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Studi Linguistici e Filologici Online ISSN 1724-5230 Vol. 8.2 (2010), pp. 57-73 Giuseppe Ruoso, Il vuoto, la morale e la teoria dei quanti Il Vuoto, la Morale e la Teoria dei Quanti GIUSEPPE RUOSO 1. INTRODUZIONE Quando parliamo di vuoto, nella vita di tutti i giorni, pensiamo di essere ben a conoscenza del concetto che stiamo esprimendo. In questo siamo stati aiutati dalla tecnologia, che ci ha introdotto ad esempio ai cibi conservati sotto vuoto, al vuoto nei tubi catodici, all’aspirapolvere. Quest’ultima in inglese viene chiamata vacuum- cleaner o più semplicemente vacuum, con evidente riferimento al concetto di partenza. Sembra quindi chiaro che cosa significhi vuoto: si prende una regione di spazio ben delimitata, chiusa all’interno di un contenitore. Mediante uno strumento apposito, chiamato in generale pompa, si estrae dal contenitore tutta la materia possibile: quanto rimane è il cosiddetto vuoto, cioè una regione di spazio priva di materia. Questa rappresentazione del concetto potrebbe sembrare molto semplice e a dir poco banale, ma come vedremo non è così. Ci poniamo subito una serie di domande che chiarisca il problema: può esistere lo spazio indipendentemente dalla presenza di corpi? Se tolgo tutta la materia che cosa rimane? Lo spazio svuotato segue ancora le leggi di Natura? Cercheremo di rispondere a questi quesiti, aiutandoci anche con una analisi storica del concetto filosofico e scientifico del

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Studi Linguistici e Filologici Online ISSN 1724-5230 Vol. 8.2 (2010), pp. 57-73 Giuseppe Ruoso, Il vuoto, la morale e la teoria dei quanti  

Il Vuoto, la Morale e la Teoria dei Quanti GIUSEPPE RUOSO

1. INTRODUZIONE

Quando parliamo di vuoto, nella vita di tutti i giorni, pensiamo di

essere ben a conoscenza del concetto che stiamo esprimendo. In

questo siamo stati aiutati dalla tecnologia, che ci ha introdotto ad

esempio ai cibi conservati sotto vuoto, al vuoto nei tubi catodici,

all’aspirapolvere. Quest’ultima in inglese viene chiamata vacuum-

cleaner o più semplicemente vacuum, con evidente riferimento al

concetto di partenza. Sembra quindi chiaro che cosa significhi vuoto:

si prende una regione di spazio ben delimitata, chiusa all’interno di un

contenitore. Mediante uno strumento apposito, chiamato in generale

pompa, si estrae dal contenitore tutta la materia possibile: quanto

rimane è il cosiddetto vuoto, cioè una regione di spazio priva di

materia. Questa rappresentazione del concetto potrebbe sembrare

molto semplice e a dir poco banale, ma come vedremo non è così. Ci

poniamo subito una serie di domande che chiarisca il problema: può

esistere lo spazio indipendentemente dalla presenza di corpi? Se tolgo

tutta la materia che cosa rimane? Lo spazio svuotato segue ancora le

leggi di Natura? Cercheremo di rispondere a questi quesiti, aiutandoci

anche con una analisi storica del concetto filosofico e scientifico del

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vuoto, senza entrare troppo nei dettagli in quanto esula dalla

trattazione sommaria che ci si è qui proposti.

2. ANALISI STORICA

Il concetto di vuoto si interseca con quelli di creazione, nulla,

spazio ed altri ancora. Una prima teorizzazione metodologica su

questi argomenti fu fatta nella Grecia classica, nella quale si

formarono a riguardo correnti di pensiero fra loro discordanti. Gli

Atomisti come Leucippo e Democrito ammettevano l’esistenza dello

spazio vuoto, inteso come totale assenza di materia. Un esempio di

tale spazio è quello che si interpone fra gli atomi, costituenti

elementari della materia stessa. Nella scuola Aristotelica si procede

alla definizione di spazio vuoto: luogo che non contiene alcun corpo,

ma che ne potrebbe contenere. Allo stesso tempo però si dice che tale

luogo non esiste e non può esistere, se ne nega la realtà. Questa non

esistenza viene provata con una serie di dimostrazioni per assurdo. Per

gli aristotelici inoltre il vuoto non esiste nemmeno al di fuori

dell’Universo, che sebbene considerato finito e limitato, racchiude

tutta la realtà. In questo si differenziano dagli Stoici, che invece

ammettono l’esistenza del vuoto al di fuori dell’Universo. Per questi

ultimi all’interno dell’Universo invece il vuoto non esiste, e la materia

sta immersa in un fluido che riempie tutto chiamato Pneuma.

Nell’antica Grecia di fatto quindi il vuoto è un concetto di difficile

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accettazione, in effetti questo si riflette anche nella matematica: i

greci, ed anche i romani, loro continuatori, non conoscevano lo zero.

Per inciso, il concetto di zero ci arriva dalla tradizione indiana, nella

cui tradizione il nulla è invece accettato.

La scuola aristotelica ha dominato il pensiero occidentale per

lungo tempo, e così l’irrealtà del vuoto fu accettata senza ombra di

dubbio. Alcune piccole crepe si cominciano a formare durante il XII

secolo, e scaturiscono da discussioni in ambito teologico. Ci si pose le

seguenti domande: se Dio è onnipotente, perché egli non può anche

creare il vuoto? Ma d’altro canto, perché Dio dovrebbe creare una

cosa inutile? Tutto questo pose serie minacce al fondamento

aristotelico. La scuola si difese rafforzando il suo credo: introducendo

il principio dell’Horror Vacui. Mediante tale principio, secondo cui la

Natura si comporta in modo da evitare la formazione del vuoto, era

possibile spiegare, in modo più o meno plausibile, diversi tipi di

fenomeni naturali connessi al vuoto. Ne ricordiamo uno che fu molto

noto, illustrato nella fig. 1: la separazione di due blocchi di materiale.

Due materiali, con le superfici molto lisce, si mettono in contatto e

vengono poi separati: siccome la velocità con cui si riempie lo spazio

fra di essi è sicuramente limitata, è possibile che per qualche istante si

formi una zona senza materia? Il principio dell’Horror Vacui

garantisce che non è possibile.

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Figura 1

Ma è proprio nel rinascimento, nel pieno di discussioni filosofiche

sulla natura del vuoto, che all’uomo viene in soccorso un nuovo tipo

di approccio per lo studio dei problemi: il metodo scientifico. Siamo

in piena epoca Galileiana, e proprio da un allievo del Galilei, tale

Evangelista Torricelli (1608 – 1647), viene realizzata nel 1644

quell’esperienza considerata come la prima prova scientifica

dell’esistenza del vuoto. Seguiamo la fig. 2: si prenda un tubo di vetro

chiuso da un lato, lungo almeno un metro,

e lo si riempia con del mercurio. Ponendo

un dito sulla apertura, si capovolga il tubo

e lo si immerga in una bacinella

contenente anch’essa mercurio. Se adesso

rilasciamo il dito dal fondo del tubo,

vedremo che il livello del mercurio

scende, lasciando nella parte alta del tubo

una regione di spazio che è stata svuotata

del suo contenuto. Torricelli ebbe la

corretta intuizione nel dire che ciò che si

Figura 2

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forma nella parte alta del tubo è il vuoto, inteso come assenza di

materia. Non solo, il mercurio scende nel tubo, ma non

completamente perché la pressione che l’aria esercita sul mercurio

della bacinella è tale da sostenere il mercurio presente nel tubo.

In particolare l’altezza del livello del mercurio dentro il tubo è

indipendente dalla sezione, dalla forma del tubo stesso e al livello del

mare essa è pari a 76 cm, corrispondendo al peso equivalente

esercitato dalla colonna d’aria avente la stessa sezione del tubo.

Torricelli condusse vari esperimenti per capire in maniera più

completa il fenomeno, usando ad esempio tubi inclinati, tubi che

terminavano con una sezione

più ampia (fig. 3).

La risposta definitiva al

problema venne data però da

Blaise Pascal (1623 – 1662), il

quale, venuto a conoscenza

dell’esperienza torricelliana,

volle egli stesso applicare

questo nuovo strumento,

chiamato barometro, per

studiare il vuoto e l’atmosfera.

Nel 1648, aiutato dal fratello,

utilizzando due barometri

posti uno alla base e uno sulla sommità di un monte, dimostra che

l’altezza della colonna diminuisce all’aumentare della quota

Figura 3

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altimetrica. Inventa l’altimetro e dimostra che l’atmosfera è limitata.

Inoltre chiarisce che non c’è alcuna forma di horror vacui a

determinare la non fuoriuscita del mercurio dal tubo, evidenziando

quindi come si realizzi in questo caso una zona senza materia.

Per fare il vuoto, quindi, basta estrarre da un contenitore chiuso

tutta la materia da esso contenuta. Seguendo questo principio e

sfruttando la sua personale inventiva, il tedesco Otto von Guericke

(1602-1686) nel 1650 realizza la prima macchina per fare il vuoto: la

pompa da vuoto. Mediante tale dispositivo è possibile realizzare il

vuoto all’interno di un recipiente adatto, capace cioè

di sostenere la pressione che l’aria esercita su di

esso e che lo farebbe implodere. Von Guericke

eseguì diverse dimostrazioni pubbliche delle

proprietà connesse alla presenza del vuoto in un

recipiente, la più famosa è senz’altro quella di

Magdeburgo del 1654. Davanti a un pubblico di

dignitari di corte, von Guericke avvicinò due

semisfere e poi fece il vuoto all’interno della sfera

che ne risultava: non bastò la forza di otto pariglie di

cavalli per separare le due semisfere, fatto che

suscitò ammirazione e stupore fra i presenti.

Figura  4       È così che piano piano il concetto di spazio

vuoto comincia a essere accettato: si tratta del vuoto fisico, associato

cioè alla assenza di materia, ma si comincia poi a cercare il significato

del vuoto anche in nuovi ambiti, come ad esempio nel linguaggio,

 

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nella musica, nella scultura ed in generale in ogni forma artistica.

Arrivando ai nostri giorni, non si può non citare la composizione

4’33” di John Cage, costituita da una totale assenza di suono. In fig. 4

si vede invece come interpretava il vuoto l’artista svizzero Alberto

Giacometti, nella scultura Mani che reggono il vuoto. Una menzione a

parte merita il concetto di vuoto in matematica, su cui non ci

soffermiamo, ma è importante ricordare sia lo zero dell’aritmetica sia

l’insieme vuoto in logica. Fra le realizzazioni artistiche, merita

menzione una mostra dal titolo Voids, eine retrospektive, tenuta

recentemente a Basilea. Tale mostra è costituita da nove sale

completamente vuote. È di nuovo un vuoto concettuale, in quanto ad

esempio vi è la presenza della luce. Questo ci porta direttamente alla

prossima sezione.

3. IL VUOTO IN FISICA

Siamo quindi arrivati a definire il vuoto fisico. Come per ogni

definizione, ne diamo una procedura operativa. Per ottenere il vuoto

fisico è necessario: 1) rimuovere gli oggetti; 2) rimuovere la luce; 3)

rimuovere il calore. Di conseguenza, citando le parole del fisico James

C. Maxwell:

il vuoto è quanto rimane quando si è tolto tutto quello che si poteva

togliere.

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Siamo ancora in ambito di fisica classica, è la fine dell’ottocento,

quando sembra che la scienza sia oramai in grado di dare tutte le

risposte. Proprio a questo punto comincia invece a manifestarsi tutta

una serie di problemi nuovi, come ad esempio l’effetto fotoelettrico o

lo spettro del corpo nero, che la fisica nota sino a quel momento non è

in grado di spiegare. Lo studio della Natura riesce a fare un cambio di

paradigma, nel corso di pochi decenni la fisica si rinnova e cambia il

proprio punto di vista. Uno degli elementi chiave del rinnovamento è

la meccanica quantistica. Con essa vengono introdotti nuovi concetti,

tra cui il dualismo onda-particella: a tutta la materia si associa una

lunghezza d’onda caratteristica, detta lunghezza di De Broglie.

Figura 5

Il comportamento della materia può essere descritto sia usando

una descrizione mediante onde, sia mediante particelle finite (fig. 5).

A seconda degli ambiti vi sarà un aspetto prevalente, nel mondo

microscopico in genere prevale l’aspetto ondulatorio. Una diretta

conseguenza di questa descrizione, che avrà ricadute drammatiche sul

concetto di vuoto, è il Principio di Indeterminazione di Heisenberg:

non è possibile determinare contemporaneamente la posizione e la

velocità di una particella con precisione arbitraria. Detto più

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semplicemente, se di una particella conosco con alta precisione la sua

posizione, ne consegue che la velocità può essere nota solamente con

precisione bassa, e viceversa. Questa indeterminazione nell’attribu-

zione delle proprietà di un sistema fisico si spiega mediante analogia

con le onde. Pensando a un’onda sonora, per sapere bene la sua

velocità (legata alla frequenza) devo misurare un numero elevato di

oscillazioni, ne consegue che la sua localizzazione diventa più

difficile (fig. 6).

Figura 6

Il principio vale in generale per tutte le grandezze accoppiate, e si

formula quindi anche per l’energia ed il tempo: posso avere

fluttuazioni del valore dell’energia via via maggiori se considero

tempi sempre più piccoli. Siamo quindi arrivati al concetto di

fluttuazioni del vuoto. Il vuoto, è stato detto, è ciò che rimane una

volta tolto tutto il possibile. Quant’è l’energia ad esso associata? Se

fosse zero questo sarebbe in contraddizione con il principio di

Heisenberg, in quanto avrei una grandezza il cui valore è definito con

precisione infinita. Siccome questo non è possibile, si deve ammettere

l’esistenza di fluttuazioni di energia, quindi della creazione spontanea,

per istanti molto brevi, di energia.

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Tale energia si manifesta

come coppie particella-

antiparticella, dette particelle

virtuali, o come onde

elettromagnetiche, dette fotoni

virtuali (fig. 7). Ne consegue

che quello che rimane nel

vuoto assoluto è una energia

media, non dovuta alla coppie

virtuali. Abbiamo quindi una

nuova definizione: il vuoto quantistico, ossia lo stato di minima

energia di un sistema. Questo vuoto ha delle proprietà che potranno

essere studiate sperimentalmente. Fu nel 1948 che il fisico olandese

H.B.G. Casimir discusse l’esistenza di un fenomeno che prese il suo

nome.

Figura 8

Figura 7

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L’Effetto Casimir studia le fluttuazioni del vuoto elettromagnetico

associate ai fotoni virtuali. La presenza di corpi conduttori in una

regione di spazio limita il numero e il tipo dei fotoni virtuali che si

possono manifestare. A causa di questo, due piatti conduttori paralleli,

posti a distanza ravvicinata, sono soggetti ad una forza attrattiva, di

Casimir, dovuta alle differenti pressioni di radiazione dei modi

elettromagnetici virtuali (fig. 8). Il loro numero è diverso per le

superfici che si fronteggiano rispetto alle altre. Tale forza è

estremamente piccola: la verifica dell’esistenza di tale fenomeno ha

richiesto molto tempo.

4. ESPERIMENTI SUL VUOTO

Con l’affermazione, nel corso del XX secolo, della meccanica

quantistica, si cercarono anche tutte quelle conseguenze sperimentali

che avevano a che fare con il vuoto, essenzialmente legate al principio

di indeterminazione. Poiché la meccanica quantistica tratta la

descrizione microscopica della natura, le prime scoperte legate ad un

vuoto con energia non nulla sono state delle correzioni alla

descrizione del comportamento di particelle o sistemi atomici. Noi

siamo qui interessati invece a manifestazioni di tipo macroscopico del

principio di indeterminazione, in quanto queste possono andare

direttamente a modificare il concetto di vuoto che abbiamo estrapolato

dalla fisica classica. Abbiamo visto come nel 1948 fu predetto

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l’Effetto Casimir. Nei primi anni successivi ci furono diversi tentativi

sperimentali per la sua verifica, ma fu ben chiaro da subito che ciò

sarebbe stato molto difficile, in quanto si trattava di portare dei corpi

estesi a distanze micrometriche (la milionesima parte del metro). La

prima chiara verifica sperimentale è di S. K. Lamoreaux, che misurò

la forza fra un piatto piano ed una superficie sferica nel 1997. La sfera

fu utilizzata per diminuire la difficoltà sperimentale di mantenere delle

superfici piane fra loro parallele con una elevata precisione. Solo

alcuni anni più tardi fu realizzata la misura, sinora unica, della forza di

Casimir nella configurazione originale proposta. Tale misura è stata

eseguita dal nostro gruppo a Legnaro, utilizzando dei piatti di silicio

con sopra un deposito di cromo della dimensione di circa 1.5 mm

quadrati.

Figura 9

Tale esperimento (fig. 9) confermò la teoria, verificando l’entità

della forza fra i piatti al variare della distanza di separazione tra 0.5 e

3 micrometri. Grazie a questo successo, il gruppo di Legnaro ha ora

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intrapreso una nuova ricerca concernente il vuoto in presenza di

superfici che però non stanno più ferme ma si muovono oscillando a

frequenza elevatissima. Questa ricerca ha a che fare con un vecchio

sogno dell’uomo: estrarre energia dal vuoto (fig. 10).

Figura 10

In questo nuovo esperimento si studia il cosiddetto Effetto

Casimir Dinamico, nel quale la presenza di una parete oscillante in

interazione con i fotoni virtuali, rende possibile la creazione, mediante

un processo dissipativo, di fotoni reali, cioè luce. In realtà non vi è

nessuna estrazione di energia dal vuoto, in quanto l’energia spesa per

far muovere la parete è estremamente maggiore di quella che si pensa

di ricavare sotto forma di luce. Anche in questo caso, però, il

fenomeno si capisce solo pensando alla presenza di fotoni virtuali che

permeano tutto lo spazio. Nell’esperimento si costruisce un sistema,

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basato su una cavità a microonde (fig. 11), per convertire alcuni fotoni

da virtuali a reali.

Negli esperimenti

finora citati si studia la

presenza di fotoni

virtuali. Il principio di

indeterminazione am-

mette fluttuazioni che

generano qualunque

tipo di coppia

particella-antiparticella. Si possono quindi pensare altri esperimenti il

cui scopo sia di studiare ad esempio la presenza di coppie virtuali

elettrone-positrone (la sua antiparticella). Uno di questi fu ideato da E.

Zavattini, e la sua realizzazione più recente è in corso congiuntamente

nei Laboratori di Legnaro (fig. 12) e all’Università di Ferrara. In

questa proposta si utilizza un campo magnetico esterno che agisce sul

vuoto, di fatto polarizzando le coppie virtuali e fornendo al vuoto una

struttura di tipo cristallina. Utilizzando un fascio laser polarizzato che

vi passa attraverso si rivela questa struttura e si ottengono

informazioni sulle proprietà del mezzo vuoto.

Figura 11

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Figura 12

In un altro esperimento eseguito a Stanford nel 1997 dal gruppo di

A. Melissinos, si è cercato di dar luogo ad un altro fenomeno: se

l’energia che immagazzino in un volume di spazio è sufficientemente

elevata, riesco a far diventare le fluttuazioni da virtuali a reali e quindi

a produrre coppie elettrone-positrone. Questo esperimento ha avuto

successo, anche se l’energia disponibile risultò appena sufficiente per

produrre un numero limitato di coppie reali, senza poter eseguire uno

studio accurato del fenomeno.

5. CONCLUSIONI

Quanto è stato raccontato sinora è solo una parte di tutta la storia.

Ci sono altri ambiti, anche all’interno della stessa fisica, ove si

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manifesta il vuoto. In cosmologia si ha a che fare con esso quando si

studia la relatività generale e come lo spazio sia intrinsecamente

connesso con le leggi generali del moto. Si ha uno spazio modificabile

anche in assenza del vuoto quantistico. In fisica delle particelle si

parla di Campo di Higgs, una struttura che permea tutto l’universo e

che in qualche modo può ricordare il concetto di etere. Sempre in

cosmologia si ha a che fare con i sistemi di Universo, o con più

universi. In questo caso ci si chiede che cosa ci sia nello spazio fra gli

universi, se ci sia spazio.

Arriviamo quindi a dire che, tutto sommato, Aristotele non si era

poi sbagliato. In Fisica moderna, dopo aver dimostrato l’esistenza,

almeno concettuale, di un vuoto assoluto, si è tornati all’idea iniziale

che anche il vuoto è qualcosa di diverso dal niente, in quanto ha

proprietà fisiche ben identificabili. Lo spazio vuoto inteso come

contenitore senza proprietà non è quindi possibile.

In conclusione una piccola nota terminologica: abbiamo visto

come il vuoto fisico sia concettualmente ben definito, ma in realtà

esso è impossibile da realizzare. Esiste una classificazione per dire

quanta materia rimane nella regione considerata: si parla di pressione

normale, vuoto grezzo, medio, alto e ultra alto. Tutti gli esperimenti di

fisica si svolgono in uno di questi vuoti parziali, e i risultati per il

vuoto assoluto sono ricavati mediante un processo di estrapolazione. Il

primo a usare questo modo di fare ricerca fu Galileo Galilei, padre

della moderna Fisica Sperimentale.

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Letture consigliate

1. Henning Genz, Die Entdeckung des Nichts, Rowohlt Verlag

(1999).

2. John D. Barrow, The book of nothing, Jonathan Cape, London

(2000).

3. Johann Rafelski and Berndt Müller, The structured vacuum,

Thinking about nothing, Verlag Harri Deutsch, Thun (1985).