Il voto del 25 maggio e la volatilità elettorale

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|14| di Antonio Floridia Direttore dell’Osservatorio elettorale della Regione Toscana Il voto del 25 maggio e la volatilità elettorale L’analisi del voto del 25 maggio, man mano che sono dispo- nibili studi e ricerche più approfondite, si presenta piuttosto semplice: tutt’altro che semplice, invece, è la discussione sulle implicazioni politiche di questi risultati. Dal punto di vista dell’analisi del voto europeo, si fa presto ad elencare i fattori e i fenomeni che spiegano il risultato: a) la presenza di un “astensionismo asimmetrico”: ossia, il ca- lo dei votanti non si è distribuito uniformemente tra le forze politiche, ma ha “colpito” alcune di esse più di altre. In parti- colare, sono stati ex-elettori del centrodestra e, in una certa misura del M5S, a far crescere la percentuale dei non-votanti; b) l’elevatissimo livello di “fedeltà” degli elettori del PD; c) tuttavia, in presenza di un elevato astensionismo, soltan- to la “tenuta” degli elettori PD del 2013 non sarebbe stata suf- ficiente ad ottenere quella percentuale così elevata (40,8%) che è apparsa così sorprendente. Il PD acquisisce “in entrata” oltre due milioni e mezzo di voti “nuovi”, che provengono in par- ticolare (e il dato è confermato da tutte le analisi dei “flussi” nelle varie aree del paese) dall’area centrista di “Scelta civica”, praticamente “prosciugata”, e solo in parte da ex-elettori del M5S (molti meno di quanti si è detto o sperato…); d) infine, il quadro non sarebbe completo, se non si rilevasse un altro fenomeno, che peraltro suona come una conferma di

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Il contributo di Antonio Floridia sul quinto numero di Firenze Dispari, "Che sinistra?"

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di Antonio Floridia

Direttore dell’Osservatorio

elettorale della Regione Toscana

Il voto del 25 maggio e la volatilità elettorale

L’analisi del voto del 25 maggio, man mano che sono dispo-nibili studi e ricerche più approfondite, si presenta piuttosto semplice: tutt’altro che semplice, invece, è la discussione sulle implicazioni politiche di questi risultati.

Dal punto di vista dell’analisi del voto europeo, si fa presto ad elencare i fattori e i fenomeni che spiegano il risultato:a) la presenza di un “astensionismo asimmetrico”: ossia, il ca-lo dei votanti non si è distribuito uniformemente tra le forze politiche, ma ha “colpito” alcune di esse più di altre. In parti-colare, sono stati ex-elettori del centrodestra e, in una certa misura del M5S, a far crescere la percentuale dei non-votanti;b) l’elevatissimo livello di “fedeltà” degli elettori del PD;c) tuttavia, in presenza di un elevato astensionismo, soltan-to la “tenuta” degli elettori PD del 2013 non sarebbe stata suf-ficiente ad ottenere quella percentuale così elevata (40,8%) che è apparsa così sorprendente. Il PD acquisisce “in entrata” oltre due milioni e mezzo di voti “nuovi”, che provengono in par-ticolare (e il dato è confermato da tutte le analisi dei “flussi” nelle varie aree del paese) dall’area centrista di “Scelta civica”, praticamente “prosciugata”, e solo in parte da ex-elettori del M5S (molti meno di quanti si è detto o sperato…);d) infine, il quadro non sarebbe completo, se non si rilevasse un altro fenomeno, che peraltro suona come una conferma di

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un dato “storico”: sono pochissimi gli elettori di centrodestra che “passano” direttamente al voto per il centrosinistra; e) solo un clamoroso errore politico di Grillo (avere alzato le aspettative e usato toni aggressivi) ha permesso di leggere co-me una “sconfitta” il risultato del M5S: che, in realtà, ottiene un risultato tutt’altro che scontato e irrilevante. Soprattutto, emerge un dato: “la cultura”, la visione delle cose, che trasmet-te Grillo continua ad avere una forte presa in vasti strati dell’e-lettorato e non sembra destinata a dissolversi tanto facilmente.

Il voto amministrativo, poi, presenta alcune peculiari-tà: nel complesso, il centrosinistra guadagna il controllo di molti nuovi Comuni, ma il dato più evidente è l’elevatissi-mo numero di “ribaltamenti”, specie in occasione dei ballot-taggi. Non sono ancora disponibili dati completi, ma vi è poi un altro fenomeno da segnalare: la drastica riduzione del vo-to “personale” ed “esclusivo” ai candidati sindaci. A spiega-re questo dato, vi è una ragione “tecnica” (la nuova struttura della scheda, che non facilitava l’espressione di un voto al so-lo candidato), ma anche un dato politico: è cresciuta la fram-mentazione dell’offerta (il numero delle liste in gara) e con-seguentemente ha pesato molto di più la competizione tra i candidati alla carica di consigliere.

In generale, e anche per il PD, vi è una notevole disparità tra il voto “politico” e il voto amministrativo: anche qui una conferma di un dato oramai strutturale del comportamento elettorale, ossia la progressiva estinzione di una tipologia di voto tradizionalmente definito di “appartenenza”, ossia un vo-to motivato essenzialmente da un’affermazione di un’identità politico-culturale, quale che fosse l’“arena” elettorale, nazio-nale o locale. Se un voto “ideologico” permane, si potrebbe di-re anzi che va cercato a destra: nella fedeltà indiscussa che una fetta consistente di elettori, nonostante tutto, continua a di-mostrare nei confronti di Berlusconi.

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In questo quadro, anche la progressiva caduta della parte-cipazione elettorale va vista in modo “disincantato”: non sem-pre e non necessariamente, come un allontanamento dalla “politica”, ma come un rifiuto specifico dell’“offerta” presen-te in quel momento. Accanto ad un astensionismo “struttura-le” (elettori, cioè, che non vanno più a votare), c’è una quota crescente (stimabile intorno al 20% dell’elettorato) di astensio-nismo “intermittente” (elettori, cioè, che decidono di volta in volta se andare a votare). Si tende poi a giudicare l’astensioni-smo come un distacco “dai partiti”, o una protesta “contro i partiti”: in realtà vale anche l’opposto, ossia la sempre più de-bole presenza organizzativa dei partiti impedisce che la poli-tica giunga a coinvolgere anche gli elettori “marginali”, quelli meno motivati, quelli che non seguono i talk-show televisivi…

Ma il dato saliente di questa tornata elettorale va visto nella crescente “volatilità” dell’elettorato: lo scorso anno si stima che circa il 40% degli elettori abbia cambiato voto e quest’anno sem-bra che ci si avvicini ancora a questo dato. Non solo, ma sembra che una fetta consistente degli elettori decida se e come votare ne-gli ultimi giorni, o addirittura nel momento di entrare in cabina.

Ci sono due diverse scuole di pensiero, su questo punto: ci sono i cantori della politica “post-ideologica”, secondo cui que-sto elettore “volatile” sarebbe un prototipo di cittadino oramai svincolato da logiche ideologiche, che vota sulla base delle idee e delle proposte che trova “sul mercato”, che si muove libero da ogni pastoia….Ci sono, invece, coloro (e io mi considero tra questi) che non giudicano questa volatilità come un dato ras-sicurante per la nostra democrazia. La spiegazione della “vola-tilità” elettorale ci sembra un’altra: siamo di fronte ad un’opi-nione pubblica senza oramai stabili riferimenti, dis-orientata, esposta alle più svariate e improvvise suggestioni…

La chiave per comprendere l’esito del voto, insomma, si può racchiudere in una sorta di equazione: partiti dalla debo-

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e la volatilità elettorale

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Partiti dalla debole identità politica

e culturale, sommati ad elettori senza più

appartenenze stabili, producono una miscela

esplosiva di volubilità e aleatorietà

le identità politica e culturale, sommati ad elettori senza più appartenenze stabili, producono una miscela esplosiva di vo-lubilità e aleatorietà. Si può esaltare questo fatto e pensare di essere oramai entrati trionfalmente nell’era “post-moderna”, e che in futuro avremo a che fare solo con elettori dalla sogget-tività contingente e mutevole; si può pensare invece che tutto ciò non sia affatto rassicurante per la nostra democrazia; e che ci si debba porre il problema di ricostruire dei partiti: rinno-vati quanto si vuole, ma degni di questo nome.

Ma, quale che sia la lettura che si dà di questa volatilità, un dato è certo: il voto del 25 maggio è un voto “infido”, un voto ben difficile da “stabilizzare”. E Renzi, a differenza di altri, mi sem-bra lo abbia ben capito, mostrando una certa prudenza. È ine-vitabile, tuttavia, chiedersi come il PD possa pensare di conso-lidare questa “onda anomala” di cui ha beneficiato. La risposta più comune, a cui anche Renzi indulge, è quella di dire: “non bi-sogna deludere le speranze suscitate”…e quindi non resta altro da fare che “accelerare”… “fare le riforme” (ma quali, e come?). Ora, senza dubbio, una parte della scommessa (ed è una scom-messa al alto rischio) il PD di Renzi la può giocare e sperare di vincere sul terreno dell’azione di governo e dei risultati che rie-sce a “portare a casa”… E non sarà facile, come sappiamo.

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