappresentato nel blocco di San Domenico è conser-vato nel Museo archeologico Nazionale di Cassino (inv. 82675), per cui BOSSO 2007, 126.

156 TANZILLI 1982, 76, 79.

157 Le falerae (o dona militaria minora) erano le nove decorazioni in argento, di forma rotonda e conumbone centrale, che venivano conferite ai graduati per azioni di alto valore militare; ai tribuni,ai prefetti e ai legati invece erano assegnati i dona maiora. Per tali decorazioni, LIBERATI – SIL-VERIO 1998, 42-64. Per confronti, vedasi il fregio continuo di armi a Castrocielo, nel luogo ove sor-

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geva la Villa Euchelia; cfr. CAGIANO DE AZEVEDO 1949, 61-62; RIZZELLO 1995, 54, 60, figg.13 e 14.

158 TANZILLI 1982, 78-79.

159 TANZILLI 1982, 78-79.

160 TANZILLI 1982, 78-79. Il tipo di lorica rappresentato è confrontabile con la coeva raffigura-zione in un capitello corinzieggiante figurato del tempio di Bellona, nell’area del teatro di Mar-cello a Roma, per cui DE NUCCIO 2008.

161 TANZILLI 1982, 79-81.

162 TANZILLI 1982, 80-81.

163 TANZILLI 1983; RIZZELLO 1983a, 50, 55, foto 1. Il blocco, secondo testimonianze orali, fu dis-sotterrato circa settanta anni fa durante lavori agricoli, insieme a tombe di pietra e ad altri pezzicon simili rilievi; attualmente si trova nel cortile attiguo ad una bassa e fatiscente costruzione, untempo adibita a forno, di proprietà della famiglia Facchini. Nei pressi, si nota un blocco in calcareprivo di decorazione forse attinente al medesimo contesto.

164 TANZILLI 1982, 138 e 140. E’ possibile che il blocco provenga dal medesimo sito di rinveni-mento dei blocchi con fregi esposti nel Museo, data la vicinanza tra la chiesa cattedrale e CorsoVolsci n° 6.

165 Per la descrizione dettagliata del monumento, TANZILLI 1982, 69-75. Un confronto può es-sere instaurato anche con il monumento a dado di San Guglielmo al Goleto (AV), poi trasformatoin campanile romanico (COARELLI 1967, 46-71). La stessa sorte toccò anche al monumento diSora, che in epoca imprecisata divenne una torre, poi crollata nel 1814. Per un esame generaledella tipologia, HESBERG 1994, 197-209; HESBERG 2002, 33-61; GUIDORIZZI 2004, 131-135; VA-RENE 1970, 91;BELTRAN FORTES 2004, 101-141. Il confronto diretto può essere instaurato conl’altare di Caius Iulius Felix a Henchir Messaouer (Tunisia) (FERCHIOU 1987, 413), di La Calerilla(MARTINEZ VALLE 1995, 259-281), di Barcellona (BELTRAN FORTES 1997, 119-125), con l’altaredi Publius Capitonius Catulus a Neumagen presso Treviri (MASSOW 1932, 39-41, n. 2 fig. 21), diMarcus Porcius (TORELLI 1968, 32-54), di Allei (KOCKEL 1983), di Naevoleia Tyche e CalventiusQuietus (HESBERG 1994, 245, fig. 140) nella necropoli di porta Ercolano a Pompei, con le tombeal 5° miglio della via Appia, decorate da fregi dorici, e dei Maecii a Rimini (HESBERG 1994, 199)e soprattutto con la tomba di Quintus Haterius sulla via Nomentana a Roma, che costituisce la di-retta evoluzione della tomba ad altare, databile all’età di Augusto (HESBERG 1994, 200-201).

166 Misure : larghezza cm 102, altezza cm 55, spessore angolare cm 28, fascia decorativa del capi-tello alta cm 29. La distanza fra le paraste è di cm 44,5. Un esempio simile, pertinente al monu-mento funerario dei Servilii, è conservato nei Musei Vaticani (negativo L 14.265) e a Bolsena(POLITO 1998, 161).

167 CASTRUCCI 1926, 17; MANCINI 1878, col. 35; RIZZELLO 1979, 43; RIZZELLO 1987, 83; RIZ-ZELLO 1996, 12.

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museo168 Nello spazio più distante dalla strada statale e dalla chiesa, accanto al Fibreno, insieme a ma-teriali moderni, è sistemato anche un rocchio di colonna liscia (altezza cm 49, diametro cm 48) eduna base angolare modanata provvista di due scanalature di ancoraggio dei perni di vincolo.

169 Il kymation è composto da diverse fasce e moduli decorativi: dall’alto, una serie di ventagliettia sei nervature, una serie di ovoli avvolti da sgusci e distanziati da saette con punta ed alette,una serie di dentelli a profilo curvo decorati da palmette, e, tra i dentelli, elementi decorativi sti-lizzati (fiori, pàterae); la saetta, altrimenti freccetta, è un elemento datante in quanto è documen-tata a partire dall’età flavia; cfr. Arcata, archeologia e catalogazione, 1, elementi architettonici e dirivestimento, Roma 2007, 74, 76. La cornice trova confronti in zona con il frammento conservatonella sacrestia della chiesa nuova di Santa Maria Assunta a Piedimonte San Germano, e di cui RIZ-ZELLO 1995, 56.

170 Confronti possibili sono i tre esemplari della necropoli della Via Annia ad Aquileia, per cuiMASELLI SCOTTI 1997, 137-148, e le tombe di Carsulae, Civita Castellana, Falerii, Reggio Emilia,Canosa, Polla, Centuripe, Sepino, Pietrabbondante, Gubbio, Corfinium (HESBERG 1994, 113-134).

171 Sul riutilizzo di materiali funerari provenienti dall’area di San Domenico per la costruzionedella chiesa di Santa Restituta dopo il terremoto del 1654, TOSTI 1877, 2.

172 Su tale tipologia, ARIAS, CRISTIANI, GABBA 1977, 161; un simile sarcofago è conservato nelpalazzo Mattei Di Giove a Roma; cfr. AA. VV., Palazzo Mattei Di Giove, Le antichità, Roma 1982, 264– 265, n° 105, tav. LXXIV, foto ICCD n° 26613; BRANDENBURG 2006, 343-374; PANELLA 1973.

173 A Sora, in passato sono stati scoperti quattro sarcofagi, di cui tre in calcare ed uno in marmo,sempre nei pressi della via per San Domenico; per la lastra frontale di un sarcofago marmoreo conscena di combattimento navale, conservato fino agli anni ’60 nell’Abbazia di San Domenico e tra-fugato, ma a cui apparterrebbe il frammento di mano che impugna un gladius, DE NINO 1879 a,18; TANZILLI 1982, 82-83, 85, con riproduzione della foto (Fototeca Americana, F.U. 6792, anno1961). Su un sarcofago rinvenuto in località Ara Frocella - largo Bagnolo a Sora, RIZZELLO 1984,21-22, fig. n° 8 in appendice.

174 L’onomastico Virius è attestato a Sora anche nelle epigrafi edite in CIL X, 5761;Ephemeris Epi-graphica, VIII, n°892; AURIGEMMA 1910, 295.

175 TANZILLI 1982, 119-120; SOLIN 1981, 51 - 53.

176 Sul reimpiego di materiale di San Domenico nella costruzione della facciata di Santa Restituta,cfr.TOSTI 1877, 2.

177 KAJAVA 2006, 40-41.

178 Cfr. l’iscrizione del sevir Lucius Rennius (SOLIN 1981, 45-48). Anche in un’iscrizione di Isola delLiri è menzionato un Chresimus sevir (SOLIN 1981, 62-63); su tale carica, ricoperta sia da ingenuiche da liberti, GREGORI 1999, 155- 160, note 277 e 300.

179 SOLIN 1981, 55-56. Per le modalità di rinvenimento, RIZZELLO 1983a, 50-51 e 55; RIZZELLO1985, 44-45.

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180 RIZZELLO 1983a, 51.

181 La lastra nel 1728 era inserita nella facciata della chiesa (LISI 1728, 46), nel 1913 era invece con-servata nell’Antiquarium comunale (LAURI 1913, 62), ma nel 1927 fu nuovamente murata nellafacciata della chiesa di Santa Restituta, a destra dell’ingresso centrale, dall’ispettore onorario aimonumenti, Achille Lauri. Il testo completo del privilegio è pubblicato da CARBONE 1970, 127-137.

182 L’iscrizione è descritta da AURIGEMMA 1910, 304-305; i nomi Magius e Magia sono attestatianche in CIL X, 5738 e 5739.

183 Un’altra rara iscrizione su marmo bianco, collocata nella parete destra della cappella degli An-geli in via Marsicana, presenta una modanatura ed una tipologia simili a quelle descritte; infattila lastra è modanata in basso da un listello, una scozia e un tondino; misura cm 37 x 40. L’epigrafe,databile al secolo I – II d. C., è la seguente [———/—-] Claud[i—-][—-] posu[it] (SOLIN 1981, 56-57; TANZILLI 1982, 147-148). Una terza epigrafe marmorea è a San Domenico ed è pertinente adun monumento funerario di una certa importanza (SOLIN 1981, 53).

184 CIL X, 5735; il Mommsen ebbe notizia indiretta del testo dell’epigrafe (LOFFREDO 1853, 8) epertanto accolse la lettura in terza linea C.L. ARACHNE similiterve. Un più attento esame mi hapermesso di individuare un diverso cognomen, anch’esso grecanico.

185 L’iscrizione è stata pubblicata da AURIGEMMA 1910, 306, n°5; TANZILLI 1982, 152-153. Altrequattro iscrizioni, che nel XIX erano conservate nell’atrio della Sottoprefettura (identificabile nelpalazzo che ospita il museo) e descritte da AURIGEMMA 1910, risultano disperse. Anche un roc-chio di colonna scanalato, forse quello proveniente dallo scavo occasionale di Corso Volsci n° 6, edi cui TANZILLI 1982, 120-121, oggi non è più nella disponibilità dell’Ente comunale e del Museo.

186 SOLIN 1984, 179, fig. 1, 180, n. 2; ivi, la lastra rinvenuta in via Sferracavallo e ora conservatain casa Ferri, delle dimensioni di m 0,25 x 0,20 x 0,13 e di m 0,04-0,045 per le lettere. Il testo del-l’iscrizione è : [—-] qui vix(it) [—-]/(anni) [—-]XXIII [—-] [—-]tilio [—-]; la lettura consente laframmentaria traduzione “che visse 23 anni, per Voltilius (o Sextilius)”

187 AURIGEMMA 1910, 305, n°2; TANZILLI 1982, 117 e 152; KAJAVA 2006, 41.

188 SOLIN 1981, 53; TANZILLI 1982, 119.

189 SOLIN 1981, 51. TANZILLI 1982, 117 e 119; un Septumius è citato nell’iscrizione CIL X, 5743,rinvenuta ai margini di una delle principali strade di accesso al centro urbano.

190 SOLIN 1981, 45 – 48. TANZILLI 1982, 119-120; un Chresimus è anche nell’iscrizione di Isola delLiri di via Roma, per cui Ephemeris Epigraphica, VIII, 610; SOLIN 1981, 62-63.

191 SOLIN 1981, 48-51 non legge Gal(eria tribu), ma Gal(lus), forse indotto anche dal fatto che Tos-sius è un gentilizio diffuso anche nella Gallia Cisalpina. Altri problemi sono relativi alla presenzadi due gentilizi per la donna citata: invece quel Mun(dae) potrebbe essere letto come un Mu(lierisliberta). TANZILLI 1982, 120-121.

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museo192 CIL X, 5762; SOLIN 1981, 60.

193 SOLIN 1981, 60; TANZILLI 1982, 116-117.

194 CIL X, 5718; SOLIN 1981, 59;TANZILLI 1982, 98-101.

195 L’epigrafe CIL X, 5778 era su un cippo terminale che prescriveva l’estensione del recinto fune-rario di 40 piedi in agro.

196 CIL X, 5721; SOLIN 1981, 59;TANZILLI 1982, 98-101. Due Arrii sono menzionati in CIL X, 5722e un Attius nel titulus pedaturae edito in CIL X, 5724, rinvenuti sempre nei pressi di viale San Do-menico.

197 CIL X, 5749; DE NINO 1879a, 17; SOLIN 1981, 59;TANZILLI 1982, 117.

198 CIL X, 5755; SOLIN 1981, 59;TANZILLI 1982, 117. Nella seconda metà dell’Ottocento l’iscri-zione era nell’atrio della Sottoprefettura; cfr. DE NINO 1879a, 17.

199 CIL X, 5748; SOLIN 1981, 59;TANZILLI 1982, 117.

200 Secondo TOSTI 1877, 2, per ricostruire la facciata di Santa Restituta alla fine del XVII secolo siricorse a materiale di reimpiego proveniente da “le rovine del campanile della chiesa di San Dome-nico”, risalente all’XI secolo (LOFFREDO 1911, 572). Anche un’iscrizione funeraria, rinvenuta nel1892 durante le opere di scavo delle fondamenta dell’abside della chiesa di Santa Restituta, nel-l’Orto de’ Santi, fu poi impiegata nella costruzione della chiesa (AURIGEMMA 1910, 307).

201 CIL X, 5756;TANZILLI 1982, 96-98.

202 Un cinerario lapideo di forma cubica con coperchio piramidale è la tomba 1426 rinvenuta aCapua; cfr. JOHANNOWSKY 1974, 3-20. Una base per cinerario è attestata ad Atina (CIL X, 5137)e a Santa Maria del Campo ad Alvito (CIL X, 5157, 8239; SOLIN 1981, 67).

203 Per il significato funerario e per la tipologia dell’operculus urnae, ROMANELLI 1967, 26. Talecoperchio cinerario era piuttosto diffuso nel Lazio meridionale; cfr. DIEBNER 1983, 65, fig. 25 eDIEBNER 1991, 232. In zona, sono stati segnalati altri cippi “a pigna”: ad Atina (CIL X, 5051; BE-RANGER 1980, 77; SOLIN 1981, 85-86) con iscrizione Ossa ed incisione decorativa a foglie d’edera;due a Vicalvi (CIL X, 5157) e a Pescarola (RIZZELLO 1987, 90). A Sora, oltre a quello ora nel Museoe proveniente da Broccostella (RIZZELLO 1985, 79), ne sono conservati uno in viale San Dome-nico e un altro in vicolo Renzi, nella proprietà Cavalsassi-Tuzi (RIZZELLO 1995, 50). L’esemplareche fino a tre anni fa circa era conservato all’interno di un esercizio commerciale di via Napoli aSora – e proveniente dalla vicina località San Giuliano Sura - è stato prelevato per disposizionedella Soprintendenza archeologica del Lazio e portato nei magazzini di detta istituzione. Sul re-perto in questione e su quello sistemato in viale San Domenico, GENTILINI 1995. Anche talecippo, come quello di Atina, è in calcare, reca una O incisa (per Ossa), e misura cm 51 di altezza,cm 115 di circonferenza massima e cm 107 di circonferenza di base; il cippo di viale San Dome-nico, sistemato in un casolare sul lato sinistro del viale, a km 1,4 dal ponte di Napoli, è in calcare,misura cm 53 di altezza, cm 149 di circonferenza massima e cm 138 di circonferenza alla base; sotto– a detta del proprietario – aveva un grosso foro circolare. Sul corpo, tracce di un rilievo a foglie

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d’edera (o vite). Entrambi i cippi sono da porre in relazione con la viabilità ed i ritrovamenti fu-nerari della zona, uno dei due più importanti assi centuriali (RIZZELLO 1985, 28, dis. 1, 45 – 46;79, n° 19); un altro cippo è stato individuato ad Isola del Liri (RIZZELLO 1985, 95, n° 2), a Broc-costella (RIZZELLO 1985, 79, fig. 31), a Pontecorvo, che però è di forma quasi sferica, forse perun successivo riadattamento (RIZZELLO 1995, 53, 59, fig. n° 10), e a Piedimonte San Germano,nella chiesa di Santa Maria assunta, con epigrafe (GIANNETTI 1971, 424, fig. 1, e RIZZELLO1995, 56-57, 59 e fig. 11). Un cippo “a pigna” è conservato a San Giovanni Incarico, nell’atrioesterno di un ex Convento in via Chiusa dei ricci n°10, abitato fino a quindici anni or sono dalleSuore ed oggi trasformato nel Centro di spiritualità intitolato a Teresina Zanfrilli. Un tempo pro-prietà dei Cayro (la famiglia dello storico Pasquale Cayro (1793-1817), autore di Storia sacra e pro-fana d’Aquino, e sua diocesi, I, Napoli 1808, II, Napoli 1811), dal 1954 il complesso appartiene allaDiocesi di Sora, Aquino e Pontecorvo. Il cippo è alto m 0,51, la circonferenza alla base è di cm 174.Sulla superficie e in zona centrale, l’epigrafe OSSA, edita in CIL X, 5645; le lettere sono alte cm.6,5, la prima, cm 5,5 la seconda, mentre la terza e la quarta lettera sono evanide ma rintracciabili.L’esemplare è associato ad altro materiale di spoglio, presumibilmente funerario: difatti nelle pa-reti del cortile interno sono incassate otto epigrafi provenienti da Fabrateria Nova e verosimil-mente qui portate dal Cayro. Le epigrafi sono pubblicate in CIL X, 5604, 5606, 5574, 5603(quest’ultima chiaramente sepolcrale, con urceus e patera a rilievo laterale), 5588, 5630, 5591; ac-canto, è visibile un frammento di fusto scanalato di colonna su alto piedistallo modanato, assaisimile a quello conservato a San Domenico a Sora negli ambienti adibiti a magazzino, a pianter-reno della clausura.L’esemplare è confrontabile con il cinerario conservato nell’atrio della chiesa di Santa Maria delCampo ad Alvito, per cui v. nota precedente; cfr. anche SOLIN 1981, 67, DIEBNER 1983, 65 e fig.25.

204 Le immagini sono pubblicate, con i riferimenti “diapositiva 375 e 499”, nel sito www.museodel-compito.it .

205 RIZZELLO 1985, 79.

206 Inedito. Un pulvino simile è sistemato nell’atrio del palazzo municipale di Atina; sulla posi-zione di tale elemento architettonico nei monumenti, cfr. l’altare funerario di Marcus Porcius nellanecropoli di porta Ercolano a Pompei (HESBERG 1994, 197).

207 FERRACUTI 1986a, 78-79; TANZILLI 2004, 36.

208 Breviarium romanum ex decreto sacrosanti Concilii Tridentini restitutum s. Pii V pontificis maximiiussu editum. Clementis VIII et Urbani VIII auctoritate recognitum. Pars verna, 1691 (ACV, coll.F2/203),142. Per confronti, MONTI 1992, 93.

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p. 10: carta geologica d’Italia I. G. M., Sora; scala 1:100.000p. 12: dipinto ad olio di Francesco Vanni, Santa Maria della Vallicella, sec. XVII – chiesa Santa Maria

degli Angeli – Sorap. 12: altorilievo a stucco di anonimo – castello Boncompagni Viscogliosi – Isola del Liri

(anche in copertina)p. 14: manufatti litici di Valleradicep. 16: manufatti vascolari di Isola del Liri nelle tavole del Nicoluccip. 20: mura in opera poligonale: tratto presso la chiesa di Sant’Antonio abate; blocco con segni di la-

vorazione - collina Ap. 21: tratti murari - collina Ap. 22: tratti murari fra la collina A e l’altura Bp. 22: foto aerea del colle con sovrapposizione dei tratti murari ancora in situ (rosso) e ricostruiti

(giallo); in evidenza l’area racchiusa dalle mura ed occupata dall’oppidump. 24: tratto murario nei pressi della loc. Valfrancescap. 25: tratto murario nei pressi della loc. Valfrancescap. 26: tratto murario nei pressi della loc. Valfrancescap. 27: tratto murario nei pressi della loc. Valfrancescap. 30: iscrizione edita in CIL X, 5688p. 30: il ponte romano c. d. Marmone – loc. Barca San Domenicop. 30: il cippo miliario - cripta della chiesa di San Domenicop. 32: blocchi di ponte romano – parco Valentep. 34: tracce della viabilità urbana antica e della centuriazione romana in una foto aerea della RAF

scattata nel 1944 (Aerofototeca nazionale – Roma)p. 35: la castrametatio rintracciabile su una mappa urbana della fine del sec. XVIIIp. 36: sagoma dell’altare Marteip. 36: ricostruzione grafica dell’altarep. 37: il thesaurusp. 37: ricostruzione grafica del thesaurusp. 38: il rivestimento bronzeo del thesaurusp. 39: apografo dell’iscrizione incisa sul rivestimento bronzeop. 40: antepagmenta - ricostruzione grafica e ipotesi di collocazione originaria

(anche in copertina)p. 41: frammento di antefissa con Potnia therònp. 41: frammenti di antefissa con Potnia theròn - ricostruzione ed integrazionep. 42: il tempio in uno schizzo “familiare”p. 42: pianta del tempiop. 42: il podiop. 44: la sagoma del podiop. 44: rilievo marmoreo di Ercole, sacrestia della chiesa cattedrale di Santa Maria Assuntap. 45: le pareti del tempiop. 46: iscrizione votiva ad Ercole (CIL X, 5708)p. 48: ipotesi ricostruttiva del complesso statuario di Ercolep. 49: il frammento di clavap. 50: testa votiva – Arpino, Sant’Amasio

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DIDASCALIE delle IMMAGINIinserite nella guida

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p. 52: coppa miniaturistica carenata – Arpino, Sant’Amasiop. 52: coppetta a bordo svasatop. 52: disegno delle coppe miniaturistiche di Sant’Amasio e di loc. San Pietro a Pescosolidop. 53: coppa emisferica e coppa miniaturistica di loc. San Pietro a Pescosolidop. 54: iscrizione di Juppiter Aera (CIL X, 5779)p. 56: le edicole rupestri di loc. Rava rossa (Sora) e Carpello (Campoli Appennino)p. 56: stele togatap. 56: busto funerario – clausura dell’Abbazia di San Domenicop. 59: apografo dell’iscrizione di Lucius Firmius (CIL X, 5713)p. 60: iscrizione di Lucius Firmius (CIL X, 5713)p. 62: le statue loricatep. 62: rilievo di gorgonéion – chiesa Santa Restituta, Sorap. 64: sostruzioni in opera poligonale – atrio del Museo della media valle del Lirip. 64: pianta della città con individuazione dei rinvenimenti: la villa di via Ravo; la villa di piazza

Mayer Ross; la villa di via Loffredo; i basoli rinvenuti in via Lauri e via Annonip. 66: il capitello corinzieggiante figuratop. 66: disegno ricostruttivo del capitellop. 67: il capitello del Vescovadop. 68: disegni ricostruttivi del capitello del Vescovadop. 69: apografo dell’iscrizione di Marcus Baebius (CIL X, 5714)p. 70: iscrizione di Marcus Baebius (CIL X, 5714)p. 72: testa marmorea virilep. 73: rilievo del frammento isiacop. 74: il frammento isiaco - chiesa Santa Restituta, Sorap. 76: ipotesi ricostruttiva di un monumento funerario ad altare con fregio doricop. 76: fregio dorico con rilievi florealip. 78: schizzo di un fregio di San Domenico (inizi sec. XIX)p. 79: schizzo di un fregio di San Domenico (inizi sec. XIX)p. 80: rilievi su blocchi - parete sinistra della chiesa di San Domenicop. 81: rilievi su blocchi - parete sinistra della chiesa di San Domenicop. 82: rilievo su blocco - parete sinistra della chiesa di San Domenicop. 84: fregio con scena di combattimento gladiatorio – Castellirip. 85: monumento funerario “a dado” – chiesa di San Domenicop. 86: kyma ionico - abside centrale della chiesa di San Domenicop. 86: ipotesi ricostruttiva del monumento funerario “a dado” – alzato e piantap. 88: ipotesi ricostruttiva del sarcofagop. 89: frammento di sarcofagop. 89: lastra frontale di sarcofago con scena di battaglia navale, trafugato nella seconda metà del sec.

XXp. 90: apografo di iscrizione funeraria di Lucius Virius Fortunatusp. 90: iscrizione funeraria di Lucius Virius Fortunatusp. 91: apografo dell’iscrizione funeraria di Quintus Curtidius Chresimusp. 91: iscrizione funeraria di Quintus Curtidius Chresimusp. 92: apografo del cippo terminalep. 92: cippo terminalep. 93: lastra marmorea con iscrizione – chiesa di Santa Restituta, Sorap. 93: apografo dell’iscrizione romana sul retro della lastrap. 94: cippo funerario di Caius Helvius Philoniaus (CILX, 5735) (anche in copertina)p. 95: cippo funerario di Caius Helvius Philoniaus (CILX, 5735) (anche in copertina)p. 99: cippo funerario di Marcius Agrippap. 100: cippo funerario di Rupilia Amaryllisp. 101: cippo funerariop. 102: cippo funerario di Marcus Septumiusp. 103: iscrizione funeraria di Lucius Rennus

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museop. 104: ara funeraria di Paccia Donatap. 105: iscrizione funeraria di Lucius Voltilius Philoclis (CIL X, 5762)p. 106: iscrizione funeraria di Caius Naevius Antiochus (CIL X, 5718)p. 107: iscrizione funeraria di Caius Arrius (CIL X, 5721)p. 108: iscrizione funeraria di Marcus Pomponius Mena (CIL X, 5749)p. 109: iscrizione funeraria di Valerius (CIL X, 5755)p. 110: iscrizione funeraria di Plotulena Rufa (CIL X, 5748)p. 111: iscrizione funeraria di Lucius Valerius Niger (CIL X, 5756)p. 111: apografo dell’iscrizione funeraria di Lucius Valerius Niger (CIL X, 5756) con ipotesi di coper-

tura a “ pigna”p. 112: coperture di urna cineraria – Museo archeologico del Compito Don Giorgio Franchini – Savi-

gnano sul Rubiconep. 113: cippo “a pigna”p. 114: pulvino d’arap. 115: le finestre di palazzo Mobili Carrarap. 116: rilievo dei blocchi B, C D, E, F, G - prato contiguo alla chiesa di San Domenicop. 116: i blocchi B, C, D, E, F, G nel prato contiguo alla chiesa di San Domenicop. 116: il frammento A – prato contiguo alla chiesa di San Domenicop. 116: il frammento B - prato contiguo alla chiesa di San Domenicop. 116: modanatura del frammento B

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foto | antonio claudio pisellifoto | alessandra tanzilli

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Tutti i diritti sono riservati all’Autore.Nessuna parte di questa pubblicazionepuò essere riprodotta in qualsiasi forma,se non nei termini previsti dalla legge.Copyright © 2009

Finito di stampare nel mese di marzo 2009presso le Arti Grafiche PasquarelliIsola del Liri (Fr) - [email protected]

GraficaGabrielePescosolido

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