Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di ... · teoria generale del reato. 3...

32
http://dirittoalpunto.com 1 I dossier di Diritto Al Punto “(Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca” Avv. Alessandro Ceci Avvertenze Il presente contributo, in ossequio alla mission del sito che lo ospita, intende affrontare il tema della legittima difesa sotto l’angolo prospettico del giurista, senza indulgere ai sensazionalismi giornalistici che non di rado accompagnano il dibattito pubblico su questioni di massimo interesse. In tal senso, quindi, il lettore non troverà giudizi di valore o prese di posizione sui fatti di cronaca dai quali si è inteso prendere le mosse, quanto piuttosto una disamina improntata all’analisi del dato positivo dell’istituto giuridico della legittima difesa disciplinato dall’art. 52 c.p., e, in particolare, la legittima difesa all’interno del privato domicilio, nel tentativo di fornire una chiave di lettura dei recenti episodi di cronaca. Il fatto Nella notte tra il 19 e il 20 ottobre scorso un pensionato residente a Vaprio d’Adda, un piccolo centro nell’hinterland di Milano, svegliato da alcuni rumori prende la sua pistola regolarmente detenuta e spara un colpo al soggetto introdottosi nella sua abitazione, uccidendolo. Poi, per mettere in fuga eventuali complici, esce in balcone ed esplode altri colpi di arma da fuoco. Dopo i primi accertamenti l’autorità giudiziaria iscrive la notizia di reato qualificandola come omicidio volontario ai sensi dell’art. 575 c.p. Il diritto Dispone l’art. 52 c.p.: “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. Nei casi previsti dall’art. 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.

Transcript of Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di ... · teoria generale del reato. 3...

http://dirittoalpunto.com 1

I dossier di Diritto Al Punto

“(Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca”

Avv. Alessandro Ceci

Avvertenze

Il presente contributo, in ossequio alla mission del sito che lo ospita, intende affrontare il tema della

legittima difesa sotto l’angolo prospettico del giurista, senza indulgere ai sensazionalismi

giornalistici che non di rado accompagnano il dibattito pubblico su questioni di massimo interesse.

In tal senso, quindi, il lettore non troverà giudizi di valore o prese di posizione sui fatti di cronaca

dai quali si è inteso prendere le mosse, quanto piuttosto una disamina improntata all’analisi del dato

positivo dell’istituto giuridico della legittima difesa disciplinato dall’art. 52 c.p., e, in particolare, la

legittima difesa all’interno del privato domicilio, nel tentativo di fornire una chiave di lettura dei

recenti episodi di cronaca.

Il fatto

Nella notte tra il 19 e il 20 ottobre scorso un pensionato residente a Vaprio d’Adda, un piccolo

centro nell’hinterland di Milano, svegliato da alcuni rumori prende la sua pistola regolarmente

detenuta e spara un colpo al soggetto introdottosi nella sua abitazione, uccidendolo. Poi, per mettere

in fuga eventuali complici, esce in balcone ed esplode altri colpi di arma da fuoco.

Dopo i primi accertamenti l’autorità giudiziaria iscrive la notizia di reato qualificandola come

omicidio volontario ai sensi dell’art. 575 c.p.

Il diritto

Dispone l’art. 52 c.p.: “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla

necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta,

sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.

Nei casi previsti dall’art. 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui

al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi

indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o altrui incolumità;

b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.

2 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto

all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o

imprenditoriale.”

http://dirittoalpunto.com 3

I dossier di Diritto Al Punto

Sommario

1. Inquadramento dogmatico.

2. Fondamento gnoseologico delle scriminanti in generale e della legittima difesa in

particolare.

3. Elementi costitutivi della legittima difesa ordinaria.

3.1 La legittima difesa nel privato domicilio: “licenza di uccidere” o condivisibile presa

d’atto del legislatore?

4. Sussunzione del fatto nella norma: il caso Vaprio d’Adda.

5. Brevi riflessioni conclusive.

6. Prospettive de jure condendo: il ddl 2816/20171.

6.1 Il nuovo art. 52 cod. pen.: "ingenuità" o tipica ipotesi di sciatteria legislativa?

6.2 Turbamento psichico vs razionalità: il nuovo art. 59 cod. pen.

6.3 Le spese legali.

6.4 Considerazioni finali.

1 Aggiornamento del 15.05.2017 pubblicato per la prima volta a questo indirizzo https://wp.me/p7oS4h-Fs.

4 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

1. Inquadramento dogmatico

Nella teoria generale del reato la legittima difesa appartiene al novero delle cosiddette cause di

giustificazione o esimenti, cioè di quelle particolari fattispecie contemplate dal legislatore che

assolvono la funzione di escludere la responsabilità penale per un fatto costituente reato.

La loro disciplina è rinvenibile nella parte generale del codice penale, nel titolo III dedicato al reato,

agli articoli 50-51-52-53-542.

All’interno della categoria generale delle esimenti, la dottrina distingue tra scriminanti e scusanti: le

prime incidono sull’antigiuridicità del fatto, e cioè sulla contrarietà della condotta tenuta dal

soggetto alle prescrizioni dell’ordinamento giuridico globalmente considerato, escludendo pertanto

la responsabilità non solo sotto il profilo penalistico, ma anche sotto quello civilistico e

amministrativistico, per cui il reato cessa di essere considerato tale dall’ordinamento giuridico; le

seconde, invece, lasciano integra l’antigiuridicità del fatto ed operano all’interno della

“colpevolezza normativa”, escludendo i profili di rimproverabilità della condotta tenuta dal

soggetto3.

La distinzione non è solamente nominalistica: il linguaggio è forma descrittiva della realtà e a

questa “regola aurea” lo studioso dell’ordinamento giuridico, soprattutto di quello penale, non deve

mai sottrarsi. In tal senso, quindi, le cause di giustificazione, diversamente dalle scusanti, sono

assoggettate a una disciplina diversa: vengono valutate per la loro oggettiva esistenza,

indipendentemente dalla conoscenza che di loro eventualmente abbia il soggetto agente (art. 59

comma 1 c.p.) e sono estendibili a tutti i concorrenti nel reato (art. 119 u.c. c.p.).

La sistemazione concettuale delle cause di giustificazione è stata oggetto di studi in seno alle

dottrine penalistiche, che, in adesione alla metodologia analitica di studio del reato, si sono

interrogate circa la loro collocazione4.

Secondo la teoria bipartita, che rappresenta a sua volta l’evoluzione della scomposizione carrariana

del reato in forza fisica e forza morale, il reato è composto da due elementi, rispettivamente di

2 È opportuno precisare, per non indurre in confusione il lettore, che il legislatore non utilizza mai all’interno del codice penale l’espressione “cause di giustificazione”, preferendo l’opzione “circostanze che escludono la pena” in quanto scevra di colorazioni dogmatiche e di prese di posizione sull’inquadramento di tale istituto giuridico all’interno della teoria generale del reato. 3 Secondo la costruzione offerta dalla teoria tripartita cui aderisce la dottrina attualmente dominante. Cfr. Fiandaca-Musco, “Diritto penale - Parte generale”, Zanichelli, 2010. 4 Il metodo analitico, prevalso in dottrina, si basa sulla scomposizione del reato sino alla sua infinitesimale partizione, al fine di individuarne gli elementi costituitivi. A questo metodo si contrappone quello unitario che, invece, considera il reato un monolito non frazionabile in elementi, di cui al massimo possono individuarsi alcuni aspetti. L’adesione alla concezione analitica impone la massima attenzione e parsimonia nella scomposizione del reato per evitare di incorrere in inutili nonchè scorrette duplicazioni concettuali, foriere di indebite sovrapposizioni. A tal fine soccorre indubbiamente il principio del rasoio di Occam, secondo cui è illogico moltiplicare gli elementi più di quanto non sia necessario (entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem). In senso crititco v. Mantovani F., “Diritto penale –parte generale”, CEDAM, 2009, il quale avverte: “Pestando troppo nel mortaio dommatico il diritto penale, non si ha Scienza, ma poltiglia: la Babele degli istituti e delle lingue”.

http://dirittoalpunto.com 5

I dossier di Diritto Al Punto

natura oggettiva e soggettiva: condotta, evento e nesso di causalità da un lato; colpevolezza

psicologica per il fatto e atteggiamento verso l’evento dall’altro. La linearità di questa teoria è stata

la ragione del suo successo non solo all’interno della comunità scientifica, ma anche in seno alla

giurisprudenza dominante, tanto che essa è stata per molto tempo l’impostazione prevalente.

Secondo gli esponenti di questa corrente di pensiero l’antigiuridicità non costituisce un elemento di

struttura del reato, quanto piuttosto un suo “modo di essere”: il reato è per antonomasia un fatto

antigiuridico. Dunque, se l’antigiuridicità rileva solo quando assente, allora non vi è la necessità di

teorizzare una sede autonoma ove collocarla all’interno della struttura del reato.

Poste queste premesse, si ricostruiva il fatto di reato come composto da elementi di carattere

positivo volti a colorarne l’illiceità ed elementi negativi destinati al contrario ad escludere il

carattere illecito del fatto: affinché sussista la responsabilità penale, quindi, questi ultimi non

devono essere presenti.

Conseguentemente, avendo la teoria una rigida struttura binaria, e non assurgendo l’antigiuridicità a

elemento autonomo di costruzione del reato, le cause di giustificazione venivano fatte confluire

nell’ambito oggettivo, con l’attribuzione di un significato più ampio al concetto di tipicità,

comprensivo, cioè, anche gli elementi negativi.

Il rapporto tra fatto tipico e cause di giustificazione assumeva quindi la morfologia di un rapporto

“regola-eccezione”, secondo quanto già affermato dalla prima teoria della norma di Karl Binding,

secondo la quale tutte le disposizioni di legge sono provviste di eccezioni idonee a rendere

inoperante il loro contenuto precettivo5.

In altri termini, per rendere più chiara la teoria in parola, l’art. 575 c.p. che punisce “Chiunque

cagiona la morte di un uomo ..” si dovrebbe leggere “Chiunque cagiona la morte di un uomo è

punito con la pena della reclusione non inferiore agli anni ventuno, [salvo che il fatto non sia stato

commesso in presenza di una situazione che lo giustifichi].

Tirando parzialmente le fila del discorso: le cause di giustificazione hanno una natura

eminentemente valutativa, espressione dell’essenza dell’illecito penale; esse non costituiscono un

elemento autonomo all’interno della struttura del reato ma è la stessa norma penale che le

contempla in qualità di eccezioni al contenuto precettivo; di conseguenza un fatto scriminato è

penalmente irrilevante in quanto atipico.

5 Binding K, “Die normen und ihre Übertretung”, Engelmann, Leipzig, 1877, p. 52.

6 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

L’adesione alla costruzione appena delineata presenta dei limiti insuperabili: in primo luogo circa

l’individuazione dell’oggetto del dolo, giacché ne implica l’estensione anche alla consapevolezza in

capo all’agente dell’assenza degli elementi negativi del fatto, rendendo l’accertamento della volontà

dell’illecito praticamente impossibile; in secondo luogo poiché comporta una inammissibile

manipolazione della norma incriminatrice ad opera dell’interprete, in evidente violazione dei

principi di tipicità e frammentarietà, secondo i quali è il legislatore l’unico soggetto deputato alla

descrizione e definizione del perimetro di rilevanza penale di un fatto umano.

Inoltre, la teoria in esame conduce l’interprete a un corto circuito logico: il perimetro della tipicità

penale di una condotta umana è individuato sulla base dell’elemento dell’antigiuridicità, per cui è

tipico solo ciò che è antigiuridico ma, a sua volta, l’antigiuridicità è accertata solo dopo aver

determinato la tipicità di un fatto. Pertanto, indicando con B l’antigiuridicità e con A la tipicità, B

non può essere presupposto di A e viceversa, pena l’implosione del sistema.

Esemplificando, la condotta del soggetto che volontariamente cagiona la morte di un uomo è già

tipica ai sensi dell’art. 575 c.p., non rilevando a questi fini l’assenza di cause di giustificazione, la

cui valutazione subentrerà in un secondo momento, cioè solo dopo avere accertato la conformità del

fatto alla norma incriminatrice e la sua riferibilità, sotto il profilo oggettivo (nesso di causalità) e

soggettivo (dolo, colpa, preterintezione), al soggetto agente.

Allora, muovendo dall’analisi di questi limiti, la dottrina successiva ha elaborato una diversa

ricostruzione del reato, optando per una struttura tripartita: esso è un fatto tipico, antigiuridico e

colpevole6.

Le scriminanti cessano di essere considerate quali meri attributi negativi del fatto, transitando nella

più idonea categoria concettuale dell’antigiuridicità oggettiva, con ciò intendendo un giudizio di

natura valutativa di stampo oggettivo sulla conformità della condotta ai precetti dettati

dall’ordinamento giuridico.

La struttura della responsabilità penale viene ad assumere così una conformazione bifasica fondata

prima sull’imputazione di fatto e poi di diritto, recuperando la distinzione tra imputatio facti e

imputatio iuris, quali due momenti parimenti necessari ai fini dell’attivazione del meccanismo

sanzionatorio penale.

Dopo aver a lungo prevalso, incassando anche il sigillo della giurisprudenza della Suprema corte di

Cassazione, la teoria bipartita negli ultimi anni ha ceduto il passo a quella tripartita, in virtù della

sua maggiore capacità esplicativa della struttura dell’illecito penale7.

6 La concezione ha avuto una prima formalizzazione grazie all’opera del giurista tedesco Ernst Beling (1866-1932), assumendo inizialmente una conformazione quadripartita, ove l’elemento della tipicità assurgeva a categoria autonoma. In seguito, sia la dottrina tedesca che quella italiana, ne hanno limitato l’estensione muovendo dall’evidenza che, essendo tipico ciò che è conforme alla figura legale, allora oggetto di studio sarà sempre e solo tutto ciò che è tale. Con il che si è eliminata la necessità di teorizzare per la tipicità una collocazione autonoma.

http://dirittoalpunto.com 7

I dossier di Diritto Al Punto

Parte della dottrina, invero minoritaria, propone un correttivo alla concezione tripartita in relazione

proprio alla categoria dell’antigiuridicità, correttivo che poi si risolve in una costruzione diversa

della struttura del reato.

Muovendo dalla premessa che l’antigiuridicità appartiene agli elementi di giudizio dell’entità

empirica costituita dal reato, questa teorica afferma la necessità di evadere dai confini di categorie

logicamente inconsistenti, quali sono appunto l’antigiuridicità o la colpevolezza normativa, onde

recuperarne la loro reale essenza, prendendo atto che si tratta di mere qualificazioni, rispettivamente

oggettive e soggettive.

Il reato, dunque, è un fatto umano elevato a modello normativo, descritto in maniera tipica e

tassativa dal legislatore, la cui commissione genera l’effetto sanzionatorio previsto

dall’ordinamento solo ove esso sia collegato oggettivamente e soggettivamente al suo autore, e solo

all’esito della sua qualificazione oggettiva e soggettiva.

Peraltro, separando nettamente sotto il profilo logico – ma verrebbe da dire ontologico – le due

entità della tipicità e dell’antigiuridicità, mediante la collocazione di quest’ultima nella categoria

della qualificazione, si evita il rischio, in cui incorreva la teoria bipartita, di una loro

sovrapposizione8.

In definitiva, quindi, il reato assume una composizione pentapartita: fatto tipico, imputazione

(oggettiva e soggettiva), qualificazione (oggettiva e soggettiva) 9.

Dopo aver brevemente ripercorso le tappe che hanno caratterizzato il dibattito scientifico intorno

alle scriminanti e alla loro collocazione nella struttura del reato, è giunto il momento di calare

l’analisi sulla legittima difesa e sui suoi elementi costitutivi, non senza averne prima individuato il

fondamento.

7 Cass. Sez. Un. n. 40049/2008 in cui il supremo consesso giurisdizionale, pronunciandosi sulle tipologie di formule assolutorie previste dal codice di rito, in relazione alle ipotesi di fatti commessi in presenza di una causa di giustificazione, ha affermato che la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’ secondo l'opinione prevalente in dottrina “ [...] rivela l'insussistenza di uno degli elementi essenziali della fattispecie penale, ulteriori e diversi rispetto a quelli concernenti la sua struttura materiale”, così implicitamente confermando il ruolo di elemento costitutivo delle cause di giustificazione all’ interno di una cornice ternaria di ricostruzione del reato. 8 Eventualità già segnalata peraltro da Padovani T., in “Diritto penale – X edizione”, Giuffrè editore, Milano, 2012, pp. 147 ss., in cui l’Autore segnala, mediante la celeberrima comparazione esemplificativa tra l’omicidio e l’insetticidio, le conseguenze aberranti cui approda tale sovrapposizione. 9 Patrocina una ricostruzione di questo tipo Bellomo F., “Nuovo sistema del diritto penale”, Diritto e scienza editore, Bari, 2011.

8 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

2. Fondamento gnoseologico delle scriminanti in generale e della legittima difesa in particolare

Occorre in prima battuta definire il fondamento gnoseologico delle cause di giustificazione, attesa

la loro idoneità a “disinnescare” il meccanismo sanzionatorio previsto dalla norma incriminatrice.

Il trait d’union che lega tra di loro le scriminanti è rinvenibile nel superiore principio di non

contraddizione: l’ordinamento giuridico non può, ad un tempo, da un lato predicare l’illiceità di una

condotta, e dall’altro imporla o facoltizzarla10.

In un sistema logico, come l’ordinamento giuridico, in cui sono valide le comune regole di

inferenza (deduzione, induzione, abduzione, analogia) non sono ammissibili contraddizioni, per cui

una proposizione (in questo caso normativa) è vera e falsa allo stesso tempo, giacché un sistema

simile sarebbe privo di logica, di struttura e di informazione. In definitiva, anziché contribuire al

progresso della civiltà esso determinerebbe uno stato di caos primordiale11.

E allora il legislatore, che non può contraddire la struttura reale senza rinunciare alla sua funzione

razionalizzante, non può che prendere atto di questa evidenza e darne conto nell’ordito normativo12.

Se il principio di non contraddizione, dunque, costituisce il fondamento generale delle scriminanti

previste dal codice, cionondimeno esso non è l’unico13. Anzi, proprio in relazione alla causa di

giustificazione oggetto del presente contributo, esso non pare sufficiente a costituirne il

fondamento.

Sul tema si sono contrapposti due orientamenti: per il primo, di marca pubblicistica, la difesa

legittima trova la propria ragion d’essere in una delega che lo Stato riconosce ai cittadini nelle

ipotesi in cui non sia possibile attendere l’intervento tempestivo degli organi statuali deputati alla

difesa, per cui si ritiene prevalente l’interesse dell’aggredito rispetto a quello dell’aggressore; per il

secondo, invece, più attento ai profili privatistici e individualistici, il fulcro della scriminante deve

individuarsi nel diritto naturale di autodifesa, in quanto appartenente al novero dei diritti inviolabili

dell’uomo il cui riconoscimento è sancito dall’art. 2 Cost.

A ben vedere entrambe le teoriche accennate non si pongono agli antipodi concettuali, dato che esse

rappresentano due aspetti diversi della medesima entità, andandosi ad integrare e completare

vicendevolmente. Tuttavia, non forniscono un modello esplicativo completo, ragion per cui è

altrove che occorre indagare al fine di individuare il principio sotteso alla scriminante in esame.

In tal senso risolutivo è il riferimento al principio di sussidiarietà orizzontale, quale principio di

natura antropologica (con evidenti ricadute nell’universo giuridico), volto a valorizzare l’attivazione 10 Secondo i principi della logica classica o aristotelica (non contraddizione, identità, terzo escluso) non si può logicamente argomentare che l’entità A e la sua negazione, non A, siano entrambe vere allo stesso tempo e nello stesso modo. Cfr. Aristotele, Metafisica, libro Gamma, cap. III, 1005b, 19-20. 11 In logica tale risultato è chiamato “principio di esplosione”. 12 Adottano questa ricostruzione la gran parte degli Autori (Padovani, Fiandaca-Musco, Mantovani, Bellomo). 13 In adesione al modello pluralistico di esplicazione delle c.d.g. ormai accolto dalla dottrina maggioritaria, secondo il quale il fondamento delle stesse non è rinvenibile in un solo principio ordinatore.

http://dirittoalpunto.com 9

I dossier di Diritto Al Punto

di meccanismi virtuosi attraverso la devoluzione ai cittadini di competenze di esclusivo

appannaggio degli organi statuali.

Calando l’essenza del principio all’interno della difesa legittima, appare evidente come essa ne

risulti profondamente permeata, atteso che lo Stato devolve ai suoi cittadini, sia pure in circostanze

particolari espressamente fissate dalla norma, il potere di difendersi mediante l’uso della forza da

aggressioni ai diritti propri o altrui.

La capacità esplicativa del principio di sussidiarietà orizzontale erompe fragorosamente allorquando

si tratta di comprendere le ragioni che informano il riconoscimento del potere di reazione violenta

in capo ai cittadini, non tanto avverso aggressioni rivolte verso la propria sfera giuridica – giacché

in questo caso si coglie con maggiore evidenza l’operatività del principio di autodifesa naturale –

quanto piuttosto nelle ipotesi di aggressioni destinate ai terzi.

Infatti, l’art. 52 c.p. escludendo espressamente la punibilità per colui che ha commesso il fatto in

difesa di un diritto proprio o altrui, certifica indubbiamente la devoluzione ai cittadini di

prerogative tradizionalmente appartenenti alla potestà statuale.

Tale impianto concettuale risulta rafforzato dal formale ingresso del principio all’interno

dell’ordinamento giuridico al più alto livello delle fonti nazionali, la Costituzione repubblicana, il

cui art. 118 comma 4 ne riconosce espressamente il valore giuridico.

Naturalmente, però, l’esercizio da parte dei cittadini di prerogative statuali di difesa non è illimitato,

giacché è compito primario dello Stato approntare mezzi di difesa e garantire l’ordine pubblico,

essendo inammissibile, in tal senso, una sua totale abdicazione. Basti pensare che la potenza

gnoseologica del principio di sussidiarietà orizzontale, per quanto abbia aperto degli scenari fino a

qualche anno fa inimmaginabili14, nell’ordinamento penale ha un’incidenza limitata, dal momento

che i compiti di difesa e di garanzia dell’ordine pubblico non possono essere “privatizzati”,

trattandosi di compiti necessari dello Stato (di ogni Stato). Cionondimeno si possono cogliere

alcune “schegge” del principio nell’ambito della difesa militare, attraverso la legittimazione dei

general contractors, o nel settore della difesa privata (guardie di sicurezza, guardie giurate etc.).

14 A titolo meramente esemplificativo: in ambito amministrativo ha rappresentato il volano del profondo rinnovamento che ha investito le modalità di esercizio del potere, costituendo la base dei processi di privatizzazione; in ambito civile ha costituito la base concettuale della valorizzazione dei fenomeni attinenti al terzo settore, quali, tra gli altri, l’impresa sociale ex D.lgs. n. 155/2006;

10 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

Dunque, se è vero che la difesa legittima rappresenta una sicura applicazione del principio di

sussidiarietà orizzontale nella materia penale, è altrettanto indubbio che il legislatore ha perimetrato

entro precisi limiti la legittimità di condotte criminose realizzate nell’atto di difendersi da

aggressioni altrui.

Limiti che saranno oggetto di analisi nel successivo paragrafo.

3. Elementi costitutivi della legittima difesa “ordinaria”

La scriminante in esame è costruita in questi termini: una condotta aggressiva rivolta verso un

diritto proprio o altrui, che cagiona il pericolo attuale di un’offesa ingiusta e dalla quale scaturisce

una reazione difensiva proporzionata e perciò ritenuta legittima.

Il primo elemento costitutivo, l’aggressione ingiusta, implicato logicamente dalla norma sebbene

dalla stessa non espressamente previsto, deve esplicare la sua efficacia violenta verso una entità

indicata dal legislatore in termini generici con l’espressione diritto proprio o altrui.

Il significato dell’espressione, trattandosi di un elemento normativo di fattispecie, richiede l’analisi

del dominio di riferimento, l’ordinamento giuridico extra-penale, al fine di attribuire allo stesso un

significato concreto.

In questo senso, diritto proprio o altrui indica qualsiasi interesse giuridicamente protetto,

indipendentemente dalla qualifica formale che esso assume (diritti assoluti, relativi, potestativi), con

l’unico limite discendente dal fatto che esso non può essere posto a presidio di interessi ultra

individuali. L’aggressione, in altri termini, deve avere ad oggetto una situazione giuridica

soggettiva individuale, poiché altrimenti opinando, e cioè predicando la legittimità di una reazione

violenta a tutela di interessi “pubblicistici”, si certificherebbe l’ingresso nel nostro ordinamento

della figura di origine cinematografica del “giustiziere privato”15.

È indubbio che in talune, limitate, ipotesi l’ordinamento riconosca ai privati poteri coercitivi

finalizzati alla tutela di interessi esulanti la mera sfera individuale, come nel caso della facoltà di

arresto da parte dei privati ai sensi dell’art. 383 c.p.p., tuttavia tali poteri sono circoscritti dalla

norma alle sole ipotesi di arresto in flagranza di cui al precedente art. 380 c.p.p., e in ogni caso non

possono mai sfociare nella realizzazione di figure criminose da parte del privato.

15 Immagine fantasiosa dal cui fascino sembra essere rimasto irretito anche il legislatore allorquando nel 2009, con la L. n. 94, all’art. 3 riconobbe la possibilità ad associazioni tra cittadini non armati di collaborare con le forze dell’ordine, al fine di segnalare la presenza di eventi suscettibili di arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale (le cd. “ronde”). L’allarme sociale che la norma generò spinse il legislatore a ridurne ampiamente la portata mediante l’imposizione di limiti e adempimenti amministrativi alle neonate associazioni, che ne decretarono sostanzialmente l’inoperatività. Tuttavia, in ottica meramente speculativa, rileva il tentativo per via legislativa di legittimare l’uso della difesa privata per finalità di prevenzione dei reati, in evidente applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale (sul tema del ‘giustiziere privato’ si rinvia a F. Bellomo op. cit.).

http://dirittoalpunto.com 11

I dossier di Diritto Al Punto

La condotta aggressiva può essere di natura attiva od omissiva, direttamente posta in essere dal

soggetto oppure scaturente da cose o animali alla cui custodia egli è tenuto, come nel caso del

soggetto che non impedisce al proprio cane di avventarsi su un altro individuo, legittimando così la

reazione difensiva violenta dell’aggredito volta a costringere il primo a bloccare l’animale

inferocito. In questo caso, peraltro, ciò che rileva non è ovviamente la condotta dell’animale

d’affezione, quanto piuttosto quella del suo proprietario, il quale a norma dell’art. 2052 c.c. è

responsabile dei danni cagionati dall’animale.

In definitiva, assume rilevanza quale presupposto fattuale di attivazione del meccanismo

scriminante ex art. 52 c.p. qualunque condotta umana da cui derivi, con paradigma causale non

dissimile da quello fissato dagli artt. 40-41 c.p., una situazione di pericolo attuale di un’offesa

ingiusta.

Pertanto, l’aggressione deve concretizzarsi nel pericolo attuale (incombente) di un’offesa che, se

non tempestivamente neutralizzata, sfocia nella lesione di un proprio (o altrui) diritto: non deve cioè

trattarsi di un pericolo già passato, ché in questo caso non vi sarebbe più alcuna necessità di

difendersi essendosi già verificata la lesione, né di un pericolo futuro, giacché il soggetto potrebbe

invocare l’intervento delle forze di polizia.

Inoltre, rientra nella nozione di pericolo anche quello permanente, con ciò indicandosi tutte quelle

ipotesi in cui l’offesa non è ancora esaurita e, conseguentemente, non si è verificato il “trapasso

dalla situazione di pericolo a quella di danno effettivo”16.

Circa l’accertamento del requisito della pericolosità, trattandosi di un elemento potenziale oggetto

di percezione da parte del solo soggetto aggredito, esso non potrà che essere formulato con riguardo

al momento in cui egli ha reagito: si tratta, anche secondo il monolitico orientamento

giurisprudenziale, di un giudizio ex ante facto calato all’interno delle specifiche e peculiari

circostanze concrete che connotano la fattispecie17.

Ciò posto, occorre però fissare quale sia la base del giudizio, se solo con riferimento alle

circostanze che l’aggredito conosceva, ovvero anche a quelle da lui non conosciute ma comunque

esistenti; in altri termini occorre stabilire se il giudizio si effettua su base parziale o totale.

16 Fiandaca-Musco, op. cit., p. 284; Antolisei F., “Manuale di diritto penale – parte generale”, Giuffrè editore, Milano, 1975, p. 269. 17 Tra le altre, Cass. Pen. Sez. I n. 4456/2000; Cass. Pen. Sez. I, n. 45425/2005; Cass. Pen. Sez. V, n. 3507/2009; Sez. I, n. 13370/2013, dep. 21/03/2013, Cass. Pen. Sez. I, n. 45483/2014.

12 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

Avendo il requisito della pericolosità natura oggettiva, pare corretto opinare per la seconda delle

soluzioni proposte, giacché aderendo alla prima si produrrebbero risultati aberranti.

Pertanto, il giudice dovrà valutare la sussistenza della situazione di pericolo ponendosi idealmente

nel momento in cui il soggetto ha reagito e tenendo in debito conto tutte le circostanze

effettivamente esistenti18.

La norma resta silente in merito al ruolo svolto dall’aggredito nella vicenda, non specificando quale

debba essere l’incidenza causale del suo atteggiamento prima dell’aggressione: in altri termini, cosa

accade quando il pericolo è volontariamente creato dall’aggredito? Sono comunque integrati i

requisiti della scriminante?

Sul punto la giurisprudenza e parte della dottrina ritengono che essa non sia invocabile quando il

soggetto che reagisce si pone volontariamente in una situazione di pericolo, come nelle ipotesi del

provocatore, dei co-rissanti, di colui che accetta una sfida etc., concludendo quindi che

l’involontarietà del pericolo è requisito implicito della legittima difesa.

Tuttavia una simile conclusione non può essere accolta: il legislatore quando ha voluto condizionare

l’applicazione di una scriminante a questo requisito lo ha fatto espressamente, come testimoniato

dal disposto di cui all’art. 54 c.p. relativo allo stato di necessità19.

La soluzione del quesito riposa sull’imputabilità del pericolo all’aggressore secondo quanto imposto

dal principio di causalità, e dalla sua traduzione normativa compendiata dagli artt. 40-41 c.p., nel

senso che dovrà escludersi la configurabilità della scriminante tutte le volte in cui la condotta

dell’aggredito si ponga come fattore interruttivo del rapporto di causalità tra l’aggressione e il

pericolo (art. 41 II comma c.p.). Altrimenti, in virtù del principio dell’equivalenza causale scolpito

dal primo comma dell’art. 41, la sua condotta non assumerà rilievo alcuno.

Resta da accennare al concetto di “offesa ingiusta” che, come si è visto, costituisce il terminale

fattuale della situazione di pericolo.

Anche in questo caso, trattasi di elemento normativo di fattispecie appartenente al dominio extra-

penale e, dunque, è qui che occorre indagare per fornire un contenuto concreto a tale formula

linguistica.

Il primo formante a venire in rilievo è l’ordinamento civilistico, in particolare la clausola generale

dell’ingiustizia del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c., norma fondante la responsabilità

extracontrattuale.

18 In questo senso Grosso C, “Enciclopedia del diritto”, voce Legittima difesa, XXIV, Giuffrè, Milano, 1974. 19 Invero, la scriminante non trova applicazione perché la volontaria causazione dell’evento di pericolo incide sul requisito della necessità della difesa, elidendolo, nonché su quello dell’ingiustizia del danno. In tal senso, Mantovani F., “Diritto penale – parte generale”, CEDAM, 2009, p. 254.

http://dirittoalpunto.com 13

I dossier di Diritto Al Punto

Tale disposizione radica l’insorgenza dell’obbligazione risarcitoria a carico del danneggiante sulla

base della realizzazione dolosa o colposa di un fatto che cagiona un danno ingiusto da cui derivano

conseguenze risarcibili; il requisito dell’ingiustizia del danno si traduce in un’offesa arrecata contra

jus, cioè lesiva di una situazione giuridica soggettiva riconosciuta dall’ordinamento20, e non jure

datum, ovverosia non giustificata dall’ordinamento.

Orbene, l’ingiustizia dell’offesa cui si riferisce l’art. 52 c.p. deve tradursi, evidentemente, come

danno non jure, posto che la norma già prevede che l’azione aggressiva si diriga verso un diritto

(“[...] per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui [...]”).

Ultimo elemento di struttura della scriminante è la reazione difensiva ritenuta legittima.

L’ordinamento ammette la reazione violenta di un individuo sottraendola al presidio della pena per

essa prevista solo ove sia resa indispensabile dalla necessità di difendere (sé o altri), non sia

possibile agire diversamente attesa l’inevitabilità del pericolo, sussista un rapporto di

proporzionalità con l’aggressione subita.

Tali caratteristiche non sono solo il frutto della mera ricostruzione dottrinale, essendo individuabili

attraverso la lettura del cristallino disposto normativo. In particolare, la necessità di difendersi è

compendiata nell’incipit della norma “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato

costretto dalla necessità di difendere”; l’inevitabilità del pericolo, sebbene non espressamente

richiamata dalla norma, si desume facilmente dalla necessità di agire per approntare una difesa, il

che implica, appunto, una situazione non gestibile e superabile in altro modo; infine la

proporzionalità, espressamente indicata dal legislatore in chiusura della disposizione “[...] contro il

pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.

Il primo requisito si traduce nell’alternativa che si pone alla vittima dell’aggressione tra reagire

all’offesa a sua volta offendendo, ovvero soccombere dinanzi all’aggressore: in altri termini, la

condotta lesiva dell’aggredito è l’unica possibile in quanto insostituibile con altra meno lesiva.

20 L’ambito oggettivo di applicazione della norma è stato oggetto nel corso degli ultimi decenni di un acceso dibattito. Inizialmente, in adesione alla concezione secondo cui l’art. 2043 c.c. fosse norma secondaria, posta a presidio e tutela di precetti posti altrove nell’ordinamento, essa si riteneva applicabile solo ai diritti assoluti; successivamente, in un processo evolutivo che ha interessato gli architravi dell’intero ordinamento civilistico, la sua applicazione è stata estesa, dapprima ai diritti relativi (celeberrimo il caso Meroni, Cfr. Cass. S.U., 26 gennaio 1971, n. 174) e poi a tutti gli interessi giuridicamente rilevanti e meritevoli di tutela, anche se diversi dal diritto soggettivo (nella nota sentenza della Cass. S.U., n. 500/1999, in cui il supremo consesso, per la prima volta, riconobbe la risarcibilità della lesione degli interessi legittimi).

14 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

In questi casi l’innata pulsione dell’essere umano, e in generale di ogni essere vivente, a conservare

intatta la propria esistenza con il fine di proseguire nel cammino evolutivo della specie, determina

la reazione difensiva e induce l’ordinamento a leggere tale condotta alla luce di una qualificazione

di segno positivo.

Tuttavia, se la missione dell’ordinamento giuridico è razionalizzare le vicende umane, compito

dell’ordinamento penalistico è pretendere dagli esseri umani, attraverso lo strumento della pena, un

più elevato tasso di razionalità. Lasciare l’essere umano allo stato brado, senza alcuna limitazione in

ordine all’uso della forza esercitabile all’interno delle relazione con i propri simili, è una

conclusione cui l’ordinamento non potrà mai giungere, pena la completa abdicazione dal suo ruolo.

La necessità della difesa viene meno quando l’aggredito può sottrarsi alla situazione di pericolo

attraverso la fuga, giacché in questo caso potrà, senza offendere, approntare una difesa adeguata

allo scopo.

La dottrina risalente, al contrario, non riteneva che la fuga fosse sostituibile alla reazione difensiva,

in quanto con essa il fuggitivo sarebbe andato incontro al disonore sociale (poiché codardo, vile),

eccetto nei casi di cd. commodus discessus, cioè tutte quelle ipotesi in cui la fuga, per le sue

modalità applicative concrete, non appariva ‘vile’ (si pensi al classico esempio della ritirata attuata

attraverso il semplice cambio della strada di percorrenza, ovvero semplicemente tornando sui propri

passi)21.

Soluzione, questa, non più in linea con l’attuale società, assai più incline a valorizzare gli aspetti

solidaristici del vivere in società che il sentimento di onore individuale22.

Pertanto la soluzione riposa sul meccanismo di bilanciamento degli interessi, per cui il soggetto non

sarà tenuto a fuggire in tutti quei casi in cui tale condotta esporrebbe i suoi beni personali o di terzi

a rischi maggiori rispetto a quelli minacciati dall’aggressione stessa.

Quanto detto sulla necessità della difesa spiega i suoi effetti anche in merito all’inevitabilità del

pericolo: come affermato in precedenza, infatti, in una situazione di pericolo una reazione difensiva

si pone come logicamente necessaria quando, in sua assenza, sarebbe inevitabile l’esito nefasto

conseguente all’aggressione. In altri termini se il pericolo è inevitabile allora sussiste la necessità di

difesa.

Le maggiori criticità dell’istituto in esame, tuttavia, sono connesse al requisito della proporzionalità

della reazione difensiva rispetto all’aggressione, quale vero e proprio banco di prova del suo

funzionamento.

21 Quasi anacronistica, allora, appare la sentenza della Suprema Corte che, ancora nel 2003 (sent. Cass. pen. Sez. I, n. 5697/2003) ha escluso la configurabilità dell’esimente qualora l’agente abbia avuto la possibilità di allontanarsi dall’aggressore senza pregiudizio e senza disonore. 22 Basti pensare alla magnitudine applicativa dell’art. 2 Cost, assurto ormai a base normativa della maggior parte dei processi evolutivi del nostro ordinamento, sia a livello di politica legislativa che di ermeneutica giuridica.

http://dirittoalpunto.com 15

I dossier di Diritto Al Punto

Un orientamento risalente riteneva di fondare tale comparazione in relazione ai mezzi utilizzati, per

cui si considerava legittimo anche l’utilizzo di un mezzo letale per scongiurare un’aggressione

minima, a condizione che esso fosse l’unico a disposizione dell’aggredito23.

A ben vedere, però, una simile interpretazione cozza con il dato positivo della norma, che mette in

relazione due entità precise, la difesa da un lato e l’offesa dall’altro, e non già direttamente i mezzi

attraverso i quali esse vengono approntate; inoltre, il termine ‘offesa’ assume sempre all’interno del

linguaggio legislativo penale il significato di lesione o messa in pericolo dell’interesse protetto.

Ne deriva che il giudizio di proporzionalità deve essere operato sui beni o interessi in conflitto, sulla

contrapposizione tra ciò che rischia di essere leso (il diritto proprio o altrui) e ciò che invece viene

leso in conseguenza della reazione dell’aggredito.

Dunque, il legislatore ha deciso di impiegare un concetto mutuato dalla matematica, quale è quello

di proporzionalità, non lasciando adito a dubbi circa le sue modalità di espletamento.

In termini matematici una proporzione è una relazione che sussiste tra due classi di numeri o di

grandezze omogenee, fra le quali vi è una relazione biunivoca da cui deriva che il rapporto tra due

elementi qualsiasi della prima classe sia uguale al rapporto tra i due elementi corrispondenti della

seconda classe.

La traduzione giuridica del concetto si rinviene nell’ordinamento dell’Unione europea, in

particolare nell’art. 5 TUE ove il principio di proporzionalità assurge a criterio di esercizio delle

competenze tra Unione e Stati membri (par. 1), in virtù del quale il contenuto e la forma dell’azione

dell’Unione sono limitate a quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi imposti dai

Trattati (par. 4).

Ferme restando le sue caratteristiche essenziali, in tema di legittima difesa esso impone al giudice di

comparare i beni in conflitto sulla base delle scelte valoriali già compiute dall’ordinamento, dunque

in forza della rilevanza che i beni protetti hanno nel codice penale, nella Costituzione e nei trattati

internazionali. Ciò significa operare un giudizio di proporzione (nei termini matematici più sopra

accennati), considerando i beni giuridici come grandezze e il quantum di pena come unità di misura.

23 Quale esempio classico si riporta l’ipotesi del proprietario di un fondo, vecchio e paralitico, che spara ad un giovane ladruncolo per farlo desistere dal suo proposito di rubare i frutti dagli alberi.

16 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

Si pone tuttavia il problema di stabilire i termini del rapporto di proporzionalità allorquando tra i

beni in conflitto non vi sia omogeneità, come nelle ipotesi di conflitto tra i beni attinenti alla vita o

all’incolumità e quelli relativi al patrimonio.

Secondo l’ormai granitico orientamento giurisprudenziale, nelle ipotesi di comparazione di beni

omogenei sussiste il rapporto di proporzionalità (il caso vita vs vita), mentre nelle ipotesi di

conflitto tra beni eterogenei, eccetto i casi in cui il rapporto gerarchico appaia evidente, il giudice

dovrà fare ricorso a indicatori in complementari, quali la rilevanza costituzionale del bene, l’entità

della sanzione prevista dal legislatore, nonché l’intensità dell’offesa minacciata dall’aggressore e di

quella prodotta dall’aggredito24.

In ogni caso il giudizio di proporzionalità, anche se condotto secondo i parametri anzidetti, resta

afflitto da un certo grado di approssimazione, in considerazione del fatto che a formularlo, prima

del giudice, è il soggetto vittima dell’aggressione che non sempre in una situazione concitata riesce

a mantenere la lucidità (secondo il brocardo “adgreditus non habet staderam in manu”, cioè

“l’aggredito non ha la bilancia in mano”).

In questo senso, quindi, il giudice nel ricostruire la concreta vicenda oggetto di cognizione dovrà

porsi mentalmente nel preciso momento in cui l’agente ha realizzato la condotta difensiva,

operando cioè una prognosi postuma a base totale.

Il tema pone delle ulteriori problematiche, nelle ipotesi in cui l’interprete dovrà valutare i casi in cui

il pericolo percepito dal soggetto agente risulti ex post facto assolutamente inesistente per inidoneità

dell’azione o inesistenza dell’oggetto.

È evidente la commistione tra i profili relativi alla scriminante in commento e quelli inerenti

all’istituto del reato impossibile di cui all’art. 49 II comma c.p.

Si pensi all’esempio di scuola del titolare di un esercizio commerciale25 che uccide il rapinatore

sentendosi in grave pericolo, in quanto costui lo minaccia con un’arma, ma che poi, alla luce delle

verifiche effettuate dall’autorità giudiziaria, risulta disarmato poiché l’oggetto che brandiva era in

realtà solo una fedele riproduzione di un’arma vera. In buona sostanza un’arma giocattolo26.

Ora, in casi del genere, la vicenda deve essere scomposta nei termini che seguono: ex ante il

soggetto aggredito percepisce il pericolo come effettivamente incombente, posto che ai suoi occhi

l’oggetto brandito dal rapinatore è a tutti gli effetti un’arma; ex post, tuttavia, la qualificazione in

termini di pericolosità della situazione occorsa risulta fallace, in ragione del fatto che il rapinatore

non poteva ledere in alcun modo l’incolumità della vittima.

24 Così Fiandaca – Musco op. cit.; Mantovani F. op. cit. 25 Si segnala peraltro che in questo caso a venire in rilievo sarà la legittima difesa nel privato domicilio (art. 52 III comma c.p.), oggetto di trattazione separata nel prossimo paragrafo. 26 Tali oggetti, utilizzati dagli appassionati della pratica ludica denominata soft air, sono delle riproduzioni assolutamente fedeli degli originali, tanto da trarre in inganno facilmente circa la loro effettiva carica letale.

http://dirittoalpunto.com 17

I dossier di Diritto Al Punto

Ciò significa, pertanto, che la situazione di pericolo attuale che legittima la reazione del soggetto

agente scriminando la sua condotta pare non essere integrata. Tuttavia, come più volte affermato,

essendo la situazione di pericolo solo potenziale (il concetto stesso di pericolo sottende uno stato

dinamico della realtà che designa una progressione crescente di effetti da una situazione potenziale

a una situazione effettiva irreversibile), essa va valutata secondo quanto percepito dall’agente e non

sulla base di quanto effettivamente questa coincida con la realtà.

La verifica circa l’inidoneità dell’azione o l’inesistenza dell’oggetto, che invece caratterizzano

l’istituto del reato impossibile, giocoforza deve essere effettuata ex post facto, trattandosi cioè di un

giudizio storico e non prognostico. Conseguentemente, la circostanza che il pericolo risulti

insussistente in base a una valutazione ex post non esclude la configurabilità della scriminante in

esame.

Al massimo, laddove la valutazione del pericolo operata dall’aggredito risulti affetta da imprudenza

o imperizia tanto da superare i limiti previsti, troverà applicazione l’eccesso colposo disciplinato

dall’art. 55 c.p., con conseguente applicazione della sanzione prevista per i delitti colposi, sempre

che il fatto commesso sia previsto dalla legge come tale27.

Individuata la cornice positiva di riferimento, è possibile ora procedere con l’analisi della fattispecie

prevista dal secondo e terzo comma dell’art. 52 c.p.

3.1 La legittima difesa nel privato domicilio: “licenza di uccidere” o condivisibile presa d’atto del

legislatore?

“Onorevoli Senatori. – Con tragica monotonia si ripetono le rapine nelle case e nelle ville. Branchi

di uomini feroci – italiani o stranieri che siano – non esitano a versare sangue innocente ed inerme,

ad uccidere e torturare. In Italia abbiamo, in confronto al resto d’Europa, il più basso numero di

detenuti rispetto agli abitanti – questo dovrebbe farci riflettere su un possibile legame con la

frequenza delle rapine – ma in compenso abbiamo il più alto numero, in proporzione, di agenti

dell’ordine, oltre 300.000 sommando tutti i vari tipi di polizia. Numero enorme, che però non

appare in grado di arginare questi odiosi crimini. Si pensa perciò di applicare il principio

federalista di sussidiarietà, devolvendo nuovi compiti alla polizia locale. Ma perché non applicare

fino in fondo tale principio, riconoscendo ad ogni cittadino il diritto naturale all’autodifesa,

27 Cfr. Cass. pen. Sez. I, n. 45407/2004.

18 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

restituendogli la sovranità almeno nel proprio domicilio? Qualcuno obietterà che questo diritto

esiste già, previsto dall’articolo 52 del codice penale sulla legittima difesa. Purtroppo l’eccessivo

grado di discrezionalità che è stato lasciato al potere di interpretazione dei magistrati ha vanificato

la certezza del diritto.

Al povero imputato, colpevole di aver difeso la propria vita, la propria famiglia, i propri beni, la

scritta nei tribunali «la legge è uguale per tutti» appare spesso come una beffa, il ghigno irridente

di una giustizia cieca, imprevedibile e crudele”.

Il testo riportato in apertura è un estratto della relazione al disegno di legge n. 1889 presentato al

Senato nel 2006 (XV legislatura) dal quale è poi derivato il testo finale della Legge n. 59/2006, che

ha modificato l’art. 52 c.p. aggiungendovi due ulteriori commi: “2. Nei casi previsti dall’art. 614,

primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente

articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente

detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o altrui incolumità;

b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.

3. La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto

all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o

imprenditoriale.”

Emerge dalla lettura della relazione il contesto storico-criminologico che ha fatto da cornice ai

lavori parlamentari, siccome caratterizzato dalla recrudescenza del fenomeno delle rapine in villa o

nei luoghi adibiti all’esercizio dell’attività commerciale o professionale, spesso terminate con esiti

letali.

Sotto il profilo dell’analisi gnoseologica appare interessante il rinvio, operato dai senatori

proponenti, al principio di sussidiarietà (evidentemente orizzontale benché non esplicitato nel testo)

e al diritto naturale di autodifesa: si tratta, in effetti, di due formanti della scriminante in esame già

oggetto di analisi nella parte dedicata al suo fondamento (par. 2) e pertanto si procederà oltre.

La modifica legislativa, sia in fase di discussione nelle competenti sedi, sia dopo la sua entrata in

vigore, ha suscitato moltissime polemiche tra gli avversi schieramenti politici e tra gli operatori del

settore, poiché vi era il timore che essa potesse legittimare quella che, con linguaggio mutuato dalla

cinematografia, venne chiamata “licenza d’uccidere”.

D’altro canto, però, il suo ingresso nel panorama codicistico fu ritenuto necessario per porre un

freno all’imbarbarimento di un fenomeno già di per sé odioso, rispetto al quale spesso l’autorità

statale non aveva saputo dare una pronta risposta.

http://dirittoalpunto.com 19

I dossier di Diritto Al Punto

Ciò premesso in ordine alle ragioni di politica criminale si procederà ora allo studio dei singoli

elementi di struttura della fattispecie di “autotutela nel privato domicilio”, che possono essere

sintetizzati nel modo che segue:

a) la presenza abusiva di un soggetto all’interno di un privato domicilio o di un esercizio

commerciale, professionale o imprenditoriale;

b) un’aggressione alla propria o altrui incolumità, ovvero ai beni propri o altrui quando non vi

è desistenza e vi è pericolo di aggressione;

c) la presenza legittima di colui che reagisce all’interno del contesto spaziale “domiciliare”;

d) la legittima detenzione dell’arma utilizzata a fini difensivi;

e) la presunzione juris et de jure (ovverosia assoluta in quanto non ammette prova contraria)

del requisito della proporzionalità al verificarsi dei presupposti indicati.

Il primo elemento sottolinea la ratio della nuova previsione normativa, in quanto prevede una tutela

rafforzata proprio in funzione del luogo ove l’aggressione viene perpetrata, il domicilio, inteso sia

come abitazione privata che come luogo ove si esercita l’attività commerciale, professionale o

imprenditoriale: la ragione di ciò risiede nel fatto che tali luoghi sono considerati “sensibili”

dall’ordinamento giuridico, nella misura in cui sono il teatro della vita e degli affetti di ciascun

individuo, sicché sono destinatari di una tutela più ampia, tanto che la loro violazione costituisce

reato autonomo (art. 614 c.p. cui rinvia l’art. 52 c.p.).

Pertanto, la condotta di colui che vi fa ingresso abusivamente e ivi aggredisce chi vi risiede

legittimamente si colora in maniera più marcata in termini di illiceità, giacché denota una maggiore

carica lesiva espressa dal soggetto agente.

Il secondo elemento, l’aggressione all’incolumità o ai beni, merita una trattazione leggermente più

approfondita [lett. a) e b) del comma 2], in ragione del fatto che la norma ha introdotto la

presunzione legislativa di proporzionalità.

Nulla quaestio per le ipotesi di aggressione all’incolumità (lett. a), con ciò intendendosi gli attacchi

rivolti alla vita o all’incolumità personale propria o di terzi: si tratta, quindi, di un caso di

omogeneità dei beni in conflitto pacificamente risolto anche alla stregua del disposto normativo

originario. La differenza con la disciplina ‘ordinaria’ di legittima difesa, però, consiste nel fatto che,

in tali casi, il giudizio di proporzionalità è oggetto di presunzione normativa, con ciò escludendo il

sindacato del giudice sul punto.

20 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

Ne deriverebbe l’ammissibilità dell’effetto scriminante anche verso quelle condotte nelle quali, per

respingere l’aggressore, sarebbe stata sufficiente una reazione non armata o, in ogni caso, meno

lesiva (ma sul punto si tornerà nel prosieguo della trattazione).

L’analisi si complica quando si tratta di interpretare l’espressione normativa “i beni propri o altrui,

quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione” (lett. b), poiché in casi del genere il

meccanismo presuntivo introdotto dalla novella, se applicato acriticamente, potrebbe condurre

all’equivalenza tra beni giuridici assai diversi, quali la vita o l’incolumità e il patrimonio.

Si tratta, a ben vedere, dei casi di conflitto tra beni eterogenei, per i quali la giurisprudenza

maggioritaria tradizionalmente ha escluso la sussistenza del rapporto di proporzionalità proprio

sulla scorta di considerazioni di carattere sistematico inerenti ai giudizi valoriali espressi

dall’ordinamento.

Sul punto sono doverose alcune precisazioni: la norma subordina l’effetto scriminante al verificarsi

di diversi presupposti, tra i quali spicca il pericolo di aggressione e la mancata desistenza.

Ora, è chiaro che quando il legislatore parla di “pericolo di aggressione” in un contesto già

offensivo, evidentemente sta descrivendo una situazione caratterizzata da una evoluzione offensiva,

che porta l’aggressore ad attaccare dapprima i beni, e solo successivamente la persona.

Di conseguenza, rispetto alle ipotesi di cui alla precedente lettera a), in cui l’azione offensiva si

dirige direttamente verso la persona o la sua incolumità, nelle ipotesi sub lett. b) la persona non è

l’obiettivo immediato dell’aggressore, ma lo diventa a seguito del verificarsi di talune circostanze.28

Inoltre, affinché abbia luogo il meccanismo scriminante la norma impone che prima non vi sia stata

desistenza da parte dell’aggressore.

Il concetto di desistenza, di cui l’interprete ha già contezza in quanto normativamente previsto

nell’ambito del delitto tentato (art. 56 III comma c.p.), deve essere tradotto come qualunque forma

di abbandono del proposito criminoso, indipendentemente dal grado di adesione volontaria

dell’aggressore29.

Sicché si pone l’ulteriore problema di stabilire quando effettivamente si integra il presupposto della

mancata desistenza. A tal proposito, la dottrina propone quale soluzione al quesito l’obbligo per

l’aggredito di avvertire il proprio aggressore prima di passare alle vie di fatto, con la classica

28 Si pensi al caso, assai comune nella prassi criminale, del soggetto che si rifiuta di consegnare i propri preziosi al ladro introdottosi presso la propria abitazione, o al commerciante che oppone resistenza alla richiesta di consegnare l’incasso della giornata. Ebbene, in tutti questi casi, l’azione violenta dell’aggressore con buona probabilità muterà obiettivo dirigendosi verso la persona dell’aggredito. 29 Differentemente da quanto, invece, designato dall’istituto della desistenza volontaria nell’ambito del tentativo.

http://dirittoalpunto.com 21

I dossier di Diritto Al Punto

espressione “fermo o sparo” o altre succedanee, il cui esito negativo fonderebbe la legittimazione

della reazione30.

In ogni caso, è fuor di dubbio, che tale obbligo non si evince dalla lettera della legge, pertanto al

massimo potrà considerarsi come un onere e giammai come un obbligo legale.

Rimane da comprendere come opera il giudizio di proporzionalità, o meglio, come la sua

presunzione, al ricorrere dei presupposti normativi descritti, attivi il meccanismo scriminante.

Sul punto vi sono da fare alcune considerazioni di carattere sistematico sulla natura dei commi 2 e 3

dell’art. 52 c.p., dovendosi chiarire se trattasi di una scriminante autonoma, ovvero di una

previsione speciale rispetto alla legittima difesa ‘ordinaria’ (in rapporto di specialità unilaterale per

aggiunta). La questione, naturalmente, non ha una mera rilevanza teorica, giacché ne deriva

l’applicabilità o meno anche degli altri presupposti normativamente sanciti nella cd. legittima difesa

ordinaria (il I comma dell’art. 52).

Infatti, l’adesione alla prima ipotesi implica il riconoscimento di una nuova scriminante all’interno

del panorama codicistico, una sorta di “legittima difesa con armi”, caratterizzata dalla parificazione

della posizione del soggetto che reagisce all’interno del privato domicilio a quella del pubblico

ufficiale che utilizza le armi al fine di adempiere ai doveri del proprio ufficio (art. 53 c.p.).

In casi simili la reazione del privato sarà ritenuta legittima in quanto normativamente proporzionata,

essendo irrilevante la verificazione degli ulteriori presupposti.

Tuttavia, considerazioni di carattere sistematico impongono una diversa lettura della norma: da un

lato si stagliano le fonti internazionali, in primis la CEDU che tutela il diritto alla vita,

consentendone la lesione solo se essa rappresenta “il risultato di un ricorso alla forza resosi

assolutamente necessario per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale”31;

dall’altro lo stesso tenore letterale del II comma dell’art. 52 che, operando un espresso rinvio a

quanto fissato dal comma precedente (“Nei casi previsti dall’art. 614 sussiste il rapporto di

proporzione di cui al primo comma”), fissa una deroga al solo requisito della proporzionalità, sul

presupposto che gli altri rimangano fermi. Ciò significa che il meccanismo presuntivo opererà 30 In senso critico Fiandaca – Musco, op. cit., che paragona questa soluzione interpretativa a una “procedura cavalleresca”, accantonata durante il dipanarsi dell’iter legis per evitare di peggiorare la situazione della vittima dell’aggressione esponendola a gravissimi rischi supplementari. Favorevole, invece, Cadoppi A., “La legittima difesa domiciliare (cd. sproporzionata o allargata): molto fumo e poco arrosto”. 31 Art. 2 par. 2 lett. a) nonché v. art. 6 Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici concluso a New York il 16 dicembre 1966.

22 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

comunque in sinergia con gli altri requisiti scriminanti dell’attualità del pericolo e della necessità

della difesa.

Inoltre, a sostegno della tesi della specialità, giova ricordare che se il legislatore avesse voluto

introdurre una scriminante diversa e ulteriore rispetto all’art. 52, avrebbe collocato la nuova norma

in un’altra disposizione, così come del resto risulta dai lavori parlamentari: la proposta di legge

d’iniziativa del deputato Perrotta del 12 novembre 2004, infatti, era intitolata “Introduzione

dell’art. 52 bis del c.p. concernente la legittima difesa in ambito domiciliare”.

Si segnala, peraltro, un ulteriore tesi dottrinale che prende le distanze da entrambe le teorie

accennate, salvo poi pervenire al medesimo risultato raggiunto dai sostenitori della specialità 32.

Essa muove dal presupposto della diversa natura delle due previsioni normative: da un lato la

legittima difesa ordinaria che detta ai consociati una regola di condotta, indicando a quali

condizioni la realizzazione di un fatto tipico non è sanzionata dall’ordinamento; dall’altro la nuova

legittima difesa domiciliare la cui essenza è quella di fissare una regola di giudizio sui fatti

commessi, invertendo l’onere della prova riguardo al rapporto di proporzionalità tra l’offesa e la

difesa.

Quanto sostenuto risulta corroborato anche dal test logico della “eliminazione mentale”, dal quale

emerge agevolmente come, eliminando mentalmente la legittima difesa “ordinaria”, quella

domiciliare non avrebbe senso di esistere. Essa, in altri termini, non è autosufficiente.

Al contrario, la previsione originaria dell’art. 52 c.p. non necessita di alcun sostegno esogeno per

accreditare la sua esistenza all’interno dell’ordito normativo.

Individuato in questa tipologia di dinamica, il rapporto tra le due previsioni normative assume la

morfologia di un legame osmotico o di reciproca complementarietà, declinato in un duplice senso:

in primo luogo, anche in presenza dei requisiti di cui ai nuovi commi II e III, e indipendentemente

dalla proporzione di cui non è richiesto l’accertamento, restano da considerare e valutare tutti gli

altri elementi della legittima difesa “ordinaria”; in secondo luogo, e per converso, il venir meno dei

requisiti previsti dall’autotutela nel privato domicilio esclude la presunzione di proporzione, ma non

implica anche l’impossibilità di attivare il meccanismo scriminante previsto nel primo comma della

disposizione.

Indipendentemente dalla ricostruzione alla quale si aderisce un dato resta fermo: le due previsioni

normative non si pongono in rapporto di autonomia tra di loro e quindi non può affermarsi

l’introduzione di una nuova scriminante33.

32 Militello V., “L’autotutela nel privato domicilio (e luoghi equiparati). Dall’ “archetipo” al “nuovo volto” della legittima difesa”, in Donini M., Orlandi R. (a cura di), “Il penale nella società dei diritti. Cause di giustificazione e mutamenti sociali”, Bononia University press, 2010, pp. 127 ss. 33 Dello stesso avviso, peraltro, la giurisprudenza di legittimità . Tra le altre, v. Cass. pen. Sez. I, n. 46396/2013, ove si legge “La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente interpretato il secondo comma dell'art. 52 c.p. nel senso

http://dirittoalpunto.com 23

I dossier di Diritto Al Punto

Ne consegue che anche il requisito dell’attualità del pericolo deve sussistere affinché la reazione

possa essere qualificata positivamente dall’ordinamento, poiché in sua assenza si legittimerebbero

condotte lesive arbitrarie in funzione preventiva o ritorsiva, in aperto contrasto con la funzione

razionalizzante dell’ordinamento penale34.

4. Sussunzione del fatto nella norma: il caso Vaprio d’Adda.

Occorre ora ricostruire il fatto concreto da cui si è preso le mosse e procedere successivamente alla

sussunzione nel dettato normativo, con l’avvertenza che i dati a disposizione sono chiaramente

parziali essendo la vicenda ancora oggetto di indagini preliminari da parte della Procura della

Repubblica.

Basandosi su quanto affermato dal pensionato la vicenda può essere ricostruita nei termini che

seguono: nottetempo si introduce in casa del pensionato un ladro; svegliato dai rumori il

proprietario dell’immobile impugna la pistola e si dirige verso la fonte di quei rumori; sorprende in

cucina l’intruso che, invece di fuggire, gli va incontro impugnando quella che sembra un’arma;

spaventato dall’apparente fare minaccioso del ladro, il pensionato esplode frontalmente un colpo di

pistola che colpisce al cuore l’intruso, dopodiché esce in terrazzo ed esplode altri due colpi al fine

di mettere in fuga gli eventuali complici; il ladro, ferito, tenta la fuga ma muore poco dopo sulle

scale esterne dell’abitazione.

Il quadro che invece si è delineato davanti agli inquirenti è il seguente: il ladro non era armato (ciò

che impugnava era una torcia); dai primi accertamenti balistici è emerso che il colpo letale è stato

esploso sì frontalmente, ma dall’alto verso il basso ad una distanza ravvicinata; non sono state

rinvenute tracce di sangue all’interno dell’abitazione; non sono stati rinvenuti i bossoli dei proiettili

esplosi per mettere in fuga gli eventuali complici; per raggiungere le scale, il ladro ferito al cuore

avrebbe dovuto scavalcare una finestra, arrampicarsi su una grondaia e attraversare un terrazzo.

Ora, sulla base dei dati di fatto attualmente a disposizione degli inquirenti e senza alcuna

presunzione di definitività (sia perché non è questa la sede, sia perché la vicenda non è ancora del

che le modifiche apportate dalla legge 13 febbraio 2006, n. 59 all'art. 52 cod. pen. hanno riguardato solo il concetto di proporzionalità, al dichiarato scopo di rafforzare il diritto di autotutela in un privato domicilio o in un luogo ad esso equiparato, fermi restando i presupposti dell'attualità dell'offesa e della inevitabilità dell'uso dell'arma come mezzo di difesa della propria o dell'altrui incolumità (V. fra le altre Sez. 1 sentenza n.23221 del 27.5.2010, Rv.24757)”. 34 Cfr. Cass. pen. Sez. IV, n. 32282/2006, che nel caso di specie ha escluso la sussistenza della legittima difesa in capo al soggetto che esplode colpi di arma da fuoco contro il ladro in fuga.

24 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

tutto chiara), si può operare un tentativo di sussunzione, si può, in altri termini, provare a calare la

fattispecie concreta in quella astratta.

In questo caso risultano integrati: il presupposto “spaziale” della scriminante, giacché il soggetto si

è introdotto nell’immobile in violazione del precetto di cui all’art. 614 I e II comma c.p.; il requisito

della legittimità dell’arma tenuta (regolarmente registrata) e della presenza all’interno

dell’immobile (il pensionato è infatti il proprietario dello stesso); il requisito dell’aggressione ai

beni.

Al contrario, sono assenti: il requisito dell’aggressione alla propria o altrui incolumità (a quanto

consta, infatti, non risulta fosse in atto da parte dell’intruso nessun azione violenta diretta nei

confronti degli occupanti dell’immobile) e della progressione dell’offesa dai beni all’incolumità,

atteso che la posizione in cui è stato rinvenuto il cadavere, nonché l’ipotesi della traiettoria del

colpo, inducono a ritenere che l’intruso non sia mai entrato nella cucina (ove invece dichiara di

averlo sorpreso il proprietario), oppure che, anche se entrato, si sia dato alla fuga immediatamente

per scongiurare l’incontro con il proprietario.

Avvalorano questa tesi la mancanza di tracce di sangue all’interno dell’appartamento e la traiettoria

del colpo esploso che posiziona i protagonisti della vicenda in maniera apparentemente

inequivocabile: il pensionato in cima e il protagonista in fondo alle scale.

Ciò escluderebbe, pertanto, l’attualità del pericolo e la necessità di ricorrere alla difesa armata,

sterilizzando il meccanismo presuntivo introdotto dal legislatore nel 2006.

In ragione di ciò il magistrato del pubblico ministero, dopo aver inizialmente ipotizzato un eccesso

colposo di legittima difesa ai sensi dell’art. 55 c.p., a seguito dei primi accertamenti ha contestato al

pensionato l’ipotesi di omicidio volontario di cui all’art. 575 c.p.

5. Brevi riflessioni conclusive

L’episodio di cronaca descritto ha scatenato una serie infinita di polemiche, destando l’attenzione

dell’opinione pubblica sulla tematica dei limiti operativi della legittima difesa nel privato domicilio.

Fattispecie complessa, costellata di insidie la cui delicatezza avrebbe imposto un’analisi seria da

parte della classe politica e della società civile.

Tuttavia, come spesso accade, il dibattito è stato inquinato.

Dal tenore degli “scambi” verbali che sono stati prodotti da sedicenti esperti, opinionisti, tuttologi,

non pare che vi siano i presupposti per un dialogo serio, scientificamente fondato e proteso al

raggiungimento di obiettivi concreti. Piuttosto si assiste alla solita strumentalizzazione politica, al

triste scontro tra tifoserie avverse, in un “campo di gioco”, il diritto penale, che non si presta affatto

a riduzioni semplicistiche o, peggio, di convenienza politica.

http://dirittoalpunto.com 25

I dossier di Diritto Al Punto

Non che manchino in questo Paese giuristi di finezza e preparazione straordinarie.

Il problema è che il loro parere rimane spesso confinato entro le mura di qualche polveroso edificio

– e qui sta il paradosso – ad occuparsi della stesura della riforma della parte generale del codice

penale (sono ben quattro le commissioni che hanno tentato, invano, di riformare il codice:

Commissione Pagliaro, Commissione Grosso, Commissione Nordio, Commissione Pisapia).

Peraltro, proprio analizzando le proposte di riforma avanzate dalle suddette commissioni in tema di

legittima difesa, emergono dati tutt’affatto scontati, che meritano un breve approfondimento.

In primo luogo si evince che nessuna delle citate commissioni ha adottato soluzioni simili a quella

scelta dal legislatore del 2006 con l’introduzione dell’autotutela nel privato domicilio.

La commissione Pagliaro si è limitata ad escludere l’integrazione della scriminante nelle ipotesi in

cui il pericolo è stato preordinato dal soggetto che reagisce e ha fissato il parametro del giudizio di

proporzione in tutti gli elementi significativi dell’aggressione35.

La commissione Grosso ha replicato l’enunciato normativo contenuto nel primo comma dell’art. 52

c.p., con l’aggiunta del riferimento, per quanto riguarda la valutazione del giudizio di proporzione,

ai beni contrapposti, imponendo a colui che reagisce, da un lato di scegliere a parità di efficacia

difensiva la difesa meno lesiva per l’aggressore, e dall’altro di evitare la reazione qualora sia

possibile sottrarsi all’aggressione con la fuga; infine ha previsto l’esclusione dell’applicabilità della

scriminante per chi ha provocato artatamente il pericolo con lo scopo di poter aggredire36.

Dello stesso tenore contenutistico l’articolato proposto dalla commissione Pisapia, che si è limitata

ad aggiungere il riferimento ai mezzi a disposizione dell’aggredito, non apportando ulteriori

modifiche rispetto ai precedenti progetti di riforma37.

Discorso parzialmente diverso, invece, deve essere fatto per la proposta di articolato avanzata dalla

commissione Nordio che, non tanto con riferimento alla legittima difesa (che è in linea con le altre

proposte), quanto piuttosto in relazione alla scriminante dell’uso legittimo delle armi, ha previsto

espressamente l’esclusione della responsabilità penale in capo a colui che fa uso di armi perché

35 Art. 16 del progetto di riforma licenziato il 25 ottobre 1991, consultabile sul sito http://www.ristretti.it/areestudio/giuridici/riforma/articolatopagliaro.htm - Art. 16 Cause di giustificazione. 36 Art. 36 del progetto di riforma licenziato il 26 maggio 2001, consultabile sul sito https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?facetNode_1=1_0(2001)&previsiousPage=mg_1_12&contentId=SPS31489 - art. 36 - difesa legittima. 37 Art. 15 del progetto di riforma licenziato il 27 luglio 2006, consultabile sul sito https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?facetNode_1=3_1&facetNode_2=4_7&previsiousPage=mg_1_12&contentId=SPS47483 - art. 15.

26 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

costretto dalla necessità di difendere l’inviolabilità del domicilio contro un’intromissione ingiusta,

violenta o clandestina e tale da destare ragionevole timore per l’incolumità o la libertà delle persone

presenti nel domicilio38.

Benché tale proposta, al pari delle altre, sia rimasta lettera morta appare opportuno fare alcune

considerazioni, soprattutto in ragione della sua recente riproposizione – in termini pressoché

invariati – ad opera di alcuni esponenti politici39.

Emerge immediatamente che, a differenza dei progetti scaturiti dai lavori delle altre commissioni, in

cui non vi è nessun riferimento a ipotesi di scriminanti collegate direttamente alla violazione della

sfera domiciliare, nel lavoro della commissione Nordio è stato posto l’accento su tale realtà

criminale, ma in un contesto dogmatico diverso dalla legittima difesa, e cioè quello dell’uso

legittimo delle armi (e di altri mezzi di coazione).

Si tratta di una figura anfibia, a metà strada tra la legittima difesa e l’uso legittimo delle armi: con la

prima condivide la situazione empirica che consente l’attivazione del meccanismo scriminante, la

necessità di difesa, con la seconda il riferimento al mezzo utilizzato, l’arma, discostandosene invece

per quanto concerne la titolarità della qualifica soggettiva (il vigente art. 53 c.p., infatti, trova

applicazione ai soli pubblici ufficiali o a coloro i quali ufficialmente richiesti prestano loro

assistenza).

Gli attributi dell’ingiustizia, della violenza o della clandestinità dell’intromissione lasciano qualche

dubbio interpretativo, giacché non è chiaro se la condotta intrusiva debba integrare il fatto tipico di

cui all’art. 614 c.p. – come espressamente previsto dall’attuale norma – ovvero se sia sufficiente

anche una condotta che non integri tale fattispecie.

Ad una prima analisi, posto che l’art. 614 c.p. punisce il fatto di chiunque si introduca

nell’abitazione altrui contro la volontà espressa o tacita di colui che ha il diritto di escluderlo (“ius

excludendi omnes alios”), pare non esservi spazio per ipotetiche condotte ingiuste, violente o

clandestine non integranti reato, poiché la norma “copre” ogni tipologia di ingresso abusivo.

Più interessante, invece, il riferimento alla magnitudine di pericolosità della condotta, idonea a

giustificare l’uso delle armi (il cui legittimo possesso non è richiesto dalla norma) solo se ed in

quanto capace di sollecitare un ragionevole timore per l’incolumità o la libertà delle persone

38 Artt. 30-31 del progetto di riforma licenziato il 4 agosto del 2004, consultabile sul sito http://www.ristretti.it/areestudio/giuridici/riforma/nordio/articolato.pdf. 39 Sulla scia del presente caso di cronaca alcuni esponenti politici hanno sottolineato la necessità di approntare una riforma della legittima difesa. In questi termini la segretaria di Fratelli d’Italia, on. Giorgia Meloni e l’on. Ignazio La Russa primo firmatario della proposta di legge (per la cui analisi approfondita si rinvia al momento in cui essa sarà effettivamente oggetto di dibattito parlamentare) basata sull’ampliamento del contesto spaziale anche alle immediate adiacenze del domicilio e dei luoghi ove si svolgono attività imprenditoriali, commerciali o professionali, e sulla rafforzamento della presunzione di proporzionalità tra l’offesa e la reazione, nei casi in cui l’aggressione sia tale da provocare uno stato di particolare paura o agitazione nella persona offesa.

http://dirittoalpunto.com 27

I dossier di Diritto Al Punto

presenti nel domicilio, indipendentemente cioè dalla sussistenza di un rapporto di proporzionalità

tra l’aggressione e la reazione.

Dunque, il requisito della proporzione risulta completamente privato di ogni rilevanza, essendo il

meccanismo scriminante connesso alla capacità della situazione concreta di ingenerare un

ragionevole timore nella persona offesa. Resta da comprendere quando un timore possa dirsi tale,

posto che non esistono parametri oggettivi in grado di ancorare alla realtà una situazione così

“volatile”, a meno di non volere accreditare l’ingresso nel nostro ordinamento di un diritto penale

soggettivo (dalla prospettiva non dell’autore, ma della vittima)40.

Certamente, la circostanza che l’effetto scriminante sia subordinato anche al requisito della

necessità della difesa e, quindi, implicitamente alla inevitabilità della reazione, comporterebbe un

restringimento del perimetro applicativo della causa di giustificazione. Tuttavia esso da solo non

sarebbe sufficiente a rendere meno problematica, anche rispetto alla vigente formulazione,

l’applicazione concreta dell’istituto, e finirebbe per dare adito alle infinite polemiche che

generalmente accompagnano l’applicazione delle norme penali.

Invero, il problema risiede non solo nel merito ma anche nel metodo.

In questo senso, a parere di chi scrive, è opportuno che coloro i quali si approcciano all’universo

penalistico, dai mezzi di comunicazione di massa alla classe politica, adottino una prospettiva

scevra da connotazioni ideologiche, equilibrata e rigorosa, soprattutto sotto il profilo scientifico,

depurando l’analisi da scorie di natura populista e “politicante”, nella migliore delle ipotesi inutili,

nella peggiore dannose.

Diversamente, si incorre nel rischio di sacrificare i diritti fondamentali della persona umana in una

paradossale eterogenesi dei fini rispetto alle funzioni di tutela e salvaguardia che informano

l’ordinamento giuridico.

40 Di cui un esempio è indubbiamente costituito dalla nuova fattispecie di “atti persecutori” di cui all’art. 612 bis c.p., introdotta dall’art. 7 D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni nella L. 23 aprile 2009, n. 38. Il reato è interamente calibrato sulla causazione da parte dell’agente di un evento di natura esclusivamente psichica, in quanto tale percepito e percepibile solo dalla persona offesa (il grave e perdurante stato di ansia o di paura ovvero un timore fondato per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto). È evidente come in questo caso il legislatore abbia ritenuto corretto tratteggiare i contorni di una fattispecie penale incriminatrice sulla base di elementi del tutto privi di consistenza reale, non accertabili in giudizio, in aperta violazione del principio di determinatezza in senso empirico quale corollario del superiore principio di legalità sostanziale che permea il diritto penale.

28 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

6. Prospettive de jure condendo: il ddl 2816/2017

"Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi"

Sembra proprio che il Legislatore abbia incarnato l'affermazione di Tancredi, partorendo una

proposta di riforma della scriminante della legittima difesa, ad avviso dello scrivente,

"gattopardesca".

Corsi e ricorsi storici: ciclicamente la causa di giustificazione scolpita nell'art. 52 cod. pen. viene

"manipolata" (da ultimo nel 2006 con la Legge n. 59), per tentare di rispondere alle istanze di una

società disperatamente alla ricerca della sicurezza perduta.

Di seguìto analizzeremo brevemente le novità normative proposte con il d.d.l n. 2816 recentemente

approvato dalla Camera dei Deputati e attualmente all'esame del Senato della Repubblica.

6.1 Il nuovo art. 52 cod. pen.: "ingenuità" o tipica ipotesi di sciatteria legislativa?

Dopo i recenti fatti di cronaca che hanno riempito le pagine dei giornali nazionali, intasato i talk

show televisivi, sollecitato le opinioni degli "esperti", alla fine anche il Legislatore ha avvertito la

necessità di intervenire attraverso la manipolazione di quella "creatura delicata" che è il codice

penale (in particolare nella sua parte generale).

Ciò non desta perplessità nell'an, giacché il legislatore è il solo e unico soggetto cui è demandato

questo compito, quanto piuttosto nel quomodo dell'intervento riformatore dal momento che, come

vedremo di seguito, non poche sono le "imprecisioni" nella formulazione normativa.

La novella prevede l'introduzione di un nuovo secondo comma all'art. 52 di questo tenore:

"Fermo restando quanto previsto dal primo comma, si considera legittima difesa, nei casi di cui

all’articolo 614, primo e secondo comma, la reazione a un’aggressione commessa in tempo di

notte ovvero la reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi ivi indicati con violenza alle persone

o sulle cose ovvero con minaccia o con inganno"

La clausola di esordio della disposizione si presta ad interpretazioni contrastanti.

Da un lato può significare che, fatte salve le ipotesi già contemplate dal primo comma, il

meccanismo scriminante si attiva anche per tutte le azioni difensive poste in essere nei casi di

violazioni di domicilio avvenute "in tempo di notte", ovvero caratterizzate da violenza sulle persone

o sulle cose, con minaccia o con inganno, indipendentemente dai presupposti dell'attualità del

pericolo, della necessità di difesa e della sua proporzionalità rispetto all'offesa perpetrata.

Siffatta interpretazione, sebbene conforme allo "spirito" della proponenda riforma - come noto

mossa dall'intento di sterilizzare il potere discrezionale del giudice in relazione al giudizio di

proporzionalità - appare a tacer d'altro assurda.

http://dirittoalpunto.com 29

I dossier di Diritto Al Punto

Essa, infatti, legittimerebbe in astratto un intervento difensivo realizzato la notte dopo l'aggressione,

in spregio a tutti i principi sia di natura costituzionale che convenzionale (cfr. art. 2 CEDU),

esponendosi di conseguenza a censure da parte del Giudice delle leggi.

Allora non ci resta che escludere una lettura del genere e procedere ad un'ermeneusi conforme ai

superiori principi, non solo ordinamentali ma anche logici, per i quali il "silenziatore" della

responsabilità penale di cui all'art. 52 resta comunque subordinato alla sussistenza dei requisiti della

proporzionalità, dell'attualità del pericolo e della necessità di difendersi.

Tuttavia, così interpretata, la norma non apporta nessuna novità significativa rispetto alla

formulazione attualmente vigente, risolvendosi di fatto in una replica, con l'unica differenza

rappresentata dall'inserimento del dato temporale delimitante l'aggressione ("in tempo di notte").

A tale proposito, peraltro, si segnala che, così formulata, la norma pecca in precisione, dal momento

che il sostantivo femminile "notte" non implica anche con esattezza la fascia oraria, generando

enorme incertezza in fase di accertamento dei fatti in giudizio.

Per una sorta di eterogenesi dei fini, dunque, una riforma finalizzata principalmente a garantire

attraverso la compressione del potere discrezionale del giudice la non punibilità del soggetto che si

difende con armi, perviene in definitiva al risultato opposto.

Ora viene da chiedersi: ingenuità, incapacità o sciatteria del riformatore?

6.2 Turbamento psichico vs razionalità: il nuovo art. 59 cod. pen.

L'intervento riformatore all'esame del Senato non si è limitato ad apportare modifiche all'art. 52

cod. pen., ma ha esteso il suo perimetro d'azione anche in relazione all'istituto della cd. "scriminante

putativa" di cui all'ultimo comma dell'art. 59 cod. pen.

A tal proposito la novella prevede l'introduzione di un ulteriore comma:

"Nei casi di cui all’articolo 52, secondo e terzo comma, la colpa dell’agente è sempre

esclusa quando l’errore è conseguenza del grave turbamento psichico causato dalla persona

contro la quale è diretta la reazione posta in essere in situazioni comportanti un pericolo attuale

per la vita, per l’integrità fisica o per la libertà personale o sessuale"

La ratio della norma è escludere la punibilità, anche a titolo di colpa, nelle ipotesi in cui l'errore sia

cagionato dal grave turbamento psichico ingenerato dalla situazione di pericolo attuale per la vita,

per l'integrità fisica o per la libertà personale o sessuale.

30 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

Tuttavia ad una prima analisi il dictum normativo appare non poco "problematico".

Il Legislatore pone in correlazione, mercé l'utilizzo del rapporto di causalità ("... l'errore è

conseguenza"), tre entità: l' "aggressore putativo", il primum movens dell'intera catena causale; il

grave turbamento psichico che ne deriva in capo all' "aggredito putativo"; infine, la reazione

difensiva di quest'ultimo quale terminale fattuale di tutta la dinamica, purché realizzata in situazioni

implicanti un pericolo attuale per la vita, per l'integrità fisica o per la libertà personale o sessuale.

Dunque il riformatore non pone in termini causali il rapporto tra la situazione lato sensu pericolosa

e la persona contro la quale viene rivolta la reazione difensiva di talché, stante il disposto

normativo, la generale cornice di pericolosità potrebbe anche non derivare dalla condotta dell'

"aggressore putativo".

Il che, peraltro, è conforme alla natura solo immaginata, e non reale, dell'aggressione.

Ciò però potrebbe astrattamente generare casi di reazioni (difensive?) dirette contro soggetti del

tutto estranei alla situazione pericolosa percepita, legittimando, attraverso

il placet dell'ordinamento, la commissione di reati contro la persona.

L'attuale art. 59 u.c. cod. pen., al contrario, lasciando impregiudicata la responsabilità in capo al

soggetto agente che abbia ritenuto erroneamente per colpa l'esistenza di circostanze di esclusione

della pena, intende proprio fotografare questo tipo di situazioni.

Inoltre, per quanto apprezzabile nelle intenzioni, la norma si presta ancora a due ordini di obiezioni:

• In primo luogo la limitazione alla sola legittima difesa con esclusione delle altre scriminanti

appare sfornita di logica. Inoltre non è molto chiaro quando un soggetto aggredito possa

ritenere erroneamente sussistente l'esistenza di una situazione riconducibile alla legittima

difesa, giacché è più verosimile che egli ecceda a causa della sua errata percezione i limiti

della scriminante. Ma in tal caso non saremmo più al cospetto delle ipotesi di cui all'art. 59

cod. pen., quanto piuttosto dinanzi a quelle tracciate dall'art. 55 cod. pen, ovverosia nei casi

di eccesso colposo. A ben vedere, infatti, è più probabile che il grave turbamento psichico

ingenerato a causa della situazione di pericolo sfoci in una reazione eccedente i limiti della

scriminante;

• la modifica in commento, ad avviso dello scrivente, si pone in ottica antitetica rispetto alla

funzione intrinseca del diritto, in particolar modo di quello penale: razionalizzare le condotte

dei consociati. D'altro canto scopo precipuo dell'ordinamento è appunto quello di "ordinare",

sanzionando gli strappi alla razionalità cristallizzata dall'insieme convenzionale di norme

che compongono il sistema (sub species penalistico).

Pertanto, alla luce di questa premessa, non si comprende come e perché un soggetto

psichicamente turbato, che "vede" cose che non esistono, possa andare esente da pena,

http://dirittoalpunto.com 31

I dossier di Diritto Al Punto

anche se solo a titolo di colpa, laddove aggredisca taluno nella convinzione di difendersi da

un'aggressione in atto in realtà inesistente. Nella formulazione attuale della disposizione, al

contrario, ferma restando la rilevanza giuridica dell'apparenza (tale è l'universo del putativo,

sia in ambito civilistico che penalistico), il codice non intacca l'imputazione soggettiva a

titolo di colpa, poiché è proprio nella sconsideratezza del soggetto agente che l'ordinamento

individua il proprium della responsabilità colposa. Questa riflessione appare confermata

anche da altri indici sistematici, come ad esempio la procedibilità a querela di parte, e non

d'ufficio, dei reati contro il patrimonio con cooperazione artificiosa della vittima, il cui

archetipo è rappresentato dal reato di truffa ex art. 640 cod. pen.

In altri termini, l'ordinamento appronta una tutela per gli "sprovveduti" e gli "ingenui" ma

solo se sollecitato dagli stessi e non ex officio; al contempo punisce a titolo di colpa la

realizzazione di una fattispecie incriminatrice cagionata dall'imprudenza di un soggetto che

confonde l'immaginazione con la realtà.

Si tratta ad avviso di chi scrive di un equilibrio logico ineccepibile.

6.3 Le spese legali

L'art. 2 del d.d.l prevede inoltre che

"L’onorario e le spese spettanti al difensore della persona dichiarata non punibile per aver

commesso il fatto per legittima difesa o per stato di necessità sono a carico dello Stato"

Le ragioni della norma sono eloquenti e non necessitano di ulteriori spiegazioni: il Legislatore

vuole sgravare da tutti gli oneri economici il soggetto aggredito che si sia legittimamente difeso,

inscrivendosi tale disposizione all'interno della cornice di generale favor per l'aggredito, anche sotto

il profilo economico.

6.4 Considerazioni finali

Questi, per sommi capi, i principali e controversi punti della riforma della legittima difesa

approvata dalla Camera dei deputati e attualmente all'esame del Senato.

La sensazione di fondo, purtroppo, resta sempre quella di una novella che, sebbene apprezzabile

nelle intenzioni, è tuttavia insufficiente sotto il profilo tecnico e sistematico.

Il diritto penale esige la massima attenzione e precisione, caratteristiche spesso accantonate da un

32 (Il)legittima difesa? Note a margine di un attuale caso di cronaca

I dossier di Diritto Al Punto

legislatore mosso più da esigenze di altra natura che dall'effettiva volontà di modificare

coerentemente con il sistema gli istituti di parte generale del codice penale, migliorando e

implementando un codice che non ha età (o forse non ha legislatori sufficientemente coraggiosi).

Dunque, Tancredi ha avuto di nuovo ragione?