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N. 14 - Febbraio 2010 - Distribuzione gratuita, a cura della A.S.D. La Pelota www.aslapelota.it 2010 2009 2008 2007 2006 Quella che vi raccontiamo è una storia inventata che però si avvera, sistematicamente ogni fine settimana, in tutti i campi di calcio del mondo. E’ la storia di una squadra che aspetta l’altra,la squadra avversaria,e da questo piccolo racconto potrete capire ed apprezzare il valore e l’importanza dell’avversario tenendo sempre a mente che anche noi,prima o dopo,siamo gli avversari di qualcun altro: Finalmente il momento era arrivato! Sabato pomeriggio,ore 15,00,tutti presenti al campo,rispettosi dell’appuntamento che il Mister aveva dato alla squadra. Non mancava nessuno. Neppure Marco,celebre per i suoi ritardi,si era scordato di muoversi da casa con un po’ di anticipo per arrivare puntuale. Quel sabato si doveva giocare la partita che valeva il primo posto in classifica. Per tutta la settimana,durante gli allenamenti,i ragazzi si erano impegnati per provare e riprovare le situazioni di gioco,affinare la tecnica,tirare le punizioni ed i corner. E poi,per tutta la settimana,durante le lezioni scolastiche,il sogno,l’immaginazione e l’emozione avevano trovato spazio tra un’ora di matematica e di inglese. I giorni sembravano scorrere lenti per ritardare quel momento tanto atteso:la partita di sabato. Ma ora quel momento era arrivato. Come sempre ognuno era andato negli spogliatoi per cambiarsi,non prima di aver dato il “cinque”al mister. Un attimo,come fanno i ragazzi, e poi subito in campo per il riscaldamento. Stranamente,nonostante si avvicinava l’ora della partita,la squadra avversaria non si era ancora presentata. Forse il traffico,forse la difficoltà nel trovare il campo. Nessuno però ci fece caso più di tanto. Il pallone c’era,il campo pure e la voglia di sfogarsi dopo una settimana di scuola non mancava certo. Anche l’arbitro era pronto. Aveva invitato un dirigente a rintracciare per telefono la squadra avversaria,ma dall’altra parte nessuno rispondeva. Inesorabili arrivarono le 15,30 ora stabilita per l’attesa dell’avversario ma degli altri nessuna traccia. L’attesa si mischia con la preoccupazione. I Ragazzi nel frattempo,continuano a calciare in porta e a passarsi il pallone. Il Mister non voleva che perdessero la concentrazione per questo ritardo ma,nonostante questo,tutti cominciavano ad annoiarsi ed a perdere la voglia di calciare o fare il torello,tutti volevano GIOCARE LA PARTITA!!! Alle 16,00,come da regolamento,l’arbitro decreta la vittoria a tavolino per mancata presenza della squadra avversaria,la squadra di casa era prima in classifica senza giocare ed i ragazzi,invece di essere contenti,erano delusi ed amareggiati:non era così che si erano immaginati quel pomeriggio. Magari anche con una sconfitta,ma dopo essersela giocata,dopo aver liberato le proprie emozioni,correndo dietro al pallone. Fu in quel momento che tutti,dal mister ai ragazzi,dai genitori ai dirigenti capirono il VALORE DELL’AVVERSARIO: non un nemico da sconfiggere,ma un COMPAGNO senza il quale non si può giocare. Uno senza il quale la GIOIA non può esplodere,lo sforzo fisico è mal sopportato e il pallone diventa un passatempo noioso. L’avversario è colui che ti chiede di dare il massimo per raggiungere l’obiettivo,sollecita le tue energie migliori per non rassegnarti. Senza di lui,tutto quello che hai appreso in allenamento,il tuo valore e le tue capacità non possono essere svelati. Restano nell’ombra di una convinzione che non ha potuto misurarsi con la realtà. L’altro,l’avversario,è il parametro di confronto per misurarsi,scoprire realmente i propri limiti e il proprio talento. Inoltre,soprattutto nel gioco di squadra,è l’invito a sentirsi più uniti per affrontare la sfida. Quando hai di fronte una squadra ,magari più forte,tu sai che puoi contare su coloro che hanno deciso di condividere con te quell’impresa e hai la segreta certezza che anche i tuoi compagni,come te,faranno il possibile per vincere. Da quel pomeriggio,anche se delusi per la partita mancata,tutti rientrarono negli spogliatoi convinti che al termine di una gara,stringere la mano all’avversario non sia solo una regola imposta o un bel gesto di buona educazione,bensì un ringraziamento come per dire all’avversario: “ Senza di te,il pomeriggio sarebbe stato un’altra cosa” Agenzia di Aprilia Aprilia (LT) - Via Cagliari, 5 Tel. 06.9282414 - [email protected] TIPOGRAFIA DI LELIO dal 1957 IL VALORE DELL’AVVERSARIO

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N. 14 - Febbraio 2010 - Distribuzione gratuita, a cura della A.S.D. La Pelota www.aslapelota.it

20102009200820072006

Quella che vi raccontiamo è una storia inventata che però si avvera, sistematicamente ogni fine settimana, in tutti i campi di calcio del mondo.E’ la storia di una squadra che aspetta l’altra,la squadra avversaria,e da questo piccolo racconto potrete capire ed apprezzare il valore e l’importanza dell’avversario tenendo sempre a mente che anche noi,prima o dopo,siamo gli avversari di qualcun altro:

Finalmente il momento era arrivato! Sabato pomeriggio,ore 15,00,tutti presenti al campo,rispettosi dell’appuntamento che il Mister aveva dato alla squadra. Non mancava nessuno. Neppure Marco,celebre per i suoi ritardi,si era scordato di muoversi da casa con un po’ di anticipo per arrivare puntuale. Quel sabato si doveva giocare la partita che valeva il primo posto in classifica. Per tutta la settimana,durante gli allenamenti,i ragazzi si erano impegnati per provare e riprovare le situazioni di gioco,affinare la tecnica,tirare le punizioni ed i corner. E poi,per tutta la settimana,durante le lezioni scolastiche,il sogno,l’immaginazione e l’emozione avevano trovato spazio tra un’ora di matematica e di inglese. I giorni sembravano scorrere lenti per ritardare quel momento tanto atteso:la partita di sabato. Ma ora quel momento era arrivato.Come sempre ognuno era andato negli spogliatoi per cambiarsi,non prima di aver dato il “cinque”al mister. Un attimo,come fanno i ragazzi, e poi subito in campo per il riscaldamento. Stranamente,nonostante si avvicinava l’ora della partita,la squadra avversaria non si era ancora presentata. Forse il traffico,forse la difficoltà nel trovare il campo. Nessuno però ci fece caso più di tanto. Il pallone c’era,il campo pure e la voglia di sfogarsi dopo una settimana di scuola non mancava certo. Anche l’arbitro era pronto. Aveva invitato un dirigente a rintracciare per telefono la squadra avversaria,ma dall’altra parte nessuno rispondeva. Inesorabili arrivarono le 15,30 ora stabilita per l’attesa

dell’avversario ma degli altri nessuna traccia. L’attesa si mischia con la preoccupazione. I Ragazzi nel frattempo,continuano a calciare in porta e a passarsi il pallone. Il Mister non voleva che perdessero la concentrazione per questo ritardo ma,nonostante questo,tutti cominciavano ad annoiarsi ed a perdere la voglia di calciare o fare il torello,tutti volevano GIOCARE LA PARTITA!!!Alle 16,00,come da regolamento,l’arbitro decreta la vittoria a tavolino per mancata presenza della squadra avversaria,la squadra di casa era prima in classifica senza giocare ed i ragazzi,invece di essere contenti,erano delusi ed amareggiati:non era così che si erano immaginati quel pomeriggio. Magari anche con una sconfitta,ma dopo essersela giocata,dopo aver liberato le proprie emozioni,correndo dietro al pallone. Fu in quel momento che tutti,dal mister ai ragazzi,dai genitori ai dirigenti capirono il VALORE DELL’AVVERSARIO: non un nemico da sconfiggere,ma un COMPAGNO senza il quale non si può giocare. Uno senza il quale la GIOIA non può esplodere,lo sforzo fisico è mal sopportato e il pallone diventa un passatempo noioso.L’avversario è colui che ti chiede di dare il massimo per raggiungere l’obiettivo,sollecita le tue energie migliori per non rassegnarti. Senza di lui,tutto quello che hai appreso in allenamento,il tuo valore e le tue capacità non possono essere svelati. Restano nell’ombra di una convinzione che non ha potuto misurarsi con la realtà. L’altro,l’avversario,è il parametro di confronto per misurarsi,scoprire realmente i propri limiti e il proprio talento. Inoltre,soprattutto nel gioco di squadra,è l’invito a sentirsi più uniti per affrontare la sfida. Quando hai di fronte una squadra ,magari più forte,tu sai che puoi contare su coloro che hanno deciso di condividere con te quell’impresa e hai la segreta certezza che anche i tuoi compagni,come te,faranno il possibile per vincere. Da quel pomeriggio,anche se delusi per la partita mancata,tutti rientrarono negli spogliatoi convinti che al termine di una gara,stringere la mano all’avversario non sia solo una regola imposta o un bel gesto di buona educazione,bensì un ringraziamento come per dire all’avversario: “ Senza di te,il pomeriggio sarebbe stato un’altra cosa”

Agenzia di Aprilia

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TIPOGRAFIADI LELIO

dal 1957

Il valoredell’avversarIo

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Il 6 febbraio 1958 un’intera squadra veniva coinvolta in un disastro aereo: molti giocatori morivano, altri si salvavano. Dieci anni dopo, gli scampati e i giovani innesti conquistavano a Wembley la Coppa dei Campioni.

Monaco di Baviera, 16,04 del 6 febbraio 1958: un bimotore della British European Airways chiamato «Lord Burleigh», ottiene il permesso di alzarsi in volo. Comincia a rullare lentamente, infila la pista di decollo, porta il motore al massimo e inizia a muoversi. Si alza, pur se a fatica, e quando è a non più di cinque metri dal suolo s’incendia e scoppia in volo: con ogni probabilità — scoprirà in seguito la Commissione d’inchiesta subito insediata dalle autorità tedesche — il carrello, non ancora completamente rientrato, ha urtato una macchia d’alberi e il velivolo è scoppiato trasformandosi in un’enorme torcia per i serbatoi colmi di benzina.

Il «Lord Burleigh» era pilotato dal capitano James Thain, un uomo che aveva al suo attivo moltissime ore di volo come ufficiale della Rovai Air Force durante la guerra, e proveniva da Belgrado: il velivolo era stato, infatti affittato dal Manchester United come «charter» per trasportare la squadra campione d’Inghilterra a giocare con la Stella Rossa in Coppa dei Campioni. A bordo dell’aereo, quindi, con la squadra britannica c’erano giornalisti, tecnici, membri dello «staff» del club: la stessa gente, più o meno, che era nell’aereo del Torino che nove anni prima si era schiantato contro la collina di Superga.

Stella Rossa - Manchester United, la sera prima, si era conclusa con un ottimo 3-3 per i britannici che, infatti, si consideravano già praticamente qualificati. Era, «quel» Manchester United, una squadra

giovanissima e fatta tutta quanta praticamente in casa da quel grande scopritore di talenti che era Matt Busby. «Quel» Manchester United, anzi, era tanto di Busby che i suoi componenti erano conosciuti dappertutto come i «Busby’s Babes», i «ragazzi di Busby». Ebbene, di quei ragazzi, ben otto (i terzini Roger Byrne e Geoff Bent; il mediani Edward Colman e Duncan Edwards; il centromediano Mark Jones; gli attaccanti William Whelam, irlandese, Tommy Taylor e David Pegg) persero la vita mentre tutti gli altri (i portieri Harry Gregg e Raymond Wood; il terzino Billy Foulkes; il mediano Jackie Blanchflower, nordirlandese, gli attaccanti Bobby Charlton, John Burry, Ken Morgans, Dennis Viollet, Albert Scanlon) oltre allo stesso Busby, rimasero, in maniera più o meno grave, tutti quanti feriti. Tra gli altri che persero la vita nell’incidente ci fu anche l’ex portiere della nazionale britannica che sconfisse l’Italia 4-0 a Torino, quel Frank Swift che i tifosi di allora ricordano sia per le sue parate sia per il maglione giallo canarino che indossava nelle partite più importanti e che, conclusa la carriera agonistica, divenne giornalista sportivo.

Il «crash» del bimotore della BEA fu terribile e tra i sopravvissuti c’è ancora chi lo ricorda come il peggior momento della propria vita. Gregg — che stava giocando a carte — ricordò così, alcuni giorni dopo in ospedale, quel terribile istante: «Pensai che fosse arrivata la fine. Quando l’aereo esplose persi i sensi e quando tornai in me, nella carlinga sventrata e avvolta dalle fiamme, mi trovai letteralmente circondato di gente morta o di feriti che si lamentavano. Aprii incredulo gli occhi e la sola

cosa che feci, senza volontà come un automa, fu di lasciare il mio posto e di scendere dall’aereo scivolando su un’ala di lì saltando a terra».

Tra le squadre che hanno fatto la storia del calcio moderno, il Manchester United voluto e costruito da Matt Busby. ha un suo posto di

assoluta preminenza. Letteralmente plasmata dal suo ideatore, era una formazione tutta composta di giovanissimi che lo stesso Busby

L’Araba Fenice: la leggenda dei Busby Boys

il Manchester Unitedaveva pescato nelle giovanili oppure si era assicurato per poche sterline da altre società. E alla sua scuola tutti avevano migliorato in tecnica e gioco sino a divenire un undici in grado di farsi rispettare da chiunque, Real Madrid compreso. Billy Foulkes, uno dei superstiti, così ricorda quei tempi: «Se non ci fosse stata la tragedia di Monaco, la Coppa dei Campioni l’avremmo vinta noi. Il 3-3 di Belgrado, infatti, ci consentiva di non aver problemi nel match di ritorno. Poi ce la saremmo vista col Milan che però non temevamo. E quindi col Real: che era certamente alla nostra portata». Il destino, però, aveva deciso diversamente e quella che era la squadra più forte di tutta l’Europa in quei tempi, si era praticamente sfasciata nel «crash» di Monaco.

Nominato Cavaliere dieci anni dopo la sciagura di Monaco, Matt Busby così ricordava la storia della «nascita» della sua squadra di allora: «In porta giocava Wood che comperammo dal Darlington per seimila sterline e cui chiedevamo di fare solo ciò che sapeva. Come terzini c’erano Bill Foulkes, un marcantonio che venne da noi dal St. Helens e che faceva coppia con l’aristocratico Roger Byrne, uno che si muoveva in campo come Nureyev sul palcoscenico ma contro il quale anche gente come Finmey e Mortensen non si era mai divertita. Questa, invece era la linea dei mediani: Eddie Coiman, lo stilista, a destra; il forte Duncan Edwards a sinistra e iMark Jones, il comandante, al centro. E, in seconda istanza, Jackie Blanchflower. In attacco, poi, c’erano Johnny Berry, che

acquistammo dal Birmingham per 25000 sterline; Billy Whelan; Tommy Taylor, pagato 29999 sterline dal Burnley perché per noi il tetto delle 30000 sterline era insuperabile; Dennis Viollet e David Pegg». E se questa era la «crema» di quel Manchester United, non è che il resto fosse molto diverso: gente come Bobby Charlton, Alex Dawson, Wilf McGuinness, Nobby Stiles, Nobby Lawton oppure Johnny Doherty, infatti, si presentava da sola! A volere Busby al Manchester United era stato, alla fine del ‘44, Louis Rocca che divenne lo «scout» preferito dal nuovo tecnico che chiamò come suo secondo il gallese Jimmy Murphy. E il duo Busby-Murphy, sin dai primi tempi, cominciò a lavorare in una sola direzione: quella che avrebbe portato alla creazione della grande squadra che scomparve quasi del tutto a Monaco. E negli anni di management di Busby, il Manchester United ottenne alcuni risultati che ancor oggi sono dei primati come il 10-0 inflitto all’Anderlecht nel ‘56; i 64 punti nella stagione 1956-’57; i 103 gol segnati nel ‘57-’58 e nel ‘58-’59; i 32 di Viollet (1959-’60); i titoli assoluti del ‘52, ‘56, ‘57, ‘65, ‘67. E a questi record, visto che è il più «Busby’s Babe» di tutti, vanno aggiunti, sia i 198 gol segnati da Bobby Charlton in maglia rossa nel periodo ‘56-’73, sia le 106 presenze totalizzate nella nazionale britannica dallo stesso giocatore. Distrutto a Monaco, il Manchester United, un po’ come l’araba fenice, risorse poco a poco dalle sue ceneri: alla guida della squadra era rimasto lo stesso Busby e, man mano che i superstiti

si riprendevano Sir Matt vi costruiva attorno un nuovo squadrone di cui Bobby Charlton era contemporaneamente guida e «star» ma nella quale gente come lo scozzese Dennis Law e l’irlandese George Best si integrava alla perfezione.

E quando nel 1968, dieci anni dopo la tragedia del «Lord Burleigh», il Manchester United ottenne la sua prima vittoria in Coppa dei Campioni, Busby considerò conclusa la sua opera: dieci anni dopo, infatti, era riuscito a ricostruire una squadra simile a quella che si era disintegrata a Monaco e, pur se con un ritardo di dieci anni, era riuscito a portare a Manchester il più prestigioso titolo continentale. Gli uomini di quell’incontro furono Stepney; Brennan, Dunne; Crerand, Foulknes, Stiles; Best, Kidd, Charlton, Sadler, Aston: alcuni sopravissuti tra i primi «ragazzi di Busby» e altri (la maggioranza), «nuovi». Ma tutti plasmati dalle mani del «gran vecchio» del calcio inglese che quella sera a Wembley (29 maggio 1968) alla fine, pianse...

Le Grandi squadre del passato

foto in alto: 1958-1968. Il Manchester United trionfatore della Coppa Campioni 1968, a 10 anni esatti di distanza dal disastro di Monaco. Al centro, con la Coppa, Sir Matt Busby.a sinistra: il Manchester in aeroporto prima del volo maledetto.

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Rinus Michels, l’uomo che inventò il calcio totale.E’ morto ad Aalst in Belgio il 3 marzo 2005.“Il generale”, così era soprannominato negli ambienti calcistici olandesi perché amava paragonare il calcio alla guerra, aveva 77 anni e ultimamente aveva subi-to un intervento al cuore.Era nato il 9 febbraio 1928 ad Amsterdam.Buon giocatore dell’’Ajax nel periodo dal 1946-1958 dove disputò 269 partite segnando 121 reti, vincen-do anche due titoli nazionali nelle stagioni 46/’47 e ‘56/’57.Nel 1958 appende le scarpette al chiodo. Dopo una iniziale gavetta di allenatore in squadre dilettantisti-che olandesi, nel 1965 è alla guida dell’Ajax, dove inizia quel lavoro che avrà il suo culmine sportivo con il mondiale 1974.Inizia a concepire un tipo di calcio assolutamente innovativo e rivoluzionario.Fino a quel momento gli schemi calcistici di tutti i clubs europei e mondiali erano legati al tradizionale schema con marcature fisse a uomo e un libero che si staccava dalla difesa.Michels decise che i giocatori della sua squadra do-vessero diventare il più possibili universali e capaci di ricoprire più ruoli.Elabora, così, uno schema di gioco a zona con 4 giocatori in difesa in linea pronti alla tattica del fuo-rigioco (assolutamente sconosciuta per i tempi) e centrocampisti e attaccanti in grado di fare un asfis-siante pressing a tutto campo sui portatori di palla avversari. Il suo schema preferito diventa comunque il 4-3-3.Infila tre titoli nazionali consecutivi dal 1966 al 1968 e nel 1969 porta per la prima volta nella storia un club olandese (l’Ajax appunto) in una finale di coppa campioni.Al Santiago Bernabeu di Madrid il 28 maggio 1969 contende il trofeo al Milan di Nereo Rocco capitanata da Gianni Rivera.Tra le file dei lancieri, Michels annovera uno scono-sciuto ventenne attaccante di nome Johann Cruyff.Nonostante gli schemi innovativi la squadra è anco-ra immatura e poco equilibrata tra i reparti (specie la difesa) che lascia incautamente molti spazi ad una squadra smaliziata come il Milan che con un Pierino Prati in stato di grazia (autore di una tripletta) infligge una severa lezione di calcio aggiudicandosi la coppa con un sonante 4-1 finale.Ma già allora alcuni esperti sostengono che l’Ajax potrebbe essere la squadra del futuro.Ed in effetti da lì a poco il club di Amsterdam vincerà consecutivamente tre coppe campioni dal 1971 al 1973.Michels è alla guida dell’Ajax nella prima finale del 1971 di Wembley dove vengono sconfitti i sorpren-denti greci del Panathinaikos con un classico 2-0 con rete in apertura di Van Diijk e un’autorete ellenica nei minuti finali.Il 1974 è un anno importante per Michels, che rag-giunge l’apice della notorietà e della fama guidando la nazionale Olandese nel mondiale di Germania.

La squadra Olandese, ricca di grandi talenti e in virtù del suo gioco rivoluzionario domina in lungo ed in largo il torneo, imponendo un calcio assolutamente strabiliante fatto di pressing, fuorigioco ma soprat-tutto di giocate sopraffini e spettacolari.Conquista perfino il favore e l’ammirazione di O’ Rey il grande Pelè che la indica senza mezzi termini come la favorita n.1 per il titolo.Dopo avere vinto sconfitto nella prima fase del tor-neo Uruguay (2-0) Bulgaria (4-1) e pareggiato con la Svezia (0-0), gli Orange si trovano nel girone di semifinale con Germania Est e le due sudamericane Argentina e il Brasile detentore del titolo ma orfano di Pelè.Michels & soci fanno sfracelli : 6 reti complessive segnate e nessuna subita2-0 alla DDR; 4-0 all’Argentina e 2-0 al Brasile. U n trionfo che li porta dritti in finale contro la Germania Ovest padrona di casa.All’appuntamento decisivo del 7 luglio 1974 Michels sprizza ottimismo da tutti i lati per l’esito della gara.L’inizio di gara è esaltante e mette in luce tutto lo splendore del gioco totale inventato da questo al-lenatore.Dal fischio d’inizio dell’inglese Taylor , gli olandesi con 17 passaggi consecutivi senza che i tedeschi possa-no intercettare il pallone, arrivano in porta con Cruyff che viene abbattuto da Holzenbein.E’ rigore!Neeskens trasforma e L’Olanda è avanti 1-0.A quel punto la storia ci dice che gli orange sottova-lutano gli avversari e non chiudono la gara e finisco-no per soccombere per 2-1.La delusione è immensa!Rimane comunque un gruppo di giocatori che fa la storia del calcio i loro nomi.Sempre nel 1974 Michels sbarca in Spagna attira-to dalle pesetas iberiche per andare ad allenare il Barcellona che da troppi anni non riesce a vincere il titolo oppresso dallo strapotere calcistico ma anche politico del Real Madrid.Di lì a poco lo raggiungeranno i suoi due più affezio-nati giocatori . Joahnn Cruyff e Johann Neeskens.E finalmente arriva il titolo per il Barca nell’anno 1974.Le successive stagioni in Spagna non regalano trop-pe soddisfazioni a Michels, il quale nonostante la classe immensa di Cruyff, consegue soltanto una Coppa del Re nel 1978 .Dopo una breve parentesi negli USA dove ancora il calcio è uno sport in fase embrionale, va in Germa-nia ad allenare il Colonia squadra di caratura assai modesta .Sembra che Michels inizi la parabola discendente ma nel 1988 è di nuovo alla guida della nazionale olandese per la fase finale dell’Europeo in Germania. Ancora una volta Michels ha in mano un manipolo di grandi campioni guidati dal tris d’assi Van Basten-Gullit e Rijkaard che sta facendo grande il Milan di Sacchi.Dopo una fase eliminatoria un po’ tribolata, l’Olanda

arriva alla semifinale contro i padroni di casa capita-nati da Lothar Matthaeus.E’ la tanto agognata rivincita del 1974, che Michels e tutta l’Olanda aspetta da quasi 15 anni.E la vendetta si consuma.Marco Van Basten regala la finale a Michels con una rete in scivolata a 2’ dal termine dei 90’ regolamen-tari.In finale l’Olanda affronta l’URSS di Dasaev e Bela-nov.Dopo la rete iniziale di Gullit, Michels assiste dalla panchina ad una delle reti più belle mai realizzate su un campo di calcio.Marco Van Basten, da posizione impossibile, al volo scaglia un tiro imparabile di rara bellezza e precisione che manda in delirio L’Olympiastadion di Monaco .Michels si mette le mani sulla testa quasi a dire “ma cosa ha combinato Van Basten !”E’ l’apoteosi!Finalmente Michels e l’Olanda conquistano un titolo internazionale dopo le delusioni di due mondiali con-secutivi (74 e 78) persi in finale contro le squadre padrone di casa.Nel ‘99 la Fifa lo elesse allenatore del secolo, mentre nell’aprile del 2002, l’Uefa ha premiato Michels con l’Ordine di Merito al XXVI Congresso Ordinario Uefa di Stoccolma. “Il riconoscimento - spiega la Uefa - intende onorare le persone che hanno dedicato gran parte della propria vita al calcio, contribuendo alla sua crescita e alla sua storia”. “Con la morte di Rinus Michels l’Olanda perde un grande uomo di sport, mentre per me se ne è an-dato il maestro che mi ha insegnato tutto sul calcio” ha detto l’ex stella della nazionale olandese Johann Cruyff.

Rinus Michelsil padre del “Calcio Totale” il Natale

de La PelotaMercoledì 17 dicembre, presso la sala da ballo Satiricon, si è svolta la festa annuale della Scuola Calcio La Pelota.Moltissimi bambini, ragazzi, genitori e parenti hanno trascorso insieme a noi un pomeriggio di divertimento. Abbiamo consegnato a tutti il pacco di Natale, c’è stata l’estrazione della lotteria ed abbiamo effettuato la riffa natalizia con tantissimi premi.Alla fine c’è stata la consegna dell’album delle figurine del campionato interno de La Pelota, grazie al quale i nostri piccoli allievi diventano protagonisti assoluti ed è cominciata la ricerca nelle bustine della loro figurina.Un grande ringraziamento a tutti i partecipanti ed un arrivederci al prossimo anno.

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