IL VISSUTO DELIL VISSUTO DEL PAZIENTEPAZIENTE …

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1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE Corso di Studi in Infermieristica Corso di Studi in Infermieristica Corso di Studi in Infermieristica Corso di Studi in Infermieristica Tesi di Laurea Tesi di Laurea Tesi di Laurea Tesi di Laurea IL VISSUTO DEL IL VISSUTO DEL IL VISSUTO DEL IL VISSUTO DEL PAZIENTE PAZIENTE PAZIENTE PAZIENTE EMATOLOGICO IMMUNODEPRESSO EMATOLOGICO IMMUNODEPRESSO EMATOLOGICO IMMUNODEPRESSO EMATOLOGICO IMMUNODEPRESSO DURANTE IL PERIODO DI ISOLAMENTO DURANTE IL PERIODO DI ISOLAMENTO DURANTE IL PERIODO DI ISOLAMENTO DURANTE IL PERIODO DI ISOLAMENTO A.A A.A A.A A.A 2012 2012 2012 2012 - 2013 2013 2013 2013 Relatore: Laureanda: Dott.ssa Loriana Degano Nicole Piccoli Co-Relatore: Dott.ssa Chiara Comuzzi Dott.ssa Cristina Nin ANNO ACCADEMICO 2012/2013 ANNO ACCADEMICO 2012/2013 ANNO ACCADEMICO 2012/2013 ANNO ACCADEMICO 2012/2013

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINEUNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINEUNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINEUNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE

DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHEDIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHEDIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHEDIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE

Corso di Studi in InfermieristicaCorso di Studi in InfermieristicaCorso di Studi in InfermieristicaCorso di Studi in Infermieristica

Tesi di LaureaTesi di LaureaTesi di LaureaTesi di Laurea

IL VISSUTO DELIL VISSUTO DELIL VISSUTO DELIL VISSUTO DEL

PAZIENTEPAZIENTEPAZIENTEPAZIENTE EMATOLOGICO IMMUNODEPRESSOEMATOLOGICO IMMUNODEPRESSOEMATOLOGICO IMMUNODEPRESSOEMATOLOGICO IMMUNODEPRESSO

DURANTE IL PERIODO DI ISOLAMENTODURANTE IL PERIODO DI ISOLAMENTODURANTE IL PERIODO DI ISOLAMENTODURANTE IL PERIODO DI ISOLAMENTO

A.AA.AA.AA.A 2012 2012 2012 2012 ---- 2013201320132013

Relatore: Laureanda:

Dott.ssa Loriana Degano Nicole Piccoli

Co-Relatore:

Dott.ssa Chiara Comuzzi

Dott.ssa Cristina Nin

ANNO ACCADEMICO 2012/2013ANNO ACCADEMICO 2012/2013ANNO ACCADEMICO 2012/2013ANNO ACCADEMICO 2012/2013

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The best thing about futureThe best thing about futureThe best thing about futureThe best thing about future

Is that comes one day atIs that comes one day atIs that comes one day atIs that comes one day at a timea timea timea time

- Abraham Lincoln -

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RINGRAZIAMENTIRINGRAZIAMENTIRINGRAZIAMENTIRINGRAZIAMENTI

Vorrei per prima cosa ringraziare la mia relatrice, Loriana Degano, e le mie

correlatrici, Chiara Comuzzi e Cristina Nin, per il supporto e l’aiuto datomi e la

loro estrema disponibilità nei miei confronti, non solo durante la stesura della tesi

e la raccolta dati, ma anche durante i due periodi di tirocinio nella degenza della

Clinica Ematologica. In particolare il mio pensiero va a Matteo Toller, il quale mi

ha guidato durante il tirocinio e mi ha fatto scoprire la “bellezza” del reparto e di

questa disciplina.

Sono ormai giunta alla fine di questa esperienza. Tre anni di sacrifici e di

studio; tre anni che porterò sempre nel mio cuore. Ho conosciuto persone che mi

hanno sostenuto nei momenti di difficoltà e che hanno reso gradevoli anche le

giornate peggiori; grazie di aver reso piacevole questo percorso affrontato

assieme.

Ringrazio i miei genitori che, nonostante le mie perplessità sulla strada da

intraprendere nel futuro, mi hanno sempre appoggiato in ogni scelta e aiutato

durante questo cammino; grazie di tutto quello che fate per me. Vorrei

ringraziare anche le mie nonne, di essermi sempre state vicine ed essere sempre

disponibili nei miei confronti.

Un pensiero va anche a tutti coloro che hanno lasciato un segno nella mia

vita. Non posso dimenticare quanto lo sport mi abbia aiutato ed insegnato, quanto

abbia reso ricca la mia infanzia ed adolescenza; e non posso scordare le persone

che hanno condiviso con me questa incredibile esperienza.

Grazie a tutti coloro che ho incontrato lungo il mio percorso di vita e che

hanno riempito le mie giornate di felicità e che hanno fatto vivere momenti unici;

grazie di cuore a voi tutti!

Un grazie anche alle mie coinquiline, con le quali ho condiviso la magnifica

esperienza della vita fuori casa e che hanno saputo sopportare gli orari assurdi di

uscita e rientro durante il tirocinio.

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Vorrei infine ringraziare una persona che, pur in un tempo così breve, ha

imparato a conoscermi e ad apprezzarmi in tutti i miei pregi e i miei difetti; mi ha

sorretto quando le cose andavano male e ha riempito le giornate di gioia. Grazie

Roberta di essermi stata accanto nei momenti difficili e di avermi accettato nella

tua vita, come una sorella, in questi ultimi tre anni.

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INDICEINDICEINDICEINDICE

1.1.1.1. EMATOLOGIA.EMATOLOGIA.EMATOLOGIA.EMATOLOGIA. p. 8p. 8p. 8p. 8

1.1 Principi fisiologici1.1 Principi fisiologici1.1 Principi fisiologici1.1 Principi fisiologici p. 8p. 8p. 8p. 8

1.1.1 Sangue p. 8

1.1.2 Sistema immunitario p. 11

1.1.3 Midollo osseo p. 15

1111.2 Malattie del sangue.2 Malattie del sangue.2 Malattie del sangue.2 Malattie del sangue p. 17p. 17p. 17p. 17

1.2.1 Malattie benigne del sangue p. 17

1.2.1.a Le anemie p. 17

Anemie macrocitiche p. 20

Anemie microcitiche p. 22

Anemie normocitiche p. 26

1.2.1.b La carenza di ferro e le sindromi correlate p. 28

1.2.1.c L’aplasia midollare p. 29

1.2.1.d Disturbi dell’emostasi p. 30

Piastrinopenia p. 30

Coagulopatie congenite e acquisite p. 31

1.2.1.e Amiloidosi p. 32

1.2.2 Neoplasie ematologiche p. 33

1.2.2.a Le leucemie p. 41

1.2.2.b I linfomi p. 45

1.2.2.c Il mieloma p. 47

1.2.2.d La mastocitosi p. 47

1.3 L’emotrasfusione1.3 L’emotrasfusione1.3 L’emotrasfusione1.3 L’emotrasfusione p. 49p. 49p. 49p. 49

1.3.1 Tipologie di trasfusione e scopo p. 49

1.3.2 Rischi e complicanze p. 51

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2.2.2.2. L’ISOLAMENTO.L’ISOLAMENTO.L’ISOLAMENTO.L’ISOLAMENTO. p. 53p. 53p. 53p. 53

2.1 2.1 2.1 2.1 Isolamento di un pazienteIsolamento di un pazienteIsolamento di un pazienteIsolamento di un paziente p. 53p. 53p. 53p. 53

2.1.1 Tipologie di isolamento p. 53

2.1.2 Motivazioni di isolamento p. 58

2.1.3 Impatto psicologico p. 59

2.22.22.22.2 Isolamento Isolamento Isolamento Isolamento e patologia neoplastica ematologicae patologia neoplastica ematologicae patologia neoplastica ematologicae patologia neoplastica ematologica p. 60p. 60p. 60p. 60

2.2.1 Isolamento per chemioterapia p. 60

2.2.2 Isolamento per trapianto p. 61

2.2.3 Impatto psicologico sul paziente ematologico

immunodepresso in unità trapianti p. 61

3. IL TRAPIANTO3. IL TRAPIANTO3. IL TRAPIANTO3. IL TRAPIANTO p. 63p. 63p. 63p. 63

3.1 3.1 3.1 3.1 Il trapiantoIl trapiantoIl trapiantoIl trapianto p. 63p. 63p. 63p. 63

3.1.1 Cos’è? p. 63

3.1.2 Tipi di trapianto p. 65

3.1.2.a Allogenico p. 65

3.1.2.b Autologo p. 66

3.1.3 Le sue fasi p. 67

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4.4.4.4. STUDIOSTUDIOSTUDIOSTUDIO.... p. 69p. 69p. 69p. 69

4.1 4.1 4.1 4.1 Lo Scopo dello studioLo Scopo dello studioLo Scopo dello studioLo Scopo dello studio p. 69p. 69p. 69p. 69

4.2 4.2 4.2 4.2 Materiali e MetodiMateriali e MetodiMateriali e MetodiMateriali e Metodi p. 70p. 70p. 70p. 70

4.2.1 I questionari utilizzati p. 70

4.2.2 Come e quando sono stati somministrati p. 81

4.3 4.3 4.3 4.3 Risultati Risultati Risultati Risultati p. 81p. 81p. 81p. 81

4.3.1 Risultati dei questionari a risposta multipla p. 81

4.4 4.4 4.4 4.4 DiscussioneDiscussioneDiscussioneDiscussione p. 85p. 85p. 85p. 85

4.3.2 Frasi significative riportate dai pazienti p. 86

4.3.3 Limiti dello studio p. 86

4.54.54.54.5 ConclusioneConclusioneConclusioneConclusione p. 87p. 87p. 87p. 87

4.5.1 Implicazioni per la pratica infermieristica p. 87

4.5.2 Implicazioni per la ricerca infermieristica p. 87

5.5.5.5. BIBLIOGRAFIABIBLIOGRAFIABIBLIOGRAFIABIBLIOGRAFIA.... p. 89p. 89p. 89p. 89

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1.1.1.1. EMATOLOGIA.EMATOLOGIA.EMATOLOGIA.EMATOLOGIA.

L’ematologia è la branca della medicina che si occupa del sangue e di tutti

gli organi che compongono i sistema emopoietico. In modo più specifico, l’ambito

dell’ematologia che si occupa dei tumori del sangue viene definita oncoematologia.

1.11.11.11.1 Principi Principi Principi Principi fisiologicifisiologicifisiologicifisiologici

1.1.1 Il Sangue

Il sangue è composto da una parte cellulare e da una parte liquida, chiamata

plasma. Queste cellule sono gli eritrociti (i globuli rossi), i leucociti (i globuli

bianchi) e le piastrine, che sono frammenti di cellule. Più del 99% del sangue è

popolato da eritrociti, responsabili del trasporto dell’ossigeno; i leucociti

proteggono dalle infezioni e dalla proliferazione di cellule cancerose; le piastrine

sono coinvolte nella coagulazione del sangue (Fig 1).

La percentuale di volume sanguigno occupata dagli eritrociti viene definita

ematocrito (HCT – Hematocrit); i3l suo valore nell’uomo è circa il 45% e nella

donna il 42%.

Il plasma consiste in un grande numero di sostanze organiche e non

organiche disciolte in acqua. Il suo caratteristico color paglia caratteristico è

dovuto alla bilirubina, prodotto del catabolismo dell'emoglobina.

Le proteine del plasma possono essere classificate in tre gruppi principali: le

albumine (la famiglia di proteine globulari più diffusa nel plasma, che ha come

funzione principale quella di regolare la pressione osmotica colloidale del sangue),

le globuline (fanno sempre parte della famiglia delle proteine globulari, come le

albumine, ma hanno dimensioni maggiori) e il fibrinogeno (che ha un ruolo nella

coagulazione del sangue).

Il siero viene definito come il plasma privato del fibrinogeno e di altre

proteine coinvolte nella coagulazione.

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In aggiunta ai soluti organici, incluse proteine, nutrienti, prodotti metabolici

di scarto ed ormoni, il plasma contiene una varietà di elettroliti minerali.

La funzione maggiore degli eritrociti è il trasporto dell’ossigeno prelevato dai

polmoni e diossido di carbonio dalle cellule. Gli eritrociti contengono grandi

quantità di una proteina chiamata emoglobina, responsabile del legame con

ossigeno e diossido di carbonio.

Gli eritrociti hanno la forma di un disco biconcavo. La loro conformazione e

le ridotte dimensioni determinano un rapporto superficie-volume molto alto (Fig

2). La membrana plasmatica del globulo rosso contiene specifici polisaccaridi e

proteine diversi da persona a persona e che conferiscono al sangue il cosiddetto

tipo, o gruppo, sanguigno (di cui parleremo in seguito).

Il sito dove avviene la produzione degli eritrociti è la parte molle interna

all’osso, chiamata midollo osseo (in modo più specifico in quello rosso). Quando i

globuli rossi lasciano il midollo osseo entrano nei vasi sanguigni ed iniziano a

circolare nel sangue.

Dato che gli eritrociti non contengono un nucleo, né organelli, non possono

né riprodursi, né mantenere la loro struttura a lungo. La vita media di una

eritrocita si aggira attorno ai 120 giorni; la loro distruzione normalmente avviene

all’interno della milza e del fegato e la maggior parte del ferro rilasciato durante

il processo viene conservato.

In una persona normale, il volume totale di eritrociti circolanti rimane

cosante grazie agli stimoli che regolano la produzione di queste cellule nel midollo

osseo. Il controllo diretto sulla loro produzione (eritropoiesi) è regolato da un

ormone chiamato eritropoietina, secreta da un gruppo di cellule del tessuto

connettivo che secernono ormoni, presenti nei reni. Questa sostanza va ad agire

sul midollo osseo per stimolare la proliferazione dei progenitori degli eritrociti e la

loro differenziazione.

Le piastrine, come accennato prima, non sono delle cellule ma dei frammenti

cellulari a forma di disco che si formano dalla frammentazione di megacariociti.

La loro vita media varia dai 5 ai 9 giorni. La loro superficie “appiccicosa” gli

consente, assieme ad altre sostanze, di formare delle occlusioni per bloccare i

sanguinamenti (Fig 3). Quando ha inizio un sanguinamento a causa di una ferita,

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le piastrine si riuniscono nella zona della ferita e cercano di fermare la fuoriuscita

di sangue. Il calcio, la vitamina K ed il fibrinogeno partecipano assieme alle

piastrine a questo processo che porta alla formazione del coagulo.

Come verrà ripreso in seguito, nei bambini la maggior parte del midollo

osseo produce cellule del sangue. Nell’età adulta solo le ossa del torace, della base

del cranio e della parte superiore degli arti inferiori rimane attiva.

Tutte le cellule del sangue derivano da un’unica popolazione di cellule del

midollo chiamate cellule staminali emopoietiche pluripotenti, che sono cellule

indifferenziate potenzialmente capaci di dare origine ai precursori di qualsiasi

cellula del sangue. La proliferazione e la differenziazione delle varie cellule

progenitrici è stimolata da un grande numero di ormoni proteici e messaggeri

paracrini chiamati, nel loro complesso, fattori di crescita emopoietica (HGFs -

Hematopoietic growth factors).

Fig 1. Linee cellulari presenti nel sangue

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Fig 2. Eritrociti circolanti Fig. 3 Piastrine in circolo

1.1.2 Sistema immunitario

L’immunologia è lo studio delle difese fisiologiche con cui il corpo distrugge o

neutralizza gli attacchi provenienti dall’esterno. Le difese immunitarie, infatti,

proteggono l’organismo da infezioni microbiche (virus, batteri, funghi e parassiti);

isolano o rimuovono sostanze estranee non microbiche; distruggono le cellule

cancerose che si sviluppano all’interno del corpo, una funzione chiamata

sorveglianza immunitaria.

Le difese immunitarie possono essere suddivise in due categorie: non

specifiche e specifiche, che interagiscono tra di loro.

Il sistema non specifico (o innato) protegge da agenti o cellule senza

riconoscere in modo specifico la loro identità. In questo caso i meccanismi di

difesa cellulari e biochimici che sono già in posizione prima che si verifichi

l’infezione e pronti a rispondere rapidamente agli agenti infettivi.

I principali componenti di questo sistema sono: le barriere fisiche e chimiche,

come l’epitelio e le sostanze antimicrobiche prodotte dalla superficie cellulare; le

cellule fagocitarie (neutrofili e macrofagi) e le cellule natural killer (NK); le

proteine del sangue, inclusi i membri del sistema del complemento e altri

mediatori dell’infiammazione; le proteine chiamate citochine, che regolano e

coordinano molte delle attività delle cellule dell’immunità innata.

In contrasto con l’immunità innata, le difese immunitarie specifiche

(chiamata anche immunità acquisita) agiscono secondo uno specifico

riconoscimento, da parte dei linfociti, delle sostanze o cellule da attaccare e ogni

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risposta, in questo modo, diventa specifica e mirata per quella sostanza o cellula.

Dato che questa forma di risposta si sviluppa come una risposta ad un’infezione e

si adatta a questa, viene chiamata anche immunità adattiva. Le caratteristiche di

questo sistema sono altamente specifiche per ogni distinta molecola e ha l’abilità

di ricordare e rispondere in modo più vigoroso a successive esposizioni allo stesso

microbo. In aggiunta il sistema immunitario specifico ha la capacità di

riconoscere e reagire ad un ampio numero di sostanze sia microbiche che non

microbiche.

Questi due tipi di risposta lavorano in tandem con lo scopo di proteggere il

corpo umano da attacchi che non sarebbero compatibili con la vita.

Le cellule più numerose all’interno del sistema immunitario appartengono a

vari gruppi di globuli bianchi (leucociti): neutrofili, basofili, eosinofili, monociti e

linfociti. Vengono riportati in tabella 1 i principali gruppi di cellule che

intervengono nella difesa del nostro organismo.

I linfociti sono le cellule essenziali nella risposta mediata dal sistema

immunitario specifico. Come tutti i leucociti, anche questa categoria di cellule

circola nel sangue, ma la maggior parte del tempo si trovano in un gruppo di

organi e di tessuti chiamati organi linfoidi.

Questi sono suddivisi in primari e secondari:

• Gli organi linfoidi primari sono il midollo osseo e il timo che

riforniscono gli organi linfoidi secondari di linfociti maturi (già

programmati per svolgere le loro funzioni, se attivati da un antigene).

Questi due siti di produzione normalmente non sono i luoghi in cui i

linfociti vengono attivati durante una risposta immunitaria;

• Gli organi linfoidi secondari sono i linfonodi, la milza, le tonsille, e gli

accumuli di linfociti all’interno del rivestimento dell’intestino,

dell’apparato respiratorio, di quello genitale e di quello urinario. È in

questi siti che i linfociti vengono attivati per partecipare a specifiche

risposte immunitarie.

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NomeNomeNomeNome Sito di ProduzioneSito di ProduzioneSito di ProduzioneSito di Produzione FunzioniFunzioniFunzioniFunzioni

LeucocitiLeucocitiLeucocitiLeucociti

(globuli bianchi)(globuli bianchi)(globuli bianchi)(globuli bianchi)

NeutrofiliNeutrofiliNeutrofiliNeutrofili Midollo osseo 1. Fagocitosi

2. Rilascio di fattori chimici coinvolti nella risposta

infiammatoria (vasodilatatori, chemiotossine, ecc)

BasofiliBasofiliBasofiliBasofili Midollo osseo Hanno funzioni, nel sangue, simili a quelle dei mastocti

nei tessuti

EosinofiliEosinofiliEosinofiliEosinofili Midollo osseo 1. Distruggono i parassiti pluricellulari

2. Partecipano nelle reazioni di ipersensibilità

immediata

MonocitiMonocitiMonocitiMonociti Midollo osseo 1. Hanno funzioni, nel sangue, simili a quelle dei

macrofagi nei tessuti

2. Entrano nei tessuti e vengono trasformati in

macrofagi

LinfocitiLinfocitiLinfocitiLinfociti

Maturano nel

midollo osseo

(cellule B

e NK) e nel timo

(cellule T);

vengono attivati

negli organi

linfoidi periferici.

Fungono da “cellule di riconoscimento” nelle risposte

immunitarie specifiche e sono essenziali per tutti gli

aspetti di queste risposte

Cellule BCellule BCellule BCellule B 1. Iniziano le risposte immunitarie anticorpo-mediate

legando specifici antigeni ai recettori della

membrana plasmatica delle cellule B, che sono

immunoglobuline

2. Durante l’attivazione vengono trasformate in

plasmacellule, che secernono anticorpi

3. Presentano l’antigene alle cellule T Helper

Cellule TCellule TCellule TCellule T

Citotossiche (CD8)Citotossiche (CD8)Citotossiche (CD8)Citotossiche (CD8)

Si legano agli antigeni sulla membrana plasmatica delle

cellule target (cellule infette da virus, cancerose,

trapianti di tessuto) e distruggono direttamente le

cellule

Cellule T HelperCellule T HelperCellule T HelperCellule T Helper

(CD4)(CD4)(CD4)(CD4)

Secernono citochine che contribuiscono all’attivazione

delle cellule B, delle cellule T citotossiche, delle cellule

NK e dei macrofagi

Natural KillerNatural KillerNatural KillerNatural Killer

(NK)(NK)(NK)(NK)

1. Si legano direttamente e in modo non specifico a

cellule infette da virus e cellule cancerose e le

distruggono

2. Fungono da cellule killer nella citotossicità cellulare

anticorpo-dipendente

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Cellule plasmaticheCellule plasmaticheCellule plasmaticheCellule plasmatiche Organi linfoidi

periferici; si

differenziano dalle

cellule B durante

la

risposta

immunitaria

Secernono anticorpi

MacrofagiMacrofagiMacrofagiMacrofagi Quasi in tutti i

tessuti e gli

organi; si

differenziano dai

monociti

1. Fagocitosi

2. Pulizia extracellulare tramite secrezione di agenti

chimici

3. Elaborare ed esporre gli antigeni alle cellule T Helper

4. Secernere le citochine coinvolte nella risposta

infiammatoria, nell’attivazione e differenziazione

delle cellule T Helper e nelle risposte sistemiche alle

infezioni o alle ferite (la fase acuta della risposta)

MacrofagiMacrofagiMacrofagiMacrofagi----likelikelikelike Quasi in tutti i

tessuti

e gli organi; nella

microglia nel

sistema

nervoso centrale

Come i macrofagi

MastocitiMastocitiMastocitiMastociti Quasi in tutti i

tessuti

e gli organi; si

differenziano da

cellule del midollo

osseo

Rilasciano istamina e altri fattori chimici coinvolti nella

risposta infiammatoria

Tab 1 Cellule che mediano le difese immunitarie

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Il sistema immunitario, come detto in precedenza, svolge la funzione di

individuare e rispondere ad un’ampia gamma attacchi da parte di sostanze

estranee. L’organizzazione anatomica delle cellule del sistema immunitario e la

loro abilità a muoversi rapidamente in vari distretti sono fondamentali per la

generazione della risposta immunitaria. Sono presenti come cellule circolanti nei

vasi sanguigni e linfatici, alcune colonie si trovano negli organi linfatici e alcune

cellule sono sparse nei tessuti di tutto il corpo.

Gli organi linfoidi primari, il timo e il midollo osseo, sono i siti

dell’ematopoiesi e della linfopoiesi. Altri organi secondari includono la milza, i

linfonodi e le placche di Peyer; tutti questi sono collegati ai sistemi vascolare e

linfatico.

1.1.3 Il midollo osseo

Il midollo osseo è un tessuto molle e polposo presente nelle cavità di tutte le

ossa. La sua composizione differisce nella sua composizione nelle diverse ossa e a

seconda dell’età e si presenta in due forme, midollo giallo e rosso (Fig 4).

Il midollo osseo giallo consiste di una struttura di tessuto connettivo che

supporta numerosi vasi sanguigni e cellule, la maggior parte dei quali sono

adipociti.

Troviamo il midollo osseo rosso in tutte le ossa dello scheletro del feto e

durante i suoi primi anni di vita. Circa dopo il quinto anno di vita il midollo rosso,

che rappresenta il tessuto emopoietico, viene sostituito gradualmente nelle ossa

lunghe dal midollo giallo. Il rimpiazzo inizia prima nelle ossa distali. Raggiunta

l’età di 20-25 anni, il midollo rosso può essere ritrovato solo nelle vertebre, nello

sterno, nelle costole, nelle clavicole, nelle scapole, nella pelvi, nelle ossa craniche

e nelle estremità prossimali del femore e dell’omero.

Il midollo osseo rosso consiste in una rete di tessuto connettivo lasso,

stroma, che sostiene gli ammassi di cellule emopoietiche e una ricca rete

vascolare. Il supporto vascolare deriva dall’arteria che vascolarizza l’osso infatti

essa ramifica all’interno del midollo osseo e in sottili arteriole e termina formando

una rete di capillari che poi si riversano in vene di grosso calibro. I vasi linfatici,

invece, non sono presenti nel midollo osseo. Lo stroma contiene una quantità di

16

grasso variabile, a seconda dell’età, del sito e dello stato ematologico del corpo;

all’interno sono presenti anche piccole aree di tessuto linfatico.

Fig 4 Il midollo osseo

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1.2 Le malattie del sangue1.2 Le malattie del sangue1.2 Le malattie del sangue1.2 Le malattie del sangue

Possiamo dividere le malattie del sangue in due categorie, benigne e

maligne.

Tra quelle benigne rientrano:

I vari tipi di anemie

Le aplasie midollari

I disturbi dell’emostasi, come la piastrinopenia e le coagulopatie

congenite o acquisite

Le sindromi talassemiche

L’emocromatosi

L’amiloidosi

Sindromi mielodisplastiche

Tra le neoplasie possiamo citare :

Le leucemie

I linfomi

Il mieloma

La mastocitosi

1.2.1 Le malattie benigne del sangue

1.2.1.a Le Anemie

Considerazioni generali:

Come abbiamo accennato in precedenza i globuli rossi circolano nel sangue

periferico per circa 120 giorni e approssimativamente l’1% degli eritrociti muoiono

e vengono rimpiazzati ogni giorno. I globuli rossi classificati come “vecchi”

vengono rimossi dal circolo dai macrofagi della milza, del fegato e del midollo

osseo. Un feedback eritropoietico assicura che il totale dei globuli rossi rimanga

costante. Una riduzione del numero di globuli rossi può derivare da una loro

eliminazione dal circolo ad una velocità maggiore rispetto alla loro produzione:

18

questo può riflettere sia uno smaltimento degli eritrociti incontrollato, sia una

riduzione della loro produzione, o entrambi.

L’anemia può essere definita come una quantità di eritrociti non sufficiente

per il trasporto dell’ossigeno ai tessuti periferici.

Tre parametri possono valutare l’esistenza dell’anemia:

• la concentrazione di emoglobina (Hb), espressa in grammi (g) di Hb per

decilitro (dl);

• l’ematocrito (Hct - Hematocrit), indica la percentuale del volume

sanguigno occupata dalla componente eritrocitaria. La loro

concentrazione è data dalla quantità di cellule per microlitro (µl) o di

cellule per litro. L’ematocrito è il dato meno usato per la diagnosi di

anemia;

• il volume corpuscolare medio (MCV - Mean Corpuscolar Volume), è la

misurazione del volume medio degli eritrociti contenuti nel sangue.

L’RDW rappresenta invece la misura quantitativa della variazione nella

grandezza dei globuli rossi; più alti sono i valori, più eterogenea sarà la

grandezza degli eritrociti.

I valori di emoglobina ed ematocrito, come abbiamo già detto, sono

equamente utili per la diagnosi di anemia nella maggior parte dei pazienti, ma ci

sono alcune limitazioni da tenere in considerazione. I valori dell’emoglobina in un

soggetto sano dovrebbero essere compresi tra 12 e 16 g/dl nelle donne e tra 14 e i

18 g/dl nell’uomo. La loro alterazione può anche derivare da alterazioni del

volume del plasma, non da una variazione della massa di globuli rossi. In

gravidanza, ad esempio, il volume plasmatico incrementa, abbassando la

concentrazione di Hb. In modo simile gli individui con una splenomegalia massiva

possono avere un’anemia causata da un ipersplenismo, ma il livello di anemia può

apparire più grave per un aumento del volume del plasma. Al contrario i pazienti

ustionati perdono grandi quantità di plasma tramite le lesioni sulla pelle,

lasciando alte le concentrazioni di emoglobina ed ematocrito. Un’altra

considerazione da fare è per i pazienti con un’importante perdita di sangue.

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Immediatamente dopo un’emorragia massiva, le concentrazioni di Hb e di Hct

sono normali, dato che la risposta iniziale all’emorragia, da parte del corpo, è una

vasocostrizione. La riduzione della concentrazione di Hb inizia dopo circa 6 ore.

[18]

Caratteristiche cliniche

I pazienti con anemia solitamente presentano caratteristiche cliniche quali

una riduzione nella tolleranza al lavoro e allo sforzo fisico, difficoltà di respiro,

palpitazioni e altri segni di adattamento cardiocircolatorio all’anemia. Le

manifestazioni cliniche dipendono dalla rilevanza nella riduzione della capacità di

trasportare ossigeno, dalla capacità dei sistemi cardiovascolare e polmonare di

compensare l’anemia e dalle caratteristiche che risultano dallo sviluppo

dell’anemia. In molti pazienti, i sintomi respiratori e circolatori, sono visibili dopo

uno sforzo fisico; quando l’anemia è severa, la dispnea e le palpitazioni possono

essere percepite anche a riposo. Nei casi in cui l’anemia si presenti rapidamente i

sintomi variano da mancanza di respiro, tachicardia, vertigini, debolezza e una

marcata spossatezza. Nell’anemia cronica, invece, si presentano solamente

dispnea moderata e palpitazioni (solo in alcuni pazienti si evidenzia scompenso

cardiaco congestizio, angina pectoris, claudicatio intermittens). I soffi al cuore

sono un sintomo cardiaco associato spesso all’anemia. Anche il pallore è un segno

caratteristico dell’anemia, ma molti fattori possono influenzare il colore della

pelle. Tra questi ci sono il grado di dilatazione dei vasi periferici, la

pigmentazione, il contenuto fluido del tessuto sottocutaneo. Il pallore associato

all’anemia può essere identificato più facilmente nelle membrane e nelle mucose

della bocca, della faringe, della congiuntiva, delle labbra e del letto ungueale.

Sono stati rilevati anche sintomi a livello gastrointestinale nei pazienti anemici.

Alcune sono manifestazioni di un disordine celato (ernia iatale, ulcera duodenale,

carcinoma gastrico); altri possono essere conseguenza di una condizione di forte

anemia, qualsiasi ne sia la causa. Anche la disfagia può presentarsi come sintomo

di una anemia cronica da carenza di ferro.

Possiamo dividere le anemie in tre gruppi: anemie macrocitiche, anemie

microcitiche ed anemie normocitiche.[29]

20

Anemie Macrocitiche

Questo tipo di sindrome può avere diverse cause, tra le quali possiamo

citare:

o Anemia megaloblastica, causa più comune di anemia macrocitica, è

dovuta ad una deficienza di vitamina B12, acido folico o entrambi. Una

carenza di folati e/o di vitamina B12 può essere dovuta sia da un

inadeguato apporto sia da un assorbimento insufficiente. Il termine

anemia megaloblastica, più in generale, viene usato per descrivere un

gruppo di disordini caratterizzati da un modello morfologico peculiare

delle cellule emopoietiche. Una proprietà biochimica comune è un

difetto nelle sintesi del DNA, con meno alterazioni nell’RNA e nella

sintesi delle proteine, che porta ad uno stato di crescita cellulare non

uniforme e ad una compromissione nelle divisione cellulare.

L’emopoiesi megaloblastica solitamente si presenta come anemia, ma

questa caratteristica è solamente una manifestazione di un difetto più

globale nella sintesi del DNA che colpisce tutte le cellule proliferative.

L’ipersegmentazione dei neutrofili è uno dei più rilevanti e specifici

elementi che indicano un’anemia megaloblastica. I principali prodotti

generati dall’eritropoiesi megaloblasitica sono eritrociti macrocitici

con forma ovale. Le anemie megaloblastiche solitamente si

sviluppano in modo graduale e al momento della diagnosi il livello

di anemia è già severo. Valori di emoglobina che si aggirano attorno

a 7-8 g/dl non sono insoliti. Il midollo osseo in pazienti con questa

sindrome è solitamente iperplastico, con una notevole quantità

di precursori degli eritrociti. Anche la leucopoiesi è anormale in questi

soggetti; i leucociti, infatti, sono molto grandi (anche 20-30 µm ).

All’interno del gruppo delle anemie megaloblastiche possiamo evidenziare:

L’anemia perniciosa il cui difetto principale, e caratteristica

significativa, non è l’anemia in sé ma la perdita del fattore intrinseco

(IF – Intrinsic Factor), che produce un malassorbimento di tutte le

21

forme di cobalamina. La gastrite atrofica è riscontrata sempre

nell’anemia perniciosa acquisita e differisce dalla gastrite legata

all’anemia non perniciosa, che trattiene la secrezione di fattore

intrinseco per molto tempo dopo la cessazione della produzione di acidi.

L’anemia perniciosa sembra avere una predisposizione familiare e

viene diagnosticata, nella maggioranza dei casi, in adulti con un’età

maggiore di 60 anni, anche se la gastrite può presentarsi molti anni

prima. Oltre alla carenza inarrestabile di cobalamina, l’anemia

perniciosa porta con se molte altre associazioni e implicazioni

prognostiche. Il rischio più grave è quello di insorgenza di due tipi di

tumore gastrico, entrambi colpiscono solitamente il fondo dello

stomaco.

o Le anemie non-megaloblastiche rappresentano anemie macrocitiche

nelle quali i precursori dei globuli rossi appaiono normali senza le

caratteristiche del nucleo e le particelle citoplasmatiche che ritroviamo

nella megaloblastosi; non sono accomunate da un meccanismo

patogenetico comune. La sintesi del DNA, in questo tipo di anemie, non

è uniforme. Quando viene scoperta la malattia l’anemia solitamente

tende ad essere ancora lieve. Molte possono essere le cause di anemia

non megaloblastica, possono essere associate ad un’accelerazione

dell’eritropoiesi (per svariate cause), ad alcolismo o a malattie:

- ipotiroidismo;

- alcolismo, solitamente, può causare macrocitosi, anche

se non anemia nello specifico. Altri tipi di problemi al

fegato possono causare macrocitosi;

- anche i farmaci, tra i quali possiamo citare il

metotrexate, la zidovudina, e altre sostanze che possono

inibire la replicazione del DNA come i metalli pesanti.

22

Anemie Microcitiche

La maggior parte delle anemie microcitiche sono dovute ad una inadeguata

sintesi dell’emoglobina, spesso associata ad un ridotto utilizzo del ferro.

L’origine di questo difetto può avere varie cause:

o difetto nella sintesi del gruppo eme

o anemia da carenza di ferro (non è sempre associata ad una microcitosi)1

o anemia dovuta ad una malattia cronica (più spesso è presente

nell’anemia normocitica)1

o difetto nella sintesi della globina

Le sindromi talassemiche sono un gruppo eterogeneo di anemie ereditarie

caratterizzate da difetti nella sintesi di una o più sub-unità della catena della

globina, appartenenti al tetramero dell’emoglobina. Le malattie cliniche associate

alla talassemia nascono dall’unione delle conseguenze dell’accumulo di

emoglobina e dello ammassamento squilibrato delle sub-unità di globina. Le

manifestazioni cliniche sono differenti, da un’ipocromia asintomatica e microcitosi

ad una severa anemia, che può essere fatale soprattutto in certe categorie di

pazienti. Questa eterogeneità scaturisce dalla variabilità nella severità dei difetti

biosintetici primari e dei fattori modulatori ereditati.[35]

Come gruppo, le talassemie rappresentano le sindromi dovute alla

mutazione di un singolo gene (Fig.5). Tra le più comuni:

talassemia alfa e beta

La talassemia (talassemia α) è un tipo di talassemia che coinvolge i

geni che codificano per l'emoglobina HbA1 e HbA2. La malattia è

caratterizzata dalla compromissione della produzione di una, due, tre o

addirittura tutte e quattro le catene α dell'emoglobina, che correla

direttamente con la gravità clinica della malattia. L'alfa talassemia è

trasmessa come carattere autosomico recessivo. I pazienti affetti da

alfa talassemia silente o tratto alfa-talassemico non richiedono

trattamento. Invece, è necessario un trattamento specifico per le altre

1 Argomento trattato in seguito.

23

forme della malattia, che può comprendere occasionali trasfusioni di

eritrociti, la chelazione del ferro e altre misure di supporto.

La beta talassemia (βT) è caratterizzata dalle riduzione o assenza di

produzione delle due catene di beta-globina che codificano per la

proteina dell'emoglobina (Hb). Sono stati descritti tre tipi di βT: la

talassemia minore (βT minore) che è la forma eterozigote, di solito

asintomatica; la talassemia maggiore (anemia di Cooley; βT maggiore) è

la forma omozigote, che si associa ad anemia microcitica e ipocromica,

da diseritropoiesi ed emolisi (è presente anche splenomegalia); la

talassemia intermedia (βTI), nella quale ambedue i geni sono

interessati da disfunzione di grado lieve. In questo caso è variabile, ma

è meno grave e viene diagnosticata più tardi.

sindrome correlata all’emoglobina E

La sindrome legata all’emoglobina E (HbE βT) è una forma di beta

talassemia, caratterizzata da un quadro clinico lieve/grave, che varia

da una condizione non distinguibile dalla beta talassemia major ad una

forma lieve di T intermedia. È un disturbo comune ereditario causato

dalla produzione di una proteina abnorme di emoglobina. Se la persona

ha un’alterazione (mutazione) HbE in una dei suoi geni globinici β,

sarà un portatore sano della malattia. Se la persona presenta la

mutazione su entrambi i due geni globinici β. Sarà un individuo

omozigote del HbE e presenterà solo una lieve anemia. Se, invece la

persona ho un’alterazione due HbE ed un altro tipo di mutazione del

gene globinico β può essere affetto da una grave disturbo del sangue

chiamato talassemia βHbE.

sindrome correlata all’emoglobina C

L'emoglobina C-beta talassemia (HbC βT) è una forma di beta

talassemia, caratterizzata da modesta anemia emolitica. I pazienti

sono di solito asintomatici. Quando presenti, i sintomi clinici sono una

modesta anemia ed una splenomegalia. I pazienti affetti dall'HbC βT

sono eterozigoti composti per l'emoglobina C e la beta talassemia.

altre malattie correlate ad un’instabilità dell’emoglobina

24

Fig.5 Cellule Talassemiche

Le anemie sideroblastiche sono un gruppo di sindromi caratterizzate da

depositi di ferro amorfi, nei mitocondri degli eritroblasti, che sono contenuti

all’interno di una definita ferritina mitocondriale. I mitocondri saturi di ferro

rispondono per i, così chiamati, sideroblasti ad anello. Il principio dell’accumulo

di ferro nelle varie anemie sideroblastiche può essere riscontrato sia per la

produzione insufficiente di gruppi eme (risultato di enzimi difettosi nella via

biosintetica) sia da errori nelle attività mitocondriali implicate nelle vie

metaboliche del ferro, che creano uno squilibro tra la quantità di ferro importato e

quello effettivamente utilizzato.

Dal punto di vista cinetico le anemie sideroblastiche sono caratterizzate da

un’eritropoiesi inefficace, come gli altri disordini con difetti nella maturazione

citoplasmica o nucleare. L’iperplasia eritroide del midollo osseo è accompagnata

da una conta reticulocitica normale o di poco aumentata. Il grado di turnover del

ferro plasmatico è aumentato, ma l’assimilazione del ferro nei globuli rossi

circolanti è ridotto.

25

Possiamo classificare le anemie sideroblastiche in:

• Anemie sideroblastiche congenite

Anemia sideroblastica legata al cromosoma X: questa è la causa

congenita più comune che porta all’anemia sideroblastica e

comporta un difetto in una proteina coinvolta nel primo stadio

della sintesi del gruppo eme.

L’anemia sideroblastica autosomica recessiva causata dalla

mutazione di una proteina coinvolta nel trasporto mitocondriale

della glicina (substrato necessario per la sintesi del gruppo eme).

Solitamente questa forma di anemia si presenta in modo molto

severo.

Sindromi genetiche che si presentano molto più raramente e

possono essere parte di una sindrome congenita associata con

altre patologie, come atassia, miopatia, insufficienza

pancreatica.

• Anemie sideroblastiche clonali acquisite.

Rientrano all’interno di una categoria più ampia di sindromi

mielodisplastiche. Ne esistono tre forme che includono l’anemia

refrattaria con sideroblasti ad anello, l’anemia refrattaria con

sideroblasti ad anello e trombocitosi e la citopenia refrattaria con

displasia multilineare e sideroblasti ad anello. Questa anemie sono

associate ad un rischio di evoluzione della malattia ad una forma

leucemica.

• Anemie sideroblastiche reversibili acquisite.

Le cause possono essere ricondotte all’eccessivo uso di alcol (l’origine

più comune), una carenza di piroxidina, avvelenamento da piombo e

carenza di rame. L’eccesso di zinco può indirettamente causare anemia

sideroblastica aumentando l’escrezione di rame. Gli antimicrobici che

possono portare all’insorgenza di anemia sideroblastica includono

l’isoniazide, cloramfenicolo, la cicloserina e il linezolid.

26

Anemie normocitiche

È considerata il tipo di anemia più frequente nella popolazione e viene

definita tale proprio perché i valori dell’MCV sono nella norma. Tuttavia

l’ematocrito e l’emoglobina sono diminuiti.

Questo tipo di anemie possono essere dovute a varie cause:

• perdite severe di sangue

Una perdita considerevole di sangue solitamente è associata ad un

trauma o ad una lesione che possono causare una perdita sostanziale di

sangue. Può anche insorgere durante o nelle prime ore dopo una

procedura chirurgica.

• anemia dovuta ad una malattia cronica

Per quanto riguarda l’anemia correlata ad una malattia cronica, questa

può essere riscontrata in una moltitudine di patologie infiammatorie,

incluse le infezioni, malattie reumatologiche e cancro. La sua eziologia

può essere multifattoriale, comportando non solo anormalità

nell’utilizzo del ferro ma anche in una riduzione nella durata della vita

degli eritrociti, un’inibizione diretta dell’ematopoiesi e una carenza di

eritropoietina. L’anemia derivante da malattie, causata da una

produzione insufficiente, è solitamente normocitica, normocromica e

relativamente leggera, con valori di ematocrito superiori al 30%. Si

possono presentare casi di anemia più severa e i valori del volume

corpuscolare medio possono essere ridotti.

Questo forma di malattia può essere classificata come una delle forme

più comuni di anemia. È caratterizzata da livelli di ferro nel siero molto

bassi, ma, in contrasto con questo dato, le riserve totali di ferro sono

normali o addirittura elevate. Avvengono anche alterazioni

nell’emopoiesi, come, un’inibizione diretta del processo di formazione e

di maturazione delle cellule del sangue (la causa va ritrovata in fattori

solubili presenti nel confuso microambiente del midollo osseo) e una

carenza di eritropoietina.

27

• anemia aplastica (danneggiamento del midollo osseo)

L’anemia aplastica, il modello più evidente di malfunzionamento del

midollo osseo, è caratterizzata da una pancitopenia a livello del sangue

periferico e da un midollo osseo ipocellulare. Da rilievi epidemiologici e

clinici, studi fisiopatologici, e risposte alla terapia, questa malattia ha

caratteristiche peculiari. In primis la diagnosi richiede l’esclusione di

pancitopenia dovuta ad altre cause. L’anemia aplastica può anche

comparire come disordine ematologico primario, nella maggior parte dei

casi idiopatico, o apparentemente secondario a cause vicine, incluse

tossine fisiche e chimiche ma anche da agenti medicali e virus che

possano intervenire in modo indiretto. Anche se la malattia è

solitamente caratterizzata da una severa riduzione nel funzionamento

del midollo che influenza tutte le linee ematopoietiche, il livello di

granulociti, piastrine ed eritrociti potrebbe non essere depresso in modo

uniforme. L’anemia aplastica può essere difficile da distinguere, in

particolar modo, da alcune forme ipocellulari di mielodisplasia. [16]

• anemia emolitica

Le anemie emolitiche autoimmuni sono un gruppo di disordini in cui gli

anticorpi che intervengono contro gli antigeni sulla membrana

eritrocitaria causano una riduzione della vita del globulo rosso. Gli

anticorpi antieritrocitici di queste malattie possono essere di tre tipi:

agglutinine a frigore, quasi sempre dell’isotipo IgM, che raccolgono i

globuli rossi a temperature fredde

gli anticorpi Donath-Landsteiner che si attaccano alle membrane

degli eritrociti nel freddo e attivano la cascata del complemento

emolitico quando le cellule raggiungono la temperatura di 37°C

gli anticorpi IgG “caldi” che si legano agli eritrociti a 37°C ma

falliscono nel loro tentativo di agglutinare le cellule

• anemia falciforme

L’anemia falciforme è un disturbo genetico genetico caratterizzata

principalmente da un’anemia emolitica cronica e da ricorrenti episodi

di dolore. Questi e tutti gli altri elementi caratteristici della malattia

28

sono il risultato delle cellule anomale di emoglobina S dei globuli rossi.

Le caratteristiche cliniche dell’anemia falciforme variano in modo

accentuato tra i vari genotipi maggiori. Anche nel genotipo riconosciuto

per dare la forma più severa di anemia, possiamo ritrovare pazienti

totalmente asintomatici, mentre altri hanno una severa disabilità

dovuta a dolori forti e ricorrenti e complicanze croniche (Fig 6 e 7).

Fig. 6 Ostruzione di un vaso Fig. 7 Cellule dell’anemia falciforme

nell’anemia falciforme

1.2.1.b La carenza di ferro e le sindromi correlate

Le scorte di ferro variano in base all’età ed al sesso. Nei neonati sono molto

alte, ma vengono perse durante i primi mesi di vita e scendono ancora di più

durante l’adolescenza.

La maggior parte del ferro si trova nei gruppi dell’eme, inclusa l’emoglobina,

la mioglobina, i citocromi. La maggior parte del ferro non-eme è immagazzinato

come ferritina o emosiderina nei macrofagi e negli epatociti. Solo una piccola

frazione circola nel plasma, legata ad una proteina trasportatrice, la transferrina.

Il ferro non è prodotto attivamente dal corpo umano solo quando le cellule

muoiono o vengono perse (in particolar modo quelle del tratto gastrointestinale, le

cellule epidermiche e, durante il ciclo mestruale, i globuli rossi). Tre fattori sono

coinvolti nell’anemia da carenza di ferro. Il primo è un danneggiamento nella

sintesi dell’emoglobina, conseguenza di una riduzione nell’apporto di ferro. Il

29

secondo quando c’è un difetto generalizzato nella proliferazione cellulare. Il terzo

quando i precursori eritroidi e degli eritrociti è ridotto, in particolare nelle anemie

severe.

Quando non è causato da una perdita massiva di sangue, la carenza di ferro

è il risultato finale di un lungo periodo di bilanciamento negativo del ferro.

Quando il livello di ferro totale nel corpo inizia a scendere, segue una

caratteristica sequenza di eventi. In primo luogo, il ferro immagazzinato negli

epatociti e nei macrofagi del fegato, della milza e del midollo osseo viene esaurito.

Quando le scorte sono esaurite, il contenuto di ferro nel plasma decresce, e le

riserve di ferro nel midollo diventano inadeguate rispetto alla normale produzione

di emoglobina. Di conseguenza inizia la produzione di eritrociti microcitici e il

livello di emoglobina nel sangue decresce, raggiungendo livelli anormali.

La comparsa dell’anemia da carenza di ferro è insidiosa e la progressione dei

sintomi è graduale: il corpo adattandosi alla condizione non invia segnali e il

paziente non si accorge della condizione fino a quando non inizia ad essere grave.

1.2.1.c L’aplasia midollare

Con il termine aplasia midollare si indicano delle condizioni in cui vi è una

marcata riduzione, fino all’assenza, del tessuto emopoietico midollare. Ciò che ne

consegue è una pancitopenia (anemia, neutropenia e piastrinopenia) che

determina un quadro clinico di astenia, infezioni ed emorragie. Possono comparire

a qualsiasi età, in qualsiasi sesso e in ogni razza. La patogenesi dell’aplasia

midollare è da ricercare in un possibile difetto intrinseco della cellula staminale

emopoietica, in un danno del microambiente midollare e in un difetto immuno-

mediato della proliferazione e della differenziazione cellulare. Vi sono anche

forme idiopatiche (senza una causa apparente), forme secondarie dovute

all’esposizione di fattori tossici (tossici industriali) o a farmaci, od a radiazioni

ionizzanti. L’effetto può essere dose dipendente o non dipendente (idiosincrasica).

Nella prima categoria rientrano tutte le sostanze tossiche come i derivati del

benzene o le radiazioni ionizzanti che causano un danno nella replicazione

cellulare. Nella seconda categoria rientrano diversi farmaci (sali d’oro, idantoina,

etc) che possono causare sporadicamente forme di aplasia. Tra le altre cause si

30

ricordano anche le infezioni virali da virus dell’epatite C, che può determinare

una aplasia anche a distanza di tante settimane dall’avvenuta infezione. L’effetto

che queste cause possono provocare sono una riduzione del compartimento delle

cellule staminali o una alterazione delle strutture cellulari che formano il

microambiente.

L’esordio è molto variabile, con un possibile quadro acuto, con una astenia

ingravescente, severe infezioni con febbre molto alta, con manifestazioni

emorragiche cutanee e mucose. O può essere anche molto più subdolo con mesi di

sintomi a tipo astenia ingravescente, piccole infezioni recidivanti che tendono

difficilmente a guarire. Molto spesso la clinica delle aplasie midollari è simile a

quella delle leucemie acute e solo le analisi di laboratorio possono chiarire la

diagnosi.

1.2.1.d Disturbi dell’emostasi

Piastrinopenia

Si ha una piastrinopenia quando il numero delle piastrine circolanti è

inferiore alle 150.000/mmc. La soglia in cui compare sintomatologia emorragica

però varia da paziente a paziente perché dipende dalla natura dei meccanismi

piastrinopenizzanti, dalla concomitanza di fattori costituzionali e immunologici.

Esistono diversi tipi di piastrinopenia che si possono distinguere in base al

meccanismo fisiopatologico che le determina. Quindi avremo una piastrinopenia:

da ridotta produzione: ne sono causa tutte quelle patologie che

determinano una riduzione del numero dei megacariociti

(piastrinopenie da aplasia midollare, forme congenite ereditarie, le

malattie con invasione midollare da parte di cellule neoplastiche

o forme dovute a infezioni o farmaci);

da piastrinopoiesi inefficace: i precursori piastrinici (megacariociti)

sono normali o aumentati, ma la produzione delle piastrine è anomala

e vi è quindi, una ridotta sopravvivenza piastrinica. Si può osservare in

alcune malattie carenziali, come nei deficit di vitamina B12 o di acido

folico, nelle sindromi mielodisplastiche;

31

da aumentata distruzione: la causa può essere intrinseca alla piastrina

o, come accade più spesso, estrinseca alla piastrina. A questo secondo

gruppo appartengono le piastrinopenie autoimmuni, malattie acquisite

con aumentata distruzione di piastrine nel sangue periferico ed un’

aumentata produzione di megacariociti a livello midollare;

da aumentato consumo: dipende dall’aumentato consumo nel processo

di formazione del trombo;

da distribuzione impropria: rientrano in questa categoria tutte quelle

forme caratterizzate da una milza notevolmente ingrandita che

sequestra nel suo interno le piastrine (da ipersplenismo). Se la

piastrinopenia è grave e sintomatica, la splenectomia è l’unico mezzo

terapeutico efficace. [33]

Coagulopatie congenite e acquisite

Sono difetti dovuti alla carenza di uno o più fattori plasmatici della

coagulazione, congeniti o acquisiti.

Tra le forme congenite ricordiamo:

o emofilia A compare solo nel maschio, perché il deficit è legato al

cromosoma sessuale X, ed è dovuto al deficit del fattore plasmatico

VIII. Il deficit è solo della parte coagulante del fattore e può essere

quantitativamente variabile, così da indurre quadri clinici diversi: da

grave, a moderata, a lieve. Le manifestazioni emorragiche più frequenti

sono gli emartri (versamenti di liquido ematico in un’articolazione), gli

ematomi (versamenti ematici sottocutanei o muscolari), le emorragie

del sistema gastro-enterico e uro-genitale, le epistassi (sanguinamento

dal naso), le emorragie post-intervento chirurgico anche lieve (ad

esempio le estrazioni dentarie).

o Anche l’emofilia B trasmessa geneticamente attraverso il cromosoma

X, ma è molto più rara, con un quadro clinico sovrapponibile a quello

dell’emofilia A. Il difetto riguarda il fattore IX.

o L’emofilia C è ancora più rara ed il difetto, che riguarda il fattore XI è

trasmesso come deficit autosomico recessivo. Le manifestazioni sono

32

molto più rare e più lievi dei difetti precedenti, si hanno emorragie

dopo interventi chirurgici e dopo traumi importanti.

o La malattia di Von Willebrand è un deficit autosomico dominante,

caratterizzato da lievi emorragie cutanee e mucose, con diverse

varianti. È dovuto alla carenza più o meno variabile di una parte di

fattore VIII che regola il legame della piastrina alla parete

dell’endotelio dei vasi. Le manifestazioni emorragiche sono uguali a

quelle di un difetto piastrinico, con epistassi, menorragie e

gengivorragie.

Tra le forme acquisite ricordiamo:

o deficit epatici in cui sono ridotti i fattori VII, IX, X, XIII, fibrinogeno e

protrombina. Può esserci anche una piastrinopenia per il sequestro di

piastrine dovuto alla presenza di una splenomegalia. Prevalgono le

emorragie del sistema gastro-enterico e sono anche frequenti le

epistassi, le ecchimosi e le emorragie post-intervento.

o un deficit di vitamina K la cui carenza si può avere per un deficit di

assorbimento o per l’uso di farmaci antagonisti, come nel caso dei

farmaci usati per la terapia anticoagulante. Le manifestazioni

emorragiche sono epistassi, ematuria, emorragie dal tubo gastro-

enterico.

1.2.1.e Amiloidosi

Il termine amiloidosi viene usato per descrivere un gruppo eterogeneo di

malattia di deposito proteico extracellulare nei quali le molecole di proteina

omogenee si aggregano in modo da formare una struttura lineare di lunghezza

indeterminata e le fibrille sono organizzate in una struttura a foglio

caratteristica.

Le forme più pericolose sono sistemiche, con coinvolgimento di più organi. Le

caratteristiche cliniche che si presentano in questo gruppo di malattie sono

estremamente polimorfe e dipendono dall’organo che, nello specifico, viene colpito

e dalla risultante compromissione della sua funzione. [22]

33

1.2.2 Neoplasie ematologiche

Il cancro si sviluppa attraverso una serie di alterazioni somatiche nel DNA

che conseguono in una proliferazione cellulare incontrollata. Fondamentalmente

le cellule tumorali differiscono da quelle normali sia per la loro composizione

antigenica sia per il loro comportamento biologico. La loro instabilità genetica,

elemento caratteristico delle cellule cancerose, è un generatore primario di

specifici antigeni tumorali. L’alterazione genetica più comune in queste cellule è

la mutazione, che deriva da difetti nel sistema di riparazione del DNA. Delezioni,

amplificazioni e riarrangiamenti cromosomici possono produrre nuove sequenze

geniche risultanti dall’accostamento di sequenze codificatrici, che normalmente

sono sarebbero contigue in cellule normali. La maggior parte di queste mutazioni

avviene in proteine intracellulari, quindi i “neoantigeni” che vengono codificati

non potranno essere localizzati facilmente da anticorpi e non potranno essere

eliminati. L’altra differenza rilevante tra i due tipi cellulari deriva

dall’epigenetica. Alterazioni globali nella metilazione del DNA, così come nella

struttura della cromatina, nelle cellule tumorali risultano in alterazioni drastiche

dell’espressione genetica. Possono derivare da errori di replicazione casuali,

esposizione a fattori cancerogeni o da difetti nei processi di riparazione del DNA.

Quasi tutti i tipi di cancro originano da una singola cellula; questa origine

clonale è la caratteristica discriminante principale tra neoplasia ed iperplasia.

Perché avvenga lo sviluppo di un tumore da un fenotipo normale ad uno

totalmente maligno devono verificarsi ed accumularsi molti eventi mutazionali.

Normalmente le cellule si moltiplicano, si differenziano e poi muoiono in risposta

ai segnali che gli arrivano dall’ambiente circostante. La riproduzione delle cellule

solitamente è stimolata da fattori di crescita extracellulari che interagiscono con

specifici recettori localizzati sulla superficie della cellula. Attraverso la

trasduzione del segnale le informazioni riguardanti fattori di crescita dalla

superficie della cellula vengono trasmessi al nucleo, che controlla la maggior

parte degli eventi cellulari. Quasi tutti i tipi di cancro originano da una singola

cellula; questa origine clonale è la caratteristica discriminante principale tra

neoplasia ed iperplasia. Perché avvenga lo sviluppo di un tumore da un fenotipo

34

normale ad uno totalmente maligno devono verificarsi ed accumularsi molti

eventi mutazionali. Normalmente le cellule si moltiplicano, si differenziano e poi

muoiono in risposta ai segnali che gli arrivano dall’ambiente circostante. La

riproduzione delle cellule solitamente è stimolata da fattori di crescita

extracellulari che interagiscono con specifici recettori localizzati sulla superficie

della cellula. Attraverso la trasduzione del segnale le informazioni riguardanti

fattori di crescita dalla superficie della cellula vengono trasmessi al nucleo, che

controlla la maggior parte degli eventi cellulari. Grazie alle ricerche condotte

negli ultimi due decenni, sappiamo che molti tipi di carco traggono le loro origini

da vie di trasmissione alterate.

L’analisi molecolare dei tumori umani ha dimostrato che l’alterazione di

alcuni componenti che controllano il ciclo cellulare e le vie di controllo del segnale

è presente nella maggior parte dei tumori maligni. Questo scoperta sottolinea

quanto sia importante la conservazione del controllo del ciclo cellulare per la

prevenzione del cancro.

Esistono due tipologie maggiori di geni regolatori, che se inattivati o mutati

possono portare allo sviluppo di cellule cancerose. Il primo tipo comprende geni

che inducono o sostengono la divisione cellulare e vengono chiamati proto-

oncogeni. Se questi geni esprimono un eccesso di prodotto, le cellule vanno in

contro a proliferazione incontrollata. Le forme mutate dei prot-oncogeni sono

dette oncogeni. Il secondo tipo di geni, oncosoppressori, agisce inibendo la

divisione cellulare. La perdita o l’inattivazione di questi geni a causa di una

mutazione determina un mancato arresto della divisione cellulare, per cui le

cellule continuano a dividersi in modo incontrollato. Sia gli oncogeni che gli

oncosoppressori esercitano i loro effetti sulla crescita della neoplasia attraverso la

loro capacità di controllare la divisione cellulare (nascita cellulare) o morte

cellulare (apoptosi), nonostante i meccanismi possano essere molto complessi.

Mentre viene strettamente regolata nelle cellule normali, gli oncogeni

acquisiscono mutazioni nelle cellule tumorali maligne, e le mutazioni

generalmente riducono questo controllo e portano ad un aumento dell’attività dei

prodotti dei geni. In contrasto la normale funzione degli oncosoppressori,

35

solitamente, è di ridurre la crescita cellulare; questa funzione viene persa nelle

cellule cancerose.

La normale crescita e differenziazione delle cellule e controllata da fattori di

crescita legati a recettori presenti sulla superficie della cellula. I segnali generati

dai recettori di membrana vengono trasmessi all’interno delle cellule tramite una

serie di reazioni a cascata in cui sono coinvolte le chinasi, le proteine G e le loro

proteine regolatrici. In ultima istanza questi segnali possono interferire

nell’attività dei fattori di trascrizione nel nucleo, che regolano l’espressione dei

geni, evento cruciale per la proliferazione cellulare, nella differenziazione e nella

morte cellulare. È stato dimostrato che i prodotti degli oncogeni hanno un ruolo

importante nei punti principali di questi cicli ed un’attivazione inappropriata può

portare alla generazione del tumore.

Tra i meccanismi di attivazione degli oncogeni ritroviamo la mutazione

puntiforme, dovute in gran parte alla sostituzione di una singola base

nucleotidica del DNA con un’altra. Altri tipi di mutazione si verificano in seguito

a inserzione o delezione di una base nel filamento di DNA. Nel caso si una

sostituzione possiamo avere conseguenze più o meno grandi sul prodotto finale; in

base alle conseguenze vengono distinte in mutazioni silenti, di senso, non senso.

Le mutazioni silenti avvengono se in seguito alla sostituzione di una base si

ottiene una tripletta che specifica per lo stesso amminoacido la proteina prodotta

sarà la stessa. Le sostituzioni silenti riguardano la terza base del codone, quella

che varia tra codoni diversi che specificano lo stesso amminoacido. Nelle

sostituzioni di senso la maggior parte delle volte la nuova tripletta codifica per un

amminoacido diverso; la proteina avrà quindi lo stesso numero di amminoacidi

ma una sequenza che differisce per un amminoacido. La gravità degli effetti di

una sostituzione dipenderà dalla somiglianza tra l’amminoacido sostituito e il

nuovo e dalla posizione della sostituzione. Nelle mutazioni nonsenso se il nuovo

codone che si forma dalla sostituzione codifica per il segnale di stop avremo una

proteina più corta della precedente (dipende dal punto in cui è avvenuta la

sostituzione). Altre volte invece l’errore consiste nell’inserire una base in più nella

sequenza del DNA. Altre volte durante la replicazione o la riparazione del DNA si

ha la perdita di una base. In entrambi i casi la lettura della sequenza viene

36

completamente alterata. Le mutazioni possono essere di due tipi: spontanee o

indotte. Per quanto riguarda quelle spontanee ci può essere un errore di

incorporazione o di replicazione, un crossing over ineguale, una depurinazione o

una deamminazione; tutti questi casi sono dovuti ad un cambiamento naturale

nella struttura del DNA. Quelle indotte, invece sono provocate da agenti chimici o

radiazioni presenti nell’ambiente, che vengono chiamati mutageni. Un altro tipo

di meccanismo di attivazione degli oncogeni è l’amplificazione di una sequenza di

DNA, evento che conduce ad una sovraproduzione del prodotto genetico. Questo

incremento nel numero di copie del DNA può causare, dal punto di vista

citologico, alterazioni cromosomiche evidenti. Un terzo tipo di meccanismo è il

riarrangiamento cromosomico, che comporta una modificazione del numero e

della struttura cromosomica. Per quanto riguarda i tumori linfoidi e mieloidi

spesso la mutazione è rappresentata da una semplice traslocazione, ad esempio il

trasferimento reciproco di una regione cromosomica da un cromosoma all’altro. Le

traslocazioni sono particolarmente comuni nei tumori linfoidi, probabilmente

perché questo tipo di cellule ha la capacità di ridisporre il proprio DNA per

generare recettori per l’antigene.

La classificazione WHO del 2008 ci fornisce una lista delle principali

neoplasie mieloidi e della leucemia acuta, come riportato in tabella 2.[41]

37

Classificazione delle neoplasie emopoietiche e linfoidi proposta dall’Organizzazione Mondiale della Classificazione delle neoplasie emopoietiche e linfoidi proposta dall’Organizzazione Mondiale della Classificazione delle neoplasie emopoietiche e linfoidi proposta dall’Organizzazione Mondiale della Classificazione delle neoplasie emopoietiche e linfoidi proposta dall’Organizzazione Mondiale della

Sanità nelSanità nelSanità nelSanità nel 2008200820082008

Neoplasie mieloproliferativeNeoplasie mieloproliferativeNeoplasie mieloproliferativeNeoplasie mieloproliferative

Leucemia mieloide cronica, BCR-ABL1

Leucemia neutrofila cronica

Policitemia vera

Mielofibrosi primaria

Trombocitemia essenziale

Leucemia eosinofila cronica

Mastocitosi

Neoplasie mieloproliferative

Neoplasie mieloidi associate ad anormalità di

PDGFRA,PDGFRB o FGR1

Sindromi mielodisplastiche/mieloproliferativeSindromi mielodisplastiche/mieloproliferativeSindromi mielodisplastiche/mieloproliferativeSindromi mielodisplastiche/mieloproliferative

Leucemia mielomonocitica cronica

leucemia mieloide atipica cronica

Leucemia mielomonocitica giovanile

Malattie mielodisplastiche/mieloproliferative, non

classificabili

Sindromi mielodisplasticheSindromi mielodisplasticheSindromi mielodisplasticheSindromi mielodisplastiche

Anemia refrattaria con displasia unilineare

Anemia refrattaria con sideroblasti ad anello

Citopenia refrattaria con displasia multilineare

Anemia refrattaria con eccesso di blasti

Sindrome mielodisplastica con Del 5q isolata

Sindrome mielodisplastica, non classificabile

Leucemie Acute MieloidiLeucemie Acute MieloidiLeucemie Acute MieloidiLeucemie Acute Mieloidi

AML with recurrent genetic abnormalities

AML with t(8;21) (q22;q22) (RUNX1-RUNX1T1)

AML with inv(16)(p13q22) or t(16,16) (p13;q22) (CBFB-

MYH11)

Mature BMature BMature BMature B----cell neoplasms (continued)cell neoplasms (continued)cell neoplasms (continued)cell neoplasms (continued)

Extranodal marginal zone B-cell

lymphoma (MALT lymphoma)

Nodal marginal zone B-cell lymphoma

Follicular lymphoma

Primary cutaneous follicle center

lymphoma

Mantle cell lymphoma

Diffuse large B-cell lymphoma (DLBCL)

Primary mediastinal (thymic) large B-cell

lymphoma

T-cell/histiocyte–rich large B-cell

lymphoma

Intravascular large B-cell lymphoma

Primary DLBCL of the central nervous

system

Primary cutaneous DLBCL, leg type

ALK+ DLBCL

Plasmablastic lymphoma, oral cavity type

DLBCL associated with chronic

inflammation

Primary effusion lymphoma

Lymphoma associated with HHV8-

associated multicentric Castleman

disease

Burkitt lymphoma (BL)

B-cell lymphoma with features

intermediate between DLBCL and BL

B-cell lymphoma with features

intermediate between DLBCL and classic

Hodgkin lymphoma

38

Acute promyelocytic leukemia with t(15;17)(q22;q11-2)

(PML-RARA)

AML with t(9;11)(p22;q23) (MLLT3-MLL)

AML with t(6;9)(p23;q34) (DEK-NUP214)

AML with inv(3)(q21q26.2) or t(3;3)(q21;q26.2) (RPN1-

EVI1)

AML (megakaryoblastic) with t(1;22)(p13;q13) (RBM15-

MKL1)

Provisional entity: AML with mutated NPM1

Provisional entity: AML with mutated CEBPA

AML with myelodysplasia-related changes

Therapy-related AML, myelodysplastic syndromes, and

myelodysplastic/ myeloproliferative neoplasms AML not

otherwise specified

AML minimally differentiated

AML without maturation

AML with maturation

Acute myelomonocytic leukemia

Acute monoblastic and monocytic leukemia

Acute erythroid/myeloid leukemia and pure erythroid

leukemia

Acute megakaryocytic leukemia

Acute basophilic leukemia

Acute panmyelosis with myelofibrosis

Myeloid sarcoma

Acute leukemias of ambiguous lineageAcute leukemias of ambiguous lineageAcute leukemias of ambiguous lineageAcute leukemias of ambiguous lineage

Precursor BPrecursor BPrecursor BPrecursor B----cell neoplasmscell neoplasmscell neoplasmscell neoplasms

Precursor B-lymphoblastic leukemia/lymphoma

Precursor T-lymphoblastic leukemia/lymphoma

Mature BMature BMature BMature B----cell neoplasmscell neoplasmscell neoplasmscell neoplasms

Chronic lymphocytic leukemia/small lymphocytic

lymphoma

B-cell prolymphocytic leukemia

Lymphoplasmacytic lymphoma

Splenic marginal zone lymphoma

Lymphomatoid granulomatosis

B-cell posttransplant lymphoproliferative

disorders

Other/non–transplant-associated

iatrogenic immunodeficiency-associated

B-cell lymphoproliferative disorders

Age-related EBV-positive

lymphoproliferative disorder

Mature Mature Mature Mature (peripheral) T(peripheral) T(peripheral) T(peripheral) T----cell neoplasmscell neoplasmscell neoplasmscell neoplasms

T-cell prolymphocytic leukemia

T-cell large granular lymphocytic

leukemia

Indolent large granular NK-cell

lymphoproliferative disorder

Aggressive NK-cell leukemia

Fulminant EBV-positive T-cell

lymphoproliferative disorder of childhood

Adult T-cell lymphoma/leukemia

Extranodal NK/T-cell lymphoma

Enteropathy-type T-cell lymphoma

Hepatosplenic T-cell lymphoma

Subcutaneous panniculitis-like T-cell

lymphoma

Mycosis fungoides/Sézary syndrome

Primary cutaneous aggressive

epidermotropic CD8+ cytotoxic T-cell

lymphoma

Cutaneous γδ T-cell lymphoma

Provisional entity: Primary cutaneous

small/medium CD4+ T-cell lymphoma

Peripheral T-cell lymphoma, unspecified

Angioimmunoblastic T-cell lymphoma

Anaplastic large cell lymphoma, ALK+

Anaplastic large cell lymphoma, ALK-

TTTT----cell lymphoproliferative disorders of cell lymphoproliferative disorders of cell lymphoproliferative disorders of cell lymphoproliferative disorders of

variable malignant potentialvariable malignant potentialvariable malignant potentialvariable malignant potential

39

Hairy cell leukemia

Plasma cell myeloma

Plasmacytoma

Heavy- and light-chain deposition diseases

Heavy-chain diseases

Cutaneous CD30+ lymphoproliferative

disorders

T-cell posttransplant lymphoproliferative

disorder

Hodgkin lymphomaHodgkin lymphomaHodgkin lymphomaHodgkin lymphoma

Nodular lymphocyte-predominant

Hodgkin lymphoma

Classic Hodgkin lymphoma

Nodular sclerosis Hodgkin lymphoma

Mixed cellularity Hodgkin lymphoma

Lymphocyte-rich classic Hodgkin

lymphoma

Lymphocyte-depleted Hodgkin lymphoma

Histiocytic and dendritic cell neoplasmsHistiocytic and dendritic cell neoplasmsHistiocytic and dendritic cell neoplasmsHistiocytic and dendritic cell neoplasms

Histiocytic sarcoma

Langerhans cell histiocytosis/sarcoma

Interdigitating dendritic cell

sarcoma/tumor

Follicular dendritic cell sarcoma/tumor

Dendritic cell sarcoma, not otherwise

specified

Tab 2 : Revisione della classificazione delle neoplasie emopoietiche e linfoidi da parte della

WHO nel 2008. ( James W. Vardiman et al. 2009)

40

Le leucemie e i linfomi sono i tumori emopoietici più comuni ma negli ultimi

anni si è evidenziato che queste categorie di malattie rappresentano gruppi di

varie sindromi eterogenee che include un grande numero di distinte entità

biologiche. La classificazione di questi tumori originariamente era basata

principalmente sulle caratteristiche morfologiche (alle volte supportata da studi

citochimici) ora richiede una complessa analisi tramite diverse tecniche che

includono l’immunofenotipo e la genetica. Nonostante questi progressi tecnici la

valutazione morfologica rimane fondamentale per la diagnosi di molte malattie.

La diagnosi e la gestione di molte delle malattie ematologiche dipendono

dall’esame del midollo osseo. Questa analisi solitamente comporta lo studio di due

campioni separati, ma interconnessi. Il primo è una preparazione citologica di

cellule midollari ottenute dall’aspirazione del midollo e di applicazione delle

cellule su vetrino, che permette una visualizzazione eccellente della morfologia ed

enumerazione degli elementi. Il secondo campione deriva da una biopsia ossea e

del midollo, che permette un ottima valutazione del numero e del tipo di cellule

presenti nel tessuto, di fibrosi, di infezioni o di malattie infiltranti i tessuti.

Solitamente questi due test vengono sottoposti a pazienti che hanno

evidenziato delle anormalità ematologiche in campioni di sangue periferico; per

una valutazione di tumori primari del midollo osseo; per valutare la stadiazione

dell’evoluzione tumorale nelle metastasi; valutazione dell’evoluzione di malattie

infettive, inclusa febbre di origine non nota; e valutazione di disordini di tipo

metabolico. Molti siti potrebbero essere usati per l’aspirazione del midollo osseo e

per una biopsia. Il sito scelto dipende da come è distribuito il midollo osseo in

base all’età del paziente.

Quindi, nei bambini più piccoli il campione di midollo da esaminare verrà

preso dall’area tibiale media anteriore, mentre negli adulti i migliori campioni

vengono raccolti dallo sterno nel secondo spazio intercostale o dalla cresta iliaca

(anteriormente o posteriormente).

41

1.2.2.a Leucemie

Leucemia Linfoide Acuta

La leucemia linfoide acuta è un tumore maligno caratterizzato da una

accumulo di linfoblasti. L’insorgenza clinica della malattia raramente è insidiosa

e si presenta con segni e sintomi che interessano sia il midollo osseo sia la parte

extramidollare (Fig.8).

Le cause della leucemia linfocitica acuta rimangono ancora non note, ma

alcuni fattori sembra siano associati ad un aumento nel rischio di insorgenza

della malattia.

o predisposizione genetica, infatti, negli studi epidemiologici, pazienti

con rare anormalità cromosomiche dimostrano un rischio molto più alto

di sviluppare leucemie acute.

o irradiazione, ad esempio è stato riscontrato un aumento notevole

nell’incidenza della leucemia nei sopravvissuti agli attacchi atomici in

Giappone, o ad altri eventi nucleari come Chernobyl

o prodotti chimici; il rischio di sviluppare una forma leucemica linfoide

può essere aumentato dall’esposizione ad agenti chimici come il

benzene o altri agenti capaci di produrre aplasia midollare, inclusi i

farmaci chemioterapici. In secondo luogo i vari tipi di leucemia possono

essere legati anche all’esposizione di agenti alchilanti (come la

ciclofosfamide) che possono essere stati usati nel trattamento di

precendenti neoplasie.

o virali; non ci sono evidenze dirette di legame tra un virus e l’insorgenza

di leucemia linfoide. Scoperte scientifiche hanno, però, trovato un

aggancio tra la presenza di un virus e lo sviluppo di due neoplasie

linfoidi.

La maggior parte di adulti diagnosticati con una leucemia linfoidi,

inizialmente presenta sintomi clinici risultanti da un danneggiamento del midollo

osseo. Segni a livello fisico come il pallore, la tachicardia, l’astenia,

l’affaticamento sono dovuti all’anemia; le petecchie o alter manifestazioni

emorragiche vengono attribuite alla trombocitopenia; complicanze infettive sono

42

dovute a neutropenia. Segni clinici di leucemia connessi direttamente ad

infiltrazione i organi con blasti leucemici, come linfoadenopatia, splenomegalia,

epatomegalia, sono presenti in molti pazienti ma non sono frequentemente i

problemi che portano a diagnosi. [21]

Fig. 8 Cellule della Leucemia Linfoide Acuta

Leucemia linfoide cronica

La leucemia linfocitica cronica (CLL – Chronic Lymphocitic Leukemia) è la

forma più comune di leucemie nei pazienti adulti nei paesi occidentali. È una

malattia linfoproliferativa cronica caratterizzata dalla proliferazione e dal

conseguente accumulo di linfociti maturi neoplastici clonali non in grado di

dividersi e immunologicamente inattivi. La proliferazione e l’accumulo di questi

linfociti interessa gli organi linfoidi primari (midollo osseo) e secondari (linfonodi

e milza) manifestandosi con l’aumento del numero dei globuli bianchi nel sangue

venoso periferico e con l’ingrossamento di una o più stazioni linfonodali

(linfoadenomegalia) e/o della milza. Il decorso clinico della malattia è variabile e

le sue complicanze sono associate alla gravità del quadro.

43

Nella maggior parte dei casi i pazienti sono asintomatici. Nei pazienti

sintomatici i sintomi di più comune riscontro sono: astenia, anoressia, perdita di

peso e presenza di linfoadenomegalie superficiali e/o profonde, associate o meno a

ingrossamento della milza (splenomegalia) e del fegato (epatomegalia). In alcuni

casi è possibile che la malattia si presenti con fenomeni di tipo autoimmune.

Leucemia mieloide acuta

La leucemia acuta mieloide (AML - Acute Myeloid Leukemia) è il risultato di

un evento genetico o di una serie di eventi che accadono nei primi precursori

emopoietici che bloccano la differenziazione e che permettono una proliferazione

incontrollata. La proliferazione incontrollata delle cellule leucemiche si accumula

nello spazio midollare, rimpiazzando i progenitori midollari normali, con una

conseguente diminuzione di produzione di globuli rossi, bianchi e di piastrine(Fig

9). Man mano che la malattia progredisce, i blasti leucemici si riversano nel

circolo sanguigno. Alla fine, le cellule leucemiche si accumulano nella milza, nei

polmoni, nel cervello e in altri organi vitali.

Sono stati evidenziati alcuni fattori eziologici, tra i quali citiamo

o i virus: è stata trovata una chiara associazione tra virus della leucemia

a cellule T dell'uomo ed una forma di leucemia delle cellule T, pur non

essendo stato trovato un collegamento tra una qualsiasi forma virale e

lo sviluppo della malattia;

o agenti cancerogeni: è stato dimostrato che l’esposizione al benzene ha

un impronta significativa nello progresso di anemia aplastica,

mielodisplasia e AML;

o trattamento della leucemia mieloide acuta: l’incremento dell’uso di

radiazioni per curare le neoplasie, ha aumentato il numero di casi di

malattia dovuti a questa causa;

o anormalità cromosomiche costituzionali: i bambini che presentano una

trisomia del 21 hanno un alto rischio di insorgenza di leucemia;

o sindromi genetiche associate alla AML: molte alter sindromi

coinvolgenti errori nella riparazione del DNA sono associate con

un’aumento nell’incidenza di leucemia mieloide.

44

Le manifestazioni cliniche iniziali della AML solitamente non sono

specifiche o legate ad una diminuzione nella produzione di cellule del sangue.

L’insorgenza spesso è insidiosa nel corso dei mesi; molti pazienti lamentano una

stanchezza ed un malessere simile a quella data da un’influenza virale, mentre

altri accusano una maggiore tendenza alla formazione di ecchimosi o una difficile

cicatrizzazione delle ferite. L’anemia è una delle caratteristiche che si presentano

al momento della diagnosi, così come la trombocitopenia e una maggiore

esposizione alle infezioni. [11]

Fig. 9 Confronto cellule in un campione di

sangue normale e in uno leucemico

Leucemia Mieloide Cronica

La leucemia mieloide cronica (CLM - Chronic Myeloid Leukemia) e un

disordine clonale delle cellule staminali emopoietiche. È caratterizzata da

un’iperproduzione di cellule mieloidi, come risultato di un’eccessiva proliferazione

e una ridotta apoptosi. Segni clinici includono affaticamento, splenomegalia,

leucocitosi e anemia. La basofilie e la trombocitosi sono comuni.

Il decorso tipico della malattia è bifasico o trifasico. Molti pazienti sono

diagnosticati nella fase asintomatica (o cronica). Se non trattata in modo

appropriato, progredisce nella fase proliferativa accelerate e blastica.

45

Segni e sintomi comuni della CML, quando presenti, risultano dall’anemia e

dalla splenomegalia. Questi includono affaticamento, perdita di peso, malessere,

nausea, e dolore al quadrante addominale superiore sinistro. Rare manifestazioni

includono sanguinamenti (associati ad una bassa conta o ad una disfunzione

piastrinica), trombosi (associata a trombocitosi e/o ad una disfunzione delle

piastrine), artrite gottosa (dovuta a livelli elevati di acido urico), emorragie

retiniche, ulcere e sanguinamenti del tratto gastrico superiore. [9]

1.2.2.b I linfomi

Dividiamo questa categoria di neoplasie in due classi:

o linfomi non Hodgkin (NHL - Non Hodgkin Lymphoma) che sono un

gruppo eterogeneo di neoplasie del sistema emolinfopoetico

caratterizzate da un’espansione monoclonale delle cellule linfoidi. Sono

nel loro complesso la neoplasia ematologica più frequente e

costituiscono il 3% di tutti i tumori maligni. La presentazione clinica

della malattia è variabile e dipende da molti fattori, inclusi quelli

istologici, l’età del paziente e lo stato immunologico. L’NHL si presenta

solitamente con linfoadenopatia che può essere asintomatica, ma può

anche portare ad una compromissione di un organo. Il sintomo più

comune dei LNH è il riscontro di una o più tumefazioni linfonodali.

Nella maggior parte dei casi i LNH aggressivi sono caratterizzati da un

esordio brusco caratterizzato da una rapida crescita delle tumefazioni

linfonodali, dal coinvolgimento di diverse aree linfonodali e dalla

frequente presenza di sintomi sistemici (febbre, spossatezza, perdita di

peso, sudorazioni profuse prevalentemente notturne).

o il linfoma di Hodgkin (HL - Hodgkin Lymphoma) è una neoplasia del

sistema emolinfopoietico che si caratterizza per la presenza di un

incremento dimensionale dei linfonodi, determinato dalla

proliferazione di cellule neoplastiche chiamate cellule di Reed-

Sternberg e cellule di Hodgkin, nel contesto di un infiltrato di cellule

linfoidi di natura reattiva (neutrofili, eosinofili, monociti e macrofagi)

(Fig.10). Il sintomo più comune del HL è il riscontro di una o più

46

tumefazioni linfonodali generalmente non associate a sintomi di rilievo.

E’ possibile tuttavia che già all’esordio della malattia compaiano

sintomi sistemici come prurito diffuso, spossatezza, perdita di peso non

attribuibile a dieta specifica, sudorazioni profuse prevalentemente

notturne e febbre intermittente. Le stazioni linfonodali più

comunemente coinvolte alla diagnosi, sono quelle laterocervicali (ai lati

del collo), sovraclaveari (sopra la clavicola) e mediastiniche (nello

spazio toracico dietro lo sterno). Dalla localizzazione iniziale, la

malattia tende a diffondersi in senso assiale, interessando per

contiguità le strutture vicine. La diffusione extra-linfatica avviene per

estensione diretta della massa linfonodale o per disseminazione

attraverso il sangue. Se la localizzazione è profonda vi possono essere i

sintomi di una compromissione di organo dovuti o direttamente

all’infiltrazione da parte della malattia o indirettamente per fenomeni

di compressione. [37]

Fig. 10 Cellule del linfoma di Hodgkin

47

1.2.2.c Il mieloma

Il Mieloma Multiplo (MM – Multiple Myeloma) è una neoplasia ematologica

caratterizzata da una proliferazione clonale con conseguente accumulo nel

midollo osseo emopoietico di cellule immunologicamente differenziate che si

chiamano plasmacellule. Come conseguenza della proliferazione e dell’accumulo

di un clone di plasmacellule patologiche, si ha la produzione abnorme di

immunoglobuline (anticorpi) o frazioni di immunoglobuline di tipo monoclonale,

cioè tutte identiche perché derivanti da un unico clone di plasmacellule

(componente monoclonale). L’accumulo di plasmacellule neoplastiche nel midollo

osseo emopoietico e la presenza di elevati livelli di una proteina monoclonale a

livello del sangue periferico e/o delle urine giustificano le manifestazione cliniche

del MM. [5]

1.2.2.d La mastocitosi

La mastocitosi è una malattia di origine tumorale caratterizzata

dall’eccessiva moltiplicazione e accumulo di mastociti a livello di uno o più tessuti

dell’organismo.

I mastociti sono cellule che normalmente si trovano negli spazi intorno ai

vasi sanguigni di quasi tutti i tessuti e contengono granuli ricchi di sostanze

chimiche, come l’istamina, che vengono rilasciate in seguito a stimoli di diversa

natura. È una malattia molto spesso difficile da individuare e diagnosticare.

Si distinguono principalmente due tipi di mastocitosi: la mastocitosi cutanea

e la mastocitosi sistemica.

Nella mastocitosi cutanea l’accumulo di mastociti è limitato alla cute, senza

interessare altri tessuti dell’organismo. Il sintomo che più tipicamente

contraddistingue la forma cutanea è il prurito, disturbo che può essere lieve e

tollerabile, ma che può diventare grave.

Nella mastocitosi sistemica invece, i mastociti patologici possono

accumularsi a livello di diversi organi, con o senza interessamento della cute. Le

localizzazioni più frequenti sono il midollo osseo, il tubo digerente, il fegato, la

milza e il polmone, anche se potenzialmente la maggior parte dei tessuti

dell’organismo può essere coinvolta.

48

I disturbi della mastocitosi dipendono dall’organo coinvolto e hanno una

gravità che dipende dall’entità dell’interessamento (cioè da quante cellule

patologiche infiltrano l’organo in questione).

I pazienti con neoplasie ematologiche sono a rischio di complicazioni a causa

della malattia, così come dal trattamento conseguente. I tumori ematologici

causano comunemente morbidità e mortalità tramite tre meccanismi: un deficit

nel numero di cellule presenti o nella loro funzione, l’invasione di organi vitali che

causa il loro malfunzionamento e disturbi sistemici, che si manifestano con

perdita di peso, febbre, sudori, prurito o alterazioni metaboliche (come lisi del

tumore). La frequenza di queste complicanze e la loro gestione variano a seconda

della malattia.

Il corso naturale di una neoplasia ematologica include spesso una fase

compromissione delle difese immunitarie. Molti fattori possono contribuire ad

riduzione della resistenza, include quelle relative alla difesa e quelle relative alla

malattia. È utile dividere le infezioni opportunistiche in quelle causate da una

fagocitosi compromessa (neutropenia), produzione difettosa di anticorpi circolanti

(immunità umorale) e danneggiamento immunità cellulare, o dalla combinazione

di questi difetti.

Altri fattori come l’interruzione della continuità della pelle per l’inserimento

di cateteri o per ulcere e l’ostruzione di tratti respiratori o gastrointestinali,

predispongono i pazienti all’insorgenza di infezioni.

Malattie concomitanti, come diabete, sindromi nefrologiche, problemi

cardiaci e malattie epatiche, possono contribuire all’insorgenza di infezioni, cosi

come influenzare le decisioni.

Inoltre la chemioterapia, la malnutrizione e, raramente, le trasfusioni

possono contribuire nello sviluppo di infezioni.

L’agranulocitosi rappresenta una severa forma di neutropenia o nell’assenza

totale di neutrofili circolanti. Dato che la conta dei neutrofili nella specie umana

varia a seconda dell’età, del sesso, della razza e di altri fattori i limiti inferiori di

conta assoluta dei neutrofili sono differenti nelle varie popolazioni.

49

La neutropenia, definita come la riduzione nel numero assoluto di neutrofili

circolanti nel sangue periferico al di sotto dei 1000/mm3, predispone ad infezioni

batteriche e fungine. La severità ( <100/mm3) e la durata della neutropenia ( <2

settimane) contribuisce ad elevare il rischio di insorgenza di serie, violente

infezioni. La neutropenia è una complicazione comune della leucemia acuta;

spesso si prolunga durante la terapia induttiva e predispone il paziente a

sviluppare specifiche infezioni in specifici siti. [2; 17; 19]

1.3 L’emotrasfusione1.3 L’emotrasfusione1.3 L’emotrasfusione1.3 L’emotrasfusione

1.3.2 Tipologie di trasfusione e scopo

1.3.2.a Emazie Concentrate

Una delle indicazioni principali alla trasfusione di sangue è il ripristino di

un volume ematico in seguito ad un’abbondante perdita di sangue.

Durante gli interventi il principale scopo della trasfusione di emazie, è di

rendere più efficiente il trasporto dell’ossigeno nel sangue in base alle richieste

dell’organismo. Durante gli interventi l’abbondante perdita di sangue (e la

riduzione dell’emoglobina) mette sotto sforzo il cuore che, per mantenere un

adeguato apporto di ossigeno, cerca di aumentare l’output cardiaco.

Pazienti con anemia emolitica acuta o cronica a causa di crisi emolitiche o

aplastiche possono dover avere necessità di trasfusioni di emazie. [42]

Per quanto riguarda i malati con patologie quali le anemie aplastiche o

sideroblastiche, disturbi mielodisplastici e mielofibrosi, spesso questi devono

dipendere da regolari trasfusioni.

Anche i pazienti neoplastici necessitano trasfusioni di sangue come sollievo

dai sintomi dell’anemia (in questa situazione, la funzione emopoietica può essere

severamente depressa dalla chemioterapia o dalla radioterapia). In queste

situazioni si tende a mantenere i livelli di emoglobina maggiori di 8/9 g/dl.

In generale anche tutti i pazienti con patologie ereditarie dei globuli rossi

necessitano di trattamento trasfusionale per alleviare i sintomi della malattia

50

Pazienti che presentano un’anemia da carenza di folati o vitamin B12

raramente necessitano di trasfusione.

Come abbiamo visto la decisione di sottoporre un malato a trasfusione di

emazie concentrate dipende non solo dal livello di emoglobina nel sangue, ma

anche dalla malattia e dalla condizione del paziente.

Prima di procedere alla trasfusione devono essere presi degli accorgimenti.

Dobbiamo controllare il gruppo sanguigno e l’Rh del paziente e del donatore ed

accertarci che siano compatibili(Fig. 11). Dobbiamo controllare che i parametri

vitali del paziente richiesti prima di una trasfusione (pressione arteriosa,

frequenza cardiaca e temperatura corporea) siano nella norma. Infine prima di

collegare il paziente alla sacca dobbiamo richiedere nuovamente al malato tutte le

informazioni necessarie ad accertarci che il malato sia quello giusto e che il suo

gruppo sanguigno corrisponda. Alla fine della trasfusione dovremo ricontrollare

che i parametri vitali siano rimasti pressoché invariati e procedere al lavaggio

della via infusiva. [28] (Fig. 12)

Fig. 11 Compatibilità gruppi Fig.12 Sacche di emazie

sanguigni concentrate

51

1.3.2.b Piastrine

La trasfusione di piastrine nella maggior parte dei casi è un salva vita nelle

emorragie causate da trombocitopenia (spesso causata da farmaci chemioterapici)

o possono essere necessarie anche durante procedure di intervento a cuore aperto.

A scopo profilattico la trasfusione è richiesta, in pazienti oncologici ma anche i

quelli non oncologici, quando la conta piastrinica scende sotto le 20.000

piastrine/mm3 per prevenire episodi di sanguinamento.

A scopo terapeutico, invece, per bloccare il sanguinamento in corrispondenza

delle aree in cui sono presenti manifestazioni emorragiche cutanee (ecchimosi e

petecchie) o mucose (epistassi, gengivorragie, ematemesi, melena). [43]

1.3.2.c Plasma

Il plasma fresco congelato è indicato per correggere un deficit multiplo dei

fattori emostatici in pazienti con emorragie in atto o a rischio di emorragia, che

debbano subire una procedura invasiva.

Le principali cause di un deficit multiplo sono rappresentate da: inadeguata

produzione di uno o più sostanze procoagulanti del sangue (es. epatopatie);

riduzione dei livelli ematici dei componenti plasmatici richiesti per la

coagulazione come risultato di un aumentato consumo (patologia da consumo);

presenza di inibitori; farmaci anticoagulanti; attivazione dei meccanismi

proteolitici del sangue (iperfibrinolisi).

1.3.3 Rischi clinici e complicanze

Le complicanze potenziali di una trasfusione di sangue sono molte, ma nella

maggioranza dei casi riguardano pazienti che ricorrono ad un grande numero di

trasfusioni.

Le complicanze trasfusionali possono essere classificate come immunologiche

o non immunologiche. Molte delle reazioni immuni sono causate dalla

stimolazione nella produzione di anticorpi da parte di antigeni presenti sulle

cellule trasfuse (siano essi globuli rossi, piastrine o proteine del plasma). Questa

52

immunizzazione può portare a reazioni mediate dal sistema immunitario se nelle

trasfusioni successive si ripresentano gli stessi antigeni.

Tra queste risposte possiamo citare: le reazioni emolitiche, causate

dall’incompatibilità dei globuli rossi; reazioni febbrili o polmonari, causate da

antigeni piastrinici o leucocitici; reazioni anafilattiche o allergiche causate da

anticorpi che reagiscono con antigeni solubili (solitamente proteine del plasma)

nel materiale trasfuso

Reazioni non immuni sono causate da proprietà fisiche o chimiche dei

prodotti ematici infusi, così come agenti infettivi contaminanti.

53

2.2.2.2. L’ISOLAMENTOL’ISOLAMENTOL’ISOLAMENTOL’ISOLAMENTO

2.1 L’isolamento di un paziente2.1 L’isolamento di un paziente2.1 L’isolamento di un paziente2.1 L’isolamento di un paziente

Il controllo ospedaliero della trasmissione infettiva è realizzato attraverso

l’attuazione delle tre fondamentali tipologie di isolamento (e delle misure

precauzionali correlate): isolamento preventivo, settico e protettivo.

L’isolamento preventivo (o precauzionale) consente un’importante azione di

prevenzione della trasmissione dei microrganismi da individui potenzialmente

infetti, ovvero da casi sospetti di malattie contagiose, ad altri individui.

L’isolamento settico consiste, invece, in un’efficace azione di controllo della

trasmissione dei microrganismi da pazienti infetti (casi confermati) o portatori ad

altri pazienti, a visitatori e ad operatori sanitari che, a loro volta, possono fare da

tramite per altri pazienti o contrarre essi stessi l’infezione.

L’isolamento protettivo, infine, costituisce uno strumento fondamentale per

la prevenzione della trasmissione dei germi dalle persone e dall’ambiente esterno

verso pazienti immuno-compromessi.

Per la realizzazione di un isolamento efficace occorre, in primo luogo, saper

individuare ed allestire appositi spazi da riservare all’isolamento delle differenti

tipologie di malattie contagiose, curando il posto, il dimensionamento, gli aspetti

organizzativi strutturali ed impiantistici e l’equipaggiamento dei locali.

In secondo luogo, occorre conoscere le differenti modalità di isolamento ed

essere in grado di saperle attuare attraverso l’osservanza delle precauzioni

standard ed, all’occorrenza, delle precauzioni aggiuntive del caso.

In terzo luogo, occorre non perdere mai di vista gli obblighi medico-legali

correlati all’isolamento e la necessità di salvaguardare i principi etici elementari

in regime di isolamento del paziente.

54

2.1.1 Tipologie di isolamento

Esistono tre vie principali di tramissione

o Per contatto

o Tramite goccioline(droplet)

o Per via aerea

La trasmissione per contatto è il più importante e frequente modo di

trasmissione delle infezioni ospedaliere e può essere diretta o indiretta.

La trasmissione per contatto diretto comporta un contatto tra due superfici

corporee ed in trasferimento fisico di microrganismi fra una persona infetta o

colonizzata ad un ospite suscettibile, ad esempio mentre si mobilizza un paziente

o lo si aiuta nell’igiene personale, o il contatto tra due pazienti.

La trasmissione per contatto indiretto comporta il contatto di un ospite

suscettibile con un oggetto contaminato, di solito inanimato, che fa da

intermediario, che può essere costituito da uno strumento chirurgico, un ago o un

presidio quale un termometro o un dispositivo per il monitoraggio della glicemia,

un indumento, o le mani contaminate che non sono state lavate e i guanti che non

sono stati cambiati tra un paziente e un altro.

La trasmissione tramite goccioline (droplet) viene considerata una forma di

trasmissione per contatto, ma il meccanismo di trasferimento dei patogeni

all’ospite è totalmente diverso. Le goccioline respiratorie, contenenti

microrganismi, generate dalla persona infetta, raggiungono direttamente le

mucose (congiuntive, naso e bocca) del ricevente, generalmente, entro un breve

raggio dal soggetto fonte. Le goccioline sono generate dal soggetto fonte con la

vociferazione, la tosse o lo starnuto e durante l’esecuzione di alcune procedure

(quali aspirazione, intubazione endotracheale, induzione dell’espettorato,

broncoscopia e procedure di rianimazione cardiopolmonare). Per questo motivo,

per questo tipo di isolamento è richiesta una protezione facciale. La distanza

massima per la trasmissione tramite goccioline è attualmente oggetto di

discussione.

55

La velocità ed meccanismo mediante cui le goccioline vengono espulse dal

soggetto fonte, densità delle secrezioni respiratorie, fattori ambientali quali la

temperatura e l’umidità, capacità del patogeno di mantenere l’infettività a

determinate distanze.

Un’altra variabile, oggetto di discussione, è data dalla grandezza delle

particelle.

I droplet (goccioline) sono tradizionalmente definiti come particelle aventi

diametro superiore a 5 µ.

Trasmissione per via aerea si verifica per disseminazione di “droplet” nuclei

(nuclei di goccioline) ovvero di piccole particelle di dimensioni tali da poter essere

inalate, contenenti l’agente infettivo, che mantiene la capacità infettante a

distanza di tempo e di spazio.

I microrganismi trasportati in questo modo possono essere dispersi a grande

distanza da correnti d’aria ed essere inalati dall’ospite suscettibile, anche

allorquando tale persona non viene direttamente in contatto con il soggetto fonte,

o addirittura non entra neppure nella stanza di isolamento: ciò in conseguenza di

fattori ambientali favorenti (stanza di degenza a più letti, sistema di

condizionamento dell’aria dei locali di isolamento non autonomo, ecc.).

Sono pertanto richiesti speciali trattamenti dell’aria e particolari sistemi di

ventilazione (ad es.: stanze per isolamento aereo), per il contenimento e la

rimozione in tutta sicurezza dell’agente infettante.

Per prevenire la trasmissione per via aerea va inoltre indossata una

protezione respiratoria (filtrante facciale FFP2 o superiore), al momento

dell’ingresso nella stanza di isolamento aereo.

I microrganismi trasmessi per via aerea comprendono il micobatterio della

tubercolosi, il virus del morbillo e il virus della varicella.

Esistono due categorie di precauzioni per quanto riguarda l’isolamento:

o precauzioni standard, che sono le precauzioni utilizzate per

l’assistenza di tutti i pazienti in ospedale indipendentemente dalla

loro diagnosi o da una condizione di presunta infezione. L’attuazione

di queste precauzioni rappresenta la prima strategia di controllo delle

56

infezioni ospedaliere e si applicano a: sangue, liquidi corporei,

secrezioni, escrezioni (escluso il sudore), cute non integra e mucose.

Includono:

� l’igiene delle mani,

� l’uso dei guanti,

� l’utilizzo di barriere protettive,

� la corretta gestione delle attrezzature,

� l’igiene dell’ambiente,

� la gestione di biancheria e delle stoviglie,

� la collocazione del paziente,

� l’educazione sanitaria

� la formazione degli operatori

o precauzioni basate sulla trasmissione, ovvero le precauzioni destinare

esclusivamente all’assistenza di specifici pazienti. Queste precauzioni

sono destinate ai pazienti riconosciuto o sospettati di essere infetti con

patogeni diffusi attraversi la via aerea, con le goccioline, o attraverso il

contatto con la cute asciutta o con superfici contaminate.

� misure aggiuntive di barriera,

� misure aggiuntive relative al paziente

o precauzioni protettive (o misure d’isolamento protettivo), indicate per

creare un ambiente protettivo nei confronti dei pazienti immunodepressi

e, in particolare, sottoposti a trapianto di midollo osseo.

I dispositivi di protezione individuale (DPI), facenti parte della categoria di

barriere protettive, sono costituiti da una varietà di barriere e filtranti

respiratori, da utilizzare da soli o in combinazione, per proteggere le membrane

mucose, le vie aeree, la cute e gli indumenti dal contatto con gli agenti patogeni.

Questi sono inclusi in entrambe le categorie di protezione: sia in quelle standard,

57

sia in quelle specifiche. La scelta di questi dispositivi si basa sulla natura

dell’interazione col paziente e/o sul probabile modo/i di trasmissione degli agenti

patogeni. (Figure 13 e 14)

Possono essere citati, all’interno di questo gruppo:

i guanti (messi sempre per ultimi quando indossati assieme ad altri

indumenti protettivi);

i camici protettivi (la necessità ed il tipo di camice protettivo scelto si

basano sulla natura dell’interazione con il paziente, incluso il previsto

grado di contatto con materiale infettante e il potenziale per la

penetrazione di tale indumento da sangue ed altri fluidi biologici);

mascherine;

dispositivi per protezione per gli occhi e schermi facciali

dispositivi individuali di protezione respiratoria, che prevedono

l’utilizzo di maschere respiratorie FFP2 o superiori

Fig.13 Precausioni standardi da Fig. 14 Procedura di rimozione

applicare su tutti i pazienti dei DPI

58

2.1.2 Motivazioni di isolamento

La decisione di porre misure di isolamento misure di isolamento specifico,

diverse a seconda del caso, sono applicate quando ci troviamo di fronte pazienti

infetti o nel caso di pazienti immunodepressi, anche in questo caso diverse a

seconda della gravità dell’immunodepressione.

La ragione per cui si rende necessario porre in isolamento questi due tipi di

pazienti è che, soprattutto in ambiente ospedaliero, la trasmissione delle infezioni

è facilitata dall’interazione di tre principali elementi, che aumentano il rischio di

trasmissione:

o una sorgente/serbatoio di microrganismi patogeni costituita

principalmente dalle persone (altri pazienti, operatori, visitatori,

familiari o la flora endogena del paziente), dall’ambiente inanimato

(attrezzature, strumentario, dispositivi medici, ecc.) e tramite

materiali biologici (in occasione di trasfusioni o ricezione di organi o

tessuti).

o un ospite suscettibile ed una porta di ingresso specifica per quel

microrganismo. La resistenza delle persone ai microrganismi patogeni

varia molto da soggetto a soggetto. Alcuni possono essere immuni alle

infezioni o essere capaci di resistere alla colonizzazione da parte di un

agente infettante; altri, esposti allo stesso agente, possono stabilire

una relazione di commensalismo con i microrganismi infettanti e

divenire portatori asintomatici; altri ancora possono sviluppare una

malattia clinicamente manifesta. Tutte queste variabili sono

determinate da fattori quali l’età, le malattie predisponenti, alcuni

trattamenti con antibiotici, corticosteroidi o con altri agenti

immunosoppressivi, radiazioni, e una violazione delle “prime linee”

dei meccanismi di difesa causata da interventi chirurgici, anestesia o

cateteri a dimora possono rendere il paziente più suscettibile alle

infezioni. Pazienti con deficit immunitari congeniti o acquisiti sono ad

aumentato rischio, in correlazione con lo specifico difetto immunitario.

59

o una via di trasmissione specifica per quel patogeno. In ospedale i

microrganismi possono essere trasmessi con diverse modalità e lo

stesso germe può essere trasmesso attraverso più di una via. [10; 34]

2.1.3 Impatto psicologico

I visitatori sono stati segnalati, come fonte di svariati tipi di infezione

associata all’assistenza (pertosse, tubercolosi, influenza ed altre infezioni virali

respiratorie e SARS), ma non sono stati studiati metodi efficaci di screening in

ambito sanitario.

Il controllo attuato dal personale della struttura, permette di ammettere o

escludere il visitatore. Familiari e conviventi di pazienti con pertosse e tubercolosi

(soprattutto pediatrici) possono necessitare di uno screening per identificare

precedenti anamnestici di esposizione, così come segni e sintomi di infezione

attiva.

I visitatori potenzialmente contagiosi vengono esclusi, fintanto che non

abbiano ricevuto un appropriato inquadramento diagnostico e un adeguato

trattamento.

Dal punto di vista dell’impatto psicologico, è stato dimostrato in molti

articoli che l’isolamento, sia esso dovuto ad un’infezione contratta dal paziente,

sia esso per una patologia psichiatrica, o sia esso per proteggere un paziente

immunodepresso potenzialmente a rischio comporta degli effetti negativi

sull’assistito. [40]

Questi effetti negativi si evidenziano sia in una manifestazione di stati

depressivi e ansiosi, di un aumento nella paura e nel senso di solitudine, sia dal

punto di vista comportamentale, con episodi di rabbia, ostilità e violenza. La

ragione dietro a questi effetti psicologici negativi è da ricercare probabilmente ad

una sensazione di perdita di controllo, che deriva da più fattori, in ultima istanza

dall’isolamento stesso. [13]

Alcuni autori affermano che, la preparazione emotiva di questi pazienti a

quello che dovranno affrontare, prima del periodo di isolamento, possa aiutarli a

diminuire gli effetti negativi che scaturirebbero da quest’ultimo. [1; 15]

60

2.2 Isolamento e patologia neoplastica ematologica2.2 Isolamento e patologia neoplastica ematologica2.2 Isolamento e patologia neoplastica ematologica2.2 Isolamento e patologia neoplastica ematologica

2.2.1 Isolamento per chemioterapia

Tutti i pazienti ricoverati nella Clinica Ematologica, nella sezione degenze

sono posti in isolamento. In questo caso ci troviamo di fronte ad un isolamento di

tipo preventivo, molto meno rigido rispetto a quello della sezione trapianti (come

vedremo in seguito). Quasi tutti i pazienti ricoverati in questa unità sono

sottoposti a chemioterapia e sono in una condizione di immunodepressione

severa(Fig. 15) ; c’è la necessità quindi di prendere degli accorgimenti in modo che

non vengano esposti a delle infezioni potenzialmente fatali per la loro condizione

immunitaria. Tutti i parenti ed i conoscenti che vengono a fargli visita devono

rispettare degli orari molto rigidi e devono seguire delle procedure standard

prima di entrare nel reparto: devono indossare dei calzari sulle scarpe e una

mascherina chirurgica e lavarsi le mani, con la procedura del lavaggio mani

utilizzata in ospedale, con i prodotti appositi. Anche il personale del reparto deve

seguire, sia per quanto riguarda l’uso di DPI, sia per quanto riguarda l’esecuzione

di procedure sul paziente.

Fig. 15 Principali effetti collaterali

della chemioterapia

61

2.2.2 Isolamento per trapianto

Il tipo di isolamento che viene attuato nei confronti del paziente ematologico

sottoposto a trapianto di midollo osseo è di tipo preventivo. Come accennato in

precedenza per isolamento protettivo si intende la permanenza in un ambiente a

bassa carica microbica ottenuta da rigide norme comportamentali sia per il

personale del reparto, sia per i visitatori, sia per il paziente stesso.

In particolare durante il periodo di degenza in un’unità trapianto di midollo

osseo, il paziente essendo aplastico, non potrà avere contatti con persone

provenienti dall’esterno e sarà quindi isolato in una stanza singola (doppia

quando in remissione). Il personale potrà recarsi in stanza del paziente solo con

divisa del reparto, calzari del reparto, mascherina e cuffia e dovrà attuare il

lavaggio delle mani all’ingresso e all’uscita dalla stanza e ad ogni procedura.

Le indicazioni da seguire in questo contesto saranno molto più rigide

rispetto a quelle applicate nel reparto di degenza, essendo la condizione di

immunosoppressione del paziente molto più severa. [3]

2.2.3 Impatto psicologico sul paziente ematologico immunodepresso in

unità trapianti

Dal punto di vista emotivo, per il paziente, l’ingresso nell’unità trapianti, e

di una condizione di rigido isolamento, conferma la severità dell’intervento e

comporta un punto di non ritorno. [24] I fattori che producono stress

nell’isolamento sono riconducibili alla sensazione di perdita di controllo, alla

mancanza di contatto fisico, all’insonnia, alla rigidità delle cure e alle limitazioni

nelle attività quotidiane.

Gli effetti a livello psicologico a cui può portare questa situazione possono

includere una regressione comportamentale, un aumento dell’ansia anche per

procedure minori, depressione, disturbi del sonno, richieste eccessive al personale

ed alla famiglia ed una noncompliance. [20]

62

La combinazione di una diagnosi di neoplasia e di una necessità di

isolamento del paziente, che debba essere anche sottoposto a chemioterapia o

radioterapia può avere, a maggior ragione un impatto psicologico ancora più

violento; può destabilizzare ancor di più l’assistito nel percorso terapeutico ed

avere effetti negativi sulla sua compliance e sull’accettazione della terapia. [7]

In questa situazione, oltre al pensiero della malattia e a non poter vedere i

propri familiari durante il periodo di degenza, il paziente potrebbe dover

affrontare un’altra esperienza molto significativa, come l’accettazione di un

“organo” da parte di un proprio familiare. La conoscenza che un proprio caro, o

anche uno sconosciuto, si sottoporrà ad un’ intervento doloroso per concedere una

possibilità di guarigione all’assistito, può avere un impatto molto forte dal punto

di vista emotivo per il paziente, che non avrà nemmeno l’occasione di esprimere le

proprie emozioni, trovandosi solo e separato dai propri familiari. [32; 6; 31; 38]

Tutte queste variabili psicologiche possono, in qualche modo, influenzare la

ripresa dopo il trapianto e rendere il malato più debole, sia dal punto di vista

fisico, sia dal punto di vista psicologico. [8]

63

3.3.3.3. IL TRAPIANTOIL TRAPIANTOIL TRAPIANTOIL TRAPIANTO

3.1 Il trapianto3.1 Il trapianto3.1 Il trapianto3.1 Il trapianto

3.1.1 Cos’è?

Il trapianto di midollo osseo (BMT - Bone Marrow Transplant) consiste nella

procedura di infusione intravenosa di cellule staminali emopoietiche e cellule

progenitrici, con lo scopo di ripristinare la normale emopoiesi e/o trattare

malattie oncologiche (Fig. 16). Effettuare un trapianto di midollo osseo, significa

impiantare cellule staminali emopoietiche per due motivazioni principali:

• sostituire un midollo anormale, ma non neoplastico, che deve prima essere

“annullato”. Per fare ciò il paziente si deve sottoporre ad un ciclo di

chemioterapia (chiamato ciclo d’induzione), o attraverso la radioterapia.

• somministrare chemioterapia e/o radioterapia in neoplasie ematologiche

(leucemie, linfomi ed altri tumori), allo scopo di eliminare tutte le cellule

neoplastiche, sostituendo infine il midollo osseo attraverso un trapianto

allogenico (donato da altri) o autologo (prelevato, come cellule staminali, dal

paziente stesso) il midollo annullato. Anche un gemello identico al malato può

donare il midollo; in questo casi si parla di trapianto singenico. [27]

Per il trapianto di midollo si ricorre al prelievo da sorgenti di cellule staminali

emopoietiche, come:

o il midollo

o il sangue periferico

o il sangue del cordone ombelicale

o il fegato fetale, proveniente da un individuo diverso dal paziente, ma

immunologicamente compatibile a lui

Le condizioni patologiche in cui si richiede un trapianto di midollo sono

elencate in tabella 3.

64

Patologie neoplastichePatologie neoplastichePatologie neoplastichePatologie neoplastiche Patologie non neoplastichePatologie non neoplastichePatologie non neoplastichePatologie non neoplastiche

Leucemia mieloide acuta

Leucemia linfoide acuta

Leucemia mieloide cronica

Leucemia linfoide cronica

Sindromi mielodisplastiche

Linfomi non-Hodgkin

Linfoma di Hodgkin

Mieloma multiplo

Mielofibrosi

Carcinoma della mammella

Cancro del testicolo

Cancro dell’ovaio

Neuroblastoma

Tumori neuroepiteliali periferici

Tumore di Wilms

Sarcoma di Ewing

Anemia aplastica

Aplasia eritroide pura

Emoglobinuria parossistica notturna

Anemia di Fanconi

Anemia drepanocitica

Talassemia

Immunodeficienza combinata grave

Difetti di adesione dei leucociti

Tromboastenia di Gianzmann

Malattia di Gaucher

Malattia granulomatosa cronica

Sindrome di Chédiak-Higashi

Sindrome di Hurier

Sindrome di Hunter

Leucodistrofia metacromatica

Adrenoleucodistrofia

Sindrome di Lesch-Nyhan

Glicogenosi di tipo II

Osteopetrosi

Incidenti da radiazioni

(come Chernobyl, Hiroshima ecc.)

Tab. 3 Elenco delle principali patologie sottoposte a trapianto di midollo

65

3.1.2 Tipi di trapianto

I tipi di trapianto che possono essere effettuati sono: il trapianto allogenico

(donato da altri); il trapianto autologo (prelevato, come cellule staminali, dal

paziente stesso); il trapianto singenico (prelevato da un gemello identico al

malato).

3.1.2.a Allogenico

Nel trapianto allogenico, le cellule staminali vengono prelevate da un

donatore diverso dal paziente ricevente. I donatore e il ricevente solitamente sono

identici o compatibili per l’antigene leucocitario umano (HLA - Human Leukocyte

Antigen) o complesso maggiore di istocompatibilità.

Le caratteristiche distintive del trapianto allogenico sono: la certezza di

avere cellule staminali, per il trapianto, non contaminate da cellule tumorali e

che contengano cellule T capaci di mediare una reazione immunitaria contro

antigeni estranei. Quest’ultima caratteristica può essere un grande vantaggio

nella risposta immunitaria contro le cellule neoplastiche (graft-versus-leukemia o

graft-versus-tumor effect) quindi potenzialmente eradicando la malattia e

riducendo le possibilità di una ricaduta. Se, però, la risposta immunologica è

diretta verso gli antigeni presenti sui tessuti normali, può portare alla

distruzione di organi sani, evento chiamato rigetto (GVHD - Graft Versus Host

Disease).

La scelta di preferire come donatore allogenico per il trapianto è

determinata da più fattori, inclusa la malattia del paziente, lo stadio della

malattia e l’urgenza di trovare un donatore. Quando viene presa in

considerazione la scelta di un donatore allogenico, si preferisce che questo sia un

parente perfettamente compatibile con il malato, per diminuire al minimo la

probabilità di rigetto. Uno degli svantaggi di questo tipo di trapianto è che i tempi

di attesa prima dell’intervento sono molto più lunghi, a causa di tutte le

procedure di identificazione del donatore appropriato e di compatibilità richieste.

[37; 39; 44]

66

Una volta trovato il donatore, il paziente, come accennato in precedenza,

deve iniziare un regime di “condizionamento” o di “preparazione” prima

dell’infusione delle cellule staminali emopoietiche. La maggior parte delle terapie

preparative sono una combinazione di radiazioni e chemioterapia.

Il trapianto di midollo osseo singenico utilizza cellule staminali prelevate da

un gemello identico al malato. Siccome le cellule sono geneticamente identiche, il

vantaggio nella scelta di questo trapianto è che non c’è rischio di GVHD e,

caratteristica comune al trapianto allogenico, non c’è rischio di contaminazione di

cellule neoplastiche. Lo svantaggio maggiore è che l’individuo non è protetto

dall’effetto graft-versus-leukemia.

3.1.2.b Autologo

Il trapianto di midollo osseo autologo implica che le cellule staminali siano

raccolte dal paziente stesso. Il motivo fondate di scelta di questo tipo di trapianto,

così come quello singenico, è che alcune neoplasie come la leucemia, hanno una

rapida curva dose-risposta alla chemioterapia e alle radiazioni e portano quindi

ad effetti mielosoppressori molto severi in breve tempo.

I vantaggi maggiori di questo tipo di trapianto, a differenza di quello

allogenico, sono che: il paziente può donare a se stesso il midollo, senza doverlo

richiedere ad un’altra persona (importante dal punto di vista psicologico); può

essere effettuato anche in pazienti più anziani, diminuendo il rischio di mortalità

(minore probabilità di GVHD).

Tuttavia aumenta il rischio di complicanze dovute alle radiazioni precedenti

il trapianto. Altro svantaggio, potenziale, riscontrato nel trapianto autologo è la

possibile re-infusione di cellule neoplastiche.

67

3.1.3 Le sue fasi

L’intervento di trapianto di midollo può essere diviso in tre fasi, identificabili

nel periodo di pre-trapianto, il periodo immediatamente successivo al trapianto ed

il periodo recupero dopo il trapianto.

Il periodo di pre-trapianto comprende:

o la fase di identificazione del tipo di trapianto da eseguire e, se

necessario, la ricerca del donatore da cui prelevare le cellule;

l’ingresso del paziente in unità trapianti; la somministrazione di

un’appropriata terapia di condizionamento e la gestione dei primi

effetti collaterali; il supporto psicologico pre-trapianto.

Gli infermieri ricoprono un ruolo significativo nell’intervento di

trapianto di midollo osseo; in particolare, in questa fase svolgono un

ruolo fondamentale sia nella gestione della terapia e dei suoi effetti

collaterali, sia nell’educazione del paziente e dei familiari di come

affrontare l’interventi e nel supporto psicologico.[20]

o la fase immediatamente successiva al trapianto comprende il

trapianto stesso, le complicanze acute relative al trapianto e/o alla

terapia di condizionamento e il supporto psicologico e fisico durante la

severa pancitopenia e immunosoppressione successiva al trapianto.

o il periodo di recupero dopo il trapianto è caratterizzato dalla

preparazione del paziente alla dimissione, alle complicanze tardive

legate alla terapia di induzione e/o al trapianto stesso e all’educazione

sulla gestione della terapia immunosoppressiva e

dell’immunosoppressione stessa.

Psicologicamente sia i pazienti, che i donatori, che la famiglia attraversano delle fasi

di coping e di adattamento durante il processo di trapianto di midollo osseo.

[32]

68

Fig. 16 Trapianto di cellule staminali in paziente

leucemico

69

4.4.4.4. STUDIOSTUDIOSTUDIOSTUDIO

4.1 Lo scopo dello studio4.1 Lo scopo dello studio4.1 Lo scopo dello studio4.1 Lo scopo dello studio

L’esperienza di isolamento affrontata da un paziente in un ambito oncologico

è un evento traumatico nonché difficile da affrontare, non solo per l’isolamento in

sé, ma anche per la patologia di cui soffre il paziente e la terapia a cui viene

sottoposto. [14]

In ambito ematologico il paziente può dover affrontare l’esperienza del

trapianto di midollo osseo, che, oltre ai rischi correlati all’ intervento in sé, ha un

forte impatto sul paziente per l’isolamento protettivo che comporta.

L’assistito infatti è costretto a stare lontano dalla propria famiglia e dai

propri cari per un periodo di tempo molto lungo, che va dall’ingresso in unità

trapianti per il condizionamento pre-trapianto, al trapianto stesso, al periodo

immediatamente al trapianto. [25]

Lo studio che ho voluto affrontare ha come proposito quello di analizzare il

vissuto del paziente affetto da patologia ematologica all’interno dell’unità

trapianti, quindi durante il periodo di isolamento necessario dalla preparazione

per il trapianto, al trapianto stesso e al primo periodo di remissione.

Lo studio è stato puramente osservazionale; è stato valutato l’impatto che

l’allontanamento dai propri cari e la mancanza di interazione con altre persone

per gran parte della giornata ha avuto sui soggetti presi in considerazione. [12]

70

4.2 Mate4.2 Mate4.2 Mate4.2 Materiali e Metodiriali e Metodiriali e Metodiriali e Metodi

Questo studio osservazionale è stato eseguito presso la Unità Trapianti della

Clinica Ematologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine.

Sono stati inclusi nello studio tutti i pazienti ematologici ricoverati

nell’unità trapianti nel periodo che va da luglio 2013 a novembre 2013.

I questionari sono stati consegnati a minimo 5-6 giorni dall’ingresso del

paziente nella zona trapianti, per valutare nel miglior modo possibile l’effettivo

stato psicologico del paziente in una condizione di isolamento. Sono state fatte

due copie per ogni questionario, una in italiano ed una in inglese, per facilitare

eventuali pazienti stranieri ricoverati di compilare il questionario in una lingua

conosciuta a livello internazionale. Vengono di seguito riportate in tabella solo le

versioni italiane essendo state utilizzate solamente quelle.

4.2.1 I questionari utilizzati

Per rendere possibile questo studio ho voluto prendere in esame ed utilizzare

due questionari ridotti a risposta chiusa multipla. Oltre a questi ho voluto

aggiungere una domanda aperta che lasciasse spazio al paziente di esprimere

anche a sue parole le sensazioni e le emozioni provate durante il periodo di

isolamento.

Il primo questionario preso in esame è stato il State Trait Anxiety Inventory,

scala usata in vari contesti ospedalieri (Tab.4). Comunemente viene usata per

rilevare il livello di ansia mostrato da un paziente e per distinguerlo da sindromi

depressive. Viene anche usato spesso per valutare lo stress nei caregiver che si

prendono cura dei pazienti.

Il questionario è diviso in due parti, entrambe composte da 20 domande. La

prima parte ha come intento quello di valutare lo stato di ansia del paziente nel

momento attuale (nel periodo di isolamento, nel nostro caso). La seconda parte

vuole determinare lo stato di ansia che il paziente viveva normalmente nella sua

vita al di fuori dell’ospedale prima del ricovero. Ad ogni risposta è stato attribuito

un punteggio da 1 a 4. La valutazione 4 indica un alto livello d’ansia, mentre il

valore 1 indica un livello di ansia basso. Alcune domande sono formulate in forma

invertita, perché indicano un’assenza di stato d’ansia.

71

Il punteggio finale viene ottenuto dalla somma dei punti dati alle risposte;

più è alto il punteggio, più è alto lo stato d’ansia. Il punteggio varia da 20 a 80 per

ogni parte del test, dove venti indica uno stato d’ansia basso e 80 molto alto. [36]

72

Primo QuestionarioPrimo QuestionarioPrimo QuestionarioPrimo Questionario

S.T.A.I (StateS.T.A.I (StateS.T.A.I (StateS.T.A.I (State----TraitTraitTraitTrait---- AnxietyAnxietyAnxietyAnxiety----Inventory)Inventory)Inventory)Inventory)

A.

ISTRUZIONI: Sono qui di seguito riportate alcune frasi che le persone spesso usano

per descriversi. Legga ciascuna frase e poi selezioni la risposta che indica come lei si sente

adessoadessoadessoadesso, cioe' in questo momento. Non ci sono risposte giuste o sbagliate. Non impieghi

troppo tempo per rispondere alle domande e dia la risposta che le sembra descrivere meglio

i suoi attualiattualiattualiattuali stati d'animo.

1. Mi sento calmo ______________________________________________________

2. Mi sento sicuro_______________________________________________________

3. Sono teso____________________________________________________________

4. Mi sento sotto pressione_______________________________________________

5. Mi sento tranquillo____________________________________________________

6. Mi sento turbato______________________________________________________

7. Sono attualmente preoccupato per possibili disgrazie_____________________

8. Mi sento soddisfatto____________________________________________________

9. Mi sento intimorito____________________________________________________

10. Mi sento a mio agio____________________________________________________

11. Mi sento sicuro di me _________________________________________________

12. Mi sento nervoso______________________________________________________

13. Sono agitato__________________________________________________________

14. Mi sento indeciso______________________________________________________

15. Sono rilassato_________________________________________________________

16. Mi sento contento______________________________________________________

17. Sono preoccupato______________________________________________________

18. Mi sento confuso______________________________________________________

19. Mi sento disteso_______________________________________________________

20. Mi sento bene ________________________________________________________

Ad ogni domanda il soggetto può rispondere:

• Per nulla

• Un po’

• Abbastanza

• Moltissimo

73

B.

ISTRUZIONI: Sono qui di seguito riportate alcune frasi che le persone spesso usano

per descriversi. Legga ciascuna frase e poi selezioni la risposta che indica come lei

abitualmente abitualmente abitualmente abitualmente si sente. Non ci sono risposte giuste o sbagliate. Non impieghi troppo tempo

per rispondere alle domande e dia la risposta che le sembra descrivere come lei

abitualmenteabitualmenteabitualmenteabitualmente si sente.

21. Mi sento bene ________________________________________________________

22. Mi sento teso e irrequieto________________________________________________

23. Sono soddisfatto di me stesso ____________________________________________

24. Vorrei poter essere felice come sembrano essere gli altri_____________________

25. Mi sento un fallito_____________________________________________________

26. Mi sento riposato______________________________________________________

27. Io sono calmo, tranquillo e padrone di me___________________________________

28. Sento che le difficoltà si accumulano tanto da non poterle superare_____________

29. Mi preoccupo troppo di cose che in realtà non hanno importanza________________

30. Sono felice___________________________________________________________

31. Mi vengono pensieri negativi ____________________________________________

32. Manco di fiducia in me stesso____________________________________________

33. Mi sento sicuro________________________________________________________

34. Prendo decisioni facilmente______________________________________________

35. Mi sento inadeguato____________________________________________________

36. Sono contento ________________________________________________________

37. Pensieri di scarsa importanza mi passano per la mente e mi infastidiscono _______

38. Vivo le delusioni con tanta partecipazione da non poter togliermele dalla testa____

39. Sono una persona costante_______________________________________________

40. Divento teso e turbato quando penso alle mie attuali preoccupazioni______________

Ad ogni domanda il soggetto può rispondere:

• Quasi mai

• Qualche volta

• Spesso

• Quasi sempre

Tab 4. Questionario scala STAI

74

La seconda scala utilizzata per valutare l’impatto psicologico dell’isolamento

a cui sono sottoposti i pazienti in unità trapianti è stato il Beck Depression

Inventory, anche questa, scala utilizzata in diversi contesti ospedalieri, così come

in ambito psichiatrico (Tab 5.).

Il questionario consiste di 21 gruppi di affermazioni. Per ognuno il paziente

aveva la possibilità di scegliere, ponendo una X sul numero a lato, tra quattro

risposte, segnando quella che meglio descriveva come si sentiva nei giorni

precedenti (compresa la giornata di compilazione) alla somministrazione del test.

Se più di una affermazione dello stesso gruppo avesse descritto ugualmente bene

l’emozione provata, il paziente doveva barrare il numero più elevato per quel

gruppo. Non c’è la possibilità di optare per più di una affermazione per ciascun

gruppo. Per questo test non esistevano risposte giuste o sbagliate e gli assistiti

sono stati sollecitati a non soffermarsi troppo a pensare sulla risposta da dare.

Ad ogni domanda è stato attribuito un punteggio da 0 a 3. Il punteggio può

variare da 0 a 63, dove un punteggio da 0 a 9 in dica un minimo stato depressivo,

da 10 a 18 uno stato depressivo lieve, da 19 a 29 una depressione moderata e da

30 a 63 un quadro depressivo severo. [4; 24; 30]

75

Secondo QuestionarioSecondo QuestionarioSecondo QuestionarioSecondo Questionario

BDI ( Beck Depression Inventory)BDI ( Beck Depression Inventory)BDI ( Beck Depression Inventory)BDI ( Beck Depression Inventory)

IstruzioniIstruzioniIstruzioniIstruzioni: Il presente questionario consiste di 21 gruppi di affermazioni. Legga

attentamente le affermazioni di ciascun gruppo. Per ognuno scelga quella che meglio descrive

come lei si è sentito negli ultimi giorni (incluso oggi). Faccia una crocetta sul numero

corrispondente all’affermazione scelta. Se più di una affermazione dello stesso gruppo descrive

bene ugualmente come lei si sente, faccia una crocetta sul numero più elevato per quel gruppo.

Non scelga più di una affermazione per ciascun gruppo incluse la domanda 16 (“Sonno”) e la

domanda 18 (“Appetito”). Non ci sono risposte giuste o sbagliate. Non si soffermi troppo a pensare

su ogni affermazione. Grazie.

1. Tristezza

0 Non mi sento triste

1 Mi sento triste o malinconico

2 Sono malinconico o triste per tutto il tempo e non so come uscirne fuori

3 Sono talmente triste o infelice da non poterlo sopportare

2. Pessimismo

0 Non mi sento particolarmente pessimista o scoraggiato riguardo al futuro

1 Mi sento scoraggiato riguardo al futuro

2 Mi sembra che, per il futuro, non mi attenda nulla di positivo

3 Mi sembra che il futuro sia senza speranza e che le cose non possano

migliorare

3. Fallimento

0 Non mi sembra di essere un fallimento

1 Mi sembra di aver commesso più errori degli altri

2 Se ripenso al mio passato, non vedo altro che un mucchio di errori

3 Mi sento come persona (genitore, marito, moglie…) un totale fallimento

4. Perdita di piacere

0 Non sono particolarmente insoddisfatto

1 Non mi godo più le cose come in passato

2 Non c’è più niente che riesca a darmi soddisfazione

3 Sono insoddisfatto di tutto

76

5. Senso di colpa

0 Non mi sento particolarmente in colpa

1 Spesso mi sento cattivo o di non valere niente

2 Mi sento abbastanza in colpa

3 Mi sento sempre come se fossi molto cattivo o di non valere niente

6. Sentimenti di punizione

0 Non mi sento come se stessi subendo una punizione

1 Sento che potrei essere punito

2 Mi aspetto di essere punito

3 Mi sento come se stessi subendo una punizione

7. Autostima

0 Considero me stesso come ho sempre fatto

1 Credo meno in me stesso

2 Sono deluso di me stesso

3 Mi detesto

8. Autocritica

0 Non mi considero peggiore degli altri

1 Sono critico verso me stesso sulle le mie debolezze o errori

2 Mi biasimo per le mie colpe

3 Mi biasimo per ogni cosa brutta che mi accade

9. Suicidio

0 Non penso affatto di farmi del male

1 Penso che sarebbe meglio se fossi morto

2 Ho fatto dei progetti precisi di suicidio

3 Mi ucciderei se ne avessi la possibilità

10. Pianto

0 Non piango più del solito

1 Piango più del solito

2 Piango per ogni minima cosa

3 Ho spesso voglia di piangere ma non ci riesco

11. Agitazione

0 Non mi sento più agitato o teso del solito.

1 Mi sento più agitato o teso del solito.

2 Sono così nervoso o agitato al punto che mi è difficile rimanere fermo

3 Sono così nervoso o agitato che devo continuare a muovermi o fare qualcosa

77

12. Perdita di interessi

0 Non ho perso interesse verso le altre persone o verso le attività.

1 Sono meno interessato agli altri o alle cose rispetto a prima.

2 Ho perso la maggior parte dell’interesse verso le altre persone o cose.

3 Mi risulta difficile interessarmi a qualsiasi cosa.

13. Indecisione

0 Prendo le mie decisioni come prima

1 Trovo più difficoltà del solito nel prendere decisioni

2 Ho molte più difficoltà nel prendere decisioni rispetto al solito

3 Non riesco a prendere nessuna decisione

14. Senso di inutilità

0 Non mi sento inutile.

1 Non mi sento valido e utile come un tempo.

2 Mi sento più inutile delle altre persone.

3 Mi sento completamente inutile su qualsiasi cosa.

15. Perdita di energia

0 Ho la stessa energia di sempre.

1 Ho meno energia del solito.

2 Non ho energia sufficiente per fare la maggior parte delle cose.

3 Ho così poca energia che non riesco a fare nulla.

16. Sonno

0 Non ho notato alcun cambiamento nel mio modo di dormire.

1a. Dormo un po’ più del solito.

1b. Dormo un po’ meno del solito.

2a. Dormo molto più del solito.

2b. Dormo molto meno del solito.

3a. Dormo quasi tutto il giorno.

3b. Mi sveglio 1-2 ore prima e non riesco a

4 Riaddormentarmi.

17. Irritabilità

0 Non sono più irritabile del solito.

1 Sono più irritabile del solito.

2 Sono molto più irritabile del solito.

3 Sono sempre irritabilità

78

18. Appetito

0 Non ho notato alcun cambiamento nel mio appetito.

1a Il mio appetito è un po’ diminuito rispetto al solito.

1b Il mio appetito è un po’ aumentato rispetto al solito

2a Il mi appetito è molto diminuito rispetto al solito

2b Il mio appetito è molto aumentato rispetto al solito.

3a Non ho per niente appetito.

3b Mangerei in qualsiasi momento

19. Concentrazione

0 Riesco a concentrarmi come sempre.

1 Non riesco a concentrarmi come al solito.

2 Trovo difficile concentrarmi per molto tempo

3 Non riesco a concentrarmi su nulla.

20. Fatica

0 Non sono più stanco o affaticato del solito.

1 Mi stanco e mi affatico più facilmente del solito.

2 Sono così stanco e affaticato che non riesco fare molte delle cose che facevo

prima.

3 Sono talmente stanco e affaticato che non riesco più a fare nessuna delle cose

che facevo prima.

21. Sesso

0 Non ho notato alcun cambiamento recente nel mio interesse verso il sesso.

1 Sono meno interessato al sesso rispetto a prima.

2 Ora sono molto meno interessante al sesso.

3 Ho completamente perso l’interesse verso il sesso.

Tab 5. Questionario scala BDI

79

Il terzo questionario è costituito da una domanda aperta per permettere al

paziente di esprimere a proprie parole l’esperienza che stava vivendo (Tab 6).

Sono state aggiunte una ventina di righe a disposizione dell’assistito per

comunicare i propri pensieri. Per questo test non c’è una valutazione numerica

ma solo un’interpretazione soggettiva delle parole del paziente.

80

Tab. 6. Questionario a domanda aperta

Terzo QuestionarioTerzo QuestionarioTerzo QuestionarioTerzo Questionario

Istruzioni: Istruzioni: Istruzioni: Istruzioni: Questa domanda le verrà sottoposta si prima che durante o dopo il periodo di isolamento.

Risponda usando le parole che esprimono meglio le sensazioni provate.

Esprima, con sue parole, le sensazioni/emozioni che prova o ha provato nei confronti del periodo di

isolamento.

_____________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________

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_____________________________________________________________________________________________

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_____________________________________________________________________________________________

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_____________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________________________

81

4.2.2 Come e quando sono stati somministrati

I questionari sono stati somministrati ai pazienti a 5-6 giorni dal loro

ingresso in unità trapianti e sono stati raccolti i dati in modo anonimo. Ai

pazienti è stata data la possibilità di compilare i questionari in un momento

diverso da quello di consegna e non in forma di intervista orale.

4.34.34.34.3 RisultatiRisultatiRisultatiRisultati

4.3.1 Risultati dei questionari a risposta multipla

Tra luglio e novembre 2013 sono stati sottoposti allo studio 21 pazienti. Sul

campione totale 8 si sono rifiutati di partecipare allo studio; uno di questi pazienti

era seguito dal reparto di psichiatria. I restanti pazienti sono stati sottoposti al

nostro studio in forma anonima.

Le caratteristiche degli assistiti presi in esame sono:

o paziente con neoplasia ematologica sottoposto alla fase di

condizionamento pre-trapianto o sottoposto a trapianto di midollo

osseo, autologo o allogenico

o paziente con un quadro di aplasia midollare o severa

immunodepressione

o paziente con un’età superiore ai 18 anni (non sono ricoverati pazienti

minorenni nel reparto)

Nell’intera popolazione i risultati di rischio emersi dai questionari vengono

riportati in seguito. Vengono presi in esame solo i pazienti che hanno accettato di

sottoporsi al test (n=13) e vengono citati i punteggi dei due questionari a risposta

multipla presentati agli assistiti. Vengono esclusi dalle statistiche gli 8 pazienti

che si sono rifiutati di sottoporsi al test.

Per quanto riguarda la scala BDI 8 pazienti su 13 (61.5%) hanno presentato

un quadro di minimo depressione; 4 pazienti su 13 (30.8%) hanno presentato un

quadro di depressione lieve; solo 1 paziente su 13 (7.7%) ha presentato un quadro

depressivo moderato (Grafico 1).

82

Per quanto riguarda la scala STAI (nella parte che valutava lo stato d’animo

attuale) in 6 assistiti su 13 (46.1%) abbiamo rilevato un punteggio inferiore a 30

(escluso l’estremo superiore), quindi con un quadro di ansia che possiamo definire

lieve; 5 assistiti su 13 (38.5%) hanno ottenuto un punteggio compreso tra 30 e 40

(escluso l’estremo superiore); 1 assistito su 13 (7.7%) ha presentato un punteggio

compreso tra 40 e 50 (escluso l’estremo superiore); ed infine 1 assistito su 13

(7.7%) ha ottenuto un punteggio compreso tra 50 e 63 (Grafico 2).

Per quanto riguarda la parte della scala riguardante lo stato d’animo

abituale del soggetto 9 pazienti su 13 (69.2%) hanno ottenuto un punteggio tra 20

e 30 (escluso l’estremo superiore); 4 pazienti su 13 (30.8%) hanno ottenuto un

punteggio tra 30 e 40 (escluso l’estremo superiore) (Grafico 3). Di questi 10

pazienti su 13 (76,9%) hanno mostrato un quadro di ansia maggiore nel vissuto

attuale rispetto alla vita abituale; 3 pazienti su 13 (23.1%) hanno dimostrato un

quadro di ansia maggiore nella vita abituale rispetto al periodo di ricovero in

unità trapianti in isolamento (Grafico 4).

Il dato che abbiamo potuto rilevare dagli 8 pazienti che non si sono

sottoposti al test è la rabbia e la mancata accondiscendenza non solo a sottoporsi

al test, ma anche solo a sfogliare i questionari.

Per quanto riguarda il terzo questionario somministrato abbiamo rilevato

che 10 pazienti su 13 hanno espresso, anche solo attraverso una parola le

emozioni che provavano. La maggior parte di questi hanno rafforzato il forte

impatto psicologico che ha l’isolamento e l’allontanamento dai propri cari sul loro

decorso clinico e sul loro stato d’animo. Un minor numero (corrispondente ai

pazienti con livelli di ansia e di depressione più bassi) ha riferito di non sentirsi

particolarmente preoccupato o triste e che essendo una procedura da dover

affrontare la stavano affrontando serenamente.

83

Grafico 1. Quadri di depressione delineati attraverso il BDI

Grafico 2. Quadro dell’ansia attuale secondo la scala STAI

61%

31%

8%

Depressione Minima Depressione Lieve

Depressione Moderata

46.1%

38.5%

7.7%7.7%

Punteggio <30 Punteggio ≥30 e <40

Punteggio ≥40 e <50 Punteggio ≥50

84

Grafico 3. Quadro dell’ansia abituale secondo la scala STAI

Grafico 4. Percentuali dei pazienti con un quadro d’ansia

maggiore in isolamento rispetto alla vita abituale

69.2%

30.8%

Punteggio ≥20 e <30 Punteggio ≥30 e <40

76.9%

23.1%

Ansia maggiore attuale Ansia maggiore abituale

85

4.4 Discussione4.4 Discussione4.4 Discussione4.4 Discussione

Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare l’impatto psicologico

dell’isolamento nell’unità trapianti della Clinica Ematologica. Questa analisi è

stata fatta per evidenziare quale effetto ha l’isolamento sul recupero e sul vissuto

del percorso di intervento di trapianto di midollo osseo (e del periodo trascorso

nell’unità).

I dati più evidenti che emergono dal nostro studio sono:

la grande percentuale di pazienti che ha rifiutato di partecipare allo

studio (8/21);

la presenza di 1 paziente su 13 con un grado di depressione moderato, i

restanti lieve o minimo;

la grande percentuale di pazienti che presenta un grado di ansia

maggiore durante il periodo attuale di isolamento nell’Unità Trapianti e

che, invece, una minima percentuale di questi ha un ottenuto un

punteggio più alto nella parte del questionario relativa allo stato d’ansia

nella vita quotidiana, al di fuori dall’ospedale (e dell’unità trapianti) e

della malattia.

Questo dato ci ha fatto riflettere sulla reale ricaduta che ha l’isolamento

sull’impatto psicologico di questi pazienti.

Un altro problema che abbiamo riscontrato è la difficoltà a compilare i test:

difficoltà riscontrata sia dal punto di vista fisico (causa importante astenia e

malessere generale) sia dal punto di vista psicologico. Molti pazienti al momento

della consegna del test chiedevano se c’era la possibilità di compilarlo nei giorni

seguenti, cioè dichiaravano di non avere la forza fisica, o di essere troppo

sconfortati, in quel momento.

Sui 13 casi presi in esame abbiamo riscontrato una prevalenza di uno stato

di ansia piuttosto che di uno stato depressivo, influenzato sia dalla condizione di

isolamento, sia da quella di malattia e, in alcuni casi dalla paura per il trapianto.

In letteratura è stato già dimostrato che l’isolamento durante il periodo di

trapianto di midollo osseo è correlato a disturbi mentali e all’insorgenza di ansia e

depressione. [38]

86

4.3.2 Frasi significative riportate dai pazienti

Anche il terzo questionario ha rafforzato la nostra opinione sul forte impatto

dell’isolamento durante il periodo del trapianto, avendo riscontrato nella maggior

parte delle risposte delle emozioni negative derivanti dall’isolamento e

dall’allontanamento dai propri cari.

Riporterò alcune frasi che trovo esprimano in modo chiaro l’esperienza e le

emozioni del malato in isolamento.

“La peggior cosa durante il periodo di isolamento è non poter vedere i propri

familiari per così tanto tempo, neppure attraverso un vetro.”

“Mi sento in gabbia, distante dalle persone che mi vogliono bene e da ciò che

mi rende felice, libero e appagato.”

“I primi giorni mi sentivo come in una gabbia, poi pian piano mi sono

abituato, visto che già dal principio sapevo di dover affrontare questo percorso con

pazienza e tanta, tanta volontà.”

“L’isolamento certamente non è piacevole, mi manca casa mia, soprattutto

dopo questo test. Io non mi riconosco, semplicemente essendo una persona

positiva.”

4.3.3. Limiti dello studio

I limiti dello studio sono molti, a partire dal ristretto numero di casi presi in

considerazione, causa rifiuto dei pazienti e lunga degenza degli stessi.

Inoltre, potrebbe non esserci corrispondenza tra le risposte rilevate dal

questionario e il reale stato emotivo del paziente.

87

4.5 Conclusione4.5 Conclusione4.5 Conclusione4.5 Conclusione

Lo scopo dello studio è stato quello di rilevare quale impatto ha l’isolamento

protettivo sui pazienti nell’Unità Trapianti della Clinica Ematologica, in

particolare sul loro vissuto e sulla loro serenità nell’affrontare la malattia. Grazie

a questa indagine abbiamo potuto evidenziare le difficoltà che affrontano i

pazienti trapiantati e l’effetto negativo che l’isolamento può avere sulla loro

ripresa dopo il trapianto, e quali sono le preoccupazioni e le difficoltà

maggiormente affrontate durante questo periodo.

4.5.1 Implicazioni per la pratica infermieristica

Il ruolo dell’infermiere, in questa unità è molto delicato, essendo il

professionista sanitario con cui il paziente interagisce maggiormente durante la

giornata. Ha anche un ruolo fondamentale nella valutazione del vissuto del

paziente durante questo periodo e nell’individuazione di eventuali segnali di

distress psicologico. Risulterebbe di fondamentale importanza quindi, cercare di

analizzare le competenze relazionali e comunicative degli infermieri del reparto

sull’argomento e definire quali sono quelle da acquisire, in particolare

nell’individuazione degli interventi/strategie da attuare con i pazienti, soprattutto

quelli che incontrano maggiori difficoltà durante questo momento. [23; 25; 26]

La conoscenza di cosa pensano, come percepiscono, cosa desiderano i

pazienti durante il ricovero, deve guidare l’agire professionale per sviluppare le

strategie di valorizzazione dell’esperienza del paziente, utili a superare i

principali ostacoli per un’assistenza centrata sul paziente anche attraverso la

revisione dei modelli assistenziali applicati nelle degenze ospedaliere. [45]

4.5.2 Implicazioni per la ricerca infermieristica

Questo studio fornisce le indicazioni per aprire ulteriori scenari di studio e di

ricerca.

Un filone potrebbe riguardare l’analisi di diversi Centri Trapianto in Italia

per evidenziare se ci sono differenze nel vissuto dei pazienti trapiantati in

88

relazione alla modalità di ricovero, con o senza isolamento stretto e con o senza il

coinvolgimento dei familiari.

Un’altra ipotesi di lavoro potrebbe riguardare l’analisi di quali outcome si

generano o si modificano in questi pazienti a seguito dell’introduzione di

strategie/interventi che lo aiutino a superare le difficoltà del trapianto, che lo

coinvolgano nel rendere più vivibile/sopportabile questo periodo.

89

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