Immunologia - 16-05-2013 - Ruggiero - Trapianti

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Immunologia, Ruggiero, 16/05/2013 [parte incomprensibile, sono riuscito a capire solo il termine “alloreazione”]… sia nei trapianti degli organi solidi, come i reni, sia in quello del midollo osseo che presenta delle problematiche completamente diverse, rispetto a quelle del trapianto d’organo tradizionale. Diciamo che siamo abituati ad uno scenario del genere che è quello che “spettacolistico”, però se la compatibilità tra donatore e ricevente non è buona succede che il rene trapiantato assume questa conformazione: viene rigettato, diventa fibrotico, quindi tutto ciò che è stato fatto per curare quella persona che soffriva di insufficienza renale viene completamente perso. Allora prendiamo due topolini che sono tra di loro uguali e dividono lo stesso patrimonio genetico e sono gemelli, quindi se preleviamo un pezzetto di cute dal primo e lo trapiantiamo nel secondo allora accade che il tessuto del donatore viene completamente accettato e quindi il trapianto non succede. La stessa cosa non succede se noi trapiantiamo al topolino del ceppo A un pezzo di cute preso da un topolino del ceppo B, poiché questi due ceppi non condividono geni quindi codificano per molecole che hanno diversa istocompatibilità, quindi avviene la presentazione dell’antigene di sostanze appartenenti al pezzo di pelle trapiantato che viene specificamente e totalmente distrutto. Ora però vediamo che succede se trapiantiamo un pezzetto di cute di un topo di ceppo B in un topo che è nato dall’incrocio tra un topo di ceppo A e uno di ceppo B, che ha quindi sia l’allotipo A che l’allotipo B: a questo punto quel pezzo di cute che porta con sé solo gli antigeni di tipo B viene perfettamente accettato, proprio perché riconosce il self (i pezzettini arancioni che sono stati trapiantati), quindi nei topi di prima generazione la condivisione del patrimonio genetico permette l’accettazione del trapianto. Ci potremmo aspettare anche il contrario, no? Questo topo di prima generazione ha sia allotipo A che allotipo B, questa cute è a strisce arancio e verde, ci potremmo aspettare che un topo di tipo A potrebbe accettarla, ma in realtà è molto diverso dal sistema immunitario del donatore perché possiede degli allotipi che derivano dall’altro topo, da quello di tipo B, e in questo caso è completamente rigettato. Quindi il riconoscimento di poliformismi combinati con i geni(? 3:30, non ho capito se ha detto proprio geni) di istocompatibilità sembrano controllare in maniera dominante la possibilità di trapiantare organi da un individuo all’altro all’interno di una stessa specie. Concetto molto divertente, addirittura noi superiamo le barriere e facciamo xenotrapianti, cioè quando si usa un organo proveniente da un individuo di una specie diversa, allotrapianto

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Immunologia, Ruggiero, 16/05/2013[parte incomprensibile, sono riuscito a capire solo il termine “alloreazione”]… sia nei trapianti degli organi solidi, come i reni, sia in quello del midollo osseo che presenta delle problematiche completamente diverse, rispetto a quelle del trapianto d’organo tradizionale. Diciamo che siamo abituati ad uno scenario del genere che è quello che “spettacolistico”, però se la compatibilità tra donatore e ricevente non è buona succede che il rene trapiantato assume questa conformazione: viene rigettato, diventa fibrotico, quindi tutto ciò che è stato fatto per curare quella persona che soffriva di insufficienza renale viene completamente perso.Allora prendiamo due topolini che sono tra di loro uguali e dividono lo stesso patrimonio genetico e sono gemelli, quindi se preleviamo un pezzetto di cute dal primo e lo trapiantiamo nel secondo allora accade che il tessuto del donatore viene completamente accettato e quindi il trapianto non succede. La stessa cosa non succede se noi trapiantiamo al topolino del ceppo A un pezzo di cute preso da un topolino del ceppo B, poiché questi due ceppi non condividono geni quindi codificano per molecole che hanno diversa istocompatibilità, quindi avviene la presentazione dell’antigene di sostanze appartenenti al pezzo di pelle trapiantato che viene specificamente e totalmente distrutto. Ora però vediamo che succede se trapiantiamo un pezzetto di cute di un topo di ceppo B in un topo che è nato dall’incrocio tra un topo di ceppo A e uno di ceppo B, che ha quindi sia l’allotipo A che l’allotipo B: a questo punto quel pezzo di cute che porta con sé solo gli antigeni di tipo B viene perfettamente accettato, proprio perché riconosce il self (i pezzettini arancioni che sono stati trapiantati), quindi nei topi di prima generazione la condivisione del patrimonio genetico permette l’accettazione del trapianto. Ci potremmo aspettare anche il contrario, no? Questo topo di prima generazione ha sia allotipo A che allotipo B, questa cute è a strisce arancio e verde, ci potremmo aspettare che un topo di tipo A potrebbe accettarla, ma in realtà è molto diverso dal sistema immunitario del donatore perché possiede degli allotipi che derivano dall’altro topo, da quello di tipo B, e in questo caso è completamente rigettato. Quindi il riconoscimento di poliformismi combinati con i geni(? 3:30, non ho capito se ha detto proprio geni) di istocompatibilità sembrano controllare in maniera dominante la possibilità di trapiantare organi da un individuo all’altro all’interno di una stessa specie. Concetto molto divertente, addirittura noi superiamo le barriere e facciamo xenotrapianti, cioè quando si usa un organo proveniente da un individuo di una specie diversa, allotrapianto invece riguarda lo scambio di organi tra individui della stessa specie, autotrapianto semplicemente un individuo si trapianta un organo un tessuto che gli è stato esportato recentemente.Allora, innanzitutto cerchiamo di capire chi, nell’ambito del sistema immunitario del comportamento adattativo, si assume la responsabilità di (? 4:43, delle persone vicino al registratore parlavano di sottofondo e non ho capito bene, però credo che introducesse semplicemente quello che verrà dopo). Allora, prendiamo dal topolino di ceppo A un pezzetto di cute e trapiantiamolo nel topo di ceppo B e osserviamo quello che accade: ci vogliono circa sette dieci giorni perché il rigetto avvenga, quindi verosimilmente il rigetto di allotrapianti coinvolge l’immunità adattativa. Se noi in questo topolino in cui abbiamo trapiantato un pezzo di cute di ceppo A, e quindi ha visto già l’individuo A, trapiantiamo un pezzo di cute sempre dell’individuo A allora si verificherà un secondo ciclo distruttivo con effetti più devastanti, questo perché ci sarà (5:44, non capisco la parola) che caratterizza le cellule dell’immunità adattativa. Ed è quello che succede, vedete che il rigetto è molto più rapido in un secondo momento. Quindi è l’immunità adattativa a controllare il rigetto. Addirittura possiamo prendere i linfociti del topo che ha già rigettato il trapianto e li mettiamo contestualmente nel topolino a cui trapiantiamo l’organo, possiamo prendere un topolino dello stesso ceppo, possiamo tranquillamente farlo visto che ha le stesse cellule del primo, ed ecco che il trasferimento di linfociti provocherà un rigetto. Quindi il rigetto è sotto il controllo dell’immunità adattativa e in particolar modo delle cellule linfoidi.Allora abbiamo detto diversità codificate per le HLA i cui geni sono sul cromosoma 6, abbiamo visto come queste molecole sono altamente polimorfiche e il poliformismo sempre è realtà, perché biologicamente

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l’istocompatibilità è deputata al riconoscimento dei linfociti T autologhi. Questo polimorfismo è molto ampio, ci sono moltissimi alleli per le HLA di classe I e il trasferimento delle diversità è molto favorito e possono essere espresse in codominanza, cioè esprimiamo sia quelle ereditate da nostro padre che quelle da nostra madre, abbiamo visto come questo dà un grosso vantaggio nella risposta immunitaria, perché consente di ampliare moltissimo gli antigeni che possiamo legare, il ruolo biologico delle MHC è quello di favorire il riconoscimento, il monitoraggio di ciò che sta dentro e fuori la cellula, quindi normalmente la cellula T riconosce l’antigene, un pezzettino di proteina, che sta sul complesso di istocompatibilità, questo processo si chiama presentazione. Allora, in linea teorica, questo recettore lavora soltanto con cellule autologhe, cioè che hanno la stessa istocompatibilità, ma non deve riconoscere l’istocompatibilità allogenica, tanto che Z. ha dimostrato che un virus presentato su cellule con una diversa istocompatibilità viene totalmente ignorato dalle cellule T. L’alloreazione è quella che abbiamo riscontrato in un rene rigettato e questo ci dice che il sistema immunitario è capace di riconoscerlo, ma tutto questo cozza in maniera molto stringente con quello che sappiamo della risposta delle cellule T, che non dovrebbero vedere un alloantigene. Che cosa potrebbe succedere?Ragazzo: cerca di saltare la presentazione antigenica?Prof.: no perché le cellule T sono abituate a guardare l’antigene solo nella presentazione, quindi guardano nelle MHC e il recettore è fatto, quindi, in modo tale da non saltare questa fase.Ragazzo: forse deve guardare un complesso self antigenico?Prof.: allora, il collega ci dà una via di uscita da questo tipo di problema, ossia: noi qui abbiamo un recettore che vede un self MHC con dentro un peptide, per esempio, estraneo. Questo stesso recettore potrebbe avere una compatibilità semplicemente sterica con un MHC che presenta un peptide allogenico, oppure un MHC che presenta un peptide autologo, ossia è possibile che questo recettore che vede l’antigene dentro le MHC self semplicemente per cross-reazione, perché gli somiglia tanto. Quindi l’alloreazione si basa sulla cross-reattività, sulla somiglianza fra un MHC autologo e un allo-MHC, con dentro o un peptide self o un peptide allogenico. Semplicemente una somiglianza in una cross-reazione, e verosimilmente questa cross-reattività riguarda un numero di molecole abbastanza elevato, perché se noi effettuiamo il trapianto senza controllare che tipo di polimorfismo c’è il rischio di rigetto molto alto, quindi la cross-reattività riguarda un numero di linfociti T tanto elevato da poter scatenare una reazione molto forte nei confronti dell’alloantigene. Riguardo a questo riconoscimento possiamo descrivere due meccanismi:

1) Un riconoscimento di tipo diretto, si basa sulla cross-reazione, l’abbiamo detto che quella stessa molecola recettoriale che vede il peptide nell’ambito della MHC autologa è capace di vedere anche un MHC allogenica con dentro un peptide autologo o un peptide allogenico;

2) Un riconoscimento di tipo indiretto, per cui una cellula dell’organo trapiantato può morire, per esempio, ed essere riconosciuta e fagocitata da cellule dendritiche self per poi esporla all’interno delle sue stesse molecole di istocompatibilità, questa è la situazione che ci aspetteremmo, la classica.

(Ribadisce di nuovo la differenza tra riconoscimento diretto e indiretto.)Ragazza: ma si parla sempre del peptide che viene dalla molecola polimorfa?Prof.: certo, sì.Ragazzo: prof.ssa ma indiretto è come se fosse un normale meccanismo di riconoscimento?Prof.: sì, un normale meccanismo.Allora, abbiamo cellule che migrano nel linfonodo del ricevente e a questo punto le cellule del ricevente riconoscono, come risultato di una cross-reazione, l’antigene allogenico. Le APC processano proteine derivate dal donatore le legano all’interno del solco delle MHC e ne permettono il riconoscimento. (?, 14:23)alle proteine la possibilità di controllare con rigidità nel trapianto di cute proveniente da un ceppo diverso vediamo che, nel caso di trapianto autologo non c’è rigetto, nel caso di trapianto da un ceppo

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diverso c’è rigetto nel giro di dieci giorni, nel caso che c’è un secondo trapianto dallo stesso donatore nel topo che era stato (?, 14:49) il rigetto sarà molto più rapido e ciò ce lo siamo spiegato con la risposta della memoria. E ancora abbiamo detto che naturalmente una (?, 15:07) in seguito a trasferimento di cellule sensibilizzate nei confronti delle MHC del donatore è in grado di (?, 15:16-15:22) che possiede i linfociti o B o T che vedono il loro (?) nel donatore ci dobbiamo aspettare un tipo di riconoscimento, più facile e più rapido di un riconoscimento della memoria. Allora, esistono delle diversità che possono suscitare una reazione anticorpale, per esempio nelle trasfusioni (?) a quel punto il donatore ha tutta una serie di linfociti B che fanno gli anticorpi e linfociti T che riconoscono quelle cellule che agiscono come cellule della memoria, quindi il donatore può essere preimmunizzato per varie ragioni, una di queste ragioni può essere la trasfusione, una persona politrasfusa è una persona molto più difficile da trapiantare, ed è ancora più difficile trovare una compatibilità che non cozzi contro la risposta verso cellule che sono state inserite all’interno della persona, perché la trasfusione è il trapianto più frequentemente utilizzato in medicina, e vedremo quali sono i canoni per consentire l’attecchimento del trapianto. In questo tipo di situazione potete vedere che c’è una diversità perché il figlio possiede degli antigeni che sono gli antigeni materni e abbiamo detto che l’utero durante la gravidanza (?, 17:00) alcune cellule del figlio passano nella circolazione materna e le (pluripare?, 17:06) hanno tantissimi anticorpi anti-HLA del padre, addirittura per riconoscere la specificità allogenica delle MHC si usa il siero di persone (?, come 17:06) che vengono usate con le MHC del padre. Ora tranquillamente questi anticorpi sono usati dall’ospite nei confronti del donatore, questo rende difficile in una coppia, donatore e ricevente, avere una buona reazione di attecchimento. Succede per esempio che gli anticorpi possono attivare una reazione infiammatoria soprattutto nella parete vascolare dell’organo trapiantato, tutto questo genera una difficoltà di circolazione negli organi, quindi in genere i rigetti mediati da preimmunizzazione sono molto più rapidi e il bersaglio del rigetto è il microcircolo dell’organo, andando a ledere le giunzioni vascolari e quindi l’apporto ematico, l’apporto di nutrimento all’organo rendendolo difficile e complesso. Tutto questo determina la perdita dell’organo.E queste sono immagini del rigetto: vedete che qui c’è un infiltrato di linfociti che sono cellule folli, cioè cellule di un infiltrato infiammatorio.Possiamo classificare il rigetto in tre grosse categorie: rigetto iperacuto, rigetto acuto e rigetto cronico.

1) Rigetto iperacuto: coinvolge essenzialmente la presenza di corpi fissanti il complemento, avviene immediatamente, dopo poche ore. Si blocca la circolazione dell’organo trapiantato che viene immediatamente distrutto e coinvolge sostanzialmente anticorpi e il complemento. Questo tipo di rigetto si presenta quando si cerca, per esempio, di fare xenotrapianti. Le diversità sono talmente tante che anche le molecole contenenti indipendentemente dalla disponibilità di anticorpi sono in grado di mediare una attivazione della cascata complementare che danneggia il microcircolo dell’organo così da non permettere una circolazione che consenta di sopravvivere.

2) Il rigetto acuto è dato dalla presenza abbastanza ridotta di alloanticorpi almeno nelle prime settimane e il bersaglio, come al solito, sono i vasi sanguigni, e viene rigettato.

3) Il rigetto cronico è quello più frequente e questo coinvolge una risposta mediata dalle cellule T CD4, quindi c’è l’attivazione dei macrofagi e la produzione di citochine proinfiammatorie e il microcircolo viene ad essere caratterizzato da un forte ispessimento dovuto alla presenza di queste citochine infiammazione, difficoltà circolatorie progressive e funzionamento progressivamente perso, in periodi molto più lunghi, possono essere degli anni e il risultato è sempre l’indisponibilità della funzionalità dell’organo.

Domanda: professoressa, ma in questo terzo caso, visto che c’è questa reazione infiammatoria non possiamo tenerla sotto controllo per evitare che…

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Prof: allora, dunque, vedremo quali sono i farmaci che vengono utilizzati per fare la soppressione, quindi questi farmaci sono dei cocktail di farmaci. L’avvento della terapia immunosoppressiva ha proprio permesso di poter fare i trapianti che abbiano una ripresa a lunghissima scadenza.Domanda: professoressa ma tra rigetto cronico e c’entra anche la memoria immunitaria o è…Prof: c’entra sicuramente la memoria immunitaria, ma si tratta di un rigetto in persone che sono soppresse, però che invece però l’organo viene in qualche modo tollerato e in genere si tenta l’immunosoppressione per avere una risposta più debole meno inficianti la risposta, perché dovete pensare che una persona che ha un trattamento immunosoppressivo, il trattamento immunosoppressivo porta tutte le cellule a non rispondere, qua si tratta di persone che devo essere difese nei confronti delle infezioni, essendo molto più suscettibili ad esse visto che hanno subito una terapia immunosoppressiva per impedire alla risposta immunitaria di agire nei confronti dell’organo trapiantato.Piano piano però questi trattamenti vengono resi quantitativamente più tollerabili, fino a che si può arrivare in alcune persone che si sospendono totalmente dopo un certo numero di anni e poi il trapianto può avere successo in un certo numero di casi. Ci sono un certo numero di studi per capire quali sono i meccanismi per cui si arriva all’allotolleranza, e si è scoperto che in queste persone è stata riscontrata un’alta presenza di cellule regolatorie, ma non le regolatorie FOXP3 positive, ma la regolazione con cellule FOXP3 negative che producono grandi quantità IL-10, c’è una buona presenza di queste cellule chiamate TL1, che sono cellule che secernono IL-10 per favorire la tolleranza fisica specifica nei confronti dell’organo trapiantato. Anche perché in alcuni casi, per esempio in quelli di trapianti del midollo, è possibile sapere prima cosa (?, 24:17) al ricevente, in altri casi noi non lo possiamo sapere prima la persona è in lista d’attesa e aspetta il donatore, il cui organo deve essere immediatamente utilizzato quindi non c’è tempo di poter analizzare le cellule dell’organo del donatore, e invece sulla donazione del midollo si va sul sicuro perché esistono proprio dei registri da cui è possibile estrapolare (?, 24:42 – 24:50) abbiamo visto che la risposta di rigetto è specifica nei confronti di quel donatore, come è specifica la risposta immunitaria in generale.Allora, dicevamo che è possibile quindi identificare i meccanismi di rigetto che temporalmente partono dal riconoscimento del tessuto, riconoscimento che può essere diretto o indiretto. Diciamo subito che il rigetto cronico è un rigetto che si basa sul riconoscimento indiretto, invece il rigetto acuto si basa sul riconoscimento diretto. Allora, vedete è possibile la tolleranza se c’è condivisione(?) completa, è possibile il rigetto molto rapido quando, abbiamo detto, c’è (?, 25:57), è possibile che il trapianto venga seguito da un rigetto molto più tardivo, 60 giorni, e è possibile che in alcuni non ci sia dissomiglianza nelle HLA ma la disuguaglianza riguarda l’antigene. Anche se noi scegliamo in maniera molto precisa un donatore e un ricevente che condividono in tutto e per tutto le HLA, ma il problema risiede nel fatto che oltre alle HLA che sono presenti sul braccio corto del cromosoma 6 possediamo i polimorfismi, che sono verificati in relazione agli autosomi. Il polimorfismo più frequente che ci possiamo aspettare è quello dato dalla differenza X Y, ci sono nell’uomo dei geni che si trovano sul cromosoma Y che codificati danno diversità molecolare, questa diversità molecolare codificate nel contesto di un gene che non sta negli antigeni maggiori di istocompatibilità si chiamano antigeni minori di istocompatibilità, e sono responsabili di un tipo di rigetto molto tardivo, di circa sessanta giorni, proprio perché danno delle diversità molto limitate da un punto di vista quantitativo. Quindi diciamo che la differenza in sequenza in (?, 27:43) self polimorfiche danno vita ad antigeni nuovi che vengono riconosciuti e presentati con il meccanismo classico della presentazione, quindi abbiamo un donatore e un ricevente che sono diversi non per le HLA ma sono diversi per antigeni nuovi quindi poliformismi molecolari determinati dagli autosomi o dai cromosomi sessuali, quindi questi antigeni finiscono per essere processati dalle cellule nella maniera classica e presentati alle cellule T, quindi si genera una risposta immunitaria.

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Quali sono questi polimorfismi: per quanti riguarda i polimorfismi presentati dal cromosoma Y sono stati addirittura codificati, e queste sono specificità ristrette per vari alleli, quindi immaginate questa proteina che è messa dentro alle MHC autologhe, quindi le persone di aplotipo A1 dell’allele 1 locus A possono processare molecole che vengono da un cromosoma Y, quindi si tratta di un organo di un uomo, e possono determinare questa specie di (?, 29:15) e così per tutto il resto. Quindi dicevamo gli antigeni minori possono essere codificati da autosomi, quindi vedete che ci sono tutta una serie di antigeni minori che sono codificati dal cromosoma 15, 7, 9 etc. etc. etc. si tratta di diversità policlonali(?) codificate nell’ambito del gene degli antigeni minori di istocompatibilità.Allora, quindi quando abbiamo un rene trapiantato può succedere che le cellule del ricevente riconoscono le diversità nell’ambito dell’HLA o degli antigeni minori di istocompatibilità, il rene viene quindi distrutto. Non abbiamo detto cosa succede quando facciamo il trapianto di midollo osseo, questo permette di dare al ricevente cellule staminali del donatore, e il ricevente, in genere, è una persona che per esempio ha un tumore, per esempio le leucemia, che incontra la strategia terapeutica per cui si distruggono tutte le staminali della persona per poi distruggere la leucemia, e permettere poi alla persona ricevente di far colonizzare il midollo da cellule del donatore. A questo punto il ricevente è colonizzato da cellule di un’altra persona, cellule che hanno una identità immunologica, quelle cellule riconoscono le cellule del ricevente, e in questo tipo di (?, 31:10) , perché il sistema immunitario lo attacca, quindi in questo caso non si definisce il rigetto, ma si verifica quello che noi definiamo Graft Versus Host disease, o quella malattia determinata dal trapianto che reagisce contro l’ospite. E’ l’ospite che diviene il bersagli del donatore.Quindi, nel caso del trapianto di rene, abbiamo visto che c’è la presentazione, ci sono cellule effettrici che una volta che una volta che sono state istruite, al livello della cute per esempio, determinano la distruzione del trapianto, mentre nel caso di un trapianto emopoietico invece le cellule alloreattive del donatore vanno a distruggere le cellule del ricevente in tutti gli organi e naturalmente la graft versus host diventa molto pericolosa per la sopravvivenza del ricevente e quindi c’è un attacco massivo nei confronti di una serie di antigeni espressi un po’ dappertutto dal ricevente. Allora, la GVH è classificata in quattro gradi di gravità e vedete che (?, 32:56) sono tenute sotto controllo e consentono di classificare queste reazioni. Nella GVH di quarto grado vedete la bilirubina sierica e la tossicità epatica progressiva, c’è una reazione cutanea generalizzata; in quella di terzo tipo c’è una reazione cutanea generalizzata, una bilirubina che non supera i 15 mg e non c’è (?, 33:35 – 33:40), quindi come vedete queste due reazioni sono molto gravi e non determinano la sopravvivenza del ricevente; le reazioni di secondo grado risultano essere un po’ più tollerabili, il danno epatico è più basso anche il collasso gastrointestinale diventa più tollerabile, quindi bisogna evitare questo tipo di reazione. Allora, queste sono un po’ le malattie in cui il trapianto di midollo viene fatto, questi sono i tumori ematici in cui il trapianto di midollo viene fatto e queste sono le modalità in cui in genere si previene una reazione GVH. Per esempio si può fare in modo che non vengano trapiantate le cellule alloreattive, perché se noi analizziamo staminali perfettamente isolate, queste non hanno attività di immunocompetenza acquisita, cioè, non sanno cosa riconoscere, e imparano a riconoscere all’interno del ricevente, quindi si crea un sistema immunitario che attaccherà quello che riconoscerà non self, ossia il ricevente. Invece se prendiamo cellule mature che già hanno imparato a riconoscere nel donatore quindi sono immediatamente pronte ad agire, allora quello che viene fatto è prendere le cellule del donatore e sottoporle a protocolli di delezione, cioè togliamo le cellule che possono dare fastidio, in realtà si cerca di togliere tutte le cellule T, questa immagine ci parla di una proiezione verso il futuro quindi si tratta di gruppi particolarmente coinvolti nel trattamento del midollo osseo, viene fatta una delezione basandosi sull’attivazione fatta con cellule del ricevente. Cioè le cellule del donatore attivate in (?, 35:58) poi si vanno a prendere una serie di (?, 34:01) di attivazione e questo (come 34:01) di attivazione permettono di eliminare tutte quelle cellule che possono riconoscere gli epitopi che stanno nel ricevente, quindi si fa una deplezione dinamica di tutte quelle cellule che possono essere alloreattive verso il

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ricevente. A questo punto si riesce ad ottenere una GVH tollerabile, va bene? Che quindi non mette in pericolo la sopravvivenza dell’ospite. Non solo, ma vi ho detto che un grosso problema, soprattutto quando un individuo viene depletato completamente della sua emopoiesi, proprio perché sono state eliminate completamente tutte le sue staminali emopoietiche, allora diviene suscettibile alle infezioni, allora vengono fatte una serie di procedure tutte in ambiente sterile, quindi si cerca di prevenire che un individuo completamente inerme entri in contatto con degli organismi, quindi per prevenire queste infezioni uno degli approcci che si sta cercando di ottenere è quello di attivare in un individuo le cellule T del donatore con capacità di reagire contro agenti microbici e quindi permettere al ricevente di ottenere cellule espanse, che sono cellule capaci di vedere i virus che sono quindi capaci di proteggere in maniera immediate le cellule che sarebbero lese da un’infezione. (Ho capito solo “abbiamo detto” e “possiamo trapiantare qualsiasi cosa, in questo caso il rigetto non è possibile” tra 37:46 e 38:10). Invece in caso di trapianto di organi solidi o di midollo osseo quello che ha veramente rivoluzionato negli anni ottanta l’attecchimento di trapianti, in cui si passa da una percentuale di sopravvivenza che va dal 45% all’80%, con l’introduzione dei farmaci immunosoppressivi essenzialmente della ciclosporina A. (da 38:50 a 38:55) sono quelle che mediano il rigetto, (38:59) attivano AP-1 e in particolare l’attivazione di NFAT prevede che l’aumento di calcio che si lega alla calmodulina che a sua volta in presenza di calcio, quindi la calcineurina si lega a NFAT che poi entra nel nucleo e svolge il suo lavoro. La ciclosporina impedisce che la calcineurina si assembla a NFAT, impedendone la traslocazione nel nucleo. I protocolli di immunosoppressione però prevedono l’utilizzo di molti farmaci insieme, così si riesce ad ampliare l’effetto dei singoli farmaci in maniera tale da potenziare l’effetto finale, si utilizzano anche dei cortisonici che hanno la capacità di legare recettori di steroidi all’interno della cellula e inibire la reazione a catena, così da evitare di trasdurre il segnale all’interno del nucleo e limitare, così, l’effetto; un’altra famiglia di farmaci utilizzati sono quelli in grado di bloccare la proliferazione cellulare, inibiscono il metabolisco secondo vari pathway, impedendo così alle cellule del sistema immunitario di espandersi. Uno dei problemi dei tipi di terapie che comprendono la ciclosporina riguardano il fatto che la ciclosporina potrebbe avere un effetto deleterio nei confronti dell’organo trapiantato in particolare si parla del rene. Bloccare il rilascio di calcio determina effetto negativi nel circolo del rene e quindi l’organo viene leso dalla terapia immunosoppressiva, e si pone il problema quando ad un certo punto si vede che la funzionalità renale sta diminuendo e quindi sei deve stabilire se è l’immunosoppressivo che sta danneggiando il rene oppure c’è un rigetto e quindi si effettua la biopsia renale che è l’unica capace di confutare questo genere di dubbio, ultimamente si sta cercando di fare dei farmaci che sono inibitori di mTOR e che quindi influiscono soprattutto sulla migrazione delle cellula, anche se non hanno attività tossica e conferiscono una immunosoppressione senza predita dell’attività funzionale.Domanda: ma, questa nefrotossicità si verifica anche se non è il rene l’organo trapiantato?Prof.: sì, ma si parla di questo rigetto perché in genere è il cuore, in linea generale il rigetto una volta controllato nei mesi tende ad essere comunque relativamente troppo frequente, indipendentemente dalla forza del trattamento immunosoppresivo che viene limitatamente scalato, esiste un problema anche a tanti anni, in genere, dal trapianto. Domanda: ma tutti questi farmaci possono portare anche a una compromissione del nostro (?) ad una debolezza del nostro (?).Prof.: sì in dipendenza dalla quantità di farmaci che prendiamo, tutto questo poi è regolato in base alla persona e trovando un compromesso. Una cosa, per esempio, che si è vista è che se un familiare dona un organo ad un familiare è più tranquillo, ma si è visto che indipendentemente dalla compatibilità MHC, se il rene non ha (? Penso che parli di due coniugi) verosimilmente il contatto ravvicinato fa crescere la compatibilità.

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Allora, questo è tipicamente una statistica nel 2008, in cui la percentuale di incidenza del trapianto a 5 anni con vari tipi di trapianto. E questo tipo di statistiche ci dice quanto è coinvolta la compatibilità delle MHC per ottenere la sopravvivenza a cinque anni, mismatch vuol dire disuguaglianza, se c’è 0 disuguaglianza il trapianto ha avuto una preservazione migliore, se c’è 6 di disuguaglianza, quindi il mismatch completo, a quel punto scende in maniera drastica la percentuale di tollerabilità. Quello che si è notato studiando la compatibilità delle MHC e in particolare quali fossero le diversità che provocavano una intolleranza più frequentemente si è visto che indipendentemente dal tipo di mismatch, la sopravvivenza col mismtach incompleto a 1, è meno del 45%, rispetto a un rene che porta all’host un allele numero 7 è del 75%.Il senso è che non tutte le dissimiglianze sono uguali, esistono delle dissimiglianze accettabili. Quindi basta un’unica dissimiglianza tra due soggetti che provoca il rigetto molto più rapidamente, piuttosto che due dissimiglianze uniche che vengono più tollerate, sono state identificate delle coppie di dissimiglianze che non devono essere assortite altrimenti si genera un mismatch unico che può portare al rigetto. Abbiamo parlato precedentemente della GVH , per esempio quelle di terzo e di quarto grado che hanno effetti sistemici. Possiamo carpire la probabilità di questa reazione su casistiche molto ampie, questo è un lavoro del 2001, e si è visto che le reazioni di terzo e di quarto grado sono più probabili quando ci sono dissimiglianze di antigene di classe I e di classe II e di singoli antigeni di classe II, mentre invece vedete che l’attecchimento migliore che si accompagna ad assenza di reazioni gravi si verifica più frequentemente quando c’è un matching allelico, quindi sono tutti uguali, o quando c’è un singolo allele di classe I. Vedete che per esempio c’è la diversità multipla di classe I, o di classe II, e nel secondo caso una reazione ostile è molto più probabile. Però vedete cosa succede, questa immagine ci dice la percentuale di sopravvivenza della leucemia nei pazienti che sono stati trattati con trapianti di midollo, in base alla compatibilità delle MHC, ricordate che nel mismatch di classe II avrete un GVH più grave, anche se era uno solo. Se invece andiamo a vedere la sopravvivenza vediamo che quella maggiore riguarda le differenze degli antigene di classe I, matching allelico.Domanda: professoressa, scusate, potete ripetere la differenza?Prof.: quando abbiamo visto la entità della GVH in dipendenza dai singoli alleli delle MHC, abbiamo visto che un singolo allele di classe II era più capace di provocare una GVH grave, rispetto a singole differenze di classe I, quindi erano addirittura assimilabili a differenze nelle MHC di classe I e di classe II, quindi sembrava che fosse una condizione da evitare.Se a lungo andare si nota una sopravvivenza alla leucemia quelle stesse differenze che generano la GVH grave, sono in grado di determinare una sopravvivenza dell’intera malattia, quindi una diversità di classe II protegge da una fase acuta della leucemia, però avrà una GVH grave, però se supera questa GVH allora ci sono molte più probabilità che la persona guarisca dalla leucemia!Allora cosa succede? Succede che le risposte GVH con cellule T del donatore, mentre le cellule T del ricevente contiene altre MHC, quindi una risposta del trapianto nei confronti dell’ospite tende a sterilizzare da un tumore leucemico, più facilmente se lo riconoscono con facilità. Questo tipo di approccio ha portato a sperimentare, nel caso delle leucemie, dei trapianti di midollo che utilizzano un donatore non tanto consanguineo. Perché in questo caso se c’è una somiglianza di alleli MHC allora c’è una somiglianza anche di (?, 50:40 a 50:49), e invece se noi prendiamo (?, 5:51) questi condivideranno gli alleli MHC ma non condivideranno una serie di elementi che sono sparsi nel corredo cromosomico, quindi è possibile che queste diversità siano in grado di consentire quella ricerca accurata delle cellule leucemiche da parte delle cellule del donatore. Un altro approccio che si sta tentando sempre nel caso delle leucemie è quello di utilizzare il cosiddetto trapianto aploidentico, in genere noi portiamo due aplotipi, portiamo (52:28 ma ho sentito bene che portiamo tre cromosomi, due di nostro padre e uno di nostra madre? O.O) se noi utilizziamo come donatore un consaguineo che condivide metà delle HLA, avremo la possibilità che ci sia un mismatch in

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metà del genoma, quindi se noi proviamo a ragionare per gli HLA abbiamo naturalmente le cellule NK del donatore sono in grado di essere inibite da chi? Da un aplotipo blu e da un aplotipo verde. Se invece vado in un ricevente in cui abbiamo metà dell’aplotipo del donatore, e hanno diversa questa parte rosa del ricevente, allora in questo caso è possibile stimolare l’uccisione delle cellule leucemiche da parte delle NK, le quali poiché vengono dal donatore tollerano tutto ciò che è azzurro ma non tollerano quello che è rosa. Quindi questi approcci terapeutici che attualmente si stanno utilizzando consentono di sfruttare la capacità delle cellule NK e di non essere inibite dalla compatibilità, questo approccio viene chiamato trapianto aploidentico.E questa praticamente è la stessa cosa, in queste persone naturalmente è critico togliere le cellule T, cioè quando si tratta di (?, 54:15) togliere tutte le cellule (?, 54:18) per fare in modo di trapiantare cellule NK che facciano il lavoro, ma le cellule T devono essere assolutamente trapiantate, quindi ci sono delezioni di cellule T e poiché in questo caso il GVH può essere molto grave, viene cotrapiantata insieme con le cellule midollari, anche una certa quantità di cellule mesenchimali midollari che hanno una certa attività inibente. Allora, nel nostro midollo ci sono delle cellule mesenchimali, dobbiamo proteggere le staminali, il sistema immunitario deve essere tenuto sotto controllo sennò può danneggiare le nostre cellule staminali e di ciò se ne occupano le cellule mesenchimali, che stanno nel midollo osseo e che hanno la capacità di sopprimere una risposta del sistema immunitario in maniera tale da mantenere al massimo possibile l’efficienza delle nostre staminali emopoietiche. Sono un patrimonio che dobbiamo mantenere per tutta la lunghezza della nostra vita, queste cellule mesenchimali possono essere prelevate e inoculate insieme col trapianto di midollo nel ricevente, in questo modo aggiungendo alle cellule T queste cellule mesenchimali si riesce ad ottenere una GVH attenuata e quindi accettabile e dall’altro canto si vanno a cercare le cellule leucemiche che vanno ad uccidere.Domanda: ma come fanno ad attaccare unicamente le cellule leucemiche?Prof: semplicemente perché le cellule non attaccano soltanto le cellule leucemiche, ma in gran parte l’effetto è quello, attaccare tutto ciò che non viene riconosciuto.Però, in genere, con questi accorgimenti (?, 56:20) quando non si riesce a trovare nel registro un donatore HLA identico si preferisce usare un parente che codifica metà dell’aplotipo proprio per favorire la guarigione dalla leucemia. Addirittura nei casi in cui c’è un trattamento leucemico, nelle persone in cui c’è stato un trapianto di midollo da un donatore preso dal registro, si prendono le cellule T del donatore e si inoculano nel ricevente e c’è una remissione della leucemia. Quindi alcune leucemie vengono addirittura trattate con trasferimento di cellule del donatore e questo approccio funziona.Domanda: professoressa ma questo perché le cellule del donatore non hanno tolleranza verso le cellule del ricevente?Prof: sì, le cellule del donatore arrivano e per cross-reazione attaccano le cellule del ricevente. Questo approccio funziona molto bene e (?, 57:23)Domanda: e una volta che si è eliminata la leucemia, le nuove cellule bianche del ricevente saranno del donatore o…Prof: saranno tutte quante del donatore.La ricaduta leucemica si verifica nel momento in cui alcuni cellule comunque sono sfuggite e sono cresciute, proprio perché il sistema immunitario non sono riuscite a controllarle. Quindi c’è l’esplosione leucemica.Una delle modalità di trattamento è prendere le cellule T del donatore, trasferirle e quindi c’è una risposta, c’è una remissione della leucemia.Domanda: in questo caso il graft com’è?Prof: in questo caso ci si preoccupa molto della GVH, perché una persona che ha una leucemia massiva, quindi ha cellule leucemiche dappertutto, quindi c’è una situazione di grossa emergenza.

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Domanda: professoressa ma questo soggetto che ha subito il trapianto di midollo, ha sviluppato delle cellule immunitarie del donatore, deve assumere degli immunomodulanti? Sì Quindi è lo stesso di un trapianto d’organo?Prof: spesso questo trattamento immuno soppressivo riguarda soltanto le prime fasi, perché nel trapianto di cellule staminali c’è un inoculazione dei precursori.Domanda: perché sono comunque delle cellule che non hanno sviluppato tolleranza, quindi o la sviluppano nell’ospite…Prof: pian piano la sviluppano nell’ospite, ossia se si riesce a limitare il GVH nei primi mesi, dopo di che c’è possibilità che si arrivi a tolleranza perché i precursori si sviluppano nell’ambiente del ricevente.Tutte cose di scarso interesse, a mio avviso, però riporto quello che capisco (?, 59:30, credo abbia accennato alle trasfusione) questa è l’immagine di una statua molto antica, in cui si immaginava che in una persona che avesse perso sangue fosse utile trasferire sangue della pecora. Non si hanno notizie del signore che ha subito questo tipo di trattamento, ma il nostro collega era convinto che questa cosa funzionasse, e quando (?, 1:00:10) i medici dell’ottocento (?, 1:00:13) l’idea che si facesse un salasso e che, quindi, si togliesse tutto il sangue, questo ?, che è determinato da un fiore, che determinava infezione, potesse essere rimosso. Quindi tra coloro che ? e tra coloro che facevano il salasso se ne ammazzavano molti, che non si sapeva se erano i medici o l’infezioni, perché naturalmente una persona anemica ?. Negli anni ottanta, un’epoca lontanissima quando non eravate ancora nati, e ricordo quindi, mi sono formata nell’ambiente di medicina interna, con il professore ? e lui ci insegnava a fare i medici, una cosa che diceva “non pensate di essere più furbi di madre natura”, se un paziente assume spontaneamente una certa posizione, per esempio si solleva per respirare meglio, non vi sognate lontanamente di farlo mettere steso, perché quella persona sta meglio così e la posizione verticale lo aiuta a respirare, se non sapete con sicurezza che quella cosa è buona per il paziente non la fate nemmeno. Quindi in linea generale c’è un fenomeno, se non lo sappiamo è meglio non fare qualcosa che fare qualcosa che potrebbe peggiorare la situazione. Quindi ?.Che cosa genera l’intolleranza al sangue trasfuso? I globuli rossi sono forniti di una serie di antigeni che sono diversi sia nella componente glicidica che in quella proteica. Allora, le diversità maggiori che noi identifichiamo con quelle capaci di discriminare i gruppi sanguigni sono essenzialmente tre: gli antigeni glicolipidici presenti sui globuli rossi presentano uno scheletro che è dato dall’antigene 0 e un’aggiunta a questo scheletro che è rappresentata o da N-acetligalattosammina o il galattosio, questo genera un antigene A, questo genera un antigene B. Le persone che sono del gruppo zero posseggono anticorpi, che chiamiamo isoagglutinine, che riconoscono sia l’antigene A che l’antigene B. La presenza di questi anticorpi è immediatamente disponibile, quindi se noi trasfondiamo dei globuli rossi che hanno questo antigene gli anticorpi li legano e il globulo rosso viene lisato, provocando le reazioni trasfusionali. Quindi, nella trasfusione bisogna tener conto di una compatibilità antigenica di gruppi sanguigni tra donatori e riceventi, e impedire che gli eritrociti di gruppo 0, cioè con residui che non caratterizzano il gruppo A o il gruppo B, vengano trasfusi, quindi accetta soltanto i globuli rossi che non hanno quella porzione glicidica.Invece un ricevente di gruppo A contiene soltanto anticorpi anti-B, e questi anticorpi gli permetteranno di attaccare i globuli rossi del gruppo B e i globuli rossi del gruppo AB, mentre tollereranno perfettamente i globuli rossi di gruppo 0, perché non ce l’hanno l’addizione glicidica che si identifica col gruppo B, oppure quelli di gruppo A. Quindi nel trasfondere i globuli rossi bisogna tener conto di una compatibilità di gruppo che è determinata, abbiamo detto, da antigeni glicolipidici, che sono così 0, A e B. Oltre agli antigeni glicolipidici esistono anche le diversità codificanti proteine, quella più importante è quella codificante per il cosiddetto antigene Rhesus o antigene D. La persona può avere questo antigene e può non averlo; ora un individuo che ha gruppo 0 e non ha l’antigene Rh, tollererà soltanto una trasfusione di globuli rossi che hanno l’antigene 0 e non hanno l’Rh, al contrario di una persona di gruppo 0 che ha l’antigene D, o Rhesus, che tollera sia globuli rossi di gruppo 0 che hanno l’Rh, sia quelli che non ce l’hanno.

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Quindi, naturalmente, nella trasfusione bisogna tener conto della istocompatibilità. Le istocompatibilità maggiori sono determinate dagli antigeni glicolipidici o dal fattore Rh (o fattore D) che è l’antigene proteico. Uno degli eventi che consegue all’incompatibilità del gruppo Rh, quindi per l’antigene proteico, è quella che si presenta in una situazione in cui il partner ha un antigene Rh in presenza di una madre che non ha un antigene Rh. E che cosa succede: abbiamo detto che, con il parto, c’è condivisione di (?, 1:06:58). Questo è un antigene proteico, alla prima nascita non succede nulla visto che il sistema immunitario della mamma non lo riconosce, l’antigene è protetto, si trova sugli eritrociti del feto. Invece, al secondo bambino la madre si è immunizzata contro l’antigene proteico di origine paterna, perché durante l’uscita del feto attraverso il canale del parto è probabile che sia avvenuta l’immunizzazione verso l’antigene D, a quel punto si formano anticorpi anti-D IgG, questi anticorpi vanno in circolo, passano la placenta e il bambino subisce la distruzione dei suoi globuli rossi, perché portano un antigene che la madre riconosce come estraneo. Allora cosa dobbiamo fare? Se noi lo sappiamo prima impediamo l’immunizzazione. L’immunizzazione avviene quando durante il parte vi è scambio di sangue tra il sangue del bambino e della madre e allora noi copriamo semplicemente gli antigeni D del bambino, che sono entrati nella circolazione materna, con tantissimi anticorpi anti-D. Quindi li copriamo, non c’è possibilità di immunizzazione e alla gravidanza successiva il bimbo nasce sano. Quindi se lo sappiamo prima possiamo proteggere la madre dall’immunizzazione verso gli antigeni D del bambino. Questo è nell’ottica del trattamento di quella che è l’anemia emolitica nel neonato.Domande: professoressa scusate, ma perché solo il fattore D dà fastidio e non il gruppo glicolipidico del bambino?Prof: proprio perché è glicolipidico, non una proteina. La madre non si immunizza contro i glicolipidi. Cioè per fare le IgG che passino all’interno della placenta è necessaria la risposta (?, 1:08:59) la risposta (?, come prima) è scatenata dai T-helper.Domanda: e non è possibile, invece, una risposta NKT mediata della madre per gli antigeni glicolipidici?Prof: non è stata mai identificata finora. Anche perché la madre, nel caso identifichi eritrociti che hanno un glicolipide diverso perché ha gli anticorpi naturali, perché se la madre è 0 avrà anti-A e anti-B. Se il bambino è B, la madre ce li ha gli anti-B e sono anticorpi naturali, quindi non ha necessità di provocare la risposta.Volevo, se abbiamo dieci minuti, farvi vedere dei test per trovare il donatore compatibile. Primo screening viene fatto naturalmente per capire quali sono le HLA (?, 1:10:05) e ci sono, quindi, una serie di test in cui si rileva la sequenza delle MHC attraverso la tecnica della PCR, cioè l’amplificazione selettiva dei singoli alleli, che poi si vanno a vedere. Però nel caso in cui noi, per esempio, abbiamo un trapianto di midollo e vogliamo avere un’idea di quanto grave sarà la GVH, noi abbiamo la possibilità di mettere in vitro le cellule del donatore e le cellule del ricevente e vedere quant’è forte la reazione; se noi abbiamo cinque donatori possibili e se li mixiamo tutti con le cellule del ricevente, possiamo valutare quale ci dà la maggiore garanzia di GVH basso, in base alle reazioni in vitro e all’attività proliferativa che potremmo osservare, e la reazione di coltura mista linfocitaria è proprio una reazione in cui mettiamo insieme le cellule del donatore e le cellule del ricevente. Naturalmente, per capire cosa fa il donatore nei confronti del ricevente, le cellule del ricevente le inattiviamo, le ammazziamo, in questo modo rimangono cellule che non sono in grado di fare nulla se non solo presentare l’antigene per il riconoscimento da parte delle cellule del donatore. In questo modo possiamo, attraverso la coltura linfocitaria mista, chiamata anche curamina(?), possiamo valutare quanto le cellule del donatore riconoscono quelle del ricevente. (?, 1:11:45, ho capito un paio di parole sparse) E un test che è molto più fine rispetto al precedente è quello della determinazione del numero di cellule che riconoscono le cellule del ricevente, ed esistono dei test in vitro in cui si possono proprio quantizzare il numero di cellule che è capace di rispondere all’antigene presente su cellule del ricevente.