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283 ARCH. NUOVA PROC. PEN. 03/2007 IL «VUOTO DI MEMORIA» NELLA PROVA DICHIARATIVA (scenari psicologici e rimedi giuridici) di Giuseppe Luigi Fanuli SOMMARIO: 1. Il principio del contraddittorio e la durata non ragionevole del processo. – 2. La memoria e i suoi limiti. – 2.1. L’oblio ed i possibili rimedi. – 2.2. La dimenticanza inevitabile del testimone. – 3. Gli istituti giuridici finalizzati alla rievocazione: a) la facoltà di consultare appunti o docu- menti. – 3.1. Limiti. Il divieto di lettura. – 3.2. Oggetto. Pro- spettive interpretative. – 4. b) Le contestazioni «in aiuto alla memoria». – 4.1. La questione pregiudiziale dell’ammissi- bilità dello strumento. – 4.2. I possibili esiti delle contesta- zioni. – 4.2.1. Il caso del testimone che non ricorda, ma di- chiara di aver detto la verità nel corso delle indagini. – 4.2.2. La soluzione proposta e suoi limiti. – 5. Strumenti funzionali alla «rimozione» del problema: a) lettura delle precedenti di- chiarazioni per sopravvenuta irripetibilità. – 5.1. b) A segui- to di accordo acquisitivo. – 5.2. c) A seguito di provata con- dotta illecita. – 6. La «prevenzione»: ricorso all’incidente probatorio. – 7. La funzione general-preventiva dell’art. 372 c.p. 1. Il principio del contraddittorio e la durata non ragionevole del processo. – Il fattore «tempo» è sempre stato una croce o una delizia nei processi: una croce per chi attende giustizia e profonde forze e speranze nell’aspettativa lontana di una sollecita risoluzione della controversia; «una delizia per chi vede allontanarsi il rendimento dei conti e maturare interessanti prospettive, quali una invocata o pro- grammata amnistia, lo smarrimento delle prove o la prescrizione del reato» (1). Il trascorrere del tempo, invero, è di per sé fi- siologicamente o patologicamente collegato al pro- cesso, ed è in sostanza connaturale all’amministra- zione della giustizia, tenuto conto del fatto che il procedimento è una successione di eventi scanditi dal tempo. È del pari assunto incontestabile che il tema dei tempi processuali costituisca il banco di prova di un sistema penale (2) – quale quello attuale – impron- tato tendenzialmente ai principi del modello accu- satorio. Modello che, proprio perché presuppone il contraddittorio tra le parti e pertanto l’oralità e l’im- mediatezza del procedimento, origina effetti fonda- mentali per la struttura temporale degli atti proces- suali. Si pensi, per tutti, a quella sorta di aggregazione temporale degli atti del processo che va sotto il nome di principio di concentrazione (3). Se così è, la realtà effettuale mostra aspetti de- solanti. È sensazione assai diffusa che – specie quando l’imputato dispone di mezzi e quindi di agguerriti di- fensori – il processo funzioni come una «corsa ad osta- coli» se non addirittura come un percorso «a traboc- chetti» (4), in cui l’obiettivo – più o meno trasparente – non è più farsi assolvere nella disputa su fatto e di- ritto, ma resistere al processo finché il reato si estin- gua. La diagnosi non è affatto esagerata – sostiene au- torevole dottrina (5) – ma sarebbe sbagliato impu- tare genericamente il fenomeno ad un eccesso di garanzie difensive, indotto dal nuovo quadro costi- tuzionale prefigurato dalla riforma dell’art. 111 della Costituzione. Men che mai, comunque, si potrebbe conside- rare una garanzia sovrabbondante il contraddittorio nella formazione della prova e il suo immediato co- rollario che è l’irrilevanza ai fini del giudizio delle dichiarazioni raccolte unilateralmente, in segreto. Irrilevanza che «può a buon diritto dirsi una regola d’oro in un doppio senso, etico ed epistemico (...)» (6). La testimonianza – si evidenzia – è sempre il frutto di complesse interazioni tra chi interroga e chi è interrogato; tanto più quando a condurre il dia- logo sia un organo, come il pubblico ministero, do- tato di poteri autoritativi. «Il solo mezzo per assi- curare una certa obiettività al risultato è di bilanciare le inevitabili influenze delle parti, assu- mendo il teste nella forma dell’esame incrociato; con la naturale conseguenza – è il versante negativo del contraddittorio – che nessuna dichiarazione rac- colta fuori da quel contesto sia valutabile in sede decisoria» (7). Considerazioni ineccepibili ma che devono es- sere contestualizzate, inserite in un sistema – quello del processo penale – in cui il principio del con- traddittorio finisce per essere una variabile dipen- dente del fattore tempo e dell’influenza che lo stesso produce nei ricordi delle persone, le cui di- chiarazioni devono essere assunte in attuazione del ricordato principio «etico ed epistemico» del con- traddittorio. E qui, effettivamente, il tempo è – per tornare alle espressioni introduttive – una delizia per chi vede maturare interessanti prospettive... quale lo smarrimento dei ricordi. È evidente che se il testimone, per il decorso del tempo, ha smarrito il ricordo degli accadimenti, il contraddittorio si riduce ad un mero simulacro, l’escussione del teste ad una parodia o ad una rap- presentazione tragicomica. Ne consegue, per il principio di esclusione probatoria che ne rappre- senta il corollario, il de profundis del processo pe- nale, come strumento per l’accertamento dei reati e l’attuazione del diritto sostanziale. Il problema, allora, è quello di verificare se sia possibile sottrarre il principio del contraddittorio a quella sorta di inguaribile male oscuro connesso all’inesorabile decorso del tempo e all’affievolirsi naturale della memoria che lo accompagna.

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283ARCH. NUOVA PROC. PEN. 03/2007

IL «VUOTO DI MEMORIA» NELLA PROVA DICHIARATIVA(scenari psicologici e rimedi giuridici)di Giuseppe Luigi Fanuli

SOMMARIO: 1. Il principio del contraddittorio e la duratanon ragionevole del processo. – 2. La memoria e i suoi limiti.– 2.1. L’oblio ed i possibili rimedi. – 2.2. La dimenticanzainevitabile del testimone. – 3. Gli istituti giuridici finalizzatialla rievocazione: a) la facoltà di consultare appunti o docu-menti. – 3.1. Limiti. Il divieto di lettura. – 3.2. Oggetto. Pro-spettive interpretative. – 4. b) Le contestazioni «in aiuto allamemoria». – 4.1. La questione pregiudiziale dell’ammissi-bilità dello strumento. – 4.2. I possibili esiti delle contesta-zioni. – 4.2.1. Il caso del testimone che non ricorda, ma di-chiara di aver detto la verità nel corso delle indagini. – 4.2.2.La soluzione proposta e suoi limiti. – 5. Strumenti funzionalialla «rimozione» del problema: a) lettura delle precedenti di-chiarazioni per sopravvenuta irripetibilità. – 5.1. b) A segui-to di accordo acquisitivo. – 5.2. c) A seguito di provata con-dotta illecita. – 6. La «prevenzione»: ricorso all’incidenteprobatorio. – 7. La funzione general-preventiva dell’art. 372c.p.

1. Il principio del contraddittorio e la duratanon ragionevole del processo. – Il fattore «tempo»è sempre stato una croce o una delizia nei processi:una croce per chi attende giustizia e profonde forzee speranze nell’aspettativa lontana di una sollecitarisoluzione della controversia; «una delizia per chivede allontanarsi il rendimento dei conti e maturareinteressanti prospettive, quali una invocata o pro-grammata amnistia, lo smarrimento delle prove o laprescrizione del reato» (1).

Il trascorrere del tempo, invero, è di per sé fi-siologicamente o patologicamente collegato al pro-cesso, ed è in sostanza connaturale all’amministra-zione della giustizia, tenuto conto del fatto che ilprocedimento è una successione di eventi scanditidal tempo.

È del pari assunto incontestabile che il tema deitempi processuali costituisca il banco di prova di unsistema penale (2) – quale quello attuale – impron-tato tendenzialmente ai principi del modello accu-satorio. Modello che, proprio perché presuppone ilcontraddittorio tra le parti e pertanto l’oralità e l’im-mediatezza del procedimento, origina effetti fonda-mentali per la struttura temporale degli atti proces-suali. Si pensi, per tutti , a quella sorta diaggregazione temporale degli atti del processo cheva sotto il nome di principio di concentrazione (3).

Se così è, la realtà effettuale mostra aspetti de-solanti.

È sensazione assai diffusa che – specie quandol’imputato dispone di mezzi e quindi di agguerriti di-fensori – il processo funzioni come una «corsa ad osta-coli» se non addirittura come un percorso «a traboc-chetti» (4), in cui l’obiettivo – più o meno trasparente– non è più farsi assolvere nella disputa su fatto e di-ritto, ma resistere al processo finché il reato si estin-gua.

La diagnosi non è affatto esagerata – sostiene au-torevole dottrina (5) – ma sarebbe sbagliato impu-tare genericamente il fenomeno ad un eccesso digaranzie difensive, indotto dal nuovo quadro costi-tuzionale prefigurato dalla riforma dell’art. 111della Costituzione.

Men che mai, comunque, si potrebbe conside-rare una garanzia sovrabbondante il contraddittorionella formazione della prova e il suo immediato co-rollario che è l’irrilevanza ai fini del giudizio delledichiarazioni raccolte unilateralmente, in segreto.Irrilevanza che «può a buon diritto dirsi una regolad’oro in un doppio senso, etico ed epistemico (...)»(6).

La testimonianza – si evidenzia – è sempre ilfrutto di complesse interazioni tra chi interroga echi è interrogato; tanto più quando a condurre il dia-logo sia un organo, come il pubblico ministero, do-tato di poteri autoritativi. «Il solo mezzo per assi-curare una certa obiettività al risultato è dibilanciare le inevitabili influenze delle parti, assu-mendo il teste nella forma dell’esame incrociato;con la naturale conseguenza – è il versante negativodel contraddittorio – che nessuna dichiarazione rac-colta fuori da quel contesto sia valutabile in sededecisoria» (7).

Considerazioni ineccepibili ma che devono es-sere contestualizzate, inserite in un sistema – quellodel processo penale – in cui il principio del con-traddittorio finisce per essere una variabile dipen-dente del fattore tempo e dell’influenza che lostesso produce nei ricordi delle persone, le cui di-chiarazioni devono essere assunte in attuazione delricordato principio «etico ed epistemico» del con-traddittorio.

E qui, effettivamente, il tempo è – per tornarealle espressioni introduttive – una delizia per chivede maturare interessanti prospettive... quale losmarrimento dei ricordi.

È evidente che se il testimone, per il decorso deltempo, ha smarrito il ricordo degli accadimenti, ilcontraddittorio si riduce ad un mero simulacro,l’escussione del teste ad una parodia o ad una rap-presentazione tragicomica. Ne consegue, per ilprincipio di esclusione probatoria che ne rappre-senta il corollario, il de profundis del processo pe-nale, come strumento per l’accertamento dei reati el’attuazione del diritto sostanziale.

Il problema, allora, è quello di verificare se siapossibile sottrarre il principio del contraddittorio aquella sorta di inguaribile male oscuro connessoall’inesorabile decorso del tempo e all’affievolirsinaturale della memoria che lo accompagna.

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2. La memoria e i suoi limiti. – Le costruzionidogmatiche, magari anche formalmente ineccepi-bili, se non fecondate dal contatto con la realtà e conle scienze che la stessa interpretano, finiscono sem-pre più per ridursi ad esercitazioni intellettuali distampo esoterico.

È assai diffusa attitudine quella di appassionarsia ben elaborate interpretazioni, esaltarne l’asseritacoerenza formale, rifiutare tutto ciò che ne possa al-terare simmetrie e lineari strutture quasi geometri-che.

Il mondo dei «teorici del diritto» – qui: coloroche non hanno mai avuto la ventura di misurarsi conla realtà fattuale della pratica giudiziaria – ha inl a rga pa r te d i sa t teso l ’ insegnamento de lCARNELUTTI secondo cui «solo abituandosi, con pa-zienza, a riflettere su ogni concetto non giuridico,del quale continuamente fanno uso, i giuristi fini-ranno ad approfondire la loro scienza e insieme a re-care il loro contributo alla scienza comune» (8).

Tale deficit culturale appare particolarmente evi-dente – per quel che qui interessa – nell’approccioalle questioni relative alla prova testimonialenell’ottica del sistema accusatorio.

È in tale campo che fioriscono esigenti (e talvoltaingenue) elaborazioni teoriche dei più entusiasticisostenitori dell’esclusione di qualsiasi «contamina-zione» del giudice con atti delle indagini prelimi-nari. In tale enfasi iconoclasta si trascura ogni va-lutazione dei profili extragiuridici dello strumentoe, tra essi, i problemi connessi alla capacità di ri-cordare del teste vengono degradati a elementi didettaglio e liquidati con il truism: «con il passare deltempo svaniscono i ricordi».

In ogni caso – come meglio si dirà – sembra fardifetto sia in sede di elaborazioni teoriche che di ap-plicazioni concrete una conoscenza anche solo ab-bozzata delle nozioni psicologiche e neuropsichia-triche afferenti la capacità del testimone dielaborare, conservare e «recuperare» l’informa-zione: il che è alla base di molti vaniloqui e di stuc-chevoli logomachie.

Appare allora necessario premettere alla tratta-zione delle problematiche giuridiche il richiamo dialcuni elementari principio sul «funzionamento»della memoria umana ed i suoi limiti fisiologici epatologici.

La memoria (9) è composta da molti differenti si-stemi interconnessi, con funzionamenti alquanto di-versificati, che hanno in comune la caratteristica dimantenere le informazioni nel tempo.

Questo tempo può variare dalla frazione di se-condo, al minuto, alla vita, così come la quantità diinformazione conservata può variare da capienzecosì esigue da non essere in grado di conservare nu-meri telefonici troppo lunghi fino a dimensioni ana-loghe a quella di un qualsiasi computer. Tale ele-mentare principio appare di per sé estremamenterilevante in quanto è evidente che l’impossibilità fi-siologica di poter conservare per un apprezzabile

lasso di tempo alcuni tipi di informazione deve es-sere tenuto in considerazione quando si pretendeche il teste riferisca dette informazioni a distanza dimesi – e più spesso di anni – in dibattimento.

Particolarmente rilevante (ma praticamenteignorata dai giuristi) è la distinzione ormai classicatra i diversi tipi di memoria, ed in particolare tra me-moria a breve termine (MBT) e memoria a lungotermine (MLT) (10). Tra questi due tipi di memoriavi è la stessa differenza che passa tra il ricordare unnumero di telefono subito dopo averlo lettosull’elenco telefonico e il ricordare il proprio nu-mero di telefono. La MBT è quella che ci permettedi ricordare un numero di telefono fino al momentoin cui lo componiamo. Il proprio numero di tele-fono, invece, è immagazzinato nella MLT, come ilproprio nome, il lessico e tutte le nostre conoscenzee gli avvenimenti centrali della nostra vita. Questiricordi, salvo eccezionali blocchi mentali, sono re-lativamente stabili. Invece il numero di telefono chesi è avuto sotto gli occhi solo pochi istanti prima,l’ultima frase pronunciata da un presunto interlocu-tore, il nome di una persona sconosciuta che ci vienepresentata, sono esempi di informazioni che ven-gono ritenute dalla MBT solo momentaneamente. Ameno che non si faccia uno sforzo cosciente perconcentrare su di esse la nostra attenzione e metterein atto una strategia di mantenimento (la c.d. reite-razione), questo tipo di informazioni andrà rapida-mente perduta.

La limitata capacità della MBT permette di tenerpresenti solo un numero limitato di informazioni.Quando queste superano i limiti della MBT ogninuova informazione in entrata fa perdere una infor-mazione già presente. La reiterazione reinserisce inMBT informazioni che vengono scacciate, ma sem-pre entro i limiti della capienza della MBT.

La capacità limitata dalla MBT emerge in modoevidente da prove di span di cifre, con cui si dimo-stra la capienza (span) della MBT. Quando la serieè di poche cifre la MBT mantiene le cifre perfetta-mente ed in ordine. Per serie più numerose mostradei limiti: non è possibile mantenere troppe infor-mazioni e per periodi di tempo considerevoli, anzi,alcuni studiosi sostengono che alcune delle più ri-levanti informazioni entrate nella MLT non scom-paiono mai, ma semplicemente divengono meno ac-cessibili (11). Per quanto riguarda i ricordiautobiografici è stato evidenziato che gran parte de-gli stessi vengono persi, se non vengono ogni tantorievocati (12).

2.1. L’oblio ed i possibili rimedi. – Ciò pre-messo, va affrontato il fenomeno dell’oblio: capirei fattori che lo governano significa non solo com-predere i processi su cui la nostra memoria si basa,ma anche come sia possibile evitare di incappare neisuoi punti deboli.

Per quel che qui rileva, la comprensione dellecause dell’oblio – che rappresenta uno degli aspetti

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più frustranti del prova orale – è il primo passo percercare di comprendere e migliorare le proprie stra-tegie processuali.

Si farà riferimento, evidentemente, alla MLT –la memoria tout court, nel linguaggio corrente – inquanto dei ristrettissimi limiti spazio-temporali diritenzione della traccia nella MBT si è già detto.

L’oblio riguarda la perdita o l’impossibilità direcuperare informazioni che prima si possedevano.

Tale fenomeno è stato studiato sperimental-mente attraverso la c.d. curva dell’oblio che mostrache la perdita di informazione è molto rapida nellaprima ora seguente l’apprendimento e continua ve-locemente nelle otto ore seguenti, ma va rallen-tando gradualmente (13).

La rievocazione di informazioni vecchie di moltianni appare in genere molto scarsa (fatta eccezioneper il ricordo di fatti particolarmente insoliti: tra cuigravi episodi delittuosi di cui si sia rimasti vittime).Nei casi in cui si ricordano fatti molto risalenti neltempo è assai probabile che il soggetto li abbia ri-chiamati nel frattempo alla mente: il ricordo,quindi, riguarda più che l’evento in sé, la ricostru-zione che se ne è fatta in seguito.

I vari tentativi volti a spiegare le cause dell’obliosono sfociati in tre teorie principali (14): 1) deca-dimento della traccia di memoria; 2) interferenza;3) impossibilità del recupero. Le ultime due sonopiù simili tra loro e si discostano dalla prima inquanto permettono di ritenere che i ricordi perman-gono ma risultano o danneggiati dal sovrapporsidell’apprendimento successivo (teoria dell’interfe-renza), o difficili da richiamare alla mente ma inessa pur sempre presenti.

In realtà ognuna di tali ipotesi ha ottenuto pro-banti riscontri sperimentali e concorre alla spiega-zione di un fenomeno che deve ritenersi multifat-toriale.

Così, è dimostrato che col passare del tempo inormali processi metabolici del cervello provocanoun decadimento della memoria: le tracce di quantosi è appreso si disintegrano gradualmente sino ascomparire del tutto. La traccia mnestica va sem-plicemente cancellandosi, come una scritta espostaal sole o alla pioggia che gradualmente si stingefino a diventare del tutto illeggibile. Il decadimentoè la perdita fisiologica di materiale che è stato ar-chiviato nella memoria e dovuto alla evanescenzadella traccia mnestica. Esso appare in funzione di-retta al tempo trascorso e inversa alla ripetizionedella traccia stessa (15).

In tale processo assumono fondamentale impor-tanza gli eventi che si sono verificati nell’arco ditempo e l’effetto che vari tipi di materiale interfe-rente hanno sul ricordo. In particolare: più il mate-riale da ricordare è simile, maggiore sarà l’interfe-renza e di conseguenza maggiore l’oblio (16).L’interferenza può servire a spiegare, ad esempio,le difficoltà del teste-tossicodipendente nel ricor-dare modalità e circostanze dell’acquisto di stupe-

facente, in quanto quella specifica condotta è statapreceduta e seguita da molte altre, di analogo te-nore.

In alcuni casi il ricordo non è perduto ma la dif-ficoltà consiste nell’accedervi (c.d. impossibilitàdel recupero). In questi casi l’oblio dipende dalladifficoltà di recuperare i ricordi (non cancellati). Siritiene peraltro che in circostanze favorevoli e/o conopportuni suggerimenti quanto sembrava ormai di-menticato può tornare alla mente (17).

Le tecniche di misurazione – e, per quel che quiinteressa, di stabilizzazione e di recupero – dellamemoria si raccolgono in tre tipi fondamentali:riapprendimento, rievocazione e riconoscimento.

Quando si misura il ricordo con la tecnica delriapprendimento il materiale appreso in precedenzadal soggetto dopo un certo intervallo di tempo,viene fatto riapprendere. Se il secondo apprendi-mento raggiunge il medesimo criterio del primo inun tempo minore o con un numero di prove minori,allora si può concludere che vi era un ricordo delprimo apprendimento. Il riapprendimento consentedi «stabilizzare» nella memoria determinate infor-mazioni per poterle poi recuperare all’occorrenza(si pensi all’ufficiale di P.G. che prima dell’udienzarilegga una complessa informativa di reato).

Rievocazione. Il teste che risponde all’invitodella parte processuale: «cosa ricorda di quanto ac-caduto il giorno x» è tipicamente impegnato in unasituazione di rievocazione libera. Nella rievoca-zione guidata (cued in inglese, cioè con suggeri-mento) lo «sperimentatore» (o, per quel che inte-ressa, l’«interrogante») fornisce degli indizi utili alsoggetto per recuperare il materiale da ricordare (adesempio con domande più specifiche e mediante ri-corso alle «contestazioni»).

Riconoscimento. Nel riconoscimento il soggettodeve identificare gli item da ricordare che gli ven-gono presentati insieme ad altri, detti distrattori (ti-pica è la ricognizione, reale o personale).

Esso differisce radicalmente dalla rievocazionein quanto richiede al soggetto non tanto di ricercare,all’interno della propria memoria, l’informazionerichiesta – perché questa viene già fornita – quantopiuttosto di decidere qual è, tra quelle proposte,l’informazione richiesta e di scartare le altre.

2.2. La dimenticanza inevitabile del testimone. –Possiamo, alla luce dei richiamati principi, fissarealcuni punti fermi in ordine ai limiti «biologici»della deposizione testimoniale:

1) è impossibile che il teste sia in grado di ricor-dare e riferire in dibattimento (anche se celebrato abreve distanza di tempo dai fatti) informazioni chesono rimaste confinate nella MBT: si pensi al nu-mero della targa a bordo della quale i rapinatori sisono dati alla fuga, all’abbigliamento degli stessi,alle precise parole – ed all’ordine delle stesse – diun discorso complesso, alle interminabili serie didati numerici rilevati nel corso di una ispezione

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contabile e così via. In genere tali dati vengono«conservati» in memoria dal teste (specie se terzorispetto ai fatti) il breve lasso di tempo necessarioper appuntarli su un foglio, o per riferirli alle forzedi polizia. Per i dati raccolti nel corso di indagini diP.G.: il tempo necessario a registrarli in un’annota-zione o verbale. L’idea che si possa scandagliare inudienza – magari a sorpresa – la mente «vergine»del testimone per rievocare tali informazioni è as-solutamente illusoria e fuorviante.

2). La c.d. curva dell’oblio indica la continua di-minuzione della disponibilità dell’informazione cu-stodita nella MLT col trascorrere del tempo. È pe-raltro dimostrato che la ritenzione di materialesignificativo riferito ad eventi reali decade più len-tamente. Ma, in generale, il tempo erode inevitabil-mente il ricordo degli eventi, specie degli elementidi contorno: si può ricordare a tempo indeterminatodi essere stati derubati, ma elementi specifici (ilvolto del ladro, la sequenza degli eventi ecc.) ten-dono a svanire nel tempo (anche per effetto del ri-cordato fenomeno della interferenza).

3) Esistono strategie di recupero attivabili nelmomento in cui serve un’informazione non ancoracancellata. Esempio tipico la chiave d’accesso al ri-cordo è la c.d. rievocazione guidata. Se ne parlerà aproposito delle c.d. contestazioni testimoniali «inaiuto alla memoria».

Queste premesse devono indurre a ripudiare, sic-come impraticabili, le posizioni «estremiste» (18) dialcuni soi-disants paladini del contraddittorio «atutto tondo», a favore di un approccio più realisticoche prenda le mosse dai limiti «fisiologici» del te-stimone-essere umano piuttosto che da un’imma-gine caricaturale di tale figura processuale.

3. Gli istituti giuridici finalizzati alla rievoca-zione: a) la facoltà di consultare appunti o docu-menti. – La facoltà del teste di consultare in aiutoalla memoria, previa autorizzazione del presidente,documenti da lui redatti – a norma dell’art. 499comma 5 c.p.p. – è strumento a cui spesso fannoricorso gli ufficiali o agenti di P.G., soprattuttoquando si tratta di riferire dettagli di episodi risa-lenti nel tempo o le risultanze di indagini molto lun-ghe e complesse (accertamenti contabili, verifichefiscali, attività di pedinamento, appostamento ecc.).

Non è un caso che la maggior parte delle pro-nunzie della Suprema Corte in materia riguardino,per l’appunto, la consultazione di atti d’indagine daparte di testimoni appartenenti alla polizia giudizia-ria.

Il primo problema interpretativo concerne il pre-supposto ed i limiti dell’esercizio di tale facoltà.

Si tratta di verificare, in particolare, in quali cir-costanze il presidente possa autorizzare l’attività diconsultazione e sin dove essa possa spingersi.

Quanto ai presupposti formali dell’autorizza-zione non è chiaro se essa debba essere sollecitata

dal teste o dalle parti o possa essere concessa anched’ufficio.

In difetto di elementi testuali a favore dell’una odell’altra soluzione, sembra corretto sostenere chedetta autorizzazione rientri nei poteri attribuiti alpresidente per garantire il rispetto delle regole perl’esame testimoniale (nella specie, in fondo, si trattadi consentire che la c.d. cross-examination procedasenza gli «intoppi» legati a difetti di memoria) e,come tale, esercitabile senza formalità e anche in as-senza di esplicita richiesta. Esemplificativamente, siritiene che nulla vieti al presidente di autorizzare, disua iniziativa, la consultazione di cui trattasi nelcaso in cui verifichi che il teste si trova in difficoltànel ricordare dettagli di una indagine complessa.

In ogni caso, la consultazione senza autorizza-zione non integra alcuna patologia della prova te-stimoniale che a tale consultazione si «colleghi»,non essendo stabilita al riguardo alcuna sanzioneprocessuale: tale irregolarità, pertanto, potrà – al più– essere valorizzata solo in sede di giudizio di at-tendibilità del teste.

Quanto ai presupposti sostanziali si è affermatoil principio – condivisibile – secondo cui la funzionedell’art. 499 comma 5 c.p.p. può essere realizzataanche nel caso in cui il «vuoto di memoria» dellapersona chiamata a deporre sia assoluto (19).

3.1. Limiti. Il divieto di lettura. – Interessante eproblematica è la questione relativa all’estensionemassima dell’attività di consultazione.

Al riguardo si registra una significativa evolu-zione nell’indirizzo giurisprudenziale della Su-prema Corte.

In particolare, in una sentenza non recentissimasi è sostenuta la piena legittimità dell’ipotesi in cuila consultazione in aiuto della memoria, per iltempo trascorso e per la difficoltà di conservare il ri-cordo di servizi di P.G. svolti con quotidiana fre-quenza, si risolva in una pressoché integrale letturadell’atto, essendo la prova sempre costituita dalladeposizione testimoniale dei soggetti esaminati, enon degli atti della polizia consultati (20).

Successivamente, le Sezioni Unite (21), affron-tando altra controversa questione circa l’oggettodella facoltà di consultazione, hanno opportuna-mente suggerito, in motivazione, che il concetto diconsultazione «in aiuto della memoria» deve esserecorrelato all’oggetto della deposizione. In partico-lare, «se si tratta di accertamento “storico” che haquindi uno svolgimento in fasi che restano vivenella memoria, ad es. una rapina, la consultazione(legittima) consisterà in un più o meno rapido esamedegli atti compilati, tanto essendo sufficiente a ri-chiamare alla memoria quel «fatto» articolatosi invari momenti che rendono il fatto complessivo incerto qual modo unico e diverso da altri fatti del ge-nere; con la conseguenza che, se pur dopo la con-sultazione il teste non è in grado di «ricordare»,verrà meno il mezzo di prova non avendo il teste la

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possibilità di riferire nulla che effettivamente ri-cordi». Ma quando il teste debba riferire su fatti cheimplicano dati numerici «anonimi» – a volte addi-rittura in serie interminabile – “la consultazione inaiuto della memoria” non può realizzarsi altrimentiche attraverso la lettura dei dati risultanti da docu-menti redatti dal teste, o, nel caso di ufficiale oagente di polizia giudiziaria, da verbali e altri atti didocumentazione dell’attività da lui svolta che talidati riportano».

Successivamente, dopo la costituzionalizza-zione del principio del contraddittorio, la sezioneIV della stessa Corte (22), affrontando ex professola questione – pur rimanendo nel solco tracciatodall’autorevole precedente (23) – ha perentoria-mente affermato che la consultazione da parte deltestimone di documenti dal medesimo redatti, pre-vista dall’art. 499, comma 5, c.p.p., deve essere sol-tanto aiuto alla memoria e non può pertanto sosti-tuirsi completamente al ricordo, risolvendosi,sostanzialmente, nel ricordo di avere scritto.

Nella specie la Corte, annullando la decisionedel giudice di merito, ha osservato che non c’èprova testimoniale se il teste, nella specie agente dipolizia giudiziaria, dopo aver consultato documentida lui redatti, costituiti dalle annotazioni di osser-vazioni giornaliere di gioco d’azzardo, non sia ingrado di ricordare e si richiami, perché nulla ri-corda, al testo consultato.

Tale approdo giurisprudenziale appare rispet-toso del principio del contraddittorio e sintonicocon la normativa processuale in tema di divieto diletture.

L’art. 514, invero, oltre a vietare (al comma 1)la lettura degli atti delle indagini preliminari, fattesalve le eccezioni ivi contemplate, prevede (alcomma 2), con specifico riferimento all’attività dipolizia giudiziaria, il divieto di lettura dei verbali edegli altri atti di documentazione delle attività com-piute (con l’eccezione dei casi previsti dall’art. 511c.p.p.).

Con la espressa previsione che l’ufficiale ol’agente di P.G. esaminato come testimone può ser-virsi di tai atti a norma dell’art. 499, comma 5 (24).

Ora è evidente che se la consultazione degli attidi indagine, si risolvesse in una lettura più o menointegrale, la facoltà di consultazione finirebbe persvuotare la regola del divieto di lettura.

Peraltro, la distinzione operata nella illuminantepronunzia delle Sezioni Unite tra fatto storico e datianonimi (rispetto ai quali la «consultazione in aiutodella memoria» non può realizzarsi altrimenti cheattraverso la lettura dei dati risultanti da documentiredatti dal teste) e che finisce per riflettere (a livellointuitivo) la ricordata distinzione tra MBT ed MLT,esprime una posizione saggia e realistica che non sipone affatto in contrasto con tale divieto.

Va detto, inoltre, che il divieto di lettura non ri-guarda (per l’espressa salvezza dei casi previstidall’art. 511 c.p.p.) gli atti irripetibili di P.G. ed i

documenti acquisiti in dibattimento ex art. 234c.p.p.: trattasi di atti e documenti in cui vengonospesso «registrate» quelle informazioni incamerate,come detto in precedenza, nella MBT.

Quanto ai documenti, devono ritenersi compresianche quelli c.d. pre-processuali: si pensi quanto aquesti ultimi, al p.v. di constatazione redatto dallaGuardia di Finanza (25).

Ma, a parte le ricordate eccezioni – che riguar-dano, sostanzialmente, le informazioni che, non es-sendo state inglobate nella MLT, mai potrebberoessere altrimenti rievocate in sede testimoniale –deve risultare ben chiaro che se pur dopo la con-sultazione il teste non è in grado di «ricordare», lalettura da parte del teste degli atti di indagine al finedi rispondere alle domande – ove in concreto con-sentita – integrerà una ipotesi di inutilizzabilità perviolazione del divieto di cui al ricordato art. 514c.p.p.

Più precisamente, facendo ricorso alla categoriadicotomica inutilizzabilità fisiologica-inutilizzabi-lità patologica (26), l’anzidetta violazione integrauna emblematica ipotesi di inutilizzabilità c.d. fi-siologica della prova, che è quella coessenziale aipeculiari connotati del processo accusatorio, invirtù dei quali il giudice non può utilizzare prove,pure assunte secundum legem, ma diverse da quellelegittimamente acquisite nel dibattimento secondol’art. 526 c.p.p., con i correlativi divieti di lettura dicui all’art. 514.

Peraltro, a scanso di equivoci, va rimarcato che,secondo il dominante indirizzo interpretativo, lemanifestazioni dell’inutilizzabilità afferenti al pro-filo patologico ovvero fisiologico della prova tro-vano il loro comune referente nell’art. 191, con l’ef-fetto di sottoporle allo stesso regime individuato dalsecondo comma dell’anzidetta disposizione: rileva-bilità incontrastata e insanabilità (27).

Quanto sopra deve indurre alla massima cautelai soggetti processuali, per evitare che un uso disin-volto ed esorbitante della facoltà di consultazionepossa innescare nel processo mine vaganti tali davanificare interi processi.

3.2. Oggetto. Prospettive interpretative. – Pas-siamo ad un altro rilevante nodo interpretativo: cosapuò essere consultato dal teste?

Se – come si è visto – il percorso giurispruden-ziale in tema di limiti esterni alla facoltà di consul-tazione in aiuto alla memoria ne ha ridimensionatoi confini, per quanto riguarda l’oggetto della con-sultazione, l’evoluzione sembra essere di segno op-posto.

Il punto di partenza è rappresentato dall’arrestogiurisprudenziale riguardante – ancora una volta –i testimoni appartenenti alla polizia giudiziaria, acui – con una interpretazione estensiva della dispo-sizione in esame – si è riconosciuta la facoltà diconsultazione (anche) di atti da essi non personal-mente compilati, né sottoscritti.

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La motivazione appare ineccepibile: «poiché leoperazioni di polizia giudiziaria vengono normal-mente svolte con la collaborazione di più soggettioperanti e poiché la formazione della relativa docu-mentazione avviene per lo più in un momento suc-cessivo da parte del superiore gerarchico o del re-sponsabile dell’ufficio, per redattori degli atti didocumentazione dell’attività compiuta da testi chesiano ufficiali od agenti di P.G. devono intendersinon solo i loro materiali compilatori o coloro che,sottoscrivendoli, se ne siano assunta la paternità maanche quanti abbiano comunque cooperato alla for-mazione degli atti stessi, riferendo al compilatore ilproprio operato» (28).

In una più recente pronunzia, in modo chiaro eperentorio, si è affermato il seguente principio, diampia portata: per “documento redatto dal testi-mone”, del quale è consentita la consultazione inaiuto della memoria ai sensi dell’art. 499, comma 5,c.p.p., deve intendersi quello alla cui predisposi-zione abbia effettivamente contribuito il teste, indi-pendentemente dalla circostanza che da lui formal-mente provenga» (29).

L’evoluzione si è completata con una recentesentenza con cui, richiamando espressamente lapronunzia appena citata, la Corte ha sostenuto che«tra gli atti personalmente compilati dal teste, delquale è consentita la consultazione in aiuto dellamemoria ai sensi dell’art. 499, comma 5, c.p.p.,debbono includersi pure quelli redatti formalmentedalla polizia giudiziaria, ma sottoscritti dal testedopo averne constatato la corrispondenza a quantodichiarato» (30): nella fattispecie è stata ritenutacorretta l’autorizzazione data dal giudice alla per-sona offesa di consultare il verbale di denunzia.

È sin troppo evidente la portata di tale approdogiurisprudenziale (31) che sembra aprire la stradaalla possibilità di far consultare al teste, in aiuto allamemoria, le dichiarazioni rese in sede di indaginipreliminari o di investigazioni difensive.

Il che non deve far certamente scandalizzare, inquanto, come si è detto, l’aiuto alla memoria è si-curamente funzionale ad un effettivo contradditto-rio.

Del resto, trattasi di fenomeno ben conosciuto epraticato nel processo di common law, eponimo delsistema accusatorio, che contempla un istituto chia-mato «to refresh the memory» o «refreshing recol-lection» che prevede appunto che la memoria dei te-stimoni possa e debba essere «rinfrescata» (32).Come è noto, in tali sistemi (a cui si è sostanzial-mente conformato quello italiano, quanto meno aseguito delle leggi sulle investigazioni difensive esul giusto processo) le parti esaminano in privato,prima dell’udienza, il testimone che intendono pre-sentare al processo; nel corso di questa «intervista»,possono cercare di migliorare e stimolare la memo-ria del soggetto, facendogli esaminare le precedentideposizioni, scritti, documenti e quant’altro abbianoa disposizione.

Se poi, al momento della deposizione vera e pro-pria, il teste dovesse rendersi conto che lo stato deisuoi ricordi lascia ancora a desiderare, gli è consen-tito di consultare un memorandum, cioè appunti,note, documenti, libri, redatti quando il ricordo deifatti era ancora vivido e brillante.

Questo memorandum è destinato solo a rivitaliz-zare processi mnestici ormai sopiti, tanto che, comeprecisa la giurisprudenza, la testimonianza del sog-getto che depone sulla scorta di questo supporto,consiste non in quello che legge, ma in quello chedice (33): sin qui la soluzione appare identica aquella fatta propria dalla più recente giurisprudenzadella Cassazione e di cui si è dato conto.

Ma nei sistemi anglosassoni si può fare di più: seil teste, dopo aver fatto ricorso a quello che vienedefinito «a simple but helpful expedient», cioè sedopo aver consultato il memorandum, constata chela sua memoria non si è «risvegliata» e che non puòquindi testimoniare «from a refreshed recollection»può tuttavia affermare – riferendosi al memoran-dum – di averlo redatto quando i fatti erano ancoraben presenti alla sua mente: pertanto, anche se almomento non ricorda più nulla, può dichiarare chele cose sono andate proprio come è spiegato nelloscritto (United States v. Riccardi, 174, F.2d (3d Cir.1949) (34).

Non solo, secondo interpretazioni giurispruden-ziali più recenti – peraltro controverse – ogni scritto,ogni oggetto, può essere usato come stimolo mne-monico, a prescindere dall’autore, dal livello di at-tendibilità e dal momento in cui è stato redatto (35).

Da noi il sistema appare più «ingessato», perquel malinteso ossequio ad un modello del contrad-dittorio e dell’oralità realizzati «in vitro», di cui siè detto.

Secondo il più avanzato indirizzo della SupremaCorte – come si è detto – la lettura degli appunti èpossibile solo per i dati anonimi e non per i fatti sto-rici, o, più tecnicamente, solo per le informazioni«mantenute» nella MBT.

Così, ad esempio, in caso di processo penale perrapina, sarà sicuramente consentito al teste di leg-gere dai suoi appunti o dal verbale delle dichiara-zioni rese alle parti in fase di indagini, la targa dellavettura dei rapinatori (essendo, come si è detto,umanamente impossibile che la ricordi, a meno diimprobabili esercizi costanti di ripetizione o di riap-prendimento). Ciò senza ledere il principio del con-traddittorio: le altre parti potranno porre tutte le do-mande volte a screditare l’attendibilità, oltre che delteste, anche dell’appunto consultato, chiedendo –per rimanere all’esempio concreto – la distanza dacui la targa venne rilevata, la capacità visiva del te-ste, il tempo decorso dal rilievo dell’informazionealla scritturazione dell’appunto o alla verbalizza-zione, e così via.

Non sarà invece consentita la risposta attraversomera lettura (degli appunti o dei verbali) con rife-rimento alla dinamica della rapina.

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Tale precisazione se, da un lato, consente di ri-tenere pienamente compatibile dal punto di vista si-stemico, tale non restrittiva interpretazione della di-sposizione in esame, dall’altro ne evidenzia i limiti:la consultazione sarà utile, per i fatti storici, solo afronte di una momentanea dimenticanza, total-mente vana nel caso in cui i ricordi siano svaniti.

4. b) Le contestazioni «in aiuto alla memoria».– La evidenziata valorizzazione della facoltà diconsultare in aiuto alla memoria non può peraltrofar ritenere «superata» la questione della praticabi-lità dello strumento della contestazione delledichiarazioni precedentemente rese dal testimone, afini di «rievocazione guidata».

È evidente la distinzione tra l’istituto della con-sultazione e quello delle contestazioni testimonialial teste che rifiuta od omette di rispondere alle do-mande.

La facoltà di consultazione, attribuita al teste suautorizzazione del giudice, non riguarda le conte-stazioni nell’esame testimoniale, bensì le modalitàdi svolgimento del medesimo, comporta una merafacoltà in capo al teste e non l’esercizio di una stra-tegia processuale da parte del pubblico ministero, e«non contraddice l’equiparazione operata tra amne-sia e omessa risposta alle domande, costituendo sol-tanto ulteriori strumenti per la ricerca della verità»(36).

4.1. La questione pregiudiziale dell’ammissibi-lità dello strumento. – Prima di valutare l’utilitàdello strumento, va affrontato la questione, pregiu-diziale e controversa, della stessa ammissibilitàdelle contestazioni nei confronti del teste imme-more.

Tale questione si inserisce nell’alveo della piùampia problematica delle contestazioni in caso disilenzio del dichiarante.

Questi i termini della controversia.Il nuovo testo dell’art. 500 c.p.p., con la soppres-

sione del previgente comma 2 bis che consentivaespressamente di effettuare le contestazioni al testeche rifiutasse o comunque omettesse, in tutto o inparte, di rispondere sulle circostanze riferite nelleprecedenti dichiarazioni, ha «ripristinato» l’assettooriginario del regime delle contestazioni del codicedel 1988. Si sono così venute a riproporre le duecontrapposte soluzioni allora offerte dalla dottrinain tema di contestazioni al «dichiarante silenzioso».

Da un lato, vi è chi sostiene che il silenzio ser-bato in dibattimento da chi ha reso dichiarazioninella fase delle indagini deve considerarsi una ipo-tesi di difformità che autorizza comunque le conte-stazioni (37). Dall’altro chi, invece, «legge» il si-lenzio come semplice comportamento che nongiustifica domande in funzione di contestazione,giustificabili solo in presenza di narrazioni diversee contrastanti dei fatti (38).

L’ostilità alle contestazioni a fronte del silenzio– quale emerge anche dai lavori preparatori (39)

della novella del 2001 – si fonda su una confusioneconcettuale e su una sorta di giustapposizione tra idiversi momenti, ben distinti sotto il profilo logico-cronologico della formazione della prova e dellautilizzazione della stessa. Come è stato acutamenteosservato, si tratta di due questioni diverse: altro èdecidere se in caso di silenzio le precedenti dichia-razioni sono utilizzabili o meno; altro è far sparirele contestazioni facendo perdere efficacia all’esameincrociato» (40). Invero, si possono contestare al te-ste le sue precedenti dichiarazioni (così da provo-carlo a rispondere e giustificarsi), negando contem-poraneamente ad esse qualsiasi valore (in positivo)di prova; ed è ciò che in effetti dovrebbe accaderein via ordinaria per effetto dell’attuale comma se-condo dell’art. 500 c.p.p. (41).

Non sembra pertanto condividersi la tesi di chisostiene che «una sequela di contestazioni nei con-fronti del teste silenzioso si trasformerebbe in unaforma di impropria lettura e si concreterebbe in unaserie ininterrotta di suggerimenti tali da screditare ildichiarante e tutto ciò che da lui comunque deriva»(42): da un lato, infatti, nessuna efficacia probatoriaè riconducibile alla lettura ai fini contestativi,dall’altro la condotta del teste sarà comunque as-soggettata al vaglio del giudice, nell’esercizio dellibero convincimento, il quale verificherà le ragionidi tali reiterati silenzi e li riterrà giustificati o meno,a seconda delle circostanze concrete. Così, adesempio, non potrà ritenersi «screditato» il testeche, a distanza di molti anni dal fatto, ricordi le cir-costanze di dettaglio solo a seguito di continue con-testazioni.

Ci si sente invece di sottoscrivere le considera-zioni espresse da chi, sull’opposto fronte, sostieneche, prima di tutto, «la contestazione ha una fun-zione maieutica, di condurre l’interrogato verso unarisposta veritiera. Quando tale soggetto rifiuta di ri-spondere, la contestazione ha il fine di «provo-carlo» per indurlo a sottoporsi al contraddittorio. Sitratta di una verità empirica prima che giuridica»(43).

Se così è, l’attuale formulazione dell’art. 500c.p.p. non può certo creare ostacoli alla contesta-zione al teste immemore.

Ma, a ben vedere, comunque si interpreti ilnuovo assetto normativo delle contestazioni, laquestione della soppressione del ricordato comma 2bis dell’art. 500 c.p.p., sembra essere irrilevantenell’ottica del testimone che «non ricorda».

In realtà la formulazione dell’anzietta disposi-zione sembra sottendere una componente «volon-taristica», tipica della condotta di chi rifiuta (il cheè ovvio), o comunque omette di rispondere in tuttoo in parte. Trattasi di chi si sottrae tout courtall’esame e di chi non risponde ad una o più do-mande (il che può avvenire in modo pienamente le-gittimo: si pensi alle persone di cui all’art. 210c.p.p. o all’ipotesi del testimone che si avvalga indibattimento della facoltà di astensione ex art. 199

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o, con riferimento a singole domande, ai casi di cuiagli artt. 197 bis comma 4 e 198 c.p.).

Diverso è il caso del teste che non intende sot-trarsi all’esame e neanche alle singole domande mache, semplicemente, non sia in grado di ricordare.

Del resto, non manca chi, pur escludendo la pos-sibilità delle contestazioni al teste (volontaria-mente) silente, le ritiene pienamente ammissibili neicasi di difetto di memoria (44).

Tale distinzione non è artificiosa come taluni ri-tiene (45), ma, a ben vedere, riflette la previsionedell’art. 111 comma 4 Cost., in quanto se, da unlato, il teste che «rifiuta di rispondere» può sicura-mente integrare la condotta di chi si sottrae volon-tariamente per libera scelta all’interrogatoriodell’imputato o del suo difensore, altrettanto nonpuò dirsi nei riguardi di chi invece, in piena buonafede, non riesca a rievocare determinati fatti.

Escluso, allora, che la nuova formulazionedell’art. 500 possa precludere le contestazioni «inaiuto alla memoria», resta da valutare se un serioostacolo letterale possa essere rappresentato dallaprevisione dell’art. 500 comma 1 c.p.p., secondo cuila facoltà di avanzare contestazioni può essere eser-citata solo «se sui fatti o sulle circostanze da con-testare il teste abbia già deposto».

Il che starebbe ad indicare – secondo chi nega lapossibilità di contestazioni al teste silenzioso – chela contestazione viene necessariamente dopo unadichiarazione effettivamente resa in dibattimento,non potendosi eludere tale disposizione sostituendoalla condizione positiva che il teste «abbia già de-posto», il diverso requisito che il teste abbia avutola possibilità di deporre e non lo abbia fatto (46).

Tale obiezione è sicuramente superabile in viainterpretativa. L’anzidetta disposizione – è statopuntualmente osservato (47) – ha la specifica fun-zione di collocare temporalmente la contestazione.Se il teste intende deporre, la contestazione deve se-guire la deposizione dibattimentale. Ma ciò non si-gnifica, a contrario, che se il teste non depone lacontestazione non possa aver luogo. L’intento delladisposizione è impedire che l’interrogante inizil’escussione con la lettura delle precedenti dichia-razioni (48).

A ciò va aggiunto che, tranne casi di gravi pro-blemi patologici, difficilmente il teste immemoreinterpreta la veste del testimone silente. Al riguardosi è sostenuto che anche quando il teste, a precisadomanda, abbia risposto di non ricordare quanto ri-chiestogli, può ben dirsi che egli abbia già deposto:a prescindere dal suo contenuto, il teste ha comun-que reso una risposta alla domanda rivoltagli (equindi ha deposto) (49).

In conclusione, si ritiene pienamente consentitol’uso delle contestazioni al testimone «che non ri-corda» (rectius: «che sostiene di non ricordare»). Intal senso si è pronunziata anche la Suprema Corte,nel rimarcare che l’art. 500 c.p.p., anche nella nuovaformulazione conseguente alle modifiche introdotte

dalla legge sul giusto processo, consente di conte-stare le precedenti dichiarazioni non solo in caso didifformità ma anche al teste che appaia reticente ov-vero dichiari di «non ricordare» (50).

Per inciso va detto che tale pratica, oltre che am-missibile, può rivelarsi utile ed opportuna sotto variprofili: anzitutto può consentire al teste «in buonafede» di richiamare alla memoria determinate infor-mazioni e circostanze (qualcosa di simile alla pro-cedura che gli psicologi chiamano, come si è detto,di rievocazione guidata); può evidenziare un parti-colare stato mentale di natura patologica tale da in-durre il giudice a disporre accertamenti sulla ido-neità a rendere la testimonianza (art. 196 comma 2c.p.p.); può consentire di desumere – tenuto contodelle circostanze concrete, del breve tempo tra-scorso dalle precedenti dichiarazioni, del grado dinettezza e precisione delle stesse – che il teste è re-ticente, per scelta (art. 372 c.p.) o perché minacciatoo sottoposto ad altro genere di pressioni (situazioni,queste, rilevanti, ex artt. 500 comma 4 e 5).

4.2. I possibili esiti delle contestazioni. – Pro-blemi ben più complessi si pongono quando, risoltala questione dell’ammissibilità delle contestazionial teste immemore, si passa ad affrontare quelladegli effetti probatori di tale tipo di contestazione.

Si tratta di affrontare la problematica nell’otticadei possibili esiti della contestazione «in aiuto allamemoria».

L’ipotesi più auspicata da chi proceda a conte-stazioni è che la funzione «maieutica» delle stesseconsenta al teste di «ricordare», ammettere comevere le dichiarazioni contestate – con eventuali in-tegrazioni o specificazioni – replicarle e riproporlenel contraddittorio dibattimentale. Ma ciò, come siè detto, non sempre è possibile, e sicuramente nonlo è per le informazioni che sono rimaste confinatenella MBT.

La gamma dei diversi possibili esiti delle conte-stazioni, che l’esperienza giudiziaria ci consegna, èriducibile essenzialmente alle seguenti ipotesi:

a) il teste ammette che, a distanza di anni, non ri-corda i fatti, ma ricorda di aver reso dichiarazionialla P.G. (o al P.M.) e di aver detto la verità («se l’hodichiarato è sicuramente vero, all’epoca ricordavobene, lo confermo»);

b) il teste dichiara di non ricordare di aver resole precedenti dichiarazioni;

c) il teste ammette di averle rese ma di non ri-cordare se corrispondessero al vero;

d) il teste – dopo la contestazione in ausilio allamemoria – conferma di aver reso le dichiarazionioggetto di contestazione ma sostiene che esse noncorrispondono al vero (perché mal verbalizzate oper essere stato frainteso, o perché al momento nonera «lucido» e via dicendo) e le modifica in dibat-timento.

Quanto alle ipotesi riconducibili sub d) è evi-dente che le contestazioni hanno prodotto un risul-

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tato funzionale ai principi dell’oralità e del contrad-dittorio, in quanto hanno consentito di acquisire indibattimento le dichiarazioni del teste, al quale, aquesto punto potrà essere contestato – «nel merito»– il contenuto della deposizione, ai limitati fini dicui al secondo comma dell’art. 500 comma 2 c.p.p.(salva, ovviamente, l’applicazione di cui ai succes-sivi quarto e quinto comma e dell’art. 372 c.p.).

Le ipotesi di cui sub b) e c) riflettono la scarsaefficacia dello strumento in questione quando lamemoria sia compromessa (o quando il teste siaparticolarmente riottoso). In realtà in nessuno deidue casi sarà utilizzabile ai fini probatori il conte-nuto delle precedenti dichiarazioni. Nel primo casoper la semplice ragione che dette dichiarazioni nonsono entrate in dibattimento, neanche per relatio-nem; nel secondo perché non vi è una ammissionedi verità (ed una concreta riproposizione), ma solouna ammissione di effettività della dichiarazioneresa in fase di indagini.

È evidente che la mera «ammissione di effetti-vità» di una precedente dichiarazione non aggiungenulla, ai fini probatori, al contenuto della contesta-zione e va ad essa accomunata nel regime della ir-rilevanza probatoria dettato dall’art. 500 (51).

Molto più complessa e controversa è l’indivi-duazione della soluzione da adottare con riferi-mento all’ipotesi di cui sub a), statisticamentemolto frequente.

Fino a quando i tempi del nostro processo penalenon saranno drasticamente ridimensionati quelloche andiamo ad esaminare continuerà a rappresen-tare un caso classico.

4.2.1. Il caso del testimone che non ricorda, madichiara di aver detto la verità nel corso delle inda-gini. – Il teste, chiamato a testimoniare verosimil-mente ad anni di distanza rispetto ai fatti per cui èprocesso («ricorda il numero di targa della vetturadei rapinatori?») risponde di non ricordare il parti-colare richiestogli, ma che comunque li riferìimmediatamente, e secondo verità, alla polizia giu-diziaria: «Se l’ha detto è vero... lo confermo...all’epoca lo ricordavo».

Abbiamo visto come tale modo di rispondere delteste (che le parti accolgono con «fastidio» e «so-spetto») rifletta una grande verità: il soggetto nonricorda – e non può ricordare, salvo che l’abbia de-liberatamente memorizzata con un prolungato e rei-terato esercizio di rievocazione o di riapprendi-mento – il contenuto dell’informazione e riferisceciò che, solo, può ricordare: di aver «detto la ve-rità». L’aver riferito secondo verità una determinatainformazione, infatti, implica un’attenzione e ri-flette sentimenti e volizioni che difficilmente pos-sono «dimenticarsi» nel corso di un non lunghis-simo lasso di tempo.

Si è detto come nella patria dell’adversary taletipo di risposta è ritenuta (con sano realismo) am-missibile ed utilizzabile.

La dottrina nostrana, sul punto, pur con alcuneeccezioni (52), non ha assunto una posizione decisasu quale debba essere la sorte delle precedenti di-chiarazioni.

Due le ipotesi sul tappeto: a) considerarle allestregua di mere contestazioni, con esclusione diogni utilizzazione ai fini della prova; b) ritenerlepienamente utilizzabili, in quanto, per effetto del ri-chiamo effettuato dal testimone le stesse rimangonoinglobate nella deposizione dibattimentale (che di-venterebbe una deposizione per relationem) (53).Di questa seconda interpretazione si tende, peraltro,a segnalare il rischio che possa offrire il destro pereludere il divieto probatorio di cui al ricordato art.500 (54).

La questione merita un approfondimento, ancheperché la relativa soluzione non può non interferire,modificandone i confini, con altre previsioni di cuial medesimo art. 500 c.p.p.

Per iniziare, va rimarcata la notevole differenzasul piano logico tra l’ipotesi che si sta esaminandoe quelle – già citate – di chi ammetta di aver resole precedenti dichiarazioni ma di non ricordare seesse corrispondessero a verità o di chi, pur ammet-tendo di aver reso liberamente le dichiarazioni con-testate, le modifichi in dibattimento. In tali casi ècorretto sostenere che dette ammissioni (le c.d. di-chiarazioni di effettività) non possono equivalerealla conferma dibattimentale della precedente di-chiarazione. Esse non provano il fatto che è stato af-fermato, bensì il fatto che la precedente dichiara-zione è stata effettivamente resa (55).

Ancora diversa – per opposte ragioni – è l’ipo-tesi in cui il teste, dopo reiterate contestazioni, ri-cordi e dica: «sì, sì è vero, lo confermo». In questocaso il problema è (solo) formale in quanto, a ri-gore, il teste non può limitarsi a «confermare» le di-chiarazioni lette ai fini contestativi, ma, rievocatele,dovrebbe replicarle in dibattimento. Tale problemapuò essere agevolmente superato, in sede di esame,invitando il teste a ribadire la propria versione, o insede di controesame, «scandagliando» la mentedello stesso, su singole o ulteriori circostanze.

Nel caso che qui interessa, invece, il dichiaranteattesta che quanto dichiarato in precedenza corri-spondeva al vero.

Ma, v’è da chiedersi, si può ragionevolmente so-stenere che il teste immemore, solo perché attesta laverità di quanto a suo tempo dichiarato agli organiinvestigativi, rende una deposizione dibattimentalerispettosa del contraddittorio quale metodo di for-mazione della prova? (56).

La soluzione, ad avviso di chi scrive, non puòche essere analoga a quella adottata con riferimentoalla facoltà di consultazione in aiuto alla memoria.

Per quanto riguarda i dati anonimi e le altre cir-costanze «conservate» solo nella MBT, l’«introdu-zione» nel contraddittorio dibattimentale non puòrealizzarsi altrimenti che attraverso il richiamo perrelationem alle precedenti dichiarazioni oggetto di

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contestazione. Tale conclusione appare pienamentein linea con il sempre valido insegnamento della piùvolte citata sentenza delle Sezioni Unite in tema diconsultazione da parte della P.G.

Del resto, sarebbe contraria persino al comunebuon senso una soluzione che imponesse di assol-vere l’imputato perché il teste d’accusa a distanza dianni non è in grado di riferire in dibattimento – pergli insuperabili limiti fisiologici della MBT – l’ele-mento (eventualmente) decisivo rappresentato daun numero di targa o da particolari dell’abbiglia-mento. O di condannarlo perché il teste a discariconon può ricordare un numero o un nome che sonoalla base dell’alibi fornito dall’imputato.

Una interpretazione che conducesse a tale solu-zione, evidentemente, sarebbe irragionevole perchéin contrasto con la massima di esperienza (mutuatadalla scienza medica) relativa ai limiti insuperabilidella memoria a breve termine e, come tale, viole-rebbe il parametro costituzionale di cui all’art. 3Cost.

A meno che non si voglia ritenere le persone in-formate su fatti penalmente rilevanti «obbligate» aporre in essere sistematiche operazioni di reitera-zione o di riapprendimento dei «dati» per poterli im-magazzinare nella MLT: il che, oltre ad essere as-surdo e in alcuni casi impraticabile (si pensi agliinterminabili dati di complesse contabilità) non gio-verebbe certamente al contraddittorio dibattimen-tale, degradato ad un mero esercizio di recitazione.

Ma, a prescindere dall’ipotesi anzidetta, in cui latestimonianza abbia ad oggetto informazioni con-servate nella MBT, la contestazione deve mirareesclusivamente a richiamare alla memoria i fatti og-getto delle precedenti dichiarazioni e non può per-tanto sostituirsi completamente al ricordo, risolven-dosi, sostanzialmente, nel ricordo di avere resodichiarazioni veritiere sul punto.

Si ritiene, in sostanza, che il potere di contesta-zione delle precedenti dichiarazioni possa essereesercitato, nel caso di teste immemore, senza limi-tazioni (57). Le contestazioni, però, esauriranno lapropria funzione nella sollecitazione di cui si è dettoe non potranno mai sostituire tali dichiarazioni, ne-anche se richiamate per relationem dal teste stessoche ne attesti la verità.

Tale soluzione pare allo scrivente giuridica-mente imposta, non tanto dal principio costituzio-nale del contraddittorio, quanto dall’attuale assettodell’art. 500 c.p.p.

Essa lascia però sostanzialmente insoddisfatti. Eciò – si potrebbe dire – sia «per eccesso» che «perdifetto».

«Per difetto» in quanto viene a sottrarsi al patri-monio conoscitivo del giudice, per ragioni indipen-denti dalla volontà delle parti e del dichiarante, ma-teriale probatorio «cancellato» dalla memoria dellafonte.

«Per eccesso» in quanto le contestazioni nonpossono non creare inconvenienti e situazioni disquilibrio.

Così, ad esempio, in caso di versioni lunghe ecomplesse e piene di elementi di dettaglio, sarà pos-sibile ricorrere ripetutamente alla contestazione «inaiuto alla memoria» e si potrà assistere allo spetta-colo, piuttosto desolante, del teste che, di volta involta, per rispondere, debba essere sollecitato dallacontestazione della parte. Né si può ignorare il ri-schio che una lettura sistematica a fini contestativiapra la strada allo svuotamento dell’esame incro-ciato ed alla riviviscenza di forme di deposizione ti-piche del rito inquisitorio scandite dalla meccanicaconferma delle deposizioni (rectius: del contenutodelle dichiarazioni) rese fuori dal dibattimento (58).

Tale modus operandi, inoltre, favorisce la parteche ha assunto tali dichiarazioni – nella propria ot-tica strategica – nel corso delle indagini o delle in-vestigazioni difensive. L’altra parte, che non ha una«propria» precedente «versione», è potenzialmentedanneggiata: avrebbe potuto far chiarire al teste –all’epoca ancora non immemore – alcuni aspetti nonadeguatamente approfonditi nella propria prospet-tiva, porgli domande decisive, mettere alla prova inmodo efficace la credibilità del teste. Tutto ciò èreso ben difficile di fronte ad un testimone che – alpiù – ricorda i fatti su cui si è sentito solo dopo ri-petute e specifiche contestazioni.

Non solo: il problema della «memoria del teste»finisce per annacquare anche la previsione delcomma 3 dell’art. 500, secondo cui se il testimonerifiuta di sottoporsi all’esame o al controesame diuna delle parti, contro quest’ultima non sono utiliz-zabili le dichiarazioni che il testimone abbia resoalle altre parti (salvo il consenso della stessa).Stante la differenza ontologica, già evidenziata, trarifiuto di rispondere e impossibilità di farlo per per-dita del ricordo, in quest’ultimo caso non opereràl’inutilizzabilità contemplata dalla norma in que-stione: non si verserà in ipotesi di esclusione pro-batoria, ma nell’area del libero apprezzamento delgiudice.

Senza considerare, poi, il problema della simu-lazione, su cui si tornerà in seguito: perché il testedovrebbe opporre un vero e proprio rifiutoall’esame e al controesame, esponendosi alle com-minatorie di cui all’art. 372 c.p. quando il decorsodel tempo gli offre il commodus discessus del rifu-guarsi nel «non ricordo»?

Perdita di apporti conoscitivi e pregiudizio delcontraddittorio sono, evidentemente, gravi costi cheil sistema è costretto a pagare al non ricordo testi-moniale, variabile dipendente del «GeneraleTempo». Nei successivi paragrafi si cercherà di in-dividuare possibili rimedi atti a ridurre tali costi.

5. Strumenti funzionali alla «rimozione» del pro-blema: a) lettura delle precedenti dichiarazioni persopravvenuta irripetibilità. – Un rimedio radicale

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per ovviare alla perdita di memoria del teste – equindi alla dispersione del mezzo di prova – è rap-presentato dallo strumento di recupero degli attiinvestigativi previsto dall’art. 512 c.p.p. Non sitratta, in questo caso, di andare alla ricerca dibatti-mentale della memoria perduta, ma di «superare» ilproblema acquisendo le dichiarazioni rese (fuoridel contraddittorio) (59) dal teste che all’epocaricordava. L’istituto – come è noto – delinea unafattispecie vicaria alla formazione dialettica dellaprova, che ha come presupposto la sopravvenuta«non ripetibilità» dell’atto, ossia, usando unaespressione impropria, la non «rinnovabilità» dellostesso in dibattimento.

La problematica va affrontata partendo da dueimportanti pronunzie della Corte costituzionale.

Nella prima, la Consulta, respingendo la que-stione di legittimità costituzionale del combinatodisposto degli artt. 512 e 514 del c.p.p., nella partein cui considera atto ripetibile – e quindi non neconsente la lettura in dibattimento – le dichiarazionidi un teste il quale, dopo essere stato sentito dallapolizia giudiziaria, abbia subito un incidente dalquale sia conseguita una definitiva amnesia in or-dine allo svolgimento dei fatti dedotti in giudizio,ha evidenziato che «da una semplice interpreta-zione dell’art. 512 emerge che, ai fini della legitti-mità della lettura in dibattimento, la norma postulala sola condizione della impossibilità di ripetizionedegli atti a motivo di fatti o circostanze imprevedi-bili, fra i quali nulla autorizza ad escludere un’in-fermità del teste determinante l’assoluta amnesiasui fatti di causa» (60).

In una più recente pronunzia la stessa Corte haaffrontato la problematica nell’ottica della que-stione di legittimità costituzionale dell’art. 512c.p.p. – con riferimento all’art. 111, quinto commadella Costituzione – nella parte in cui consente lalettura degli atti assunti nel corso delle indagini pre-liminari solo quando ne è divenuta impossibile la ri-petizione per fatti o circostanze imprevedibili (61).

L’ordinanza prende le mosse dalla rimarcata dif-ferenza tra oggettiva impossibilità di ripetizionedell’atto dichiarativo (quale potrebbe derivare damorte, irreperibilità, infermità che determina unatotale amnesia del testimone), rientrante nella sferadi applicazione dell’art. 512 c.p.p., e mera incapa-cità dedotta dal teste di richiamare alla memoria ilcontenuto dell’atto assunto durante le indagini pre-liminari (situazione appunto ravvisabile nel com-portamento processuale di un testimone che af-ferma di non essere in grado di rispondere perchénon ricorda fatti o circostanze riferiti in prece-denza). Ora, poiché nel caso di specie – secondo laCorte – non si versa in ipotesi di oggettiva impos-sibilità di procedere all’assunzione dell’atto, talenon potendosi qualificare l’incapacità dedotta dalteste di richiamare alla memoria determinate infor-mazioni, l’applicabilità dell’art. 512 c.p.p. non èipotizzabile (donde la dichiarazione di manifesta

infondatezza della questione per erroneità del pre-supposto interpretativo) (62).

In sostanza, secondo la ricordata giurisprudenzacostituzionale, nel caso in cui il teste non ricordi piùi fatti sui quali è esaminato nel dibattimento, il ri-medio di cui all’art. 512 c.p.p. è esperibile soloquando la perdita di memoria dipenda da cause pa-tologiche, e non quando sia fisiologicamente ricon-ducibile al trascorrere del tempo.

Tale soluzione interpretativa non soddisfa ap-pieno e si espone alle seguenti obiezioni:

a) anzitutto va evidenziato come la Consulta ab-bia adottato una concezione poco scientificamentecorretta dell’amnesia, limitativamente intesa comedipendente da infermità. Sono state trascurate,nell’ottica dell’ammissibilità del recupero consen-tito dall’art. 512 c.p.p., le ipotesi di amnesia non di-pendenti da cause patologiche. Come precisa ilDSM III (Manuale diagnostico e statistico dei di-sturbi mentali 1983), la manifestazione essenzialedella consapevolezza, dell’identità e del comporta-mento motorio. Se l’alterazione si verifica nelcampo della consapevolezza, importanti fattori per-sonali possono non essere ricordati. Tra questi di-sturbi rientra l’amnesia psicogena, caratterizzata dauna improvvisa incapacità di ricordare che non ri-sulta in relazione con disturbi mentali organici (63).Nell’amnesia localizzata (che insieme a quella se-lettiva, a quella generalizzata e a quella continua-tiva rappresenta uno dei quattro tipi di disturbodella memoria) il soggetto è incapace di ricordaregli eventi che si sono verificati durante un periododi tempo circoscritto che corrisponde, di solito, allepoche ore che seguono un evento profondamentedisturbante. L’amnesia compare improvvisamente,di solito a seguito di gravi stress psicosociali. Il fat-tore stressante comprende spesso una minaccia didanno fisico o di morte. In altri casi lo stress è col-legato con l’intollerabilità di qualche impulso o diqualche azione. In questi casi, l’amnesia agiscecome meccanismo protettivo contro l’angoscia ge-nerata da ricordi ad alto contenuto emotivo. Questaforma di amnesia psicogenetica può essere inter-pretata come un «suicidio parziale» che tende acancellare o distruggere una parte del proprio vis-suto (64). È difficile sostenere che in questi casi nonsi versi in ipotesi di oggettiva impossibilità, nell’ot-tica che qui rileva;

b) in ogni caso, la smemoratezza benigna, cheassocia a un normale immagazzinamento un deficitdella capacità di richiamo, è una situazione abba-stanza frequente e non è collegata ad alcuna malat-tia. È appena il caso di ricordare gli effetti negatividi sostanze come psicofarmaci o l’alcool che inter-vengono sulle complesse strutture del sistema ner-voso alterandone il funzionamento. Questo effettoè facilitato dalla grande somiglianza chimica tra ledroghe e le sostanze mediatrici naturali del sistemanervoso. In sostanza, le droghe funzionano come

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sostituti di questi mediatori e alterano i normalischemi di attività del cervello;

c) l’affievolirsi naturale della memoria – finoall’oblio, nei limiti di cui si è detto – dovuto al pas-sare del tempo (e ai ricordati fenomeni di interfe-renza), è riconducibile anch’esso (come l’amnesiaderivante da cause patologiche) ad impossibilità dinatura oggettiva, prescindendo anche questo natu-rale fenomeno dalla volontà del teste;

d) infine – come si è detto – rientra sicuramentenei casi di impossibilità di natura oggettiva anche larievocazione a distanza di tempo delle informazionicontenute nella MBT.

A questo punto, individuati i casi di impossibilitàoggettiva di ripetizione in dibattimento della provatestimoniale, si tratta di verificare condizioni e li-miti alla possibilità di dare lettura delle precedentidichiarazioni ex art. 512 c.p.p., tenendo ben pre-sente che l’anzidetta disposizione esige l’ulteriorepresupposto della imprevedibilità.

Esaminiamo, anzitutto, l’ipotesi, trattata dallaCorte costituzionale, di teste affetto da infermità chedetermina una totale amnesia. Le amnesie possonoessere conseguenti a malattie cerebrali (p. es. ence-faliti, demenza aterosclerotica, morbo di Alzhei-mer), a traumi fisici e psichici, oppure a malattiemetaboliche (p. es. encefalopatia di Wernicke). Adesempio pazienti affetti dalla sindrome di Korsakov(che si presenta in soggetti alcolisti che per un lungoperiodo hanno bevuto tropo e mangiato troppopoco), mostrano un buon ricordo immediato e unatotale incapacità di conservare le informazioni nellaMLT. Alterazioni della memoria si osservano anchein presenza di malattie psichiatriche come l’isteria,l’ansia e la depressione.

In questi casi si tratta di verificare se la malattiaabbia pregiudicato totalmente la memoria del testee, inoltre, l’imprevedibilità di tale esito (il che po-trebbe non essere nel caso di teste anziano, già af-fetto da arterosclerosi): nel caso in cui concorranoentrambi i presupposti, sarà senz’altro possibile ilrecupero mediante lettura, ex art. 512 c.p.p., delledichiarazioni precedentemente rese.

Alle stesse conclusioni deve pervenirsi nei casidi amnesia non dipendenti da cause patologiche dicui alle ipotesi indicate sub a) e sub b).

Il rischio che la mancanza di una acclarata causapatologica possa consentire – sulla base delle mereasserzioni del teste che asserisce di non ricordare –il surrettizio recupero di atti di indagine, in viola-zione del ricordato principio costituzionale, può es-sere prevenuto ricorrendo ad una perizia volta ad ac-certare l’effettiva oggettiva impossibilità di renderedichiarazioni dibattimentali per totale dimenticanzadei fatti oggetto della deposizione.

Il fondamento normativo di tale accertamentoperitale sembra poter essere rappresentato – ad av-viso dello scrivente – dalla previsione di cui al se-condo comma dell’art. 196 c.p.p. che prevede che ilgiudice possa, anche d’ufficio, disporre gli accerta-

menti necessari a verificare l’idoneità fisica o men-tale a rendere testimonianza.

Non sembra ostativo il fatto che, secondo l’inci-pit della disposizione in questione, la finalitàdell’accertamento sia quella di valutare le dichiar-zioni del testimone. La «valutazione», nella sua piùampia accezione, non può essere confinata alla sferadecisoria propriamente detta, nell’ottica del giudi-zio di attendibilità della prova testimoniale, ma siestende ad ogni altro apprezzamento e determina-zione processualmente rilevante. Così, a frontedelle dichiarazioni del teste di aver completamentesmarrito il ricordo del fatto, una perizia neuropsi-chiatrica o psicologica può essere necessaria per va-lutare la fondatezza dell’assunto e per adottare iprovvedimenti conseguenti tra cui, in ipotesi, incaso di accertata assoluta inidoneità mentale, il re-cupero delle precedenti dichiarazioni ex art. 512c.p.p.

Del resto, come ha puntualmente evidenziato laSuprema Corte, l’idoneità a rendere testimonianza èconcetto diverso, e di maggior ampiezza, rispetto aquello della capacità di intendere e volere, impli-cando, tra l’altro, sufficiente capacità mnemonica inordine ai fatti specifici oggetto della deposizione(65).

Più problematico appare il ricorso all’art. 512nelle ipotesi richiamate sub c) e d).

Quanto a quelle di cui sub c), pur potendosi rav-visare, per le ragioni ampiamente esposte, il presup-posto della irripetibilità, appare difficile ipotizzareil concorso di quello della imprevedibilità.

Si è già detto – infatti – che rientra nell’ordinenaturale delle cose – e quindi non può non essereconsiderato imprevedibile – il decadimento dellatraccia mnestica, il fenomeno dell’oblio connesso aldecorso del tempo. Inoltre, con specifico riferi-mento a singole tipologie di soggetti, ad esempio ilteste tossicodipendente, si rende prevedibile una di-menticanza più rapida per effetto del ricordato fe-nomeno dell’interferenza; lo stesso può valere perl’alcolista, per la persona anziana, per l’assuntore dipsicofarmaci, più soggetti al fenomeno della dimen-ticanza.

La conclusione sembra obbligata: il recuperomediante lettura delle precedenti dichiarazioni nonè praticabile nel caso di oblio connesso al decorsodel tempo.

Ancor meno applicabile appare l’art. 512 c.p.p.come strumento di recupero delle informazioni«trattenute» nella MBT, la cui perdita è assoluta-mente prevedibile. Con riferimento alle dichiara-zioni aventi ad oggetto tali informazioni, a ben ve-dere, si dovrebbe parlare di irripetibilità originaria enon sopravvenuta in quanto, come si è detto sub par.2, le informazioni in questione vengono conservatenella memoria il tempo strettamente necessario permetterle per iscritto o riferirle ad organi di polizia.Il riferimento all’art. 512 c.p.p. in questi casi appareimproprio e potrebbe ipotizzarsi (molto astratta-

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mente) l’inserimento di tali dichiarazioni nel fasci-colo per il dibattimento, ex art. 431 comma 1 lett.b) c.p.p.

In ogni caso è evidente che il decorso del temponon è quasi mai paragonabile ad una sorta di im-mersione nel mitologico fiume Lete, non fa «piazzapulita» dei ricordi. Se è vero che al momento delladeposizione dibattimentale il teste avrà cancellatodalla memoria i dati anonimi, esso ricorderà proba-bilmente in quali circostanze li ebbe ad apprendere,le modalità dell’apprendimento ed eventualmentegli accadimenti ad essi collegati.

Per quanto riguarda tali dati non esistono stru-menti diversi da quelli, già esaminati, della consul-tazione degli appunti e della contestazione in ausi-lio alla memoria, nell’interpretazione estensiva erazionale secondo lo scopo, che se ne è data nellaesposizione che precede.

Un’acquisizione ex art. 512 c.p.p. del verbalecontenente tali dati anonimi – oltre ad apparireinammissibile per le ragioni già esposte – compor-terebbe una sostanziale violazione del contraddit-torio, impedendo alle altre parti di controesaminareil teste su tutto ciò che attiene alle modalità di ac-quisizione delle informazioni e, inoltre, su tutti queifatti o circostanze che, pur non coincidendo conquei dati e quelle informazioni ormai cancellate,possono consentire di vagliare la credibilità del te-ste in ordine a quanto riferito – attraverso consul-tazione o a seguito di contestazione – degli stessi.

5.1. b) A seguito di accordo acquisitivo. – Lostrumento dell’acquisizione mediante accordo delleparti delle dichiarazioni rese nel corso delle inda-gini dal dichiarante che, in dibattimento, sia affettoda problemi di memoria, per quanto di scarsa inci-denza statistica, merita alcune considerazioni.

Si richiama, solo di passaggio, l’innovativo isti-tuto introdotto nel codice di rito dalla legge 16 di-cembre 1999 n. 479 (c.d. «legge Carotti»), con la ri-formulazione degli artt. 431 (secondo comma), 493(terzo comma) e 555 (quarto comma) c.p.p., checonsente alle parti di trasformare, su base consen-suale, gli atti contenuti nel fascicolo del pubblicoministero e la documentazione derivante dalle in-dagini difensive in prove equivalenti a quelle for-mate in dibattimento.

Tale meccanismo prevede l’accordo acquisitivoa partire dall’udienza di formazione del fascicoloper il dibattimento, e comunque, prima dell’escus-sione del dichiarante e pertanto prescinde dal «con-creto» vuoto di memoria dibattimentale, anche se,in alcuni casi, l’accordo può essere finalizzato aprevenire proprio tale evenienza.

Rilevano, piuttosto, i «mini-patti» ammessi daicommi 3 e 7 dell’art. 500 c.p.p. (66).

Si tratta di meccanismi acquisitivi previsti inmateria di contestazioni nell’esame testimoniale. Inciascuna delle ipotesi si tratta di accordi funzionaliall’esclusivo riflusso dibattimentale di dichiara-

zioni. La ragione di essere delle norme – che po-trebbero apparire superflue alla luce delle ricordate,generali disposizioni in tema di acquisizione con-cordata di atti – sta nella peculiarità della colloca-zione processuale del patto e dello stretto collega-mento con una prova dichiarativa contestata oincompiuta. La collocazione sistematica della di-sposizione (nell’articolo dedicato alle contestazioninell’esame testimoniale) fa ritenere ammissibilel’accordo solo all’esito di una contestazione vera epropria o al rifiuto del teste di sottoporsi all’esameo al controesame.

Quello disciplinato dal terzo comma – come giàsi è accennato – non sembra facilmente applicabileall’ipotesi in esame. Detta disposizione rende uti-lizzabili, in forza del consenso, le dichiarazioni reseda chi, nel corso dell’esame testimoniale, rifiuti dirispondere ad una delle parti. In particolare, l’ipo-tesi di consenso prevista dall’art. 500 comma 3c.p.p. permette di superare il canone di esclusioneprobatoria operante in caso di silenzio del testi-mone. La norma de qua stabilisce, infatti, la regolasecondo cui «se il teste rifiuta di sottoporsiall’esame o al controesame di una delle parti, neiconfronti di questa non possono essere utilizzati,senza il suo consenso, le dichiarazioni rese ad altraparte». Ora, stante la diversità ontologica tra il ri-fiuto di rispondere e l’impossibilità di farlo per«vuoto di memoria» la disposizione in esame potràtrovare applicazione solo nel caso – a cui si è ac-cennato – in cui la simulata dimenticanza dissimulila volontà di sottrarsi al contraddittorio. A tal fine– inutile sottolinearlo – appaiono necessarie quellecompetenze extra-giuridiche che, sole, possonoconsentire di distinguere i due diversi scenari.

Più calzante appare la fattispecie di concordatoprobatorio configurata dall’art. 500 comma 7 c.p.p.,avente ad oggetto le dichiarazioni contenute nel fa-scicolo del pubblico ministero precedentementerese dal testimone, le quali presentino punti di di-vergenza rispetto alle dichiarazioni rese in dibatti-mento. Tale meccanismo appare, in sostanza, fina-lizzato a superare il limite d’uso previsto dalcomma 2 dello stesso art. 500 c.p.p., che condizional’impiego delle dichiarazioni utilizzate per le con-testazioni al solo fine di valutare la credibilità delteste. Esso consente di acquisire le precedenti di-chiarazioni, anche al di fuori dei casi di inquina-mento della libera volontà di deporre, di cui aicommi 4 e 5 e, quindi, anche nel caso di dimenti-canza del teste. A ben vedere, l’accordo tra le partipotrebbe essere lo strumento adeguato per risolvereil «caso» del testimone immemore che si limiti a di-chiarare di aver detto la verità in sede di indagini.Peraltro, la necessità del consenso della parte (con-tro)interessata, rende lo strumento, realisticamente,poco praticabile.

5.2. c) A seguito di provata condotta illecita. –Il comma 4 dell’art. 500 c.p.p. prevede – come è

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noto – un’espressa deroga al principio affermato nelcomma 2: nel caso in cui il teste sia stato sottopostoa violenza o minaccia ovvero in suo favore vi siastata offerta o promessa di denaro o di altra utilità,affinché non deponga o deponga il falso, le sue pre-cedenti dichiarazioni contenute nel fascicolo delpubblico ministero, nonché quelle rese in dibatti-mento solo ad una parte e non anche all’antagonistasono probatoriamente utilizzabili. La violenza, laminaccia, l’offerta o la promessa devono risultareda «elementi concreti», desumibili da vicende esituazioni fornite dalle parti ovvero anche da epi-sodi o circostanze accaduti nel corso del dibatti-mento e cioè percepiti direttamente dal giudice.Rispetto al comma 5 del vecchio testo dell’art. 500,le novità del testo modificato dalla legge n. 63 del2001 sono costituite dal riferimento agli «elementiconcreti» e dall’eliminazione dell’inciso «modalitàdella deposizione». Questi cambiamenti vannointesi nel senso che la valutazione deve avvenirenell’ambito di parametri più definiti e rigorosi (enon deve essere basata solo su elementi di caratterelogico o presuntivo) e il contegno di teste (emo-zione, balbettio, sudorazione, rossore ecc.) non puòessere di per sé solo sufficiente per far ritenere chesia stata compromessa la genuinità dell’esame. Ilcontegno del teste, nel caso di asserita dimenti-canza, sarà comunque essenziale ai fini della ordi-nanza acquisitiva: il non ricordare avvenimentirecenti, riferiti dettagliatamente a distanza di temponel corso delle indagini, potrà far scattare il campa-nello d’allarme e giustificare quegli accadimentiche, ai sensi del comma 5, il giudice, su richiesta diparte, deve svolgere al fine di decidere senza ritardosull’eventuale acquisizione di cui al comma prece-dente (67).

6. La «prevenzione»: ricorso all’incidente pro-batorio. – È rimasto insoluto il problema di fondo.Come impedire che il decorso del tempo renda dif-ficile e spesso impossibile (con riferimento a circo-stanze di dettaglio o a fatti seriali) la rievocazionedei fatti da parte del teste o – sotto altra prospettiva– come evitare di fornire al teste il comodo alibi deldecorso del tempo per rispondere in modo incom-pleto, reticente, compiacente?

Lo strumento che sembra poter conciliare il prin-cipio di oralità e contraddittorio con quello dellanon dispersione dei mezzi di prova è l’assunzionedelle dichiarazioni mediante incidente probatorio.

È pur vero che la lettura, ai sensi degli artt. 511commi 1 e 2, dei verbali di incidente probatorio, giàinseriti nel fascicolo del dibattimento (art. 431 lett.e), deroga alla immediatezza; va però ricordato cheil principio dell’immediatezza nella formazionedella prova non viene accolto, nell’ambito del si-stema, nella sua accezione più rigorosa, «in quantonon ha un valore in sé, bensì è funzionale all’accer-tamento della verità e alla necessità di amministraregiustizia» (68). In ogni caso – secondo una condi-

visibile diagnosi – volere a tutti i costi una prova,che sia raccordata al contraddittorio e all’immediat-tezza, non è realisticamente possibile (69).

Del resto in un sistema che si è assuefatto all’ideadei dibattimenti ritardati è certamente preferibile uncontraddittorio senza immediatezza, propriodell’incidente probatorio, al posto di un contraddit-torio, sorretto dall’immediatezza (nel rapporto tra ilgiudice che deve decidere e la fonte di prova), mamortificato nei «ricordi», ormai sbiaditi dal tempo.«L’incentivazione dell’incidente probatorio appor-terebbe una svolta determinante in un processo chesi era preoccupato dei tempi del dibattimento soloper evitare eccessive deconcentrazioni» (70).

Tale opzione appare perfettamente compatibilecon il nuovo testo dell’art. 111 Cost., che qualificacome indefettibile il contraddittorio nella forma-zione della prova, ma non contiene un riferimentoesclusivo al contraddittorio che si realizza nel di-battimento. La norma costituzionale esclude che lacolpevolezza dell’imputato possa essere provatasulla base delle dichiarazioni rese da chi, per liberascelta, si è sempre sottratto all’interrogatoriodell’imputato o del suo difensore: è sufficiente,quindi, anche una sola verifica in contraddittoriodella deposizione, in qualsiasi fase processuale, perritenere integrata e soddisfatta la condizione dettatadal Costituente. Dunque, la centralità del contrad-dittorio nella formazione della prova solennementesancita in Costituzione non significherà sempre enecessariamente centralità del dibattimento. Al con-trario, per effetto di scelte processuali delle parti edelle vicende dei protagonisti del processo, il dibat-timento potrà configurarsi come la sede in cui con-fluiscono accertamenti in contraddittorio svolti intempi e tra soggetti diversi, anche prima del dibat-timento (71).

Valutata l’utilità e la piena compatibilità costitu-zionale, nell’ottica che qui interessa, dello stru-mento, si tratta di verificare se i presupposti norma-tivi ne consentano l’utilizzo nei casi in cui il decorsodel tempo necessario per l’escussione dibattimen-tale possa compromettere i ricordi del teste.

L’attuale quadro normativo presenta al riguardoalcune singolarità.

Il pubblico ministero che riceve da un indagatodichiarazioni contra alios ha la possibilità di evitareil pericolo sempre incombente della futura perditadi conoscenza, richiedendo al giudice un incidenteprobatorio non appena le esigenze di segretezzadelle indagini ragionevolmente lo consentano (72).L’art. 392 c.p.p., infatti non subordina ad alcunaparticolare condizione l’esame della persona sotto-posta alle indagini su fatti concernenti la responsa-bilità di altri (lett. c) e l’esame delle persone indicatenell’art. 210 (lett. d), aprendo la strada ad un intensoricorso in questo campo al contraddittorio antici-pato.

Diversa è la disciplina in materia di testimo-nianza, in quanto tale liberalizzazione non vi è stata

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e il ricorso all’incidente probatorio è consentitosolo in determinate ipotesi (infermità del teste, pre-visione di suoi futuri impedimenti, violenze, mi-nacce o indebite promesse nei suoi confronti).

Tale diversità di disciplina non sembra giustifi-cata. Se è vero, infatti, che la persona da sentire exart. 210 c.p.p. potrà scegliere in dibattimento di av-valersi della facoltà di non rispondere, con conse-guente perdita del suo precedente contributo dichia-rativo, per cui è ragionevole che si vogliacristallizzare quanto prima tali dichiarazioni (anchealla luce della regola di cui all’art. 526 comma 1 bisc.p.p.), lo stesso rischio di perdita del contradditto-rio si corre con riferimento alla prova testimoniale.Ciò non solo nel caso del prossimo congiunto, chein dibattimento potrà astenersi dal deporre, ma –quel che qui interessa – per effetto dell’oblio con-nesso al decorso del tempo: nel primo caso il sog-getto non risponde per libera scelta, nel secondoperché non è più in grado di rispondere; il risultato,ovviamente, non cambia.

Per evitare che i tempi lunghi del processo si ri-solvano in un danno per l’accertamento della veritàè necessario ridefinire gli attuali confini dell’inci-dente probatorio per le testimonianze segnatidall’art. 392 comma 1 lett. a), b) ed e) del c.p.p., alpari di quanto avvenuto per i soggetti di cui all’art.210, a mezzo della legge n. 267 del 1997 (73).

Ciò premesso e nella speranza che il legislatoresi decida a liberalizzare l’accesso all’incidente pro-batorio anche per la prova testimoniale, si tratta diverificare de iure condito se e in quali casi sia pos-sibile assumere la prova testimoniale con l’inci-dente probatorio per evitare che il teste, in un lon-tano dibattimento, esaurisca la propria prestazionecon un lapidario «non ricordo».

Il riferimento all’infermità contenuto all’art. 392sub lett. a) – non potendosi ritenere limitato alleipotesi in cui vi sia il rischio di decesso del teste –consente l’uso dello strumento in tutti i casi, soprasommariamente richiamati, in cui il teste sia affettoda patologie che comportino un rapido decadi-mento della traccia mnestica (si pensi, ad esempio,a persona affetta da arteriosclerosi o dal morbo diAlzheimer).

Si tratta di vedere quali prospettive applicativesiano associabili alla generica previsione di «altrograve impedimento» per il quale si possa fondata-mente ritenere che la persona «non potrà essere esa-minata nel dibattimento».

Un’interpretazione costituzionalmente orientata– nel senso che si è detto – induce a ritenere, anchein questo caso, che l’«impossibilità ad essere esa-minata» abbia riguardo non solo ad una previsionedi futura impossibilità a comparire della persona,ma anche alla futura «incapacità», «impossibilità»di essere esaminata perché la stessa non sarà ingrado di ricordare e, quindi, il grave impedimentopossa riferirsi alla memoria del teste.

Ciò non potrebbe, comunque, giustificare un ri-corso generalizzato all’incidente probatorio perl’assunzione delle prove testimoniali: ciò in quanto,come detto, il rischio della perdita totale del ricordodeve ritenersi limitato a determinati fatti e a deter-minate categorie di soggetti.

Se, da un lato – come si è visto – fatti gravi dicui si sia stati vittime in genere rimangono nellamemoria per tutta la vita, dall’altro il rischio oblioè particolarmente elevato nei casi di deposizioniaventi ad oggetto fatti secondari (con scarso effetto-imprinting) o ripetitivi (su cui opera il fenomenodell’interferenza), o – nell’ottica del soggetto – neicasi in cui la persona che dovrà essere sentita facciauso di sostanze stupefacenti, alcolici, psicofarmaci.

Si tratta, allora, di operare una selezione e, a talfine, potrà essere opportuno avvalersi di un ausiliotecnico, di un consulente che, in considerazionedelle caratteristiche tipologiche del soggetto e dellanatura delle informazioni su cui dovrà essere sen-tito, possa avvalorare la richiesta di incidente pro-batorio, nei casi in cui l’escussione dibattimentale èa rischio oblio.

In attesa dell’auspicata riformulazione dell’art.392 lett. a) e b) c.p.p., precludere l’accesso all’in-cidente probatorio, anche nei casi in cui sia con-creto – per le ragioni predette – il rischio che in di-battimento la deposizione si risolva in un nonricordo, significa condannarsi ad una gratuita per-dita di conoscenza e di contraddittorio. Non sembraragionevole impedire la lettura delle precedenti di-chiarazioni, ex art. 512 c.p.p., stante la prevedibilitàdella irripetibilità e, nel contempo, non preveniretale irripetibilità con lo strumento fornito dall’art.392.

7. La funzione general-preventiva dell’art. 372c.p. – È stato acutamente osservato che nel nostrosistema processuale restano vistose carenze e moltelacune da colmare per realizzare un funzionaleassetto del contraddittorio (74). In primo luogo, nonsono stati adottati alcuni corollari essenziali dellanuova disciplina del contraddittorio che pure eranostati oggetto di discussione nei lavori parlamentaridella legge n. 63 del 2001: la riscrittura del reato difalsa testimonianza – con l’elevazione del minimodella pena edittale – e l’introduzione del giudiziodirettissimo obbligatorio per legge per tale reato.

Per un verso – si sostiene (75) – l’esigenza di unapiù severa disciplina del reato di falsa testimo-nianza non sembra contestabile nel momento in cuiil contraddittorio si costituisce come il veicolo pres-soché esclusivo della conoscenza processuale. Peraltro verso, l’idea di adottare la procedura del giu-dizio direttissimo obbligatorio sembra l’unica ingrado di assicurare rapidità ed incisività nell’operadi accertamento e di repressione di condotte crimi-nose che compromettono spesso irrimediabilmentela ricerca della verità (76).

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In sostanza, a differenza di quanto normalmenteavviene nei Paesi in cui esiste il processo accusato-rio, il nostro ordinamento non ha ritenuto di dovermettere in campo un forte deterrente nei confrontidei testi renitenti, reticenti o falsi.

Ma al di là di tali evidenti lacune normative, perquel che qui interessa, il punto dolente nei casi di re-ticenza del teste è, prima di tutto, un problema di ac-certamento del reato.

In questi casi, infatti, appare all’evidenza comela cifra nera e i meccanismi di selezione penale ope-rino in modo implacabile: assai raramente viene di-sposta la trasmissione degli atti al P.M. per ipotesidi reticenza, ancor meno sono i casi in cui per taliipotesi si giunge ad un rinvio a giudizio e rarissimele condanne.

I tempi del processo, in uno con il rimarcato de-ficit culturale, sembrano prestare un comodo alibi alteste che intenda rifugiarsi nel non ricordo, nella ra-gionevole presunzione che nessuno potrà smentiretale assunto.

Perseguire e sanzionare i casi in cui la dedotta di-menticanza serva a dissimulare reticenza o rifiuto dirispondere (a cui la legge, come si è detto, ricollegasanzioni penali e processuali) è evidentemente unanecessità vitale del sistema.

Come si è detto parlando del funzionamentodella memoria, le attuali conoscenze scientifichepossono consentire di orientarsi nella valutazionedelle singole situazioni concrete: il che dovrebbe in-durre a maggiore cautela prima di «liquidare» le in-dagini con una richiesta di archiviazione motivataex art. 125 att. c.p.p.

Così, ad esempio, con riferimento alle tipologiedi risposte del teste (asseritamente) immemore chesi sono esaminate parlando dei possibili esiti dellecontestazioni testimoniali, appare chiaro che talunedi esse meritano sicuramente un approfondimentoin sede penale.

Si pensi al teste che dopo essere stato sentito(magari anche più volte) nel corso delle indaginipreliminari dichiari in dibattimento di non ricordareneanche il fatto storico di aver reso le precedenti di-chiarazioni o di non ricordare i fatti (rievocati piùvolte) o di non ricordare se le precedenti dichiara-zioni corrispondessero al vero (come se l’aver men-tito, con il coinvolgimento emozionale che com-porta, possa essere facilmente dimenticato!).

Più in generale merita sicuramente un serio ac-certamento penale ogni asserita dimenticanza difatti rilevanti, oltretutto già rievocati in sede di in-dagini preliminari e, quindi, stabilizzati nella me-moria.

In tutti i casi in cui si procede per reticenza potràessere utile – sia per le parti processuali, sia per ilgiudicante – avvalersi dell’ausilio peritale.

Non si tratta ovviamente di farsi dire dal consu-lente o dal perito se il teste abbia mentito ma di ac-certare o farsi chiarire quanto segue:

– l’esistenza o meno in capo all’indagato di pa-tologie che incidono sulla memoria;

– l’incidenza di determinate caratteristiche delsoggetto (da accertarsi attraverso specifiche inda-gini o acquisite tramite interrogatorio) sulla capa-cità di ricordare: si pensi all’uso di alcolici, stupe-facenti, psicofarmaci; all’età, ecc.;

– tempi e modalità dell’oblio tenendo conto dellanatura delle informazioni e di eventuali rapporti diinterferenza.

È singolare che in tali tipi di indagini e di giudizinon si ricorra ad ausili tecnici che possono consen-tire con accertamenti rapidi e poco dispendiosi diconfortare l’ipotesi accusatoria con contributi scien-tifici di sicura utilità (anche se, ovviamente, mai diper sè decisivi) e, quindi, renderla meno evane-scente.

La valorizzazione dell’art. 372 c.p. nell’otticaqui privilegiata appare indispensabile a fini di pre-venzione generale.

In caso contrario è evidente che al rigore nell’af-fermare il principio cardine del processo accusato-rio – il contraddittorio nella formazione della prova– non si accompagna un eguale rigore nel garantirel’effettività e la genuinità del contraddittorio, con unsicuro pregiudizio per l’equilibrio e la funzionalitàdel processo penale.

(1) Così DANOVI, Uso dilatorio degli strumenti pro-cessuali e profili deontologici, in Rass. for. 1998, p. 241.

(2) GIARDA, I tempi processuali nel sistema del nuovoprocesso penale, in Profili del nuovo processo penale, Pa-dova 1988, p. 141.

(3) MENCARELLI, Tempo e processo. Profili sistemati-ci, in Giust. pen. 1975, III, 13.

(4) FERRUA, Garanzie formali e garanzie sostanzialinel processo penale, in Quest. giust. 2001, p. 1116.

(5) FERRUA, Op. e loc. ult. cit.(6) FERRUA, Op. cit., p. 1117.(7) FERRUA, Op. cit., p. 1118.(8) CARNELUTTI, Lezioni sul processo penale, I, Roma

1946, pp. 117-118; CARNELUTTI, Il testimonio, questosconosciuto!, in Riv. dir. proc. 1967, p. 183.

(9) Sull’argomento cfr., in particolare, BADDELEY, Lamemoria umana, trad. it., Bologna 1992, che rappresentauna trattazione molto ampia dei temi classici: tipi di me-moria, organizzazione delle informazioni, oblio, recuperodell’informazione, amnesia ecc. Altri testi di approfondi-mento, in italiano, sono rappresentati, tra gli altri, daCARNOLDI, Apprendimento e memoria nell’uomo, Torino1986; RONCATO-ZUCCO, I labirinti della memoria, Bolo-gna 1993. Per una più agevole consultazione: cfr.LEGRENZI, Manuale di psicologia generale, Bologna1994, p. 251 ss. Cfr., infine tra i testi di psicologia giuri-dica, DE CATALDO NEUBURGER, Psicologia della testimo-nianza e prova testimoniale, Milano 1988; GULOTTA,Strumenti concettuali per agire nel nuovo processo pe-nale, Milano 1990.

(10) Il testo più completo sulla memoria a breve ter-mine è quello di BADDELEY, La memoria di lavoro, tra. it.,Milano 1990. La validità della distinzione tra MBT eMLT trova sostegno e al contempo applicazione nellaclassificazione di alcuni disturbi neuropsicologici. Adesempio pazienti affetti dalla sindrome di Korsakov (che

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si presenta in pazienti alcolisti che per un lungo periodohanno bevuto troppo e mangiato troppo poco), mostranoun buon ricordo immediato e una totale incapacità di con-servare le informazioni nella MLT. Per converso, gravidisturbi della MLT non coinvongono la MBT. Senza con-siderare che ci sono soggetti che hanno una MLT intattae MBT carente. Un’altra prova dell’esistenza dei suddettisistemi mnestici separati è fornita dai pazienti con lesionecerebrale nella regione dell’ippocampo, i quali non mo-strano difficoltà a ricordare abilità ed informazioni ap-prese prima della lesione, ma sono gravemente impeditinel ricordo di nuovi dati. In particolare, non riescono arendere stabile l’approfondimento. Sembra quindi che ildisturbo riguardi l’incapacità di trasmettere le nuove in-formazioni dalla MBT alla MLT. Questo tipo di disturboappare legato al consolidamento della traccia mnestica.Un evento traumatico, come un forte colpo alla testa ouna corrente elettrica fatta passare attraverso il cervello,impedisce il percorso fisiologico di consolidamento dellatraccia, con conseguente perdita completa dell’informa-zione.

(11) LEGRENZI, Op. cit., p. 269.(12) LEGRENZI, Op. cit., p. 277. Dato che la memoria

riguarda la codifica ed il recupero delle informazioni, lestrategie di memoria possono opportunamente essere di-stinte in: a) strategie di codifica che vengono messe inatto in fase di elaborazione del materiale (ad esempio: lareiterazione è una tipica strategia di codifica); b) strategiedi recupero che vengono attivate nel momento in cui ser-ve un’informazione che si sa possedere in memoria, e checonsistono nell’utilizzo di «chiavi» d’accesso al ricordo.Va inoltre evidenziato lo stretto legame tra attenzione ememoria. Bisogna aver colto le cose, prima di poter diredi averle dimenticate. Spesso diciamo di aver dimenticatoqualcosa quando in realtà sarebbe più corretto affermareche non l’abbiamo mai recepito, non vi abbiamo mai pre-stato attenzione in modo cosciente. D’altra parte, se qual-cosa non ci interessa risulta anche molto difficile da ri-cordare. Tanto meno il materiale è significativo, tanto piùè difficile mantenere viva l’attenzione e costante l’inte-resse. Per contro più il materiale è significativo e più fa-cile è apprenderle. Le parole sono più facili da ricordareche le sillabe senza senso. Le frasi sono più facili da ri-cordare che non serie causali di parole. A tutti i livelli dipregnanza di significato influisce sul ricordo. La serie dicifre costituisce uno dei materiali più difficili da ricorda-re. I numeri infatti hanno poco significato ed è più facileconfonderli.

(13) LEGRENZI, Op. cit., p. 297.(14) V. i riferimenti in LEGRENZI, Op. e loc. cit.(15) COSTIA, Programmazione e controllo dei com-

portamenti, Milano 1985.(16) Così, è stato dimostrato che l’oblio è minore

quando durante l’intervallo di tempo considerato i sog-getti non erano occupati in alcun tipo di apprendimentoe riposavano ed era un po’ maggiore se erano impegnatinell’apprendere materiali molto differenti da quelli ori-ginari, come cifre o sillabe senza senso. L’oblio inveceaumentava quando dovevano imparare altri aggettivi e di-veniva massimo se questi erano simili per significato aquelli appresi in origine.

(17) Vi sono tecniche più sensibili al ricordo di altre.Informazioni che non vengono ricordate in una prova dirievocazione libera, possono essere recuperate con op-portuni suggerimenti (cue) nella tecnica della rievocazio-

ne guidata o riconosciute se presentate insieme a dei di-strattori.

(18) Posizioni interpretative che peraltro – come sidirà – sembrano trovare un valido supporto nel dato nor-mativo, o, meglio in alcune ambiguità e/o irrazionalitànella formulazione dello stesso.

(19) Così: Cass., sez. VI, 30 giugno 1994, Logrande,in C.E.D. Cass. n. 199454 in cui si è peraltro precisato,con riferimento a tale ipotesi-limite: «purché, ovviamen-te, il giudice provveda poi ad un’adeguata verificadell’attendibilità del teste».

(20) Cass., sez. I, 8 giugno 1994, Morabito, in C.E.D.Cass. n. 199911.

(21) Cass., S.U., 24 gennaio 1996, Panigoni, in Cass.pen. 1996, 2892. In tale pronunzia è stato affermato, tral’altro, il principio secondo cui la facoltà dell’ufficiale odell’agente di polizia giudiziaria, esaminato come testi-mone, di servirsi dei verbali e degli altri atti di documen-tazione delle attività compiute dalla polizia giudiziaria,deve ritenersi estesa, dopo la sentenza n. 24 del 1992 del-la Corte costituzionale, ai verbali delle dichiarazioni ac-quisite da testimoni. Principio da ritenersi, evidentemen-te, superato a seguito della (re)introduzione del divieto ditestimonianza indiretta di cui all’art. 196 comma 4 c.p.p.,195 comma 4 c.p.p.

(22) Cass. 29 ottobre 1999, De Stefani, in Cass. pen.2001, 2164.

(23) Dalla lettura della lunga e complessa motivazio-ne della sentenza n. 6504 emerge che essa non mette af-fatto in discussione la distinzione operata dalle SezioniUnite tra fatti storici e dati anonimi e conseguente diver-sificazione nelle modalità di consultazione.

(24) Stante la previsione di carattere generale di cuiall’art. 499 comma 5 c.p.p. non sarebbe stato forse ne-cessaria l’ulteriore specifica previsione di tale facoltà afavore degli ufficiali ed agenti di P.G., prevista dalla se-conda parte del secondo comma dell’art. 514 c.p.p. ameno che non si ritenga che tale previsione valga a con-sentire in ogni caso, a prescindere dalla preventiva auto-rizzazione del giudice, di consultare i verbali e la docu-mentazione: il che non sarebbe irragionevole, tenutoconto della natura degli atti di cui si discute.

(25) Sulla problematica v., da ultimo, CANTONE, Laprova documentale, Milano 2004, p. 38 ss. e note di ri-chiami.

(26) Sia consentito il rinvio a FANULI, Inutilizzabilitàe nullità della prova nel giudizio abbreviato, nel «pat-teggiamento» e nell’istituto dell’acquisizione degli atti suaccordo delle parti, Milano 2004, p. 25 ss.

(27) Cfr. GALANTINI, L’inutilizzabilità della prova nelprocesso penale, Padova 1992, p. 5 ss. In giurisprudenzacfr. la già citata Cass. 29 ottobre 1999, De Stefani, inCass. pen. 2001, 2164.

(28) Cass., sez. I, 8 giugno 1994, Morabito, in C.E.D.Cass. n. 199911.

(29) Cass., sez. II, 1 aprile 1999, Ventrice, in C.E.D.Cass. n. 213308, riguardante, anch’essa, la consultazionedi atti di indagine non personalmente sottoscritti dal te-stimone appartenente alla P.G.

(30) Cass., sez. IV, 12 ottobre 2004, Russo, in Guidadir. 2004, fasc. n. 45, p. 62.

(31) La portata del dictum avrebbe meritato, peraltro,un adeguato apparato argomentativo, mentre la motiva-zione della sentenza appare sin troppo sintetica e sostan-zialmente assertiva.

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(32) V. i riferimenti in DE CATALDO NEUBURGER, Op.cit., p. 110. Più in generale cfr. STONE, La cross-exami-nation. Strategie e tecniche, Milano 1990.

(33) DE CATALDO NEUBURGER, Op. e loc. ult. cit.(34) Cit., da DE CATALDO NEUBURGER, Op. cit., p.

111.(35) V. le pronunzie c i ta te da DE CA T A L D O

NEUBURGER, Op. e loc. ult. cit.(36) Così: Cass., sez. III, 9 marzo 1995, n. 2352, De

Tutti, in C.E.D. Cass. n. 201965.(37) Cfr., tra gli altri, ILLUMINATI-GREVI, La nuova di-

sciplina in materia di prova, in AA.VV., Compendio diprocedura penale, appendice di aggiornamento, Padova2001, 122, secondo cui anche la risposta reticente consistepur sempre in una deposizione, il cui contenuto, come ta-le, può essere senz’altro oggetto di contestazione». Conriferimento all’originario assetto del codice 1988, cfr.FERRUA, Anamorfosi del sistema accusatorio, in Studi sulprocesso penale, vol. II, p. 176; TERRILE, Utilizzabilità di-battimentale delle dichiarazioni rese fuori del dibattimen-to, in Cass. pen. 1990, p. 1623.

(38) Cfr. CONTI G., La formazione della prova in di-battimento, in AA.VV., Giusto processo e prove penali,Milano 2001, p. 187. In precedenza, cfr. GRIFANTINI, Uti-lizzabilità in dibattimento degli atti provenienti dalle fasianteriori, in AA.VV., La prova nel dibattimento penale,Torino 1999, p. 137 ss.

(39) Cfr. Atti Camera, Commissione giustizia, sedutadel 13 settembre 2000, p. 22 ss.

(40) CONTI C., La disciplina delle contestazioni incorso di esame, p. 13 della relazione all’incontro di studiorganizzato dal C.S.M. sul tema: «Il nuovo statuto dellaprova dichiarativa», Roma 20-21 giugno 2002, in Inter-net, sito www.CSM.it.

(41) POTETTI, Le contestazioni al testimone reticente oche non ricorda, in Cass. pen. 2003, p. 2608.

(42) ROSSI, La disciplina delle contestazioni in corsodi esame, relazione all’incontro di studi organizzato dalC.S.M. sul tema: «Il nuovo statuto della prova dichiara-tiva», Roma 16-17 dicembre 2002, in Internet, sitowww.CSM.it; CONTI G., La formazione della prova in di-battimento, cit.

(43) CONTI C., La disciplina delle contestazioni incorso di esame, cit.

(44) CONTI G., La formazione della prova in dibatti-mento, cit., p. 190.

(45) CONTI C., La disciplina delle contestazioni incorso di esame, cit., p. 14, nota 36.

(46) ROSSI, La disciplina delle contestazioni in corsodi esame, cit.

(47) CONTI C., La disciplina delle contestazioni incorso di esame, cit., p. 14.

(48) Op. e loc. ult. cit.(49) Così: POTETTI, Le contestazioni al testimone re-

ticente o che non ricorda, cit., p. 2612, il quale cita a con-forto le pronunzie della Suprema Corte: Cass., sez. III, 9marzo 1995, n. 2352, De Tutti, cit.; Cass., sez. II, 24 aprile1997, Fortunato, in Dir. pen. e proc. 1997, p. 806 ss.

(50) Cass., sez. V, 14 febbraio 2003, n. 7379, Casa-menti, in Dir. giust. 2003, fasc. n. 1, p. 103.

(51) In tal senso: ROSSI, Op. e loc. cit. Contra:MADDALENA, Riforma del sistema probatorio e ruolo delpubblico ministero, in AA.VV., Giusto processo e provepenali, cit., p. 36. Secondo l’A. anche le ammissioni di ef-fettività valgono ad immettere pienamente le dichiarazio-ni rese nella fase delle indagini nell’ambito del contrad-

dittorio dibattimentale e consentono perciò di utilizzarleai fini della prova dei fatti in essi rappresentati, in pre-senza di elementi che le facciano ritenere veritiere.

(52) Decisamente schierato per l’uso probatorio del ri-chiamo alla precedente dichiarazione, della cui veridicitàil teste si fa in un certo senso garante, MADDALENA, Op.cit., p. 36. Contra: ROSSI, Op. cit., par. 6.3, che ritiene inquesto caso inammissibile persino l’uso contestativo delleprecedenti dichiarazioni, in quanto contrastante con la na-tura stessa della contestazione, «strumento che mira a faremergere l’esistenza nel racconto del dichiarante di sco-stamenti e contraddizioni rispetto a quanto dichiarato indibattimento e non a produrre generiche conferme o a sti-molare racconti sopiti».

(53) CONTI C., Op. cit., p. 15.(54) FERRUA, L’indagine entra nel dibattimento solo

attraverso il contraddittorio, in Dir. & Giust. 2001, fasc.7, p. 9. Improntati a cautela appaiono anche i contributi diPOTETTI, Op. e loc. ult. cit. e CONTI C., Op. e loc. ult. cit.

(55) FERRUA, Op. e loc. ult. cit.(56) Secondo POTETTI, Op. cit., p. 2617, in questi casi,

ad analizzare la risposta del teste è facile avvedersi cheoggetto della dichiarazione di scienza fatta dal teste nonsono i fatti rilevanti per il processo (ad es. tipo e coloredi un certo veicolo usato per una rapina, numero dei ra-pinatori e connotati fisici degli stessi), ma un altro e di-verso fatto (e cioè il fatto che il teste abbia riferito i fattirilevanti alla polizia giudiziaria secondo verità). In praticail teste immemore in questo caso dichiara che tra i fatti re-almente accaduti e quelli riferiti alla polizia giudiziaria viè identità; ma non dice (perché non lo ricorda) ciò che in-teressa al processo, e cioè quali siano questi fatti.

(57) È indubbio, peraltro, che la deposizione del testeproprio perché in tal modo sollecitata va affidata alla pru-dente valutazione di attendibilità da parte del giudice.

(58) V., le preoccupazioni espresse da ROSSI, Op. eloc. ult. cit.

(59) Va segnalato come non sono mancate opinionisecondo cui l’ipotesi di eccezione al contraddittorio persopravvenuta irripetibilità dell’atto sarebbe dissonante ri-spetto alla scelta di fondo contenuta nel comma 4 dell’art.111 Cost. Si è detto che permettere il transito degli atti in-vestigativi nel processo, significherebbe compromettereseriamente la riuscita di un sistema accusatorio, verso ilquale la stessa norma suprema ha dimostrato di non tenerepiù un atteggiamento di neutralità o di indifferenza. In-vece, con la lettura degli atti irripetibili, i meccanismi diconoscenza che per autore, contesto, per garanzie e per fi-nalità non sono equiparabili alla prova, diventerebbero ta-li, in virtù di eventi legati alla salute o, comunque, allasorte del dichiarante. In altri termini, il grave deficit me-todologico, dipendente da un evento non imputabileall’imputato, finirebbe per gravare sull’attendibilità delladecisione, calpestando i diritti dell’accusato. In tale ottica– si sostiene – sarebbe preferibile affrontare i costi di unatotale dispersione delle dichiarazioni predibattimentali, ameno che non vi sia accordo delle parti alla acquisizioneovvero inquinamento o intenzionale distruzione della fon-te di prova (cfr. GIOSTRA, Analisi e prospettive di un mo-dello probatorio incompiuto, in Quest. giust. 2001, 1132).

(60) Corte cost. 19 gennaio 1995, Choukri, in Giur.cost. 1995, p. 232 ss.

(61) Il giudice a quo era stato chiamato a decideresull’acquisizione al fascicolo per il dibattimento del ver-bale di una «individuazione fotografica» effettuata da untestimone nell’immediatezza del fatto. Tale atto era di-

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ventato irripetibile a causa dell’incapacità della teste diricordare alcunché in merito all’esito dello stesso, nonchédi focalizzare nella memoria l’immagine della personaall’epoca riconosciuta. Il giudice a quo riconosceva, d’al-tra parte, che tale impossibilità di ripetizione non potevaritenersi imprevedibile al tempo delle indagini, stante daun lato l’età già matura della teste, e dall’altro il lungolasso di tempo che sarebbe verosimilmente trascorso trail fatto e la celebrazione del dibattimento. Riteneva quin-di che la norma censurata, in quanto prevede limiti estra-nei ed ulteriori (in particolare, l’imprevedibilità dell’irri-petibilità) all’operatività delle deroghe al principio delcontraddittorio nella formazione della prova, si porrebbein contrasto con l’art. 111, quinto comma, Cost., ove si fariferimento solo alla «accertata impossibilità di naturaoggettiva» della ripetizione della prova.

(62) Corte cost. 19-22 novembre 2001, n. 375, inCass. pen. 2002, p. 1355 ss., n. 373.

(63) GULLOTTA, Op. cit., p. 134 ss. e rif. bibl.(64) GULLOTTA, Op. cit., p. 135 ss. Al riguardo FREUD

suggerì che gran parte delle dimenticanze di cui siamovittime quotidianamente potrebbe avere la sua originenella rimozione di fatti associati a problemi emotivi per-sonali (cfr. LEGRENZI, Op. cit., p. 304). Secondo la teoriadella rimozione alcuni ricordi sono inaccessibili, non per-ché la traccia mnestica si sarebbe disgregata ma perché laloro presenza a livello conscio sarebbe inaccettabile acausa dell’angoscia ad essi associata. Tale ipotesi può es-sere utile a spiegare le singole amnesie che manifestano

in alcuni casi le vittime minorenni di atti di violenza ses-suale (specialmente se ad opera di un prossimo congiun-to).

(65) Cass., sez. I, 28 marzo 1997, n. 2993, Taliento,in C.E.D. Cass. n. 207225.

(66) Per approfondimenti e richiami, cfr. FANULI,Nullità e inutilizzabilità, cit., 98.

(67) Sulla natura informale e semplificata di tali ac-certamenti, cfr. Ass. Palermo 10 febbraio 2003, in Cass.pen. 2004, 1372, con nota di F.PONZETTA.

(68) TONINI, La prova penale, Padova 2001, p. 236.(69) D. SIRACUSANO, Urge recuperare l’oralità, in

Dir. pen. e proc. 1997, p. 527.(70) Così: D. SIRACUSANO, Op. e loc. cit. il quale se-

gnala opportuni correttivi normativi finalizzati a consen-tire che in sede di incidente probatorio il contraddittoriopossa trovare la sua massima possibile estensione.

(71) Cfr. N. ROSSI, La disciplina di attuazionedell’art. 111 della Costituzione. Dalla perdita di saperealla perdita di contraddittorio, in Quest. giust. 2001,1155.

(72) Ritiene che tale scelta processuale sia per il P.M.sostanzialmente obbligata, N. ROSSI, La disciplina di at-tuazione dell’art. 111 della Costituzione, cit., p. 1154.

(73) N. ROSSI, La disciplina delle contestazioni incorso di esame, cit.

(74) Op. e loc. ult. cit.(75) Op. e loc. ult. cit.(76) Op. e loc. ult. cit.