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Elio Dovere

MEDICINA LEGUM

III CREDO DI CALCEDONIA E LEGISLAZIONE D’URGENZA

Prefazione di Antonio Vincenzo Nazzaro

Cacucci Editore - Bari 2013

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Indice

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Indice Prefazione pag. VII Premessa » XV Avvertenze » XVII SAGGI 1. Sinodo di Calcedonia (a. 451) e legislazione

d’Oriente » 1

2. Il tardo legislatore ‘exsecutor’ del concilio: CI. 1, 1, 4 » 49

3. Contestazione religiosa, regionalismo, «medicina legum» » 117

4. Ius Romanorum e concìli ecumenici della catholica ecclesia » 161

5. Legislazione e sinodo ecumenico a metà del V secolo » 187

6. La διάταξις di Marciano del marzo 452 (ACO e Codex) » 211

7. Dissenso eutichiano e leggi repressive: aa. 452 e 455 » 231

8. Credo di ‘Calcedonia’ e ambigua politica nor-mativa » 275

Indice delle fonti » 299

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Indice

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Prefazione

VII

Prefazione Ho conosciuto il giusromanista Elio Dovere e ho avuto modo di

apprezzare gli originali e innovativi esiti della sua attività scientifica circa venti anni fa, quando non senza qualche apprensione recensii su Cassiodorus (3 [1997] 341-347) il poderoso volume “Ius princi-pale” e “catholica lex”. Dal Teodosiano agli editti su Calce-donia (Napoli, Jovene, 1995).

Non avevo potuto rifiutare la recensione affidatami da Salvatore Pricoco, accampando la mia palese incompetenza, perché erano ormai troppi gli anni nei quali nei nostri convegni ‘cristianistici’ da filologo patristico o studioso della letteratura cristiana antica non mancavo di richiamare l’attenzione di filologi e storici della letteratura sulla non più rimandabile esigenza di avere in promptu, tra i principali instrumenta studiorum, i Codices romani e i relativi testi di lette-ratura critica. Mi pareva allora intollerabile che leggi e costituzioni imperiali fossero assai spesso citate di seconda, se non addirittura di terza o quarta mano.

Il saggio di Dovere sulle relazioni tra il ius principale (vale a di-re, il diritto prodotto dal principe) e la catholica lex (vale a dire, la fede della Chiesa cattolica vista nel suo momento formale), sui rapporti, cioè, tra le constitutiones e le manifestazioni de fide provenienti dai vertici ecclesiastici, dischiudeva orizzonti nuovi alla mia riflessione criti-ca e alla mia quotidiana ricerca storico-letteraria.

Di questo saggio mi colpiva il fatto che un giusromanista mettesse in pratica l’esigenza di frequentare testi patristici (storici e filosofico-teologici); che non perdesse mai di vista la doviziosa letteratura cristiana densa di termini giuridici, allusioni a concetti e istituzioni giuridiche romane, di riferimenti a documenti imperiali, di critiche espresse nei riguardi dello stato o di parte dell’ordinamento, che aspettavano solo di essere adeguatamente indagati e valorizzati; che utilizzasse con enco-miabile competenza le Historiae ecclesiasticae in greco e gli Acta conciliorum oecumenicorum. Toccavo con mano che l’analisi, da parte del giusromanista, di testi patristici, consentiva, da un lato, il

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Prefazione

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recupero di misure legislative altrimenti sconosciute, e assicurava, dal-l’altro, una loro più piena intelligenza.

Va detto, a onor del vero, che da un quarantennio la ricerca di di-ritto romano non è più confinata al solo studio dogmatico degli istituti di diritto privato o alla ricostruzione delle strutture giuspubblicistiche, da Romolo a Giustiniano. Dal 1973, per fare un esempio, un pregevole e qualificato apporto è fornito alla ricerca sul Tardoantico dall’Acca-demia Romanistica Costantiniana di Perugia, che nel settembre di quest’anno celebrerà il XXI Convegno internazionale. Nessuno, infat-ti, negli studi sui secoli della tarda antichità può oggi fruttuosamente prescindere dalle iniziative scientifiche promosse dall’Accademia, siano essi i Quaderni pubblicati nella Collana dei «Materiali per una palin-genesi delle costituzioni tardo-imperiali», siano essi gli Atti degli incon-tri internazionali. Gli uni e gli altri contengono i risultati dell’indagine con approccio interdisciplinare di giuristi e storici, che offrono dati sem-pre interessanti e dischiudono nuove e più stimolanti prospettive alla ricerca sul Tardoantico (sulla cui valenza di categoria storiografica au-tonoma Elio Dovere ha sviluppato pertinenti considerazioni in Studia et documenta historiae et iuris 63 [1997] 547-554).

E va subito rilevato che fra gli studiosi di diritto romano partico-larmente sensibili nei riguardi di una ricerca di marca tardoantichistica, e in specie concentrati sul Teodosiano, una fonte solitamente non privilegia-ta (almeno in confronto con il Digesto o con il Codice di Giustiniano), Elio Dovere, muovendosi nella scia di Gian Gualberto Archi, autore di un lavoro fondamentale su Teodosio II e la sua codificazione, e di Lucio De Giovanni, autore di un lavoro non meno fondamentale sul XVI libro del Codex Theodosianus, occupa oggi un posto di tutto rilievo grazie al suo crescente interesse verso la letteratura patristica.

Dopo questo saggio, l’interesse scientifico di Dovere, iniziato già dal 1985, s’incentra quasi esclusivamente sulla figura dell’imperatore d’Oriente Marciano (450-457) e sulla sua normazione.

Alla morte di Teodosio II, la sorella Aelia Pulcheria Augusta, sposando con nozze mistiche l’anziano Marciano, ne legittima l’ascesa al trono (alla legittimazione dell’elevazione imperiale e al ruolo di Pul-cheria Dovere dedica nel volume che presentiamo pagine assai interes-santi: vd. 87 ss.!) e ne influenza la politica ecclesiastica, come a lungo

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Prefazione

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aveva già fatto con il defunto fratello. Il nuovo imperatore si affretta a convocare per l’autunno del 451 il IV concilio ecumenico, da tenersi a Nicea, che però si decise a trasferire a Calcedonia, di fronte a Costantinopoli.

Il concilio, di fatto organizzato da Pulcheria, nella seduta del 22 ottobre approvava, dopo laboriose discussioni, il Symbolum Chalce-donense, secondo il quale in Cristo, in un solo prosopon e in una sola ipostasi, coesistono le nature umana e divina, integre e complete, senza mescolanza trasformazione separazione e divisione, sì che Egli è consustanziale al Padre secondo la divinità e consustanziale a noi se-condo l’umanità. Il Symbolum fu solennemente promulgato il 25 ottobre alla presenza di Marciano, che l’1 novembre chiudeva il concilio. Leone I protestò contro il canone 28, che, pur attribuendo al vescovo di Roma il primo posto d’onore, equiparava di fatto il vescovo dell’Urbe e quello di Costantinopoli. I Padri conciliari, non ostante forti resistenze, conferirono all’imperatore il titolo di protettore della vera fede e in consi-derazione delle loro numerose benemerenze la Chiesa orientale canoniz-zò Marciano con la moglie Pulcheria, scomparsa poi nel luglio 453.

La normazione di Marciano si caratterizzò sia per la tutela nel suo complesso dei lavori del concilio di Calcedonia, sia per l’appassionata difesa dell’ortodossia del Credo in esso formulato e delle conseguenti decisioni disci-plinari dei Padri, che gli meritarono da parte di Facondo di Ermiane il titolo di verus reipublicae pater et verus ecclesiae filius.

Ben 16 dei saggi di Dovere sulla normazione tarda, apparsi in riviste italiane e straniere e in atti di convegni, sono stati già raccolti in due volumi editi tra il 2009 e il 2011 dall’editore barese Cacucci sotto il significativo titolo di Medicina legum: il primo, prefato da Giovanni de Bonfils, ha per sottotitolo Materiali tardoromani e formae dell’ordinamento giuridico; il secondo, prefato da Francesco Paolo Casavola, ha per sotto-titolo Formula fidei e normazione tardoantica.

Quanto al titolo Medicina legum, è appena il caso di ricordare che esso è ricavato da un editto del 452, conservato in ACO, nel quale Marciano dichiara che «è proprio di un sovrano prudente il soffocare (opprimere) sul nascere ogni male e il recidere con la medicina della legge (legum medicina resecare) la malattia che si va diffondendo». La metafora medicinale, applicata nella patristica greca e latina a Cristo, al Christus medicus, che offre ai suoi fedeli la sanità fisica e la salvezza

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Prefazione

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dell’anima, è qui trasferita all’ambito giuridico: le leggi hanno il compito sia di prevenire il morbo, sia di estirparlo chirurgicamente bloccandone la diffu-sione. Si assiste, così, all’affermazione di quella che Federico Pergami chiama «l’ideologia medicale del legislatore tardoantico».

Nel primo volume sono raccolti studi che si occupano di critica del testo, stabilizzazione del diritto, prassi costituzionale, Credo cristiano e politica legislativa. Alcuni di questi lavori traggono linfa vitale da im-portanti opere dei Padri quali le Storie ecclesiastiche di Socrate e di Evagrio Scolastico, oltre che dai Chronica di Vittore tunnunense e da alcuni passaggi di Theodorus Anagnostes. Altri studi, invece, si rivolgono sia all’esame minuzioso di molte costituzioni organizzate prima nel Codice Teodosiano e poi in quello di Giustiniano – tutte relative alla centralità tardoantica della figura del vescovo e al ruolo a esso variamente riconosciuto dal legislatore –, sia alla valutazione gene-rale della codificazione di Teodosio II nel contesto socio-politico della metà del V secolo. Altri saggi, infine, identificando precise e importanti suggestioni di carattere giuspubblicistico presenti nelle pagine di alcuni tardi autori di lingua greca ricostruiscono tratti significativi della con-suetudinaria prassi costituzionale dei cento anni pregiustinianei.

Il secondo volume testimonia anch’esso un lunghissimo percorso scientifico interdisciplinare e costituisce un comodo repertorio per gli studiosi del Tardoantico. Sono anzitutto i libri di Evagrio che consen-tono di indagare gli eccentrici modi di legiferare dei sovrani di Costanti-nopoli, nei decenni successivi al concilio di Calcedonia, in materia di fede; al contrario, sono le leggi del Codice Teodosiano, qui accostate con letture palingenetiche ed esegetiche, che rivelano l’esatta misura dei ri-spettivi ruoli de religione di chiesa e impero intorno alla metà del V secolo. Sono, altresì, i documenti del Teodosiano, e stavolta sostanziose tracce della sua tradizione manoscritta (i Gesta senatus Romani de Theodosiano publicando), che forniscono materia per ricostruire un ampio scenario della politica religiosa descritta dalla dinastia teodosiana-valentiniana in funzione difensiva, non solo della stabilità ordinamentale giuridica, ma anche della compattezza istituzionale dell’intero impero.

Il volume, di cui sto curando la prefazione, ha per sottotitolo Credo di Calcedonia e legislazione d’urgenza e conclude felicemente – sempre per i tipi di Cacucci – il trittico della Medicina legum.

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Prefazione

XI

Anch’esso raccoglie otto saggi, incentrati sull’importante norma-zione religiosa di Marciano, sostanzialmente trascurata dalla critica.

Nel primo saggio Dovere passa in rassegna le quattro constitutiones in synodo Calchedonensi date dal sovrano a Costantinopoli, da quella del 7 febbraio 452, conservata per estratto nel Codice di Giustiniano (1, 1, 4), utilissima ai fini della ricostruzione dei coevi rapporti fra impero e realtà cristiana, a quella emanata il 18 luglio dello stesso anno.

Facondo di Ermiane, cui si deve il giudizio positivo su Marciano sopra riferito, nei Pro defensione trium capitulorum libri XII (ad Iustinianum) concentra la sua attenzione sulla constitutio marcia-nea che Giustiniano aveva ritenuto opportuno inserire nel primo titolo del Codex repetitae praelectionis (appunto 1, 1, 4). Da questo testo legislativo emerge – ad avviso di Facondo – la consapevolezza del sovrano dei limiti della sua azione in materia religiosa, improntata alla prudenza e alla moderazione, grazie alle quali, lungi dal contrastare le indicazioni della gerarchia ecclesiastica de fide, volle essere docile esecutore delle dispo-sizioni del concilio (ecclesiasticorum canonum exsecutor esse voluit, non conditor, non exactor: PL 67, 838C).

Nel secondo corposo contributo (49-116) l’autore sottopone questo testo legislativo a una nuova e proficua indagine, alla luce non solo della lettura dello scrittore ecclesiastico, ma anche di altre stesure che di esso disponiamo, non perdendo mai di vista la valenza politica tesa a impe-dire con il divieto di publice tractare de religione eventuali conte-stazioni che potessero sfociare in atti di eversione per l’istituzione impe-riale. Il puntuale confronto (in parte inedito) con i precedenti legislativi illumina in pieno i caratteri originali della produzione di Marciano, che, nella fissazione dei criteri dell’ortodossia dogmatica cui ancorare l’elaborazione normativa, prende come punto di riferimento non più vescovi e patriarchi ma solo le decisioni conciliari.

Oggetto del terzo contributo (117-159) è lo studio attento di una possibile contestazione religiosa, alimentata dal monofisismo, e la sua dimensione regionalistica. L’intento della cancelleria era di coagulare la fede dei sudditi intorno ai dogmi di Calcedonia, allo scopo anche di esercitare un’attrazione centripeta atta a dissipare qualsiasi contesta-zione religiosa, nella quale confluisse l’opposizione politica, fiscale, culturale, sociale e soprattutto istituzionale al trono stesso. Motivi di

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Prefazione

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insoddisfazione sociale e politica erano da tempo diffusi nella pars Orientis dell’impero. Lo studioso si sofferma su testi tratti sia dagli Acta conciliorum oecumenicorum sia da fonti in un certo senso eccentriche per lo studioso del ius Romanorum.

Nel quarto contributo (161-186) Elio Dovere approfondisce il rapporto tra il ius Romanorum e i concili della Chiesa cattolica, un rapporto, che, inesistente fino alla fine del III secolo, data la mancanza di ogni attenzione giuridica per l’esperienza conciliare, comincia a sussi-stere, sia pure sul piano esclusivamente formale, solo con una costituzio-ne di Costantino del 321 (CTh. 16, 2, 4), da cui emerge che la cancel-leria imperiale percepisce l’esistenza dell’istituzione ecclesiastica ‘conci-lio’. Naturalmente nel corso del V secolo si registra un intensificarsi dell’attenzione degli imperatori nei riguardi dei decreta conciliari, a cominciare da quelli dei concili ecumenici. L’analisi di questo rapporto prosegue nel successivo contributo (187-210) limitatamente ai due con-cili ecumenici del V secolo. I testi legislativi presi in esame sono le costi-tuzioni Damnato portentuosae superstitionis auctore Nestorio del 435 o 436 (in CTh. 16, 5, 66 e in CI. 1, 5, 6), Sancimus, ut quaecumque Porphyrius del 448 (trascritta negli Acta efesini) e Olim quidem prius Nestorius del 449.

Nel sesto contributo (211-229) l’autore offre in traduzione ita-liana la diàtaxis di Marciano del marzo 452 (conservata in ACO 2, 1, 3, 119 s.), che riprende la constitutio del febbraio 452 che la precede di una decina di giorni. I codificatori giustinianei avrebbero preferito alla ridondante diàtaxis, densa di espressioni appassionate e di trasporto apparentemente sincero, la consitutio che per la sua concisa precisione è in linea con le leges collazionate nella repetita praelectio del VI secolo.

Nel penultimo contributo (231-274) ci si sofferma su due testi legisla-tivi repressivi dell’eresia eutichiana, di cui viene fornita la traduzione italia-na: la prima del 18 luglio 452, conservata in un’amplissima collectio canonica normalmente indagata per ragioni diverse e reperibile in una ste-sura greca e una fedelissima versione latina, e la seconda dei primi di agosto 455, pressoché sconosciuta ai giusromanisti, conservata, sia pure in due segmenti diversamente rubricati, nel corpus normativo del VI secolo. Le due leges, intrinsecamente collegate, miravano a impedire stabili orga-

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Prefazione

XIII

nizzazioni monastiche eterodosse e a reprimere il proselitismo religioso dissenziente da quello conciliare attraverso la punizione risoluta di qualsiasi violazione e l’applicazione della salutare medicina legum.

Nel primo provvedimento, si fa esplicito divieto agli eutichiani di avere una ecclesia con propri chierici e vescovi e a Eutiche di conserva-re il titolo di presbitero. I contravventori sarebbero stati privati dei loro beni e condannati all’esilio. Il secondo provvedimento è, invece, difficile da contestualizzare: non si capisce di primo acchito la ragione per la quale la cancelleria, dopo il precedente lungo testo antieutichiano, emanasse un nuovo edictum contro i monaci seguaci dell’ex-archimandrita costantino-politano. Dovere ritiene che esso nascesse dall’esigenza di richiamare alla memoria e di rafforzare con nuove e più pesanti misure punitive quelle precedentemente comminate agli ecclesiastici eterodossi, che si rifiutavano di accettare il Credo di Calcedonia. Questo provvedimento sembra, inoltre, indirizzato alla città di Alessandria, dove pareva radicarsi sempre più la perversitas eutichiana e dove era avvenuta qualche manifestazione ostile in concomitanza della scomparsa dell’esiliato Dioscoro. L’autore richiama l’attenzione sul testo di una minuta in greco di una lettera indirizzata all’inizio del 455 tramite il decurione Giovanni da Mar-ciano ai monaci alessandrini, che nella parte iniziale rivela una singola-re coincidenza contenutistica con la constitutio dell’1 agosto 455. Il tono di questa lettera è tuttavia più distensivo, dal momento che ai reve-rendissimi monaci viene offerta la possibilità di pentirsi e tornare all’ortodossia. La missione del decurione non ebbe esito positivo.

Il terzo volume si chiude con un contributo, pubblicato quest’anno in Iura, sul Credo di Calcedonia e l’ambigua politica normativa in età post-marcianea (275-298).

Dovere prende in esame la Lettera enciclica, conservata nella Sto-ria ecclesiastica dell’antiocheno Evagrio di Epifania, inviata nel 475 ai piissimi vescovi di ogni sede con l’obbligo di sottoscriverla, dall’impera-tore d’Oriente Basilisco (gennaio 475-agosto 476), subentrato a Zenone detronizzato da una congiura, allo scopo di trovare adesione politica nei tradizionali ambienti d’opposizione religiosa. L’Enciclica, riportata nel testo greco e tradotta in italiano, non ostante che se ne affermi la natura epistolare, si occupa autoritativamente di questioni de fide. Il tentativo di modificare le deliberazioni del concilio di Calcedonia con l’imposi-

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Prefazione

XIV

zione di un proprio simbolo di fede s’infrangeva contro l’energica resi-stenza del patriarca Acacio e dei monaci e costringeva Basilisco a fare marcia indietro. Poco prima della sua destituzione, allo scopo di riotte-nere il favore del patriarca il sovrano con la pubblicazione di un nuovo testo, l’Antiencyclion, cancellava l’intero contenuto della Lettera enciclica e provvedeva a restituire ad Acacio i diritti patriarcali. Intan-to, una violenta insurrezione popolare, cui parteciparono clero, artigiani e commercianti indignati per un’iniqua politica tributaria, metteva fuori gioco l’usurpatore e propiziava il ritorno al potere di Zenone, evaso dalla fortezza in cui era tenuto prigioniero. L’imperatore isaurico, es-sendosi reinsediato a Palazzo e avendo fatto eliminare lontanto dalla capitale l’usurpatore e la famiglia, emanò nel 477 una lex generalis, collocata dai commissari giustinianei all’inizio del Codice sotto la rubri-ca De sacrosanctis ecclesiis et de rebus et privilegiis earum (CI. 1, 2, 16), allo scopo di sopprimere le contrastanti disposizioni dell’usurpatore Basilisco, restituendo così all’imperium la pace turbata dai disordini religiosi provocati da quelle disposizioni.

Credo che l’autore abbia ben mostrato come una serie di interroga-tivi di carattere strettamente giusromanistico, se affrontati anche con la preparazione metodologica patristica e canonistica, rivelino una straor-dinaria ricchezza di informazione. Pure i saggi raccolti in questo terzo volume mostrano la concreta possibilità di comunicare, da parte dello storico-giurista, con tutti i ricercatori dell’Antico, dal patrologo al teolo-go, dal filologo al cristianista.

La bontà del metodo sperimentato con successo da Elio Dovere, consistente nella disponibilità da parte del giurista a cercare altrove, anche nella storia della teologia, le risposte ai quesiti posti dalla esube-rante normazione tardoantica, dovrebbe (hoc est in votis!) indurre il patrologo e lo storico dell’antica letteratura cristiana ad addentrarsi con più coraggio nell’intricata selva della normazione tardoantica. Con reciproco benefico vantaggio disciplinare e con il complessivo progresso dell’Alterthumswissenschaft.

Forio d’Ischia, 10 agosto 2013 ANTONIO V. NAZZARO

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Premessa

XV

Premessa Il tratto più antico della storia della cristologia avrebbe raggiunto il

culmine nell’autunno del 451, col concilio ecumenico celebrato a Calce-donia, giusto di fronte a Bisanzio, in un sito ormai scomparso (oggi, nel comune metropolitano di Istanbul, distretto asiatico di Kadiköy). Nel sinodo – come di recente ha pure ricordato Benedetto XVI – i vescovi riaffermarono «l’unica persona di Cristo in due nature, la natura divi-na e quella umana»; essi formularono le regole terminologico-concettuali per indicare i livelli dell’unità (di persona) e della differenza (delle natu-re): posero l’accento sulla completezza e integralità dell’umanità e sul fatto che l’affermazione della divinità non sopprime ma pone in essere la consistenza dell’umanità.

Per più di una ragione, però, e a dispetto della sua naturale auto-rità dottrinale, il concilio non contribuì alla risoluzione delle violente dispute che erano sorte successivamente al sinodo efesino di vent’anni prima. Anzi, la regolamentazione del linguaggio cristologico fu causa di ulteriore divisione fra i cristiani, originando (peraltro all’interno dei pericolosi antagonismi tra le sedi episcopali alessandrina e costantinopo-litana ormai giunte a una piena maturità ecclesiale) una sorta di ende-mico permanere di radicali contrasti teologici.

Delle subitanee reazioni al Credo stabilito a Calcedonia e alle de-cisioni disciplinari dei Padri – in qualche area finanche capaci di mi-nacciare la saldezza istituzionale dell’impero – dovettero tenere conto, non foss’altro che per l’immediato disturbo derivante all’ordine pubblico, più o meno tutte le cancellerie d’Oriente dalla metà del V secolo in avanti. Sia nel breve periodo (durante il settennato marcianeo) sia in prosieguo di tempo (nel corso del principato zenoniano, per esempio, travagliato dalla grave usurpazione di Basilisco), con benemerita provi-dentia il legislatore fu indotto a considerare i frutti dell’esperienza conci-liare calcedonese e a provvedere, ove possibile assecondando pragmatiche e talora urgenti esigenze, alla loro positiva ricaduta normativa nella vita quotidiana dei sudditi.

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Premessa

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Ebbene, a quanto resta della produzione autoritativa imperiale re-lativa alla Formula di ‘Calcedonia’ sono dedicati, con ogni possibile prospettiva di lettura, i saggi qui raccolti.

D’altra parte, evocando il pensiero d’uno studioso del calibro di Alois Grillmeier, non appare affatto azzardato affermare come ancora ai giorni nostri, se solo si guarda all’interpretazione del dogma calcedo-nese nella recente cristologia italiana (Bordoni, Forte, Serenthà, Amato), “Calcedonia non sia solo storia, ma addirittura viva e presente”. E, probabilmente, non è inutile ricordare proprio ora, nell’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI col motu proprio Porta fidei, tutta l’importanza del Simbolo al fine della coscienza dell’identità ecclesiale: un’importanza di sicuro storicamente apprezzabile, per l’epoca tardo-antica, anche da parte dello storico del diritto.

Mai, nella tradizione scientifica del ius Romanorum, questa legi-slazione sul Credo calcedonese ha ottenuto attenzione, fors’anche per il consapevole approccio interdisciplinare che necessariamente sollecita; mai, perciò, essa ha trovato un adeguato impiego per la ricostruzione di segmenti talora esemplari dell’ordinamento giuridico. Al contrario, quanto meno grazie al suo valore paradigmatico per la successiva importante norma-zione ‘religiosa’ – si pensi alla serrata produzione di Marciano del-l’anno 452 e, in parallelo, ad alcune delle più celebri novellae de fide del VI secolo –, questi sostanziosi resti della tarda realtà giuridica greco-romana meritano spazio, analisi, ricomposizione.

È quanto ho tentato di realizzare con questi studi distribuiti nell’arco di oltre vent’anni: coerenti per il tema che perfettamente li coin-volge e per l’ambito temporale che quasi tutti li recinge. Qualcosa final-mente riesce a emergere dal colpo d’occhio che la raccolta, malgrado ine-vitabili precisazioni, ripetizioni e insistenze, fornisce al lettore interes-sato alle feraci contraddizioni del mondo tardoantico.

La passione e l’impegno profusi in queste pagine, con affetto grande,

sono dedicati a mio figlio Giorgio. Napoli, 17 agosto 2013 ELIO DOVERE