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IMMIGRATIIN TOSCANAOccupazione esicurezza sul lavoronell’industria diffusa

a cura di

Francesca GiovaniTeresa SavinoAndrea Valzania

Firenze, 2005

I R P E TIstitutoRegionaleProgrammazioneEconomicaToscana

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ATTRIBUZIONI E RINGRAZIAMENTI

Questo volume è frutto di un’indagine affidata ad IRPET (Istituto Regionale per la Program-mazione Economica della Toscana) dalla Regione Toscana - Dipartimento delle PoliticheFormative, Beni e Attività Culturali - Servizio Lavoro. Il gruppo di lavoro, coordinato da Fran-cesca Giovani (IRPET), Teresa Savino (IRPET) e Andrea Valzania (Ires Toscana), ha vistocoinvolti ricercatori di IRPET, Ires Toscana e studiosi di altre realtà regionali. Le conclusionidel lavoro sono state curate da Maurizio Ambrosini (Università di Genova).

Stefania Versari (IRPET) ha effettuato la raccolta e l’immissione dei dati nel databaseinformatico Dimmi; Massimo Donati (IRPET) ha curato la realizzazione del database con lasupervisione scientifica di Stefania Bragato (Coses); la ricerca sul campo è stata effettuatada Michele Beudò (IRPET), Giovanni Bernacca (IRPET), Silvia Nencioni (IRPET) e EleonoraPanella (Ires Toscana). Alessandra Belluomini (IRPET) ha curato le elaborazioni statistiche.

Si ringrazia la Direzione Generale Politiche Formative, Beni e Attività Culturali della Regio-ne Toscana che ci ha consentito di anticipare alcuni dei risultati dell’indagine commissiona-ta all’IRPET “L’immigrazione in Toscana. Condizioni di vita e di lavoro in tre distretti indu-striali” che sarà prossimamente pubblicata nella collana Lavoro-Studi e Ricerche della Re-gione Toscana, Edizioni Plus, Università di Pisa.

Un ringraziamento particolare va a tutti i lavoratori stranieri che hanno dedicato parte delloro tempo a raccontarci la loro storia lavorativa e personale, rendendo possibile la realizza-zione dell’indagine.Infine, si ringraziano tutti coloro che a vario titolo hanno fornito informazioni utili alla com-prensione del fenomeno migratorio nelle diverse realtà locali.

L’allestimento editoriale è stato curato da Chiara Coccheri.

In copertina: M.C. Escher, Swans (White Swans, Black Swans), 1956.

Design della copertina: noè

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Indice

INTRODUZIONE 5Francesca Giovani, Teresa Savino, Andrea Valzania

Parte PrimaIL PROCESSO DEMOGRAFICO E I FLUSSI MIGRATORI IN TOSCANA

1.LA PRESENZA STRANIERA 11Michele Beudò, Stefania Versari1.1 Regolarizzati e soggiornanti 111.2 I residenti 18

2 .L’INSERIMENTO NEL MERCATO DEL LAVORO 27Michele Beudò, Stefania Versari2.1 I permessi di soggiorno con possibilità di lavorare 272.1 Gli avviamenti dai Centri per l’impiego e l’articolazione settoriale e territoriale

degli immigrati occupati in base ai dati Inps 292.3 Le previsioni di assunzioni in base ai dati Excelsior 372.4 La regolarizzazione degli immigrati in Toscana: prime note sugli effetti nel

mercato del lavoro (Stefania Bragato) 39

3 .IL FENOMENO INFORTUNISTICO DEI LAVORATORI STRANIERI 45Giovanni Bernacca3.1 Introduzione 453.2 Gli infortuni dei lavoratori stranieri in Italia 463.3 Gli infortuni dei lavoratori stranieri in Toscana 49

Parte SecondaLE CONDIZIONI DI LAVORO DEGLI IMMIGRATI IN TRE DISTRETTI INDUSTRIALI:I RISULTATI DELL’INDAGINE

4.IL CASO PRATO 61Francesca Giovani4.1 L’immigrazione straniera in provincia di Prato (Michele Beudò) 614.2 Gli infortuni nella provincia di Prato (Giovanni Bernacca) 644.3 Gli intervistati 714.4 L’inserimento lavorativo 734.5 La consapevolezza dei rischi sul lavoro 794.6 Riflessioni finali 87

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5.IL CASO S. CROCE 91Teresa Savino5.1 L’immigrazione straniera nel distretto industriale di S. Croce (Michele Beudò) 915.2 Gli infortuni nel distretto conciario (Giovanni Bernacca) 945.3 Gli intervistati 995.4 L’inserimento lavorativo 1015.5 La consapevolezza dei rischi sul lavoro 1105.6 Riflessioni finali 118

6.IL CASO AREZZO 123Andrea Valzania6.1 L’immigrazione straniera in provincia di Arezzo (Michele Beudò) 1236.2 Gli infortuni nella provincia di Arezzo (Giovanni Bernacca) 1276.3 Gli intervistati 1336.4 L’inserimento lavorativo 1356.5 La consapevolezza dei rischi sul lavoro 1436.6 Riflessioni finali 148

CONCLUSIONILa fabbrica dell’integrazione. Industria diffusa e lavoro immigrato in Toscana 151Maurizio Ambrosini

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 161

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INTRODUZIONE

• PremessaLa Toscana, come è noto, è stata interessata negli ultimi anni da flussimigratori di importanza sempre maggiore, sia per la loro dimensionequantitativa che per la loro pervasività territoriale. La presenza straniera haraggiunto all’inizio del 2004 la quota di quasi 175mila immigrati (di cui162mila extracomunitari) regolarmente soggiornanti (+56% rispetto al2002)1, evidenziando segnali di consolidamento e di stabilizzazione chesembrano influenzare l’evoluzione della popolazione residente sotto mol-teplici punti di vista contribuendo, in particolare, a bilanciare il declinodella popolazione autoctona e a frenarne il marcato invecchiamento.

Tali dati collocano la Toscana tra le prime cinque regioni italiane perpresenza di stranieri, dopo la Lombardia, il Lazio, il Veneto, l’EmiliaRomagna e il Piemonte. Un dato ancor più significativo, ovvero l’inciden-za dei residenti stranieri sulla popolazione complessiva, pone la Toscana aldi sopra della media nazionale (4,6% contro il 3,4%).

L’incremento delle presenze si accompagna anche ad una maggiore sta-bilità e radicamento sul territorio, che impongono una lettura del fenomenoe una programmazione degli interventi non più soltanto in termini di acco-glienza, ma anche e soprattutto di inclusione e di integrazione.

In questo quadro, particolarmente dinamico appare il rapporto tra flussimigratori e mercato del lavoro regionale (e mercati locali del lavoro), carat-terizzato dal sensibile incremento della domanda di lavoro immigrato daparte delle imprese toscane e, specularmente, da una crescita del numero dioccupati stranieri, accentuata in alcune tipologie lavorative di basso livello(di solito per la figura di operaio generico) e in particolari spaccati settoriali(pensiamo ad esempio al manifatturiero e alla edilizia, ma anche ai servizialla persona), prefigurando uno scenario di tendenziale sostituzione dellamanodopera autoctona.

Come ha evidenziato Ambrosini, tirando le fila della precedente indagi-ne (Giovani, Valzania, 2004), la peculiarità della Toscana consiste nel mo-strare un panorama variegato e composito in cui si riflettono la varietà e lespecificità dei sistemi economici locali della nostra regione. Sul territoriosono infatti presenti: fenomeni migratori legati alla domanda di lavoro tipi-ca dell’industria diffusa, che richiede immigrati come manodopera relati-vamente stabile, in primo luogo per le attività manifatturiere, riscontrabile

1 Ricordiamo che tale incremento è largamente imputabile ai permessi di soggiorno rilasciati nel corsodella regolarizzazione del 2002.

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nei distretti industriali e nelle aree di piccola impresa2; il modello delle eco-nomie metropolitane, in cui sono centrali il basso terziario, l’assistenza de-gli anziani, la figura della collaboratrice familiare (nell’area fiorentina enelle principali città); il modello delle attività stagionali relativamente strut-turate, collegabile con le aree turistiche e agricole, che conoscono picchistagionali accentuati di fabbisogno di manodopera.

La Toscana presenta, inoltre, differenze interne molto significative nelricorso al lavoro degli immigrati: il rapporto tra avviamenti relativi a citta-dini extracomunitari e avviamenti al lavoro complessivi evidenzia come lapresenza di lavoratori stranieri, particolarmente significativa nelle aree ter-ritoriali più dinamiche della nostra regione, sia correlata in modo positivocon lo sviluppo economico locale, di cui costituisce una risorsa strutturalesempre più importante.

Infine, un’ulteriore peculiarità toscana è rappresentata dallo sviluppo diforme di imprenditoria etnica, il cui caso più emblematico è rappresentatodalla presenza cinese nel distretto industriale di Prato (oltre che in altrezone come Campi Bisenzio, Empoli, San Donnino, ecc.), collocatasi negliinterstizi lasciati vuoti dagli autoctoni nell’ambito del lavoro autonomonell’industria. A differenza di altri flussi migratori, infatti, la presenza cine-se appare strettamente legata alle opportunità di formazione di imprenditoriadate dall’economia e dalla società locale più che dalle occasioni lavorativeofferte dal mercato del lavoro: il progetto imprenditoriale rappresenta unodegli elementi costitutivi la scelta migratoria, che non si caratterizza qualeemigrazione di manodopera (Colombi, 2002).

Un quadro complesso, dunque, che evidenzia come l’immigrazione inToscana non possa più essere letta come un fenomeno marginale ecompensativo del nostro sistema produttivo, ma debba essere considerataun elemento fondamentale per il futuro, oramai incorporato (embedded)nel funzionamento dell’economia e della società toscana.

• Il disegno della ricercaAll’interno del contesto di fondo sopra brevemente delineato, l’indagineche presentiamo intendeva proseguire l’attività di osservazione, analisi einterpretazione del fenomeno migratorio in Toscana, avviata lo scorso annocon l’indagine Società toscana e immigrazione: un rapporto ineludibile,commissionata dal Dipartimento delle Politiche Formative, Beni e AttivitàCulturali della Regione Toscana (Giovani, Valzania, 2004).

A tal fine è stato realizzato un aggiornamento e un’implementazione deldatabase informatico sull’immigrazione Dimmi, organizzato in base al mo-dello “Magda IRPET”, predisposto nel corso dell’indagine precedente3. Nellostrumento attualmente disponibile le due aree di maggior interesse sonorappresentate dalla demografia (permessi di soggiorno, residenti, stranieri

2 All’interno di questo modello si potrebbero individuare due sottogruppi sufficientemente distinti traloro: il primo è quello dell’industria leggera e non, localizzata nelle aree distrettuali, che necessita dioperai specializzati; il secondo invece è quello dell’edilizia, diffuso sul territorio regionale, che richiedemanodopera non specializzata.3 Il database è stato realizzato a partire dall’analisi delle principali fonti attinenti al fenomeno migratorio edalla fase successiva di reperimento e sistematizzazione dei dati attraverso la costruzione di uno specificosistema di archiviazione, secondo le tecniche più consolidate di accesso interattivo all’informazione.

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ai censimenti, ecc.) e dal lavoro (avviati al lavoro, iscritti ai Centri per l’im-piego, lavoratori autonomi e dipendenti, autorizzazioni al lavoro, previsio-ni di assunzioni di manodopera extracomunitaria, imprese e imprenditori,ecc.), oltre ad alcune informazioni sull’istruzione.

Usufruendo di tali dati, nella prima parte di questo volume è stata ana-lizzata l’evoluzione nell’ultimo decennio della presenza straniera sul terri-torio (Cap. 1) e dell’inserimento nei mercati locali del lavoro della nostraregione (Cap. 2), ponendo una specifica attenzione ad un aspetto particola-re delle condizioni di lavoro, ossia l’andamento degli incidenti sul lavoro dicui sono stati vittime i lavoratori stranieri in Italia e in Toscana (Cap. 3).Nella seconda parte del volume sono contenuti i risultati dell’indagine sul cam-po, avente come oggetto le condizioni di lavoro di lavoratori stranieri che inquesti ultimi anni hanno occupato diversi segmenti del mercato del lavoro re-gionale, sostituendo per lo più manodopera indigena, non più disponibile adaccettare mansioni pesanti e nocive, caratterizzate da orari e turni socialmentesgraditi, in settori produttivi dove i rischi infortunistici risultano più elevati(edilizia, lavori stagionali in agricoltura, alcune lavorazioni del tessile…).

Analizzando l’inserimento occupazionale dei lavoratori stranieri, particolare at-tenzione è stata dedicata al tema della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, consi-derando non solo i dati oggettivi di pericolosità dell’ambiente di lavoro, ma ancorpiù la percezione e la rappresentazione che il soggetto ha di quei rischi.

Dal punto di vista territoriale e settoriale sono state selezionate tre areetoscane caratterizzate da una cospicua presenza di immigrati e da un altret-tanto incisivo inserimento nel mercato del lavoro, soprattutto nei settoritradizionali trainanti le economie locali, ossia l’industria tessile nel distret-to di Prato (Cap. 4), l’industria conciaria nel distretto di S. Croce (Cap. 5) eil comparto orafo ad Arezzo (Cap. 6).

Inoltre, viste le problematicità emerse nel corso dell’indagine precedente da par-te delle imprese edili dove è presente, ormai da anni, un utilizzo rilevante di manodo-pera straniera, è stato ritenuto importante un approfondimento su lavoratori del set-tore, che sono stati selezionati nell’area pratese. In totale sono stati intervistati 50lavoratori del tessile e 30 dell’edilizia a Prato; 50 lavoratori dell’orafo ad Arezzo, 50lavoratori della concia a Santa Croce per un totale di 180 interviste.La ricerca è stata condotta mediante interviste dirette con questionario semi-strutturato, volto ad indagare i seguenti aspetti:

• Storia personale e professionale del lavoratoreQuesta parte del questionario includeva ‘variabili strutturali’ (età, sesso, luogo diprovenienza, caratteristiche della famiglia di origine, titolo di studio, ecc.) e doman-de relative alla storia professionale nel paese di origine (condizione professionale,tipo di lavoro svolto e settore di attività nel paese di origine) e alle caratteristichedell’attuale occupazione (come ha trovato l’attuale lavoro; tipologia contrattuale;orario di lavoro; soddisfazione nei confronti del lavoro svolto; aspettative, ecc.).

• Salute e sicurezza sul lavoroIn relazione all’ambiente di lavoro a ciascun intervistato è stato chiesto diindicare la presenza di una serie di fattori di rischio: rumore, freddo/caldo,fumi, polveri, sostanze nocive, macchine pericolose, fatica fisica, stressmentale, pericolo di infortuni, ecc..

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È stato inoltre domandato se gli intervistati fossero a conoscenza del fattoche esistono leggi che tutelano la sicurezza sui posti di lavoro (D.Lgs. 626/94),se avessero effettuato l’attività formativa/informativa prevista dal decreto, levisite mediche periodiche, ecc.. Sono inoltre state fatte domande relativamentealla percezione dei rischi sul lavoro e agli infortuni avuti nel corso della propriaattività professionale. È stata anche richiesta una valutazione relativamente alfatto che gli immigrati siano esposti o meno a rischi particolari di infortuni sullavoro.

• Percorso migratorioIl questionario prevedeva alcuni quesiti relativamente a: il luogo di prove-nienza; le tappe del percorso migratorio (paesi stranieri e altre città italianein cui ha soggiornato); i motivi per cui ha lasciato il proprio paese; i motiviper cui si trova attualmente a Prato/Arezzo/S. Croce.

• La vita extra-lavorativa: tempo libero, reti, aspirazioni, progettiSono state inoltre trattate problematiche relative al tempo libero (dove econ chi viene trascorso), la conoscenza e l’utilizzo di servizio socio-sanitaripresenti nel territorio di residenza. Inoltre è stato indagato sulla presenza omeno di reti informali di solidarietà a cui rivolgersi in caso di bisogno e cheforniscono il loro appoggio in termini di assistenza, cura, aiuto nei lavoridomestici (o anche in termini di sostegno economico).

Sono state inoltre richieste informazioni relative alla situazione econo-mica dell’intervistato, alla propria condizione abitativa e alle intenzioni peril futuro (stabilirsi definitivamente a Prato/Arezzo/S. Croce, tornare nel pro-prio paese, restare in Italia solo il tempo necessario a raggiungere i propriobiettivi, ecc.).

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Parte PrimaIL PROCESSO DEMOGRAFICO E I FLUSSI MIGRATORI IN TOSCANA

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1.LA PRESENZA STRANIERA

1.1Regolarizzati e soggiornanti

Il processo di mutamento in senso multietnico della popolazione toscananell’arco degli ultimi 10 anni ha origine col varo del decreto Dini nel 1995,con il quale si apre simbolicamente una nuova fase delle migrazioni nelpaese e anche nel territorio regionale. Mentre si chiarisce la natura stanzialedi gran parte dei percorsi migratori di quanti erano giunti nella prima metàdegli anni ‘90, a partire da questa data un aggregato composito di gruppi didifferenti nazionalità, soprattutto con l’apporto di migranti provenienti dal-l’Europa Centro Orientale e dall’Asia Orientale, determina un incrementodi circa tre volte e mezzo delle presenze dei soggiornanti dal 1995 a fine2003 (Tab. 1.1).

Tabella 1.1PERMESSI DI SOGGIORNO AL 31/12. TOSCANA. 1991-2003

Variazioni % annue

Numero di permessi Var. % annua

1991 44.034 -1992 43.203 -1,91993 48.265 11,71994 49.931 3,51995 52.759 5,71996 71.592 35,71997 68.760 -4,01998 86.394 25,61999 108.365 25,42000 111.636 3,02001 103.666 -7,12002 111.133 7,22003* 174.194 56,3

* dati Ministero dell’InternoFonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT/Ministero dell’Interno

Come si vedrà, l’incremento più consistente osservato nel periodo con-siderato si registra nell’ultimo anno, ed è dovuto in gran parte allaregolarizzazione. Alla fine del 2002 nella nostra regione, secondo i datiforniti dal Ministero dell’Interno, i permessi di soggiorno validi erano111.456, mentre nel 2003 salgono a 174.194; si registra dunque un incre-mento di 62.738 permessi, per una crescita percentuale del 56,3%.

Si tratta di una variazione senza precedenti. Infatti tra il 1992 e il 2002

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(dati ufficiali ISTAT in questo caso), pur tenendo conto di una variazionedella presenza straniera non lineare nel corso degli anni che ha conosciutopicchi di crescita, battute d’arresto e, in alcuni casi, anche diminuzioni, siera registrata una variazione annua massima tra il 1995 e il 1996 (+35,7%),verificatasi in occasione della regolarizzazione del 1995, la quale è tuttaviaancora nettamente inferiore all’incremento osservato tra il 2002 e il 2003(dati ministeriali), come detto superiore alla metà dello stock dei soggior-nanti rilevati al 31/12/2002.

Se si considera che la regolarizzazione del 2002 ha riconosciuto titoli disoggiorno legale per un numero di migranti che è complessivamente sololeggermente inferiore alle tre sanatorie degli anni Novanta, si comprendeanche l’entità della rivoluzione avvenuta nella geografia della presenza stra-niera in Toscana come nel resto d’Italia a seguito dell’approvazione della“doppia sanatoria”4.

In particolare, la consistenza delle domande di migranti provenienti dal-l’Europa dell’Est e la crescita inaspettata di comunità che fino a questa datanon si annoveravano tra quelle a elevata numerosità (come Ecuador, Boli-via, Moldavia e, con numeri ancora maggiori, Ucraina), non solo ridisegnala distribuzione delle presenze per cittadinanza di origine e riequilibria iltasso di femminilizzazione dei flussi migratori (per l’apporto proprio diquei gruppi nazionali a prevalenza femminile che hanno in misura maggio-re fruito della regolarizzazione), ma più in generale muta anche lo spazio eil ruolo che la presenza immigrata ha assunto inserendosi nella società ita-liana, a partire dall’emersione di un mercato delle attività domestiche e dicura che coinvolge ormai secondo i dati ufficiali dell’Inps oltre 370milalavoratori stranieri, il 77% del totale degli occupati di questo settore.

Descritto così sinteticamente il grande impatto della regolarizzazione,va però detto che il formarsi di una presenza marcata e strutturale nellesocietà e nelle economie locali da parte dei cittadini immigrati, precede iprovvedimenti di regolarizzazione e cresce a ritmi sostenuti dalla metà de-gli anni Novanta.

A livello nazionale, il confronto con le altre regioni su dati ufficializzatidall’ISTAT5, può essere fatto con il dato a fine 2002. A questa data la Toscana,con gli oltre 111 mila soggiornanti stranieri si collocava tra le regioni a mag-giore capacità attrattiva: con il 7,4% del totale dei soggiornanti in Italia risulta-va essere infatti la quinta regione per presenza straniera dopo la Lombardia(23,1%), il Lazio (15,9%), il Veneto (10,2%) e l’Emilia Romagna (9,8%).

I dati del Ministero dell’Interno per il 2003 (al 31 Dicembre) conferma-no la quinta posizione della Toscana per numerosità dei permessi, che anziaumenta ulteriormente il proprio peso sul totale nazionale (8%), dopo Lom-

4 Legge 189/2002, art. 33 per lavoro domestico e per lavoro di assistenza, e L. 222/2002 per lavorosubordinato. Con le 705.404 domande presentate e 634.728 accolte, la sanatoria del 2002 quasi pareg-gia la somma della regolarizzazione del 1990 (circa 217.000 domande accolte), del 1995 (245.000domande) e del 1998 (217.000 domande). La procedura di emersione ha avuto inizio nell’Ottobre del2002; i permessi rilasciati in seguito alla stipula del Contratto di Soggiorno sono stati concessi a partiredai primi mesi del 2003 e quindi fino all’anno successivo. Durante il 2003 si sono avute anche le primeiscrizioni anagrafiche dei regolarizzati, anch’esse proseguite nel corso del 2004.5 Le elaborazioni dell’ISTAT recuperano i soggiornanti che alla fine dell’anno hanno il permesso incorso di rinnovo e non risultano perciò conteggiati dal Ministero dell’Interno, che rileva solo i permessiin vigore al 31/12.

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bardia (22,9%), Lazio (15,1%), Emilia Romagna (9,9%) e Veneto (9,7%).La crescita dei soggiornanti tra il 2002 e il 2003 è largamente superiore alvalore medio nazionale, pari al 45,1%.

Come noto, le rilevazioni del Ministero ed anche quelle dell’ISTAT re-gistrano solo in parte le presenze dei minori, in maggioranza sprovvisti diun’autorizzazione nominativa al soggiorno. Il Dossier Caritas Migrantesstima a questo proposito in oltre 31mila i minorenni stabili nella nostraregione, e porta così ad una cifra di 206mila l’aggregato degli immigratipresenti in Toscana a fine 2003, con un’incidenza sul totale della popola-zione residente vicina al 5% (nel 2002, 3,2%), sebbene fortemente diffe-renziata -come vedremo- secondo le singole province.

La Toscana denota inoltre alcune peculiarità rispetto al panorama nazio-nale quanto alla distribuzione per nazionalità e aree continentali (Graf. 1.2):innanzitutto, si rileva una più forte presenza delle persone provenienti dal-l’Europa Centro Orientale (in particolare Albania, Romania, Polonia eUcraina), area che da sola costituisce il 43% circa del totale delle presenzeimmigrate, mentre non si discosta dalla media nazionale il valore relativoalle presenze di cittadini comunitari (7% circa sia in Toscana che in Italia);è poi fortemente sovrarappresentata in Toscana la presenza di immigratidall’Asia (in particolare dalla Repubblica Popolare Cinese), arrivando apesare per circa un quarto sul totale là dove in Italia i migranti provenientida quest’area si attestano su una percentuale di circa il 17%; l’immigrazio-ne dall’Africa risulta invece inferiore, essendo nella nostra regione circa il15% a fronte di una presenza nazionale del 24% (sottorappresentati soprat-tutto gli immigrati dall’Africa Occidentale e dal Maghreb); infine, gli im-migrati dall’America Centro Meridionale rappresentano una quota anch’essainferiore al dato medio nazionale, pari in Toscana al 7% contro una percen-tuale del 9% in Italia.

Grafico 1.2 PERMESSI DI SOGGIORNO. TOSCANA. 2003

Fonte: Ministero dell’Interno

Asia24,0%

Apolidi ecittadinanza ignota

0,3%

Americasettentrionale

3,2%

AmericaCentro meridionale

6,9%

Altri paesi europei43,1%

Unione Europea6,9%

Africa15,5%

Oceania0,1%

La regolarizzazione sembra avere accentuato queste differenze regiona-li rispetto al quadro nazionale: risultano infatti in ulteriore crescita nella

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ripartizione percentuale per aree continentali l’Europa Centrale e dell’Este, in misura minore, la componente asiatica, mentre arretrano il propriopeso sul totale i soggiornanti africani e Sud Americani, sebbene per en-trambi si tratti solo di una lieve flessione.

Nel complesso, la Toscana raccoglie il 7,2% delle domande di emersionea livello nazionale (circa 51mila domande), un dato in linea con la distribu-zione regionale dei soggiornanti e dei residenti e che la colloca al sestoposto tra le regioni italiane per numerosità delle istanze presentate, dopoLombardia, Lazio, Campania, Veneto ed Emilia Romagna.

Differente è, invece, la ripartizione delle domande tra lavoro subordina-to, lavoro domestico e assistenza tra Italia e Toscana (Tab. 1.3). Se le do-mande di emersione per assistenza sono in linea, e in entrambi i contestiterritoriali si attestano intorno al 20% del totale, per quanto attiene alledomande per lavoro domestico la Toscana presenta una incidenza sul totaleinferiore al dato italiano, mentre al contrario tra le domande per lavorosubordinato è sovrarappresentato il dato regionale. Questa diversità è pro-babilmente imputabile non tanto al lavoro domestico (per il quale non c’èmotivo di supporre una minore domanda di emersione, considerando che lapopolazione toscana è tra le più anziane del paese), quanto alla diffusivitàdell’imprenditoria in Toscana, che ha nei distretti industriali e in altre areedi piccola e media impresa uno dei motori del proprio sviluppo e perciòattira manodopera immigrata inserendola nell’industria e nell’edilizia.

Tabella 1.3DISTRIBUZIONE DELLE DOMANDE DI REGOLARIZZAZIONE ACCOLTE PER TIPO DI CONTRATTO. ITALIA E TOSCANA

Lavoro subordinato Lavoro domestico Assistenza TOTALE

Valori assoutiTOSCANA 29.531 11.655 9.637 50.823ITALIA 372.454 189.216 140.236 701.906

Valori %TOSCANA 58,1 22,9 19,0 100,0ITALIA 53,1 27,0 20,0 100,0

Fonte: nostre elaborazioni su dati di Zucchetti (2004)

Tornando ai più recenti dati disponibili per valutare la presenza di sog-giornanti in base all’articolazione provinciale in Toscana, analiziamo quin-di in quali province tra il 2002 e il 2003 si siano registrati gli aumenti piùsignificativi dei permessi; la ripartizione dei permessi per provincia ; i gruppinazionali più numerosi in regione; infine, quanti sono i soggiornanti prove-nienti dai paesi neocomunitari.

Per quanto riguarda le variazioni intervenute nell’ultimo anno nelle sin-gole province (Tab. 1.4), notiamo che Firenze con il 71%, Prato con il 69,6%e Lucca con il 67,9%, hanno conosciuto gli incrementi maggiori. Ma ancheGrosseto e Livorno, contesti dove la presenza migratoria si mostrava inpassato abbastanza contenuta, fanno rilevare un tasso di incremento annuosuperiore a quello medio italiano (rispettivamente +60,2% e +46,2%), fa-cendo pensare ad una consistente presenza pre-regolarizzazione priva del-

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l’autorizzazione al soggiorno che si legava alle attività più stagionali (agri-coltura su tutte)6. Gli aumenti sono in ogni caso notevoli anche per le altreprovince, e mai inferiori al 38% di aumento rispetto alla precedente annualità(è il valore riscontrato in provincia di Siena, il più basso della regione).

Tra le circa 51mila domande di regolarizzazione presentate in Toscana,Firenze e Prato sono le aree che concentrano il 48,7% del totale delle do-mande di regolarizzazione e dove si registrano anche i valori più elevati nelrapporto percentuale tra domande e permessi, rispettivamente 51 e 57. Se-guono Livorno e Lucca con 50 e Massa Carrara, accompagnata da Grosseto,con 49. Di nuovo, il valore inferiore è osservato nella provincia di Sienacon 32 domande di regolarizzazione su 100 immigrati regolari (Tab. 1.5).

Tabella 1.4PERMESSI DI SOGGIORNO PER PROVINCIA. TOSCANA. 2002-2003

Province 2002 2003 Var. 2002-2003

Massa Carrara 3.635 5.222 43,7Lucca 7.018 11.780 67,9Pistoia 8.298 11.534 39,0Firenze 34.099 58.309 71,0Livorno 6.761 9.885 46,2Pisa 11.344 16.082 41,8Arezzo 12.152 17.231 41,8Siena 9.780 13.489 37,9Grosseto 5.185 8.304 60,2Prato 13.184 22.358 69,6TOSCANA 111.456 174.194 56,3

Fonte: nostre elaborazioni su dati Ministero dell’Interno

Tabella 1.5RICHIESTE DI REGOLARIZZAZIONE PRESENTATE NELLE PROVINCE DELLA TOSCANA

Province Lavoro Lavoro TOTALE Incid. % Distribuz. % Valori % sul totale Comp. %in azienda in famiglia su permessi Lav. Lav. Lav. Lav.

al 31/12/2002 azienda famiglia azienda famiglia

Arezzo 2.283 2.232 4.515 37,2 8,9 50,6 49,4 8,0 10,1Firenze 9.979 7.239 17.218 50,5 33,8 58,0 42,0 34,8 32,6Grossetto 936 1.605 2.541 49,0 5,0 36,8 63,2 3,3 7,2Livorno 1.557 1.848 3.405 50,4 6,7 45,7 54,3 5,4 8,3Lucca 1.678 1.815 3.493 49,8 6,9 48,0 52,0 5,8 8,2Massa Carrara 923 866 1.789 49,2 3,5 51,6 48,4 3,2 3,9Pisa 1.904 2.136 4.040 35,6 7,9 47,1 52,9 6,6 9,6Pistoia 1.689 1.532 3.221 38,8 6,3 52,4 47,6 5,9 6,9Prato 6.353 1.208 7.561 57,3 14,9 84,0 16,0 22,1 5,4Siena 1.404 1.716 3.120 31,9 6,1 45,0 55,0 4,9 7,7TOSCANA 28.706 22.197 50.903 45,7 100,0 56,4 43,6 100,0 100,0

Fonte: nostre elaborazioni su dati Ministero dell’Interno

6 In base alle visite ispettive condotte dall’Inps, è nell’agricoltura che si registra una quota degli stranie-ri sul totale del lavoro nero tra le più elevate (50,8% nel 2002 e 41,1% nel 2003), seguita da artigianatoe edilizia.

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Alla fine del 2003, la distribuzione dei soggiornanti per provincia sipresenta quindi, come indicato nel Grafico 1.6, con Firenze che rafforza lapropria posizione di prima provincia toscana per numero di soggiornanti,con una quota pari al 33,5% e quasi 60mila soggiornanti, seguita da una“seconda fascia” in cui si possono collocare le province di Prato (12,8%,oltre 22mila permessi), Arezzo (9,9%, poco più di 17mila) e Pisa (9,2% deltotale regionale per circa 16mila permessi). Pistoia, Livorno e Grossetooscillano tra il 5% e il 7% nella ripartizione regionale, mentre Massa Carrararesta la provincia in assoluto meno attrattiva (3% del totale toscano, pocopiù di 5mila soggiornanti).

Grafico 1.6DISTRIBUZIONE DEI SOGGIORNANTI PER PROVINCIA. TOSCANA. 2003

Fonte: nostre elaborazioni su dati Ministero dell’Interno

Grosseto4,8%

Prato12,8%

Pistoia6,6%

Massa Carrara3,0% Lucca

6,8%

Pisa9,2%

Livorno5,7%

Siena7,7%

Arezzo9,9%

Firenze33,5%

Quanto alla distribuzione dei soggiornanti per nazionalità (Tab. 1.7), siosserva innanzitutto che Albania e Cina continuano ad essere, in ordine, lecomunità più numerose, anche se il peso della prima sul totale degli stranie-

Tabella 1.7DISTRIBUZIONE DEI SOGGIORNANTI PER NAZIONALITÀ. TOSCANA . 2002-2003

2002 2003V.a. % su totale V.a. % su totale

soggiornanti soggiornanti

Albania 20.287 18,2 Albania 31.037 17,8Cina 11.545 10,4 Cina 23.422 13,4Marocco 8.611 7,7 Romania 19.126 11,0Romania 7.353 6,6 Marocco 13.216 7,6Stati Uniti 5.509 4,9 Polonia 5.538 3,2Germania 3.943 3,5 Filippine 5.496 3,2Filippine 3.919 3,5 Stati Uniti 5.430 3,1Senegal 3.364 3,0 Ucraina 4.986 2,9Polonia 2.394 2,1 Senegal 4.826 2,8Regno Unito 2.320 2,1 Germania 3.916 2,2TOTALE PRIMI 10 PAESI 69.245 62,1 TOTALE PRIMI 10 PAESI 116.993 67,2TOTALE 111.456 - TOTALE 174.194 -

Fonte: nostre elaborazioni su dati Ministero dell’Interno

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ri diminuisce, mentre quello della seconda sale (i soggiornanti di originecinese raddoppiano, gli immigrati albanesi incrementano comunque di cir-ca 11mila titolari di permesso di soggiorno la propria presenza). La Roma-nia, che conosce un aumento percentuale di ben il 160% tra il 2002 e il2003, sorpassa il Marocco e si pone come la terza nazionalità più numerosasul territorio (circa 19mila soggiornanti, 11% il peso sul totale dei permessirilasciati). Fatta eccezione per la crescita della comunità cinese, dunque,anche per la Toscana si conferma l’immagine di una regolarizzazione pre-valentemente dell’Est Europa. Tra i gruppi nazionali che più incrementanole presenze dopo il provvedimento, si trovano infatti paesi di quest’area:Albania, Romania e Ucraina su tutti, ma anche Polonia e Moldavia.

A fianco dell’incremento già sottolineato dei soggiornanti rumeni e ci-nesi, rappresentano vere e proprie nazionalità “emergenti” l’Ucraina e laPolonia, o per meglio dire la loro componente femminile visto che, alla finedel 2003, le immigrate di queste nazionalità sono rispettivamente l’89% e il79% del totale per cittadinanza. Se alla fine del 2002 gli intestatari di unpermesso provenienti dall’Ucraina erano circa 650, l’anno successivo sfio-rano le 5mila presenze, un dato attribuibile in grandissima parte ai permessirilasciati con la regolarizzazione per lavoro domestico. Per quanto riguardainvece i soggiornanti provenienti dalla Polonia, questi costituiscono nel 2003il quinto gruppo per numerosità, con una quota pari al 3,2% del totale eoltre 5.500 presenze. Rappresentano quindi, tra i paesi entrati nell’UnioneEuropea a maggio 2004, il primo gruppo in Toscana. Molto più basso èinvece il numero dei soggiornanti provenienti dagli altri paesi neocomunitari(Tab. 1.8), complessivamente una quota pari al 4% dei soggiornanti.

Tabella 1.8SOGGIORNANTI PROVENIENTI DAI 10 PAESI NEOCOMUNITARI. TOSCANA. 2003

V.a. % su totale soggiornanti

Polonia 5.538 3,18Repubblica Ceca 415 0,24Ungheria 366 0,21Slovacchia 288 0,06Lituania 103 0,06Estonia 101 0,17Lettonia 76 0,04Slovenia 73 0,04Malta 40 0,02Cipro 31 0,02TOTALE PAESI NEOCOMUNITARI 7.031 4,04TOTALE 174.194 -

Fonte: nostre elaborazioni su dati Ministero dell’Interno

Le prime due cittadinanze coinvolte nella regolarizzazione sono -per lacomponente maschile- la Cina e l’Albania, e per il segmento femminile laRomania e l’Ucraina. Questo risultato differisce dal dato registrato nellamedia del paese dove prevalgono, tra i regolarizzati di genere maschile,albanesi e marocchini. È dunque confermata una delle peculiarità del mo-dello toscano dell’immigrazione: la significativa presenza di migranti cine-si, la quale presenta caratteri di sicuro interesse anche per un’altra ragione,

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vale a dire il ruolo che gli stessi imprenditori di origine straniera hannopotuto svolgere nella regolarizzazione di altri immigrati, prevalentementeconnazionali. Questo è quanto si è verificato a Prato e anche a Firenze,dove si sono coniugati l’alto tasso di imprenditorialità caratterizzante il grup-po proveniente dalla Repubblica Popolare, la diffusione di un alto tasso dilavoro sommerso, e la forza e coesione dei network etnici7.

1.2I residenti

La componente più stabile dell’immigrazione è comunemente identificatacon i residenti iscritti alle anagrafi comunali, che in valori assoluti è ilrisultato della sommatoria tra saldo migratorio e saldo naturale alla finedell’anno8.

Come si evince dalle tabelle seguenti, i risultati ottenuti elaborando idati sui permessi di soggiorno e i dati sui residenti sono dissimili: se da unlato l’iscrizione anagrafica non è un atto obbligatorio, dall’altro tra i resi-denti sono conteggiati i minori che, al contrario, come detto solo in partesono intestatari di propri permessi di soggiorno. Generalmente -ossia neiperiodi cosiddetti “non perturbati”- il numero dei residenti è stimato intor-no al 90% del totale dei soggiornanti. Inoltre, occorre tenere presente l’esi-stenza di uno sfasamento temporale tra i diversi atti amministrativi: ciò fa sìche alla fine del 2003 si possa stimare la popolazione straniera soggiornan-te (inclusi i minori) in Italia nella cifra di circa due milioni e mezzo dipersone, là dove gli immigrati iscritti in anagrafe sono di poco inferiori aidue milioni. Per la precisione, al 1 Gennaio 2004, gli stranieri residenti inItalia sono 1.990.159 e rappresentano il 3,4% del totale della popolazioneresidente. D’altro canto, come afferma lo stesso Istituto Nazionale di Stati-stica, questo divario dovrebbe venire gradualmente a colmarsi durante il2004, quando si completeranno le iscrizioni in anagrafe dei regolarizzatidel 2002, sì che in questa annualità l’incidenza degli stranieri sul totaledella popolazione dovrebbe ancora aumentare di circa un punto percentua-le (ISTAT, 2005a).

In Toscana l’aumento dei residenti tra il 2002 e il 2003 è di circa 37milaiscritti, pari ad un aumento del 30% circa anch’esso destinato a prolungarsinel corso del 2004. Nel complesso, i residenti non italiani nella nostra re-gione sono alla fine del 2003 in numero di 164.800 (Tab. 1.9) .

Grazie all’incremento dei ricongiungimenti e all’apporto di comunità aforte prevalenza femminile tra quelle che più hanno utilizzato l’opportuni-tà della regolarizzazione 2002, il tasso di equilibrio per genere in Toscanarisulta, tra i residenti, addirittura favorevole, sebbene leggermente, alle don-ne straniere (il tasso di femminilizzazione è del 50,2%, superiore di unpunto percentuale al valore nazionale pari al 49,2%). Anche la presenzadei minori è in linea con il dato nazionale, rappresentando questi un quinto

7 La regolarizzazione aveva infatti attribuito a “chiunque eserciti un’attività d’impresa” la facoltà diavviare la procedura di emersione dei lavoratori stranieri.8 Va anche precisato che non tutti gli stranieri iscritti in anagrafe sono immigrati, com’è il caso dei natiin Italia da genitori entrambi stranieri.

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9 In termini relativi, invece, la presenza dei minorenni rispetto al peso sul totale dei residenti scende, masolo perché la regolarizzazione ha riguardato nuovi ingressi di persone in età adulta.

Tabella 1.9 BILANCIO DEMOGRAFICO DELLA POPOLAZIONE STRANIERA RESIDENTE E INDICATORI DEMOGRAFICI.

TOSCANA E ITALIA. 2003

TOSCANA ITALIA

Popolazione straniera residente al 1° Gennaio 2003 - Totale 127.298 1.549.373Popolazione straniera residente al 31 Dicembre 2003 - Totale 164.800 1.990.159 di cui femmine 82.667 978.232Tasso di femminilizzazione 50,2 49,2 di cui minorenni 33.384 412.432Incidenza % minori su totale popolazione 20,3 20,7Variaz. % 2003-2002 29,5 28,4Distribuzione % 8,3 100,0

Fonte: ISTAT

del totale degli immigrati residenti (oltre 30mila in valori assoluti i mino-renni che abitano in Toscana)9.

Presenza di minori e ricongiungimenti familiari, entrambi in crescita invalori assoluti rispetto all’anno precedente, insieme ad un generale incre-mento delle presenze, sono per la Toscana, come per l’intera nazione, iprincipali indicatori che testimoniano una presenza di immigrati oramaistabilizzata, e che risulta indispensabile sia dal punto di vista del riequilibriodemografico, sia per il positivo inserimento nel mercato del lavoro.

È infatti grazie alla presenza straniera che il saldo demografico dellaToscana durante gli anni Novanta passa da lievemente negativo a lieve-mente positivo. Il processo di invecchiamento si è attenuato non solo acausa del rapido aumento della presenza di stranieri in età giovanile, maanche grazie a una lieve ripresa della fecondità, dovuta di nuovo per lo piùall’apporto delle famiglie straniere. Quanto alla possibilità che la presenzastraniera possa provocare nel lungo periodo un’inversione di tendenza nel-l’invecchiamento della popolazione, si deve tuttavia precisare: che “la cre-scita dell’immigrazione non rappresenta un elemento di riequilibrio suffi-ciente a compensare questo aspetto problematico […]. L’immigrazione puòessere vista come risorsa per il riequilibrio della struttura della popolazio-ne, in grado di rafforzare le classi di età centrali e, attraverso la riproduzio-ne biologica, quelle infantili ma non è, da sola, sufficiente ad invertire laprogressiva tendenza all’invecchiamento della società toscana” (RegioneToscana, 2002). D’altra parte, viene rilevato anche che il comportamentoriproduttivo delle famiglie immigrate procede nel tempo ad un abbassa-mento del tasso di fertilità, per una sorta di effetto “assimilativo” (Barbagli,Castiglioni, Dalla Zuanna, 2003).

Guardando al bilancio demografico nazionale del 2004, è in effetti lacomponente straniera, e in particolare la componente emersa con laregolarizzazione del 2002, che dopo avere ottenuto il permesso di soggior-no ha gradualmente proceduto all’iscrizione in anagrafe, facendo registrareuna variazione positiva della popolazione residente di circa 600mila perso-ne, con un aumento pari a circa l’1% (ISTAT, 2005b). Già nel corso del

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2003, del resto, le iscrizioni anagrafiche erano risultate oltre 420mila10. Ilmovimento migratorio con l’estero rappresenta infatti la quota attiva piùingente del saldo totale complessivo, quantificato in 445mila ingressi lastragrande maggioranza dei quali è dovuta all’iscrizione in seguito allaregolarizzazione. La presenza immigrata contribuisce all’aumento della po-polazione anche con i nuovi nati da genitori non italiani, con numeri secon-do l’ISTAT particolarmente accentuati nel corso dell’ultimo anno11.

Con un aumento di circa 32mila persone (in percentuale, +1%), anche ilbilancio demografico 2004 della Toscana si pone in linea con quello nazionale,ed anche in questo caso si può parlare di forte contributo della componentestraniera alla positività del saldo complessivo. Questo risultato dipende da un’at-tenuazione della negatività del saldo naturale (con l’eccezione di Prato, non acaso meta di ingenti flussi migratori) e da un saldo migratorio ampiamentepositivo. In particolare, nel corso del 2004 sono immigrate 31.479 persone,mentre ammontano a 3.076 le emigrazioni di persone dalla regione verso l’estero(ISTAT, 2005b). Lo specifico saldo totale della popolazione straniera12 è infattiestremamente positivo, derivando da un avanzo nettissimo tra iscritti e cancel-lati come da un positivo saldo naturale causato dalla giovane struttura per etàdegli immigrati (molti e in crescita i nati che nel corso del 2003 hanno contri-buito all’aumento dell’aggregato straniero, mentre al contrario sono ancoraestremamente ridotti i decessi).

La distribuzione dei residenti per province della Toscana segue sostan-zialmente quella dei soggiornanti (Tabb. 1.10-1.11). La media regionalequanto all’incidenza percentuale della popolazione straniera iscritta alle ana-grafi sul totale della popolazione è del 4,6%. Si pongono sopra questo valo-re medio le province di Prato (6,7% dei residenti sul totale), Firenze (5,9%),Arezzo (5,2%) e Siena (4,9%). Le province in cui meno pesano i residentistranieri sono invece Livorno (2,8%), Massa Carrara (3%) e Lucca (3,2%).

Nel 2003 il primo gruppo per cittadinanza nella regione è quello albanese,il più numeroso in ben otto province: Massa Carrara, Lucca, Pistoia, Firen-ze, Livorno, Pisa, Siena e Grosseto13.

Nelle altre due province le comunità maggiormente rappresentate sonoquella cinese a Prato e quella rumena ad Arezzo (ma in entrambe l’Albaniaè la seconda comunità per numerosità). In effetti, osservando lo schema cheriporta le prime tre nazionalità residenti nelle province toscane, si nota la

10 Le iscrizioni dall’estero comprendono naturalmente anche i cittadini italiani e, tra gli stranieri, nonsolo i regolarizzati ma anche i titolari di soggiorno per ricongiungimento, per ingresso nell’ambito dellequote annuali, ecc..11 Negli ultimi cinque anni l’incidenza delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati della popola-zione residente in Italia è più che raddoppiata, in particolare nelle aree del Centro Nord del paese dovemaggiori sono stati gli arrivi di immigrati.12 Saldo totale tra saldo naturale (differenza tra iscritti per nascita e cancellati per morti) e saldo migratorio(differenza tra le “poste attive” -iscritti dall’estero, dall’interno e per altri motivi- e le “poste negative”-cancellati per l’estero, per l’interno, per acquisizione di cittadinanza, per irreperibilità). Il saldo migratoriocomprende la componente numericamente più rilevante delle cancellazioni anagrafiche. Relativamenteminori sono infatti le cancellazioni per irreperibilità e quelle per acquisizione della cittadinanza italia-na; un numero esiguo se rapportato agli aventi diritto. Inoltre si considerano le cancellazioni come undato sottostimato perché la maggior parte degli stranieri residenti non comunica all’anagrafe il proprioritorno al paese di origine (o il trasferimento in un altro stato estero). Oltretutto gli accertamenti a caricodegli uffici anagrafici avvengono in ritardo e in modo non uniforme nei comuni.13 La comunità albanese è la più numerosa anche sul territorio nazionale.

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forte articolazione territoriale per comunità straniere che riflette le diffe-renti modalità di inserimento lavorativo, ovvero le caratteristiche produtti-ve delle aree territoriali (Tab. 1.12).

Tabella 1.11RESIDENTI STRANIERI E TOTALE DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE. TOSCANA. 2003

Provincia Popolazione Popolazione Incidenza % stranieristraniera totale su popolazione totale

Massa Carrara 5.917 198647 3,0Lucca 11.920 377.036 3,2Pistoia 12.473 274.167 4,5Firenze 56.446 957.949 5,9Livorno 9.212 328.957 2,8Pisa 15.681 391.145 4,0Arezzo 17.322 330.123 5,2Siena 12.777 258.821 4,9Grosseto 7.467 215.834 3,5Prato 15.585 233.392 6,7TOSCANA 164.800 3.566.071 4,6

Fonte: ISTAT

Tabella 1.10 BILANCIO DEMOGRAFICO DELLA POPOLAZIONE STRANIERA RESIDENTE E INDICATORI DEMOGRAFICI

PER PROVINCIA. TOSCANA. 2003

MS LU PT FI LI PI AR SI GR PO TOSC.

Popolaz. straniera residente al 1° Gennaio - Totale 4.404 9.331 9.755 43.222 6.616 12.356 13.569 9.934 5.360 12.751 127.298Popolaz. straniera residente al 31 Dicembre - Totale 5.917 11.920 12.473 56.446 9.212 15.681 17.322 12.777 7.467 15.585 164.800 di cui femmine 2.908 5.990 6.435 28.916 4.900 7.127 8.560 6.222 4.008 7.601 82.667Tasso di femminilizzazione 49,1 50,3 51,6 51,2 53,2 45,4 49,4 48,7 53,7 48,8 50,2 di cui minorenni 1.072 2.288 2.621 12.068 1.115 2.931 3.629 2.468 1.061 4.131 33.384Incid. % minori su totale popolaz. 18,1 19,2 21 21,4 12,1 18,7 21 19,3 14,2 26,5 20,3Variaz. % 2003-2002 34,4 27,7 27,9 30,6 39,2 26,9 27,7 28,6 39,3 22,2 29,5Distribuzione % 3,6 7,2 7,6 34,3 5,6 9,5 10,5 7,8 4,5 9,5 100

Fonte: ISTAT

Tabella 1.12PRIME 3 NAZIONALITÀ STRANIERE PER PROVINCIA. 2003

Provincia Prima nazionalità Seconda nazionalità Terza nazionalità

Massa Carrara Albania Marocco RomaniaLucca Albania Marocco RomaniaPistoia Albania Romania MaroccoFirenze Albania Cina FilippineLivorno Albania Marocco SenegalPisa Albania Marocco SenegalArezzo Romania Albania MaroccoSiena Albania Romania JugoslaviaGrosseto Albania Romania GermaniaPrato Cina Albania MaroccoTOSCANA Albania Romania Cina

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

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Rumeni, albanesi, e cittadini del Marocco sono comunità a insediamento“diffuso” e risulta ingente la loro presenza in tutti i territori toscani, come inmolti dei settori produttivi dell’economia regionale. Oltre al capoluogo fioren-tino, che è l’ambito di maggior insediamento per tutte e tre le comunità consi-derate, si distingue comunque un più sostenuto radicamento dei rumeni adArezzo, degli albanesi a Pistoia e dei marocchini in provincia di Lucca.

Tra le dieci comunità maggiormente numerose in Toscana, solo Mace-donia e Polonia presentano andamenti altrettanto equidistribuiti tra le dieciprovince (Tab. 1.13).

Tabella 1.13DISTRIBUZIONE DELLE PRIME 10 NAZIONALITÀ STRANIERE PRESENTI IN TOSCANA PER PROVINCIA. 2003

Massa Carrara Lucca Pistoia Firenze Livorno Pisa Arezzo Siena Grosseto Prato

Albania 3,5 6,2 15,2 27,6 4,5 11,8 9,8 9,3 2,5 9,7Cina 0,8 0,8 2,1 55,8 1,4 2,3 1,9 0,5 0,9 33,5Romania 4,2 9,4 10,0 24,8 2,9 4,3 27,8 7,9 4,9 3,8Marocco 7,6 15,1 9,2 24,0 5,8 12,9 8,3 4,3 4,7 8,1Filippine 0,7 6,9 4,4 58,6 4,4 11,3 4,4 5,1 0,9 3,3Senegal 4,8 4,3 1,5 21,4 12,7 36,9 3,7 9,7 3,0 1,9Jugoslavia 0,2 3,0 3,6 44,5 2,3 7,7 13,1 19,5 3,3 3,0Perù 0,9 2,4 2,5 66,4 13,0 1,8 1,5 5,2 1,3 5,0Macedonia 1,2 4,7 1,9 17,6 5,5 14,2 16,8 17,0 20,0 1,1Polonia 2,2 8,5 7,2 22,9 4,4 11,6 15,0 10,1 12,2 6,0

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

14 Ampiamente nota è in questo caso la concentrazione dei lavoratori senegalesi nel distretto conciariodi S. Croce in provincia di Pisa.15 A Prato, ad esempio, “…per entrare nel mercato della subfornitura locale di prodotti del tessile abbigliamento ein particolare delle confezioni agli imprenditori cinesi non è risultata necessaria l’acquisizione di competenzespecifiche, ma la messa a disposizione di una struttura flessibile […] un’organizzazione del lavoro congruentealle esigenze di una domanda fortemente variabile nel tempo che produce capi concorrenziali in funzione delprezzo, quale quella delle imprese finali della confezione che nel mercato del pronto moda” (Colombi, 2002).

Al contrario, possono annoverarsi tra i gruppi nazionali a insediamento “con-centrato” -sia territorialmente che per settore del mercato del lavoro- Cina (aPrato nel distretto tessile, nella cintura urbana di Firenze e nell’EmpoleseValdelsa nei settori della lavorazione delle pelli e nelle calzature), Senegal (Livor-no e Pisa)14, Filippine e Perù (comunità a prevalenza femminile, dove forte è l’inse-rimento nei lavori domestici e di cura, soprattutto nel capoluogo regionale).

Il caso della comunità cinese rappresenta una peculiarità toscana cherende ragione della sovrarappresentazione dei gruppi nazionali di origineasiatica in regione rispetto alla media nazionale. Le particolari modalitàmigratorie di questo gruppo possono inoltre essere considerate un casoemblematico della positiva relazione che sussiste tra specificità territorialie insediamenti etnici. La comunità cinese appare infatti sganciata, a diffe-renza di altri flussi migratori, dalle occasioni lavorative offerte dal mercatodel lavoro subordinato, dipendendo in misura maggiore dalle opportunitàdi formazione di imprenditoria date dall’economia e dalla società locale,elementi che si massimizzano nei distretti industriali del tessile pratese, delcalzaturiero nell’Empolese e nella pelletteria a Calenzano-Campi Bisenzioe in altri comuni della cintura urbana fiorentina15.

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Pochi cenni sono infine da riservare alle caratteristiche della presenzaimmigrata in Toscana quanto alla struttura familiare e per età, informazionibasate sulla fonte censuaria, con i limiti della nota incompletezza di questarilevazione, soprattutto per quanto riguarda i residenti stranieri.

È inoltre da sottolineare che il numero di stranieri residenti in Toscana alcensimento del 2001 è risultato pari a 108.702 persone, e dunque rappre-senta un aggregato che negli anni successivi subirà grandi trasformazioni aseguito soprattutto della regolarizzazione del 2002 (al 31/12/2003, gli stra-nieri iscritti alle anagrafi sono 164.800).

Un confronto tra la popolazione italiana e quella immigrata deve quinditenere conto che la regolarizzazione del 2002 ha parzialmente cambiato lastruttura per età della componente straniera a livello aggregato: trattandosidi un provvedimento che ha riguardato soggetti in età adulta, ne risultaridimensionato il peso dei minori sul totale, mentre in conseguenza dell’etàpiuttosto avanzata delle regolarizzate dell’Europa dell’Est, si alza legger-mente l’età media delle donne e di conseguenza di tutto l’aggregato immi-grato in Italia e in Toscana.

Tuttavia, i migranti, sia uomini che donne, già alla rilevazione censuariarisultavano fortemente concentrati nelle fasce d’età centrali e più propria-mente lavorative. L’ampiezza della classe 0-4 anni stava ad indicare invececome tra i minorenni i giovanissimi fossero preponderanti, a conferma delfatto che i nuclei familiari stranieri hanno iniziato a mettere radici negliultimi anni, affiancando alle scelte lavorative una propensione maggiore amettere al mondo figli nella nostra regione (Graf. 1.14).

Grafico 1.14STRANIERI RESIDENTI PER CLASSI D’ETÀ. TOSCANA. CENSIMENTO 2001

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

-10.000 -8.000 -6.000 -4.000 -2.000 0 2.000 4.000 6.000 8.000 10.000

0-4 anni

10-14 anni

20-24 anni

30-34 anni

40-44 anni

50-54 anni

60-64 anni

70-74 anni

80 e + anni

UominiDonne

Per quanto riguarda il confronto italiani-stranieri per grandi classi d’età(Tab. 1.15), mentre il 23% dei primi ha meno di 20 anni, per i secondi lapercentuale scende al 15,6%. Tra le persone in età attiva tra 20-59 annirientra il 70,9% degli stranieri, contro il 54,4% dei nativi; tra gli

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ultrasessantenni solo il 6,1% degli stranieri, rispetto al 30% degli italiani.Ma un dato ancor più interessante è quello relativo all’incidenza degli stra-nieri sulla popolazione distinta per singole classi d’età (Graf. 1.16).

Tabella 1.15STRANIERI E ITALIANI RESIDENTI PER GRANDI CLASSI D’ETÀ. TOSCANA. CENSIMENTO 2001

Valori %

Popolazione straniera Popolazione italiana

Pop. 0-19 anni 23,0 15,6Pop. 20-59 anni 70,9 54,4Pop. 60 e oltre 6,1 30,0TOTALE 100,0 100,0

Fonte: ISTAT

Sul totale dei censiti in Toscana la quota degli stranieri risulta pari al3,1%, ma differenze sostanziali si osservano per età. I due valori più alti siregistrano per la classe 30-34 anni (6%) e, appunto, per la classe 0-4 anni(5,6%). Dopo i 50 anni l’incidenza degli stranieri sulla popolazione com-plessiva decresce progressivamente.

Quanto allo stato civile degli immigrati posto a confronto con la distri-buzione complessiva della popolazione, si osserva tra i primi una maggiorepresenza di celibi/nubili e vedovi/e, e al contrario una minore incidenza sultotale dei coniugati/e e dei separati/e (Tab. 1.17).

La distribuzione per genere dello stato civile nell’insieme della popola-zione immigrata residente alla data del censimento vede le donne prevaleretra le persone coniugate e -nettamente- nei casi di divorzio, separazionelegale e stato di vedovanza, mentre gli uomini sono la maggioranza tra lepersone non sposate.

La società toscana è destinata in futuro ad incrementare ulteriormente itratti di multietnicità e multiculturalismo. Da un lato, è tutt’altro che esauri-

Grafico 1.16INCIDENZA DELLA POPOLAZIONE STRANIERA SU QUELLA ITALIANA PER CLASSI D’ETÀ. TOSCANA.

CENSIMENTO 2001 Valori %

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

0

1

2

3

4

5

6

7

0-4anni

5-9anni

10-14anni

15-19anni

20-24anni

25-29anni

30-34anni

35-39anni

40-44anni

45-49anni

50-54anni

55-59anni

60-64anni

65-69anni

70-74anni

75-79anni

80 e +anni

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to il fenomeno migratorio che ha interessato la nostra regione a partire dallametà degli anni Ottanta e, per taluni gruppi nazionali a maggiore anzianitàdi insediamento, fin dagli anni Settanta (egiziani, iraniani, eritrei e somalisolo per fare alcuni esempi) e con caratteri di massa dagli anni Novanta conprogressive accelerazioni che hanno trovato nel 2002, in occasione del pro-cedimento di regolarizzazione varato dall’esecutivo nazionale, il puntomassimo di afflusso regolare (di persone che tuttavia per la gran parte eranogià presenti sul territorio16). Prevedibilmente, un provvedimento di questogenere non sarà l’ultimo.

Fino ad allora (e in attesa di nuove politiche migratorie che aggiornino icanali di ingresso ad una domanda di lavoro rivolta a immigrati ancorasostenuta17), la presenza immigrata in Toscana sarà alimentata dagli even-tuali trasferimenti interni da altre regioni italiane (“migrazioni nelle migra-zioni”), dai nuovi nati da genitori stranieri (sebbene sia arduo considerare inati su territorio italiano degli “stranieri”), dai flussi irregolari, da coloroche otterranno il ricongiungimento a soggiornanti già presenti legalmente-dopo l’approvazione della Legge n. 189 del 2002, familiari stretti e minorinon oltre il diciottesimo anno di età, o parenti di primo grado se nonautosufficienti- e infine dai nuovi ingressi nell’ambito delle quote stabiliteannualmente dal Governo. Dall’altro lato, si pone la necessità di lavorare,in una regione comunque sensibile al tema dell’accoglienza e del positivoinserimento dei migranti, per il superamento dell’“integrazione subalterna”(Ambrosini, 2001) che caratterizza la qualità della territorializzazione incorso della presenza straniera, in direzione del raggiungimento di una realecittadinanza economica e sociale.

Tabella 1.17POPOLAZIONE STRANIERA E POPOLAZIONE TOTALE RESIDENTE PER STATO CIVILE. TOSCANA.

CENSIMENTO 2001

Stato civile Immigrati Popolazione totale

Celibi/nubili 44,9 35,7Coniugati/e 49,8 53,6Separati/e legalmente o divorziati/e 3,1 1,5Vedovi/e 2,2 9,2TOTALE 100,0 100,0

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

16 Stando a recenti approfondimenti (cfr. ad esempio Carfagna, 2002 e Fondazione Ismu, 2004), ad ogniregolarizzazione corrisponderebbe una diminuzione della presenze irregolarmente soggiornanti, chetuttavia vanno crescendo per un “effetto-annuncio” alla vigilia di ogni provvedimento nella speranza,tutt’altro che infondata, di beneficiare delle sanatorie. Efficacemente, Carfagna dibatte la questionechiedendosi se ogni regolarizzazione determini un “colpo di spugna” (sulle presenze irregolari, che siregolarizzano in toto) o non piuttosto un “effetto pompa” (anticipazione dei flussi).17 Dopo un’attenta analisi comparativa a livello europeo condotta da Barbagli, Asher, Colombo (a curadi, 2004), a questo proposito viene commentato: “la peculiarità della situazione italiana non risiedetanto nella frequenza con la quale vengono adottati programmi di regolarizzazione, quanto dall’usosistematico di tale strumento come equivalente funzionale di una politica attiva degli ingressi. […]L’intera politica migratoria italiana, in altre parole, è stata sinora centrata sui programmi diregolarizzazione, ponendo continuamente le condizioni per il riprodursi a scadenze regolari della ne-cessità di tali provvedimenti” (pp. 15-16).

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2.L’INSERIMENTO NEL MERCATO DEL LAVORO

In questo capitolo si approfondiranno le modalità di inserimento occupa-zionale dei lavoratori immigrati in Toscana e nelle singole province dellaregione. È però necessario premettere che nessun sistema informativo ofonte statistica può stabilire con esattezza i tassi specifici di attività, occu-pazione e disoccupazione di questo segmento di popolazione, similmente aquanto avviene, per la forza lavoro italiana nel suo complesso, con lerilevazioni sulle forze di lavoro curate dall’ISTAT. Se dunque quantificarela presenza straniera in regione sulla base delle statistiche disponibili pre-senta numerosi limiti, maggiori difficoltà si riscontrano nel misurare la con-sistenza e la dinamica dei lavoratori stranieri.

La rilevazione che avrebbe potuto tracciare un quadro sufficientementeattendibile, ossia il Censimento del 2001, soffre infatti di una consistentesottorappresentazione delle presenze straniere, e in ogni caso raccoglie in-formazioni che si riferiscono alla data del 31/12/2001, “mancando” perciòle importanti trasformazioni intervenute sul mercato del lavoro nazionale enei flussi migratori nell’ultimo triennio. D’altra parte le inchieste campio-narie delle Forze di Lavoro non distinguono i lavoratori stranieri. Non restaperciò che descrivere i caratteri dell’inserimento occupazionale dei lavora-tori stranieri facendo riferimento a fonti parziali e non dialoganti tra loro,scegliendo di volta in volta la fonte che, secondo l’obiettivo conoscitivo,fornisce le informazioni più complete.

2.1I permessi di soggiorno con possibilità di lavorare

Non essendovi nessuna corrispondenza tra motivo del permesso di soggior-no rilasciato e l’effettivo stato occupazionale del possessore del documen-to, le autorizzazioni alla permanenza in Italia che consentono anche di la-vorare possono rilevare solo il numero massimo degli immigrati che, nel-l’ipotesi della piena occupazione, risulterebbero essere presenti nel merca-to del lavoro regionale.

Le tipologie di permessi con accesso al lavoro sono infatti sia quelle cherichiamano già nella denominazione il “lavoro” (lavoro subordinato, auto-nomo, ricerca lavoro), sia quelle per motivi familiari, studio e asilo politi-co. In pratica, quindi, da questa fonte si può avere solo una misura appros-simativa dello stock della forza lavoro straniera (non sappiamo, ad esem-pio, quanti titolari di permesso di soggiorno per motivo di lavoro o di studioeffettivamente lavorino o cerchino lavoro).

Dall’analisi dei più recenti dati del Ministero dell’Interno sui soggior-

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nanti in Toscana, relativi alla fine del 2003, si osserva che dei 174.194 stra-nieri soggiornanti nella nostra regione (di cui 162.047 extracomunitari),111.816, ovvero il 64,2%, è in possesso di un documento esplicitamentefinalizzato al lavoro. Alla regolarizzazione del 2002 è imputabile per lar-ghissima parte il (quasi) raddoppio dei soggiornanti con questo tipo di per-messo (+94,4%) (Tab. 2.1).

Tabella 2.1PERMESSI DI SOGGIORNO PER MOTIVO DELLA PRESENZA. TOSCANA. 2002-2003

2002 2003 Var. % V.a. % V.a % 2002/2003

Motivi di lavoro 57.518 51,6 111.816 64,2 94,4Famiglia 34.503 31,0 42.151 24,2 22,2Religione, residenza elettiva e studio 14.938 13,4 15.404 8,8 3,1Asilo politico e richiesta d’asilo 578 0,5 500 0,3 -13,5Altri 3.919 3,5 4.323 2,5 10,3TOTALE 111.456 100,0 174.194 100,0 56,3

Fonte: nostre elaborazioni su dati Ministero dell’Interno

Un’analisi a parte andrebbe fatta per quanto riguarda la distribuzionedelle varie tipologie di permesso per genere. Alla fine del 2003, tra i sog-giornanti per motivi di lavoro prevalgono gli uomini con il 62,6%; tra isoggiornanti per motivi familiari prevalgono invece nettamente le donnecon il 77,2%. Ma se si prendono in considerazione i dati sullaregolarizzazione, la presenza femminile appare essere notevolmente cre-sciuta in valori assoluti nell’ambito dei permessi rilasciati per lavoro18.

Aggiungendo perciò ai permessi esplicitamente dedicati al lavoro quellicompatibili con la possibilità di lavorare, gli stranieri regolarmente sog-giornanti abilitati ad avere un’occupazione risultano essere 161.720 (il 92,8%del totale)19. Rispetto alla fine del 2002, quando i possessori di un docu-mento di soggiorno compatibile con il lavoro erano 99.642 unità, si è regi-strato un incremento del 62,3%, superiore quindi all’aumento osservatoper la totalità dei permessi di soggiorno (56,3%), largamente imputabilealla regolarizzazione del 2002. Se tutti i detentori dell’autorizzazione alsoggiorno con possibilità di lavorare effettivamente risultassero occupati,si avrebbe un volume della forza lavoro straniera che rappresenterebbe cir-ca il 10% dell’occupazione totale.

La maggior parte dei permessi rilasciati ha per motivazione il lavorodipendente, ma un altro tratto caratteristico del modello toscano di immi-grazione è quello dell’alta presenza di imprenditori di origine non italiana;fenomeno visibile, a livello statistico, dalla rilevante quota di permessi ri-lasciati per lavoro autonomo. In questo senso il rilevante aumento dei per-messi per lavoro dipendente, che si è registrato con la ex sanatoria nel 2003,

18 La ripartizione per genere a livello nazionale delle domande vede 379.207 richieste di uomini, e320.826 di donne, con un tasso di femminilizzazione del 45,8%.19 Secondo Blangiardo (2004), il tasso di attività tra i titolari di permesso di soggiorno per motivi fami-liari può essere stimato in circa la metà dei soggiornanti con questo tipo di autorizzazione.

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ha in parte nascosto un altrettanto rilevante (e significativo) incrementodei permessi per lavoro autonomo nella nostra regione. Si tratta di un aspettoestremamente interessante del processo di inserimento degli immigrati nelmercato del lavoro, perché consente di cogliere dimensioni nuove dei pro-getti migratori e forme diverse della presenza straniera. In Toscana, al 31/12/2002 i permessi di soggiorno per lavoro autonomo erano secondo l’ISTAT11.182 e rappresentavano il 10% circa del totale dei permessi20 .

Secondo i dati forniti dall’archivio StockView di Uniocamere21, invece,dal 2000 al 2003 il numero complessivo di imprenditori extracomunitaripassa da 15mila a quasi 22mila, con un incremento di oltre il 45%. Il feno-meno sembra interessare prevalentemente la componente maschile dell’im-migrazione, anche se negli anni è evidente una certa vivacità da parte dellacomponente femminile. Quanto invece alle imprese, al 2002 in Toscana leimprese individuali gestite da cittadini stranieri risultavano 15.397, pari aoltre il 7% sul totale delle aziende attive in regione. La maggioranza delleattività imprenditoriali extracomunitarie si concentra nel macrosettore delcommercio, alberghi e ristorazione (complessivamente 35%), in particola-re nelle attività al dettaglio (25,6%); nell’industria manifatturiera (30,1%),con una larga incidenza nell’abbigliamento (14,1%) e nella pelletteria(11,7%); nel comparto dell’edilizia (22,2%). Minoritaria è la presenza de-gli extracomunitari imprenditori in agricoltura (4,2%).

2.2Gli avviamenti dai Centri per l’impiego e l’articolazione settoriale e territorialedegli immigrati occupati in base ai dati Inps

Tra il 1997 e il 2002 gli avviamenti rilevati dai Centri per l’impiego riguar-danti i cittadini extracomunitari hanno visto un incremento del 260% inToscana, passando dalle 12.968 unità alle 46.690 unità. Scendendo a livel-lo dei settori di attività economica, si osserva poi come l’aumento sia statointenso in tutti e tre i comparti, sebbene con un diverso ritmo di crescita22

(Tab. 2.2 e Graf. 2.3).Dall’agricoltura proviene la domanda inferiore di lavoro (e, in questo

settore, considerando la stagionalità delle produzioni agricole, le assunzioniplurime sono probabilmente maggiori che non negli altri). Tra il 1997 e il

20 Va sottolineato come il permesso di soggiorno per lavoro autonomo può consentire anche l’esercizio diun’occupazione subordinata e viceversa, senza che vi sia la conversione del permesso nel nuovo motivo.21 La ricostruzione sotto il profilo quantitativo del fenomeno dell’imprenditoria promossa dagli immigratiin Toscana avviene attraverso i dati forniti da Unioncamere relativi, da un lato, all’archivio StockView chedispone di una serie di informazioni relative alle caratteristiche degli imprenditori, tra le quali il paese dinascita; dall’altro all’archivio Registro Imprese che registra le imprese distinguibili, anche in questo caso,in base al paese di nascita del titolare. Inoltre, per quanto riguarda i dati relativi alle imprese, questiriguardano soltanto gli imprenditori stranieri che risultano titolari di aziende individuali, escludendo tuttele altre forme giuridiche di impresa, all’interno delle quali il cittadino straniero può comparire in altraveste e/o carica societaria. Al pari di altri archivi di natura amministrativa, anche i dati provenienti daqueste due fonti richiedono dunque particolari cautele in sede di analisi e interpretazione.22 I Centri per l’impiego, nel registrare i flussi, non riescono a distinguere gli avviamenti plurimi, ossia icasi in cui uno stesso lavoratore venga assunto più volte nel corso dell’anno. Alla fine dell’anno, il datosugli avviamenti non coinciderà quindi con il numero di nuovi assunti in un determinato settore.

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Tabella 2.2ASSUNZIONI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI PER SETTORE. TOSCANA. 1997-2002

Valore assoluti

Settori 1997 1998 1999 2000 2001 2002 Var. % 1997-2002 Var. % 2001-2002

Agricoltura 3.097 3.730 5.152 6.942 8.095 10.154 227,9 25,4Attività manifatturiera 5.987 6.077 7.322 12.136 15.272 16.677 178,6 9,2Altre attività 3.884 4.374 6.010 9.879 15.374 19.859 411,3 29,2TOTALE 12.968 14.181 18.484 28.957 38.741 46.690 260,0 20,5

Fonte: elaborazione Servizio Lavoro su dati Amministrazioni Provinciali

Grafico 2.3ASSUNZIONI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI PER SETTORE. TOSCANA. 1997-2002

Distribuzione %

Fonte: elaborazione Servizio Lavoro su dati Amministrazioni Provinciali

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1997 1998 1999 2000 2001 2002

Altre attività Attività manifatturiera Agricoltura

2001, la maggior parte degli avviamenti riguardanti immigrati si sono os-servati, invece, nel comparto industriale. Nel 2002, infine, il primo settoredi attività economica osservato per numero di assunzioni è divenuto il ter-ziario che è cresciuto del 29,2% nell’arco di un solo anno, rispetto ad unaumento medio complessivo delle assunzioni del 20,5% tra il 2001-02.

Sempre con riferimento al 2002, nella Tabella 2.4 è presentato il quadrodelle principali caratteristiche degli avviamenti di extracomunitari in To-scana. Si nota innanzitutto che gli avviamenti riguardanti le donne rappre-sentano solo il 29,2% del totale. In merito alla distribuzione per tipologiacontrattuale si osserva una forte prevalenza dei contratti caratterizzati dauna maggior flessibilità e precarietà: le assunzioni a tempo determinatorappresentano il 59,7% del totale, quelle di lavoratori part-time il 13,8%,quelle di apprendisti il 5,3% e quelle di persone con un contratto di forma-zione lavoro l’1%. Solo il 21,7% delle assunzioni di stranieri è avvenutocon un contratto “tipico”, ovvero con un contratto full time a tempo inde-terminato.

Per quanto riguarda il profilo professionale degli avviati, prevalgono leassunzioni di operai generici (72,3%), seguite da quelle di operai qualifica-ti (17%). Marginali sono gli avviamenti nei profili più qualificati o, co-munque, a più alto riconoscimento sociale: il 2% ha riguardato operai spe-cializzati, solo il 3,8% impiegati.

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È possibile seguire l’andamento territoriale e settoriale dell’occupazio-ne immigrata facendo riferimento ai dati dell’Inps, che tuttavia non sonoaggiornati. Gli ultimi dati disponibili sono infatti al 31/12/2001, e perciònon consentono di valutare né i successivi andamenti occupazionali in unafase di particolare delicatezza a causa della non positiva congiuntura del-l’economia regionale, né altri due importanti fenomeni entrambi legati allasanatoria del 2002: la verifica dell’esistenza di un consistente “tasso dicaduta” dei tassi di occupazione dei regolarizzati; e più in generale l’im-patto della grande emersione23 rappresentata dalla regolarizzazione.

D’altra parte i dati Inps sugli occupati extracomunitari sono gli uniciche tengono insieme informazioni sui lavoratori dipendenti e autonomi edisaggregano i saldi occupazionali per settore, consentendo anche un’ana-lisi della “specializzazione etnica” della forza lavoro straniera24. Un seriolimite nell’analisi è tuttavia posto dalla non indicazione di un dato puntua-le di lavoratori regolarmente occupati ad una certa data (o il numero medio

Tabella 2.4PRINCIPALI CARATTERISTICHE AVVIAMENTI EXTRACOMUNITARI IN TOSCANA. 2002

V.a. Composizione %

SessoMaschi 33.055 70,8Femmine 13.635 29,2

SettoriAgricoltura 10.154 21,7Attività manifatturiera 16.677 35,7Altre attività 19.859 42,5

Tipologia contrattualeTempo indeterminato 9.471 20,3Tempo determinato 27.879 59,7Apprendistato 2452 5,3Formazione-lavoro 457 1,0Tempo parziale 6.431 13,8

QualificheOperaio generico 33.776 72,3Operaio qualificato 7.958 17,0Operaio specializzato 917 2,0Impiegato 1.593 3,4Apprendisti 2.446 5,2

TOTALE 46.690 100,0Fonte: elaborazione Servizio Lavoro su dati Amministrazioni Provinciali

23 Si ricorda a questo proposito che erano i datori di lavoro e non gli immigrati a presentare la domandadi regolarizzazione. Solo negli ultimi giorni utili per la presentazione delle domande, una circolareministeriale ha precisato la possibilità per il lavoratore impiegato irregolarmente di aprire una vertenzacontro il datore che si fosse rifiutato di procedere alla regolarizzazione, ottenendo in tal modo un per-messo provvisorio di soggiorno.24 L’archivio dell’Inps riporta le informazioni relative agli extracomunitari che nel corso dell’anno han-no avuto almeno un contributo e conteggia, per ogni anno, sia i lavoratori extracomunitari “transitati”,sia quelli ancora occupati al 31/12, ovvero tutti i soggetti coinvolti nel corso dell’anno in occupazionipiù o meno durature. Va da sè che il numero di occupati risultanti da questa fonte non è confrontabilecon la stima, seppure approssimativa, della forza lavoro extracomunitaria desumibile dal dato di stockdei soggiornanti per motivo del rilascio del permesso di soggiorno fornito dal Ministero dell’Interno.

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mensile); è rilevato, infatti, solo il numero di tutti coloro con almeno unasettimana contributiva Inps nel corso dell’anno.

Al di là delle posizioni relative occupate dalle varie province, o di in-crementi più o meno accentuati da esse registrate, il dato da sottolineare èl’importanza raggiunta dalla forza lavoro straniera in tutto il territorio to-scano.

Alla fine del 2001 (Tab. 2.5), gli occupati di origine non italiana conalmeno un contributo Inps in Toscana sono circa 66mila. A livello territo-riale, Firenze è di gran lunga la provincia che ha occupato il più alto nume-ro di stranieri nel periodo considerato, con una quota pari 35,9% nel 2001(23.642 occupati). La seconda e la terza posizione sono invece occupate daPrato con il 12,6% e 8.301 lavoratori, e da Arezzo con il 10,7% e 7.081occupati.

Tabella 2.5LAVORATORI EXTRACOMUNITARI INPS. PROVINCE TOSCANE. 1991-2001

Province 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 Var. % Var. %1997-2001 1991-2001

Massa Carrara 433 520 545 578 655 896 845 855 981 1.184 1.544 82,7 256,6Lucca 991 1.199 1.218 1.345 1.495 2.281 2.251 2.320 2.892 3.606 4.517 100,7 355,8Pistoia 560 674 667 846 975 1.936 1.785 1.857 2.583 3.362 4.083 128,7 629,1Firenze 5.177 6.004 5.973 6.367 7.028 12.579 12.670 13.116 16.290 19.852 23.642 86,6 356,7Livorno 783 884 862 1.037 1.124 1.643 1.520 1.502 1.985 2.400 3.002 97,5 283,4Pisa 1.237 1.545 1.524 1.678 1.923 2.929 2.812 2.936 3.810 4.558 5.588 98,7 351,7Arezzo 967 1.267 1.413 1.549 1.669 2.518 2.665 3.496 4.543 5.724 7.081 165,7 632,3Siena 876 1.076 1.194 1.407 1.542 2.168 2.474 2.839 3.469 4.224 5.575 125,3 536,4Grosseto 346 460 518 545 540 820 904 1.125 1.414 1.878 2.549 182,0 636,7Prato 598 883 934 1.258 1.537 4.641 4.672 4.657 5.809 7.258 8.301 77,7 -TOSCANA 11.968 14.512 14.848 16.610 18.488 32.411 32.598 34.703 43.776 54.046 65.882 102,1 450,5Note: per la provincia Prato non è stata calcolata la variazione 1991-2001 in quanto il dato relativo agli anni dal 1991 al 1995, quando la città non era

ancora capoluogo di provincia, è stato probabilmente sottostimato. Ciò falserebbe quindi l’incremento 1991-2001Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

Per quanto riguarda il settore di inserimento (Graf. 2.6), si osserva che,in Toscana, la quota maggioritaria di cittadini immigrati ha trovato impie-go nei macro settori dell’industria e dei servizi (il 74,1% in totale nel 2001)25.

Scendendo ad un livello di dettaglio maggiore per questi due settori(Graf. 2.7), vediamo come il commercio abbia sempre rappresentato, neglianni esaminati, il primo ambito di inserimento degli extracomunitari inToscana nei servizi, con una quota che si è però ridotta rispetto alla metàdegli ‘90, mentre nel comparto industriale l’attività che registra più lavora-tori immigrati è il tessile. Nel 2001, su 100 extracomunitari occupati nel-l’industria e nei servizi (esclusi i lavoratori domestici), 32 risultavano im-piegati nel commercio, 17 nell’edilizia, 16 nel tessile, 10 nella meccanica,9 nel settore chimico e della gomma, 4 nei trasporti e nelle comunicazioni.Inferiore al 3% risulta essere la quota in tutti gli altri comparti.

25 Le statistiche ufficiali Inps permettono di distinguere tra dipendenti agricoli, lavoratori domestici,lavoratori subordinati dell’industria e dei servizi (categoria che comprende 15 sottocategorie) e lavora-tori autonomi (commercianti, artigiani, coltivatori diretti e coltivatori mezzadri).

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Grafico 2.6LAVORATORI INPS, RIPARTIZIONE PER SETTORE. TOSCANA. 1991-2001

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

Grafico 2.7LAVORATORI INPS, RIPARTIZIONE DEL MACROSETTORE “INDUSTRIA E SERVIZI”. TOSCANA. 1995-1998-2001

Legenda:

A Agricoltura ed attività connesse I Estrazione e trasf. materialiB Alimentari e affini L Legno e mobiliC Amministrazioni statali ed Enti Pubblici M Metallurgia e meccanicaD Carta - editoria N ServiziE Chimica, gomma ecc. O Tessile e abbigliam.F Commercio P Trasporti e com.G Credito e assicur. Q VarieH Edilizia

Fonte: INPS

Ma con un’aggregazione dei macro-settori meno dettagliata (che consi-deri unicamente la ripartizione tra attività manifatturiere, industria e co-struzioni; servizi e commercio; le attività classificate nella categoria “va-rie”), appare netta la preponderanza dei lavoratori dell’industria e delle co-struzioni sui servizi e il commercio: nel 2001, i primi rappresentano il 59%del totale dei lavoratori dipendenti registrati dall’Inps tra coloro che risulta-

0

10

20

30

40

1995 0,8 2,2 2,7 0,8 10,7 33,8 0,4 14,0 3,2 1,9 9,5 0,9 11,3 2,6 5,3

1998 0,4 1,9 1,1 0,8 10,6 28,1 0,2 14,6 2,3 2,1 9,5 0,8 19,9 2,7 4,9

2001 0,3 1,9 1,5 0,7 9,3 32,4 0,1 16,9 1,9 2,3 9,9 1,1 15,8 3,7 2,3

A B C D E F G H I L M N O P Q

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

Lavoratori domestici Lavoratori agricoli Lavoratori autonomi Lavoratori industria e servizi

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no occupati da questo specifico archivio -che, lo ricordiamo, non compren-de i lavoratori domestici, agricoli e autonomi- mentre gli impiegati nei ser-vizi sono il 40% circa, con un trend comunque crescente rispetto al 1998(Graf. 2.8).

26 In realtà, il valore assoluto di Massa Carrara è irrisorio rispetto a quello rilevato di Prato.

Grafico 2.8LAVORATORI INPS, RIPARTIZIONE DEL MACROSETTORE “INDUSTRIA E SERVIZI”. TOSCANA. 1995-1998-2001

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1995 1998 2001

Attività manifatturiere, industria e costruzioni Servizi e commercio Varie

Nel 2001 la componente femminile, pari complessivamente al 35,7%degli occupati extracomunitari nella nostra regione, rappresenta la maggio-ranza tra le collaborazioni domestiche (79,6%), e non va oltre il 28% nelsettore “industria e servizi” e il 30% tra i lavoratori autonomi. Tra gli operaiagricoli, la manodopera femminile vede rappresentato il valore più basso: il13,9% del totale degli occupati (Graf. 2.9).

Il quadro presentato fino ad adesso è ovviamente il frutto di realtà terri-toriali molto diverse per caratteristiche demografiche, provenienza deglistranieri e inserimento lavorativo. Scendendo nuovamente al livello pro-vinciale, si riportano di seguito per l’anno 2001 i dati degli occupatiextracomunitari per settore e per area geografica di provenienza (Graf. 2.10).

Grosseto e Siena, sistemi economici a forte vocazione rurale, si posizio-nano molto al di sopra della media regionale quanto a incidenza diextracomunitari occupati in agricoltura (rispettivamente con il 34,5% e il15,3%). Il distretto industriale di Prato si caratterizza per l’alta incidenzadei lavoratori del comparto industria e servizi (87,9%) e, insieme a MassaCarrara, per l’alta quota di extracomunitari occupati in attività imprendito-riali (rispettivamente con il 5,6% e il 5,5%)26 . Nel settore delle collabora-zioni domestiche risultano invece sopra la media le provincie di Firenze ePistoia, entrambe con il 20,1%.

Quanto alle zone geografiche di provenienza (Tab. 2.11), la maggiorparte dei lavoratori dall’Europa dell’Est -il gruppo più numeroso nella mag-

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Grafico 2.9LAVORATORI INPS DISTINTI PER SETTORE E GENERE. TOSCANA. 1991-2001

LAVORATORI INDUSTRIA E SERVIZI LAVORATORI AUTONOMI

LAVORATORI AGRICOLI LAVORATORI DOMESTICI

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

0 10.000 20.000 30.000 40.000 50.000

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

Uomini Donne

0 1.000 2.000 3.000 4.000 5.000

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

0 3.000 6.000 9.000 12.000

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

0 1.000 2.000 3.000

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

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Grafico 2.10LAVORATORI EXTRACOMUNITARI PER SETTORE. PROVINCE TOSCANE. 2001

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

Tabella 2.11LAVORATORI EXTRACOMUNITARI PER ZONA GEOGRAFICA DI PROVENIENZA. PROVINCE TOSCANE. 2001

Massa Carrara Lucca Pistoia Firenze Livorno Pisa Arezzo Siena Grosseto Prato TOSCANA

Oceania 0,2 0,3 0,2 0,2 0,3 0,2 0,1 0,1 0,0 0,0 0,1Europa Ovest 2,2 1,7 1,6 1,7 2,3 2,6 1,1 1,6 1,7 0,9 1,6Europa Est 36,0 33,9 58,2 29,1 32,1 34,1 52,0 46,3 54,5 22,7 36,0Asia orientale 5,7 15,7 11,9 29,8 10,7 11,9 17,7 8,3 6,8 51,4 23,5Asia medio-orientale 1,6 0,6 0,8 1,9 1,6 0,9 1,2 1,3 5,3 0,8 1,5Apolidi 8,5 7,4 6,4 7,6 12,4 7,2 6,6 13,2 7,5 5,5 7,8America Sud 6,2 5,8 3,9 7,1 10,3 3,7 2,7 5,2 5,3 2,2 5,3America Nord 0,3 1,2 0,3 1,0 0,4 0,6 0,4 0,5 0,3 0,3 0,7America centrale 14,2 2,4 1,9 1,6 3,5 1,0 3,2 1,8 2,8 0,7 2,1Africa Nord 22,7 27,6 12,5 14,6 23,5 34,8 12,7 17,8 14,5 11,7 17,4Africa Centro Sud 2,3 3,3 2,3 5,4 2,9 3,1 2,4 3,8 1,2 3,9 3,9

Fonte: nostre elaborazioni su dati INPS

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Lavoratori autonomi 5,5 3,4 4,8 3,6 3,6 2,7 4,3 2,8 3,3 5,6 3,9

Collaboratori domestici 19,6 20,1 15,5 20,1 18,6 15,6 13,6 11,6 11,9 6,3 15,9

Dipendenti servizi e industria 73,8 74,4 69,3 73,8 69,9 77,8 71,8 70,3 50,3 87,9 74,1

Operai agricoli 1,2 2,1 10,5 2,5 7,9 3,9 10,3 15,3 34,5 0,2 6,2

MS LU PT FI LI PI AR SI GR PO TOSC.

gior parte delle province e comunque a livello regionale con il 36% deltotale degli occupati- superano addirittura il 50% a Pistoia (58,2%), Grosseto(54,5%) e Arezzo (52,2%). Questa occupazione aggiuntiva dei lavoratorieuropei è dovuta soprattutto agli inserimenti di polacchi e rumeni nelflorovivaismo del pistoiese, nelle attività agricole dell’aretino e di Grosseto.In quest’ultimo caso è nota anche la specializzazione dei rumeni nelle atti-vità di raccolta del legname, sul versante grossetano dell’Amiata.

Pisa, Firenze e Prato si caratterizzano, invece, per la forte presenza nelmercato del lavoro di immigrati provenienti da altre zone geografiche: aPisa il gruppo più numeroso è quello degli extracomunitari provenienti dal-l’Africa del Nord (34,8%, il doppio della media regionale), e in questo casoè di un certo peso la presenza di senegalesi nel distretto conciario diS. Croce, o nell’ambulantato legato anche al turismo stagionale. A Firenzee Prato prevalgono gli immigrati provenienti dall’Asia medio-orientale (so-

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prattutto dalla Cina, ma nel capoluogo regionale è forte anche la presenzadella comunità filippina, e a Prato di cittadini dal Pakistan), rispettivamentecon il 29,8% e il 54,5%.

Emblematico è l’inserimento nel mercato del lavoro dei migranti cinesinelle due province: a Firenze ogni 100 lavoratori cinesi regolarmente occu-pati 7 lavorano in proprio, a Prato 11 ogni 100; si tratta quindi di un’inci-denza del lavoro autonomo superiore alla media registrata per gli altri grup-pi. Per quanto riguarda il settore occupazionale, mentre per gli autonomi lestatistiche Inps non forniscono un dato dettagliato relativamente al settore,per i lavoratori subordinati si rileva che a Firenze ogni 100 cinesi dipenden-ti 39 lavorano nel comparto tessile e a Prato ben 92 ogni 100.

In merito agli stranieri provenienti dai paesi dell’Est, il gruppo naziona-le più consistente è quello degli albanesi, che risulta occupato nell’industriae anche nel settore delle costruzioni. In particolare, ogni 100 lavoratori di-pendenti albanesi, 32 risultano occupati nel comparto edile. Decisamentesopra alla media regionale è la quota di albanesi occupati nell’edilizia nelleprovince di Massa Carrara e Livorno dove, rispettivamente, ogni 100 lavo-ratori dipendenti regolarmente iscritti Inps, 56 e 49 risultano impiegati nel-le costruzioni.

Quanto agli immigrati occupati provenienti dall’Africa del Nord, imarocchini sono il gruppo nazionale più numeroso (ogni 100 lavoratori diquesta area 50 sono originari del Marocco). Guardando alle singole attivitàproduttive, non emerge per loro un singolo comparto a forte assorbimento.Tra gli impieghi dipendenti, i due settori in cui i lavoratori marocchini sonomaggiormente occupati sono il commercio (22,7%) e l’edilizia (18,4%).

In conclusione, la domanda di lavoro di immigrati appare tutt’altro chein diminuzione, così come non diminuisce quella dei lavoratori in genere,anche se conferma una presenza diffusa nei settori meno qualificati e co-munque con inserimenti in attività manuali prevalentemente dequalificate.Inesistente, infatti, è la percentuale di lavoratori stranieri nelle attività intel-lettuali o anche non manuali. Un aspetto, questo, di cui si discuterà meglionell’esaminare gli effetti della regolarizzazione del 2002 sul mercato dellavoro regionale.

2.3Le previsioni di assunzioni in base ai dati Excelsior

L’ottava Indagine Excelsior svolta su base campionaria da Unioncameremette a disposizione informazioni sulle previsioni di assunzione da partedelle imprese italiane operanti nel privato, con possibilità di sondare anchela disponibilità di queste all’assunzione di lavoratori immigrati.

Per il 2005 gli imprenditori toscani hanno dichiarato di essere disposti adassumere lavoratori extracomunitari in modo da coprire il 30% del fabbisognodi manodopera27 (Tab. 2.12), con circa 12.500 assunzioni delle oltre 41mila

27 Le imprese indicano il numero minimo e il numero massimo di extracomunitari che prevedono di inserire nelloro organico nell’anno successivo all’indagine. I valori riportati, desunti da informazioni rese disponibili daUnioncamere, fanno riferimento al numero massimo di lavoratori extracomunitari da assumere.

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previste complessivamente in Toscana. Si tratta di un dato in aumento rispettoal 2004 (+2,3%), almeno nella previsione massima28, a conferma di uno scena-rio in cui la partecipazione degli stranieri nel nostro mercato del lavoro sembradestinata ad assumere una posizione ancora più rilevante che nel passato. Sonosoprattutto le imprese grandi e quelle medio grandi a manifestare un’elevatadisponibilità ad assumere cittadini extracomunitari, con valori superiori al 33%sul totale delle assunzioni previste (5.130 lavoratori immigrati su 15.490 inimprese con 50 e oltre dipendenti).

Le assunzioni “stabili” sono previste soprattutto a Firenze (con quasi4.000 lavoratori richiesti) e, con numeri notevolmente più bassi, a Lucca(circa 1.700 lavoratori, il 37% del totale delle assunzioni in questa provin-cia), quindi a Pisa, Siena ed Arezzo. A Prato, dove si registra la massimaincidenza dei residenti stranieri sulla popolazione, non si prevedonoassunzioni di extracomunitari in misura proporzionale al primato per nu-mero di stranieri presenti, segnale inequivocabile della crisi che sta attra-versando il distretto tessile. Tuttavia, l’incidenza delle assunzioni di lavora-tori stranieri è in linea con il dato regionale (31%). Infine, Massa Carrara,Pistoia e Grosseto sono le province in cui sono minori le previsioni di as-sunzione, tutti con valori intorno alle 500-600 persone (Tab. 2.13). A Grossetosi rileva il numero massimo richiesto di stagionali.

28 Il valore minimo previsto è di 8.430 nuove assunzioni (il 20,3% del totale delle assunzioni comples-sive); il valore massimo di 12.490 (il 30,0% del totale).

Tabella 2.12ASSUNZIONI PREVISTE PER IL 2005 DI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI,

PER CLASSE DIMENSIONALE DELLE IMPRESE. TOSCANA

Classe dimensionale Massimo (V.a.) % su tot. assunzioni

1-9 dipendenti 5.190 28,310-49 dipendenti 2.170 27,9≥ 50 Dipendenti 5.130 33,1TOTALE 12.490 30,0

Fonte: nostre elaborazioni su dati Uniocamere - Ministero del Lavoro. Sistema Informativo Excelsior 2003

Tabella 2.13ASSUNZIONI PREVISTE DALLE IMPRESE PER IL 2005 DI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI STABILI

E STAGIONALI PER PROVINCIAValori assoluti

Lavoratori “stabili” (valore massimo) Lavoratori stagionali

Massa Carrara 560 20Lucca 1.690 60Pistoia 570 80Firenze 3.880 170Livorno 990 70Pisa 1.070 100Arezzo 1.030 50Siena 1.040 140Grosseto 640 220Prato 1.000 10TOSCANA 12.490 910

Fonte: nostre elaborazioni su dati Uniocamere - Ministero del Lavoro. Sistema Informativo Excelsior 2003

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Quanto all’articolazione per settori (Tab. 2.14), i lavoratoriextracomunitari ricoprirebbero il 30,5% delle assunzioni del settore dei ser-vizi, il 29,3% delle assunzioni dell’industria e ben il 35,4% nelle costruzio-ni (pari a 1.620 unità). In particolare, nel 2005 sono previste 2.020 assunzionidi personale proveniente da paesi extracomunitari nel settore dei servizioperativi alle imprese e alle persone, 1.620 nel settore turistico e 1.210nella sanità e servizi sanitari privati. Per quanto riguarda l’industria, i lavo-ratori extracomunitari sono richiesti soprattutto dalle industrie del settoremoda (1.260 unità) e dalle industrie dei metalli (530 unità).

Tabella 2.14ASSUNZIONI PREVISTE NELL’ANNO 2005 DI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI PER SETTORE DI ATTIVITÀ. TOSCANA

Settore V.a. Composizione %

IndustriaIndustrie alimentari 190 4,0Industrie tessili, dell’abbigliamento e delle calzature 1.260 26,3Industrie del legno e del mobile 200 4,2Industrie della carta, della stampa ed editoria 140 2,9Altre industrie manifatturiere di prodotti per la casa 80 1,7Industrie delle macchine elettriche ed elettroniche 190 4,0Industrie meccaniche e dei mezzi di trasporto 270 5,6Estrazione di minerali 20 0,4Industrie dei metalli 530 11,1Industrie dei minerali non metalliferi 160 3,3Industrie petrolifere e chimiche 40 0,8Industrie delle materie plastiche e della gomma 90 1,9Produzione di energia, gas e acqua 0 0,0Costruzioni 1.620 33,8TOTALE 4.790 100,0

ServiziCommercio al dettaglio 660 8,6Commercio e riparazione di autoveicoli e motocicli 190 2,5Commercio all’ingrosso 410 5,3Alberghi, ristoranti e servizi turistici 1.620 21,0Informatica e telecomunicazioni 110 1,4Servizi avanzati 110 1,4Trasporti e attività postali 490 6,4Credito e assicurazioni 90 1,2Servizi operativi 2.020 26,2Istruzione e servizi formativi privati 70 0,9Sanità e servizi sanitari privati 1.210 15,7Altri servizi alle persone 670 8,7Studi professionali 50 0,6TOTALE 7.700 100,0

Fonte: nostre elaborazioni su dati Uniocamere - Ministero del Lavoro. Sistema Informativo Excelsior 2005

2.4La regolarizzazione degli immigrati in Toscana: prime note sugli effetti nelmercato del lavoro

Per valutare appieno i numeri, mai così ingenti in un provvedimento disanatoria in Italia, della regolarizzazione del 2002 non è sufficiente fareriferimento esclusivamente all’opportunità data agli stranieri irregolarmen-

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te soggiornanti in Italia di legalizzare la propria permanenza, ma vannoconsiderati, secondo Zucchetti tra gli altri, i cambiamenti nel frattempo in-tervenuti nel mercato del lavoro italiano, i quali hanno senz’altro favoritol’incontro tra la domanda di emersione posta dai migranti e le esigenzedella società italiana nelle sue dimensioni non solo lavorative ma anche,com’è accaduto nel caso della sanatoria per assistenza e per lavoro dome-stico, di tipo marcatamente sociale.

L’utilizzo del canale di regolarizzazione per attività domestiche e di as-sistenza per oltre il 40% del complesso delle domande appare infatti instretta correlazione con la domanda pressante proveniente dalle famiglieitaliane in profonda trasformazione nei propri ruoli interni in particolaredella donna, col progressivo invecchiamento della struttura per età dellapopolazione italiana, infine con la conclamata carenza e inadeguatezza deiservizi di welfare state alle famiglie, che privilegia i trasferimenti prevalen-temente monetari in luogo dei servizi. Sono tutti elementi che evocano, unavolta di più, le determinanti sociali dell’andamento occupazionale rilevabilesul mercato del lavoro (Reyneri, 1996).

In un contesto come quello italiano, inoltre, in cui domanda e offerta dilavoro si incontrano grazie a canali per lo più informali, e dove la regolazionepubblica appare inefficiente e scarsamente trasparente, viene a confermarsianche un altro meccanismo all’opera nel mediare tra presenza straniera e offer-ta di lavoro: il ruolo svolto dalle reti etniche, che facendo circolare informazio-ni e opportunità occupazionali tra i suoi membri, fa sì che l’inserimento lavora-tivo di un lavoratore immigrato risulti più agevole in quei settori dove sono giàoccupati, con esiti riconosciuti di apprezzamento, dei connazionali. D’altra parte,gli stessi network etnici rischiano, mentre consentono un rapido inserimentolavorativo, di accentuare per le medesime ragioni i processi di segregazioneprofessionale di larghi strati della popolazione immigrata, rischio cui sono espo-ste in misura ancora maggiore proprio le donne migranti, sostanzialmente pri-ve di alternative all’inserimento nel campo delle collaborazioni domestiche29,come è anche dimostrato dalle istanze presentate in questa sanatoria.

Tra gli uomini, com’era logico attendersi, è invece predominante la pre-senza nelle domande per lavoro subordinato, nonostante una componentenon irrilevante -in tutta probabilità con numeri parzialmente falsati da irre-golarità di vario genere- sia rintracciabile anche tra le richieste per assisten-za domestica e di cura30.

I settori di inserimento rimangono quelli già noti dell’edilizia, dell’in-dustria e del basso terziario. Nello specifico, per la fascia maschile deiregolarizzati appare maggiore l’emersione di quei lavoratori impiegati nel-le attività manifatturiere (aree distrettuali o di piccola e media impresa),nelle costruzioni, nelle confezioni (cittadini cinesi) e attività agricole (ilche spiega almeno in parte la forte propensione all’emersione in contesti

29 Ciò detto, dalle domande per la regolarizzazione del 2002 emerge anche una discreta presenza delledonne anche nella sanatoria per lavoro subordinato (rumene, cinesi e ucraine).30 Se per cinesi e senegalesi si dimostrasse l’inserimento in questi settori, si tratterebbe di un datoassolutamente nuovo. Più probabile l’assunzione da parte di connazionali allo scopo di legalizzare lapresenza in Italia di parenti o conoscenti privi di altre opportunità di regolarizzazione. Al contrario, peraltri gruppi nazionali, è attestato l’inserimento anche pre-regolarizzazione nei settori ed attività tipica-mente femminili: si tratta di singalesi, filippini, bengalesi.

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come il grossetano e la provincia di Livorno).Per le donne, la prima mansione è ancora come operaie, seguita dalle

confezioni tessili (appannaggio delle donne cinesi, con il totale regionaleche sfiora la metà complessiva delle donne inserite in questo settore a livel-lo nazionale), quindi come addette alla ristorazione o alle pulizie, nel ter-ziario più dequalificato.

Anche in questo caso, come per il lavoro domestico o di cura, gli spaziper l’inserimento lavorativo specialmente della manodopera maschile nellavoro subordinato vengono a crearsi per trasformazioni nei modelli pro-duttivi, con i fenomeni di esasperata segmentazione delle attività manifat-turiere, la parziale esternalizzazione di fasi di produzione meno complessee ad alta intensità di lavoro fuori dell’azienda, l’appalto ad altre impresedelle operazioni di stoccaggio e movimentazione delle merci, o delle puli-zie (in quest’ultimo caso, anche in attività non industriali), ma anche l’oc-cupazione interna alla fabbrica, sempre più disertata dalle generazioniautoctone. In edilizia, l’elevata stagionalità e la flessibilità nell’utilizzo del-la forza-lavoro è anch’esso un fattore che induce più che in passato all’uti-lizzo di lavoratori immigrati, solitamente più ricattabili, o comunque mag-giormente soggetti, a causa della loro endemica debolezza, ad essere coin-volti nelle fasce del lavoro più irregolari.

Altro fenomeno di grande interesse riguarda una quota di immigrati cheè stata regolarizzata da connazionali titolari d’impresa. A livello nazionale,si tratta di circa 75mila persone, di cui 9mila nel settore domestico. Per illavoro subordinato, il gruppo nazionale che maggiormente ha utilizzatoquesto canale è quello cinese, la cui strategia migratoria include e si struttu-ra come detto nell’imprenditorialità o nel lavoro dipendente presso aziendegestite da connazionali (23mila istanze di regolarizzazione).

In Toscana, tra le circa 51mila domande di regolarizzazione presentate(Tab. 2.15), si nota una prevalenza di quelle relative al lavoro presso leaziende (56,4%) rispetto a quelle provenienti dalle famiglie (43,6%). Glisquilibri provinciali maggiori tra domande per regolarizzare lavoratori inazienda e quelle presentate dalle famiglie emergono nel pratese dove benl’84% delle richieste viene da aziende, nella provincia fiorentina dove laquota è del 58%, e a Grosseto che presenta una maggiore richiesta di lavo-ratori presso le famiglie (63,2%).

Tabella 2.15DOMANDE DI REGOLARIZZAZIONE PER PRINCIPALI MANSIONI NEL LAVORO SUBORDINATO PER SESSO.

TOSCANA E ITALIA

MaschiTOSCANA Operai Muratori, manovali Confezioni tessili Operai in agricoltura

(10.936) (6.795) (2.769) (1.241)ITALIA Operai Muratori, manovali Operatori in agricoltura Magazzinaggio e custodia

(153.630) (72.699) (22.914) (15.065)

FemmineTOSCANA Operaie Confezioni tessili Addette alla ristorazione Pulizie

(2.133) (1.755) (589) (293)ITALIA Operaie Addette alla ristorazione Pulizie Confezioni tessili

(15.015) (8.049) (6.163) (4.768)Fonte: Zucchetti (2004)

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Quali sono gli effetti che la regolarizzazione potrà produrre in futuro neimercati locali del lavoro? L’immissione tra le forze di lavoro di un elevatocontingente di lavoratori immigrati può, di fronte all’attuale congiunturaeconomica negativa attraversata dalle crisi strutturali di alcuni compartimanifatturieri, fare sorgere qualche timore per l’equilibrio tra domanda eofferta di lavoro immigrato.

In altre aree del paese il problema della disoccupazione degli stranierisembra ormai affacciarsi sullo scenario. In base ad una ricerca condotta nelveneziano, una quota importante (all’incirca il 10%) di lavoratori per i qua-li era stata richiesta la regolarizzazione era senza lavoro già al momentodella firma del contratto di soggiorno e il 48% riguardava lavoratori la cuiregolarizzazione era stata richiesta dalle aziende. Inoltre, secondo i dati diVeneto Lavoro (archivi Netlabor) “tra i lavoratori regolarizzati dalle azien-de circa il 60% alla fine del 2003 aveva concluso o interrotto il rapporto dilavoro “originario” ed era quindi presente nel mercato del lavoro in altraposizione lavorativa o come disoccupato” (Anastasia, Bragato, Rasera,2004). Pur mancando ricerche specifiche per la Toscana, è ragionevole sup-porre che anche nella nostra regione si presenteranno alcuni problemi lega-ti alla disoccupazione immigrata. Quello che si pone è un problema di fun-zionamento (e corretta regolazione) del mercato del lavoro, nelle sue com-ponenti di incontro tra domanda e offerta, empowerment delle fasce dellapopolazione immigrata meno occupabili e coinvolte in traiettorie di disoc-cupazione (e quindi potenzialmente a rischio di ricaduta nello stato di ille-galità31), di esigenza di manodopera delle imprese e delle famiglie italiane,di politiche di contrasto al sommerso, ma anche di stabilità occupazionale,mai così importante per i migranti dopo che con l’approvazione dellaL. 189/2002 la durata dei permessi di soggiorno concessi è strettamentecollegata al contratto di lavoro, in un mercato che vede crescere le forme diimpiego più flessibili e temporanee32, con immediate ricadute sui titoli perla permanenza in Italia, ma anche su altri aspetti come la possibilità di sti-pulare un regolare contratto di affitto (che più difficilmente saranno con-cessi a immigrati con permessi della durata di sei mesi, se non al prezzo diprevedibili speculazioni sui costi) o quella di effettuare ricongiungimentifamiliari. Come per i lavoratori italiani, inoltre, percorsi occupazionali fram-mentati favoriscono la vulnerabilità e il rischio di disoccupazione dei sog-getti che ne sono protagonisti.

Un esempio di possibile intervento virtuoso del pubblico è quello chepotrebbe essere sperimentato nella regolazione dell’incontro domanda-of-ferta del settore domestico, dove si ha a che fare con due parti entrambedeboli: da un lato le famiglie italiane che richiedono un sostegno soprattut-to di care-giving hanno risorse limitate, sia in termini economici che dicapacità di disbrigo delle pratiche burocratiche per l’assunzione dei colla-boratori, o più spesso collaboratrici, dall’altro lato le donne immigrate cheprestano il proprio lavoro in situazione di convivenza continuata e conti-

31 In caso di perdita dell’occupazione, la legge prevede la possibilità del rilascio di un permesso perricerca di lavoro della durata dei sei mesi.32 Secondo Reyneri, la presenza di lavoratori immigrati tra gli interinali è attorno al 20% del totale deglioccupati con questa tipologia contrattuale (Reyneri, 2005) dei cambiamenti in corso e della necessità diadattamento, credo che debba anche per noi rappresentare un esempio di notevole interesse.

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nuativa e che sono esposte ad un aggravio di stress, e tendono di contro amonetizzare i frutti della loro permanenza in Italia, per tornare il più velo-cemente possibile in patria. In date condizioni, questa duplice debolezzaalimenta l’area dell’instabilità lavorativa, ed anche della sua irregolarità(Ambrosini, 2005), i cui effetti negativi potrebbero però essere neutralizza-ti almeno in parte garantendo il rafforzamento delle competenze dell’offer-ta di lavoro mediante idonee iniziative di formazione, con la creazione distrumenti in grado di consentire una conciliazione tra tempo di lavoro etempo di vita per le donne migranti, e con forme di incentivi fiscali al finedi riallineare l’onere economico a carico delle famiglie alla loro effettivacapacità di spesa. Tutto ciò, a patto di aver chiaro che è in essere un feno-meno di reale segregazione professionale, ed anche sociale, delle immigra-te, e che la stessa formazione professionale per l’assistenza è talvolta lettadalle stesse come il preludio ad una definitiva rinuncia della propriaprogettualità biografica da parte di donne che, non va dimenticato, sono inpossesso di titoli di studio e esperienze professionali mediamente elevate.

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3.IL FENOMENO INFORTUNISTICO DEI LAVORATORI STRANIERI

3.1Introduzione

L’aumento della presenza straniera in Toscana e il suo crescente inseri-mento nel mercato del lavoro hanno determinato una maggiore attenzionealle condizioni lavorative ed in particolare agli aspetti di salute e sicurezzaincontrate dai lavoratori immigrati, che ormai rappresentano una percen-tuale rilevante degli occupati totali. Già dal 2000 l’Inail ha posto sottoosservazione il fenomeno, dedicando nell’ultimo rapporto annuale un ca-pitolo alla situazione degli extracomunitari. Altro riferimento importante èla ricerca condotta dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale e dal gruppodi lavoro del “Dossier Statistico Immigrazione”, che da alcuni anni dedicauna parte della pubblicazione al rischio infortunistico dei lavoratoriextracomunitari. Le due fonti appena citate, rapporto Inail e Dossier CaritasMigrantes, insieme alla Banca dati Inail33, vengono utilizzate in questa oc-casione per inquadrare la problematica a livello nazionale. L’approfondi-mento del tema in ambito regionale e locale, oltre al Rapporto AnnualeRegionale 2003 Inail, utilizza le informazioni, disponibili solo per gli anni2000 e 2001, fornite dal data base previsto dal protocollo d’intesa Inail,Ispesl e Regioni denominato “ Nuovi flussi informativi per la prevenzionedei luoghi di lavoro”34.

Quest’ultima fonte ha messo a disposizione dati relativi ad eventiinfortunistici definiti ed indennizzati. I rapporti Inail e Caritas utilizzanoprincipalmente dati relativi agli infortuni denunciati.

L’analisi del rischio sul lavoro corso da persone straniere sconta alcunedifficoltà legate alla reperibilità di informazioni certe. La principale fontedi dati è infatti l’archivio Inail che individua gli infortunati in base al luogodi nascita, identificato tramite il codice fiscale. Ciò comporta -come rile-vato per altre fonti di natura amministrativa- l’impossibilità di individuarecon esattezza chi è immigrato da chi in realtà è un cittadino italiano nato inun paese estero. In questo caso una casistica numericamente consistente èrappresentata dai figli di migranti italiani rientrati dai paesi meta delle on-date migratorie, di cui sono stati protagonisti in passato molti connaziona-

33 Si fa riferimento alla Banca dati Inail disponibile sul sito www.inail.it, che mette a disposizione datirelativi alle aziende, agli infortuni denunciati, a quelli definiti ed indennizzati ed agli indici di rischiodal 1999 al 2003.34 Nel testo i “Nuovi flusssi informativi per la prevenzione dei luoghi di lavoro” possono comparireindicati semplicemente con il termine “flussi”. Nelle tabelle la fonte è citata come Inail Epinfo.

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li. A questi vanno aggiunti i cittadini italiani naturalizzati, anche se questofenomeno è molto più contenuto rispetto al precedente35.

3.2Gli infortuni dei lavoratori stranieri in Italia

L’osservazione dei dati infortunistici relativi ai lavoratori stranieri evidenzianegli ultimi anni una sensibile crescita del fenomeno, quantificabile in unaumento del 41% del numero di denunce di incidenti sul lavoro, che arriva-no a rappresentare nel 2003 oltre il 12% del totale nazionale. Più del 90%dei casi vede coinvolti lavoratori nati in paesi non appartenenti all’UE, lecui denunce, nel triennio considerato, aumentano del 45%, con un peso sultotale generale che passa dal 7,4% (2001) ad oltre l’11% (2003) (Tab. 3.1).

35 È stimato in circa 10.000 casi contro i 50.000 figli di emigranti (indicazioni del “Dossier StatisticoImmigrazione 2003”). Nel testo quando si fa riferimento a stranieri, comunitari ed extracomunitari, siintendono persone nate rispettivamente in paesi diversi dall’Italia, in paesi appartenenti all’UE e inpaesi extra UE.

Tabella 3.1INFORTUNI DENUNCIATI ALL’INAIL SECONDO LA PROVENIENZA. ITALIA. 2001-2003

Area geografica 2001 2002 2003 Var %V.a. % V.a. % V.a. % 2001-2003

ITALIA 918.947 91,79 866.845 89,52 836.492 87,80 -8,97TOTALE STRANIERI 82.244 8,21 101.492 10,48 116.282 12,20 41,39 di cui Paesi UE 8.466 0,85 9.478 0,98 9.352 0,98 10,46 di cui Paesi extra UE 73.778 7,37 92.014 9,50 106.930 11,22 44,93TOTALE 1.001.191 100,00 968.337 100,00 952.774 100,00 -4,83

Fonte: Rapporto Annuale Inail 2003

Tabella 3.2INFORTUNI MORTALI DENUNCIATI ALL’INAIL SECONDO LA PROVENIENZA. ITALIA. 2001-2003

Area geografica 2001 2002 2003 Var %V.a. % V.a. % V.a. % 2001-2003

ITALIA 1.393 91,0 1.324 90,9 1.213 87,7 -12,9TOTALE STRANIERI 138 9,0 133 9,1 170 12,3 23,2 di cui Paesi UE 17 1,1 13 0,9 13 0,9 -23,5 di cui Paesi extra UE 121 7,9 120 8,2 157 11,4 29,8TOTALE 1.531 100,0 1.457 100,0 1.383 100,0 -9,7

Fonte: Rapporto Annuale Inail 2003

Gli incidenti mortali che vedono vittime extracomunitari crescono del30%, arrivando nel 2003 a 157 casi, l’11,4% di quelli accaduti in Italia(erano il 7,9% nel 2001) contrariamente alla flessione generale che si regi-stra in questo triennio (-10%) (Tab. 3.2).

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Nonostante i problemi che si pongono nell’individuare il numero di la-voratori stranieri con cui confrontare il totale di eventi lesivi36, alcune stimedel rischio corso dai lavoratori stranieri risultano comunque più alte deivalori mediamente riscontrati: l’incidenza infortunistica indicata dall’Inailnel Rapporto Annuale 2003 è di circa 57 casi per 1000 occupati a fronte diun valore generale di poco superiore a 44. Una valutazione è stata elaborataanche nella ricerca svolta dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale edall’equipe del “Dossier Statistico Immigrazione 2004” della Caritas, cheha ricavato il numero di occupati stranieri aggiungendo al numero dei tito-lari di permesso di soggiorno per motivi di lavoro, il 30% dei soggiornantiper motivi di famiglia, valutando il fatto che molti di quest’ultimi lavoranoa loro volta37. Questo calcolo ha portato ad individuare un indice di inciden-za di 66,6 casi per 1000 occupati38. Nonostante la discrepanza, dunque,entrambe le valutazioni affermano la maggiore pericolosità incontrata da-gli stranieri durante l’attività lavorativa39.

Le attività in cui trovano impiego gli immigrati sono caratterizzate dacondizioni di rischio mediamente alte, perché, rispetto a quelle degli altrilavoratori, sono spesso contraddistinte da situazioni di bassa tutela contrat-tuale, con carattere di forte flessibilità, nonché di stagionalità (soprattuttoin alcuni settori produttivi come l’agricoltura e l’edilizia). Moltiextracomunitari svolgono inoltre lavori usuranti in ambiti dove è difficilereperire manodopera autoctona e dove le condizioni ambientali sono piùcritiche.

Ulteriori problemi sono connessi con la condizione stessa di immigratoche determina, nella fase di inserimento, difficoltà di comunicazione lin-guistica, di apprendimento, di integrazione in contesti produttivi e culturalisconosciuti. Al di là del contesto lavorativo specifico, sugli infortuni posso-no influire le condizioni personali di vita quotidiana affrontate dai lavorato-ri, soprattutto nel periodo immediatamente successivo all’arrivo nel paeseospitante, quando la situazione di disagio è maggiore. L’Inail40 sottolineache il rischio di infortunio mortale, corso dai nati all’estero durante il primoanno di permanenza, è più elevato rispetto a quello degli anni successivi.

Nel 2003, tra i paesi extra UE, è il Marocco quello i cui cittadini risulta-no più soggetti ad infortuni con più di 21.000 denunce (il 20,5%), seguitocon circa 14.000 eventi dannosi dall’Albania (13%), che però ha il negativoprimato dei casi mortali. Queste due nazionalità, insieme a quella romena,rappresentano quasi la metà degli infortuni totali (e mortali) avvenuti tra ilavoratori extracomunitari (Tab. 3.3) Anche l’Inail sottolinea lo scarso nu-mero di infortuni denunciati da cinesi e filippini, due nazionalità inveceben rappresentate nel nostro paese, che implica, tra i vari fattori esplicativi,un problema di scarsa emersione degli incidenti sul lavoro. Il Dossier Stati-

36 La Banca dati dei flussi fornisce il luogo di nascita degli infortunati ma non degli addetti.37 Per i criteri di scelta del valore di stima vedi Caritas Migrantes (2004).39 Indicato nel rapporto in termini percentuali viene qui riportato per mille.39 Bisogna inoltre considerare che gli infortuni degli immigrati emergono più difficilmente perché sonospesso impiegati in maniera irregolare, o perché vivono situazioni lavorative dove è facile che venganoesercitate pressioni affinché non venga denunciato l’incidente.40 Cfr. a questo proposito il Rapporto Annuale Regionale Toscana 2003 pag. 76. In generale, sulle causedei rischi incontrati dagli immigrati, si vedano anche Baldasseroni, Carnevale (1999), Dossier CaritasMigrantes (2003), Rapporto Annuale Inail (2003), Giovani (2000).

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stico Immigrazione evidenzia, invece, come in agricoltura, dove sono statidenunciati il 6,5% dei casi, siano presenti oltre ai paesi già citati, ancheIndia, Tunisia, Macedonia e Jugoslavia, sottolineando l’apporto che gliimmigrati di queste nazioni danno al settore.

Per quanto riguarda la composizione settoriale, il maggior numero diincidenti avviene nell’industria, in particolare nelle costruzioni (25,5%) enelle attività manifatturiere (23,6%) -soprattutto nella lavorazione dei me-talli-, seguite dal commercio/pubblici esercizi, dai trasporti e dall’agricol-tura (Rapporto Annuale 2003 Inail). Nell’industria l’incidenza negli eventilesivi degli immigrati extracomunitari è più rilevante che non per la genera-lità dei lavoratori (58,4% contro il 47,7%), rispetto a quanto avviene invecenei servizi (35,3% contro il 44,8%) e nell’agricoltura (6,2% contro il 7,5%)(Caritas/Migrantes, 200341).

Da un punto rivista territoriale, quasi il 60% degli infortuni (sia di quellitotali che di quelli mortali) accade in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna,le principali sedi di residenza e di occupazione degli immigrati. I valoriassoluti delle denunce indicati dall’Inail sono per tutte e tre superiori a 20.000con una leggera prevalenza nella prima regione indicata. Seguono, con unnumero di casi circa tre volte inferiore, il Piemonte e la Toscana, quindi leMarche. Nel solo Nord Est si registra quasi la metà degli incidenti sul lavo-ro di extracomunitari (46,5%), che diventa il 78% circa considerando an-che il Nord Ovest.

Il Dossier Caritas Migrantes effettua una comparazione del rischio an-che su base territoriale, rilevando quanti infortuni sul totale sono stati subitida extracomunitari nel 2003. In Italia 1 infortunio ogni 9 capita ad un immi-grato, valore che sale nel Nord Ovest (1 ogni 8) e ancor più nel Nord Est

Tabella 3.3INFORTUNI DENUNCIATI TOTALI E CASI MORTALI PER PAESE DI NASCITA. ITALIA. 2003

Infortuni Casi mortaliPaese di nascita N. casi denunciati % Paese di nascita N. casi denunciati %

Marocco 21.934 20,5 Albania 32 20,5Albania 13.916 13,0 Romania 22 14,9Romania 8.542 8,0 Marocco 19 12,1Tunisia 6.423 6,0 Jugoslavia 7 4,5Jugoslavia 5.323 5,0 Tunisia 7 4,5Senegal 4.633 4,3 Senegal 5 3,2Egitto 2.966 2,2 Bulgaria 4 2,5India 2.902 2,2 India 4 2,5Macedonia 2.180 2,0 Macedonia 4 2,5Argentina 2.156 2,0 Ucraina 4 2,5Pakistan 2.143 2,0 Argentina 3 1,9Bangladesh 2.056 1,9 Egitto 3 1,9Ghana 2.002 1,9 Perù 3 1,9Algeria 1.631 1,5 Bosnia Erzegovina 2 1,3Perù 1.497 1,4 Ghana 2 1,3Altri Paesi 27.824 26,1 Altri Paesi 36 22,9TOTALE 106.930 100,0 TOTALE 157 100,0

Fonte: Rapporto Annuale Inail 2003

41 I valori indicati nel Dossier si basano sulle denunce che riportano il nome del settore, escludendoquindi quelle che implicano una assenza dal lavoro non superiore a tre giorni, per cui non sussisteobbligo di denuncia da parte del datore di lavoro.

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(1 ogni 6). Scende invece al Centro (1 ogni 10), ma soprattutto al Sud (1ogni 32) e nelle isole (1 ogni 53). Anche l’indice di incidenza (infortunidenunciati da extracomunitari per mille occupati extracomunitari), calcola-to stimando la popolazione occupata immigrata, risulta molto diverso se-condo le regioni considerate. Se il valore a livello nazionale risulta pari a66,6 (infortuni per mille occupati), nel Nord Est praticamente si raddoppia,il Nord Ovest si avvicina alla media, mentre il Centro mostra un valor me-dio più contenuto (44)42. Sud ed isole confermano bassi livelli di frequenzainfortunistica anche relativamente agli stranieri (rispettivamente 24 e 18),tranne per Abruzzo e Molise, vicini al dato italiano. Un ultimo spunto offer-to dalla ricerca dell’I.I.M.S. (Caritas, 2003) consente di confrontare il di-verso livello di indennizzo corrisposto rispetto agli eventi denunciati dastranieri. Il tasso di accoglienza delle richieste effettuate da immigrati risul-ta inferiore dell’1,2% rispetto al valore generale (63,6% contro il 64,8%).Quest’ultimo dato, pur nella sua provvisorietà (è calcolato in riferimento aicasi definiti a fine aprile 2004) è da tener presente anche ai fini della suc-cessiva analisi svolta a livello locale, dove i dati a disposizione sono relati-vi agli infortuni definiti ed indennizzati.

3.3Gli infortuni dei lavoratori stranieri in Toscana

In ambito nazionale la Toscana si colloca nella fascia intermedia per quantoriguarda il livello di rischio corso dai lavoratori extracomunitari, per i qua-li, facendo riferimento al Rapporto Inail Regionale 2003, si rileva che gliinfortuni rappresentano il 10% di quelli complessivamente denunciati inregione, valore leggermente inferiore a quello nazionale (11%). Come av-viene anche in Italia, il peso relativo nell’ultimo triennio è indicato in au-mento: dal 6% del 2001 si è passati all’8% del 2002 fino ad arrivare appun-to al 10% del 2003, a fronte di una forza lavoro che in quest’ultimo anno harappresentato il 5% del totale regionale.

Nel 2003 in Toscana il numero complessivo degli eventi lesivi denun-ciati da immigrati arriva a quasi 8000 (il 7% di casi accaduti a stranieri inItalia) con un incremento del 56% dal 2001. La maggior parte accade nel-l’industria e nei servizi, poco meno del 10% in agricoltura43 (Tab. 3.4).

I dati provenienti dai flussi, riferiti agli infortuni definiti ed indennizza-ti44 nell’industria e servizi nel 2000 e 2001, permettono di vedere il livelloassoluto di eventi e quello relativizzato al totale degli addetti nelle varieprovince toscane45.

Anche questa fonte evidenzia una crescita del numero di infortuni totalisubiti da lavoratori nati all’estero nei 2 anni osservati. La mappa infortunistica42 All’interno delle varie aree emergono sensibili differenziazioni a livello regionale (cfr. Caritas Migrantes,2003).43 In Toscana, in ambito infortunistico, il peso dell’agricoltura per quanto riguarda gli stranieri sul totaleè maggiore della situazione che si verifica a livello generale, in cui gli eventi lesivi denunciati nelcomparto agricolo è il 7% circa del totale (10% invece per gli stranieri).44 I dati dei rapporti Inail e Dossier Caritas fanno riferimento a infortuni denunciati.45 I dati dei flussi in questo caso sono aggregati rispetto a lavoratori comunitari ed extracomunitari. Nonviene fornito il dato relativo agli addetti agricoli.

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Tabella 3.5INFORTUNI DEFINITI ED INDENNIZZATI A STRANIERI. TOSCANA. 2000-2001

Infort. industria % su tot. Industria Infort. % su tot Infortuni % su totservizi servizi agricoltura agricoltura totali

Anno 2000Firenze 1.116 32,78 61 13,83 1177 30,61Arezzo 411 12,07 73 16,55 484 12,59Pisa 337 9,90 38 8,62 363 9,44Lucca 325 9,55 20 4,54 357 9,28Prato 322 9,46 2 0,45 324 8,43Siena 273 8,02 77 17,46 339 8,82Pistoia 262 7,70 51 11,56 324 8,43Livorno 213 6,26 34 7,71 247 6,42Massa Carrara 100 2,94 3 0,68 103 2,68Grosseto 45 1,32 82 18,59 127 3,30TOSCANA 3.404 100,00 441 100,0 3845 100,00

Anno 2001Firenze 1.198 30,58 66 15,28 1264 29,06Arezzo 493 12,59 57 13,19 550 12,65Lucca 414 10,57 18 4,17 411 9,45Pisa 393 10,03 22 5,09 436 10,03Prato 362 9,24 0 0,00 362 8,32Pistoia 346 8,83 64 14,81 381 8,76Siena 317 8,09 96 22,22 442 10,16Livorno 197 5,03 20 4,63 217 4,99Massa Carrara 116 2,96 8 1,85 124 2,85Grosseto 81 2,07 81 18,75 162 3,72TOSCANA 3.917 100,00 432 100,0 4349 100,00

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

Tabella 3.4INFORTUNI DENUNCIATI DA STRANIERI PER SETTORE. TOSCANA. 2001-2003

Provincia Agricoltura Industria e servizi TOTALE2001 2002 2003 2001 2002 2003 2001 2002 2003

Arezzo 60 89 113 551 662 782 611 751 895Firenze 69 58 113 1409 1784 2045 1478 1842 2158Grosseto 80 72 132 80 129 211 160 201 343Livorno 23 47 42 225 266 426 248 313 468Lucca 15 20 29 491 658 815 506 678 844Massa 5 4 7 121 215 271 126 219 278Pisa 24 32 42 460 547 707 484 579 749Pistoia 74 88 97 353 478 554 427 566 651Prato 0 2 9 461 500 582 461 502 591Siena 99 126 146 421 585 704 520 721 850TOSCANA 449 548 730 4.572 5.824 7.097 5.021 6.372 7.827ITALIA 3.463 4.133 4.949 70.315 87.881 10.1981 73.778 92.014 106.930

Fonte: Rapporto regionale Inail 2003

regionale relativa agli stranieri registra a Firenze il maggior numero di casied un peso intorno al 30% del totale regionale (Tab. 3.5), seguita da Arezzo(12,6%), le due province toscane con il più alto numero di soggiornantistranieri della regione46. Pisa nel 2001 supera Lucca ma per entrambe il

46 Vedi Capitolo 1.

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peso relativo scende sotto il 10%. Grosseto, Massa Carrara e Livorno sonoquelle dove si verificano meno incidenti. Quest’ultima è l’unica dove si èregistrato un calo del numero assoluto di casi dal 2000 al 2001 (-7,5%),mentre Grosseto è quella con il massimo incremento (+80%).

Le conseguenze degli incidenti sembrano migliorare nei due anni conside-rati: se i casi mortali diminuiscono da 9 a 6, quelli di invalidità permanente,indipendentemente dal grado di questa, si riducono (-8 in valore assoluto),anche se aumentano la loro rilevanza sul totale (da 5,6% a 6,2%) (Tab. 3.6).

47 Con l’aggettivo generale si fa riferimento al fatto che si considera il valore dell’indice complessivosenza distinguere gli infortunati tra italiani e stranieri48 L’archivio dei flussi non fornisce le informazioni disaggregate per nazionalità relative agli addetti e, perl’agricoltura, non produce il dato degli addetti in generale, non rendendo possibile il calcolo dell’indice diincidenza relativo agli stranieri (infortunati stranieri per mille addetti stranieri) né quello generale calcola-to per industria servizi e agricoltura.49 Il peso relativo degli infortunati stranieri sul totale (6%), relativo al 2001, indicato all’inizio di questoparagrafo, è relativo agli eventi denunciati dai soli lavoratori extracomunitari.

Tabella 3.6IINFORTUNI DEFINITI E INDENNIZZATI A STRANIERI PER TIPO DI CONSEGUENZE (INVALIDITÀ TEMPORANEA,

PERMANENTE, MORTE). TOSCANA. 2000-2001

Provincia 2000 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Massa Carrara 98 5 0 103 122 2 0 124Lucca 342 13 2 357 400 11 0 411Pistoia 317 7 0 324 375 6 0 381Firenze 1.142 31 4 1.177 1.221 43 0 1.264Livorno 238 8 1 247 212 4 1 217Pisa 340 23 0 363 420 14 2 436Arezzo 463 21 0 484 528 19 2 550Siena 327 10 2 339 430 12 0 442Grosseto 120 7 0 127 154 7 1 162Prato 312 12 0 324 351 11 0 362TOSCANA 3.699 137 9 3.845 4.213 129 6 4.349

Fonte: Inail Epinfo

Alla diminuzione del numero complessivo di infortuni corrisponde, dun-que, un aumento dei casi che interessano gli stranieri, aspetto che si rifletteanche nell’indice di incidenza generale47, calcolato rispetto agli addetti com-plessivi dell’industria e servizi48. Per queste attività, la Tabella 3.7 mette aconfronto, per ogni provincia, l’indice di incidenza generale (infortunatisenza distinzione per luogo di nascita per mille addetti -indicati nel DBInail Epinfo-, colonne B e C) con la parte “spiegata” dagli stranieri (infor-tunati nati all’estero per mille addetti, colonne D e E) e con il peso relativodegli infortuni accaduti agli stranieri sul totale degli infortuni definiti edindennizzati (colonne F e G).

In Toscana nel 2001 si sono verificati 44 infortuni per 1000 addetti, di que-sti 3,44 hanno riguardato persone nate all’estero, incidendo per il 7,8%49 sugliinfortuni complessivamente accaduti. L’anno precedente l’incidenza comples-siva risultava di quasi 4 punti più alta, mentre quella relativa agli stranieri leg-germente inferiore, 3,19, per un peso relativo di quest’ultimi del (6,7%).

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Nelle province generalmente più rischiose, Livorno e Massa, solo circa2 infortuni ogni mille addetti riguardano un cittadino nato fuori d’Italia(colonne D ed E) con un valore degli eventi lesivi accaduti ed indennizzatiintorno al 4% (colonna F). Il dato è spiegabile innanzi tutto con la scarsapresenza di immigrati in questi due territori50.

Prato è la provincia in cui invece il “contributo” dei nati fuori Italia è piùelevato arrivando all’11% del totale e dove più di 4 infortuni (dei 37 com-plessivi) per mille addetti coinvolgono uno straniero. Un’incidenza ancorapiù elevata si riscontra nella provincia di Arezzo dove i casi risultano 4,95per mille addetti, anche se in questo caso rappresentano poco meno del10% del totale, essendo il livello di rischiosità complessivo della provinciapari a 50,6 per mille addetti. Anche a Pistoia l’indice supera nel 2001 il 4per mille.

Le informazioni fornite dalle colonne D, E, F, G sono influenzate dallamaggiore o minore presenza di nati all’estero tra gli occupati, non riuscen-do ad essere completamente esaustive del rischio infortunistico degli stra-nieri. Un ulteriore contributo alla valutazione può venire da una stima pro-dotta confrontando il livello di infortuni degli stranieri con il numero dilavoratori forniti dall’Inps51, il cui archivio conteggia tutti i soggettiextracomunitari coinvolti nel corso dell’anno in occupazioni più o menodurature. Poiché i dati Inps fanno riferimento a lavoratori extracomunitarisi valuta il rapporto rispetto agli infortunati nati nei paesi non appartenenti

50 Nel 2001 il numero di addetti extracomunitari sul totale è per le due province poco superiore al 3%51 Questa fonte conteggia, per ogni anno, sia i lavoratori extracomunitari “transitati”, sia quelli ancoraoccupati al 31/12. Ciò comporta che viene considerato allo stesso modo chi lavora per l’anno intero echi per un periodo anche molto breve una sovrastima del fenomeno occupazionale e conseguentementeuna sottostima dell’incidenza infortunistica straniera. D’altra parte il lavoro di molti stranieri, spesso,sfugge alle rilevazioni ufficiali, ma non è possibile in questa sede valutare un’eventuale compensazionetra la sovrastima dell’archivio INPS in termini di ore lavorate e il fenomeno del lavoro sommerso degliimmigrati.

Tabella 3.7INDICI DI INCIDENZA NELLE PROVINCE TOSCANE. 2000-2001

A B C D E F GIncidenza generale* Componente straniera Infor. stran./

sull’incidenza generale** tot. infor. (x100)2000 2001 2000 2001 2000 2001

Massa Carrara 57,75 54,50 2,17 2,29 3,76 4,20Lucca 56,27 50,62 3,15 3,48 5,59 6,88Pistoia 50,55 49,87 3,69 4,13 7,30 8,28Firenze 44,04 38,75 3,53 3,46 8,02 8,93Livorno 65,90 54,95 2,62 2,18 3,98 3,97Pisa 46,81 43,79 2,79 3,32 5,97 7,57Arezzo 52,64 50,57 4,24 4,95 8,06 9,79Siena 33,03 35,40 2,52 3,42 7,63 9,66Grosseto 42,53 43,17 1,02 1,74 2,40 4,03Prato 41,66 37,00 3,90 4,05 9,37 10,95TOSCANA 47,74 43,99 3,19 3,44 6,68 7,82

* n. infortuni total/ìtotale addettix1000; ** n. infortuni stranieri/totale addettix1000Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo,

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alla UE (ricavati indirettamente dal numero di infortunati stranieri com-plessivi52).

Osservando il peso relativo degli addetti extracomunitari sul totale ad-detti emerge che la forza lavoro immigrata, per quanto riguarda l’industriae i servizi, arriva a rappresentare il 5,4% del totale regionale, con un incre-mento dello 0,7% rispetto all’anno precedente. Il peso degli infortuni degliextracomunitari sul totale cresce in maniera più intensa passando dal 5,8 al6,9%. In tutte le province toscane53, pur con valori diversi, nel 2001 il pesodegli infortunati extracomunitari, eccetto nel caso di Prato, è maggiore o inlinea con il contributo della componente straniera all’occupazione. In parti-colare a Siena e Pistoia si rilevano divari netti tra i valori dei due indici(colonne C-F). In tutte le province, tranne Livorno, nel biennio gli stranieriaumentano sia la presenza occupazionale (colonne B-C) che il livelloinfortunistico (colonne E-F), ma l’incremento che si verifica nei “pesi”infortunistici dal 2000 al 2001, a parte i dati relativi a Livorno e MassaCarrara, è superiore a quello che si registra nei “pesi occupazionali” (con-fronto colonne D-G) (Tab. 3.8, Graff. 3.9-3.10)

Sempre utilizzando i dati Inps si produce una stima dell’incidenza rela-tiva agli immigrati, rapportando il numero di infortuni accorsi adextracomunitari rispetto al numero di contribuenti indicati dall’Inps (espressoper 1000 occupati54) (Tab. 3.11)

Tabella 3.8PESO OCCUPAZIONALE E INFORTUNISTICO DEI LAVORATORI STRANIERI. 2000-2001

A B C D (C-B) E F G (F-E)Provincia Peso addetti Variazione % infortuni di extracom. Variazione

extracomunitari su del peso su tot. infortuni peso infortunitotale addetti addetti nell’industria extracomun.

2000 2001 2000-2001 2000 2001 2000-2001

Arezzo 5,26 6,38 1,12 7,04 8,65 1,62Firenze 6,12 6,66 0,54 7,00 7,89 0,89Grosseto 2,52 3,59 1,07 2,10 3,57 1,47Livorno 2,71 3,07 0,35 3,47 3,51 0,04Lucca 3,3 3,92 0,63 4,88 6,08 1,20Massa Carrara 2,54 3,02 0,48 3,28 3,72 0,43Pisa 3,73 4,3 0,57 5,21 6,69 1,48Pistoia 3,68 4,09 0,41 6,37 7,32 0,94Prato 9,79 10,79 1,00 8,18 9,68 1,49Siena 3,33 4,67 1,34 6,66 8,54 1,87TOSCANA 4,73 5,43 0,70 5,83 6,91 1,09

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo, Inps

52 Non essendo disponibile per le singole province il dato esatto di infortunati nati all’estero distinti tracomunitari ed extracomunitari, si ipotizza che sia valida la percentuale presente complessivamentenella regione Toscana, per cui i comunitari rappresentano il 12,7% nel 2000 e l’11,6% nel 2001 deilavoratori infortunati nati fuori Italia.53 Tenendo sempre conto dell’approssimazione indicata nella nota precedente.54 In questo caso per “occupati” si intende, dunque, i lavoratori che hanno versato almeno un contributo.

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Grafico 3.9PESO OCCUPAZIONALE E INFORTUNISTICO DEI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI. 2000

Valori %

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo, Inps

0 2 4 6 8 10

Arezzo

Firenze

Grosseto

Livorno

Lucca

Massa Carrara

Pisa

Pistoia

Prato

Siena

TOSCANA

% addetti extracomunitari su totale addetti 2000 % infortuni di extracomunitari sul totali infortuni 2000

Grafico 3.10PESO OCCUPAZIONALE E INFORTUNISTICO DEI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI. 2001

Valori %

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo, Inps

0 2 4 6 8 10 12

Arezzo

Firenze

Grosseto

Livorno

Lucca

Massa Carrara

Pisa

Pistoia

Prato

Siena

TOSCANA

% addetti extracomunitari su totale addetti 2001 % infortuni di extracomunitari sul totale infortuni 2001

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Tabella 3.11INDICI DI INCIDENZA RELATIVI A INFORTUNI DI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI

2000 2001

Massa 75,9 70,9Lucca 86,3 80,3Pistoia 84,1 82,5Firenze 51,7 47,3Livorno 89,8 63,9Pisa 69,5 69,0Arezzo 73,8 68,6Siena 70,0 70,1Grosseto 59,0 56,2Prato 39,0 38,5TOSCANA 62,1 58,3

Indice di incidenza extracomunitari=Infortuni di extracomunitari per 1000 lavoratori extracomunitariFonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

55 Per il denominatore l’approssimazione deriva dalla struttura dei dati Inps che, come detto, tendono asovrastimare il numero di addetti annui, riducendo il valore dell’incidenza degli infortunati. Al numeratorel’approssimazione deriva dal fatto che i dati degli infortunati sono riferiti al luogo di nascita e il numerodegli infortunati extracomunitari nella provincia è stimato indirettamente dal valore toscano (vedi notaprecedente). L’utilità della presente stima non è quella di individuare un valore esatto dell’incidenza(difficilmente ottenibile con i dati a nostra disposizione), ma quantomeno verificare l’esistenza di unoscostamento dell’indice relativo agli infortunati immigrati rispetto alla situazione generale. I valoriottenuti a livello regionale non si differenziano molto da quelli elaborati dall’Inail e dal Dossier CaritasMigrantes, 2003.56 In quest’ultimo caso la variabilità da un anno all’altro è molto alta, con i valori relativi all’anno 2000ampiamente superiori a quello regionale.

Il risultato, pur scontando alcune approssimazioni55 e sottostimando il valo-re reale, fornisce valori più alti di quelli rilevati nei livelli generali di infortunio.L’indice riferito agli infortunati extracomunitari si attesta in ambito regionaleintorno a 60 infortuni per mille addetti (con una leggera flessione tra il 2000 eil 2001 -da 62,1 a 58,3-) e indica Lucca e Pistoia come le province più “perico-lose” da un punto di vista lavorativo per gli immigrati. A queste due fa seguitoun gruppo che nel 2001 presenta valori da 60 a 70 (Massa, Pisa, Arezzo, Sienae Livorno56). Prato è l’unica provincia, che pur mostrando nel 2001, un indiceinfortunistico superiore a quello generale, non evidenzia così marcatamente ladifferenza con il dato riferito ad italiani e stranieri nel complesso (Graff. 3.12-3.13).

Per quanto riguarda la provenienza, infine, la nazionalità maggiormenteinteressata da infortuni è quella albanese, che nel 2001 conta 1035 casi tra isuoi cittadini, con una crescita rispetto all’anno precedente del 18,4%, costi-tuendo il 24% circa di tutti gli eventi stranieri indennizzati e il 2% di tutti quelliavvenuti nella regione. Ai lavoratori del Marocco e a quelli del Senegal acca-dono rispettivamente il 16% e il 7,2% degli “incidenti stranieri” totali, regi-strando un sensibile aumento nel biennio (+10% e +15%). Tra le etnie piùcoinvolte, è quella romena che nei due anni di osservazione registra l’incre-mento più significativo nel numero di eventi indennizzati dall’Inail in Toscana,superando in valori assoluti i casi relativi ai lavoratori nati in Jugloslavia eSvizzera. In generale la componente extracomunitaria rappresenta quasi il 90%degli infortuni dei nati fuori Italia, con i nati nei paesi UE che riducono legger-mente la loro presenza (Tab. 3.14).

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Grafico 3.13CONFRONTO TRA L’INDICE DI INCIDENZA GENERALE E QUELLO STIMATO PER I LAVORATORI EXTRACOMUNITARI.

2001

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo, Inps

0 15 30 45 60 75 90

Massa Carrara

Lucca

Pistoia

Firenze

Livorno

Pisa

Arezzo

Siena

Grosseto

Prato

TOSCANA

Indice di incidenza generale 2001 Indice di incidenza lavoratori extracomunitari 2001

Grafico 3.12INDICE DI INCIDENZA INFORTUNISTICA DEI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo, Inps

0 20 40 60 80 100

Massa Carrara

Lucca

Pistoia

Firenze

Livorno

Pisa

Arezzo

Siena

Grosseto

Prato

TOSCANA

Indice di incidenza extracomunitari 2000 Indice di incidenza extracomunitari 2001

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Tabella 3.14INFORTUNI INDENNIZZATI NELL’INDUSTRIA, SERVIZI E AGRICOLTURA PER NAZIONALITÀ E TIPO DI CONSEGUENZA.

TOSCANA

Nazione 2000 Nazione 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Albania 839 33 2 874 Albania 1002 31 2 1035Marocco 539 20 2 561 Marocco 610 9 0 619Senegal 234 8 0 242 Senegal 271 7 0 278Svizzera 182 6 0 188 Romania 187 10 1 198Jugoslavia 165 7 1 173 Jugoslavia 189 7 0 196Romania 134 8 0 142 Svizzera 170 5 0 175Tunisia 137 3 0 140 Tunisia 169 5 0 174Pakistan 74 0 0 74 Pakistan 88 4 0 92Argentina 70 1 0 71 Macedonia 81 6 0 87Macedonia 64 4 0 68 Egitto 71 1 0 72Polonia 46 3 0 49 Argentina 60 7 0 67India 47 1 0 48 Peru 63 0 0 63Sri Lanka 46 0 0 46 Sri Lanka 54 1 0 55Egitto 42 1 0 43 Algeria 49 0 1 50Libia 40 2 0 42 India 47 1 0 48Algeria 33 4 0 37 Bangladesh 44 2 0 46Peru 35 1 0 36 Brasile 45 1 0 46Etiopia 34 1 0 35 Libia 42 0 0 42Bangladesh 33 1 0 34 Polonia 37 1 0 38Stati Uniti 32 2 0 34 Filippine 26 1 0 27Altri Paesi 404 13 3 420 Altri Paesi 422 11 2 435TOTALE EXTRACOM. 3.230 119 8 3.357 TOTALE EXTRACOM. 3.727 110 6 3.843Comunitari 469 18 1 488 Comunitari 484 19 1 504TOT. STRANIERI 3.699 137 9 3.845 TOT. STRANIERI 4.211 129 7 4.347Missing* 95 3 0 98 Missing* 179 2 2 183ITALIA 50.181 2.321 90 52.592 ITALIA 48.625 1.951 94 50.670TOTALE 53.975 2.461 99 56.535 TOTALE 53.015 2.082 103 55.200

* con Missing si fa riferimento agli infortunati di cui non è stato possibile individuare il luogo di nascita tramite il codice fiscale.Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

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Parte SecondaLE CONDIZIONI DI LAVORO DEGLI IMMIGRATI IN TRE DISTRETTI INDUSTRIALI:I RISULTATI DELL’INDAGINE

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4.IL CASO PRATO

4.1L’immigrazione straniera in provincia di Prato

• L’evoluzione socio-demograficaNel panorama regionale Prato è la seconda provincia per numerosità dei per-messi di soggiorno rilasciati (13% circa del totale regionale), dopo Firenze(33,5%) e prima di Arezzo e Pisa. La zona pratese è peraltro parte dell’areametropolitana Firenze-Prato-Pistoia ad alta capacità attrattiva, che complessi-vamente concentra oltre il 50% dei soggiornanti stranieri in Toscana.

Nello specifico, nel 2003 le autorizzazioni -stando ai dati del Ministerodell’Interno- risultano essere pari a 22.358, con un aumento in valore assolutodi 9.174 autorizzazioni (+70%). Nel considerare questo dato, vanno però con-siderati da un lato il peculiare andamento delle annualità 2002 e 2001, proba-bilmente entrambi sottodimensionati rispetto alla realtà effettiva dei soggior-nanti57, e dall’altro l’impatto della sanatoria, i cui beneficiari sono stimati aPrato nell’ordine di circa 6.000 persone58.

Il tasso di femminilizzazione vede le donne ben presenti nel complesso deisoggiornanti stranieri, e non lontane dalla parità numerica59. In generale, lacomponente femminile appare in crescita in tutti i gruppi, coerentemente conlo stabilizzarsi sul territorio e la tendenza alla “familiarizzazione dell’immigra-zione” (Tassinari, 2004).

Sempre guardando al livello regionale, Prato è invece prima per incidenzadella popolazione straniera sul totale della popolazione. Al 31/12/2003 la po-polazione straniera residente in provincia è pari a 15.585 persone, pari al 6,7%del totale provinciale: siamo ben oltre il dato toscano (4,6%).

È chiaro il contributo demografico apportato dalla presenza straniera, pro-dotto soprattutto dal saldo migratorio positivo, che compensa largamente un

57 I dati del Ministero relativi al 2001 e 2002, e quindi in parte anche quelli forniti dalla Caritas, risento-no secondo Marsden (2003) e altri, di gravi distorsioni, evidenti in particolare modo a Prato.58 Le domande presentate erano più di 7.000; il 18% delle pratiche non sono state accettate (il 5% perinammissibilità, irricevibilità o difetto dei requisiti, e il 13% per archiviazione a causa dell’interruzionedel rapporto di lavoro, ma in quest’ultimo caso valgono l’istituto del “subentro”, e quello del rilascio diun permesso di soggiorno per ricerca del lavoro). Secondo i dati forniti da alcune ricerche (Cellini,Raspanti, 2004) più della metà delle domande sono state presentate da cittadini cinesi.59 L’equilibrio tra i sessi nella popolazione straniera è, quanto al dato medio, una cifra sintetica che cela inrealtà situazioni diversificate secondo le singole comunità etniche; infatti, l’esame per genere dei diversigruppi nazionali mostra come a nazionalità sbilanciate in direzione della presenza maschile (Pakistan,Marocco, Senegal ad esempio) si affianchino migrazioni aventi prevalentemente per protagoniste le don-ne (America Centrale e Meridionale, o alcuni dei paesi dell’Europa dell’Est quali Romania, Ucraina ePolonia, ma anche i residenti delle comunità numericamente non minoritarie come le Filippine, l’India elo Sri Lanka, in cui la presenza femminile supera abbondantemente quella maschile).

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saldo naturale di recente tornato lievemente positivo, senza tuttavia che si siaverificata una significativa inversione di tendenza nel progressivo invecchia-mento della popolazione.

Alcune particolarità del contesto pratese sono relative allasovrarappresentazione della componente asiatica rispetto all’aggregato regio-nale, risultante dalla presenza della comunità filippina (con numeri comunquein linea rispetto agli altri contesti urbani) e soprattutto di quella cinese (che dasola costituisce con 5.124 presenze il 33% del totale dei residenti, dato in tuttaprobabilità sottostimato), pakistana (comunità che ha in questo territorio lapunta massima della sua presenza in Toscana) e del Bangladesh. In linea con ilresto del territorio regionale, invece, è la presenza di gruppi immigrati dall’Eu-ropa dell’Est, sebbene in crescita, come in tutta la Toscana a seguito dellaregolarizzazione del 2002. I gruppi nazionali più numerosi in provincia sonodunque la Cina, l’Albania, il Marocco, il Pakistan e la Romania.

La comunità cinese si caratterizza come immigrazione di tipo familiare,con l’obiettivo prioritario dell’inserimento nel tessuto produttivo locale me-diante l’avvio di attività imprenditoriali in un disegno di medio periodo al cuitermine vi è il raggiungimento dell’affermazione nella scala sociale (Colombi,2002). Date queste caratteristiche, non stupisce la maggior presenza di permes-si rilasciati per lavoro autonomo (anche nella componente femminile); il carat-tere familiare dell’esperienza migratoria è inoltre testimoniato dall’equilibriotra i sessi dei residenti in provincia. La tendenza alla stabilizzazione è evidentedalla forte presenza di minori (intorno al 25% dei residenti), nonostante appaiapiù alta che per altre nazionalità la mobilità interprovinciale - ed ancheinterregionale.

La componente albanese aumenta soprattutto a partire dal 1998 e le caratte-ristiche dell’insediamento a Prato riflettono quelle rilevate a livello regionale enazionale, a partire dalla prevalenza degli immigrati di sesso maschile, percontinuare con la più recente crescita dei membri femminili, che nonusufruiscono soltanto di permessi per ricongiungimento (tuttavia in prevalen-za), ma anche di permessi per lavoro subordinato.

Una comunità che tra le prime ha avviato percorsi di migrazione in Italia, eche fino al 2002 rappresentava anche la nazionalità più numerosa nel nostropaese è il Marocco, sebbene a Prato la presenza non denoti particolare rilevanzanumerica come accade altrove nella regione o nel paese. I migranti dal Maroc-co si sono inseriti soprattutto come lavoratori dipendenti nel tessile e in misuraminore nelle attività edili, fino ad arrivare -recentemente- ad intraprendere an-che alcune esperienze di lavoro autonomo (nelle costruzioni e nel commercio).Come a livello nazionale, inoltre, anche a Prato la composizione familiare vedeuna compresenza di individui giovani, maschi e celibi, affiancare l’insieme deiconiugati solo in parte ricongiunti alle proprie famiglie, tanto che i dati deipermessi e delle residenze anagrafiche mostrano una netta prevalenza -tuttaviain tendenziale riequilibrio- dei componenti di sesso maschile.

• La cittadinanza economicaL’economia pratese ha attraversato negli ultimi anni una difficile congiuntura,in particolare nel settore trainante del tessile-abbigliamento; ciò nonostante, ilterritorio sembra dimostrare di poter continuare ad attrarre (e ad impiegare)una certa quota di manodopera straniera, pur con notevoli rallentamenti. È

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sufficiente infatti considerare da questo punto di vista il dato relativo allaregolarizzazione, con poco meno di 6.000 domande per lavoro dipendente ac-colte60.

Dal punto di vista dello sviluppo locale, l’inserimento dei lavoratori stra-nieri nel mercato locale del lavoro implica una serie di riflessioni che attengo-no al rapporto tra immigrazione e riproduzione sociale del distretto (Valzania,2002). In un quadro locale profondamente mutato, dove i tradizionali meccani-smi familiari di trasmissione generazionale dei valori sembrano entrati in crisi,dove la stessa etica del lavoro appare di difficile prosecuzione nelle giovanigenerazioni, si pone la questione della riproduzione delle risorse umane, ele-mento centrale per il futuro del distretto, e della congruità di queste -come deifattori socio-culturali, e delle formule istituzionali in genere- rispetto alle esi-genze del processo produttivo localmente prevalente.

Marsden, interrogando direttamente gli archivi dell’Anagrafe Provincialedel Lavoro, registra 3.389 lavoratori migranti avviati al lavoro nel 2002 per untotale di 4.666 avviamenti (che dunque afferiscono a lavoratori che hanno avu-to più di un avviamento nel periodo di tempo considerato61; in particolare, sitratta di circa il 25% degli avviati di origine straniera, i quali peraltro in quasi lametà dei casi variano anche il settore di inserimento). Dai dati risulta evidenteanche la tendenza alla concentrazione, in una stessa azienda, di più di un immi-grato, spesso della medesima nazionalità62 -un fenomeno già ampiamente notoin letteratura e che viene spiegato facendo riferimento alle reti fiduciarie e allacosiddetta “discriminazione statistica”. Da un lato le reti etniche sono i princi-pali canali di circolazione delle informazioni sull’offerta di lavoro, dall’altrol’appartenenza ad una data comunità funge da filtro di selezione per l’impren-ditore che, in un contesto informativo asimmetrico, valuta l’aspirante lavorato-re in base alle capacità produttive già osservate nei suoi connazionali.

Oltre il tessile, dove trova impiego la quasi totalità dei lavoratori della Re-pubblica Popolare Cinese (i cinesi rappresentano un terzo degli avviamenti nelsettore, e in questo come nel caso delle confezioni si tratta di imprese di conna-zionali)63, gli altri settori in cui risulta rilevante la presenza di lavoratori stranie-

60 Sempre sulla regolarizzazione va sottolineato che, mentre a livello regionale vi è solo una leggeraprevalenza tra le richieste avanzate per la regolarizzazione “lavoro subordinato” rispetto a quelle perlavoro domestico/assistenza, a Prato il dato appare fortemente squilibrato: ben 84 richieste su 100 hannoriguardato la regolarizzazione per lavoro dipendente. Secondo Cellini e Raspanti (2004), il dato è in partespiegabile con il perdurare nel tempo della tenuta dei rapporti familiari, compresi quelli di cura, tra mem-bri dello stesso nucleo, nonché con la composizione per età della popolazione (ricordiamo che il contestopratese è quello meno interessato al processo di invecchiamento in corso in tutta la Toscana), di modo chepotrebbe risultare minore che in altri contesti l’offerta di lavoro domestico. Ma in realtà sembra difficilenegare anche l’importanza, nel distretto industriale per eccellenza, del fitto tessuto di imprese che hannofavorito un ingresso di massa nelle occupazioni tessili dei lavoratori immigrati. Perciò la peculiarità delterritorio pratese è spiegabile forse più con lo straordinario impiego di manodopera straniera nella mani-fattura che non con una ridotta offerta occupazionale nel lavoro domestico e di cura.61 Nella stessa ricerca si interpreta il dato in questione come indicatore di precarietà dell’inserimentooccupazionale, ipotizzando anche il collegamento con il diffondersi di nuove tipologie di impiego comequella del lavoro interinale.62 Marsden cita il caso di quelle aziende che occupano più di un lavoratore straniero, pari a circa il 40%delle ditte del settore, con circa il 25% di queste che contano una presenza superiore a tre, fino a casi incui i lavoratori sono anche superiori a dieci.63 In questo settore, inoltre, si registra anche la maggior presenza di lavoratrici, nella quasi totalitàancora di nazionalità cinese.

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ri sono le costruzioni e i servizi. Nell’edilizia si verifica un processo di forteconnotazione etnica del settore: il 62% degli occupati è infatti di origine albanese.Il tessile costituisce il principale bacino occupazionale anche per coloro cheprovengono dall’Albania, dal Marocco, dal Bangladesh e dal Pakistan. Nellecostruzioni, oltre alla già citata preponderanza degli albanesi, gli ultimi avvia-menti nel 2002 lasciano intravedere una tendenza alla penetrazione nel settoreanche da parte dei cittadini rumeni, che arrivano alla fine dell’anno a costituireil 7% della manodopera.

Nei servizi, l’inserimento lavorativo riguarda in gran parte le donne stranie-re, soprattutto nelle collaborazioni domestiche e nel lavoro di cura, che a Pratosembravano essere contenuti nel numero almeno fino al 2001, ma che in realtànei due anni successivi fanno registrare un incremento rilevantissimo dei colla-boratori di origine straniera. A fine 2003 questi sono, secondo l’Inps, 1.610(rispetto ai 652 del 2001 si ha un aumento del + 147%), e rappresentano il 67%del totale degli occupati. Anche a Prato, dunque, si assiste ad un’emersione dilavoratori, e soprattutto lavoratrici, impiegati irregolarmente nel lavoro di assi-stenza o nelle attività domestiche, grazie alla regolarizzazione del 2002. Altrisettori in cui è rilevante la forza lavoro straniera sono il commercio e i trasporti.

Un’ultima menzione va ancora al “caso” dell’imprenditoria cinese: a Pratorisultano assolutamente prevalenti quelle imprese -a partire dalle confezionigestite da cittadini cinesi e le aziende edili condotte da albanesi- che non sicaratterizzano etnicamente né rispetto al prodotto, né rispetto al mercato mache, seguendo la tipologia proposta da Ambrosini, nel proporsi sul mercatocome può farlo una qualunque azienda italiana, possono definirsi “etniche”solo per la provenienza nazionale del titolare e in taluni casi per aspetti riguar-danti il versante organizzativo d’impresa, che evoca risorse fiduciarie esolidaristiche circolanti nelle reti etniche dei connazionali (Savino, 2004).

Il 50% circa delle imprese con imprenditori di origine non italiana sonooperanti nelle confezioni e sono gestite da cinesi, ma la componente cinese neltempo ha intrapreso peraltro una strategia di diversificazione delle attività siain direzione dei servizi prestati alla comunità dei connazionali, sia nell’abbi-gliamento ampliando le iniziative di lavoro autonomo, ad esempio inserendosicome imprese finali nel pronto-moda64.

4.2Gli infortuni nella provincia di Prato

Nell’ambito del quadro infortunistico regionale, la provincia di Prato nonpresenta una situazione di rischio tra le più critiche, collocandosi ottava ingraduatoria, seguita solo da Firenze e Grosseto, con l’indice di frequenzagenerale65, calcolato come media nei tre anni 1999-2001, minore di quello

64 Si tratta di coloro che Ceccagno (2003) distingue come gli imprenditori di successo, soggiornanti conuna certa anzianità di soggiorno in Italia e con margini di profitto stabili che hanno permesso loro diampliare la gamma delle attività imprenditoriali.65 Frequenza relativa (x 1000 addetti): è un dato di secondo livello calcolato dall’Inail, che fornisceinformazioni sul grado di rischio. L’indicatore statistico è calcolato come rapporto tra eventi lesiviindennizzati (integrati per tenere conto dei casi non ancora liquidati) e numero degli esposti (può esserecalcolato in termini di addetti o ore lavorate) (Banca dati Inail).

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toscano (40,2 infortuni per mille addetti rispetto ai 43,2 della regione) esolo leggermente superiore a quello nazionale (39,8). Anche i casi mortali,relativizzati rispetto agli addetti, risultano inferiori ai valori regionale e na-zionale (Tab. 4.1).

66 “Generale” fa riferimento al fatto che si considerano tutti gli infortuni e addetti a prescindere dal loroluogo di nascita

Tabella 4.1INDICI DI FREQUENZA DEGLI INFORTUNI PER TIPO DI CONSEGUENZA NELLE PROVINCE TOSCANE

Media anni 1999-2001

Province Tipo di conseguenzaInabilità Inabilità Morte TOTALE

temporanea permanente

Massa Carrara 50,97 3,29 0,10 54,37Livorno 49,64 2,78 0,09 52,50Lucca 47,94 2,58 0,10 50,62Arezzo 44,44 3,17 0,09 47,71Pistoia 43,38 3,02 0,09 46,50TOSCANA 41,09 2,76 0,07 43,92Pisa 38,99 3,08 0,08 42,15Siena 38,75 2,23 0,08 41,05Prato 37,70 2,44 0,05 40,18ITALIA 37,54 2,18 0,08 39,79Firenze 36,79 2,64 0,04 39,47Grosseto 30,99 2,71 0,09 33,79

Fonte: Banca dati Inail

I dati forniti dai flussi indicano, per l’anno 2001, 3.358 infortuni con-centrati quasi totalmente nell’industria e servizi (l’agricoltura registra menodell’1% dei casi), che diminuiscono dal 2000 del 3,3%. I casi mortali nelbiennio considerato sono stati in totale 6, di cui 2 nel 2000 che raddoppianol’anno successivo, nonostante l’andamento decrescente generale66 (Tab. 4.2).

Tabella 4.2INFORTUNI INDUSTRIA, SERVIZI E AGRICOLTURA PER TIPO DI CONSEGUENZA

2000 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Prato 3.333 138 2 3.473 3.213 141 4 3.358TOSCANA 53.975 2.461 99 56.535 53.015 2.082 103 55.200

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

La specializzazione produttiva dell’area si riflette in modo molto significa-tivo sugli infortuni tanto che, nel 2000 e 2001, quasi il 40% degli eventi lesiviindennizzati nella provincia sono accaduti nel settore tessile, dove si registra invalori assoluti un alto numero di incidenti. Per avere un’idea della diffusionedel fenomeno, in Toscana, nell’anno 2000 sono stati riconosciuti oltre 2.400infortuni, ovvero il 13% di tutti quelli avvenuti nelle attività manifatturiere (tra

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queste solo l’attività di trasformazione dei metalli ne registra di più) e il 4,5%di quelli dell’industria e dei servizi. Più della metà di questi casi si sono verifi-cati nella provincia di Prato67, dove l’indice di frequenza infortunistica specifi-co del settore è superiore sia a quello regionale (35,55 casi per mille addetticontro i 30,75) che nazionale (27,54) (Tab. 4.3).

Tabella 4.3INDICE DI FREQUENZA RELATIVA PER TIPO DI CONSEGUENZA NEL SETTORE TESSILE

Media anni 1999-2001

Invalidità Invalidità Morte TOTALEtemporanea permamente

Prato 33,42 2,12 0,01 35,55TOSCANA 28,82 1,91 0,01 30,75ITALIA 26,28 1,23 0,03 27,54

Fonte: Banca dati Inail

Altro settore a rischio si rivela l’edilizia, dove avviene poco meno del15% circa degli incidenti della provincia e i due terzi dei casi mortali, aseguire, i trasporti (7%), le attività di servizi e la meccanica (intorno al5%). Anche per quanto riguarda l’attività edile l’indice di rischio è supe-riore a quello nazionale e sostanzialmente in linea con quello toscano(Tab. 4.4 e Graf. 4.5).

In linea con il trend rilevato a livello regionale, il numero di infortuni occor-si a stranieri nel territorio è in continuo aumento negli ultimi anni, riflettendo lecaratteristiche della presenza della componente migratoria e del suo inseri-mento nel tessuto produttivo locale. Nel triennio 2001-2003 gli eventi denun-ciati complessivamente da extracomunitari in agricoltura, industria e serviziregistrano un aumento del 28,2%, con un incremento tra il 2002 ed il 2003doppio rispetto all’anno precedente (Rapporto regionale Inail 2003) (Tab. 4.6).

Tabella 4.4INDICE DI FREQUENZA RELATIVA PER TIPO DI CONSEGUENZA NEL SETTORE COSTRUZIONI

Media anni 1999-2001

Invalidità Invalidità Morte TOTALEtemporanea permamente

Prato 66,90 5,28 0,12 72,29TOSCANA 65,05 6,05 0,19 71,29ITALIA 58,59 5,52 0,22 64,33

Fonte: Banca dati Inail

67 Il 55% circa negli anni 2000 2001 di tutti quelli accaduti nel settore tessile in Toscana, tenendo conto chela provincia di Prato concentra il 48% circa degli addetti. Il tessile è un settore con indici di rischioinfortunistico di medio livello, ma la sua diffusa presenza sul territorio regionale determina un elevatonumero di eventi lesivi. Al di là poi dei pericoli comuni, riscontrabili nelle manifatture tessili, alcunepeculiarità della realtà specifica del distretto pratese incidono negativamente sul livello infortunistico delsettore, spiegando, almeno in parte, i peggiori indici riscontrati rispetto alla media (cfr. Giovani, 2000)

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Grafico 4.5DISTRIBUZIONE INFORTUNI PER SETTORE. PROVINCIA DI PRATO

Sono stati inseriti i settori che concentrano più del 3% degli infortuni, evidenziando le attività manifatturiere con percentuali più elevateFonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

Tabella 4.6INFORTUNI DENUNCIATI DA STRANIERI PER SETTORE. 2001-2003

Agricoltura Industria e servizi TOTALE2001 2002 2003 2001 2002 2003 2001 2002 2003

Prato 0 2 9 461 500 582 461 502 591TOSCANA 449 548 730 4.572 5.824 7.097 5.021 6.372 7.827ITALIA 3.463 4.133 4.949 70.315 87.881 101.981 73.778 9.2014 106.930

Fonte: Rapporto regionale Inail 2003

Considerando i casi definiti ed indennizzati del data base INAIL Epinfo68,a Prato si verifica l’8% circa degli eventi lesivi totali accaduti in Toscana acittadini nati all’estero. Il numero di infortuni subiti da persone stranierecostituisce, nel 2000, il 9,3% di tutti quelli accorsi in provincia, che au-menta al 10,8% nel 200169 (Tab. 4.7)

Pur presentando un indice di incidenza generale relativo all’industria e ser-vizi70 in flessione e inferiore al dato regionale, aumenta il numero di straniericoinvolti rispetto al totale degli addetti (da 3,9 per 1000 addetti totali del 2000a 4,1 del 2001), con un valore tra i più alti in Toscana. Il rapporto di incidenza,

68 I dati sono relativi solo agli anni 2000 e 200169 Tali valori sono molto simili se si considera solo l’industria e i servizi (rispettivamente 9,4% e 10,95%del totale provinciale nei due anni considerati).70 Cfr. Capitolo 3.

0 20 40 60

Ind. tessili

Prod. metallo

TOTALE fabbric. macchine

TOTALE att. manifatt.

Costruzioni

Commercio

Trasporti

Immob. e altre attività

Sanità

Altri servizi

2000

2001

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71 Il primo valore indicato (totale infortuni stranieri/totale infortuni) può essere influenzato dall’elevatapresenza di lavoratori nati fuori Italia nelle attività produttive dell’area. La bassa incidenza, rispetto allealtre province, degli infortuni di extracomunitari sul totale occupati extracomunitari (registrati dall’ar-chivio INPS), può indicare invece un diffuso impiego di questi lavoratori in settori con indici di rischioinfortunistico contenuto (come è il caso del tessile a Prato). Bisogna ricordare che l’archivio INPS,registrando tutti coloro che hanno effettuato almeno un versamento contributivo nel corso dell’anno,sovrastima il valore dell’occupazione rispetto all’effettiva quantità di ore lavorate. (cfr. Cap. 3)72 In linea quindi con la percentuale che si rileva in Toscana nella proporzione comunitari - extracomunitarinello stesso anno. Nel 2000 era invece del 13,3% (rispetto al 12,7% regionale).

Tabella 4.7PESO DEGLI INFORTUNI STRANIERI SUL TOTALE DELLA PROVINCIA, NELL’INDUSTRIA E SERVIZI E

IN TUTTI I SETTORI

% infortuni stranieri industria/ % infortuni stranieri/totale infortuni industria totale infortuni

2000 2001 2000 2001

Prato 9,37 10,95 9,33 10,78TOSCANA 6,68 7,82 6,8 7,88

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo, Inps

stimato confrontando gli infortunati stranieri rispetto al numero di lavoratoriextracomunitari (presenti nell’archivio INPS), è invece il più basso della regio-ne, con un valore nel 2001 inferiore a 4071 (Tabb. 4.8-4.9-4.10).

Scomponendo il dato per luogo di nascita (Tab. 4.11), si osserva che l’in-cremento di infortuni è dovuto al maggior coinvolgimento in incidenti dellacomponente extracomunitaria (+39 casi, +14%), mentre quella comunita-ria rimane stabile. Quest’ultima è formata da cittadini nati in solo quattronazioni (Germania, Francia, Gran Bretagna, Belgio) e rappresenta nel 2001l’11,6% degli infortunati stranieri72. Le nazionalità non appartenenti all’UE

Tabella 4.8INDICE DI INCIDENZA GENERALE E INCIDENZA STRANIERA

Indicenza totale Componente stranieranell’incidenza totale

2000 2001 2000 2001

Prato 41,66 37,00 3,90 4,05TOSCANA 47,74 43,99 3,19 3,44

Incidenza totale: numero infortuni per 1000 addetti (indicati dal DB imprese di Inail Epinfo)iComponente straniera nell’Incidenza totale: numero infortuni stranieri per 1000 addetti (indicati dal DB imprese di Inail Epinfo)i

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo, Inps

Tabella 4.9INDICE DI INCIDENZA RELATIVO AGLI INFORTUNI DI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI

2000 2001

Prato 39,0 38,5TOSCANA 62,1 58,3

Indice di incidenza extracomunitari: numero infortuni extracomunitari per mille occupati extracomunitari (indicati dall’archivio INPS)Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo, Inps

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Tabella 4.10INFORTUNI A STRANIERI NELL’INDUSTRIA, SERVIZI E AGRICOLTURA. 2000 E 2001

Industria e % su industria Agricoltura % su TOTALE % su totaleservizi e servizi agricoltura regionale

Anno 2000Prato 322 9,46 2 0,45 324 8,43TOSCANA 3.404 100,00 441 100,0 3.845 100,00

Anno 2001Prato 362 9,24 0 0,00 362 8,32TOSCANA 3.917 100,00 432 100,0 4.349 100,00

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo, Inps

presenti nel quadro infortunistico pratese arrivano nel 2001 a 37, anche se icittadini di Albania, Marocco e Pakistan rappresentano da soli il 64% deicasi. Rilevante anche la presenza dei lavoratori del Bangladesh, il cui pesoinfortunistico sul totale extracomunitario nel 2001 è del 4%. La comunitàcinese, titolare di oltre la metà dei permessi di soggiorno per motivi di lavo-ro nella provincia, conta solo 6 eventi dannosi nel 2001 e 4 nel 2000.

Nella provincia, la presenza immigrata in agricoltura è esigua e, tra gliinfortunati del 2001, non compaiono stranieri.

Anche i dati relativi al settore tessile (codice Ateco DB) confermano la

Tabella 4.11INFORTUNI A STRANIERI NELL’INDUSTRIA, SERVIZI E AGRICOLTURA PER NAZIONALITÀ E TIPO DI CONSEGUENZA.

PROVINCIA DI PRATO. 2000 E 2001

Nazione 2000 Nazione 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Albania 79 6 0 85 Albania 79 4 0 83Marocco 54 5 0 59 Marocco 64 0 0 64Pakistan 49 0 0 49 Pakistan 56 3 0 59Svizzera 12 0 0 12 Svizzera 21 1 0 22Bangladesh 11 0 0 11 Bangladesh 13 0 0 13Romania 7 0 0 7 Cina Rep. Pop. 6 0 0 6Argentina 6 0 0 6 Nigeria 6 0 0 6India 6 0 0 6 Algeria 5 0 0 5Tunisia 5 0 0 5 Argentina 5 0 0 5Cina Rep. Pop. 4 0 0 4 Jugoslavia 5 0 0 5Nigeria 4 0 0 4 Brasile 4 0 0 4Costa d’Avorio 3 0 0 3 Romania 4 0 0 4Egitto 3 0 0 3 Sri Lanka 4 0 0 4Jugoslavia 3 0 0 3 Tunisia 4 0 0 4Senegal 3 0 0 3 Egitto 3 0 0 3Algeria 2 0 0 2 Ghana 2 1 0 3Altri Paesi 19 0 0 19 Altri Paesi 29 1 0 30TOT. EXTRACOM. 270 11 0 281 TOT. EXTRACOM. 310 10 0 320COMUNITARI 42 1 0 43 COMUNITARI 41 1 0 42TOT. STRANIERI 312 12 0 324 TOT. STRANIERI 351 11 0 362ITALIA 3.017 125 2 3.144 ITALIA 2.845 130 3 2.978Missing* 4 1 0 5 Missing* 17 0 1 18TOTALE 3.333 138 2 3.473 TOTALE 3.213 141 4 3.358

* con Missing si fa riferimento agli infortunati di cui non è stato possibile individuare il luogo di nascita tramite il codice fiscaleFonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo, Inps

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70

crescita degli eventi lesivi degli immigrati (+15%), contrariamente alla di-minuzione generale (-6%) che si registra nel comparto tra il 2000 e il 2001.Inoltre i dati Inps relativi al numero di lavoratori extracomunitari segnala-no per il settore tessile-abbigliamento un incremento del 10,2% di lavorato-ri dal 2000 al 2001, non riuscendo a spiegare quindi tutto l’aumentoinfortunistico con una corrispondente crescita occupazionale.

L’incremento degli incidenti è dovuto interamente alla componenteextracomunitaria, che vede arrivare il numero di casi a 168 (+16%)(Tab. 4.12). Le principali nazionalità coinvolte sono quelle già indicate nelquadro infortunistico straniero generale della provincia, ma in questo casosono i cittadini provenienti dal Pakistan a registrare il livello più alto, se-guiti dai marocchini, dagli albanesi e dai bengalesi. Questi ultimi, insiemeai pakistani, registrano a Prato un numero particolarmente alto di incidenti,che nel 2001 rappresenta rispettivamente il 30% ed il 60% di tutti gli infor-tuni subiti in Toscana dai lavoratori delle due comunità, segno del loro con-sistente inserimento nelle produzioni del distretto tessile e dei relativi rischiche incontrano durante lo svolgimento dell’attività.

Tabella 4.12INFORTUNI A STRANIERI NEL SETTORE TESSILE. PROVINCIA DI PRATO. 2000 E 2001

Nazione 2000 Nazione 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Pakistan 40 0 0 40 Pakistan 47 1 0 48Marocco 32 3 0 35 Marocco 38 0 0 38Albania 33 1 0 34 Albania 34 1 0 35Bangladesh 11 0 0 11 Bangladesh 12 0 0 12Svizzera 4 0 0 4 Svizzera 7 0 0 7Senegal 3 0 0 3 Cina Rep. Pop. 3 0 0 3Argentina 2 0 0 2 Jugoslavia 3 0 0 3Costa d’Avorio 2 0 0 2 Romania 3 0 0 3Jugoslavia 2 0 0 2 Ghana 1 1 0 2Nigeria 2 0 0 2 Nigeria 2 0 0 2Romania 2 0 0 2 Sri Lanka 2 0 0 2Tunisia 2 0 0 2 Tunisia 2 0 0 2Algeria 1 0 0 1 Algeria 1 0 0 1Camerun 1 0 0 1 Bosnia Erzegovina 1 0 0 1Cecoslovacchia 1 0 0 1 Egitto 1 0 0 1Cina Rep. Pop. 1 0 0 1 Etiopia 1 0 0 1Panama 1 0 0 1 Germania Est 1 0 0 1Polonia 1 0 0 1 Macedonia 1 0 0 1TOT. EXTRACOM. 141 4 0 145 Maurizio 1 0 0 1COMUNITARI 15 0 0 15 Panama 1 0 0 1TOT. STRANIERI 156 4 0 160 Perù 1 0 0 1ITALIA 1.093 45 1 1.139 Turchia 1 0 0 1Missing* 3 1 0 4 Venezuela 1 0 0 1TOTALE 1.252 50 1 1.303 India 0 2 0 0

TOT. EXTRACOM. 165 5 0 168COMUNITARI 15 1 0 16TOT. STRANIERI 180 6 0 186ITALIA 985 42 0 1.027Missing* 10 0 0 10TOTALE 1.175 48 0 1.223

* con Missing si fa riferimento agli infortunati di cui non è stato possibile individuare il luogo di nascita tramite il codice fiscaleFonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo, Inps

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Tabella 4.13INFORTUNI A STRANIERI NEL SETTORE COSTRUZIONI. PROVINCIA DI PRATO. 2000 E 2001

Nazione 2000 Nazione 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Albania 21 4 0 25 Albania 21 2 0 23Marocco 6 0 0 6 Marocco 5 0 0 5Svizzera 3 0 0 3 Argentina 4 0 0 4Argentina 2 0 0 2 Algeria 2 0 0 2Cina Rep. Pop. 1 0 0 1 Svizzera 2 0 0 2Germania Est 1 0 0 1 Brasile 1 0 0 1India 1 0 0 1 Polonia 1 0 0 1Jugoslavia 1 0 0 1 Rep. Domenicana 1 0 0 1Pakistan 1 0 0 1 TOT. EXTRACOM. 37 2 0 39Panama 1 0 0 1 COMUNITARI 6 0 0 6Romania 1 0 0 1 TOT. STRANIERI 43 2 0 45Tunisia 1 0 0 1 ITALIA 405 16 2 423TOT. EXTRACOM. 40 4 0 44 Missing* 2 0 1 3COMUNITARI 12 0 0 12 TOTALE 450 18 3 471TOTALE STRANIERI 52 4 0 56ITALIA 423 27 1 451Missing* 1 0 0 1TOTALE 476 31 1 508

* con Missing si fa riferimento agli infortunati di cui non è stato possibile individuare il luogo di nascita tramite il codice fiscaleFonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo, Inps

Per quanto riguarda la gravità degli incidenti, i casi a cui è stata ricono-sciuta un’indennità di tipo permanente, risultano per gli extracomunitari 4nel 2000 e 5 nel 2001, mentre nessun caso mortale viene rilevato dall’Inailnel settore nei due anni di osservazione.

Per il comparto edile, invece nel biennio si registra una diminuzionedegli infortuni capitati agli extracomunitari dell’11,4% che accompagna laflessione generale del fenomeno nel settore (-7,3%). Tale dato risulta parti-colarmente positivo se si considera che, secondo i dati Inps, il numero diaddetti immigrati nello stesso periodo aumenta del 35% circa.

La nazionalità maggiormente coinvolta negli infortuni nel settore edileè quella albanese, che rappresenta la metà dei casi di incidente sul lavorosubiti da stranieri ed il 5% di quelli totali. Minori i casi relativi a lavoratoridi altre nazionalità (Tab. 4.13).

4.3Gli intervistati

La caratterizzazione del campione è in buona misura riconducibile alla si-tuazione generale dei flussi migratori nel sistema pratese: spiccano la com-ponente albanese (26%), insieme a quella marocchina (26%) e pakistana(25%)73.

73 È praticamente assente la componente cinese (un solo intervistato) che però sappiamo essere legatasoprattutto a forme di imprenditoria etnica e quindi molto più difficile da cogliere quando si tratta dilavoro dipendente presso imprese gestite da italiani.

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La composizione per età indica come la forza lavoro immigrata a Prato nonsia legata solo a forza lavoro giovanile ma anche a popolazione adulta, presen-te nel distretto industriale già da diversi anni. L’età media è infatti di 32 anni,sia per i tessili che per gli edili, molto più elevata rispetto all’area di Arezzo(27,5), dove infatti il fenomeno migratorio è relativamente più recente. Gliedili sono più concentrati nelle fasce di età più elevate: il 57% supera i 29 annidi età, di cui il 40% rientra nella fascia dei 30enni e il 17% dei 40 e oltre. Tra itessili la fascia di età prevalente è quella dei 25-29 (34%).

Rispetto all’anzianità di soggiorno sono soprattutto i lavoratori tessili acostituire la componente matura dell’immigrazione extracomunitaria: il 42%risiede a Prato da oltre 5 anni (contro il 27% degli edili).

Il titolo di studio dichiarato e gli anni di frequenza scolastica evidenzianoun livello di istruzione mediamente elevato: tra i tessili, la stragrande mag-gioranza degli intervistati è in possesso di un titolo di studio medio-alto(48% diplomati e 22% laureati) e il 55% ha studiato per un periodo di alme-no 12 anni, corrispondente ad un tipo di formazione analoga ai nostri studisuperiori o universitari. Gli edili sono mediamente meno scolarizzati: il70% è in possesso al massimo della scuola dell’obbligo e solo 1/3 ha stu-diato per almeno 12 anni.

Quanto all’attuale situazione giuridica, tutti gli intervistati, ad eccezio-ne di un caso, dichiarano di essere in posizione regolare. Ovviamente tra itessili, presenti da più tempo sul territorio, è più elevata la percentuale dicoloro che sono già in possesso di permesso della carta di soggiorno (22%contro il 3% degli edili).

Come emerso anche in altre indagini, vi è un tratto che sembra accomunaregli immigrati, ovvero la provenienza da società che hanno visto un certo gradourbanizzazione e industrializzazione; più raro appare il passaggio diretto datessuti sociali ancora agricoli. Questi percorsi sono però molto diversi per ilavoratori dell’edilizia e per quelli del tessile. Tra i tessili ben il 66% degliintervistati proviene infatti da una città grande (contro il 47% degli edili); tra ilavoratori dell’edilizia ci sono anche percentuali rilevanti di stranieri che pro-vengono da piccoli centri (30%) e da zone rurali (13%)

I dati relativi alla condizione professionale nel paese di origine ci mo-strano quanto emerso anche da altre indagini, ovvero che i migranti nonsono stati spinti a lasciare il proprio paese da condizioni di miseria o didisoccupazione: tra i tessili la condizione di partenza è prevalentementequella di studente (44%) e di occupato stabilmente (40%). Solo il 4% erainoccupato e il 12% occupato, ma in modo saltuario. Per gli edili si confer-mano di nuovo situazioni più disagiate: la condizione di partenza è quelladi occupati stabili (60%), ma più elevate tra questi ultimi sono risultateessere le quote di inoccupati (10%) o occupati in modo precario (17%).

L’analisi delle motivazioni dell’espatrio sono prevalentemente econo-miche e si riconducono essenzialmente alla ricerca di un lavoro (62% deitessili e 73% degli edili) e al tentativo di migliorare la propria situazioneeconomica (14% dei tessili e 23% degli edili). Residuali i motivi politici,razziali e religiosi.

In ogni caso, come emerso anche da altre indagini, la prevalenza delleragioni economiche non significa che la provenienza sociale sia necessaria-mente ascrivibile agli strati meno privilegiati delle società di origine. La

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scelta di emigrare è infatti una decisione che coinvolge solo chi possiede lerisorse economiche (basti pensare alle spese del viaggio), ma anche perso-nali e informative necessarie ad affrontare le innumerevoli difficoltà. Nondeve quindi stupirci il fatto che ben pochi prima di emigrare fossero incerca di occupazione, mentre molti avevano occupazioni qualificate e sta-bili oppure erano studenti, e disponevano, soprattutto nel caso dei tessili,che abbiamo visto avere i profili socio-economici di partenza più elevati, dirisorse personali o familiari superiori a quelle medie del paese di origine.

4.4L’inserimento lavorativo

Quanto ai nostri intervistati, bisogna innanzitutto ricordare che, come soli-tamente avviene in indagini di questo tipo, gli immigrati raggiunti e inter-vistati appartengono prevalentemente alle fasce più stabilizzate e inseriteda più tempo nel sistema produttivo locale.

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’analisi delle motiva-zioni dell’espatrio sono prevalentemente economiche e si riconducono es-senzialmente alla ricerca di un lavoro e al tentativo di migliorare la propriasituazione economica.

Dall’esame dei fattori attrattivi (Graf. 4.14) emerge che la scelta di Prato,come meta del percorso migratorio, è dovuta, sia per i tessili che per gli edili,alla presenza nella zona di altri connazionali e familiari. Inoltre, soprattutto peri lavoratori tessili, tra le ragioni per cui si è giunti a Prato una percentualesignificativa evidenzia la percezione del distretto come zona prospera e ricca diopportunità occupazionali (28% dei tessili e 17% degli edili).

Grafico 4.14PER QUALI RAGIONI SI È STABILITO A PRATO?

PRIMA MOTIVAZIONE PER SETTORE DI ATTIVITÀ

37%

32%

40%

28%

17%

30% 4%

2%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Tessili

Edili

C'erano già dei miei familiari C'erano dei connazionali che conoscevo

È una zona prospera Per una specifica proposta di lavoro

C'erano opportunità di formazione prof.le C'erano opportunità di un'abitazione

Altro

7%

4%

Come mostrano le modalità contrattuali (Graf. 4.15), la maggioranzadei tessili intervistati (98%) dichiara di svolgere il proprio lavoro con uncontratto regolare: si tratta essenzialmente di assunzioni a tempo indeter-minato (72%); unitamente a contratti a termine (26%).

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74

Invece tra gli edili le posizioni lavorative irregolari riguardano il 23%degli intervistati, fenomeno che non ci deve stupire in quanto, comeevidenziato anche da precedenti indagini (Giovani, 2000), il fenomeno dellavoro irregolare, anche se in lieve diminuzione rispetto al passato, risultaancora presente nel tessuto produttivo pratese, soprattutto nell’edilizia, dovesono ancora frequenti episodi di caporalato.

Il tipo di lavoro effettivamente svolto, nella maggioranza dei casi, con-siste in mansioni scarsamente qualificate, caratterizzate da elevati fattori didisagio e di fatica e spesso effettuate in orari socialmente sgraditi (per esem-pio turni di notte).

I lavoratori tessili intervistati sono inquadrati soprattutto con la qualifi-ca di operaio comune (92%), il rimanente come apprendista; solo un inter-vistato appartiene alla categoria degli operai specializzati. Operano preva-lentemente in imprese di filati di ciniglia come addetti alla preparazionedella materia prima, addetti alla macchina da filatura, ritorcitori, roccatori:si tratta di operai comuni inseriti nel ciclo produttivo del filato di ciniglia;poi ci sono gli addetti alle fasi del finissaggio (rifinizione-tintoria)74, e colo-ro che lavorano in attività di tessitura e maglieria, soprattutto con la qualifi-ca di operaio comune addetto al telaio.

Quanto agli edili, la maggioranza è inquadrata come operaio comune(70%) e il rimanente come manovale.

Gli orari di lavoro risultano essere estremamente gravosi: a parte gliedili che lavorano per la quasi totalità con orario normale spezzato/a gior-nata, come tipico nel settore, tra i tessili, la maggioranza degli intervistatilavora a turni con la notte (54%). Ben diversa la situazione rilevata da re-centi indagini tra i tessili autoctoni, dove solo il 10% risultava lavorare aturni con la notte (Giovani, 2000).

Circa la metà, sia dei tessili (48%) che degli edili (46%), durante l’annoha fatto regolarmente o quasi straordinari.

Disaggregando, secondo la provenienza, il dato relativo all’occupazione per set-tore di attività economica, emergono alcuni aspetti interessanti (Graf. 4.16): pakistani

Grafico 4.15TIPOLOGIA CONTRATTUALE PER SETTORE DI ATTIVITÀ

74 Le due fasi tintoria e rifinizione sono state considerate insieme perché spesso effettuate all’internodella stessa impresa.

23%

72%

57%

16%

20%

2% 6% 4%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Tessili

Edili

Nessun contratto Contratto a tempo indeterminato Contratto a tempo determinato

Contratto per apprendisti Contratto di lavoro interinale

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Grafico 4.16LUOGO DI PROVENIENZA PER SETTORE DI ATTIVITÀ

e bengalesi trovano sbocco soprattutto nell’industria tessile (rispettivamen-te il 36% e il 28% degli occupati in questo settore), che accoglie anche unaquota significativa di marocchini (22%) e di albanesi (12%). Diversa è lasituazione dell’edilizia caratterizzata da una composizione etnica menovariegata: il 50% degli occupati è di provenienza albanese, seguiti damaghrebini (30%).

I risultati non sembrano comunque essere sufficienti per confermareun’ipotesi di ‘specializzazione etnica’ generalizzata. Non ci sono, cioè, del-le settorializzazioni spinte per le differenti cittadinanze che possano con-fermare l’esistenza di meccanismi di orientamento legati alle comunità et-niche. Sembra piuttosto che l’esistenza di specializzazioni lavorative su basietniche sia dovuta alle peculiarità di un mercato del lavoro, nel quale i ca-nali di informazione sono costituiti prevalentemente da reti personali(Reyneri, 1996). Risulta infatti ricorrente un processo di accentramento erichiamo di flussi migratori attivato sui canali parentali ed amicali. Bastipensare che il 54% dei tessili e il 63% degli edili dichiara di avere parenti oamici che già prestavano servizio presso l’azienda. In qualche misura sem-brano quindi essersi attivati i meccanismi tipici delle catene migratorie:laddove gli inserimenti di manodopera straniera sono riusciti, i primi as-sunti hanno fatto presente che altri loro connazionali erano in cerca di occu-pazione, incontrando l’attitudine dell’imprenditore ad economizzare costie tempi di reclutamento e di selezione attraverso il meccanismo della di-scriminazione statistica (Ambrosini, 1999) secondo il quale gli imprendito-ri che hanno fatto un’esperienza positiva con un immigrato di una determi-nata nazionalità, tendono ad assumerne altri della stessa provenienza.

Un’ulteriore conferma si ottiene dall’analisi delle modalità con cui èstato cercato e trovato il lavoro attuale (Graf. 4.17): dai dati si evince comei canali informali dei networks di matrice etnica, incentrati sul passa-parolatra parenti e connazionali amici, abbiano contribuito ad orientare e facilita-re l’inserimento occupazionale degli immigrati, in modo più rilevante pergli edili (63%), ma significativo anche per i tessili (42%). Significativaanche la quota di coloro che hanno dichiarato di aver trovato la propriaoccupazione grazie alla propria iniziativa personale (27% edili e 32% tessi-li). Per i tessili, degno di rilievo anche il ruolo svolto dal sindacato che èrisultato per il 14% anche veicolo diretto di ingresso nel mercato del lavoro

50%

28%

0%

12% 2% 22%

0% 0%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Tessili

Edili

Albania Bangladesh Cina Marocco Senegal Pakistan Romania

7%33% 3% 7%

36%

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Grafico 4.17COME HA TROVATO IL SUO ATTUALE LAVORO?

PER SETTORE DI ATTIVITÀ

mentre, del tutto assenti, nel veicolare l’incontro tra domanda e offerta dilavoro, sono risultati i Centri per l’impiego che non sono stati citati da nes-suno degli intervistati.

Oltre a descrivere i percorsi e lo stato dell’occupazione immigrata, l’in-dagine si è proposta di fare luce sul livello di soddisfazione dell’attualelavoro, sul grado di accettazione delle condizioni economiche, ambientali erelazionali in cui l’attività viene svolta. Il dato complessivo, pur con le cau-tele sempre necessarie nel trattare questo tema, è interessante: la maggio-ranza degli intervistati giudica positivamente gli aspetti del proprio lavoro.Soprattutto tra gli edili è emersa una soddisfazione più diffusa relativamen-te a vari aspetti del proprio lavoro: ambiente di lavoro, retribuzione, ritmi,orari e turni, rapporti con i colleghi hanno infatti valutazioni mediamentepiù positive tra i lavoratori dell’edilizia. Si può ipotizzare che ciò sia dovu-to al fatto che gli operai del settore, con livelli di scolarizzazione media-mente più bassi dei tessili e presenti nel distretto da un periodo relativa-mente più breve, manifestino una maggiore soddisfazione, perché per loroè già molto avere trovato un lavoro.

Come emerge dal Grafico 4.18, in modo particolarmente positivo vienegiudicato il rapporto con i colleghi (93% dei tessili e 88% degli edili) equello con i superiori (88% dei tessili e 77% degli edili). Giudizi positivi,senza differenze di rilievo tra i due gruppi, vengono dati ai ritmi di lavoro(68% i tessili e 70% degli edili) e alla retribuzione (54% dei tessili e 57%degli edili), fattore quest’ultimo, che riceve la percentuale più elevata divalutazioni negative.

Anche gli orari di lavoro/turni vengono valutati positivamente soprat-tutto dagli edili (87% contro il 62% dei tessili) -che abbiamo visto esseresottoposti a turni meno disagiati- così come l’ambiente di lavoro (70% itessili e 77% gli edili) e la retribuzione (70% contro il 63%).

La sicurezza del lavoro, al contrario, riceve una percentuale leggermen-te più elevata di valutazioni positive (78% contro il 73%) dai tessili cheabbiamo visto avere, per la stragrande maggioranza dei casi, contratti atempo indeterminato.

27%

2%

3%

32% 4% 14%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Tessili

Edili

Iniziativa personale/ chiedendo in giro Agenzia interinale

Ufficio Immigrati del Comune Aiuto di familiari/ parenti

Aiuto di connazionali Aiuto di altri immigrati non connazionali

Aiuto del Sindacato Aiuto di amici italiani

13%

28%

50%

2% 4%

7%

14%

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Nonostante il tipo di mansioni svolte, sembra dunque emergere una va-lutazione complessivamente positiva della situazione lavorativa, che pos-siamo ipotizzare essere influenzata dal tipo di aspirazioni nei confronti del-la qualità del lavoro, radicalmente diverse da quella della nostra manodo-pera, data anche dalla consapevolezza che sia destino degli immigrati farei lavori peggiori.

Evidentemente la forte motivazione economica alla base della sceltamigratoria è tanto rilevante da fare passare in secondo piano, per buonaparte degli intervistati, gli elementi più gravosi della propria situazione oc-cupazionale.

Dal punto di vista dei redditi emerge che gli intervistati hanno redditimedi simili a quelli della manodopera autoctona, con cifre che non sidiscostano molto a seconda del settore di appartanenza. In circa la metà deicasi (50% dei tessili e 46% degli edili) non superano i 1.000 euro mensili;una quota significativa (37% degli edili e 36% dei tessili) guadagna tra i1.250 e i 1.500 euro e il rimanente li supera (Graf. 4.19).

Se consideriamo un altro aspetto cruciale dell’esperienza migratoria,ovvero i progetti e le aspettative dei soggetti nei confronti del lavoro futuro,sembrano invece emergere aspetti parzialmente contraddittori con il qua-dro tracciato finora, che indicano un forte desiderio di cambiamento.

Grafico 4.18POTREBBE DARE UN GIUDIZIO AI SEGUENTI ASPETTI DEL SUO LAVORO?

PER SETTORE DI ATTIVITÀ

AMBIENTE DI LAVORO

77%

70%

23%

30%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Edili

Tessili

RETRIBUZIONE

57%

54%

43%

46%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Edili

Tessili

RITMO DI LAVORO

70%

68%

30%

32%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Edili

Tessili

ORARI DI LAVORO, TURNI

87%

62%

13%

38%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Edili

Tessili

93%

88%

7%

10%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Edili

Tessili

RAPPORTO CON I COLLEGHI

93%

88%

7%

10%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Edili

Tessili2%

RAPPORTO CON I SUPERIORI

77%

88%

20%

12%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Edili

Tessili3%

SICUREZZA DELL'IMPIEGO

73%

78%

27%

22%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Edili

Tessili

Positivo Negativo Non sa/N.r./Inapplicabile

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Grafico 4.19GUADAGNO MENSILE (NETTO) MEDIO PER SETTORE DI ATTIVITÀ

Grafico 4.20VORREBBE CAMBIARE LAVORO?

PER SETTORE DI ATTIVITÀ

3%

10%

10% 33% 37%

2% 38% 36%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Tessili

Edili

<500 Euro 501- 750 Euro 751-1.000 Euro 1.001-1.250 Euro 1.251-1.500 Euro Oltre 1.500 Euro

12%

13%

2%

3%

20%

14%

30% 50%

24% 62%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Tessili

Edili

No, sono soddisfatto di quello che ho No, non credo di poter trovare un lavoro migliore Sì

Solo una minoranza degli intervistati dichiara di non voler cambiarelavoro perché è soddisfatta di quello che ha (24% dei tessili e 20% degliedili). La quota più elevata di tessili che dichiara di volere cambiare lavoro(62% contro il 50% degli edili) è dovuta ad un effetto di scoraggiamento trai lavoratori dell’edilizia che nel 30% dei casi non credono di poter trovareun lavoro migliore (Graf. 4.20).

Del resto sono proprio i lavoratori dell’edilizia che manifestano un mi-nore livello di soddisfazione rispetto alle aspettative avute prima di arrivarenel distretto: solo il 23% degli edili, contro il 44% dei tessili, ritiene infattipienamente esaudite le proprie aspettative.

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79

4.5La consapevolezza dei rischi sul lavoro

Obiettivo prioritario dell’indagine è quello di valutare la consapevolezza e lapercezione dei rischi sul lavoro di lavoratori stranieri.

I motivi dell’indagine si chiariscono ulteriormente se messi in relazioneall’evoluzione del quadro di riferimento socio-economico e giuridico determi-nato dal D.Lgs. 626/94. Con il decreto ha trovato infatti espressione unaimpostazione diversa della tutela della salute negli ambienti di lavoro, che in-tende superare la cultura della fatalità, rendendo più consapevoli lavoratori edatori di lavoro dei reali pericoli a cui sono esposti, con particolare attenzionealle condizioni materiali del lavoro. La normativa si è proposta sia di regolarespecifici rischi da lavoro, sia di reimpostare l’organizzazione ed i comporta-menti di prevenzione nelle imprese.

In tal senso, la nostra attenzione è stata rivolta ad una valutazione dellostato oggettivo di pericolosità delle condizioni di lavoro, ma soprattutto ai cam-biamenti nei livelli di percezione del rischio e, più in generale, delle culture ariguardo nel mondo del lavoro.

Per quanto concerne il primo aspetto, l’indagine ha rilevato che gli intervistatisono esposti a numerosi fattori di criticità attinenti all’ambiente lavorativo.

Come mostra il Grafico 4.21, tra i tessili risultano essere particolarmen-te sentiti il problema della rumorosità degli ambienti (86%); delle variazio-ni termiche interne alle aziende (70%) e delle polveri (66%). Circa la metàdegli intervistati segnala anche problemi di fatica fisica (48%), e una per-centuale meno rilevante ma significativa, di stress mentale (42%). Il peri-

Grafico 4.21QUALI DI QUESTI FATTORI SONO PRESENTI NEL SUO AMBIENTE DI LAVORO? TESSILI E EDILI

73%

43%

73%

47%

37%

17%

93%

47%

10%

87%

60%

44%

42%

48%

32%

20%

36%

66%

30%

30%

70%

86%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Pericolo di infortuni

Stress mentale

Fatica fisica

Macchine pericolose

Spazi ristretti

Sostanze nocive

Polveri

Fumo passivo da tabacco

Fumi, esalazioni

Freddo/caldo/umidità

Rumore

Tessili

Edili

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colo di infortuni sul luogo di lavoro è evidenziato dal 44% dei tessili inter-vistati.

Tra gli edili, invece, viene segnalato il problema delle polveri da quasila totalità degli intervistati (93%) e quello delle variazioni termiche (87%).Particolarmente sentiti sono risultati anche la fatica fisica (73%) e il perico-lo di infortuni (73%), che sono seguiti dal rumore (60%). Circa la metàdegli edili segnala, inoltre, il problema del fumo passivo da tabacco (47%)e quello relativo allo stress mentale (43%).

Sul versante della conoscenza della normativa e delle misure di preven-zione concretamente messe in atto nelle aziende, i risultati, che in parte èstato possibile confrontare con quelli di un’indagine condotta nel 1999 suun gruppo composto da operai auctoni e stranieri del settore tessile e diquello edile del distretto industriale di Prato (Giovani, 2000), mostranoinnanzitutto una conoscenza notevolmente più diffusa del fatto che esisto-no leggi che tutelano la sicurezza sui posti di lavoro: la normativa è infattinota al 68% dei tessili (contro il 53% del 1999) e al 70% degli edili (controil 30% del 1999). Da segnalare che tra i lavoratori autoctoni tale conoscen-za era, ovviamente, molto più elevata (86% sia tra i lavoratori dell’ediliziache del settore tessile) (Graf. 4.22).

Grafico 4.22È A CONOSCENZA DELLA NORMATIVA?Confronto indagine 1999 e indagine 2004

INDAGINE 2004 INDAGINE 1999

86%

86%

53%

30%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Operai edili

Operai tessili

Autoctoni Stranieri

70%

68%

0 0,2 0,4 0,6 0,8

Edili

Tessili

Stranieri

Per quanto riguarda la percezione dei rischi sul lavoro, i risultati mostra-no che, pur in presenza di un’accresciuta consapevolezza tra gli stranieriintervistati, soprattutto edili, dei rischi di infortuni e di malattie di tipo pro-fessionale che comporta il proprio lavoro, non è ancora stato colmato il gapcon i più elevati livelli di percezione dei rischi sul lavoro manifestati dailavoratori autoctoni nella precedente indagine.

A questo proposito (Graf. 4.23) il 24% dei tessili e il 40% degli edilidichiara di avere paura di subire un infortunio sul lavoro. Nell’indagineprecedente, tra i lavoratori stranieri, il 25% dei tessili e il 30% degli edili,pensando al proprio lavoro, dichiarava di avere paura di subire un infortu-nio; tra gli autoctoni tali percentuali salivano al 63% degli edili e al 48% deitessili.

Sono dunque soprattutto gli operai dell’edilizia a manifestare un’accre-sciuta consapevolezza di infortuni che possano accadere sul lavoro, mentretra i tessili il livello è rimasto praticamente lo stesso, e comunque molto più

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basso rispetto a quello degli edili, probabilmente anche in virtù di una mi-nore incidenza di infortuni nel settore.

Stesso fenomeno si rileva relativamente alla percezione dei rischi dimalattie professionali: il 36% dei tessili (contro il 22% dell’indagine prece-dente) e il 30% degli edili (contro il 19%) manifesta infatti preoccupazionicirca la possibilità di contrarre malattie.

Per gli edili, al contrario dei tessili, è risultata molto più bassa la percen-tuale di coloro che temono di prendere in futuro malattie professionali ri-spetto a quanti temono l’infortunio sul lavoro. Questo dato, parso partico-larmente significativo, considerato che sono proprio gli edili il gruppo dilavoratori più a rischio dal punto di vista delle malattie professionali, cimostra come, tra questi ultimi, sia ancora diffuso un modello culturale se-condo il quale sicurezza sul lavoro significa essenzialmente eliminazionedel rischio di infortuni.

Occorre, infine, ricordare il ruolo cruciale svolto dalla formazione. Infattisecondo il D.Lgs. 626/94 il datore di lavoro deve assicurare a ciascun lavorato-re una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute,con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni.

Come mostra il Grafico 4.24, sembra che anche da questo punto di vistasiamo in presenza di un positivo impatto della normativa: il 70% dei tessilie il 73% degli edili dichiara infatti di avere ricevuto formazioni/informa-zioni adeguate relativamente alla sicurezza del proprio lavoro. Tale percen-tuale è molto più elevata rispetto a quella dell’indagine precedente, doveben il 70% degli edili e il 53% dei tessili dichiarava di non aver ricevutonessun tipo di socializzazione ai rischi attinenti il proprio lavoro.

Tra coloro che hanno ricevuto informazione/formazione inadeguata vienesoprattutto sottolineato il problema della lingua, come indica un nostro in-tervistato: dovrebbero fare opuscoli informativi sulla sicurezza scritti nellenostre lingue.

Per quanto riguarda le iniziative legate alla formazione professionale,che risultano fondamentali in modo particolare per i lavoratori stranieri, siaper un processo di socializzazione al lavoro che alla cultura industriale nelsuo complesso, si evidenzia un positivo accrescimento nei livelli di parteci-pazione a corsi di formazione professionale tra gli operai tessili (il 44% deilavoratori del settore contro il 16% del 1999). Praticamente assenti iniziati-ve di questo tipo tra gli edili (4%), in linea con quanto rilevato nell’indagi-ne precedente (3%).

Grafico 4.23PENSANDO AL SUO LAVORO, POTREBBE DIRCI SE LE CAPITA DI …

24%

40%

0% 10% 20% 30% 40%

Edili

Tessili

Avere paura di un incidente sul lavoro

30%

36%

0% 10% 20% 30% 40%

Edili

Tessili

Temere di prendere in futuro malattie professionali

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Grafico 4.24NEL SUO ATTUALE LAVORO HA RICEVUTO QUALCHE TIPO DI FORMAZIONE/INFORMAZIONE

SULLA SICUREZZA DEL LAVORO?

Grafico 4.25È SOTTOPOSTO ALLE VISITE PERIODICHE PREVISTE PER OBBLIGO DI LEGGE IN MATERIA

DI MALATTIE PROFESSIONALI?Confronto indagine 1999 e indagine 2004

INDAGINE 2004 INDAGINE 1999

17%

70%

73%

22%

10%

8%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Tessili

Edili

No Sì, adeguata Sì, ma insufficiente

Relativamente invece alle visite periodiche previste per obbligo di leggein materia di malattie professionali (Graf. 4.25), si evidenzia una situazionecomplessivamente positiva per tessili, tra i quali l’88% risponde positiva-mente, mentre si segnala una condizione svantaggiata per gli edili, tra iquali tale percentuale scende al 60%.

12%

40%

88%

60%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Tessili

Edili

21%

56%

79%

44%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Tessili

Edili

No Sì

Rispetto alla situazione rilevata nel 1999 tra gli stranieri si registra co-munque un significativo aumento di coloro che sono stati sottoposti a visitemediche.

È stata inoltre valutata la percezione che i lavoratori hanno della culturadella sicurezza nel proprio ambiente di lavoro. La cultura della sicurezza èpositiva quando i lavoratori percepiscono che la sicurezza sia un valorechiave dell’organizzazione, quando cioè sono possibili, al riguardo, comu-nicazioni con i propri superiori fondate su una reciproca fiducia e su perce-zioni condivise riguardo all’importanza della sicurezza e all’efficacia dellemisure preventive. A questo proposito emergono risultati sconcertanti, chemostrano come, nonostante nelle imprese sia stata abbastanza diffusa laproduzione di procedure e manuali come previsto dalla legge (Giovani,2000), questo non abbia modificato in profondità il ‘clima’ della sicurezzaall’interno delle aziende. Basti pensare che, tra gli stranieri, solamente il14% degli operai del tessile e il 17% degli edili dichiara di rifiutare una

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mansione, se ritenuta pericolosa. Tali percentuali appaiono particolarmenteimpressionanti soprattutto se confrontate con i risultati dell’indagine prece-dente, tra i quali quote molto più elevate di tessili, ma anche di edili risulta-vano avere la possibilità di rifiutare un incarico se ritenuto troppo rischio-so75 (Graf. 4.26).

Grafico 4.26LE CAPITA MAI DI RIFIUTARE UNA MANSIONE CHE RITIENE PERICOLOSA?

INDAGINE 2004 INDAGINE 1999

14%

17%

0% 5% 10% 15% 20%

Edili

Tessili

Stranieri

75 Nell’indagine precedente tra i tessili il 56% degli autoctoni e il 21% degli stranieri rifiutavano unamansione se ritenuta troppo pericolosa. Tra gli edili il 38% degli autoctoni e il 33% degli stranieri.76 Gli strumenti di tipo ‘non direttivo’ permettono all’intervistato di manifestare il suo pensiero con ilmassimo di spontaneità e di articolazione, e usando le proprie categorie, schemi di riferimento e prioritàanziché quelli del ricercatore (Russo, Vasta, 1988).77 La vignetta è stata utilizzata da Alberto Marradi in una ricerca sull’Italsider di Taranto, per rilevareindirettamente il grado di sensibilità dei tarantini al problema delle morti ‘bianche’. La vignetta,volutamente ambigua, risultò molto efficace nel fornire indicazioni sulla salienza del problema propo-sto (Russo, Vasta, 1988). In effetti solo il 53% dei soggetti individuò nel disegno un incidente sullavoro. I risultati della nostra indagine, se confrontati con quelli di Taranto, mostrano una fortissimasensibilizzazione -che in parte può essere attribuibile all’oggetto stesso dell’intervista- al problema.

56%

38%

21%

33%

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60%

Edili

Tessili

Autoctoni Stranieri

Per indagare su argomenti particolarmente delicati e di difficile rilevazionetramite domanda diretta, come la presenza di una cultura di responsabilità edi auto tutela della propria incolumità fisica e morale, impossibili da rileva-re tramite domande chiuse, abbiamo ritenuto indispensabile integrare il que-stionario con strumenti ‘non direttivi’76.

Seguendo una consolidata tradizione di ricerca sui valori (Marradi, 1996),il questionario è stato integrato con una vignetta che mostra un operaio di-steso a terra sotto dei tralicci77.

Quasi la totalità dei lavoratori intervistati (il 90% dei tessili e l’87%degli edili) ha identificato nella figura un infortunio sul lavoro. Anche inquesto caso risulta positivo il confronto con l’indagine precedente, dove il18% degli operai edili e l’11% dei tessili non coglieva il contenuto dellavignetta.

Gli intervistati, commentando la vignetta, hanno, nella gran parte deicasi, spontaneamente dichiarato di chi secondo loro era la responsabilitàdell’incidente, con differenze di rilievo tra i due gruppi. Tra gli edili si rile-va una percentuale più elevata di quanti tendono ad addossare la responsa-bilità all’azienda, probabilmente in virtù delle condizioni di lavoro partico-larmente problematiche a cui sono sottoposti: il 40% contro il 24% dei tes-

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sili. Non ci sono differenze di rilevo tra i due gruppi invece per quantoriguarda l’attribuzione di responsabilità all’operaio: 22% dei tessili e 23%degli edili.

Tra i tessili è più elevata la percentuale di coloro che attribuiscono laresponsabilità sia al lavoratore, sia all’impresa, e di coloro che non attribui-scono nessuna responsabilità, fenomeno facilmente attribuibile alla mag-giore distanza dell’immagine rappresentata rispetto al mondo vitale deglioperai tessili. Gli operai dell’edilizia, in quanto più esposti a questo tipo dirischio, tendono, ovviamente, a cogliere la salienza della vignetta mostran-do, in tal senso, una maggiore sensibilizzazione al problema.

Interessanti sono anche i commenti fatti liberamente alla vignetta dacui, in molti casi, emerge tutta la drammaticità delle condizioni lavorative edi vita degli stranieri:• un morto perché c’è crisi e si è ucciso; oppure forse è caduto dall’alto;• è un muratore caduto dall’impalcatura; le ragioni possono essere per-

ché mancava la sicurezza sul ponteggio, oppure era stanco perché illavoro è faticoso e aveva fatto troppe ore di straordinario;

• è uno morto in un cantiere, perché è caduto. È uno stupido, perché nonaveva indossato il casco e scarpe apposta per il lavoro;

• è uno che dorme per strada, o forse è morto per malattia o per problemidi lavoro da quando è arrivato in Italia;

• probabilmente non sono state rispettate le misure di sicurezza, oppure èstato forzato a fare il lavoro, magari nel giorno di festa, quindi era stan-co e distratto. Ci sono situazioni in cui noi immigrati siamo forzati,messi sotto pressione, perché magari siamo anche più deboli contrat-tualmente (fa riferimento alle situazioni non regolari, di mancanza deidocumenti);

• quando non si ha confidenza con le macchine (operaio tessile che ripor-ta la vignetta alla sua situazione) è pericoloso. Ci vogliono almeno 2-3settimane di apprendimento, altrimenti ci si infortuna;

• succede per la furia di guadagnare: ti pagano a lavoro 5 milioni peruna ristrutturazione, tiri a farlo in una settimana per guadagnare il mas-simo, non pensando alla sicurezza. Purtroppo noi dipendenti dobbiamolavorare come pretendono i titolari, devi adattarti.Tra la popolazione straniera ha subito almeno un infortunio, nel corso

della vita professionale, il 32% degli operai del tessile (contro il 30% del-l’indagine precedente) e il 33% di quelli dell’edilizia (contro il 37% del-l’indagine precedente).

Non deve stupire il fatto che tali percentuali siano più basse rispetto aquelle rilevate nell’indagine precedente tra gli autoctoni -64% di infortunie 30% di malattie professionali sono state registrate tra gli edili; 49% diinfortuni e 17% di malattie professionali tra i tessili- in quanto gli immigra-ti che abbiamo intervistato sono mediamente molto più giovani e la lorovita professionale in fabbrica molto più breve, di conseguenza hanno sicu-ramente avuto minori occasioni di infortunio.

Nel tessile gli infortuni riguardano prevalentemente gli arti. In partico-lare, si tratta di tagli alle mani degli operai che lavorano alla ciniglia e uti-lizzano le forbici, dovuti essenzialmente a distrazione o a necessità di tene-

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re ritmi sostenuti di lavoro, perché -come fa notare un operaio pakistanoaddetto alla ciniglia- tra un compito e l’altro ci sono tempi molto brevi ebisogna cercare di essere il più rapidi possibile.

Altri infortuni hanno comportato contusioni, schiacciamenti, fratture odolori da sforzo.

C’è anche il caso di un tintore marocchino che ha inalato sostanze noci-ve che gli hanno provocato un’infezione renale irreversibile.

Nel caso degli edili gli infortuni riguardano per lo più cadute dall’altodovute soprattutto all’assenza di misure di sicurezza; esemplare l’esperien-za di un lavoratore rumeno: quando lavori ai piani alti lavori su delle tavo-le di legno e in quel caso una era rotta, l’altra mancava e non c’era prote-zione, così ho perso l’equilibrio e sono caduto da oltre 3 metri. Il datore dilavoro non mi voleva portare in ospedale per paura dei controlli. Altri in-fortuni descritti sono avvenuti per cadute di oggetti dall’alto, schiacciamentidi dita-arti, tagli.

Agli intervistati è stato domandato quali fossero secondo loro le princi-pali cause di infortunio in azienda.

Come mostra il Grafico 4.27, per i tessili tra le cause di infortunio piùsentite risultano le sostanze e/o i macchinari usati nella lavorazione (34%)e la disattenzione da parte dei lavoratori (22%). Per gli edili le principalicause di infortunio sul lavoro sono risultate essere: la disattenzione da partedei lavoratori (27%); il mancato utilizzo dei mezzi di protezione individua-le (17%) e la scarsa manutenzione degli impianti (17%).

Grafico 4.27PENSANDO AL LAVORO CHE FA POTREBBE DIRCI QUALI SONO, SECONDO LEI,

LE PRINCIPALI CAUSE DI INFORTUNIO IN AZIENDA? PRIMA CAUSA

3%

7%

3%

13%

17%

17%

13%

27%

2%

10%

8%

2%

34%

6%

6%

4%

6%

22%

0% 8% 16% 24% 32% 40%

Nessuno, non ci sono pericoli

Eccessivi ritmi/carichi di lavoro, orari troppo lunghi

Inesperienza

L'ambiente (poca luce, troppo rumore, troppo caldo)

Sostanze e/o macchinari usati nella lavorazione

Insufficienza dei mezzi di protezione

Scarsa manutenzione impianti

Ripetitività del lavoro

Mancato utilizzo dei mezzi di protezione individuali

Scarsa informazione/formazione sulla prevenzione e sui rischi

Cause accidentali (fatalità)

Disattenzione da parte dei lavoratori

Tessili

Edili

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Agli intervistati è stato inoltre domandato se avessero o meno la perce-zione che i lavoratori stranieri fossero più esposti al rischio di infortunirispetto ai lavoratori del luogo.

Una percentuale elevata, soprattutto dei tessili (54% contro il 40% degliedili), si ritiene esposta a rischi particolari di infortunio rispetto ai lavorato-ri autoctoni.

Le motivazioni sono ricondotte al fatto che gli stranieri si sentono, in uncerto senso, costretti ad accettare qualsiasi mansione pur di lavorare; sonodestinati a fare lavori più pesanti e rischiosi; sono meno esperti e non cono-scono la lingua; sono meno socializzati/informati rispetto ai lavori che fan-no. Inoltre, come ha sottolineato un operaio tessitore albanese: per noi vabene lavorare anche 18 ore. Noi stiamo qui per lavorare e ci costa moltostare qui. Un anno fa lavoravo 12 ore il giorno con straordinari il sabato ela domenica. Se ora non si fanno straordinari è perché non c’è più lavoro.Anche una maggiore esposizione a turni e ritmi massacranti, è noto, esponemaggiormente al rischio di infortunio.

Sembra dunque che una elevata percentuale di stranieri intervistati siatristemente consapevole di essere manodopera da sfruttare, come ben emergedalle parole di questi intervistati:• i datori di lavoro non si comportano con noi come con essere umani, ma

ci trattano come pura forza lavoro;• ci sottopongono a turni di lavoro troppo pressanti e ogni settimana cam-

biano e così uno non può organizzarsi bene la vita. Quando c’è il cam-bio turno tra la notte e la mattina si salta anche la notte di sonno;

• noi siamo sottoposti a turni stressanti e siamo molto pressati; se c’èqualcosa che non va nel prodotto, bisogna correre molto;

• all’inizio, quando non si ha il permesso di soggiorno, bisogna accettarequalsiasi lavoro e le condizioni che vengono imposte. Spesso si lavorasenza protezioni, ma non possiamo rifiutarci;

• apparentemente non sembra, ma qui ci sono pochi italiani perché il la-voro è mal pagato. Mentre gli italiani si informano e protestano, lo stra-niero non sa, fa di tutto e non protesta;

• dobbiamo guadagnare di più per mantenerci qui e mandare i soldi acasa e quindi facciamo tutto, anche i lavori più rischiosi e a ritmi piùsostenuti;

• lavoriamo in condizioni difficili, spesso senza assicurazione. Il lavoro èpiù incerto, la situazione più precaria;

• fanno i lavori più rischiosi e a parità di mansioni lavorano di più, sistancano di più, e non si rifiutano di fare niente.Sono interessanti, a questo proposito, le risposte date alla domanda aperta:

“Quali sono secondo Lei i principali problemi da affrontare per migliorarele condizioni di lavoro degli immigrati”?

Tra le principali problematiche evidenziate troviamo: la necessità dimigliorare le condizioni di lavoro eliminando situazioni di vero e propriosfruttamento; prevedere aiuti nella ricerca del lavoro e della casa; facilitareil rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno.

Vengono inoltre segnalati la necessità di eliminare le discriminazionifavorendo politiche di integrazione (19%) e il problema della formazione(11%) e della conoscenza della lingua e delle leggi italiane (12%) -in quan-

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to troppe persone non capiscono cosa devono fare sul lavoro perché noncapiscono l’italiano.

Un’ulteriore preoccupazione emersa nel corso dell’intervista è la crisidel tessile che sta vivendo il distretto da cui deriva la paura di perdere illavoro e di trovarne uno nuovo, preferibilmente stabile:• ora a Prato c’è la crisi. Se uno perde il lavoro è molto difficile trovarne

uno nuovo, così non è facile cambiare. Mentre prima trovavi subito,adesso non è più così. Per me ora è difficile trovare un altro lavoro,magari in un altro settore, perché non sono competente in altro;

• io conosco bene il lavoro del tessile e faccio un sacco di richieste maora che c’è la crisi, non riesco a trovare niente di stabile e duraturo. Ilcomune dovrebbe aiutarci e tutelarci quando il lavoro è instabile;

• c’è un serio problema per il lavoro, perché in questo momento c’è pocolavoro e noi giriamo in tutte le agenzie (interinali, ndr), ma non trovia-mo lavoro. E se diventiamo disoccupati che cosa facciamo? Nelle aziendenon ci danno lavoro direttamente perché non abbiamo conoscenze di-rette come gli italiani, non abbiamo amici che ci presentano e garanti-scono per noi.Per concludere, ecco le parole di un giovane pakistano che lavora nella

ciniglia che suggerisce: ci vuole maggiore integrazione attraverso corsi dilingua italiana e formazione sul sistema politico, giuridico e amministrati-vo dell’Italia. Per bloccare gli aspetti negativi (come droga, scambi illega-li, prostituzione), talvolta legati all’immigrazione, ci vuole una più forteintegrazione. Bisogna fare qualcosa per limitare lo sfruttamento, facendomagari più controlli per fare rispettare le regole e gli orari. Gli immigratisono costretti a lavorare sempre: uno se si rifiuta di lavorare la domenicaviene licenziato. Poi dovrebbero essere riconosciuti i titoli di studio: sonoingegnere elettronico, ma faccio l’operaio tessile nella speranza di trovarealtro.

4.6Riflessioni finali

Gli immigrati coinvolti nell’indagine sono occupati nel settore tessile e inquello edile in qualità di operai generici, con mansioni scarsamente qualifi-cate, che comportano elevati fattori di disagio e di fatica, che sempre piùspesso vengono rifiutate dalla popolazione locale, in particolare dalla com-ponente giovanile e scolarizzata78. Il lavoro è stato il motivo caratterizzantela scelta di trasferirsi in Italia, mentre l’inserimento a Prato si lega sia allapresenza di una rete di connazionali e conoscenti, sia all’immagine del di-stretto industriale come un luogo ricco di opportunità di lavoro.

Il bisogno di guadagnare, le difficoltà di comunicazione, la mancanzadella famiglia, la scarsità di rapporti sociali e di opportunità appaganti di

78 Gli immigrati extracomunitari si inseriscono nel mercato del lavoro locale, spesso svolgendo i lavoriche le giovani generazioni scolarizzate rifiutano -sia perché cercano un lavoro che soddisfi il loro inte-resse per l’autonomia e la professionalità, sia perché si trovano in una situazione socio-economica chepermette loro di operare una scelta (Giovannini, 1988).

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impiego del tempo libero, sono fattori che favoriscono, almeno per un certoperiodo, l’accettazione di lavori che comportano orari gravosi, come i turninotturni.

A tal proposito si può adottare la tesi della complementarietà del lavoroimmigrato rispetto a quello autoctono elaborata da Ambrosini (1999), cheha coinciso con una situazione di crescente resistenza verso le mansionioperaie più faticose, dequalificate, prive di prospettive di avanzamento.

Al tempo stesso, bisogna comunque evidenziare che, contrariamenteall’idea di una popolazione segnata da una marginalità insuperabile, desti-nata a vivere di espedienti e persino scarsamente propensa alla stabilizzazioneoccupazionale, i risultati della rilevazione dicono chiaramente che i sogget-ti più stabili e inseriti nel sistema locale da ormai diversi anni, in particolaregli operai del tessile, ma anche quote rilevanti di edili, sono in gran parteregolarmente inseriti nel lavoro e il loro progetto migratorio prevede, per lamaggioranza, di restare in Italia.

Nonostante gli stessi intervistati siano consapevoli, e spesso lo sottoli-neano, che vengono loro riservati i lavori meno graditi; non emergono giu-dizi negativi sulla attuale condizione lavorativa.

Una valutazione complessivamente positiva dei vari aspetti del propriolavoro (dalle relazioni con colleghi e superiori alla retribuzione), nonostan-te il tipo di mansioni svolte, risulta presumibilmente influenzata dal tipo diaspirazioni nei confronti della qualità del lavoro, radicalmente diverse daquella della nostra manodopera. Non bisogna dimenticare che i nostri im-migrati hanno lasciato il loro paese, sopportando sacrifici e privazioni diffi-cilmente immaginabili, per avere un reddito dignitoso con cui mantenere sée la propria famiglia. Il trasferimento in occupazioni relativamente stabili,di tipo industriale, con paghe modeste ma confrontabili con quelle deglioperai locali, rappresenta perciò un sostanziale passo in avanti all’internodel loro percorso migratorio ed essi tendono quindi a valutare positivamen-te la attuale situazione lavorativa. In un panorama in cui prevalgono netta-mente posizioni lavorative scarsamente qualificate, nonostante l’elevato li-vello di scolarizzazione dichiarato, il posto in fabbrica sembra rappresenta-re comunque un traguardo ambito.

Uno degli obiettivi conoscitivi prioritari dell’indagine era quello di ana-lizzare lo stato della salute e della sicurezza sul lavoro a Prato nei settoriproduttivi oggetto di indagine (tessile e edilizia), secondo il punto di vistadella popolazione straniera che in tali settori opera. Tali risultati, dove pos-sibile, sono stati confrontati con quelli emersi da un’indagine analoga, con-dotta a Prato nel 1999, su un gruppo di lavoratori, autoctoni e stranieri, deltessile e dell’edilizia (Giovani, 2000).

Il confronto con l’indagine precedente mostra che tra i lavoratori stra-nieri si è in presenza di un’accresciuta consapevolezza dei rischi attinenti alproprio lavoro, grazie anche a diffuse iniziative sul territorio di formazio-ne/informazione sui rischi sul lavoro.

Prato, da questo punto di vista, si conferma infatti come zona di eccel-lenza, dove è emersa una più diffusa conoscenza della normativa (69% controil 62% di S. Croce e il 48% di Arezzo) e maggiori opportunità formativesulla sicurezza sul lavoro (71% contro il 56% di S. Croce e il 40% di Arezzo).Ciononostante non è ancora stato colmato il gap con i lavoratori autoctoni,

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che manifestarono nella precedente indagine una maggiore conoscenza dellanormativa e più elevata percezione dei rischi sul lavoro.

A questo proposito possiamo ipotizzare che gli stranieri abbiano mag-giori opportunità di lavoro in aziende dove c’è una minore attenzione ri-guardo agli aspetti relativi a salute e sicurezza sul lavoro. Oppure, visto chele risposte alle domande analizzate non rappresentano una fotografia dellarealtà aziendale, ma verificano piuttosto la conoscenza dei lavoratori, que-sto può significare la presenza di particolari carenze informative nei con-fronti dei lavoratori stranieri. Dato che manifesta, comunque, la carenza diuno degli obiettivi principali del D.Lgs. 626/94, che è proprio la diffusionedell’informazione.

Sembra inoltre che l’accrescimento nella società locale di informazionie conoscenza relativi alla salute sul lavoro non abbia modificato in profon-dità la cultura della sicurezza internamente alle impresa, come parrebberoindicare le difficoltà crescenti tra i lavoratori di rifiutare mansioni ritenutepericolose.

Questo apparente paradosso potrebbe essere interpretato con il fatto chesicuramente nel distretto industriale pratese siamo in presenza di un positi-vo impatto della normativa, facilitato dalla presenza di un clima collaborativotra le parti sociali che, tradizionale risorsa per la società locale, ha compor-tato una notevole mobilitazione sul tema della formazione e dell’informa-zione, raggiungendo risultati di rilievo non solo per i lavoratori autoctonima anche per gli stranieri. Al tempo stesso non sembra essersi verificato unmutamento delle culture al riguardo nei diversi rami dell’organizzazionedell’impresa, cambiamento reso probabilmente più problematico anche dalmomento di crisi attraversato dal distretto pratese, che sicuramente ha resopiù difficile ai lavoratori, sottoposti al rischio di riduzione del personale,potersi permetter il lusso di dire di no, anche di fronte al pericolo.

Infine, gran parte degli stranieri intervistati dichiara di sentirsi “mano-dopera da sfruttare”, in quanto i datori di lavoro sembrano approfittare del-lo stato di bisogno dei lavoratori stranieri, facendogli fare i lavori più pe-santi e sottoponendoli a turni che gli italiani non accetterebbero mai, cometestimoniano le parole degli intervistati che in alcuni casi segnalano situa-zioni di vero e proprio degrado in cui, oltre ad approfittarsi della condizio-ne di oggettiva debolezza in cui si trovano questi lavoratori, si riserva loroun vero e proprio trattamento discriminatorio.

Abbiamo visto infatti che il bisogno di guadagnare, le difficoltà di co-municazione, la carenza di rapporti sociali e occasioni di svago nel tempolibero, sono fattori che possono favorire l’accettazione a ricoprire mansionifaticose, dequalificate e con pesanti turni di lavoro.

Bisogna inoltre tenere presente che i disagi principali degli intervistatitendono a collocarsi anche al di fuori dell’ambiente lavorativo79. Ilreperimento di una abitazione dignitosa e soprattutto ad un costo sopporta-bile rappresenta indubbiamente una delle principali aspirazioni degli immi-grati, e si pone molto spesso come la naturale premessa (talvolta come un

79 Per un approfondimento relativo alle condizioni di vita degli immigrati rimandiamo al più ampio rap-porto di ricerca “L’immigrazione in Toscana. Condizioni di vita e di lavoro in tre distretti industriali” chesarà pubblicato nella Collana Lavoro - Studi e Ricerche presso Edizioni PLUS Università di Pisa.

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vero e proprio vincolo) per il loro effettivo inserimento nel tessuto econo-mico e sociale dell’area ospitante.

Gran parte degli immigrati ha di fatto superato lo scoglio della primaaccoglienza. L’82% degli intervistati alloggia in una casa in affitto e il 14%in una casa di proprietà (contro il 3% dell’indagine precedente). Tale datoappare in linea con le realtà ‘migliori’ rilevate da varie ricerche condotte inItalia che indicano tra il 60% e l’80% la proporzione di coloro che trovanosistemazione in qualche forma di mercato. Il problema sembra riguardarepiuttosto l’accesso al mercato in condizioni di parità con l’utenza italiana.La casa è infatti uno dei beni in cui l’utenza straniera risulta troppo spessoessere discriminata pagando per alloggi di analoga qualità un prezzo piùalto rispetto agli italiani (Zincone, 2000, pag. 89), il che costringe in molticasi a convivenze con parenti e amici della stessa nazionalità.

L’analisi dei progetti migratori suggerisce un’ultima considerazione. Iperiodi di permanenza previsti non sono di breve periodo, e richiedono chevengano poste in atto misure di accoglienza adeguate.

Emerge quindi l’esigenza di un approccio globale al fenomeno migratorioche deve essere vissuto non come ‘emergenza’, cui rispondere in chiavepuramente assistenziale, ma guardando alla complessità delle trasforma-zioni prodotte, alla reciprocità dei processi di interazione tra la popolazioneimmigrata e la popolazione locale, alla articolazione dei bisogni e delledomande (casa, lavoro, formazione, cultura, convivenza e comunicazionetra le diversità) che sollecitano l’elaborazione a tutto campo di nuove poli-tiche sociali, formative e educative che dialoghino tra di loro.

Da questo punto di vista, un serio impegno nella formazione linguistica,culturale e professionale, un prolungamento nei periodi di prova, una parti-colare attenzione alla fase di inserimento e alla informazione e formazionerelativa ai rischi connessi all’ambiente e al posto di lavoro, alle istruzionirelative all’uso adeguato dei macchinari o degli attrezzi, sembrano rappre-sentare misure necessarie per diminuire il livello dei rischi sul lavoro. Van-no inoltre individuate le aree di priorità formativa che dovranno rispecchia-re la specificità dei soggetti coinvolti e dei loro progetti migratori (lavora-tori adulti, giovani, donne, minori nati in Italia, immigrati in età scolare,ecc.) poiché la formazione non può essere intesa solo come alfabetizzazioneo preparazione al lavoro, ma come un processo complessivo per acquisirela possibilità di orientarsi e la capacità di scegliere in contesti sociali e cul-turali diversi da quelli di appartenenza.

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5.IL CASO S. CROCE

5.1L’immigrazione straniera nel distretto industriale di S. Croce

• L’evoluzione socio-demograficaL’aumento della presenza straniera nella provincia di Pisa relativa ai soggior-nanti tra il 2003 e il 2002 è pari a +42%, dato su cui pesa il numero deiregolarizzati (nel 2002 l’aumento rispetto al 2001 era stato comunque di+15%). Il numero di permessi rilasciati a fine 2003 è di 16.082 (nel 2002, erano11.344, quindi si ha un aumento netto di 4.738 permessi). Difficile pensare adun andamento radicalmente diverso nel distretto di S. Croce, che nella provin-cia pisana rappresenta una delle zone a maggiore vocazione industriale.

I risultati della regolarizzazione 2002 -sempre a livello provinciale- collo-cano Pisa come il quarto territorio per numerosità delle domande presentate(più di 4.000, il 7,9% del totale delle domande presentate in regione), dopoFirenze, Prato e Arezzo; contrariamente a quanto accade nella media regiona-le, le domande per la sanatoria lavoro domestico/assistenza sono più di quelleavanzate per la regolarizzazione per lavoro subordinato, un risultato che po-trebbe essersi riverberato in qualche misura anche nel Valdarno Inferiore seb-bene, per le caratteristiche del tessuto produttivo del territorio, difficilmente visarà un effetto rilevante sul rapporto soggiornanti uomini/donne, con i primiche continueranno ad essere largamente maggioritari80 come anche i dati suiresidenti dimostrano.

All’interno del territorio provinciale, il Valdarno Inferiore si caratteriz-za per un’elevata presenza di stranieri residenti: 3.285 persone che rappre-sentano il 5% della popolazione residente (sopra il dato toscano, pari al4,6%), con un aumento di 754 residenti dal 2002 al 2003, quasi un terzo deltotale. Per il 33% gli immigrati si concentrano a San Miniato, in misuratuttavia inferiore rispetto alla distribuzione della popolazione; al contrario,i migranti risultano sovrarappresentati rispetto alla popolazione complessi-va soprattutto a S. Croce, ed anche a S. Maria a Monte (Tab. 5.1).

In particolare dall’inizio dello scorso decennio, si registra un sensibileincremento della presenza di cittadini stranieri che, partendo da valori infe-riori all’1%, arrivano a rappresentare come detto quasi il 5% sulla popola-zione complessivamente residente nell’area.

Guardando alle nazionalità di provenienza, si nota la prevalenza di gruppidall’Europa dell’Est (in particolare albanesi e rumeni), cui seguono gli afri-

80 In effetti, dalle anagrafi comunali risulterebbe un salto in avanti della presenza di donne provenienti inspecial modo dall’Europa dell’Est, la cui occupazione è presumibilmente il lavoro domestico e l’assi-stenza alla persona.

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cani (senegalesi e marocchini in netta prevalenza) e, infine, quote decisa-mente più ridotte di immigrati provenienti dall’Asia e dall’America Meri-dionale. Tra quest’ultimi gruppi nazionali, solo Filippine e Cina denotanouna qualche rilevanza numerica.

La composizione per genere risulta fortemente sbilanciata, con una net-ta prevalenza della componente maschile: il tasso di femminilizzazione trai residenti è del 39% e non risulta variato dal 2003 al 2002; si tratta di unvalore tra i più bassi dell’intera regione, risultato della prevalenza di gruppietnici a forte predominanza maschile, a partire dai senegalesi dove la quotadi donne è inferiore al 10%. In alcune comunità sta comunque verificando-si una tendenza alla riduzione degli squilibri di genere, indizio dellastabilizzazione che va orientando gli esiti degli iter migratori di quasi tutti igruppi nazionali presenti, fatta eccezione per i membri della comunitàsenegalese, i cui progetti oscillano tra la decisa volontà di ritorno in patria eil differimento nel tempo di questo obiettivo.

Accanto alla “normalizzazione” rispetto al genere della popolazioneimmigrata, anche il numero delle nascite di bambini stranieri e il numero diminori residenti possono essere considerati alcuni dei più importanti indi-catori di stabilizzazione dei flussi migratori sul territorio, che anche in que-sto contesto è superiore ormai al 20% del totale degli stranieri.

• La cittadinanza economicaLe caratteristiche dell’inserimento di cittadini immigrati nel Valdarno Infe-riore sono incomprensibili senza fare riferimento alle peculiarità della strut-tura economica del territorio, quindi del distretto industriale conciario; cosìforte d’altro canto è la compenetrazione tra società locale e tessuto produt-tivo da fare dire ad alcuni che “la cultura della concia, nella realtàcomprensoriale, è un aspetto fondamentale della vita sociale e produttiva diquesta comunità antropica” (Bortolotti, Casai, 1994). L’incontro tra domandae offerta di lavoro immigrata appare ad una prima lettura più semplice chein altri sistemi locali della regione, in quanto comprende fattori tra lorocomplementari e dunque interpretabili con il modello dell’economia politi-ca delle migrazioni: il forte orientamento al lavoro da parte degli immigra-ti, la loro disponibilità e capacità, ma anche la necessità di adattamento allecondizioni e ai lavori offerti trovano riscontro in una domanda di lavoro

Tabella 5.1STRANIERI RESIDENTI NEI COMUNI DEL VALDARNO INFERIORE (31/12/2000)

Zona Popolaz. Popolaz. Var. % Distrib. % Totale Distrib. % Incid. %straniera straniera 2003-2002 stranieri popolazione totale stranieri suresidente residente popolaz. residenti residente popolazione totale

2002 2003 straniera residente popolazioneresidente residente

Castelfranco di Sotto 440 553 25,7 16,8 11.720 18,0 4,7Montopoli in Val d’Arno 232 320 37,9 9,7 10.063 15,4 3,2San Miniato 849 1093 28,7 33,3 26.787 41,1 4,1S. Croce 770 978 27,0 29,8 12.646 19,4 7,7Santa Maria a Monte 240 341 42,1 10,4 4.031 6,2 8,5Valdarno Inferiore 2.531 3285 29,8 100,0 65.247 100,0 5,0

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT

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crescente, proveniente dalle imprese locali e dalle famiglie -non soddisfattadalle scelte e dalle aspirazioni dei lavoratori autoctoni- che alimenta le op-portunità occupazionali degli immigrati (Savino, 2004).

Considerando ancora una volta i diversi modelli idealtipici di impiegodel lavoro immigrato in Italia e in Toscana (Ambrosini, 2001), il sistemaeconomico locale di S. Croce rientra a pieno titolo nel modello definitodell’industria diffusa, che richiede immigrati (soprattutto maschi) come ma-nodopera relativamente stabile, in primo luogo per le attività manifatturiereed edili. Si tratta, in generale, di lavori esecutivi con contenuti professionaliabbastanza tradizionali e non particolarmente specifici, ma che comunquerappresentano attività “strutturali” per il ciclo produttivo dell’industria lo-cale. Sebbene nel distretto conciario una discreta quota di immigrati vengaavviata con contratti standard (oltre 1/3) e i lavoratori stranieri risultinosovrarappresentati tra gli avviamenti a tempo indeterminato rispetto agliautoctoni (rispettivamente 36,4% e 35,1%), c’è comunque da rilevare nelperiodo più recente un forte incremento nella diffusione di tipologie con-trattuali atipiche nell’area in generale e nello specifico nella componentestraniera della manodopera locale.

Come si è già fatto notare, il modello di inserimento occupazionale è soloapparentemente lineare; infatti, il funzionamento di questo modello pone unaserie di problemi e mette in luce importanti contraddizioni, a partire dal fattoche in non pochi casi gli immigrati impiegati nelle aziende locali e presso lefamiglie, con mansioni e ruoli prevalentemente dequalificati, sono persone conbuoni livelli di istruzione, costretti a subire un elevato gap tra le credenzialieducative possedute e lo status professionale attuale.

Nel corso del 2002 sono stati registrati dal Centro per l’impiego di S.Croce oltre 12mila avviamenti, di cui circa il 18% (poco più di 1.100 invalore assoluto) rappresentati da assunzioni di lavoratori immigrati, un datoquesto che distingue nettamente il distretto dalla dinamica media provin-ciale (11,4%) e dagli altri Centri per l’impiego pisani.

In particolare, gli avviamenti che hanno coinvolto i lavoratori stranierisono cresciuti del 52,7% tra il 2000 e il 2001; del 12% tra il 2001 e il 2002,mentre tra il 2002 e il 2003 (primo semestre) si registra una sensibile con-trazione (pari a -46,3%), che riporta il dato attorno ai mille avviamenti, erappresenta quindi un tasso di variazione negativo derivante dallo stato disofferenza dell’economia locale in questa fase. Ciò detto, l’incidenza per-centuale dei lavoratori stranieri sul totale non accenna a diminuire, anzi siaccresce, passando dal 15% del 2000 a quasi il 18% del 2002.

Considerando l’analisi per nazionalità, il primo elemento che emerge èche quasi il 90% degli avviamenti ha interessato soltanto tre nazionalità: alprimo posto si collocano i lavoratori senegalesi che coprono il 56,8% degliavviamenti, dato in forte crescita nei tre anni esaminati; seguono albanesicon il 9,1% degli avviamenti e i marocchini con l’11,9%.

Le assunzioni di stranieri risultano sovrarappresentate in tutti i singolicomparti della lavorazione conciaria. È nota, in questo settore, la notevolepresenza di manodopera straniera di origine senegalese. La presenza stra-niera è in forte crescita anche tra i collaboratori domestici (in provincia, al31/12/2003 su 100 assunzioni 67 riguardano stranieri - dati Inps), e nel-l’edilizia, dove oltre 2/3 degli avviamenti riguardano stranieri.

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Quanto alla diffusione delle attività domestiche nell’area del Valdarno etra le donne straniere, si tratta di cifre non particolarmente rilevanti, madestinate a ulteriori incrementi considerando il processo di invecchiamentodella popolazione, l’aumento di persone che vivono da sole, e la compres-sione dei servizi pubblici.

5.2Gli infortuni nel distretto conciario

Gli infortuni definiti ed indennizzati del distretto conciario81 rappresentano cir-ca il 2,7% del totale regionale e nel 2001 risultano complessivamente 1404,con un calo dall’anno precedente del 7,3%. Nonostante la flessione generale,che riguarda anche i casi di inabilità permanente (-12%), si registrano 5 inci-denti con conseguenze mortali (+66,7%). Il calo è determinato essenzialmentedalla contrazione degli eventi lesivi dell’industria e dei servizi (-7%), in quantol’agricoltura incide solo nel 3,5% dei casi. Anche in questo settore comunque gliinfortuni, in termini assoluti82, si riducono del 14% nel 2001, anno che però vede,anche in questo ramo d’attività, un infortunio con conseguenze mortali83 (Tab. 5.2).

Tabella 5.2INFORTUNI DEFINITI E INDENNIZZATI TOTALI PER TIPO DI CONSEGUENZA. INDUSTRIA, SERVIZI E AGRICOLTURA

Provincia 2000 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Industria e serviziDistretto S. Croce 1.437 74 3 1.514 1.334 65 5 1.404TOSCANA 53.975 2.461 99 56.535 53.015 2082 103 55.200

AgricolturaDistretto S. Croce 53 4 0 57 48 0 1 49TOSCANA 5.048 391 12 5.451 4.682 251 7 4.940

Fonte: Inail Epinfo

81 Per la ricostruzione del quadro infortunistico del distretto del cuoio si fa riferimento principalmente aidati forniti dal servizio dei flussi informativi gestiti tramite Epinfo disponibili per gli anni 2000 2001,che forniscono informazioni a livello di singolo comune, aggregate successivamente a livello di distret-to. I comuni esaminati sono quelli di Bientina, S. Croce, San Miniato, Castelfranco di Sotto, MonopoliValdarno, Santa Maria a Monte localizzati in provincia di Pisa e Fucecchio in provincia di Firenze.82 Mentre acquistano un peso leggermente maggiore data la maggiore contrazione che si rileva nellaaltre attività produttive.83 Di cui è vittima un lavoratore straniero.84 Il confronto tra i rapporti d’incidenza viene inserito per avere un riferimento approssimativo delrischio infortunistico. L’incidenza (infortuni/addettix1000) è stimata sugli addetti delle imprese assicu-rate, presenti nel database Epinfo.

Non essendo disponibile l’indice di frequenza per livelli sub provincia-li, un’indicazione del rischio viene fornita dall’indice di incidenza calcola-to per l’industria e i servizi (Tab. 5.3), che nel 2001 equivale a 36,2 infortu-nati ogni 1000 addetti (40,9 nel 2000), inferiore al dato regionale di oltre 7punti84. La componente immigrata contribuisce a determinare questo valo-

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re più di quanto accada nelle province toscane: nel 2001, infatti, 5 infortu-nati ogni 1000 addetti risultano nati all’estero85 con il peso degli eventiindennizzati relativo agli stranieri che raggiunge quasi il 14% del totale.

La specializzazione produttiva dell’area è ben visibile anche nei datiinfortunistici concentrati sostanzialmente in un unico settore (Graf. 5.4).Nel caso in esame, un incidente ogni 3, indipendentemente dalla gravità, siverifica nelle attività della concia delle pelli. Circa 1 ogni 6 accade invecenel comparto edile, che ovunque registra elevati indici infortunistici. Le

Tabella 5.3INDICI DI INCIDENZA DEGLI INFORTUNI NELL’INDUSTRIA E SERVIZI

A B C D E F GIncidenza Incidenza Componente Componente Infortuni stranieri Infortuni stranieri

totale 2000 totale 2001 straniera nell’incid. straniera nell’incid. su tot infort. su tot infort.totale 2000 totale 2001 (x 100) 2000 (x100) 2001

Distretto S. Croce 40,93 36,18 4,76 4,98 11,62 13,76TOSCANA 47,74 43,99 3,19 3,44 6,68 7,82

B,C (numero infortuni per 1000 occupati)D,E (numero infortuni stranieri per 1000 addetti)

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

85 Solo Arezzo presenta un dato simile con 4,95 infortunati stranieri per 1000 addetti complessivi. Per ildistretto conciario non è possibile stimare l’indice di incidenza relativo ai lavoratori stranieri -infortunidi extracomunuitari/occupati extracomunitari- (in quanto la Banca dati utilizzata in questa occasione,l’archivio INPS, non disaggrega i dati a livello sub provinciale) (cfr. Cap. 3).

Grafico 5.4DISTRIBUZIONE DEGLI INFORTUNI SETTORE DI ATTIVITÀ. DISTRETTO DI S. CROCE. 2000 E 2001

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail EpinfoSono stati inseriti i settori che concentrano un numero di infortuni maggiore dell’1% evidenziando le attività manifatturiere

con percentuali più elevate

0 20 40 60

Ind. conciaria

Ind. metalli

Ind. meccanica

Altre industrie

TOTALE Manifatt.

Costruzioni

Commercio

Trasporti

Att. immob.

Pubbl. Amm.

Altri servizi pubbl.

2000

2001

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attività di questi due settori concentrano in pratica la metà degli infortuniaccaduti ai lavoratori nel distretto conciario. Oltre a questi il commercio, leattività meccaniche e i trasporti risultano avere un numero di casi sopra il5% del totale.

La lavorazione delle pelli non presenta indici di frequenza infortunisticaparticolarmente rilevanti, risultando tra le attività manifatturiere “meno pe-ricolose”, anche se il valore sintetico non è in grado di evidenziare il ri-schio di alcune fasi produttive che, all’interno del ciclo, presentano livellidi pericolosità più elevati. I dati Inail indicano un indice di frequenza alivello nazionale di 26,82 infortuni per 1000 addetti, che in Toscana scen-dono a 22,84. La provincia di Pisa, che concentrando cinque dei sei comu-ni del distretto può fornire un’indicazione, seppur parziale, della frequenzainfortunistica dell’area in esame, mostra un valore del rapporto di oltre 6punti maggiore (29,2) del dato regionale (Tab. 5.5).

Tabella 5.5INDICI DI FREQUENZA RELATIVA NEL SETTORE CONCIARIO

Media anni 1999-2001

Provincia Invalidità Invalidità Morte TOTALEtemporanea permamente

Pisa 27,08 2,08 0,03 29,19TOSCANA 21,31 1,50 0,02 22,84ITALIA 25,37 1,42 0,03 26,82

Fonte: Banca dati Inail

Alla specializzazione produttiva si accompagna una specializzazione ditipo etnica che a sua volta si riflette nel quadro infortunistico del distretto.Tra i molti immigrati occupati nelle attività conciarie, emerge in particola-re il caso dei lavoratori senegalesi, in larga parte inseriti nelle prime fasidel ciclo produttivo (ritenute le più faticose e meno qualificate). I dati sugliinfortuni accaduti nel 2001 nel settore, distinti per nazionalità, segnalanoche il 20% (85 su 440) dei casi ha interessato persone nate all’estero ed il7% (34 su un totale di 440) riguarda proprio lavoratori senegalesi, vittimedel 40% degli eventi accaduti a stranieri nel settore. Le altre nazionalitàprincipalmente coinvolte sono quella albanese e quella marocchina, chenel 2001 contano rispettivamente 19 e 14 infortuni sul lavoro (il 22,35 e il16,35% dei casi stranieri accaduti nell’attività specifica). L’andamento ge-nerale del settore segnala nel complesso una flessione (-11%) che riguardaanche senegalesi e marocchini (-8% e -12,5%), mentre risultano incontrotendenza gli infortuni di lavoratori albanesi, in aumento del 111%nel biennio osservato. Minoritaria, dal punto di vista infortunistico, la pre-senza di altre nazionalità (Graf. 5.6).

La situazione incontrata nel settore conciario, si riscontra anche a livel-lo generale considerando tutte le attività produttive dell’area del distretto(Graf. 5.7 e Tab . 5.8). Gli immigrati maggiormente coinvolti in incidenti

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Grafico 5.6INFORTUNI DI LAVORATORI STRANIERI NEL SETTORE CONCIARIO. DISTRETTO DI S. CROCE. 2000 E 2001

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

Grafico 5.7INFORTUNI DI LAVORATORI STRANIERI. DISTRETTO DI S. CROCE. 2000 E 2001

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

0 15 30 45

Senegal

Albania

Marocco

Comunitari

Svizzera

Argentina

Jugoslavia

Altri Extracom

2000

2001

0 15 30 45 60 75

Albania

Argentina

Jugoslavia

Marocco

Romania

Senegal

Svizzera

Tunisia

Altre naz. Extracom.

Comunitari

2000

2001

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Tabella 5.9INFORTUNI DEFINITI E INDENNIZZATI A LAVORATORI STRANIERI PER NAZIONALITÀ E TIPO DI CONSEGUENZA

NELL’INDUSTRIA, SERVIZI E AGRICOLTURA. DISTRETTO DI S. CROCE

Nazione 2000 Nazione 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Senegal 47 4 0 51 Senegal 56 2 0 58Marocco 33 1 0 34 Albania 49 3 1 53Albania 23 2 0 25 Marocco 26 0 0 26Svizzera 13 0 0 13 Svizzera 9 0 0 9Argentina 4 0 0 4 Romania 3 1 0 4Jugoslavia 3 0 0 3 Jugoslavia 2 0 0 2Romania 2 1 0 3 Tunisia 2 0 0 2Camerun 2 0 0 2 Venezuela 2 0 0 2Germania Est 2 0 0 2 Argentina 1 0 0 1Tunisia 2 0 0 2 Brasile 1 0 0 1Altre Nazioni 10 2 0 12 Altre Nazioni 8 1 0 9TOT. EXTRACOM. 141 10 0 151 TOT. EXTRACOM. 159 7 1 167Comunitari 21 1 0 22 Comunitari 19 1 0 20TOT. STRANIERI 162 11 0 173 TOT. STRANIERI 178 8 1 187ITALIA 1.272 63 3 1.338 ITALIA 1.153 57 4 1.214Missing* 3 0 0 3 Missing* 3 0 0 3TOTALE 1.437 74 3 1.514 TOTALE 1.334 65 5 1.404

* con Missing si fa riferimento agli infortunati di cui non è stato possibile individuare il luogo di nascita tramite il codice fiscaleFonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

Tabella 5.8INFORTUNI DEFINITI E INDENNIZZATI STRANIERI PER TIPO DI CONSEGUENZE (TUTTI I SETTORI)

2000 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Distretto S. Croce 162 11 0 173 178 8 1 187TOSCANA 3.699 137 9 3.845 4.213 129 6 4.349

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

sul lavoro sono ancora i cittadini di Senegal, Albania e Marocco (73% deicasi stranieri nel 2001). Dal 2000 i casi relativi a persone nate all’esteroaumentano dell’8% (come visto in precedenza a fronte di un calo comples-sivo), con un incremento del 2% del loro peso sul totale generale (da 11,4a 13,3%). Anche in questo caso la componente albanese vede raddoppiareil proprio livello infortunistico (Tabb. 5.9-5.10).

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Tabella 5.10INFORTUNI DEFINITI E INDENNIZZATI A LAVORATORI STRANIERI PER NAZIONALITÀ E TIPO DI CONSEGUENZA NEL

SETTORE CONCIARIO. DISTRETTO DI S. CROCE

Nazione 2000 Nazione 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Senegal 34 3 0 37 Senegal 33 1 0 34Marocco 16 0 0 16 Albania 18 1 0 19Albania 8 1 0 9 Marocco 14 0 0 14Svizzera 4 0 0 4 Gran Bretagna 2 0 0 2Francia 3 0 0 3 Svizzera 2 0 0 2Gran Bretagna 3 0 0 3 Argentina 1 0 0 1Jugoslavia 3 0 0 3 Cuba 1 0 0 1Argentina 2 0 0 2 Estonia 1 0 0 1Germania Ovest 2 0 0 2 Francia 1 0 0 1Cina 0 1 0 1 Germania Ovest 1 0 0 1Tunisia 1 0 0 1 Ghana 1 0 0 1Uzbekistan 1 0 0 1 Jugoslavia 1 0 0 1TOTALE STRANIERI 77 5 0 82 Malta 0 1 0 1ITALIA 395 16 1 412 Portogallo 0 1 0 1Missing* 1 0 0 1 Rep. Sudafricana 1 0 0 1TOTALE 473 21 1 495 Romania 1 0 0 1

Tunisia 1 0 0 1Urss 1 0 0 1Venezuela 1 0 0 1TOTALE STRANIERI 81 4 0 85ITALIA 335 18 1 354Missing* 1 0 0 1TOTALE 417 22 1 440

* con Missing si fa riferimento agli infortunati di cui non è stato possibile individuare il luogo di nascita tramite il codice fiscaleFonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

5.3Gli intervistati

La composizione del campione per nazionalità rispecchia con ragionevoleapprossimazione il quadro complessivo della presenza straniera nell’area:spicca il gruppo senegalese (60%), seguito da marocchini (20%), albanesi(16%) e rumeni (2%). A differenza degli altri contesti territoriali considera-ti nell’indagine, infatti, S. Croce si caratterizza per un numero ridotto dinazionalità presenti ed un’elevata specializzazione etnica nel settore prin-cipale del sistema produttivo locale (l’industria conciaria), dove trovanoampia collocazione soprattutto lavoratori senegalesi.

Il livello di istruzione degli intervistati è mediamente elevato: il 58% haun diploma di scuola media superiore, il 6% la laurea; il 68% dichiara diaver studiato per un periodo di almeno dodici anni, corrispondente ad untipo di formazione analoga ai nostri studi superiori o universitari.

L’anzianità media di soggiorno in Italia e a S. Croce è rispettivamentedi oltre sette anni e di cinque anni, i valori più elevati riscontrati nell’inda-gine, a conferma di quanto il distretto conciario abbia rappresentato in To-scana una delle prime aree di approdo per i flussi migratori provenientidall’estero.

Per quanto concerne l’attuale situazione giuridica, gli intervistati dichia-rano di essere tutti in posizione regolare; la più elevata anzianità di soggior-

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no in Italia spiega anche la significativa incidenza di lavoratori in possessodella carta di soggiorno86 (ben il 20% contro il 15% rilevato tra i lavoratoripratesi e il 6% tra quelli aretini).

Nella letteratura sui movimenti migratori si incontra di frequente l’os-servazione che i migranti di regola non appartengono agli strati sociali piùpoveri e marginali delle società da cui provengono. L’emigrazione apparesemmai come il prodotto di un processo di mobilità territoriale e sociale,che richiede essenzialmente un livello economico e culturale discreto perpotersi realizzare, oltre che la disponibilità di risorse personali e familiarisuperiori alla media: coloro che decidono di emigrare non sono i più pove-ri, indotti da condizioni particolarmente disagiate nel paese di origine, ma èspesso la speranza di miglioramento, il desiderio di raggiungere un più ele-vato tenore di vita a spingere gli individui più dotati.

Gli immigrati subiscono un processo di selezione all’origine, nel sensoche sono le persone più forti ed intraprendenti a scegliere di migrare e quel-le sulle quali spesso la famiglia stessa o la comunità tendono a investire,supportandone il progetto migratorio. E questo risulta tanto più vero quantomaggiore è la lontananza della località di destinazione e quindi più elevati icosti del viaggio.

L’indagine sembra confermare tali osservazioni. I lavoratori di S. Croceprovengono con maggior frequenza -anche rispetto agli immigrati intervi-stati negli altri due distretti toscani- da società caratterizzate da un certogrado di urbanizzazione e industrializzazione; soprattutto tra i senegalesi ilcontesto di provenienza è quello dei grandi centri urbani del proprio paese(in particolare Dakar).

Nel paese d’origine, solo il 4% era disoccupato o in cerca di prima occu-pazione, contro un’ampia maggioranza di occupati (74%), che nel 58% deicasi erano stabili e impiegati con contratti di lavoro formalizzati. A questi siaggiunge un nucleo significativo di studenti (22%), molti dei quali di livel-lo universitario.

Le motivazioni principali che inducono alla migrazione sono, in genere,la ricerca di una situazione economica migliore e la possibilità di mobilitàsociale che ne deriva. Nel nostro campione, infatti, i fattori di carattereeconomico risultano nettamente prevalenti: la maggioranza risponde che lascelta di espatriare è avvenuta in primo luogo per cercare lavoro (54%) oper migliorare la propria situazione economica (36%), mentre residuale èl’incidenza di altri motivi (per conoscere il mondo occidentale, per studio,per essere libero).

La scelta di trasferirsi a S. Croce come prima (o successiva) destinazio-ne del percorso migratorio sembra essere influenzata soprattutto dall’esi-genza di ricostituire legami familiari e/o comunitari a scopo di reciprocaassistenza: gli intervistati hanno scelto il distretto come meta di arrivo inprimo luogo perché c’erano i propri familiari o propri connazionali. Emer-gono in maniera significativa anche i fattori economici, innanzitutto la per-cezione dell’area come una zona ricca di opportunità occupazionali (30%).Inoltre, il 6% dichiara di essersi stabilito nel comprensorio in seguito aduna specifica proposta di lavoro. Evidentemente il distretto conciario sem-

86 Ben il 20% contro il 15% rilevato tra i lavoratori pratesi e il 6% tra quelli aretini.

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bra aver attratto flussi migratori in ingresso anche per l’immagine che hatrasmesso, e che continua a trasmettere, di un mercato di lavoro ricco diopportunità occupazionali.

5.4L’inserimento lavorativo

Come ormai noto in letteratura, l’inserimento degli immigrati nel mercatodel lavoro avviene in maniera sostanzialmente spontanea e deregolata, frut-to dell’incontro tra i fabbisogni professionali delle imprese di lavoratorinon qualificati, e un’offerta di lavoro immigrata caratterizzata da un forteorientamento al lavoro, da elevati livelli di disponibilità e adattamento an-che a condizioni di lavoro disagiate. L’incontro domanda-offerta di lavorosi realizza attraverso il funzionamento di meccanismi di regolazione infor-male e personalistica, incentrati sull’influenza rilevante dei dispositivi dicarattere microsociale (Reyneri, 1996), soprattutto delle reti di matrice et-nica, delle relazioni e delle iniziative locali messe in atto dalle istituzionisolidaristiche autoctone.

Anche nel nostro caso, la maggioranza degli inserimenti è avvenuta per-ché il soggetto si è attivato individualmente oppure attraverso canali infor-mali: il 42% dichiara di aver trovato lavoro grazie all’iniziativa personale,chiedendo in giro, il 24% tramite l’aiuto di connazionali, il 14% tramitefamiliari e parenti, il 10% tramite amici non connazionali o italiani. Deltutto assente nelle risposte dei lavoratori di S. Croce è risultato il Centro perl’impiego, mentre compaiono, seppure in maniera marginale, le agenzieinterinali (10%) (Graf. 5.11).

Grafico 5.11COME HA TROVATO IL SUO ATTUALE LAVORO?

In effetti, soprattutto nelle piccole imprese (dove lavora gran parte delnostro campione) e nei contesti distrettuali, dove sono decisivi i rapporti tradipendenti e imprenditore, è molto frequente che quest’ultimo nella ricerca

Con l'aiuto difamiliari/parenti

14%

Iniziativapersonale/chiedendo

in giro

Agenzia

interinale

10%

Con l’aiuto diamici italiani

8%Con l'aiuto di altriimmigrati nonconnazionali

2%

Con l'aiuto diconnazionali

24%42%

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di nuova manodopera immigrata si affidi maggiormente al giudizio e allamediazione di altri lavoratori stranieri, che già lavoravano con lui o comun-que conosciuti, che non ai canali istituzionali: nel nostro caso ben il 44%degli intervistati aveva già amici e/o parenti che lavoravano in quell’azien-da e che presumibilmente ne hanno “mediato” l’ingresso in fabbrica.

È vero che modalità simili sono molto diffuse anche per la manodoperaautoctona, ma per gli stranieri questi meccanismi determinano alcuni ri-schi: da un lato quello di etichettare gli stranieri secondo stereotipi derivan-ti da esperienze precedenti o informazioni raccolte, dall’altro quello di con-siderare gli immigrati appartenenti a certi gruppi particolarmente adatti asvolgere certi tipi di lavori anziché altri, sulla base di mentalità, competen-ze, attributi culturali che noi attribuiamo loro, consolidando in questo modoprocessi di segregazione etnica, rafforzando la condizione di subalternitàdei lavoratori stranieri e limitando le possibilità di altri spazi lavorativi e lelegittime aspirazioni di promozione professionale e mobilità sociale(Ambrosini, 2001; La Rosa, Zanfrini, 2003).

Nel nostro caso è senza dubbio paradigmatico il caso dei lavoratorisenegalesi che, nell’area di S. Croce, hanno saputo crearsi una loro nicchianell’industria locale, “monopolizzando” dall’inizio degli anni ‘90 l’inseri-mento nelle concerie della zona. Grazie ad una forte etica del lavoro adun’estrema dedizione al lavoro (seppure in molti casi con una forte valenzastrumentale), molto simile nei tratti principali a quella riscontrabile nellearee distrettuali toscane, i senegalesi vengono apprezzati dagli imprenditorilocali in misura maggiore rispetto ad immigrati di altre nazionalità (Ramella,1998; Tonarelli, 2002).

Per quanto concerne i contenuti del lavoro, nella quasi totalità dei casigli intervistati svolgono mansioni scarsamente qualificate, caratterizzate daelevati fattori di disagio, fatica fisica e pericolosità. Sono impiegati preva-lentemente con la qualifica di operaio comune (94%), ai livelli più bassi diinquadramento contrattuale, nelle prime fasi della conciatura delle pelli -peraltro le più faticose e usuranti anche dal punto di vista della salute- ad-detti al bottale, alla rasatrice, alla spaccatrice, alla scarnatrice, alla messa avento ecc., mentre assai ridotti sono i casi di percorsi di carriera ascendenteall’interno dell’azienda o nell’ambito dell’intero ciclo di lavorazione dellapelle: marginale è l’impiego di lavoratori stranieri in aziende operanti nellefasi della rifinizione (laddove presenti si occupano soprattutto dellasforbiciatura, della smerigliatura, della tintura e verniciatura delle pelli) econ livelli superiori di inquadramento contrattuale.

L’impegno lavorativo dal punto di vista temporale risulta essere estre-mamente pesante: poco più della metà degli intervistati ha un orario standarddi 40 ore settimanali, ben il 42% orari di lavoro prolungati (oltre le 40 oresettimanali), a fronte del 27,5% rilevato a Prato e del 36% ad Arezzo, men-tre solo il 6% lavora meno di 35 ore settimanali (Graf. 5.12).

Mentre nell’industria orafa aretina sono presenti esclusivamente orga-nizzazioni tipiche dei tempi lavorativi, caratterizzate da orari normali spez-zati o a giornata, a S. Croce e Prato (soltanto per quanto riguarda i lavorato-ri del tessile) emergono anche modalità diverse. Nell’industria conciariacontinuano a prevalere modalità tipiche di svolgimento del proprio lavoro,caratterizzate da orari normali spezzati: tutti, infatti, dichiarano di lavorare

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sempre (88%) o abitualmente (12%) la mattina e il pomeriggio, sebbenesiano presenti (comunque in misura decisamente inferiore rispetto all’areapratese) casi di persone che lavorano spesso o qualche volta in orari social-mente sgraditi, soprattutto nelle ore serali (38%), ma anche in quelle not-turne (10%), il sabato (54%) o la domenica (10%) (Tab. 5.13).

Grafico 5.12QUANTE ORE LAVORA MEDIAMENTE ALLA SETTIMANA?

Tabella 5.13QUAL È IL SUO ORARIO DI LAVORO?

Sempre Spesso/Qualche volta Mai TOTALEV.a. % V.a. % V.a. % V.a. %

Mattina 44 88,0 6 12,0 - - 50 100,0Pomeriggio 44 88,0 6 12,0 - - 50 100,0Serale (dalle 18) - - 19 38,0 31 62,0 50 100,0Notturno - - 5 10,0 45 90,0 50 100,0Di sabato 2 4,0 25 50,0 23 46,0 50 100,0Di domenica - - 5 10,0 45 90,0 50 100,0

In misura maggiore rispetto agli altri due distretti, nonostante il periododi crisi del settore, le aziende del comprensorio del cuoio sembrano ricorre-re ancora allo strumento degli straordinari. Infatti, la maggioranza degliintervistati dichiara di aver fatto straordinari durante l’ultimo anno, in ma-niera regolare (28%) oppure concentrati in alcuni periodi (30%); il 24% liha svolti solo in maniera saltuaria, il restante 16% mai o quasi mai.

Poco meno della metà dichiara di accettare e svolgere lo straordinariovolentieri (49%), mentre significativa è la quota di coloro che lo fanno soloper bisogno di soldi (27%). Il 12% lo fa perché richiesto dal lavoro. Margi-nali le altre risposte (Graf. 5.14).

I dati fin qui presentati, in merito all’orario di lavoro e allo svolgimentodegli straordinari, avrebbero potuto essere presumibilmente più preoccupanti,se si tiene conto delle attuali difficoltà economiche che l’industria locale staattraversando e che gli stessi intervistati ci hanno ricordato come motivi delladiminuzione delle ore di lavoro, della riduzione degli straordinari, dell’incre-mento dei periodi di cassa integrazione, del maggiore ricorso da parte degli

Oltre 50 ore4%

40 ore52%

Meno di 35 ore6%

da 41 a 50 ore38%

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imprenditori a contratti a termine inferiori ad un anno87. Tutti dichiarano disvolgere il proprio lavoro con un contratto regolare: si tratta essenzialmente diassunzioni a tempo indeterminato (62%), anche se significativa è la quota ditipologie flessibili: il 16% ha un contratto a termine, il 16% è un lavoratoreinterinale, il 6% è socio di una cooperativa (Graf. 5.15).

Grafico 5.14DI FRONTE ALLA RICHIESTA DI STRAORDINARIO, LEI COME REAGISCE?

In generale lo facciovolentieri

49%

Lo facciomalvolentieri, ma mi

obbligano2%

Lo facciomalvolentieri, ma ho

bisogno di soldi27%

Cerco dievitarlo/Non mi

interessa5%

Lo faccio perchèil mio lavoro lo

richiede12%

5%momento

Dipende dal

87 Non a caso il settore conciario rappresenta uno dei settori maggiormente in crisi nell’economia tosca-na: come evidenziato nell’ultimo rapporto IRPET sulla situazione economica toscana (2004), le diffi-coltà più gravi sono state rilevate nei comparti della moda, con una sensibile contrazione del valoreaggiunto prodotto proprio nell’industria del cuoio, pelli e calzature (-11%), con criticità particolarmen-te accentuate nelle piccole imprese artigiane e con profonde ripercussioni a livello territoriale nel siste-ma economico locale del Valdarno Inferiore.Valori simili sono stati rilevati nell’industria orafa; -8% neltessile e abbigliamento.

Grafico 5.15NEL LAVORO CHE SVOLGE ATTUALMENTE IL RAPPORTO DI LAVORO È REGOLATO DA

Contratto a tempoindeterminato

62%

Contratto a tempodeterminato

16%

Contratto di lavorointerinale

16%

Socio di cooperativa6%

Due gli aspetti che meritano di essere sottolineati a questo riguardo. Inprimo luogo, come già evidenziato nella precedente indagine condotta li-vello regionale (Giovani, Valzania, 2003), i mestieri degli immigrati non

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rappresentano, in generale, lavori nuovi, ma si tratta spesso di lavori ordi-nari con contenuti professionali abbastanza tradizionali e non specializzati(finora svolti dagli italiani), ma che comunque rappresentano attività “strut-turali” per il ciclo produttivo dell’industria locale. Questo spiegherebbe l’ele-vata incidenza dei contratti a tempo indeterminato rilevata nel conciario,che trova conferme anche nell’analisi svolta sui dati del Centro per l’impie-go di S. Croce: nel distretto conciario una discreta quota di immigrati ven-gono avviati con contratti standard (oltre 1/3).

Ciononostante c’è da rilevare nel periodo più recente un forte incre-mento nella diffusione di tipologie contrattuali atipiche nell’area in genera-le e nello specifico nella componente straniera della manodopera locale. Lacomposizione degli avviamenti di lavoratori stranieri registrati dal Centroper l’impiego è caratterizzata da un’elevata incidenza di contratti a termine,soprattutto a tempo determinato (quasi il 59% sul totale), che mostranotrend crescenti negli anni più recenti. L’incidenza dei lavoratori stranieririsulta superiore al peso degli stranieri sul totale delle assunzioni sia per icontratti a tempo determinato (20%), che per quelli a tempo indeterminato(18%), ma soprattutto è nel segmento specifico del lavoro interinale dovegli stranieri risultano sovrarappresentati: al 2002 sono stati coinvolti in ol-tre la metà degli avviamenti di questo tipo (53%).

In una situazione di crisi economico-produttiva del distretto dall’inizio diquesto decennio, i lavoratori stranieri sembrano essere quelli maggiormenteesposti rispetto al ricorso sempre più frequente da parte degli imprenditori lo-cali alle diverse tipologie di flessibilità del lavoro per far fronte alle oscillazionidella domanda: soprattutto contratti a termine, lavoro interinale, fino alle for-me più estreme di inserimento nelle cooperative di lavoro; molto meno impie-gati invece i contratti con finalità formative. Inoltre, analizzando la questioneanche dal lato dell’offerta, una progettualità di permanenza a breve termine econ obiettivi definitivi di massima accumulazione e risparmio, che sembraemergere in alcuni gruppi nazionali specifici (ad esempio i senegalesi), puòtrovare una certa funzionalità nella richiesta di impiego con contratti a tempodeterminato, ma soprattutto la necessità di lavorare a tutti i costi rende spessogli immigrati più facilmente vulnerabili e disponibili ad accettare anche impie-ghi a termine (Savino, 2004).

Il secondo aspetto degno di rilievo riguarda l’assenza nel nostro campionedi lavoratori che dichiarano di lavorare a nero (in realtà anche negli altri duedistretti le percentuali sono piuttosto ridotte, 2% ad Arezzo, 10% a Prato).

In primo luogo, c’è da tener presente che in indagini di questo tipo, coninterviste in profondità, che richiedono una certa conoscenza della linguaitaliana da parte dell’intervistato, solitamente risultano più facilmenteraggiungibili gli immigrati inseriti da più tempo nel sistema produttivo emaggiormente integrati nella comunità locale.

In secondo luogo, occorre far riferimento alle caratteristiche economi-che, sociali, culturali proprie del distretto conciario, che sembrano renderepoco vantaggioso il ricorso al lavoro nero sia per la domanda che per l’of-ferta di lavoro. Come rilevato da un’indagine condotta dall’IRPET sul ter-ritorio (Tonarelli, 2002), la compresenza di fattori di natura diversa -nonultimi la fitta rete di controlli ispettivi e il timore per l’elevato rischio diinfortuni e di malattie professionali che caratterizza il lavoro in conceria- se

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da un lato ha contribuito a limitare l’impiego di lavoratori completamenteirregolari, dall’altro non ha eliminato la presenza di forme di lavoro grigio,parzialmente elusive delle normative vigenti (ad esempio straordinari oltrei limiti consentiti dalla legge, pagati generalmente fuori busta, inquadra-menti contrattuali con qualifiche inferiori rispetto alle mansioni effettiva-mente svolte, ecc.), che coinvolgono prevalentemente la manodopera stra-niera e soprattutto senegalese.

La funzionalità dell’impiego della forza lavoro straniera con queste for-me elusive dal lato della domanda, per far fronte ad esempio a particolariesigenze di flessibilità della produzione, si intreccia indissolubilmente coneventuali convenienze/necessità della manodopera straniera. Nelle migra-zioni per motivi di lavoro, particolarmente evidente nel caso dei senegalesi,la temporaneità del progetto migratorio, la prospettiva di tornare comunquein patria, oltre alla presenza di fattori più propriamente culturali88, come ilconcetto di “dignità differita”, fanno sì che l’obiettivo principale del sog-getto rimanga quello di massimizzare i guadagni nel minor tempo possibi-le, anche a costo di accettare lavori dequalificati, usuranti e pericolosi, ri-nunciando a far valere le proprie credenziali educative e le proprie espe-rienze pregresse e mettendo in secondo piano anche altri aspetti del lavoro,come la possibilità di avanzamenti di carriera (Tonarelli, 2002).

Per esempio in molti casi, per poter tornare a casa per lunghi periodi, illavoratore senegalese è disposto a perdere il posto di lavoro (l’unica possi-bilità che gli viene concessa è infatti il licenziamento) e a dover iniziare dacapo la propria carriera una volta rientrato in Italia. Emblematiche al ri-guardo le parole di un nostro intervistato: per poter andare in Senegal misono dovuto licenziare e mi hanno dopo riassunto con un contratto a tempodeterminato per tre mesi, ma la ditta la conosco bene e ci lavoro da moltotempo. Però tutte le volte che voglio andare in Senegal, devo fare così, midevo licenziare, perché non mi danno le ferie.

Evidentemente questa atmosfera di informalità e di reciproca soddisfa-zione tra imprenditori e lavoratori, in cui le esigenze dei primi sembranoconciliarsi con quelle dei secondi, è caratterizzata anche da situazioni forte-mente critiche e forme non secondarie di sfruttamento, su cui, come vedre-mo di seguito, alcune risposte dei nostri intervistati consentono di far luce.

Oltre ad analizzare le caratteristiche dell’inserimento nell’industriaconciaria, l’indagine ha voluto porre l’attenzione anche sui livelli di soddi-sfazione dei lavoratori rispetto all’attuale impiego, sottoponendo alla lorovalutazione alcune dimensioni del lavoro, sia di tipo strumentale (retribu-zione, ambiente di lavoro, orario, ritmi e sicurezza dell’impiego) sia di tiporelazionale del lavoro (rapporti con superiori e colleghi).

La maggioranza degli intervistati valuta in maniera soddisfacente granparte degli aspetti del proprio lavoro. In modo positivo vengono giudicatigli aspetti relazionali del lavoro dalla quasi totalità degli intervistati, inparticolare il rapporto con i colleghi dal 92%, in misura minore quello con

88 Origini culturali diverse possono senza dubbio avere una qualche influenza, ma occorre ricordarecome la cultura debba essere vista come un processo e i percorsi di inserimento sono il prodotto dimolteplici interazioni con la società ospitante. Inoltre, occorre prestare particolare attenzione anche aquelli che sono gli elementi soggettivi che possono differenziare le modalità di rapporto dei soggetticon i contesti di approdo (Mottura, 2002).

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i superiori (70%). Giudizi positivi vengono dati agli orari di lavoro (82%)e all’ambiente di lavoro (84%). Sulle restanti tre dimensioni, pur rimanen-do maggioritarie le valutazioni di segno positivo, aumenta in maniera si-gnificativa l’incidenza di coloro che si dichiarano non soddisfatti: la sicu-rezza dell’impiego viene valutata negativamente dal 36%89; i ritmi di lavo-ro e la retribuzione dal 40% (Graf. 5.16)90.

Grafico 5.16POTREBBE DARE UN GIUDIZIO AI SEGUENTI ASPETTI DEL SUO LAVORO?

70%

92%

82%

60%

56%

84%

36%

26%

6%

18%

40%

40%

14%

4%

2%

4%

2%

62% 2%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Sicurezza dell'impiego

Rapporto con i superiori

Rapporto con i colleghi

Orari di lavoro, turni

Ritmo di lavoro

Retribuzione

Ambiente di lavoro

Giudizio Positivo Giudizio Negativo Non sa/N.r./ Inapplicabile

89 Non a caso il distretto di S. Croce si distingue rispetto alle altre due aree indagate per l’incidenzamaggiore di contratti a termine, interinali e soci di cooperative (complessivamente il 38%, contro il20% rilevato a Prato e il 12% ad Arezzo), ovvero le tipologie meno stabilizzanti nel quadro degli stru-menti contrattuali flessibili a disposizione degli imprenditori.90 Mediamente i lavoratori della concia dichiarano un reddito mensile di 1.016 euro, in linea con quellorilevato tra i lavoratori pratesi (1.015 euro) e al di sopra dei livelli percepiti dai lavoratori dell’orafoaretino (858 euro).

Seppure l’inclinazione all’adattamento e la propensione all’accettazio-ne di condizioni di lavoro anche faticose, pericolose e precarie per necessi-tà economiche aiutino a spiegare giudizi complessivi di soddisfazione ri-spetto al proprio lavoro, tuttavia dall’analisi dei dati sembrano emergere daparte degli intervistati anche importanti tensioni al cambiamento e al mi-glioramento della propria posizione professionale.

Nonostante una valutazione complessivamente positiva della situazionelavorativa, alla domanda “vorrebbe cambiare lavoro?” (Graf. 5.17), il 70%risponde positivamente (contro il 57% rilevato a Prato e il 42% ad Arezzo),mentre il restante 30% si divide tra coloro che sono soddisfatti dell’attualeimpiego (16%) e coloro che non credono di poter trovare un lavoro miglio-re (14%).

Per circa la metà degli intervistati il maggiore guadagno rappresenta lamotivazione prevalente per la ricerca di nuovo lavoro (49%), seppure inseconda battuta emerga una certa considerazione anche per altri aspetti del-la propria situazione occupazionale: sia quelli più gravosi, espressi dal de-siderio di un lavoro regolare e più stabile, meno rischioso (per entrambi il9%) e meno pesante (6%), sia l’aspirazione ad un percorso di mobilità pro-

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fessionale, come indicano il desiderio di un lavoro maggiormente legatoalla propria formazione (11%) e la ricerca di un lavoro che offra prospettivedi crescita professionale (6%). Marginali sono le risposte relative all’avviodi un’attività autonoma e alla ricerca di un lavoro che dia più tempo libero(per entrambe il 3%) (Graf. 5.18).

Grafico 5.17VORREBBE CAMBIARE LAVORO?

No, sonosoddisfatto di quello

che ho16%

No, non credo dipoter trovare unlavoro migliore

14%

Sì70%

Grafico 5.18PER QUALE MOTIVO VORREBBE CAMBIARE LAVORO? (PRIMA RISPOSTA)

6%

3%

11%

6%

3%

6%

9%

49%

9%

0% 20% 40% 60%

Per altri motivi

Per un lavoro autonomo

Per un lavoro più legato alla mia formazione

Per un lavoro che mi dia crescita professionale

Per un lavoro che mi dia più tempo libero

Per un lavoro meno pesante

Per un lavoro meno rischioso

Per guadagnare di più

Per un lavoro regolare e stabile

Dal confronto con gli alri due distretti, emerge come la pericolosità e lafatica connesse al proprio lavoro siano particolarmente presenti tra i lavo-ratori della concia (tanto da rappresentare due delle principali motivazioniper desiderare un’occupazione diversa) e in misura decisamente più rile-vante rispetto soprattutto ai lavoratori pratesi che comunque operano in duesettori, quello tessile e l’edilizia, caratterizzati da condizioni di lavoro par-ticolarmente rischiose e usuranti.

Per completare il quadro, abbiamo chiesto ai lavoratori “Quali sono se-condo Lei i principali problemi da affrontare per migliorare le condizioni dilavoro degli immigrati”?

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Per quanto concerne l’ambito propriamente lavorativo, molteplici le solu-zioni suggerite: alcuni indicano la necessità di facilitare l’ottenimento del per-messo di soggiorno e di prevedere aiuti nella ricerca di un lavoro, soprattutto inriferimento alla possibilità di garantire una certa stabilità lavorativa o comun-que prevedere forme di sostegno al lavoratore straniero che, nei casi di perditadel lavoro (licenziamento, chiusura dell’azienda, contratti a termine non rinno-vati, ecc.), vede messa in pericolo anche la possibilità di rimanere in Italia.

In effetti, le vigenti disposizioni normative in materia di immigrazione con-tenute nella Legge 189/2002, legando il possesso del permesso di soggiorno adun’occupazione regolare, aumentano le probabilità per gli immigrati di diven-tare velocemente irregolari in caso di disoccupazione91 (soprattutto in contestidistrettuali, come quelli da noi analizzati, dove la produzione -e di conseguen-za anche l’occupazione- legata essenzialmente al sistema moda, è soggetta afrequenti picchi ma anche ad altrettante cadute), incentivano la temporaneitàdell’immigrazione e rendono il contesto ancora meno favorevole ai percorsi distabilizzazione sul territorio dei cittadini stranieri.

Di seguito alcuni dei commenti più significativi raccolti tra gli intervi-stati a questo proposito:• ci vuole la garanzia di un lavoro continuativo, sennò si sta male, non si

sta tranquilli e si comincia a rubare;• creare maggiori possibilità per avere il permesso di soggiorno, altri-

menti trovare lavoro diventa quasi impossibile e sei costretto a lavorarein condizioni difficili;

• fare in modo che quando chiude una ditta, se sei un lavoratore bravo edesperto non ti ritrovi senza permesso;

• il problema principale che rende il lavoro meno tranquillo è quello deidocumenti e del permesso di soggiorno; ci fanno stare sempre nell’in-certezza e ostaggio del lavoro anche quando stiamo male.Altri fanno esplicito riferimento alle condizioni di lavoro, in particolare

alla pericolosità ed insalubrità che caratterizzano il mestiere del conciatore,evidenziando la necessità di ricevere misure adeguate di informazione eformazione rispetto alle mansioni che vanno a svolgere e alle sostanze uti-lizzate nel processo produttivo:• sarebbero utili informazioni per imparare il lavoro, soprattutto all’ini-

zio quando non conosci le mansioni e non capisci la lingua italiana;• bisogna dare più informazioni sulla sicurezza sul lavoro e sulle sostanze

che si usano;• dare più informazioni sulle sostanze chimiche, sento un bruciore agli

occhi che è dovuto secondo me a queste sostanze;• addestrarci all’uso di macchine pericolose, perché sono difficili da fer-

mare se non le conosci bene.Infine, alcuni sollevano la questione del riconoscimento dei titoli di stu-

dio e delle competenze pregresse come una delle soluzioni per uscire dailavori “tipici” riservati agli immigrati. In questo modo si potrebbero con-trastare i meccanismi di categorizzazione e di etichettatura che tendono adassegnare agli immigrati soltanto alcune nicchie occupazionali, agevolan-

91 Il cittadino straniero che perde il lavoro ha sei mesi di tempo (anziché un anno come previsto dallaLegge Turco-Napolitano) per trovare una nuova occupazione, dopodiché deve lasciare il paese.

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done il processo di mobilità professionale e sociale, anche attraverso il ca-nale dell’autoimprenditorialità92, soprattutto nel caso dei soggetti istruiti epresenti già da tempo sul territorio.• fargli fare dei lavori migliori che non siano sempre quelli che gli italia-

ni non vogliono fare;• diversificare i lavori che uno straniero può fare, ad esempio commesso,

commerciante, impiegato, qui a S. Croce c’è solo la concia;• far rispettare maggiormente la dignità delle persone, io ho studiato e

conosco bene l’italiano quindi mi difendo, ma quando arrivi è dura.Bisogna ridurre lo sfruttamento e riconoscere le lauree;

• gli immigrati fanno quasi sempre lavori pericolosi e molto faticosi, an-che se hanno avuto un’istruzione buona nel proprio paese. Dovrebberoessere date più possibilità di lavoro anche nei settori dove ci sono gliitaliani, ad esempio nell’imprenditoria, usufruendo di finanziamentipubblici;

• sarebbe necessaria una maggiore informazione sulle agevolazioni e ifinanziamenti per gli stranieri residenti da tempo in Italia per potersimettere in proprio.

5.5La consapevolezza dei rischi sul lavoro

Il primo aspetto che abbiamo voluto indagare circa la percezione della rischio-sità e della insicurezza del lavoro da parte dei lavoratori stranieri riguarda laloro conoscenza della legislazione vigente e delle misure di prevenzione con-cretamente messe in atto dalle aziende locali.

In effetti, la portata innovativa del D.Lgs. 626/94 era determinata dall’in-troduzione del principio della cultura partecipativa, ossia nell’aumentare lasensibilità ai rischi del lavoro nella comunità locale, attraverso un nuovo mo-dello di prevenzione e di gestione della sicurezza sul lavoro che responsabiliz-zasse gli imprenditori e che avesse tra i propri fondamenti l’informazione, ilcoinvolgimento e la partecipazione dei lavoratori. Pertanto, la non conoscenzatra i lavoratori della legge e delle disposizioni previste corrisponde ad una ca-renza informativa e rappresenta il non raggiungimento di uno degli obiettiviprincipali del decreto (Giovani, 2000).

In primo luogo, tra i lavoratori stranieri si registrano livelli non soddisfa-centi di conoscenza della normativa: solo il 62% degli intervistati a S. Croce èinfatti a conoscenza del fatto che esistono leggi che tutelano la sicurezza suiposti di lavoro, collocandosi in posizione intermedia rispetto ai livelli registratinegli altri due distretti indagati (il 69% a Prato e il 48% a Arezzo).

Quasi la totalità (90%) dichiara di essere stato sottoposto alle visite periodi-che, contro il 77,5% rilevato a Prato e il 68% ad Arezzo. A questo proposito,recenti indagini condotte a livello locale hanno evidenziato come il timore per

92 Seppure minoritario dal punto di vista quantitativo rispetto ad altri contesti distrettuali (ad esempioPrato o il contiguo circondario empolese-valdelsa) e nella fase iniziale di sviluppo, anche nell’area di S.Croce viene rilevata da alcuni testimoni qualificati un primo nucleo di iniziative autonome da parte dicittadini stranieri, soprattutto in edilizia, ma anche nei servizi e nel commercio (Savino, 2004).

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l’elevato rischio di infortuni e di malattie professionali che caratterizza il lavo-ro in conceria e la fitta rete di controlli ispettivi a scopo sanitario da un latocontribuiscono a limitare l’elusione della legislazione e il ricorso a forme dilavoro completamente irregolari (che rientra tra i principali fattori di rischioinfortunistico), dall’altro garantiscono un adeguato livello di controllo e atten-zione in tema di salute e sicurezza sul lavoro (Tonarelli, 2002; Savino, 2004).

Sul versante delle attività informative e formative che, secondo le disposi-zioni normative, il datore di lavoro deve assicurare a ciascun lavoratore inmaniera adeguata, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alleproprie mansioni, quasi 1/4 del campione non ha ricevuto nessun tipo di infor-mazione/formazione in tema di sicurezza sul lavoro; inoltre, tra la maggioran-za (76%) che dichiara di essere stata coinvolta in qualche attività di questo tipo(contro l’89% dei lavoratori pratesi e il 68% di quelli aretini), ben il 20% degliintervistati ritiene che sia stata comunque insufficiente (Graf. 5.19).

Grafico 5.19NEL SUO ATTUALE LAVORO HA RICEVUTO QUALCHE TIPO DI

FORMAZIONE/INFORMAZIONE SULLA SICUREZZA DEL LAVORO?

Si tratta evidentemente di un dato tanto più importante nel caso deilavoratori stranieri per i quali le attività informative e formative risultanoazioni fondamentali, in quanto consentono di affrontare una serie di diffi-coltà aggiuntive legate al loro inserimento in fabbrica: da quelle linguisti-che, che possono limitare la comprensione della cartellonisticaantinfortunistica, delle istruzioni sull’uso adeguato dei macchinari e sullosvolgimento corretto delle mansioni, alle diversità di approccio culturale edi sensibilità nei confronti del lavoro e dei suoi rischi (Giovani, 2000).

Il secondo passaggio è stato quello di cogliere i dati oggettivi di perico-losità delle condizioni di lavoro, chiedendo a ciascun intervistato di indica-re la presenza/assenza di una serie di fattori di rischio in relazione al pro-prio ambiente di lavoro93.

Come mostra il Grafico 5.20, secondo i lavoratori le maggiori compo-nenti di rischio in conceria riguardano sia fattori presenti anche nei comuniambienti di vita, al di fuori dei luoghi di lavoro (rumore per il 74%, condi-

No24%

Sì, adeguata56%

Sì, ma insufficiente20%

93 Per un’analisi accurata dei fattori di rischio occupazionale si rimanda a Beccastrini, Monechi, 1993.

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94 Si tratta del dato più elevato riscontrato nei tre contesti territoriali: 48% per i lavoratori tessili, 73%per gli edili a Prato, su livelli decisamente inferiori nell’industria orafa aretina (20%).

Grafico 5.20QUALI DI QUESTI FATTORI SONO PRESENTI NEL SUO AMBIENTE DI LAVORO?

Risposta multipla

70%

50%

82%

74%

28%

64%

48%

50%

38%

72%

74%

0% 30% 60% 90%

Pericolo di infortuni

Stress mentale

Fatica fisica

Macchine pericolose

Spazi ristretti

Sostanze nocive

Polveri

Fumo passivo da tabacco

Fumi, esalazioni

Freddo/caldo/umidità

Rumore

zioni particolari di microclima come freddo/caldo/umidità per il 72%), siafattori di inquinamento e di rischiosità specificatamente legati al tipo dilavorazione effettuata all’interno delle fabbriche. Ben l’82% di intervistatiindicano la fatica fisica tra i principali fattori di rischio connessi al propriolavoro94, a conferma del fatto che nonostante le innovazioni tecnologiche eorganizzative continuano ad esistere categorie di lavoratori che svolgonoquotidianamente mansioni pesanti e per i quali la forma fisica di fatica,quando eccede i limiti fisiologici, può determinare alterazioni dell’equili-brio psico-fisico e diventare causa di infortunio, oltre che alla lunga dan-neggiare la salute del lavoratore. Il 74% e il 70% del campione fa riferi-mento rispettivamente all’uso di macchine pericolose e al pericolo di infor-tuni; il 64% all’impiego di sostanze nocive.

Per quanto concerne la percezione dei rischi del proprio lavoro, in gene-rale possiamo dire che gli operai stranieri di S. Croce manifestano scarsilivelli di consapevolezza dei rischi di infortuni e di malattie professionaliconnesse al proprio lavoro, che comunque sembrano attestarsi al di sopra diquelli riscontrati a Prato e ad Arezzo.

Per quanto riguarda le risposte alle domande dirette (Graf. 5.21), il pri-mo dato interessante riguarda il fatto che solo in una componente esigua deilavoratori sembra emergere una certa coscienza rispetto alle condizioni dipericolosità in cui si svolge quotidianamente il proprio lavoro, tant’è chesolo il 42% pensando al proprio lavoro ha paura di subire un infortunio(contro il 30% rilevato a Prato e il 16% ad Arezzo) e il 58% vorrebbe fareun lavoro meno pericoloso (contro il 46% rilevato a Prato e l’8% ad Arezzo).

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Grafico 5.21PENSANDO AL LAVORO CHE FA, PUOI DIRE SE LE CAPITA DI...

Risposta multipla

22%

28%

48%

26%

42%

58%

0% 20% 40% 60%

Avere paura di segnalare ai superiori una condizione di pericolo

Desiderare di fare un lavoro meno pericoloso

Sentirti stressato al solo pensiero di dover andare a lavorare

Temere di prendere in futuro malattie professionali

Rifiutare qualche mansione perché la ritieni pericolosa

Avere paura di un incidente sul lavoro

A differenza di quanto emerso nell’indagine di qualche anno fa condottanel distretto pratese (Giovani, 2000), gli intervistati (di tutti e tre i contestiterritoriali) hanno manifestato una maggiore consapevolezza dei rischi dimalattie di tipo professionale che comporta il proprio lavoro rispetto allapercezione dei rischi di infortuni: il 48% dei lavoratori delle concerie temedi prendere in futuro malattie professionali (contro il 34% a Prato e il 26%a Arezzo) e il 42% ha paura di subire un infortunio pensando al propriolavoro (a fronte del 30% registrato a Prato e il 16% ad Arezzo).

In effetti, nel caso di S. Croce, tra le soluzioni indicate per migliorare lecondizioni di lavoro degli immigrati alcuni intervistati hanno sottolineatoproprio la necessità di incrementare le informazioni rispetto alle sostanzechimiche utilizzate quotidianamente nel loro lavoro. C’è, inoltre, da tenerpresente che si tratta di lavoratori presenti sul territorio da un periodo suffi-cientemente lungo: mediamente hanno un’anzianità di soggiorno nell’areadi oltre 5 anni e ben il 40% risiede nel distretto conciario da oltre 6 anni.Probabilmente al crescere degli anni di permanenza, aumentano anche leaspettative rispetto al lavoro, che tendono ad andare oltre una concezioneesclusivamente strumentale del lavoro, e la sensibilità per altri aspetti im-portanti, ad esempio verso la nocività per la salute (Mottura, 2002).

Uno degli obiettivi del D.Lgs. 626/94 era quello di sviluppare all’inter-no delle aziende un clima collaborativo tra imprenditori e lavoratori tale dacreare una condivisione di intenti e di percezioni rispetto alla costruzione diun sistema efficace di prevenzione della salute e sicurezza.

A questo proposito, nel nostro caso degno di rilievo è il fatto che ben il 22%dichiari di aver paura di segnalare ai superiori condizioni di pericolo e soprat-tutto che solo il 26% degli intervistati si rifiuti di svolgere mansioni che ritienepericolose (4% a Arezzo e 15% a Prato), confermando come le imprese spessosi limitino ad una mera applicazione burocratica della normativa, adempiendoagli obblighi formali, senza che questo incida in maniera profonda né sullecondizioni complessive di sicurezza nei luoghi di lavoro, né sulla cultura dellasicurezza all’interno delle aziende.

Le risposte alla vignetta, che mostra un operaio disteso a terra sotto un’im-palcatura, ci forniscono ulteriori elementi di riflessione rispetto alla presen-

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za tra i lavoratori di una cultura di responsabilità e di autotutela della pro-pria incolumità fisica e morale (Graf. 5.22).

Grafico 5.22COMMENTI ALLA VIGNETTA “EDILIZIA”

Responsabilitàdell'azienda

38%

Responsabilitàdell'operaio

18%

Responsabilità dientrambi

10%

Senzaresponsabilità di

alcuno14%

Non lo riconosceinfortunio

20%

95 Si tratta di un dato ancora più preoccupante se si tiene conto del fatto che a S. Croce i lavoratori inmisura maggiore rispetto a Prato e ad Arezzo hanno avuto esperienze lavorative nell’edilizia (35%contro il 18% e il 10%).96 Nella valutazione circa le dimensioni del proprio lavoro (cfr. § 5.4), in effetti a S. Croce si sonoregistrate le percentuali più elevate di giudizi negativi rispetto ai ritmi di lavoro (40% contro il 31% aPrato e il 20% a Arezzo) e ai rapporti con i datori di lavoro (26% contro 15% a Prato e 4% a Arezzo).

Ben il 20% dei lavoratori di S. Croce non riconosce l’infortunio95, controvalori inferiori riscontrati negli altri due distretti (9% a Prato, 14% ad Arezzo).Come rilevato nell’indagine condotta a Prato (Giovani, 2000), questo dato puòtrovare una spiegazione nell’azione di meccanismi di rimozione del problema,oppure di trasposizione, che riportano l’interpretazione della vignetta alle diffi-cili condizioni di vita e di lavoro che queste persone affrontano. Vediamo diseguito alcuni dei commenti più significativi:• è un ragazzo immigrato che lavora per una ditta edile, è molto stanco per-

ché ha ritmi di lavoro molto duri, sta riposando durante l’ora di pranzo;• sta dormendo dentro una fabbrica perché è stanchissimo, ha lavorato

tantissimo per guadagnare, però è contento;• sta pensando, è stanco del lavoro che fa vorrebbe cambiarlo;• ha lavorato tantissimo e ora è sfinito, l’hanno obbligato ma lui non

voleva, ma se si rifiutava perdeva il lavoro.Coloro che riconoscono nella vignetta un incidente sul lavoro attribui-

scono la responsabilità soprattutto all’azienda (38% a fronte del 30% rile-vato nel distretto pratese e dell’8% in quello aretino), nella misura in cuinon ha provveduto alla messa in atto delle necessarie misure di sicurezza operché ha costretto il lavoratore a lavorare a ritmi più serrati, in condizioniprecarie dal punto di vista contrattuale oppure senza realizzare alcun inter-vento formativo nei suoi confronti96:• è caduto perché l’azienda non ha usato sufficienti misure di sicurezza

per le impalcature;

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• a volte i capi vogliono di più per esigenze di produzione e aumentano iritmi di lavoro togliendo le misure di sicurezza . Il lavoro diventa peri-coloso e faticoso e capitano gli incidenti. Il lavoro va fatto per forzaperché non si ha nulla in mano, né soldi, né forza contrattuale;

• lavorava in nero senza misure di sicurezza e lo facevano lavorare troppo;• al lavoratore non è stata fatta formazione quindi non ha capacità pro-

fessionali sufficienti per riconoscere i pericoli;• la colpa è del titolare perché pressa il lavoratore, mettendolo in situa-

zioni pericolose. Spesso si lavora senza mezzi di sicurezza.Una quota più esigua considera maggiormente colpevole l’operaio (18%

contro il 23% dei lavoratori pratesi e il 12% di quelli aretini), soprattuttoperché ritiene che sia stato disattento nello svolgimento del proprio lavoro:• e caduto dall’impalcatura, la colpa è sua perché è stato disattento;• e scivolato su una macchia d’olio, è colpa del lavoratore perché deve

stare attento a dove cammina;• può succedere perché l’operaio è disattento, il ponteggio magari è ba-

gnato e lui è scivolato, la colpa è del lavoratore;• la colpa è sua, probabilmente è inciampato su qualche cosa che lui stes-

so aveva lasciato a terra, cosa che non si deve fare mai su un ponteggio.Infine, abbiamo cercato di capire se i lavoratori stranieri ritenessero di

essere esposti a rischi particolari di infortunio sul lavoro e soprattutto diessere sovraesposti rispetto ai lavoratori autoctoni.

Il 46% risponde affermativamente; il 50% negativamente; il 4% nonrisponde, senza differenze di rilievo tra i lavoratori dei tre distretti indagati.

Le motivazioni di coloro che ritengono di essere maggiormente esposti arischi in quanto stranieri sono attribuite da un lato al fatto che sono gli immi-grati a svolgere i lavori più duri e più pericolosi, che ormai i lavoratori localinon vogliono più fare, dall’altro alle maggiori possibilità di sfruttamento daparte degli imprenditori italiani rispetto ad una forza-lavoro che a sua volta ècostretta ad accettare qualsiasi condizione, pur di avere e mantenere un lavoro:• i padroni italiani sanno che vogliamo lavorare a tutti i costi e accettia-

mo anche lavori pericolosi, mentre i lavoratori italiani no;• per mancanza di rispetto verso gli immigrati perché ci fanno fare i lavo-

ri più rischiosi e non si può dire di no per bisogno di soldi e per paura diessere licenziati;

• perché per bisogno di soldi sono costretti a lavorare di più e per piùtempo e con la stanchezza possono capitare più facilmente incidenti.In alcuni casi, secondo gli intervistati, possono determinarsi anche si-

tuazioni di vero e proprio sfruttamento da parte dei datori di lavoro neiconfronti dei lavoratori stranieri, soprattutto a carico di coloro che parlanoe capiscono poco l’italiano e che non sono sufficientemente informati deidiritti che la legislazione vigente in materia di lavoro attribuisce loro:• se un operaio non parla bene l’italiano non capisce, quindi i padroni

possono approfittarsi;• perché danno meno informazioni sulle sostanze chimiche che vengono

usate, pensano che noi siamo qui per guadagnare e basta e che la salutenon è importante per noi.Tra gli intervistati ha subito almeno un infortunio, nel corso della pro-

pria vita professionale, il 28% degli operai a S. Croce (contro il 32,5%

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rilevato a Prato e il 24% ad Arezzo). I danni fisici riportati negli infortunisono stati per la maggioranza contusioni e dolori da sforzo (59%), fratture(29%), tagli e ferite (12%).

A tutti i lavoratori abbiamo chiesto di indicare quali possano essere imaggiori rischi di infortunio nella propria azienda.

Considerando la sola prima risposta delle tre previste dal quesito(Graf. 5.23), il 36% ritiene che la principale causa di infortunio in conceria siarappresentata dalle sostanze e/o dai macchinari usati in fabbrica; il 16% attri-buisce la principale responsabilità alla disattenzione degli operai; il 12% aglieccessivi ritmi di lavoro e, in egual misura, alla scarsa formazione/informazio-ne dei lavoratori sui rischi del proprio lavoro, il 10% ai ritmi di lavoro.

Grafico 5.23PENSANDO AL LAVORO CHE FA POTREBBE DIRCI QUALI SONO, SECONDO LEI, LE PRINCIPALI CAUSE DI

INFORTUNIO IN AZIENDA?(MAX TRE RISPOSTE - PRIMA RISPOSTA)

Se spostiamo l’attenzione anche sulle altre risposte date al quesito, ilquadro complessivo che ne scaturisce è il seguente: i lavoratori di S. Crocericonoscono la principale causa di infortunio nel tipo di lavorazione svoltae nelle condizioni di lavoro in fabbrica, le sostanze e/o i macchinari usatisono indicati dal 64% degli intervistati, gli eccessivi carichi di lavoro dal24%, i ritmi di lavoro dal 14%.

Anche i lavoratori vengono considerati possibili responsabili di inci-denti sul lavoro, sia per proprie disattenzioni (30%), sia perché non utiliz-zano i mezzi di protezione individuali (12%).

Il 18% indica la fatalità come causa principale degli infortuni, conce-pendo il rischio come elemento indissolubilmente legato all’esperienza la-vorativa.

4%

4%

24%

8%

8%

8%

2%

12%

14%

14%

18%

30%

64%

0% 15% 30% 45% 60% 75%

Nessuno, non ci sono pericoli

Inesperienza

Gli orari di lavoro troppo lunghi (gli straordinari)

Gli eccessivi carichi di lavoro

L'ambiente (poca luce, troppo rumore, troppo caldo)

Sostanze e/o macchinari usati nella lavorazione

Insufficienza dei mezzi di protezione

Scarsa manutenzione impianti

Ripetitività del lavoro

Mancato utilizzo dei mezzi di protezione individuali

Ritmi di lavoro

Scarsa inform./form. sulla prevenz. sulla prevenzione e suirischi

Cause accidentali (fatalità)

Disattenzione da parte dei lavoratori

2%

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Infine, la scarsa informazione/formazione rappresenta per il 14% unapossibile causa di infortunio.

Eloquente a questo proposito la testimonianza di un operaio marocchino:dovrebbe esistere una maggiore formazione per gli immigrati che inizianoa lavorare. Ci sono macchine affidate subito agli immigrati che possonoessere pericolose e difficili da usare senza un’adeguata formazione. I re-sponsabili delle aziende non ci formano abbastanza, non ci danno tempo,dicono che è facile, ma lo è per loro che conoscono queste macchine da unavita. Loro sanno che le macchine sono pericolose eppure ce le fanno usaree ti chiedono se ti fai male di andare in malattia e non agli infortuni.

In effetti, sembra essere l’assenza di misure informative e formative unadelle principali cause dell’infortunio mortale occorso ad un lavoratoresenegalese in una conceria di S. Croce nel giugno 2004. Thiam MamadouLamine era al primo giorno di lavoro, avviato con contratto interinale, mor-to avvelenato dalle esalazioni fuoriuscite da un bottale. Come riportano gliarticoli giornalistici di quei giorni, sembra che l’impianto di aspirazionenon fosse in funzione, per mancata o scarsa manutenzione, oppure il lavo-ratore non indossava la maschera. In realtà, come taluni hanno commenta-to, si è trattato di “una morte annunciata”, di un evento che poteva essereevitato. Il bottale è infatti uno dei macchinari centrali nella lavorazioneconciaria, di cui si conoscono ormai rischi e pericoli, ai quali generazioni dioperai sono stati addestrati dalla ASL. Si è trattato di un incidente classiconella lavorazione della pelle, che però ormai non si presentava da moltotempo nelle concerie.

Il fatto che questo incidente, con conseguenze fatali per il lavoratore, sisia ripresentato oggi, colpendo un lavoratore immigrato e interinale è senzadubbio un episodio emblematico, che sollecita un’attenta riflessione circale trasformazioni in atto nel mondo del lavoro e la necessità di policiesadeguate che tengano conto di tali trasformazioni, senza sacrificare tutele ediritti per nessuno.

In primo luogo il tragico episodio, che proprio in quanto tale è riuscito ademergere agli occhi dell’opinione pubblica, non solo ha evidenziato nuova-mente il ruolo essenziale svolto dai lavoratori immigrati nell’ambito dei nostrisistemi economico-produttivi, ma ha anche gettato luce su un’area di mancatatutela dei lavoratori, di cui gli immigrati rappresentano la componente più fra-gile, sovraesposti rispetto agli autoctoni a condizioni di lavoro rischiose, insa-lubri e scarsamente tutelate (cfr. Cap. 3).

In secondo luogo, alcune indagini, condotte sia a livello europeo chenazionale, hanno evidenziato già da tempo come l’uso sempre più frequen-te di forme di lavoro flessibili possa essere all’origine di condizioni di lavo-ro più sfavorevoli per i lavoratori non stabili e di maggiori rischi sotto ilprofilo della salute e sicurezza sul lavoro. A durate contrattuali più brevicorrispondono una minore conoscenza ed esperienza dell’ambiente di la-voro e dei potenziali fattori di rischio connessi, spesso non supportate daun’adeguata formazione, oltre che condizioni favorevoli per una maggiorepressione in termini di produttività da parte dei datori di lavoro nei confron-ti dei lavoratori (European Fondation for the Improvement of Living andWorking Condition 1991-1992; 1996; Atti Parlamentari, 2000).

Allo stesso modo, l’approfondimento sul lavoro interinale condotto nel-

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l’ambito dell’Osservatorio sugli infortuni dell’area fiorentina (Giovani, 2004)ha evidenziato come la temporaneità del lavoro sembra escludere per defi-nizione un approccio alla questione della sicurezza di tipo standard, gra-duale e pianificato tra livello teorico (corsi di formazione) e pratico (lavorosul campo). Il lavoratore interinale non ha tempo per apprendere se nonquelle che sono le mansioni specifiche relative alla missione, subendone laritmicità esasperata di certi ambienti e il ricatto psicologico di dovere sotto-stare a queste regole (perché la speranza del lavoratore è quasi sempre quel-la di farsi assumere).

5.6Riflessioni finali

Rispetto agli altri due distretti, S. Croce si caratterizza per un numero ridot-to di nazionalità presenti sul territorio ed un’elevata specializzazione etnicanell’industria locale (quella conciaria), dove trovano ampia collocazioneimmigrati provenienti dal Senegal.

Le motivazioni principali che hanno indotto gli intervistati ad emigraresono la ricerca di un lavoro e l’aspirazione ad una situazione economicamigliore, per sé e per i propri familiari rimasti in patria. Il meccanismofondamentale alla base del processo migratorio appare essere quello dellacatena migratoria: la decisione di lasciare il proprio paese, la scelta dellalocalità di destinazione non avvengono in un vuoto di relazioni sociali, masono influenzate dal sistema di reti in cui gli individui sono inseriti. Lascelta di trasferirsi a S. Croce come destinazione del percorso migratorio èdeterminata soprattutto dall’esigenza di ricostituire legami familiari o amicali(oltre che dalla percezione dell’area come una zona ricca di opportunitàlavorative): la presenza di familiari, amici o parenti in città implica l’oppor-tunità di poter contare sulla solidarietà e sul reciproco aiuto nella ricerca dellavoro e della casa, nell’affrontare le difficoltà economiche o diambientamento, nel sostenere la condizione di lontananza dal proprio pae-se e dalla propria famiglia.

In particolare, l’inserimento nel mercato del lavoro si realizza proprio attra-verso il funzionamento dei canali informali rappresentati soprattutto dalle retidi matrice etnica, che se da un lato mediano ed agevolano l’ingresso nel merca-to del lavoro, dall’altro alimentano processi di categorizzazione e ne limitanole possibilità di uscita e di crescita professionale.

Tra gli altri, il caso dei lavoratori senegalesi è senza dubbio paradigmaticodel funzionamento di tali meccanismi: gli immigrati senegalesi hanno tro-vato facilmente lavoro nel settore conciario, grazie ad una forte etica dellavoro ad un’estrema dedizione al lavoro (seppure in molti casi con unaforte valenza strumentale), molto simile nei tratti principali a quellariscontrabile nelle aree distrettuali toscane, che li rendono particolarmenteapprezzati tra gli imprenditori locali (Ramella, 1998; Tonarelli, 2002).

A differenza degli altri due distretti, il profilo del lavoratore straniero aS. Croce è senza dubbio quello tipico dell’operaio in fabbrica, inserito nelleaziende conciarie, prevalentemente artigiane, di piccole e piccolissime di-mensioni. In misura maggiore rispetto agli altri due distretti, l’occupazione

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è relativamente sicura e regolare: non ci sono casi di lavoratori a nero, tuttidichiarano di svolgere il proprio lavoro con un contratto regolare, nellamaggioranza dei casi a tempo indeterminato. Ciononostante, appare signi-ficativa (ed in crescita) anche la quota di tipologie contrattuali flessibili, acui gli imprenditori locali tendono a ricorrere più frequentemente per farfronte alle oscillazioni della domanda in momenti di crisi economico-pro-duttiva come quello attuale. Analizzando la questione dal lato dell’offerta,in alcuni casi progetti di permanenza a breve termine e con obiettivi defini-tivi di massima accumulazione e risparmio (riscontrabili ad esempio neilavoratori senegalesi), possono trovare una certa funzionalità nella richie-sta di impiego con contratti a termine; ma è soprattutto la necessità di lavo-rare a tutti i costi a rendere gli immigrati più vulnerabili e disponibili adaccettare anche impieghi instabili.

Nonostante la regolarità contrattuale, la professione viene esercitata incondizioni disagevoli e insalubri. Nella quasi totalità dei casi gli immigratilavorano come operai comuni, ai livelli più bassi di inquadramento contrat-tuale, svolgono mansioni scarsamente qualificate, relative alle prime fasidella conciatura delle pelli, caratterizzate da elevati fattori di disagio, difatica fisica e pericolosità, con scarse prospettive di miglioramento e dicrescita professionale.

Un dato questo su cui riflettere, visto che in non pochi casi i lavoratoriintervistati sono in possesso di titoli di studio medio-alti (che non vengonoriconosciuti in Italia), con un buon bagaglio di esperienze professionali pregresse,capacità, abilità, che tuttavia nel mercato del lavoro italiano non sembranoessere risorse spendibili per l’immigrato nella ricerca di opportunità occupa-zionali adeguate alla propria formazione e alle proprie aspirazioni.

Nelle migrazioni per motivi di lavoro, particolarmente evidente nel casodei senegalesi, la temporaneità del progetto migratorio, l’obiettivo dimassimizzare i guadagni nel minor tempo possibile, la prospettiva di torna-re comunque in patria inducono i lavoratori ad accettare lavori dequalificati,usuranti e pericolosi, rinunciando a far valere le proprie credenziali educativee le proprie esperienze pregresse e mettendo in secondo piano anche altriaspetti del lavoro, come la possibilità di avanzamenti di carriera.

Seppure questi aspetti aiutino a spiegare giudizi complessivi di soddi-sfazione rispetto al proprio lavoro, tuttavia emergono da parte di taluni in-tervistati anche importanti tensioni al cambiamento, con aspirazioni di mi-glioramento della propria posizione professionale, non solo per guadagnaredi più, ma anche per migliorare le proprie condizioni di lavoro, quindi ri-cerca di un nuovo lavoro che sia regolare e più stabile, meno rischioso emeno pesante, maggiormente legato alla propria formazione e che offraprospettive di crescita professionale

Dal confronto con gli altri due distretti, emerge come la pericolosità e lafatica connesse al proprio lavoro siano particolarmente presenti tra i lavoratoridella concia (tanto da rappresentare due delle principali motivazioni per desi-derare un’occupazione diversa) e in misura più rilevante rispetto anche ai lavo-ratori pratesi che comunque operano in due settori, quello tessile e l’edilizia,caratterizzati da condizioni di lavoro in genere rischiose e usuranti.

Per quanto concerne la sicurezza sul lavoro, l’indagine mostra per ildistretto conciario una situazione intermedia rispetto alle altre due aree.

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Seppure quasi la totalità degli intervistati dichiara di essere stato sottopostoalle visite periodiche, solo il 62% è a conoscenza dell’esistenza della nor-mativa; circa 1/4 del campione non ha ricevuto nessun tipo di informazio-ne/formazione in tema di sicurezza sul lavoro e tra coloro che dichiarano diessere stati coinvolti in qualche attività di questo tipo una quota significati-va ritiene che sia stata comunque insufficiente.

Si tratta evidentemente di un dato tanto più importante nel caso deilavoratori stranieri per i quali le attività informative e formative risultanoazioni fondamentali, in quanto consentono di affrontare una serie di diffi-coltà aggiuntive legate al loro inserimento in fabbrica: da quelle linguisti-che, che possono limitare la comprensione della cartellonisticaantinfortunistica, delle istruzioni sull’uso adeguato dei macchinari e sullosvolgimento corretto delle mansioni, alle diversità di approccio culturale edi sensibilità nei confronti del lavoro e dei suoi rischi (Giovani, 2000).

Per quanto concerne la percezione dei rischi infortunistici legati al pro-prio lavoro, in generale possiamo dire che gli operai stranieri di S. Crocemanifestano scarsi livelli di consapevolezza, che comunque sembranoattestarsi al di sopra di quelli riscontrati a Prato e ad Arezzo.

Solo in una componente esigua dei lavoratori sembra emergere una cer-ta coscienza rispetto alle condizioni di pericolosità in cui si svolge quoti-dianamente il proprio lavoro, tant’è che solo il 42% pensando al propriolavoro ha paura di subire un infortunio (contro il 30% rilevato a Prato e il16% ad Arezzo) e il 58% vorrebbe fare un lavoro meno pericoloso (controil 46% rilevato a Prato e l’8% ad Arezzo). A differenza di quanto emersonell’indagine condotta qualche anno fa nel distretto pratese (Giovani, 2000),emerge tra gli operai conciari una certa (seppure insufficiente) consapevo-lezza dei rischi di malattie legati al proprio lavoro: quasi la metà degliintervistati teme in futuro di prendere malattie professionali (contro il 34%rilevato a Prato e il 26% ad Arezzo); tra le soluzioni indicate per migliorarele condizioni di lavoro, alcuni indicano la necessità di misure adeguate diinformazione e formazione rispetto alle mansioni che vanno a svolgere esoprattutto rispetto alle sostanze chimiche che quotidianamente utilizzanonel loro lavoro.

Inoltre, non sembra che all’interno delle aziende si siano sviluppate lebasi per una condivisione di intenti e di percezioni tra imprenditori e lavo-ratori in tema di sicurezza, tant’è pochi sono i lavoratori stranieri che di-chiarano di rifiutare le mansioni che ritengono pericolose, così come è si-gnificativa la quota di chi invece ha paura di segnalare ai superiori condi-zioni di pericolo.

Infine, anche a S. Croce, dove la stabilità lavorativa ha ragionevoli pos-sibilità di essere soddisfatta, è la questione della cittadinanza sociale a co-stituire una delle criticità più rilevanti. Lo testimoniano condizionialloggiative ancora particolarmente problematiche, in termini di affitti troppoalti, carenza di alloggi liberi, difficoltà di accesso all’edilizia popolare eostacoli aggiuntivi che un cittadino extracomunitario si trova a dover af-frontare (episodi di speculazione, razzismo ecc.); scarsa conoscenza e per-sistenti difficoltà nell’accesso ai servizi; livelli ancora bassi di partecipa-

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zione e coinvolgimento sociale, una struttura di relazioni sociali prevalen-temente incentrata sul gruppo nazionale di appartenenza97.

Il processo di costruzione di un’effettiva cittadinanza sociale degli im-migrati rappresenta evidentemente un passaggio importante ed “obbligato”verso una società interculturale, che riesca a garantire pari opportunità e amantenere elevati livelli di equità, benessere e qualità della vita per tutti.

97 Per un approfondimento relativo alle condizioni di vita degli immigrati rimandiamo al più ampio rappor-to di ricerca “L’immigrazione in Toscana. Condizioni di e di lavoro in tre distretti industriali” che saràpubblicato nella Collana Lavoro - Studi e Ricerche presso Edizioni PLUS Università di Pisa.

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6.IL CASO AREZZO

6.1L’immigrazione straniera in provincia di Arezzo

• L’evoluzione socio-demograficaNella provincia di Arezzo il ritmo di crescita della presenza immigrata è trai più elevati della Toscana. Fatta eccezione per Firenze, dove si concentraun terzo di tutti i soggiornanti della regione, Arezzo -insieme a Prato e Pisa-è fatta rientrare dagli estensori del Dossier Caritas (2004) nella cosiddetta“seconda fascia”: province che hanno una presenza di soggiornanti in mi-sura oscillante dal 9% al 13% del totale complessivo degli stranieri in To-scana. Nel caso di Arezzo, l’incidenza dei soggiornanti è pari a circa il 10%del totale regionale.

Secondo il Ministero dell’Interno, i soggiornanti al 31/12/2003 nellaprovincia di Arezzo sono 17.231, ben oltre i 12.152 conteggiati alla fine del2002, quando tuttavia da un lato alcune procedure allora in corso di corre-zione dei dati tendevano a sottostimare il totale complessivo dei permessi,e dall’altro non si registravano ancora coloro che poi hanno beneficiatodella regolarizzazione (si tratta di 4.515 istanze presentate, pari al 37% cir-ca dei permessi di soggiorno validi al 31/12/2002). Tra il 2002 e il 2003,l’aumento dei soggiornanti è stato complessivamente del 41,8%, con 5.079permessi in più. La ripartizione per genere mostra una presenza pressochèequivalente tra uomini e donne98.

Al 31/12/2003 la popolazione straniera residente in provincia di Arezzo-la parte più stabile dei flussi migratori- è pari secondo l’ISTAT a 17.322persone, con un’incidenza del 5,2% sul totale della popolazione residente,dato superiore al valore regionale (4,6%). La zona aretina detiene il prima-to delle presenze, concentrando nel Comune di Arezzo poco meno di unterzo delle presenze totali provinciali (5.228 persone).

Mentre per le principali tre comunità presenti in provincia (Romania,Albania e Marocco -si noti che la comunità rumena è la più numerosa soloin questa provincia, dove nel corso del 2003 ha superato l’Albania) non èpossibile parlare di uno specifico insediamento nella zona aretina, una netta

98 In valori assoluti, Arezzo è la terza provincia toscana per numerosità delle domande di regolarizzazionepresentate, dopo Firenze e Prato, a conferma dell’elevata attrattività del territorio; tuttavia va considera-to il fatto che, stimando l’incidenza dei regolarizzandi sull’insieme dei soggiornanti alla fine del 2002,il territorio aretino risulti nettamente sotto la media toscana, pari al 47,5%. L’impatto è dunque assaiinferiore che in altre province della regione. Tra i gruppi nazionali che hanno fatto registrare gli aumentipiù consistenti a seguito della regolarizzazione, vi sono la Moldavia, l’Ucraina, l’Equador, la Romania,la Polonia e la Bulgaria. In particolare, la Romania raccoglie oltre il 40% di tutti i nuovi permessi disoggiorno rilasciati nel 2003 per motivi di lavoro (Ucodep, 2005).

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concentrazione è visibile nel caso delle comunità del Bangladesh, Polonia,Ex-Jugoslavia e Macedonia.

• La cittadinanza economicaNella provincia aretina risultano presenti tre dei quattro modelli cheAmbrosini (2001) propone per descrivere in generale le diverse modalità diinserimento lavorativo dei cittadini immigrati in Italia: il “modello dell’in-dustria diffusa” (distretto orafo e argentiero, ma anche il sistema di piccolae media impresa del Valdarno e del resto del tessuto produttivo del SELzona aretina, nonché tutta l’area delle costruzioni); il “modello delle econo-mie metropolitane” (propensione della popolazione aretina ad un uso ele-vato di lavoranti a domicilio, nella maggior parte di origine straniera, maanche la buona diffusione di attività commerciali gestite da imprenditoriimmigrati); infine, il modello delle attività stagionali nelle aree a forte vo-cazione agricolo-rurale come la Val di Chiana e la Val Tiberina, che hannovisto il crescente impiego di manodopera straniera per le attività agricole(rumeni, marocchini, polacchi, ecc.).

Considerato sinteticamente il quadro di fondo, non stupisce quindi chenell’ultimo biennio, l’inserimento nel mercato del lavoro provinciale di la-voratori stranieri abbia visto un aumento di circa il 60%, “a conferma delfatto che le imprese locali hanno assorbito i nuovi flussi migratori in entra-ta, ma anche di come si sia verificata una significativa emersione di alcunisegmenti dell’economia sommersa riguardante gli stranieri” (Ucodep, 2003).

Secondo i dati forniti dai Centri per l’impiego della provincia di Arezzo,sono 7.349 gli stranieri occupati al 31/12/2001, con un’incidenza delleassunzioni di lavoratori immigrati sul totale che è seconda solo a Prato. Ilprimato va anche in questo caso, com’era prevedibile, alla zona aretina. Ledonne costituiscono il 32% degli stranieri occupati, a fronte di una presen-za femminile del 50% circa, e trovano un canale di accesso “privilegiato” espesso “esclusivo” nel mondo del lavoro soprattutto tramite le attività dicollaborazione domestica e di cura. Dai dati Inps, al 31/12/2003 risultereb-bero 2.846 gli occupati nel settore di cittadinanza non italiana, il 78% deglioccupati in questo settore. Anche l’alto numero di domande diregolarizzazione presentate nel 2002 specifiche delle attività domestichetestimoniano la consistenza della presenza di donne immigrate in questosettore (2.232, la metà delle domande complessive, ben oltre la media to-scana, ferma al 43,6% per le richieste di regolarizzazione per la sanatorialavoro domestico/assistenza).

La distribuzione dei lavoratori stranieri nei diversi settori per zone dellaprovincia,riportate nella Tabella 6.1, riflette le vocazioni produttive deimercati locali del lavoro e le differenziazioni tra le attività occupazionaliproprie di un ambito urbano, tuttavia non privo di una certa specializzazionemanifatturiera (soprattutto meccanica, orafo e tessile) e quella degli altriSEL99. Nella zona aretina, i lavoratori di origine straniera sono occupatisoprattutto nell’industria (29%, compresi gli impieghi nell’edilizia) e nel-

99 Secondo Bacci (2002), la zona aretina è individuata come “sistema industriale aperto”. Stessacategorizzazione ottiene il Valdarno Superiore; il Casentino è individuato come “sistema turistico-indu-striale”, l’Alta Val Tiberina e la Val di Chiana Aretina come “sistemi turistico-rurali”.

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Tabella 6.1CITTADINI STRANIERI OCCUPATI PER ZONA E SETTORE* AL 31/12/2001

Zona Agricoltura Artigianato Commercio/turismo Industria Servizi TOTALEsocio-sanitaria V.a. Val. % V.a. Val. % V.a. Val. % V.a. Val. % V.a. Val. % V.a. Val. %

Aretina 156 5,0 787 25,2 529 17,0 901 28,9 733 23,5 3117 100,0Casentino 111 14,4 243 31,5 49 6,4 232 30,1 135 17,5 771 100,0Valdarno 231 15,9 424 29,2 33 2,3 528 36,4 235 16,2 1451 100,0Val di Chiana 454 37,1 273 22,3 113 9,2 213 17,4 171 14,0 1224 100,0Val Tiberina 236 30,0 142 18,1 75 9,5 189 24,0 133 16,9 786 100,0TOTALE 1.188 16,2 1.869 25,4 799 10,9 2.063 28,1 1.407 19,1 7.349 100,0

* la zonizzazione qui proposta prende in considerazione le zone socio-sanitarie; nel caso della zona aretina, essa corrisponde al SEL aretino.Fonte: nostre elaborazioni su dati Ucodep e Centri per l’impiego

l’artigianato (25%), nonché nei servizi (23,5%). Il 17% risulta occupato nelcommercio/turismo, dove si registra anche una discreta presenza di impre-se “etniche”.

Fuori della zona aretina, si rileva anche nel Valdarno Superiore, area arecente industrializzazione, una non irrilevante presenza di stranieri impie-gati nell’industria e nell’artigianato, vicina al 70%. Infine, le zone dellaprovincia in cui maggiore è la specializzazione agricolo-rurale -Val di Chianae Val Tiberina- occupano in agricoltura circa il 50% degli occupati stranieridi questo settore all’interno dell’intero territorio provinciale, nonostante inquesti ambiti non sia numerosa la presenza di cittadini immigrati100.

Mentre le comunità “a presenza diffusa” come Albania e Marocco -edanche la Romania- si caratterizzano per una certa trasversalità negliinserimenti lavorativi, e dunque presentano cospicue presenze sia in agri-coltura che nell’industria e nell’artigianato, nel caso di altri gruppi naziona-li è invece maggiore la tendenza alla “specializzazione etnica”. I cittadinidel Bangladesh si distinguono in tal senso, insieme agli immigrati prove-nienti dall’India, per una relativa maggior concentrazione nel settore tradi-zionale dell’economia aretina -l’orafo- arrivando a coprire, nel caso degliimmigrati dal Bangladesh, il 9% di tutti gli occupati stranieri in questo set-tore. In agricoltura, settore che come si è notato interessa meno il SEL aretino,è forte la presenza di immigrati dell’ex-Jugoslavia, oltre ai già citati rume-ni, albanesi e marocchini. Gli immigrati dalla Polonia -gruppo in cui è pe-raltro netta la prevalenza delle donne sugli uomini- lavorano soprattuttonell’ambito dei servizi alla persona e delle collaborazioni domestiche, einfatti denotano una presenza maggiore nel capoluogo.

Il manovale è il ruolo maggiormente diffuso, seguito dal collaboratoredomestico e dal bracciante agricolo. Come fanno notare i ricercatori del-l’Osservatorio provinciale, tuttavia, “le persone di provenienza stranierasono sempre più richieste anche per un’attività non particolarmente pesantedal punto di vista fisico e non considerata degradante dagli italiani, comequella dell’artigianato orafo” (Ucodep, 2003), soprattutto nell’ambito dellalavorazione dei metalli preziosi. In questo settore si rileva anche un alto

100 La forza lavoro immigrata costituisce da sola circa un quinto degli occupati in agricoltura in tutto ilterritorio provinciale. In particolare, la disponibilità di alcuni protagonisti di progetti migratori a brevetermine, come coloro che usufruiscono di autorizzazioni al soggiorno stagionali, risulta particolarmenterichiesta date le esigenze di questa natura (lavoro stagionale) da parte delle imprese agricole.

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tasso di imprenditorialità etnica (soprattutto cittadini provenienti dal Pakistane dal Bangladesh), in una provincia che comunque risulta insieme a Pratotra le prime in Toscana per crescita assoluta del numero di imprese gestiteda imprenditori non italiani negli ultimi anni, insieme alle costruzioni, allafabbricazione di mobili e ai trasporti (Tab. 6.2). Queste imprese, che occu-pano prevalentemente manodopera connazionale, non si limitano a lavora-re come contoterzisti, ma riescono in alcuni casi a produrre propri campio-nari, commercializzando i propri prodotti. L’avvio di esperienze imprendi-toriali da parte di cittadini stranieri è reso possibile dall’evoluzione degliultimi anni del distretto orafo aretino in direzione della produzione (ecommercializzazione) anche di altri metalli oltre l’oro, come l’argento, finoall’emergere di produzioni di bigiotteria e del “catename”101.

101 La tradizione orafa aretina ha origine antichissime, che la fanno risalire alla civiltà etrusca. In segui-to, in epoca pre-rinascimentale e rinascimentale l’oreficeria prende nuovo slancio con le scuole orafe incui confluivano influenze delle correnti artistiche fiorentine, senesi e umbre (Unioncamere, 2004). Se-condo Lazzeretti (2002), il distretto aretino, composto attualmente da circa 1.100 imprese prevalente-mente di piccola e piccolissima dimensione, 10.000 addetti per un fatturato annuo intorno ai 6.000milioni di Euro, rappresenta una particolare forma della “distrettualistica”, configurandosi come “di-stretto emergente” per gemmazione da una grande impresa fondata nel 1926, la s.n.c. di Zucchi e Gori,poi Unoerre.

Tabella 6.2LAVORATORI AUTONOMI E PRESENZE ANAGRAFICHE NEI PRINCIPALI GRUPPI STRANIERI.

PROVINCIA DI AREZZO. 2001

Nazionalità Titolari di ditte individuali Residenti Incidenza % lavoratori autonomisu presenza anagrafica

Albania 90 1.968 4,6Bangladesh 35 630 5,6Cina 36 168 21,4Filippine 2 162 1,2India 21 383 5,5Ex-Jugoslavia 14 411 3,4Marocco 115 794 14,5Pakistan 37 299 12,4Polonia 15 330 4,5Rep. Domenicana 4 250 1,6Romania 186 1.733 10,7Tunisia 32 162 19,8Macedonia 10 137 7,3Senegal 9 127 7,1Argentina 25 55 45,5TOTALE 743 9.598 7,7

Fonte: Ucodep (2003)

L’età anagrafica mostra una correlazione positiva con le classi di etàsuperiori ai 30 anni (e inferiori ai 40), a conferma del fatto che solo avendoaccumulato le risorse necessarie in termini linguistici, relazionali, informa-tivi, ossia risorse direttamente correlate all’anzianità di soggiorno, è possi-bile intraprendere un’attività autonoma.

Ultima menzione per l’analisi di genere degli imprenditori, che è netta-mente prevalente a beneficio dei titolari di sesso maschile, sebbene alcunecomunità mostrino una recente tendenza alla riduzione dello squilibrio tra i

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generi. Quello dell’imprenditoria femminile è un aspetto particolarmenteimportante non appena si consideri la doppia segregazione a cui sono espo-ste normalmente le donne sul mercato del lavoro del contesto di emigrazio-ne: in quanto “immigrate” e in quanto “donne”.

6.2Gli infortuni nella provincia di Arezzo

Arezzo è tra le province toscane dove si verificano più incidenti per addet-to, registrando una frequenza infortunistica quasi 4 punti sopra il valoreregionale e di 8 superiore a quello italiano (47,71 infortuni per 1000 addet-ti, rispetto ai 43,92 della Toscana e ai 39,79 a livello italiano) (Tab. 6.3)102.

Tabella 6.3INDICE DI FREQUENZA DEGLI INFORTUNI

Media anni 1999-2001

Tipo di conseguenzaProvincia Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente

Massa Carrara 50,97 3,29 0,10 54,37Livorno 49,64 2,78 0,09 52,50Lucca 47,94 2,58 0,10 50,62Arezzo 44,44 3,17 0,09 47,71Pistoia 43,38 3,02 0,09 46,50TOSCANA 41,09 2,76 0,07 43,92Pisa 38,99 3,08 0,08 42,15Siena 38,75 2,23 0,08 41,05Prato 37,70 2,44 0,05 40,18ITALIA 37,54 2,18 0,08 39,79Firenze 36,79 2,64 0,04 39,47Grosseto 30,99 2,71 0,09 33,79

Fonte: Banca dati Inail

102 Anche l’indice di incidenza calcolata rispetto alle attività dell’industria e servizi (infortunati permille addetti delle imprese presenti nel DB Inail Epinfo) è in linea con questo dato, con un valore delrapporto sempre superiore a 50 nel biennio 2000-2001.

I dati a disposizione per il 2000 e 2001 indicano un numero di eventi lesiviannuo intorno ai 6000 casi, con una flessione del totale assoluto di infortunicomplessivi nel biennio di poco superiore al 2%, più consistente in proporzionenell’agricoltura che non nell’industria. Negli stessi anni di riferimento si sonoverificati in totale 24 casi, che dagli 11 del 2000 sono arrivati ai 13 dell’annosuccessivo, rappresentando il 12% circa delle morti sul lavoro avvenute in To-scana (Tab. 6.4).

A differenza di quanto avviene a Prato, gli incidenti sul lavoro sono mag-giormente distribuiti tra i vari settori, anche se si individua un punto piuttostonevralgico nelle costruzioni, che concentrano nel 2001 oltre il 18% degli eventidefiniti ed indennizzati in provincia. La pericolosità dell’attività edile in que-st’area è confermata dall’indice di frequenza settoriale indicato dall’Inail, (semprecon riferimento alla media ponderata per gli anni 1999-2001), che risulta tra i

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Tabella 6.4INFORTUNI DEFINITI E INDENNIZZATI TOTALI NELL’INDUSTRIA, SERVIZI E AGRICOLTURA

Provincia 2000 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Arezzo 5.688 308 11 6.007 5.590 279 13 5.882TOSCANA 53.975 2.461 99 56.535 53.015 2.082 103 55.200

Fonte: Inail Epinfo

più gravi d’Italia nonché il più alto rispetto alle altre province toscane, con unoscarto di 15 punti rispetto al valore regionale e di 22 rispetto a quello nazionale.Sempre in questo ramo d’attività si è verificato il maggior numero di casi mor-tali (Tab. 6.5 e Graf. 6.6).

Tabella 6.5INDICE DI FREQUENZA RELATIVA NEL SETTORE COSTRUZIONI

Media anni 1999-2001

Provincia Invalidità Invalidità Morte TOTALEtemporanea permamente

Arezzo 79,92 6,45 0,36 86,72TOSCANA 65,05 6,05 0,19 71,29ITALIA 58,59 5,52 0,22 64,33

Fonte: Banca dati Inail

Grafico 6.6DISTRIBUZIONE DEGLI INFORTUNI PER SETTORI NELLA PROVINCIA DI AREZZO

Sono stati inseriti i settori che concentrano più del 3% degli infortuni, evidenziando le attività manifatturiere con percentuali più elevate.Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

0 10 20 30 40 50

Ind. di trasf.

Ind. metalli

Ind. meccanica

Altre industrie

TOT. Manifatt.

Costruzioni

Commercio

Alberghi e ristor.

Trasporti

Att. immob. e serv.

Pubbl. Amm.

2000

2001

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La specializzazione produttiva si coglie nei valori infortunistici relativi al-l’attività di gioielleria ed oreficeria, contenuta all’interno del codice Ateco DN“Altre industrie manifatturiere”, il quale, con quasi 500 incidenti definiti edindennizzati, assume nel quadro infortunistico settoriale un peso del 9,5% sultotale provinciale, più basso solo di quello rilevato nelle costruzioni. Di questiinfortuni circa il 65% sono attribuibili alla lavorazione dei metalli, contribuen-do in misura superiore al 6% agli eventi indennizzati nella provincia.

L’attività produttiva103 del distretto orafo negli anni 2000-2001 vede di-minuire anch’essa il numero di infortuni sul lavoro, ma in modo contenuto(2,3%), registrando però nel secondo anno un morto (di nazionalitàdominicana). Si dimezzano invece i casi di inabilità permanente.

In questo tipo di attività, dove trovano lavoro immigrati soprattutto di origi-ne asiatica, il 7-8% degli infortunati è nato all’estero, e tra questi il maggiornumero di casi vede vittima cittadini del Bangladesh (il 25% nel 2000, il 27%nel 2001). Gli infortunati stranieri, negli anni di riferimento, diminuiscono com-plessivamente di 4 unità (-15,4%). Il quadro etnico è piuttosto differenziato evede la presenza di immigrati del Sud Est asiatico (oltre al Bangladesh, SriLanka, Pakistan, Filippine) e di altra, varia, provenienza (Albania, Marocco,Romania, Repubblica Domenicana, Kuwait ecc.)104 (Tab. 6.7).

103 L’attività del settore orafo è fatta coincidere con quella del codice Ateco DN 36.2. Il limitato numerodi anni a disposizione non permette di definire alcuna tendenza temporale, è interessante però confron-tare, anche per il solo biennio, la variazione del fenomeno infortunistico complessivo rispetto a ciò chesi verifica per gli stranieri.104 Bisogna però considerare che la classificazione Ateco non esclude totalmente attività diverse daquelle legate alle lavorazioni di oreficeria e, allo stesso tempo, attività simili o collaterali a questapossono in realtà essere state classificate sotto altri codici lasciando quindi possibili dubbi e lacunesull’appartenenza di alcuni lavoratori all’attività più strettamente specifica del distretto.

Tabella 6.7INFORTUNI A STRANIERI NEL SETTORE ORAFO. PROVINCIA DI AREZZO

Nazione 2000 Nazione 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Bangladesh 5 0 0 5 Bangladesh 6 0 0 6Albania 3 0 0 3 Marocco 4 0 0 4Pakistan 3 0 0 3 Albania 2 0 0 2Kuwait 2 0 0 2 Germania Ovest 2 0 0 2Romania 2 0 0 2 Kuwait 2 0 0 2Svizzera 2 0 0 2 Colombia 1 0 0 1Cina Rep. Pop. 0 1 0 1 Germania Est 1 0 0 1Filippine 1 0 0 1 Macedonia 1 0 0 1Francia 1 0 0 1 Rep. Domenicana 0 0 1 1Germania Ovest 1 0 0 1 Somalia 1 0 0 1Honduras 1 0 0 1 Sri Lanka 1 0 0 1Macedonia 1 0 0 1 TOT. STRANIERI 21 0 1 22Marocco 1 0 0 1 ITALIA 282 6 0 288Rep. Domenicana 1 0 0 1 Missing* 1 0 0 1Sri Lanka 1 0 0 1 TOTALE 304 6 1 311TOT. STRANIERI 25 1 0 26ITALIA 284 11 0 295TOTALE 309 12 0 321

* con Missing si fa riferimento agli infortunati di cui non è stato possibile individuare il luogo di nascita tramite il codice fiscaleFonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

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Se il settore d’attività economica, che ha al suo interno la lavorazione dimateriali preziosi, non presenta un alto indice di frequenza infortunistica, l’in-dustria meccanica, anch’esso oggetto d’indagine sul campo, presenta inveceun livello di rischio ben superiore al valore regionale (quasi 18 punti). In que-sto ramo produttivo accade circa il 3% degli infortuni complessivi della pro-vincia e, nel 2001, si registra un decremento di eventi indennizzati del 9%. Gliinfortunati stranieri sono il 10,6% del totale (9,6% nel 2000) con un andamentoin termini assoluti stabile. Le nazionalità coinvolte in questo caso variano deli-neando una geografia infortunistica piuttosto diversificata, nella quale non siindividuano aree specifiche di provenienza.

Complessivamente nel 2000 gli infortunati stranieri -di cui il 90% circaextracomunitari- rappresentano l’8% del totale provinciale e il 9,3% nel 2001(Tab. 6.8). L’aumento del peso relativo è conseguenza dell’aumento del nume-ro dei casi che hanno riguardato i cittadini nati fuori Italia, che si verifica con-temporaneamente alla diminuzione generale nel biennio degli eventi definitied indennizzati nel territorio considerato (-2%) descritta in precedenza. La per-centuale che interessa gli stranieri è leggermente più alta se si considerano lesole attività di industria e servizi (Tab. 6.9). In agricoltura infatti, il livello diinfortuni, per quanto riguarda gli immigrati, scende nel 2001 in misura più cheproporzionale rispetto al valore generale (-23% rispetto alla flessione del 9%),portando il peso relativo degli infortunati stranieri sotto il 7% del totale nelsettore. Sempre nel 2001, però, 1 dei 3 casi mortali accaduti in ambito agricoloè relativo ad un cittadino romeno105.

In generale la composizione della popolazione immigrata ad Arezzo siriflette nel fenomeno infortunistico in modo abbastanza proporzionale. Lenazionalità più “a rischio” risultano infatti quelle albanese, marocchina eromena, con quest’ultima che nel 2001 vede incrementare del 70% i casi diinfortunio, registrando un numero di eventi inferiore solo a quello dei lavo-ratori albanesi, che a loro volta sono vittime del 20% circa degli incidentiche accadono a stranieri. Nei due anni analizzati si registra un aumentoassoluto di casi relativi a cittadini albanesi tra le attività dell’industria (non-ché un aumento del loro peso relativo) ed un calo (assoluto e relativo) in

105 I dati del Rapporto Annuale Regionale Inail confermano per il triennio 2001 2003 la crescita dei casi(infortuni denunciati) riguardanti i lavoratori extracomunitari, che salgono ad Arezzo del 9% tra 2001 e2002 e di quasi il 18% l’anno successivo, arrivando all’11,4% del totale regionale (il 15% in agricoltu-ra) relativo agli stranieri. Sempre secondo il Rapporto, le comunità romena, polacca, indiana e quelladel Bangladesh registrano nella provincia un numero particolarmente consistente di infortuni se rappor-tati a quelli accaduti complessivamente ai rispettivi connazionali in ambito regionale.

Tabella 6.8PESO DEGLI INFORTUNI STRANIERI SUL TOTALE DELLA PROVINCIA, NELL’INDUSTRIA E SERVIZI E

IN TUTTI I SETTORI

% inforrtuni stranieri in industria e servizi/ % infortuni stranieri/totale infortuni industria e servizi totale infortuni

2000 2001 2000 2001

Arezzo 8,06 9,79 8,06 9,35TOSCANA 6,68 7,82 6,80 7,88

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

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agricoltura. In quest’ultimo settore alcune nazionalità di provenienza del-l’est europeo, in conseguenza del loro maggiore impiego, riscontrano da unanno all’altro livelli di infortuni sensibilmente più elevati, in particolare iromeni (+125%) e i macedoni (+100%)106. Le etnie del Sud Est asiaticoregistrano maggiori infortuni nelle attività dell’industria e servizi, aumen-tando la loro presenza relativa nel quadro infortunistico. I cittadini delBangladesh nel 2001 vedono incrementare il numero di eventi lesivi del52%, quelli del Pakistan del 38,5%, gli indiani del 33,3%. In diminuzioneinfine i casi relativi ai cittadini comunitari (-15%) (Tabb. 6.10-6.11).

Nell’industria e servizi, l’incidenza degli infortuni stranieri sul totale gene-rale degli occupati aumenta dal 2000 al 2001, registrando nel secondo anno4,95 casi relativi a persone nate all’estero per mille addetti (Tab. 6.12). Il rap-porto, stimato rispetto ai soli occupati immigrati (calcolato considerando i la-

Tabella 6.9INFORTUNI DI LAVORATORI STRANIERI

Industria e % su industria Agricoltura % su TOTALE % su totaleservizi e servizi agricoltura regionale

Anno 2000Arezzo 411 12,07 73 16,55 484 12,59TOSCANA 3.404 100,00 441 100,0 3.845 100,00

Anno 2001Arezzo 493 12,59 57 13,19 550 12,65TOSCANA 3.917 100,00 432 100,0 4.349 100,00

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

106 Gli jugoslavi, pur subendo lo stesso numero di infortuni dell’anno precedente e considerato il calo generalizza-to nel settore, aumentano il loro peso relativo sul totale degli infortunati stranieri dal 5,5 al 7,1%

Tabella 6.10INFORTUNI A STRANIERI NELL’AGRICOLTURA. PROVINCIA DI AREZZO

Nazione 2000 Nazione 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Albania 15 0 0 15 Albania 11 0 0 11Marocco 9 2 0 11 Romania 7 1 1 9Polonia 7 0 0 7 Marocco 6 1 0 7Germania Ovest 4 1 0 5 Germania Ovest 4 0 0 4Svizzera 4 1 0 5 Jugoslavia 4 0 0 4Jugoslavia 3 1 0 4 Macedonia 4 0 0 4Romania 3 1 0 4 Tunisia 4 0 0 4Tunisia 2 1 0 3 Polonia 2 0 0 2Argentina 1 1 0 2 Argentina 1 0 0 1India 2 0 0 2 Belgio 1 0 0 1Altri Paesi 14 1 0 15 Altri Paesi 10 0 0 10TOT. STRANIERI 64 9 0 73 TOT. STRANIERI 54 2 1 57ITALIA 757 57 2 816 ITALIA 709 45 2 756Missing* 3 0 3 TOTALE 762 47 3 812TOTALE 824 66 2 892

* con Missing si fa riferimento agli infortunati di cui non è stato possibile individuare il luogo di nascita tramite il codice fiscaleFonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

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Tabella 6.11INFORTUNI NELL’INDUSTRIA, SERVIZI E AGRICOLTURA. PROVINCIA DI AREZZO

Nazione 2000 Nazione 2001Invalidità Invalidità Morte TOTALE Invalidità Invalidità Morte TOTALE

temporanea permamente temporanea permamente

Albania 89 3 0 92 Albania 114 5 0 119Marocco 53 4 0 57 Romania 80 4 1 85Romania 48 2 0 50 Marocco 60 2 0 62Svizzera 29 2 0 31 Jugoslavia 25 2 0 27Jugoslavia 25 1 0 26 Bangladesh 25 1 0 26Bangladesh 17 0 0 17 India 20 0 0 20India 16 1 0 17 Tunisia 19 0 0 19Tunisia 16 1 0 17 Pakistan 18 0 0 18Senegal 16 0 0 16 Macedonia 16 0 0 16Pakistan 15 0 0 15 Senegal 16 0 0 16Polonia 15 0 0 15 Svizzera 15 0 0 15Argentina 8 1 0 9 Polonia 10 0 0 10Algeria 8 0 0 8 Algeria 8 0 1 9Libia 5 1 0 6 Argentina 5 3 0 8Macedonia 6 0 0 6 Rep. Domenicana 4 0 1 5Altri Paesi 43 2 0 45 Altri Paesi 48 0 0 48TOT. EXTRACOM. 409 18 0 427 TOT. EXTRACOM. 482 17 3 502COMUNITARI 54 3 0 57 COMUNITARI 44 2 0 46TOT. STRANIERI 463 21 0 484 TOT. STRANIERI 526 19 3 548ITALIA 5207 287 11 5505 ITALIA 5031 259 10 5300Missing* 18 0 0 18 Missing* 33 1 0 34TOTALE 5688 308 11 6007 TOTALE 5590 279 13 5882

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

Tabella 6.12INDICE DI INCIDENZA GENERALE

Incidenza totale Componente stranieranell’incidenza totale

2000 2001 2000 2001

Arezzo 52,64 50,57 4,24 4,95TOSCANA 47,74 43,99 3,19 3,44

Incidenza totale: numero infortuni ogni 1000 addetti (presenti nel database Inail Epinfo)Componente straniera nell’ Incidenza totale: numero infortuni stranieri per 1000 addetti

Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

Tabella 6.13INDICE DI INCIDENZA DEGLI INFORTUNI DI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI

2000 2001

Arezzo 73,8 68,6TOSCANA 62,1 58,3

Indice di incidenza extracom = numero infortuni extracomunitari per mille occupati extracomunitari (Archivio INPS) Fonte: nostre elaborazioni su dati Inail Epinfo

voratori extracomunitari presenti nell’archivio Inps) rileva valori piuttosto alti,di oltre 10 punti sopra il livello regionale, anche se nel biennio si assiste ad unadiminuzione (da 73,8 a 68,6 nel 2001 il dato relativo agli extracomunitari)(Tab. 6.13).

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107 Si veda, ad esempio: Giovani, Savino, 2001; Valzania, 2002; Cozzi, 2003.108 Il dato sulla carta di soggiorno, essendo rilasciata dopo sei anni di residenza sul suolo italiano,conferma la netta discrasia temporale tra i flussi migratori degli altri due contesti territoriali (oramai conuna certa anzianità migratoria) e quelli relativi ai migranti occupati nel distretto aretino.

6.3Gli intervistati

Le caratteristiche del campione degli intervistati riflettono, piuttosto fedel-mente, l’articolazione della presenza straniera nel distretto orafo aretino,composto in maniera prevalente da immigrati maschi (43 su 50 intervista-ti), celibi (72% degli intervistati), giovani (con una età media di 27 anni) eprovenienti dall’Asia (il 76% del totale), in particolar modo dal continenteindiano (circa il 70% degli intervistati).

Dal punto di vista del livello di istruzione, il profilo degli intervistati siconnota in termini piuttosto elevati rispetto alla media regionale (e a quelladegli altri due casi in esame): il 66% degli intervistati dichiara infatti diavere un diploma di scuola media superiore, il 18% la laurea universitaria.Una riprova significativa ci viene fornita anche dal dato relativo agli annicomplessivi di frequenza scolastica: il 62% del totale degli intervistati di-chiara infatti di avere frequentato almeno dodici anni di scuola.

La questione temporale mette in rilievo due caratteristiche particolaridella presenza straniera nel settore: innanzitutto, una minore anzianitàmigratoria, con flussi relativamente recenti e ancora in via di definizionerispetto ai flussi complessivi sul territorio aretino; in secondo luogo, unatendenziale minore stanzialità rispetto ad altri gruppi di immigrati che, pro-prio per le caratteristiche sopra evidenziate, permette un ricambio maggio-re e continuo attraverso le reti etniche e comunitarie di persone in entrata euscita dal mercato del lavoro locale.

Questo non significa che non vi siano in atto processi di stabilizzazione sulterritorio di questi gruppi di immigrati, o che essi siano in qualche modo refrat-tari ad una stabilizzazione del loro percorso migratorio; al contrario, alcuni diquesti gruppi hanno già evidenziato, in altri contesti locali, una elevata capacitàdi adattamento e di inserimento sociale nel territorio107; quello che si vuole quisottolineare è semmai come, sia per semplici fattori di tempo (migrazioni piùrecenti e meno consolidate), che per più complessi meccanismi culturali e diinvestimento migratorio, si caratterizzino per percorsi migratori specifici, mol-teplici, divergenti dal resto delle migrazioni.

Anche per questi motivi, probabilmente, si spiegano le differenze ri-spetto agli altri due contesti territoriali relative alla situazione giuridica; nelcaso aretino, infatti, se è vero che la stragrande maggioranza dichiara diessere in possesso di un permesso di soggiorno (78% del totale), è anchevero che soltanto il 6% dichiara di avere la carta di soggiorno (contro il20% di S. Croce e il 15% di Prato)108, mentre il 10% ha un permesso scadu-to (contro il 2% degli altri contesti locali).

Anche per quanto concerne gli intervistati del distretto aretino, esisteuna sorta di processo di selezione a monte del percorso migratorio che ha ilcompito di individuare le persone più forti ed intraprendenti investendo sudi loro; l’indagine evidenzia infatti come gli intervistati siano prevalente-mente studenti (68% del totale dei casi) appartenenti alla fascia medio-alta

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della popolazione (76% di casi con stipendio familiare medio-alto), per lopiù abitanti in città di dimensioni metropolitane (52% del totale degli inter-vistati).

Considerando anche la condizione professionale nel paese di origineappare davvero molto rilevante il divario esistente rispetto agli altri duecontesti distrettuali per quanto riguarda la quota complessiva di studenti(68% ad Arezzo contro il 31% di Prato e il 22% di S. Croce), segno eviden-te di meccanismi particolari che selezionano già nel paese di origine(Bangladesh, Pakistan e India) i percorsi migratori e/o, presumibilmente,di meccanismi attivi nel paese di approdo, sia di tipo interno alle comunitàdi riferimento che proprie di questo settore lavorativo109.

Questo dato evidenzia come si sia in presenza di percorsi migratori as-sai differenti da quelli propri negli altri due contesti territoriali, caratteriz-zati per lo più da persone occupate in maniera stabile nel loro paese diorigine; qui, invece, si tratta di veri e propri investimenti sui giovani (etàmedia 27 anni), ancora studenti nel paese di origine (neo-diplomati) macon alle spalle già una certa socializzazione al lavoro (il 46% del totaledegli intervistati ha dichiarato infatti di avere iniziato a lavorare tra i 17-20anni e un altro 42% tra i 21-25 anni), che non lasciano una posizione con-solidata nel proprio paese o non hanno una famiglia a carico, ma sfruttanogli incentivi economici familiari per migliorare la loro condizione di vita(e, indirettamente, quella della famiglia che punta su di loro).

Rispetto ad altri gruppi di migranti, quelli in esame, provenienti da zonedel mondo più lontane, con costi economici (oltreché umani) di migrazio-ne elevati e con minori informazioni relative all’Europa e al nostro paese,debbono essere in grado di prevenire, per quanto possibile, i fattori di in-successo110; la forte attrazione settoriale (riconosciuta anchedall’imprenditoria locale mediante l’agevolazione più o meno tacita di ca-tene migratorie di tipo etnico sempre più solide), da un lato, intrecciata alcostituirsi di comunità locali in grado di supportare le difficoltà di inseri-mento, dall’altro, sembrano consentire questo necessario abbattimento deirischi in partenza.

Per questi motivi, nonostante la schizofrenia legislativa nazionale, l’Italiae la Toscana rappresentano ancora una meta piuttosto sicura per flussimigratori che possano contare sull’appoggio in loco di comunità di riferi-mento inserite in particolari settori produttivi del territorio, come nel casoaretino.

Se andiamo a vedere nel concreto quali sono stati i motivi principali peri quali gli immigrati intervistati hanno lasciato il loro paese di origine, ve-diamo come siano i fattori di tipo socio-economico ad essere menzionati ai

109 Come ipotizzato per il caso dei pakistani nella lavorazione della ciniglia a Prato (Valzania, 2002), intermini generali e mai meccanicistici, sono anche possibili alcuni processi di attrazione territorialebasati sul know how di provenienza del lavoratore stesso.110 Per questi immigrati assume infatti una importanza decisiva il fattore della distanza geografica: “chiarriva da più lontano è più selezionato alla partenza, dispone mediamente di maggiori risorse, sa didovere investire in progetti migratori più a lungo termine, acquista consapevolezza dell’importanzadella coesione dei gruppo per trovare appoggio e reggere i costi psicologici dell’inserimento” (Ambrosini,2001; pag. 108).

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primi posti: il 32% degli intervistati dichiara di averlo fatto per migliorarela propria situazione economica, il 30% per cercare lavoro, il 20% per ra-gioni di ricongiungimento familiare111 ma anche, come vedremo, per le fortiinterconnessioni con le reti etniche/familiari presenti sul territorio; interes-sante, anche se marginale rispetto al resto delle risposte, il 6% del totale cheha dichiarato quale principale motivo per cui ha lasciato il paese di origineil desiderio di conoscere il mondo occidentale.

La centralità dei legami forti e delle reti comunitarie nei processi migratoriappare ancora più evidente quando si approfondiscono i motivi che hanno spintogli intervistati a stabilirsi ad Arezzo; in questo caso, così come per gli altri duedistretti, la presenza di familiari e di conoscenti connazionali sul territorio ri-sulta essere una vera e propria discriminante, ben più importante del posto dilavoro e delle altre opportunità che il territorio può offrire.

Anche nel caso del distretto aretino, come già evidenziato per S. Croce,l’immagine pervenuta attraverso i racconti e le informazioni trasmesse daiconnazionali nel paese di origine è risultata essere comunque positiva se,com’è emerso dalle seconde risposte in ordine di importanza di questa bat-teria di domande, ben il 44% degli intervistati ha dichiarato di avere sceltoArezzo proprio per la prosperità della sua economia e per le conseguentipossibilità occupazionali.

6.4L’inserimento lavorativo

Differentemente dal distretto di S. Croce, ma in modalità simili a quantosuccesso in quello pratese, il distretto aretino si è caratterizzato negli ultimianni per un progressivo incremento del numero di imprenditori stranieri(Luatti, Ortolano, La Mastra, 2003) che, soprattutto per alcuni gruppi, haevidenziato una sorta di concentrazione settoriale112.

In particolar modo per quanto concerne il settore orafo, lo sviluppo diimprese straniere ha visto protagonisti alcuni gruppi di immigrati, preva-lentemente bengalesi e pakistani, che da semplici operai hanno dato vita ad

111 I motivi di ricongiungimento familiare sono pressoché assenti negli altri due contesti distrettuali(dove non ci sono state tuttavia donne intervistate) e qui presente non solo per le sette donne incluse nelcampione. Com’è noto, l’immigrazione proveniente da questi paesi è di solito trainata dai maschi (conla componente femminile che raggiunge successivamente la famiglia attraverso il ricongiungimento), adifferenza ad altri gruppi di immigrati (tipo i filippini o, più in generale, le popolazioni provenientidall’Est Europa), dove invece sono le donne ad essere bread winner.112 “Esemplificando, possiamo tracciare una suddivisione tra i vari gruppi nazionali di questo tipo: irumeni prevalgono nel settore delle costruzioni, i cinesi nell’ambito della ristorazione, i pakistani e ibengalesi nel campo orafo, i marocchini nel commercio al dettaglio” (Luatti, Ortolano, La Mastra,2003; pag. 131); il problema della etnicizzazione del lavoro indipendente non risiede tanto nella crea-zione di nicchie di mercato particolari e sostitutive/competitive con quelle autoctone, quanto semmainella canalizzazione delle risorse umane straniere presenti sul territorio verso stereotipati e meccanicimodelli di inserimento lavorativo che riproducono un vero e proprio stigma etnico che costringe unimmigrato di una determinata nazionalità di origine a scegliere soltanto il settore produttivo dove, nellapercezione sociale collettiva, è considerato idoneo a svolgere una attività lavorativa (per un approfondi-mento di questi aspetti cfr. Ambrosini, 2001; pp. 88-92).

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attività lavorative autonome, talvolta di tipo etnico, richiamando sul territo-rio i propri connazionali e i familiari113.

Questo aspetto, che ha interessato anche la nostra indagine coinvolgendolavoratori immigrati occupati in imprese straniere (17 su 50 complessivi, quasiinteramente bengalesi), ci ha convinto ad impostare l’illustrazione dei risultatiin maniera differente da quella degli altri due sistemi distrettuali, attraverso unacomparazione tra le due situazioni senza distinzioni in paragrafi separati; nelcaso in questione, infatti, sembra interessante cercare di capire se, e in qualemisura, vi siano differenti condizioni di lavoro tra imprese italiane e stranieresul territorio e quale percezione del rischio infortunistico esista nei due diffe-renti contesti lavorativi.

Cominceremo brevemente con il rimarcare alcune caratteristiche di fondodi questi immigrati, perché dall’analisi dei questionari sembrano emergere dif-ferenze piuttosto interessanti tra coloro che lavorano in aziende con datore dilavoro italiano e coloro che invece lavorano presso imprenditori stranieri:innanzitutto l’origine di provenienza che, nel caso degli immigrati occupati inaziende straniere è quasi interamente bengalese (70,5% del totale), mentre nel-l’altro caso è più composita; in secondo luogo, il fatto che siano quasi intera-mente studenti (70%) coloro che emigrano per raggiungere aziende orafe di-rette da stranieri; in terzo luogo, la dinamica del processo migratorio che, nelcaso di coloro poi occupati da connazionali sembra essere passato dal Lazio(luogo di soggiorno prima di arrivare ad Arezzo nel 77% dei casi) in manieraassai maggiore che nel percorso di coloro poi occupati in imprese italiane,segno di una differenza importante nell’utilizzo delle reti etniche a secondadella tipologia di migranti interessata e delle stesse finalità migratorie .

Effettivamente, anche dal confronto incrociato con altre risposte, il ruolodella rete etnica emerge nel caso dei bengalesi occupati presso imprenditoristranieri connazionali in maniera molto più evidente che nel caso degli altrimigranti, sottolineando il nesso stretto tra l’imprenditore già attivo sul territo-rio e il richiamo del lavoratore in patria; una volta ricevuta la richiesta dall’im-prenditore, si parte per Roma (Lazio) dove si fa tappa nella comunità di conna-zionali (che pensa ad aiutare i neo-arrivati dopo il lungo viaggio) e poi ci sidirige ad Arezzo, vicina anche da un punto di vista geografico.

Le imprese orafe nelle quali sono impiegati i lavoratori stranieri intervistatisono tutte piccole imprese, per lo più composte da tre a nove addetti (circa il60% del totale); tutti i lavoratori occupati sono impiegati in imprese di questedimensioni (la stragrande maggioranza -l’88% del totale- in quelle da quattro anove addetti), mentre molti stranieri occupati in imprese italiane lavorano an-che in ditte con un numero superiore di lavoratori (Graf. 6.14).

Da un punto di vista del tempo medio di lavoro, come evidenziato benenel Grafico 6.15, le differenze tra coloro che lavorano in aziende italiane dacoloro che lavorano in aziende straniere si assottigliano decisamente, men-tre appaiono più forti rispetto agli altri sistemi distrettuali analizzati.

113 Nonostante i dati generali indichino una scarsa presenza di imprese “etniche” sul territorio aretino (Luatti,Ortolano, La Mastra, 2003), la nostra indagine, seppur partendo dall’analisi del punto di vista dei lavoratori,evidenzia per il settore orafo la presenza di meccanismi di etnicizzazione in corso; dato il quadro complessivo deldistretto aretino, nel prossimo futuro sarà interessante capire se queste imprese sapranno resistere alla crisi delsettore; se le risorse umane rimarranno sul territorio, magari riconfluendo nelle imprese italiane, o se invece sisposteranno altrove, raggiungendo altre comunità o tornando in patria.

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137

Grafico 6.14NUMERO ADDETTI IN CUI LAVORA ATTUALMENTE

9%

40%

12%

27%

6% 6%12%

88%

0%

20%

40%

60%

80%

100%

fino a tre da 4 a 9 da 10 a 19 da 20 a 49 da 50 a 99 100 e +

Impresa italiana Impresa straniera

Rispetto al 42% di orari di lavoro prolungati (oltre le 40 ore settimanali)fatto registrare da S. Croce, infatti, il caso aretino registra una percentualeinferiore (36%), collocandosi a metà tra le altre due situazioni (visto il 27,5%di Prato).

Anche per quanto concerne l’orario di lavoro quotidiano, l’industria orafaaretina si caratterizza per una impostazione piuttosto classica dei propritempi lavorativi costruita intorno ad orari normali spezzati o a giornata,mentre negli altri due distretti emergono situazioni molto più articolate,con un utilizzo della flessibilità temporale più marcato.

Nell’industria orafa aretina prevale nettamente la modalità oraria nor-male spezzata; tutti dichiarano di lavorare la mattina e il pomeriggio, con

Grafico 6.15QUANTE ORE LAVORA MEDIAMENTE LA SETTIMANA?

3%

61%

36%

12%

35%

53%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

Meno di 35 ore 40 ore Da 41 a 50 ore

Impresa italiana Impresa straniera

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alcuni possibili prolungamenti serali (dalle 18 all’ora di cena), soprattuttonelle imprese italiane (45% dei casi contro il 29% delle imprese straniere),ma senza alcun turno notturno (Graff. 6.16-6.17).

Grafico 6.16QUAL È IL SUO ORARIO DI LAVORO? (IMPRESE ITALIANE)

Grafico 6.17QUAL È IL SUO ORARIO DI LAVORO? (IMPRESE STRANIERE)

96%

3%

2%

45%

6%

55%

2%

55%

94%

42%

100%

100%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Mattina

Pomeriggio

Serale

Notturno

Di sabato

Di domenica

Sempre Spesso/qualche volta Mai

88%6%

30%

35%

6%

70%

100%

65%

100%

100%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Mattina

Pomeriggio

Serale

Notturno

Di sabato

Di domenica

Sempre Spesso/qualche volta Mai

Uno degli elementi più interessanti risulta essere quello relativo al mi-nor utilizzo della flessibilità temporale nelle aziende straniere rispetto aquelle italiane; percentuali minori sono infatti registrate sia per quanto con-cerne il già citato orario serale, sia per quanto riguarda il lavoro di sabato,dove gli stranieri occupati in imprese italiane lavorano spesso nel 54% deicasi, mentre quelli occupati in aziende straniere nel 35% dei casi.

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Anche di fronte all’utilizzo dello straordinario, emergono differenze note-voli tra coloro che sono occupati in aziende italiane e coloro che invece lavora-no presso aziende a titolarità straniera (Graf. 6.18); in queste ultime, infatti, ilricorso allo straordinario appare piuttosto scarso (il 70% del totale degli inter-vistati dichiara di non svolgerlo mai o raramente, e solamente una personadichiara di svolgerlo regolarmente nel corso dell’anno), mentre nelle aziende aconduzione italiana si effettua regolarmente durante tutto l’anno nel 30% deltotale dei casi e solo in certi periodi dell’anno in un altro 30% dei casi.

Grafico 6.18DI FRONTE ALLA RICHIESTA DI STRAORDINARIO. LEI COME REAGISCE?

23%

15%

4% 4%

42%

33%

8%

54%

17%

0%

20%

40%

60%

In generale lo facciovolentieri

Lo faccio perché il miolavoro me lo richiede

Lo faccio malvolentierima ho bisogno di soldi

Cerco di evitarlo/nonmi interessa

Dipende dal momento

Impresa italiana Impresa straniera

Probabilmente proprio a causa di questa maggiore intensità del ricorso allostraordinario, gli intervistati occupati nelle imprese italiane segnalano una mag-giore ritrosia nello svolgerlo, evidenziando il carattere obbligatorio e la neces-sità di guadagnare dei soldi implicito all’atto; meno critici sembrano inveceessere i lavoratori occupati in aziende a titolarità straniera.

Il dato sulla tipologia contrattuale con la quale lavorano gli immigrati inter-vistati conferma una scarsa presenza di lavoro atipico in un comparto produtti-vo che, così come per quanto concerne il settore industriale più in generale,impiega solitamente manodopera a tempo indeterminato (Luatti, Ortolano, LaMastra, 2003; pag. 63)114.

Degno di rilievo, invece, per la sua peculiarità, appare essere il dato relativoalle tipologie contrattuali utilizzate dalle aziende a titolarità straniera; in questocaso, il 30% degli intervistati dichiara di essere apprendista e il 18% impiegatocon contratto di formazione-lavoro, segno che si conoscono gli strumenti con-trattuali in entrata sul mercato del lavoro e che, come confermato da altri dati,la manodopera occupata è giovane e arrivata di recente in azienda (Graf. 6.19).

114 Il settore dell’industria, com’è noto, tende ad occupare la propria manodopera principalmente me-diante forme contrattuali tipiche, soprattutto per quanto riguarda la manodopera straniera, impiegata disolito in mansioni strutturali al ciclo produttivo ma sempre più in maniera sostitutiva alla manodoperaautoctona che non le vuole più svolgere (Ambrosini, 2001; Giovani, Valzania, 2003).

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Grafico 6.19NEL LAVORO CHE SVOLGE ATTUALMENTE IL LAVORO È REGOLATO DA:

Grafico 6.20POTREBBE DARE UN GIUDIZIO AI SEGUENTI ASPETTI DEL SUO LAVORO?

Intervistati occupati in imprese italiane

64%

6%

6%

15%

6%

41%

5%

18%

30%

6%

3%

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70%

Nessun contratto

Contratto a tempo indeterminato

Contratto a tempo determinato

Contratto formazione-lavoro

Contratto per apprendisti

Contratto di lavoro interinale

Socio di cooperativa

Impresa italiana Impresa straniera

48%

73%

94%

93%

94%

73%

6%

48%

27%

6%

3%

6%

27%

4%

4%

3%

90%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Ambiente di lavoro

Retribuzione

Ritmo di lavoro

Orari

Rapporto con colleghi

Rapporto con superiori

Sicurezza dell'impiego

Positivo Negativo Non sa

L’indagine ha poi sviluppato una serie di approfondimenti specifici sualcuni aspetti dell’attività lavorativa, chiedendo agli intervistati di dare unavalutazione in merito; da questa batteria di domande emerge un quadropiuttosto positivo, con qualche percentuale negativa elevata per quanto con-cerne la retribuzione, un dato che sembra, tra l’altro, accomunare sia leimprese italiane che quelle straniere.

Come possiamo vedere dal Grafico 6.20, pochi intervistati hanno datoun giudizio negativo all’ambiente di lavoro, così come sugli orari, i rap-porti con i colleghi e con i superiori; qualche giudizio negativo appare

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Grafico 6.21POTREBBE DARE UN GIUDIZIO AI SEGUENTI ASPETTI DEL SUO LAVORO:

Intervistati occupati in imprese straniere

65%

94%

94%

100%

100%

94%

12%

35%

6%

6%

6%

88%

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Ambiente di lavoro

Retribuzione

Ritmo di lavoro

Orari

Rapporto con colleghi

Rapporto con superiori

Sicurezza dell'impiego

Positivo Negativo Non sa

invece per i ritmi di lavoro (nel caso elle aziende italiane, registrato per il27% degli intervistati) e per la sicurezza dell’impiego (con il medesimorisultato sempre solo per gli occupati in aziende italiane), anche se la situa-zione più critica si evidenzia per quanto concerne la retribuzione, dove il48% degli immigrati occupati in imprese italiane e il 35% degli occupati inimprese a titolarità straniera ne sottolineano l’insoddisfazione.

Le differenze sulla valutazione di singoli aspetti lavorativi tra gli inter-vistati occupati in imprese italiane e in imprese straniere sono, come evi-dente, piuttosto orientate nel segno di una minore criticità evidenziata daquesti ultimi (Graf. 6.21); tuttavia, se andiamo a vedere la percezione sulproprio futuro lavorativo (Graf. 6.22), vediamo come siano proprio questilavoratori ad avere meno fiducia nella possibilità di fare avanzamenti diposizione nell’attuale luogo di lavoro (29% del totale contro il 48% di co-loro che lavorano in aziende italiane), dimostrando, in generale, un mag-giore pessimismo (23% dichiara di non avere possibilità in generale di mi-glioramento, contro il 15% di coloro che lavorano in imprese italiane).

Le aspirazioni di miglioramento della propria posizione lavorativa tro-vano un ulteriore conferma dal desiderio di cambiare lavoro, evidenziatodal 47% del totale degli occupati in imprese straniere e dal 40% degli oc-cupati in imprese italiane (Graf. 6.23).

Tra le cause principali della volontà di cambiare lavoro troviamo duecoppie di elementi sui quali vogliamo soffermare l’attenzione (Graf. 6.24):per quanto concerne gli occupati in imprese italiane, il desiderio di un la-voro più stabile e regolare (38%) e un maggiore guadagno (30%); per quantoconcerne gli occupati in imprese straniere, con percentuali identiche, ilmaggiore guadagno e la voglia di fare un lavoro autonomo (37%).

Cominciando dai motivi di coloro che lavorano nelle imprese italiane,pur trattandosi di una minoranza del totale degli intervistati (si tratta infattidel 10% del totale del campione), è possibile evidenziare come il tema

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Grafico 6.23VORREBBE CAMBIARE LAVORO?

27%30%

3%

41%

47%

40%

12%

0%

20%

40%

60%

No, sono soddisfatto diquello che ho

No, non credo di potertrovare un lavoro migliore

Si Non so

Impresa italiana Impresa straniera

Grafico 6.22LEI PENSA CHE SIA POSSIBILE, CON IL TEMPO, MIGLIORARE LA SUA POSIZIONE?

15%

49%

24%

6%

5%

24%

30%

24%

17%

6%

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70%

No, non mi interessa e non mi pongo il problema

No, ritengo non ci siano possibilità in generale

Si, penso di avere possibilità di miglioramento nell'azienda incui lavoro

Si, penso di avere possibilità di miglioramento ma in un'altraazienda

Si, penso di mettermi in proprio

Impresa italiana Impresa straniera

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delle condizioni di lavoro sia qui interpretato nelle sue reali conseguenzesoggettive: pochi soldi in busta paga e poca sicurezza su una continuità dirapporto lavorativo di tipo regolare.

Nel caso degli occupati in imprese straniere, insieme allo scarso guada-gno complessivo, l’altro elemento segnalato è invece il desiderio di met-tersi in proprio, di intraprendere un percorso di lavoro autonomo; questoaspetto è interessante non solo perché evidenzia una sorta di propensionedi questi lavoratori a intraprendere, ereditandone il testimone dai conna-zionali o dai familiari che li hanno preceduti, ma anche perché segnalacome, nel settore orafo, vi sia una specie di percorso lavorativo che stimolaalcuni immigrati ad avviare una attività propria dopo un periodo disocializzazione al lavoro alle dipendenze di connazionali115.

6.5La consapevolezza dei rischi sul lavoro

Uno dei temi più importanti quando analizziamo le condizioni lavorativedegli stranieri è senza dubbio quello relativo alla consapevolezza dei rischinel luogo di lavoro.

Questo aspetto, tuttavia, appare anche come uno dei più difficili da stu-diare, intrecciandosi strettamente con le molteplici sfumature che le varie

Grafico 6.24PER QUALE MOTIVO VORREBBE CAMBIARE LAVORO? (PRIMA RISPOSTA)

38%

31%

8%

15%12% 12%

38%

8%

38%

0%

20%

40%

Per un lavoro regolaree stabile

Per guadagnare di più Per un lavoro menopesante

Per un lavoromaggiormente legatoalla mia formazione

Per un lavoroautonomo

Impresa italiana Impresa straniera

115 Questo aspetto qualitativo dell’indagine conferma le più recenti tendenze in tema di crescita delleimprese straniere nel settore orafo evidenziati da alcune ricerche (Caritas, 2003; Luatti, Ortolano, LaMastra, 2003).

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culture si portano dietro, definendo il concetto stesso di lavoro in manieradiversa da quello a cui siamo soliti riferirci (Giovani, 2000; Giovani, Savino,2001)116.

Ma se una tale diversità produce conseguenze importanti sullo studiodegli aspetti percettivi del migrante (implicando tutta una serie di conside-razioni per quanto riguarda il suo comportamento nei confronti del rischiodi infortunio, che analizzeremo più avanti), vi sono anche alcuni aspettioggettivi sui quali riflettere e dai quali partire.

Il primo è, ad esempio, quello relativo al grado di conoscenza da partedei lavoratori stranieri della legislazione vigente in materia di sicurezza suiluoghi di lavoro (in particolare il D.Lgs. 626/94) e delle misure preventivemesse in atto in relazione a specifici rischi ai quali possa essere soggettonello svolgere la propria mansione; da questo punto di vista, una conoscen-za adeguata della normativa risulta essere un primo passo essenziale al-l’immigrato per avere una conoscenza minima di quelli che sono i suoidiritti/doveri in materia nel luogo di lavoro.

Il risultato della indagine mostra una situazione davvero negativa perquanto concerne la realtà orafa aretina, dove soltanto il 48% degli intervi-stati è a conoscenza dell’esistenza della normativa, rispetto al 62% diS. Croce e al 69% di Prato, con una situazione che si aggrava ulteriormentequando si analizza la specifica realtà di coloro che lavorano in impresestraniere (dove solo il 36% del totale degli intervistati è a conoscenza dellanormativa).

A parziale giustificazione di questo dato, è giusto ricordare come il cam-pione aretino presenti, rispetto agli altri due, una composizione anagraficapiù giovane degli intervistati e processi migratori più recenti, così come,probabilmente, data la provenienza della maggior parte dei migranti, diffi-coltà linguistiche maggiori che ne hanno rallentato l’apprendimento ai cor-si di formazione previsti per legge; tuttavia, visto il divario registrato ri-spetto agli altri sistemi distrettuali, rimane un segnale critico importante sucome si siano sviluppati in maniera insufficiente gli assi portanti della nor-mativa, ovvero una informazione diffusa e il coinvolgimento diretto deilavoratori.

Anche nel processo di applicazione formale della 626, infatti, tutti gli aspet-ti registrano percentuali significativamente inferiori per il distretto aretino ri-spetto agli altri due contesti territoriali: è inferiore la percentuale di coloro chesi sono sottoposti alle visite periodiche previste dalla legge (68% contro il 77%di Prato e il 90% di S. Croce), così come inferiori sono le percentuali di coloroche hanno ricevuto una adeguata formazione/informazione in materia (40%contro il 56% di S. Croce e il 71% di Prato) (Graf. 6.25).

Preoccupante, a tal proposito, notare come la percentuale di coloro chehanno dichiarato di non avere ricevuto una formazione/informazione ade-guata diminuisca nel caso dei lavoratori occupati presso imprese italiane(che scende al 36%), ulteriore spia di allarme di qualcosa che non procede

116 Si vuole qui evidenziare come, quando andiamo a studiare la percezione della sicurezza dei lavorato-ri stranieri, vi siano sempre alcune variabili interpretative specifiche (soggettive e culturali) da tenerepresenti, se non vogliamo cadere nell’errore di omologare concezioni e approcci al tema differenti dalnostro, pensando che, una volta in Italia, l’immigrato perda automaticamente qualsiasi sua peculiaritàsocio-culturale.

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Grafico 6.25NEL SUO ATTUALE LAVORO HA RICEVUTO QUALCHE TIPO DI FORMAZIONE/INFORMAZIONE

SULLA SICUREZZA DEL LAVORO?

No32%

Si, adeguata40%

Si, ma insufficiente28%

nel verso previsto dalla normativa per quanto concerne la diffusione deglistrumenti conoscitivi preventivi anti-infortunistici117.

Il secondo aspetto analizzato è quello relativo alla presenza nel luogo dilavoro di alcuni fattori di rischio, veri e propri dati oggettivi di pericolositàinterni all’ambiente di lavoro; i lavoratori intervistati hanno evidenziato trai fattori maggiormente presenti il rumore, le polveri, le sostanze nocive, lostress e i macchinari (Graf. 6.26).

Grafico 6.26QUALI DI QUESTI FATTORI SONO PRESENTI NEL SUO AMBIENTE DI LAVORO? (RISPOSTA MULTIPLA)

58%

24%

20%

22%

34%

34%

4%

30%

20%

32%

28%

0% 20% 40% 60%

Rumore

Freddo/caldo/umidità

Fumi/esalazioni

Fumo passivo da tabacco

Polveri

Sostanze nocive

Spazi ristretti

Macchine pericolose

Fatica fisica

Stress mentale

Pericolo di infortuni

117 Ricerche recenti hanno evidenziato come il carattere burocratico-formale della formazione in mate-ria sia tra le principali cause di una scorretta applicazione della normativa (Causarano, Valzania, 2000;Giovani, 2000) ; ciò sembra acuirsi, per le molteplici ragioni esposte sopra e implicite alla dimensionestessa di immigrato, quando si tratta di lavoratori stranieri (Giovani, 2000).

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Questi aspetti sembrano essere presenti in entrambe le situazioni (im-prese italiane e straniere), anche se in queste ultime emerge una maggiorepresenza del fattore fumi ed esalazioni, segnalato al primo posto.

Nonostante il rischio elevato proprio del comparto produttivo e l’incre-mento quantitativo degli infortuni successi ad immigrati nel distrettoaretino118, che pone il settore orafo su una posizione vicina, per pericolositàdel lavoro, a quella del tessile e della lavorazione conciaria, la percezionedel rischio appare essere inferiore a quella degli altri due contesti territoria-li; il 16% degli intervistati dichiara infatti, pensando al lavoro, di averepaura di un incidente (contro il 30% di Prato e il 42% di S. Croce), anche seelevato appare il numero di coloro che vorrebbero fare un lavoro menopericoloso, segno che comunque esistono condizioni di lavoro non proprioagevoli (Graf. 6.27).

16%

4%

26%

12%

22%

8%

0% 10% 20% 30%

Avere paura di un incidente sul lavoro

Rifiutare qualche mansione perché pericolosa

Temere di prendere malattie professionali

Sentirsi stressato al solo fatto di andare a lavorare

Desiderare un lavoro meno pericoloso

Avere paura di segnalare ai superiori una condizione di pericolo

Grafico 6.27PENSANDO AL LAVORO CHE FA, COSA LE CAPITA DI PENSARE DI PIÙ: (RISPOSTA MULTIPLA)

118 Passati dai 627 del 2001 ai 760 del 2002, secondo i dati dell’Osservatorio Inail (Luatti, Ortolano, LaMastra, 2003; pag. 93).119 In questo caso, dobbiamo registrare per talune interviste una difficoltà ambientale in più dovuta allapresenza, a fasi alterne, dell’imprenditore straniero, sempre piuttosto diffidente, al fianco dell’intervi-stato; purtroppo, questa situazione non ha permesso all’intervistato di rispondere liberamente alle do-mande più valutative, vanificandone il risultato finale.

Purtroppo, in questo caso non è stato possibile confrontare la situazioneinterna alle imprese italiane (che è quella descritta) con la situazione pre-sente nelle imprese straniere, dal momento che solamente tre intervistatihanno voluto rispondere (e anche questo, per certi versi, è un risultato119) aquesta batteria di domande.

Sempre pensando al lavoro, abbiamo chiesto poi ai lavoratori di indi-carci le principali cause di infortunio in azienda; in maniera assai più rile-vante rispetto agli altri due distretti, la prima causa segnalata è stata quelladella disattenzione da parte dei lavoratori, seguita, a distanza, dal mancatoutilizzo dei mezzi di protezione individuali, dalle sostanze nocive, dai mac-chinari utilizzati nella lavorazione.

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147

Ma le risposte più interessanti per la nostra analisi qualitativa sono quel-le che hanno accompagnato la domanda sul fatto se esista o meno una mag-giore esposizione dei lavoratori stranieri al rischio infortunistico, per la qualeil 52% ha risposto negativamente e il 48% in maniera affermativa.

In maniera simile a quanto già riscontrato per S. Croce, le motivazioniprincipali di coloro che hanno evidenziato una situazione di maggiore espo-sizione al rischio infortunistico rispetto agli italiani possono essere sintetiz-zate nel fatto di svolgere le mansioni più dure e faticose, quelle che nessunovuole più fare, accettando qualsiasi proposta di lavoro, esposti al ricattodella regolarità della loro posizione:• gli stranieri hanno bisogno di casa e di lavorare perché c’è da pagare e

non c’è nessuno che ti aiuta e quindi accetti tutto;• abbiamo molto bisogno di lavorare e facciamo i lavori che gli italiani

non fanno più, mentre gli stranieri li fanno;• ci sono dei tipi di lavoro solo per gli stranieri dove si lavora molto, si

guadagna poco e si rischia molto;• se non lavoriamo tanto e veloce non ci prendono, se non lavori come

l’italiano e di più, ti mandano via.Le interpretazioni della vignetta che abbiamo sottoposto agli immigrati

hanno poi fornito un quadro di insieme sull’atteggiamento e la percezioneinfortunistica degli intervistati in relazione all’infortunio di più o meno graveentità.

I risultati, evidenziati dal Grafico 6.28, mostrano una diversità di rispo-ste anche tra immigrati occupati in imprese straniere, più inclini a non rico-noscere l’infortunio e a interpretare la vignetta come un momento di rilas-samento o di sonno del lavoratore, misconoscendo l’evidenza della scenaritratta; in ogni caso, a parte questo aspetto, la stragrande maggioranza deilavoratori stranieri non individua nessuna responsabilità per l’accaduto,segnale evidente, nella loro lettura, della fatalità implicita all’episodioinfortunistico.

Grafico 6.28COMMENTI ALLA VIGNETTA “EDILIZIA”

15%

9%

58%

9%

3%

12%

6%

53%

23%

6%

6%

0% 20% 40% 60%

Responsabilità dell'azienda

Responsabilità dell'operaio

Responsabilità di entrambi

Senza responsabilità di alcuno

Non lo riconosce infortunio

Non sa/non risponde

Impresa italiana Impresa straniera

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6.6Riflessioni finali

Uno degli elementi principali di cui dobbiamo tener conto in sede di rifles-sioni finali è innanzitutto il campione degli immigrati intervistati, compo-sto prevalentemente da persone provenienti dal continente indiano (bengalesi,pakistani e indiani), poi occupati nel settore orafo e, in misura minore, inquello metalmeccanico (circa il 10%) del distretto aretino, sia nelle impresegestite da imprenditori italiani che in imprese gestite da imprenditori stra-nieri, con mansioni di operaio generico.

Differentemente dagli altri contesti distrettuali, infatti, i lavoratori stra-nieri coinvolti nell’indagine corrispondono qui ad una precisa tipologia dimigranti che potremmo riassumere come segue: maschi, giovani, studentinel loro paese di origine, protagonisti di processi migratori recenti, che mi-rano a trovare una posizione lavorativa migliore sfruttando le posizioni ac-quisite dai familiari e dai connazionali già stabilizzati sul territorio.

Il lavoro è la loro causa principale di migrazione, ma non l’unica; ilquadro sembra essere infatti più complesso, caratterizzato da un incrocio divariabili sociali e personali che sarebbe ingiusto ridurre a mere percentualistatistiche. Le interviste in profondità hanno fatto emergere una articolazio-ne di risposte, anche aperte, che evidenziano, ancora una volta, l’irrudicibilitàdel fenomeno migratorio ad una sua esclusiva lettura quantitativa, la fortecommistione con elementi psicologici e irrazionali, la difficoltà ad inqua-drare processi pluridimensionali e dinamici in una sorta di (sfocata) foto-grafia in movimento.

La migrazione è un mosaico di concause. Se è vero che si emigra perlavorare e per guadagnare di più di quello che si può guadagnare nel paesedi origine, è vero che si emigra anche per dare una prospettiva futura allapropria vita, tentare strade alternative a quelle imposte dal luogo di nascita,provare esperienze formative, aiutare la famiglia e i propri cari, raggiunge-re i propri familiari, conoscere un altro mondo (che arriva per lo più viasatellite nei paesi di origine sottoforma di paradiso da consumare).

Una cosa comunque è sicura: si emigra solo se vi sono alla radice delprocesso migratorio solide reti etniche sulle quali poggiare, sia per quantoconcerne una prima accoglienza nel paese di arrivo, sia per quanto concer-ne poi l’inserimento lavorativo e sociale. Nel caso specifico, in manieramaggiore rispetto ad altri gruppi di immigrati di paesi geograficamente piùvicini al nostro, l’importanza delle reti migratorie sembra assumere un ruo-lo di centralità assoluta, dato l’investimento complessivo (umano ed econo-mico) che si effettua una volta deciso di intraprendere il viaggio.

Gli immigrati trovano piuttosto facilmente lavoro nel settore (in modali-tà spesso sostitutive alla sempre più scarsa manodopera autoctona), sonoricercati dagli imprenditori italiani (che li favoriscono attraverso la creazio-ne di corsie preferenziali per un loro veloce inserimento) e sono richiestidai connazionali e parenti che, avviata una impresa, tendono a ricompattareil nucleo familiare proprio intorno all’attività lavorativa.

La loro professione non pare essere troppo faticosa né discriminatoria,per quantità e qualità del lavoro, rispetto agli altri lavoratori italiani; gliorari di lavoro sono infatti piuttosto standard, con un ricorso allo straordi-

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nario scarso e, quando effettuato, percepito come necessaria integrazioneremunerativa ad una busta paga insufficiente.

Emerge, quale filo rosso sulle condizioni di lavoro, un pensieroeconomicistico dominante: la retribuzione è considerata dalla maggioranzadegli intervistati come il vero problema da risolvere, ben superiore agli altrifattori negativi evidenziati nel corso dell’indagine (tipo la presenza di ru-more elevato, polveri e sostanze chimiche nell’ambiente di lavoro); taleaspetto, ricorrente per altro in giovani e immigrati da poco tempo, rimarcabene le aspettative migratorie di queste persone, concentrate, nel breve pe-riodo, ad una sorta di massimizzazione del guadagno (così da permetterecospicue rimesse e possibili ricongiungimenti familiari), nel lungo, a stabi-lirsi nel paese di arrivo incrementando gli affari (e magari, seguendo l’esem-pio di altri connazionali, ad intraprendere una attività autonoma).

La parte dell’indagine che ha approfondito la questione della percezionedei rischi e della sicurezza sul lavoro ha invece evidenziato una situazionedi forte criticità per la pressoché totale mancanza di informazione in propo-sito, la scarsa formazione acquisita (anche quella obbligatoria per la nor-mativa in materia, comunque di tipo generico, laddove svolta), una perce-zione del pericolo che, già differente per le ovvie questioni legate alla cul-tura di origine, diviene spesso assente nel nuovo contesto nel quale si ven-gono a trovare gli immigrati in azienda.

L’indagine mostra una situazione davvero negativa per la realtà orafaaretina per quanto concerne il grado di conoscenza da parte dei lavoratoristranieri della legislazione vigente in materia di sicurezza sui luoghi di la-voro (in particolare il D.Lgs. 626/94) e delle misure preventive messe inatto in relazione a specifici rischi ai quali possa essere soggetto nello svol-gere la propria mansione; soltanto il 48% degli intervistati è infatti a cono-scenza dell’esistenza della normativa, rispetto al 62% di S. Croce e al 69%di Prato, con una situazione che si aggrava ulteriormente quando si analiz-za la specifica realtà di coloro che lavorano in imprese straniere (dove soloil 36% del totale degli intervistati è a conoscenza della normativa).

Anche nel processo di applicazione formale della 626, tutti gli aspettiregistrano percentuali significativamente inferiori per il distretto aretino ri-spetto agli altri due contesti territoriali: è inferiore la percentuale di coloroche si sono sottoposti alle visite periodiche previste dalla legge (68% con-tro il 77% di Prato e il 90% di S. Croce), così come inferiori sono le percen-tuali di coloro che hanno ricevuto una adeguata formazione/informazionein materia (40% contro il 56% di S. Croce e il 71% di Prato).

Se è vero che per questa serie di aspetti rimangono valide le attenuantirelative alla tipologia del campione intervistato, alle quali si aggiunge ilfatto che una buona parte di essi sia occupato in imprese gestite da conna-zionali o familiari (con possibili ulteriori problematicità in materia di sicu-rezza e di cultura del rischio), è vero anche che, per una comparazione conle altre due situazioni analizzate, diventa decisivo il fatto che il lavoro nel-le aziende orafe sia comunque meno pericoloso rispetto a quello presentenei settori della concia, del tessile, dell’edilizia (il 16% ha paura di subireun infortunio contro il 30% a Prato e il 42% a S. Croce, mentre solo l’8%degli intervistati vorrebbe svolgere un lavoro meno pericoloso, rispetto al46% di Prato e il 54% di S. Croce); se crescono gli infortuni (cfr. Rapporto

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Ucodep) infatti, questi sono per lo più di scarsa gravità, assai difficile chesiano mortali.

I lavoratori intervistati evidenziano quindi un minor grado di consape-volezza rispetto ai propri rischi lavorativi sia nei confronti di Prato che neconfronti di S. Croce, ma in un contesto lavorativo oggettivamente menopesante e meno pericoloso.

Questo aspetto porta l’immigrato a sottovalutare il rischio infortunisticoin misura ancora maggiore, se vogliamo, rispetto a quello che già fa peraltri aspetti di tipo sociale e culturale; qui non sembra esistere il problemadel non pensare alla propria sicurezza perché si è troppo occupati da unlavoro pesante e faticoso o altre cause collaterali a ritmi di lavoro esasperati(come emerso in altre ricerche sul tema); qui l’immigrato semplicementenon pensa al rischio infortunistico, perché ha una scarsa percezione delrischio e altre rimangono le priorità del suo progetto migratorio, con lacomplicità del lassismo normativo presente nei luoghi di lavoro.

Il lavoro dell’immigrato non è tuttavia separabile dalla sua socialità mane è altresì parte costitutiva; la vita quotidiana120 si sviluppa infatti paralle-lamente alla vita lavorativa, ne condiziona la qualità complessiva e stimolao reprime processi di inserimento più o meno veloci e completi nella socie-tà di arrivo. Nel nostro caso, l’immigrato sembra vivere il proprio tempolibero per lo più in solitudine, solo tra connazionali, potremmo dire, anchenei luoghi di ritrovo dove, seppur frequentati anche da italiani (bar, piazze,ecc.), rimane isolato e (auto)ghettizzato dalla popolazione autoctona, maanche da gruppi di immigrati provenienti da altri paesi di origine.

Ciononostante, l’immigrato non sembra chiudersi in casa, spessosovraffollata e invivibile per i noti problemi che riguardano la questioneabitativa, ma vive il proprio tempo non lavorativo all’aperto, negli spazipubblici (ad esempio giocando a cricket nei giardini) o in luoghi particolari(ad esempio luoghi di culto) dove cerca di ritrovare le proprie radici.

120 Per un approfondimento relativo alle condizioni di vita degli immigrati rimandiamo al più ampio rap-porto di ricerca “L’immigrazione in Toscana. Condizioni di vita e di lavoro in tre distretti industriali” chesarà pubblicato nella Collana Lavoro - Studi e Ricerche presso Edizioni PLUS Università di Pisa.

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CONCLUSIONILa fabbrica dell’integrazione. Industria diffusa e lavoro immigrato in Toscana

• Gli immigrati nel lavoro operaio e industrialeIl primo aspetto rilevante di questa indagine è consistito nell’aver posto sottoosservazione un aspetto della geografia economica dell’occupazione immigra-ta in Italia abbastanza noto in termini generali, ma poco approfondito a livelloempirico: quello dell’inserimento di lavoratori stranieri nell’industria e nel la-voro di fabbrica121. Il fenomeno è tanto più significativo in quanto non solo inAmerica e nei principali paesi europei la nuova immigrazione viene per lo piùcollegata alle economie metropolitane e allo sviluppo dei servizi alle persone amodesta qualificazione (Sassen, 1997), ma anche in paesi di nuova immigra-zione come la Spagna, l’immigrazione è stata finora inquadrata come un feno-meno metropolitano, legato ai servizi domestici, al basso terziario, all’edilizia,oppure al settore agricolo e dunque a contesti decisamente rurali (Corkill, 2001;Ambrosini, Abbatecola, 2004).

Una così cospicua domanda di immigrati per il lavoro di fabbrica appa-re, nell’Occidente sviluppato, un tratto peculiare del caso italiano. Parlaredi fabbrica e di operai vuol dire parlare, nelle aree di piccola impresa stu-diate, nella grande maggioranza dei casi, di lavoro regolare: un altro aspet-to da rimarcare, contro le visioni diffuse, in Italia e ancor più all’estero, chedescrivono l’Italia (e l’Europa mediterranea) come il regno incontrastatodi un libero mercato deregolato e selvaggio122.

I dati relativi alle assunzioni non rendono pienamente ragione di questaimportanza dell’occupazione industriale, giacché sovrarappresentano i set-tori che offrono posti di lavoro per brevi periodi o al massimo per pochimesi, come l’agricoltura e certi servizi (come quelli dell’industria alber-ghiera). Possiamo tuttavia notare (Tab. 1) che, ridistribuendo sugli altrisettori gli assunti per i quali non è nota la destinazione, l’industria (ediliziacompresa), fornisce presumibilmente all’incirca un terzo delle opportunitàdi lavoro regolare che raggiungono cittadini immigrati.

Tra i comparti, spicca nel settore industriale il ruolo delle costruzioni,anch’esso peraltro influenzato dalla stagionalità; segue la categoria generi-ca “altre industrie”, che testimonia una realtà diffusa di ricorso a lavoratoriimmigrati, con un probabile addensamento in comparti dell’industria leg-gera e tradizionale (lavorazione del legno; cuoio e pelli; ceramica; orefice-ria, ecc.), tipici dei sistemi produttivi di piccola impresa, che in parte ritro-viamo nell’indagine qui presentata. L’industria metalmecccanica segue a

121 Tra le eccezioni, ricordiamo tra le ricerche degli ultimi anni: Mottura, 2002; OIM, 2003; Blasutig, 2003.122 Uno degli autori anglosassoni che si sono maggiormente occupati dell’immigrazione nell’Europameridionale, Baldwin-Edwards, ha intitolato precisamente Where free markets reign la sua Introduzio-ne a un volume sull’argomento (1999).

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una certa distanza (3,9%), suggerendo l’ipotesi di una minore penetrazionedel lavoro immigrato; alimentare e tessile, con valori superiori al 2%, con-fermano un legame con i settori produttivi classificati in genere come “ma-turi” (Tab. 2).

Tabella 2ASSUNZIONI DI LAVORATORI IMMIGRATI PER COMPARTI. 2002

Valori %

ITALIA

Agricoltura 13,8Costruzioni 9,6Metalli 3.9Alimentare 2,4Tessile 2,3Altre industrie 8,2TOTALE INDUSTRIA 26,4Alberghi e ristoranti 16,6Attività immobiliari e pulizie 8,4Commercio 5,2Servizi pubblici 2,3Altri servizi 6,8TOTALE SERVIZI 39,2Attività non determinata 20,6

Fonte: Dossier Caritas, su Banca dati Inail

Già sapevamo che i distretti industriali e i sistemi di piccole impresesono luoghi di elevata concentrazione degli inserimenti lavorativi di immi-grati: queste aree, come ho già argomentato altrove, rappresentano uno deipiù tipici e rilevanti contesti di inserimento dei lavoratori immigrati, privi-legiando soggetti dotati di determinate caratteristiche: maschi, giovani, di-sponibili al lavoro a turni o in orari socialmente sgraditi (Ambrosini, 1999;2001). Se prendiamo in considerazione la graduatoria delle province con itassi più elevati di incidenza delle assunzioni di immigrati sul totale, sco-priamo agevolmente che, a parte i casi anomali di Trento e Bolzano, dovefunzionano efficienti sistemi di immigrazione stagionale, i primi posti ingraduatoria sono occupati da province dell’Italia settentrionale e centrale,non metropolitane, esterne o contigue al vecchio triangolo industriale Mi-lano-Torino-Genova, dotate di sistemi produttivi locali specializzati di tipodistrettuale (Tab. 3). Tra di esse, figurano anche due delle province oggettodell’indagine, Prato e Arezzo.

Tabella 1ASSUNZIONI DI LAVORATORI IMMIGRATI PER SETTORE. 2002

Agricoltura Industria Servizi Non determinato TOTALE

ITALIA (Valori assoluti) 91.086 174.057 258.553 136.151 659.847ITALIA (Valori %) 13,8 26,4 39,2 20,6 100,0

Fonte: Dossier Caritas, su Banca dati Inail

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• Un quadro articolato: le diversità localiIn una ricerca su un’altra regione della “Terza Italia”, il Friuli Venezia Giulia,la cui economia si basa su un fitto reticolo di piccole imprese, Blasutig(2003) osserva che il mercato del lavoro locale si basa su “blocchi struttura-li” piuttosto rigidi e difficili da rimuovere. Tra questi, spicca la saturazionedelle posizioni lavorative di livello medio e alto da parte dell’offerta dilavoro locale, posizioni che vengono pertanto precluse ai lavoratori immi-grati. La cultura imprenditoriale della regione, inoltre, a cause delle dimen-sioni aziendali ridotte, ha maturato poco un orientamento alla gestione del-le risorse umane in chiave di valorizzazione e sviluppo, continuando a pra-ticare il reclutamento di un fattore lavoro “pronto per l’uso”, cosicché iprocessi di carriera tendono a seguire percorsi automatici e inerziali.

Questa descrizione sembra attagliarsi bene, almeno come quadro generale,anche ai contesti toscani analizzati nella ricerca presentata in queste pagine.

Ma le economie locali basate sulle piccole imprese e i distretti industria-li non sono tutte uguali: l’indagine ci ha introdotto nel regno della diversitàe del confronto tra situazioni che siamo abituati a catalogare come moltosimili tra loro, soprattutto quando si collocano in una stessa regione.

L’area di S. Croce è quella che presenta una situazione più compatta echiaramente definita: gli immigrati sono assunti per compensare l’abban-dono delle attività più pesanti e sgradite del ciclo produttivo della concia daparte dei lavoratori italiani, incentivando un progressivo processo di sosti-tuzione della manodopera autoctona. L’occupazione è relativamente sicurae regolare, sono infatti in crescita negli ultimi tempi un maggiore ricorsoalla flessibilità ed a contratti di lavoro atipici, ma si esercita in condizionidisagevoli e insalubri. Le prospettive di miglioramento appaiono molto scar-se. I lavoratori coinvolti provengono in gran parte dal medesimo paese (ilSenegal), sfruttando reti etniche solide e oramai consolidate sul territorioper la presenza di una consistente comunità di connazionali, ed hanno, pro-

Tabella 3LE PRIME 15 PROVINCE PER INCIDENZA % DELLE ASSUNZIONI DI LAVORATORI STRANIERI NEL 2002

Provincia Incidenza % assunzioni Assunzioni immigratiimmigrati sul totale (in valore assoluto)

Bolzano 33,6 29.992Trento 26,7 23.828Brescia 23,0 23.701Verona 22,3 19.046Treviso 22,2 14.390Pordenone 22,1 5.159Prato 21,6 4.802Piacenza 18,6 4.033Bergamo 18,4 13.925Mantova 18,2 4.747Perugia 18,2 11.793Arezzo 17,9 4.575Asti 17,7 2.324Udine 17,6 8.069Ravenna 17,4 9.713

Fonte: nostre elaborazioni su dati Dossier Caritas 2003

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babilmente anche per le inesistenti prospettive di miglioramento lavorativoricordate sopra, progetti migratori orientati ad una permanenza tempora-nea, riponendo nel ritorno in patria le proprie aspirazioni di promozione.Dal confronto con gli altri due distretti emerge come la pericolosità e lafatica connesse al proprio lavoro siano particolarmente presenti tra i lavo-ratori della concia in misura decisamente più rilevante rispetto anche ailavoratori pratesi che comunque operano in settori caratterizzati da condi-zioni di lavoro particolarmente rischiose e usuranti. Scarsamente informatie poco formati, i lavoratori stranieri della concia hanno una percezione delrischio infortunistico ancora insoddisfacente, vista anche la pericolosità in-trinseca del lavoro che svolgono, rispetto a quanto la normativa specificaavrebbe dovuto promuovere, riportando al centro della riflessione le conse-guenze negative di una sua applicazione per lo più formale e burocratica.

L’area di Arezzo, dove è stato approfondito in modo particolare il settoreorafo, manifesta caratteristiche per alcuni versi opposte. Il lavoro non è fatico-so né discriminatorio, per quantità e qualità del lavoro, rispetto agli altri lavora-tori italiani; gli orari di lavoro sono standard, con un ricorso allo straordinarioscarso e, quando effettuato, percepito come necessaria integrazioneremunerativa. I lavoratori sono in prevalenza asiatici (provenienti dal sub-con-tinente indiano) e hanno come modello normativo prevalente l’imitazione deiconnazionali che sono riusciti a mettersi in proprio, prevalentemente attraversomodalità di contoterzismo, sfruttando i buoni rapporti intrecciati conl’imprenditoria autoctona locale. Trattandosi di un sistema produttivo artigia-nale, caratterizzato da molte unità produttive di piccole dimensioni, la traietto-ria di promozione predominante è contraddistinta dal passaggio dal lavoro alledipendenze al lavoro in proprio, anche se i mutamenti economici propri dellaglobalizzazione stanno rendendo questi meccanismi meno scontati, data la for-te vulnerabilità manifestata da queste piccole imprese di fronte alle difficoltàstrutturali e congiunturali di mercato. Gli stranieri emigrano sfruttando in ma-niera primaria le reti etniche; in maniera maggiore rispetto ad altri gruppi diimmigrati di paesi geograficamente più vicini al nostro, l’importanza delle retimigratorie sembra assumere in questo caso un ruolo di centralità assoluta, datol’investimento complessivo (umano ed economico) che si effettua una voltadeciso di intraprendere il viaggio. Il lavoro non è molto faticoso, né esposto aparticolari condizioni di rischio, ma proprio per questo la soglia di attenzioneantinfortunistica si abbassa. La parte dell’indagine che ha approfondito la que-stione della percezione dei rischi e della sicurezza sul lavoro ha infatti evidenziatouna situazione di forte criticità per la mancanza di informazione, la scarsa for-mazione acquisita e una insufficiente percezione del pericolo.

L’area di Prato mostra una situazione più complessa e stratificata. Datempo è una terra di elezione dell’imprenditoria immigrata, in modo parti-colare cinese, che ha dato vita ad una nicchia ormai diversificata all’internodel distretto tessile pratese. Accanto a questo fenomeno, il territorio evidenziaanche una spiccata presenza multietnica nel mercato del lavoro, vista lapartecipazione di numerose componenti migratorie a varie attività produtti-ve locali, tra cui spiccano quelle industriali ed edili. Da questo punto divista, i settori oggetto dell’analisi appaiono accomunati dalla presenza distranieri che, sfruttando soprattutto l’attivazioni di reti personali e di networks

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etnici, velocizzano la loro entrata nel mondo del lavoro, tendendo poi a“fare comunità” sul territorio per quanto concerne l’inserimento sociale at-traverso l’utilizzo delle reti di solidarietà messe a disposizione dai parenti odai connazionali. Contrariamente all’idea di una popolazione segnata dauna marginalità strutturale, i risultati della indagine indicano come i sog-getti più stabili e inseriti nel sistema locale da ormai diversi anni, in partico-lare gli operai del tessile, ma anche quote rilevanti di edili, siano in granparte regolarmente inseriti nel lavoro e il loro progetto migratorio preveda,per la maggioranza di loro, di restare in Italia. Degno di rilievo appare an-che il giudizio positivo espresso dagli intervistati sul lavoro svolto; in unpanorama in cui prevalgono nettamente posizioni lavorative scarsamentequalificate, infatti, nonostante l’elevato livello di scolarizzazione dichiara-to, il posto in fabbrica sembra rappresentare comunque un traguardo ambi-to. Per anzianità dei fenomeni e impegno delle istituzioni pubbliche locali,la realtà pratese è anche quella in cui la tutela sindacale, la prevenzioneantinfortunistica, la predisposizione di servizi a favore della popolazioneimmigrata raggiungono i livelli comparativamente più elevati. Il confrontocon una indagine precedente (Giovani, 2000), infatti, mostra che tra i lavo-ratori stranieri si è in presenza di un’accresciuta consapevolezza dei rischiattinenti al proprio lavoro, grazie anche a diffuse iniziative sul territorio diformazione/informazione sui rischi sul lavoro. Nonostante questo, tuttavia,è necessario anche evidenziare la persistenza di numerose criticità aperte,soprattutto per quanto concerne l’edilizia, relative alla reale percezione delpericolo infortunistico da parte dei lavoratori stranieri e alla presenza diffu-sa del rischio, dal momento che, come è stato più volte affermato dagliintervistati, gli stranieri sono per lo più costretti ad accettare qualsiasi man-sione pur di lavorare, senza dare troppa rilevanza al fatto che la mansione insé possa essere pericolosa o meno.

• I rimandi al dibattito teoricoIn questa sede conclusiva, vorremmo ora riprendere alcuni nodi del dibatti-to sull’impiego di lavoratori immigrati nel sistema economico italiano, cer-cando di individuare gli elementi conoscitivi che i risultati della ricercaforniscono. Lo faremo sotto forma di domande e relative risposte.

1. Gli immigrati trovano lavoro in sistemi produttivi tradizionali?Certamente il loro apporto è richiesto in attività labour-intensive, in cui si ad-densano tuttora rilevanti fabbisogni di lavoro manuale. Non di rado sperimen-tano condizioni di lavoro penalizzate, su cui incidono specificità settoriali, comenel caso della concia. I distretti industriali non sono però aree di arretratezzatecnologica e di stentata sopravvivenza di produzioni mature. Uno dei fattoriche hanno prodotto la loro fioritura è stato la capacità di introdurre innovazionitecnologiche nella realizzazione di prodotti “tradizionali”. Proprio questa in-cessante e diffusa attività innovativa ha favorito una differenziazione delle fi-gure professionali e dei livelli di qualificazione richiesti, di cui hanno beneficiatoi lavoratori italiani più esperti e capaci. I lavoratori immigrati vengono ricercatiper colmare i vuoti che si aprono nei bassi livelli delle gerarchie professionali;è più difficile invece che trovino spazio nel lavoro qualificato.

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2. Come avviene l’incontro tra domanda locale e offerta di lavoro immi-grata?

La ricerca conferma il ruolo fondamentale delle reti di relazioni a base etni-ca, con gli addensamenti settoriali che ne derivano e le conseguenze intermini di stereotipi relativi alle “attitudini” e alle “propensioni” delle po-polazioni immigrate. La discriminazione statistica da parte dei datori dilavoro chiude il cerchio, rafforzando l’associazione tra la provenienza dadeterminati paesi e l’occupazione in un certo settore dell’economia locale.Tra l’altro, nelle tre aree studiate sono differenti i gruppi nazionali che for-niscono la manodopera richiesta dalle imprese: una conferma che non diinclinazioni culturali si tratta, bensì di dispositivi sociali che convoglianogli immigrati di certe nazionalità verso una particolare area territoriale enelle imprese di un determinato settore.

Anche se la maggioranza degli intervistati risponde di aver trovato lavorocon le proprie forze, questo non esclude che le informazioni relative ai posti dilavoro disponibili, a come cercarli, a come presentarsi agli imprenditori, sianoattinte in ampia misura nei circuiti dei connazionali; né contraddice il fatto che,nel “retroscena” dei processi espliciti di selezione, gli imprenditori preferisca-no assumere immigrati della stessa nazionalità di quelli che hanno già datobuona prova di sé in passato, o che lavorano in altre imprese locali. Una diret-trice di ricerca che meriterebbe di essere approfondita concerne le diversità nelgrado di coesione interna e di capacità di sostegno delle varie reti etnico-nazio-nali, specialmente per quanto riguarda la dimensione del supporto dei percorsisuccessivi al primo inserimento: la ricerca di Blasutig (2003) ha individuato inproposito una mobilità difensiva per il gruppo ghanese, legata alla ricerca dicondizioni di equità nel rapporto di lavoro; una mobilità proattiva per il gruppoalbanese, animato da una forte istanza di miglioramento; una mobilità di con-solidamento per i gruppi provenienti dalla ex-Jugoslavia, i primi ad arrivare e aguadagnare un notevole vantaggio competitivo rispetto alle altre componentimigratorie.

3. Si ravvisano problemi di compatibilità, e quindi di integrazione, tra ipeculiari sistemi culturali che innervano le aree distrettuali, plasmatida lunghe vicende storiche, e lavoratori provenienti da paesi stranieri,diversi per lingua, sviluppo economico, credenze religiose, tradizionipolitiche, valori socialmente condivisi?

Nei sistemi produttivi studiati, gli immigrati si inseriscono e vengono ac-colti senza troppi problemi. Maggiori difficoltà si riscontrano negli ambitiextra-lavorativi, nonostante interessanti progressi nelle condizioni abitative(pagati peraltro a caro prezzo, sotto il profilo dei costi economici).

Nella sfera del lavoro, le peculiarità storiche e culturali del territorionon sembrano un ostacolo per l’inclusione di lavoratori stranieri. Semmai,il fabbisogno di manodopera immigrata mostra che i sistemi culturali dellearee dell’industria diffusa si stanno trasformando. La cultura del lavorocondivisa, la socializzazione familiare al lavoro artigianale e di fabbrica,non si riproducono con la facile spontaneità del passato. Qui come altrove igiovani tendono a rifiutare il lavoro operaio, soprattutto quello più sacrifi-cato, e vengono sostituiti dagli immigrati. Il prolungamento degli studi po-trà probabilmente aiutare le aree di piccola impresa a evolvere nella dota-

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zione di servizi alle imprese e di professionalità qualificate, ma hadepauperato le fabbriche della manodopera necessaria per assicurare la pro-duzione richiesta dai mercati di oggi.

I distretti sopravvivranno se riusciranno a metabolizzare la novità rappre-sentata dall’ingresso dei lavoratori stranieri, trovando un equilibrio traacculturazione dei nuovi lavoratori alle regole organizzative della produzionee riconoscimento di identità sociali e domande peculiari. Il fatto che per ora sialargamente prevalso l’adattamento dei nuovi arrivati agli schemi organizzativivigenti, non significa che nel futuro non possano trapelare domande di ricono-scimento di pratiche culturali minoritarie, legate soprattutto alla religioneislamica. È probabile che nel futuro le aree di industria diffusa debbano fare iconti con domande più esplicite di diversity management.

L’insufficiente attenzione alla formazione antinfortunistica, in questoquadro, può essere interpretata in due modi: come un semplice ritardo nel-l’inclusione dei nuovi arrivati nei processi di prevenzione, derivante da dif-ficoltà linguistiche, bisogno economico, provenienza da contesti con sogliedi attenzione antinfortunistica più bassa, ecc.; oppure come indizio di unatendenziale segmentazione della forza lavoro su basi etniche, tale per cuiuna parte, coincidente con i lavoratori di nazionalità italiana, viene più at-tentamente tutelata; un’altra, coincidente con la provenienza dall’estero, èconsiderata meno esigente, più duttile, più disposta a sopportare condizionidi lavoro pesanti, e quindi meno destinataria di investimenti anche sotto ilprofilo della prevenzione di infortuni e malattie professionali. Si può inaltri termini paventare il rischio della formazione di un’”economiadell’alterità”, per riprendere i termini di un recente contributo di Calavita(2004) a proposito della razzializzazione dei lavoratori immigrati nell’Eu-ropa meridionale, così come dei messicani negli Stati Uniti, e delle conse-guenze, in termini di rappresentazioni sociali, del loro inserimento margi-nale e ghettizzato nel mercato del lavoro

4. Si può dire che agli immigrati toccano i lavori delle cinque P (precari,pesanti, pericolosi, poco pagati, penalizzati socialmente)?

I risultati della ricerca confermano l’esposizione degli immigrati a fattori dirischio e pesantezza delle condizioni di impiego, rispetto ai quali il livelloretributivo è il principale oggetto di rivendicazioni e richieste di migliora-mento. Non sono invece diffuse situazioni di irregolarità del rapporto dilavoro, probabilmente anche per effetto dell’auto-selezione dei rispondentigià posta in rilievo nell’esposizione dei risultati. Non si ravvisa neppure unalto grado di precarietà dei rapporti di lavoro, anche se questa tende adaumentare, in seguito alla sfavorevole congiuntura economica. Nei sistemidi industria diffusa, le imprese sembrano aver avuto, negli scorsi anni, piùil problema di trovare e trattenere gli operai che quello di licenziarli o diindebolirne lo status occupazionale. Si spiegano forse così le alte percen-tuali di assunti a tempo indeterminato, specialmente nel contesto più pro-blematico, quello del distretto conciario di S. Croce.

Va poi aggiunto che anche quando la ricerca rileva condizioni di lavorosfavorevoli, non siamo in grado di dire se si tratti di gravami specifici im-posti ai lavoratori immigrati, oppure di condizionamenti strutturali, relativiai tipi di produzione e alle tecnologie disponibili, e quindi non dissimili per

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gli operai italiani e immigrati. L’indagine non ha potuto approfondire ilconfronto con i lavoratori italiani occupati nelle medesime imprese, né l’ana-lisi diacronica dell’evoluzione nel tempo della situazione occupazionaledegli immigrati.

Possiamo soltanto ipotizzare che la risposta sia individuabile in un puntointermedio tra il polo del condizionamento strutturale e quello della discrimi-nazione esplicita. I lavoratori immigrati, ultimi arrivati, sono presumibilmentecollocati in coda alle gerarchie interne, e con il loro ingresso gli operai italianipossono conoscere un avanzamento almeno simbolico.

5. Perché i lavoratori immigrati accettano in modo sostanzialmente paci-fico le condizioni di lavoro loro assegnate?

Un dato non sorprendente della ricerca si riferisce al buon grado di soddi-sfazione del lavoro dichiarato dagli intervistati, anche se non mancano elo-quenti differenze interne (come la maggiore insoddisfazione dei lavoratoridi S. Croce).

La sostanziale accettazione delle posizioni e delle condizioni offerte puòessere ricondotta a tre fattori:• il confronto con i contesti di partenza, in cui salari, tutele, condizioni di

lavoro, sono indubbiamente peggiori che in Italia e nelle aree toscane dipiccola impresa dove si è svolta la ricerca; per una parte del campione,confronti analoghi possono valere in rapporto alle aree territoriali e alleoccupazioni in cui è avvenuto il primo inserimento in Italia

• l’orientamento alla massimizzazione dei redditi e al ritorno (per esem-pio nel caso dei senegalesi a S. Croce), oppure al passaggio al lavoroautonomo (settore orafo aretino): questi atteggiamenti inducono a “guar-dare altrove”, trascurando la pesantezza e talvolta l’esposizione al ri-schio della posizione attuale

• la necessità di trovare lavoro, in una situazione economica sfavorevole ein un contesto giuridico più penalizzante, in cui la perdita del lavoro puòcomportare nel giro di sei mesi la perdita del permesso di soggiorno:avere un lavoro, e un lavoro regolare, tutelato da un contratto di lavoro,può allora essere considerato in molti casi un risultato già di per sé piùche soddisfacente, quali che siano le condizioni ambientali in cui il la-voro si svolge.

6. Si può parlare di “complementarietà” tra lavoro italiano e lavoro im-migrato?

Il concetto di complementarietà, elaborato e impiegato da illustri economi-sti come Piore (1979) per analizzare i rapporti tra lavoratori nazionali eimmigrati richiede qualche specificazione.

Rischia infatti di produrre una visione sostanzialmente statica del mer-cato del lavoro, dominata dalla domanda, in base a cui i posti di lavoro dacoprire in un determinato sistema economico locale sono una quantità data,derivante dai fabbisogni delle imprese

La complementarietà è invece l’esito di un complesso processo di costru-zione economico-sociale, in cui entrano in gioco diversi attori e interessi. Sipuò infatti osservare che la complementarietà è riscontrabile a livello locale,come di fatto avviene nella ricerca, una volta che siano state escluse le possibili

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alternative all’assunzione di manodopera (nazionale e straniera) disponibilesul posto. Le imprese, anche se si tratta di processi non semplici, specialmentein economie di tipo distrettuale, potrebbero trasferire parte delle loro produzio-ni in altre regioni o addirittura oltre le frontiere, come ormai avviene anche inItalia. Quando invece si tratta di servizi o attività non trasferibili all’esterno(l’edilizia è un caso tipico), si potrebbero immaginare azioni volte ad attrarrelavoratori residenti in altre regioni, con agevolazioni per esempio sulle esigen-ze abitative, oppure interventi miranti ad innalzare il gradimento dei posti va-canti mediante robusti incrementi salariali, miglioramenti consistenti delle con-dizioni di lavoro, ricorso all’innovazione tecnologica, miglioramento dell’im-magine dei lavori rifiutati.

La produzione culturale e mass-mediatica, oltre che i programmi scola-stici, potrebbero fare di più per favorire la rivalutazione del lavoro manualee riscattarne la dignità, tanto spesso proclamata a parole, ma disattesa sulpiano delle scelte concrete (a partire dalle politiche retributive).

La sociologia ci rende peraltro edotti del fatto che il lavoro non è soltan-to un modo per guadagnarsi da vivere: è anche immagine di sé, fattore diauto-stima e di considerazione agli occhi degli altri, elemento cardine dellostatus sociale attribuito dalla società. Anche un ricorso in grande stile a varitipi di incentivi non risolverebbe probabilmente il problema del recluta-mento di operai per le concerie o di manovali per l’edilizia, in presenza diun aumento dei livelli di istruzione che ha condotto ormai circa 7 giovaniitaliani su 10 ad ottenere un diploma della scuola secondaria superiore.

Si può però pensare che, con adeguati investimenti, la soglia del rifiutosi abbasserebbe, e crescerebbe l’interesse dei lavoratori italiani per deter-minate occupazioni. Già oggi, anche solo confrontando le province toscanecome abbiamo fatto in precedenza, si può pensare che alcuni lavori, rifiuta-ti laddove esiste una maggiore ricchezza di opportunità, siano invece accet-tati laddove il mercato del lavoro è meno dinamico, anche a poche decine dichilometri di distanza.

In definitiva, la complementarietà sembra essere il risultato di una com-plessa partita, in cui entrano in gioco le imprese con le loro politiche delpersonale, le istituzioni pubbliche centrali e locali, i lavoratori residenti inaltri territori, il mondo della cultura, della scuola e della comunicazione:alla fine, tutti questi soggetti, in modo attivo o passivo, finiscono per prefe-rire l’impiego di lavoratori immigrati ad altre strategie possibili, anche secostose e aleatorie, per risolvere il problema della carenza di manodopera.

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