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CNEL Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro IL TRASPORTO INTERNAZIONALE DI CONTAINER, LA PORTUALITA’ ITALIANA, LA LOGISTICA (atti del convegno) ROMA, 8 MARZO 2001

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CNEL Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

IL TRASPORTO INTERNAZIONALE DI CONTAINER, LA PORTUALITA’ ITALIANA, LA LOGISTICA

(atti del convegno)

ROMA, 8 MARZO 2001

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Il Trasporto Internazionale di Container, la Portualità Italiana, la Logistica

INDICE

INTRODUZIONE PIETRO LARIZZA Presidente del CNEL……………………………………………………………………pag. 3 I PORTI DEL SUD DAL TRANSHIPMENT ALLA LOGISTICA SERGIO BOLOGNA Vice Presidente AILOG………………………………………………………………...” 5 PARTE PRIMA IL PUNTO DI VISTA DEI TERMINALISTI………………………………………” 31 RENATO MATTEUCCI Consigliere del CNEL…………………………………………………………………..” 32 CECILIA ECKELMANN BATTISTELLO Presidente di Medcenter………………………………………………………………..” 34 C. CASALINI Consigliere di Amministrazione Taranto Container Terminal…………………………” 38 LUIGI NEGRI Presidente Cagliari International Container Terminal/Presidente Federagenti………” 40 PARTE SECONDA IL PUNTO DI VISTA DEGLI OPERATORI DEI TRASPORTI E DELLA LOGISTICA……………………………………………………………….” 43 GIUSEPPE PERASSO Consigliere del CNEL………………………………………………………………..….” 44 MAURIZIO BUSSOLO Direttore Divisione Cargo Trenitalia S.p.A…………………………………………..…” 46 GIOVANNI LEONIDA Presidente Assologistica………………………………………………………………....” 51 FRANCESCO NERLI Presidente Assoporti………………………………………………………………..……” 55 INTERVENTI LUIGI PERISSICH Direttore Generale della Confederazione Italiana Armatori……………………………” 59 SAVINO PEZZOTTA Segretario Generale della CISL…………………………………………………………” 63 CONCLUSIONI PIERLUIGI BERSANI già Ministro dei Trasporti………………………………………………………………” 67

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INTRODUZIONE

PIETRO LARIZZA

Presidente CNEL

Oggi, per quanto mi riguarda, è un giorno di lavoro assai importante: Abbiamo voluto questo Convegno per fornire un contributo di chiarezza per le Istituzioni e per le Forze Sociali riguardo a problemi ed opportunità produttive di cui si parla poco in Italia.

Chi propone strategie in Italia, nel più benevolo dei casi, viene considerato un eccentrico; nella normalità dei casi, viene invece indicato come un nostalgico del vecchio modello bolscevico della pianificazione. Eppure ci sono settori che non possono avere futuro se manca un progetto ed una strategia: il sistema portuale ed i suoi connessi è uno di questi.

Il Governo ha varato nei giorni scorsi il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica, che avendo una proiezione di dieci anni assume naturalmente una dimensione strategica: proprio per questo è un atto di Governo che sconfina nell’audacia politica. Difatti ha procurato l’attenzione per un solo giorno, per essere poi sommerso dalle tante e variopinte questioni domestiche che distinguono il nostro attuale, e spero contingente, panorama politico.

Ci si confronta e scontra su tutto, ma non mi è finora capitato di ascoltare giudizi di merito su questo piano che personalmente considero concreto e realistico anche se incompleto. E tra le mancanze giganteggia quella del Ponte sullo Stretto.

Abbiamo voluto realizzare questo Convegno, sconfinando anche noi nell’azzardo della strategia, perché abbiamo avuto l’occasione di parlare con gli operatori del settore ed abbiamo capito che c’era bisogno di una sede di confronto in cui Governo e Parti Sociali potessero discutere di problemi e soluzioni sulla base di un accertato interesse comune. Anche perché il sistema Italia corre il rischio di un grande ritardo su un futuro che è già in avanzata fase di costruzione.

Anzi, per essere esatti, siamo già in questo futuro, in cui si intravedono perfettamente opportunità e punti di crisi: intervenire con efficacia ed immediatezza, o non intervenire, significa quindi consolidare o indebolire il nostro sistema economico in un segmento produttivo di importanza primaria.

Voglio poi ricordare che il 2010 è già dietro la porta, ed a quella data dovrebbe decollare l’Area di Libero Scambio nel Mediterraneo, cioè quel piccolo specchio di mare in cui l’Italia, con le sue coste ed i suoi porti, occupa una posizione geografica unica sia verso i Paesi dell’altra sponda sia come corridoio fisico per l’Europa.

Ecco quindi le prime domande: come ci stiamo preparando? Come ci attrezziamo per ricevere le nuove generazioni di navi porta container? Come realizziamo i collegamenti ferroviari e organizziamo le aree esterne ai porti?

Voglio essere chiaro fino in fondo: le mie domande non riguardano la disponibilità delle imprese ad investire per crescere.

La mia domanda è un’altra: quali possibilità di crescita detiene una società che opera in territorio italiano, quando per organizzarsi e crescere ha bisogno delle infrastrutture di base e di una normativa pubblica snella ed efficiente?

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Il Prof. Bologna nella sua relazione ci dimostrerà con i dati di fatto il valore del fattore tempo, e la necessità di rimuovere con urgenza l’incubo burocratico che accompagna la vita di lavoro anche del più attivo imprenditore.

Partendo da questa realtà, dovremo chiedere al Ministro Bersani risposte che vanno ben oltre le sue responsabilità e poteri.

Per gestire il futuro che è già passato dobbiamo chiedere l’impossibile: ricondurre cioè a dimensione umana il fattore tempo per le decisioni e realizzazioni.

Nei giorni scorsi leggevo i commenti su alcuni capitoli del Piano dei Trasporti e la cosa che mi ha più colpito è stata l’assenza di ironia nei commentatori.

Con grande sussiego si scriveva: il Governo ha deciso di realizzare quest’opera di cui si discute da vent’anni; quest’altra da sedici anni, ecc.

Il Governo ha deciso, e questo è un suo merito, ma non ha potuto recuperare il passato né dare un sapore di modernizzazione, di anticipazione dei problemi, ad opere infrastrutturali già discusse nella passata generazione.

Nelle infrastrutture marittime questo tempo non c’è: ogni ritardo si paga in contanti e in valuta di tutto il mondo; se in un porto non si decide, se mancano le infrastrutture, se non si opera agganciati al futuro, non ci sono alternative: il porto deperisce e chiude.

All’inizio ho usato la frase rituale dei problemi e delle opportunità, come se fossimo davanti ad un bivio e dovessimo decidere la strada da prendere.

Purtroppo non è così: succede sempre che i problemi diventano rapidamente e automaticamente fatti concreti, mentre le opportunità restano tali perché non riescono mai a precedere la nascita dei problemi.

Non è un male solo italiano, ma da noi è diventata una patologia di sistema che la grettezza burocratica rischia di rendere inguaribile: una maledizione che ci fa competere in una condizione di grave inferiorità.

Questa è la missione impossibile che vorremmo affidare al pragmatico Ministro Bersani: usare fino all’ultimo giorno le prerogative di Governo per correggere la politica leghista delle ferrovie; anticipare alcune scelte del Piano per realizzare alcune infrastrutture portuali; demolire una quota delle normative sulle autorizzazioni e se possibile bloccare d’autorità le nefandezze, come l’improvviso deposito di carburante nel porto di Gioia Tauro che porterà al blocco delle attività.

Sono piccole rivo luzioni, che però ci allontanano dal passato e ci avvicinano alle esigenze del presente.

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I PORTI DEL SUD DAL TRANSHIPMENT ALLA LOGISTICA

SERGIO BOLOGNA

Vice Presidente dell’Associazione Italiana di Logistica e di Supply Chain Management

I porti del Sud dal transhipment alla logistica

L’argomento di cui oggi ci occupiamo riguarda uno dei settori del traffico marittimo di merci che presenta, sia in termini di innovazione (tecnologica e organizzativa), sia in termini di sviluppo dei traffici, caratteri estremamente dinamici: il settore dei traffici containerizzati.

Il grande dinamismo impone a questo settore cambiamenti bruschi degli assetti organizzativi, che possono tradursi in repentini mutamenti nei flussi, con conseguenze positive per alcuni porti, negative per altri.

Le imprese che operano in questo settore, sia che si tratti di compagnie di navigazione, sia che si tratti di operatori terminalisti o di operatori ferroviari, debbono possedere consistenti risorse finanziarie per affrontare un mercato dove la competizione è portata allo spasimo ed i rischi di obsolescenza tecnologica sono assai elevati.

Malgrado gli attori presenti nella catena dei traffici containerizzati siano numerosi, una posizione di assoluta rilevanza è detenuta dalle compagnie di navigazione che scelgono rotte, tipologia di naviglio, tipologia di servizi, itinerari e integrazioni logistiche in base a valutazioni che richiedono un elevato know how e conoscenze molto sofisticate.

I porti svolgono un ruolo ancillare, limitata è la loro possibilità di determinare la tipologia di servizi e gli itinerari delle grandi compagnie. I rischi maggiori sono quelli cui vanno incontro i porti di transhipment, perché spesso i traffici containerizzati sono gli unici dai quali dipendono i loro introiti. Questo limitato raggio d’influenza dei porti può ridursi ulteriormente con il graduale aumento dell’importanza dei servizi di collegamento terrestre, in particolare di quelli ferroviari, la cui incidenza sulla qualità del servizio al cliente e sui costi complessivi di trasporto è sempre più rilevante.

Il porto rischia così di trovarsi schiacciato tra due attori “forti” le cui scelte esso può condizionare in misura molto limitata. La sua situazione può diventare ancor più critica se il territorio circostante gli è nemico, dal punto di vista delle istituzioni che lo governano e dal punto di vista dei sistemi socio-economici che lo abitano.

La storia insegna che il successo dei grandi porti, quelli che nei secoli hanno resistito a tutte le sfide ed anzi, superandole, si sono sempre più rafforzati, è dipeso in larga parte dal forte senso di “comunità municipale” che li sorreggeva, dal fatto di essere una cosa sola con il destino della città (si pensi alle città anseatiche Amburgo, Brema, Lubecca oppure ai porti fiamminghi, per non parlare delle repubbliche marinare italiane).

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Alcuni dati sui traffici nel Mediterraneo

Il totale dei movimenti di contenitori nei porti di tutto il mondo nel 1999 è stato di 205 milioni di TEU, pari a circa 62 milioni di container paganti (1). Con questo dato si evidenzia uno dei problemi inerenti le statistiche mondiali dei traffici, quelle che possono portare a immagini della realtà molto lontane dal vero, quando si pensi che uno stesso contenitore può essere contato anche sei volte. Se questa avvertenza è ormai ben presente alla maggioranza degli osservatori, occorre sottolineare che anche le statistiche che “scontano” le doppie e triple rilevazioni spesso non fanno attenzione al fatto che una percentuale di traffico, determinata dal riposizionamento dei container vuoti, non porta alcun introito per l’armatore, per il quale rappresenta un mero costo.

Quindi, dei milioni di TEU (quanti in termini di numero di box lo potremmo sapere solo conoscendo l’esatto numero di container da 20’, da 40’, da 45’ ecc.) che nel 1999 sono andati in giro per il mondo, solo 62 si stima abbiano prodotto un introito per le compagnie di navigazione (mentre tutti i 205 milioni di TEU hanno prodotto un introito per i porti).

L’incidenza dei vuoti a livello mondiale è stata infatti valutata nell’ordine del 20%.

Nella tabella n. 1 sono riportati i volumi di traffico distinti per le principali rotte mondiali. Sono state evidenziate le tre rotte che possono transitare per il Mediterraneo, in modo da avere una visione immediata del ruolo di questo mare negli itinerari commerciali mondiali.

Come si vede, la parte del leone la fa la rotta transpacifica, con volumi quasi doppi rispetto alla rotta transatlantica ma la somma delle due rotte che in prevalenza transitano per il Mediterraneo, cioè la rotta Europa-Far East e quella Europa-Middle East tocca livelli quasi pari a quelli della rotta transpacifica.

Più precisamente, transitano dal Mediterraneo via Suez circa 10 milioni di container di cui

?? circa 4,5 milioni in direzione ovest/estcirca 5,5 milioni in direzione est/ovest. Il valore dei traffici di transito nel Mediterraneo si evidenzia tuttavia dalla figura n. 1 che dimostra come da questa via passa soprattutto “merce ricca” su navi full container, su navi specializzate (reefer, portautomobili ecc.) e su rotabili (semirimorchi, autotreni ecc.).Circa il 50% del tonnellaggio che transita per il canale di Suez è costituito da merce in container.

Il flusso di traffico che interessa maggiormente il Mediterraneo è quello dei collegamenti con il Far East. Per captare questi flussi di traffico si sono sviluppati nel Mediterraneo negli ultimi anni diversi porti di transhipment, come mostra la figura n. 2

La presenza di tanti porti di transhipment ha prodotto un forte tasso di crescita dei servizi che utilizzano il trasbordo, rispetto ai servizi diretti. La crescita del trasbordo ha trainato quella dei servizi feeder.

Tassi di crescita annua 90/98 nel Mediterraneo dei diversi servizi containerizzatiServizi diretti 9,3% Transhipment 19,6% Feeder 16,8%

Come si evince dalla tabella 2 l’incidenza del transhipment nell’area mediterranea è di 13 punti superiore alla media mondiale, con un’incidenza dei vuoti superiore di solo 3 punti la media mondiale.

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La posizione di leadership dei porti italiani richiede attenzione sugli investimenti

Nella movimentazione portuale, l’Italia è il paese leader nel Mediterraneo, con tassi di

crescita particolarmente elevati nella seconda metà degli Anni 90.

97/98 90/98

Italia 42,0% 32,9% Spagna 16,3% 14,6% Malta 65,2% 36,4% Egitto 11,6% 27,0% Grecia 33,9% 11,8% Francia 6,2% 4,0% Altri 7,4% 19,3%

Anche nello studio effettuato dal CNEL sui traffici mediterranei nel 1998 e focalizzato non sui volumi di merce sbarcata e imbarcata ma sui servizi di linea, l’Italia era risultata il paese leader per numero di porti serviti (circa 40) e numero di partenze settimanali (circa 220).

Dalla tabella n. 3 e dalla figura n. 3 si può notare come le previsioni di traffico a breve-medio termine che riguardano l’area dell’Europa del Sud, pur dimostrando un andamento più contenuto rispetto agli Anni 90 sono tali, dati i volumi assoluti, da richiedere una forte attenzione sugli investimenti in capacità produttive.

Accanto ai porti di transhipment si sono sviluppati i traffici nei grandi porti capolinea come Genova, La Spezia, Salerno, mentre una dinamica di traffico molto elevata dimostrano i porti spagnoli di Valencia e Barcellona.

Tuttavia, si profilano all’orizzonte alcune criticità.

1) la prima è rappresentata dalla prossima entrata in servizio di navi di grandi dimensioni, con portate superiori ai 6.000 TEU, che rappresentano oggi poco più dell’1% della flotta in esercizio ma costituiscono ben il 22% degli ordini di nuove navi passati ai cantieri, come mostrano le figure 4 e 5 . Per ricevere queste navi occorrono ampi spazi di accosto, ampi bacini di evoluzione e fondali superiori ai 16 metri di profondità, quindi i porti di transhipment debbono attrezzarsi di conseguenza dal lato infrastrutturale se non vogliono restare emarginati. Le figure 6 e 7 mostrano gli incrementi di capacità previsti;

2) la seconda è rappresentata dal rischio di una sottoutilizzazione degli impianti dei terminal, vista la loro proliferazione;

3) la terza, collegata alla precedente, è rappresentata dal rischio di una guerra micidiale sui prezzi che può portare a ridurre i margini di profitto delle imprese e quindi a rallentarne gli investimenti.

Secondo lo studio Ocean Shipping Consultants The global containerport market to 2015, pubblicato nel 2000, questo rischio è particolarmente forte nel Mediterraneo: “Lo scenario nel periodo 1999-2005 è in generale caratterizzato da una crescita nell’utilizzazione della capacità, tranne che in Europa e nel Mediterraneo, dove la capacità è superiore alla domanda e di conseguenza la pressione verso il basso sulle tariffe di handling è forte (...) in particolare nel Mediterraneo centrale e orientale si avranno le pressioni più forti sulle tariffe; il tasso di utilizzazione previsto al 2005 è rispettivamente del 66.0% e del 69.5%.” (p. 18). E’ un valore estremamente basso se confrontato con un valore medio dell’82.1% nel 1999, a livello mondiale.

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Preoccupato per il futuro delle compagnie di navigazione è anche il general manager di uno dei maggiori istituti di ricerca e previsione del mercato sullo shipping mondiale, la società Clarkson: “A mano a mano che l’industria dei container cresce, i rendimenti finanziari sono sempre più sfuggenti e l’unico modo in cui i manager finora sono stati in grado di rispondere all’evoluzione in corso è la corsa per le economie di scala.” Ma non sempre questa è la buona soluzione, continua l’autore: “E’ sorprendente come divengano scarni i benefici economici della stazza allorché si entra nel terreno delle navi di grandi dimensioni. Siccome i costi relativi della nave sono meno di un quarto del costo globale dei servizi, i benefici finanziari della stazza diminuiscono rapidamente man mano che le dimensioni della nave crescono” (in Containerisation International , gennaio 2001, trad. da C.I.S.Co.)

Il problema della redditività

Si presenta dunque non solo agli operatori portuali ma anche alle compagnie marittime. I noli marittimi sono infatti in calo costante dagli inizi degli anni 90, come evidenziato dalle figure 8 e 9, e la recente ripresa è dovuta solo alla compensazione dell’aumento del prezzo del carburante. Il Vice Presidente del gruppo AP Moller, che controlla la maggiore compagnia marittima mondiale del traffico container, la Maersk Sea-Land, che è anche il più grande cliente di Gioia Tauro, ha recentemente affermato ad un convegno a Napoli:

“Vi posso dire che portare in Europa un televisore dal Far East costa 10 dollari (21.000 lire) e portare una lattina di birra dall’Europa agli USA costa 1 centesimo di dollaro (21 lire)”.La via d’uscita sembra quella delle economie di scala, ma, come abbiamo visto, c’è chi ha dei dubbi su questa strategia. Le compagnie marittime comunque si sono avviate su questa strada, mediante alleanze, fusioni e verticalizzazioni. Il naviglio subirà una forte spinta al gigantismo. Ma ciò non toglie che questo rimanga un settore ad elevato rischio d’impresa, in particolare dopo la riforma delle Ocean Freight Rates (OFR) negli Stati Uniti. Giunta a seguito della precedente riforma del diritto antitrust che abrogava la storica esenzione di cui hanno goduto le compagnie marittime nel rispetto delle norme a tutela della concorrenza, interdetta quindi la costituzione di cartelli, la norma introdotta nel 1999 ha imposto la negoziazione individuale e confidenziale del nolo in luogo delle tariffe pubbliche di cartello. Questa pratica, fortemente sostenuta dalle associazioni dei caricatori e dal mondo dell’utenza, si è andata poi estendendo anche fuori degli USA.

Nei terminal portuali abbiamo assistito ad un’evoluzione che presenta analogie e diversità. Calo delle tariffe di movimentazione, in particolare nei paesi, come l’Italia, dove si è passati da un regime pubblico ad una gestione privata delle banchine. Il costo di sbarco/imbarco di un contenitore in Italia era sulle 300.000 lire nel 1989/90 ed è sulle 160.000 lire oggi, come mostra la figura 10. Si assiste, invece che ad un processo di concentrazione, come nello shipping, ad un processo di frammentazione, con il moltiplicarsi di terminal in concorrenza tra loro. Nel settore portuale sembra prevalere il concetto di “economia di rete” piuttosto che quello di economia di scala. Grandi gruppi, come Hutchison Wampoa di Hong Kong, PSA di Singapore (Genova-Voltri, Singapore, Fuzhou, Aden…), Eurogate di Amburgo/Brema (Gioia Tauro, La Spezia, Amburgo, Bremerhaven, Lisbona…), P&O Ports (Cagliari, Southampton, Manila, Colombo, Melbourne…), assumono il controllo di terminal in tutto il mondo per razionalizzare le risorse e affermare una presenza internazionale, in modo da sfuggire a quello che è stato storicamente il limite oggettivo della portualità: essere una realtà locale. Questi grandi gruppi controllano la totalità dei terminal italiani di una certa rilevanza, da Genova a Gioia Tauro, da La Spezia a Venezia, da Cagliari a Ravenna, mentre altri gruppi minori, come Freeport di Malta si affacciano sul nostro mercato in maniera

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aggressiva (Brindisi). E’ un fenomeno molto positivo per il nostro paese, perché consente ai nostri scali di non restare fuori dalle grandi reti mondiali. Ma non elimina il problema della redditività, anzi per certi versi lo rende più acuto, in particolare se entrano sul mercato dello handling i principali clienti dei porti, le grandi compagnie marittime. Taranto, il porto di transhipment dove tra poco entrerà in servizio il terminal di Evergreen, ne è l’esempio più eclatante.

Il problema della redditività è presente anche nell’altro universo di attori, quello degli spedizionieri, dei multimodal transport operators (MTO) e dei Non Vessel Operating Common Carrier (NVOCC). Sono gli attori della catena che raccolgono la domanda e la convogliano verso le compagnie marittime e verso i porti, sono quelli che dispongono di reti capillari di distribuzione sul continente e di un know how sofisticato, di vecchia data. Il problema della redditività in questo universo si pone in quanto i leaders di mercato dispongono di quote irrisorie del medesimo, come si evince dalla tabella 4, tratta dalla pubblicazione di una banca d’affari svizzera. I margini operativi lordi, erosi del tutto nel settore stradale, rimangono ancora interessanti nel settore marittimo, vedi tabella 5, ma i cambiamenti strutturali accelerati dalla riforma delle OFR, in base ai quali la negoziazione del servizio avviene direttamente tra carrier e cliente finale (caricatore proprietario della merce) rischia di tagliarli fuori, riducendo ulteriormente la loro quota di mercato.

Come affrontare queste criticità?

Distinguiamo tra criticità derivanti da inadeguatezza di infrastrutture fisiche e criticità derivanti dalle scelte di posizionamento sul mercato. Sulle prime la mano pubblica può fare molto, sulle altre può soltanto agire in maniera indiretta. Da parte della mano pubblica non si può assistere indifferenti al rischio che i nostri porti di transhipment vengano emarginati dalle correnti di traffico mondiali. Occorre quindi accelerare l’iter di tutti gli strumenti finanziari previsti dalla normativa vigente (dagli accordi di programma ai contratti d’area, agli stanziamenti previsti dalla legge 413 per i porti, ai finanziamenti dell’Agenda 2000) affinché gli interventi sul piano delle infrastrutture si facciano in tempi brevi. I traffici containerizzati sono estremamente volatili ed i nostri concorrenti non stanno certo a guardare.

Gioia Tauro deve poter disporre di banchine, fondali e spazi di manovra in grado di accogliere le navi della prossima generazione, capaci di portare 10.000 TEU ed oltre. Quanto maggiore la portata delle navi, tanto minore il numero di porti toccati lungo la rotta e quindi più dura la selezione tra i porti.

Per quanto riguarda il problema della redditività delle imprese, né le economie di scala né le economie di rete sembrano bastare. Tutti gli attori della catena, dalle compagnie di navigazione agli operatori terminalisti agli MTO, NVOCC e spedizionieri – tutti intendono allargare la loro gamma di servizi ed offrire servizi di logistica integrata a valore aggiunto, tutti cioè intendono entrare sul mercato della industrial contract logistics, conquistare segmenti sempre più ampi della supply chain. Per farlo le compagnie di navigazione debbono “scendere a terra”, cioè farsi esse stesse operatori terminalisti ottenendo la concessione di spazi portuali, organizzare direttamente i collegamenti terrestri via strada o con il treno, stoccare la merce, distribuirla e soprattutto offrire al cliente una rintracciabilità dell’unità di carico ovunque esso si trovi. Per farlo, gli operatori terminalisti debbono attrezzare aree retroportuali e adibirle a piattaforme di distribuzione, debbono organizzare i servizi ferroviari intermodali e quelli stradali di consegna a destino, debbono possedere inland terminal e sistemi informativi in grado di offrire la rintracciabilità almeno dal lato terra. Lo stesso vale per gli spedizionieri, MTO, NVOCC ecc.. Salta la divisione dei ruoli sulla quale erano stati saldati insieme i diversi anelli della catena, e la competizione si fa più serrata ma il

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nuovo mercato che si apre, cioè il mercato della terziarizzazione dei servizi logistici delle grandi imprese industriali e di distribuzione organizzata, sembra molto promettente, con tassi di crescita annui a due cifre. (cfr. tabella 5)

La grande corsa al mercato della contract logistics

In che consistono i servizi di logistica integrata? Riprendiamo la distinzione proposta dal

vice Presidente del gruppo che controlla la Maersk-Sea Land.

A. Servizi Physical-Based, che includono la spedizione, il consolidamento, il trasporto via treno, via strada o per aereo, il deposito, la distribuzione, il prelievo, l’imballo, l’etichettatura, l’assemblaggio, il recupero materiali ecc.I servizi Informational-Based che includono il track & trace, la gestione dell’ordine, le previsioni di vendita, il controllo degli approvvigionamenti e del flusso di produzione, la gestione delle scorte, la documentazione, la gestione degli imprevisti, gli strumenti di decisione, l’analisi delle vendite, la statistica, gli indicatori di performance ecc.

C. I servizi Financial-Based, che comprendono l’audit, i pagamenti, le dichiarazioni doganali, le assicurazioni, le operazioni valutarie sui cambi, la gestione del capitale, le lettere di credito, la fatturazione, l’intermediazione finanziaria ecc. Ora, se per offrire servizi su base informatica o

finanziaria il fattore spaziale, cioè la localizzazione fisica non contano, per fare servizi del primo tipo lo spazio fisico è indispensabile e la localizzazione giusta è un fattore critico di successo. Il fattore “territorio” è quello decisivo.

Anche qui dobbiamo esaminare il problema da un duplice livello: quello del territorio e quello dei servizi offerti.

I porti, se vogliono fare servizi logistici a valore aggiunto, debbono avere ampie superfici a disposizione, nella cinta portuale o, meglio, nelle aree retroportuali, e debbono poter disporre di collegamenti terrestri efficienti. I porti, in particolare in Italia, ormai efficienti e competitivi sul “lato mare” rischiano di soffocare sul “lato terra”. Nei porti delle città “storiche” il problema degli spazi retroportuali è drammatico, come sappiamo, nei porti del Mezzogiorno invece, che dispongono di vaste aree alle spalle o di spazi di banchina molto estesi, in particolare quelli di transhipment (Gioia Tauro, Taranto, Cagliari) il problema è semmai di natura politica e riguarda gli enti preposti al governo del territorio.

Qualora la configurazione del territorio consenta un’espansione del ciclo marittimo-portuale in aree utilizzabili per attività logistiche e ci siano vincoli di carattere amministrativo, incrostazioni d’interessi o altri impedimenti che possano ostacolare questo processo, occorre che lo Stato intervenga per rimuoverli con estrema decisione, pena il lento decadimento del porto e la sua graduale esclusione dai traffici internazionali.

Vincoli amministrativi e incrostazioni d’interessi possono soffocare sul nascere lo sviluppo della “risorsa distributiva” del territorio. Un territorio possiede risorse distributive quando diventa sede di installazioni e imprese che offrono servizi logistici a valore aggiunto.

Un porto di transhipment può offrire a grandi operatori internazionali la possibilità di distribuire le merci su un intero subcontinente e su decine di diverse destinazioni utilizzando i suoi servizi feeder. Può offrire a imprese medio piccole la possibilità non solo virtuale ma reale, di accedere ai mercati mondiali a costi competitivi, può diventare il nucleo originario di un “distretto logistico” o di un freight village, può diventare la piattaforma di distribuzione di automobili e

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veicoli industriali nuovi, che vengono parcheggiati, protetti con particolari accorgimenti (ceratura), selezionati in base alla clientela, eventualmente dotati di alcuni optional. Non a caso il gruppo che gestisce il terminal di Gioia Tauro ha creato una società di logistica per la distribuzione delle auto (BLG Automobile Logistics Italia), disponendo del know how e della clientela che gli permettono di gestire a Bremerhaven il maggior terminal portuale auto d’Europa.

Arricchire le “risorse distributive” del Mezzogiorno significa offrire alle piccolo-medie imprese, che sono l’ossatura della nostra economia, un supporto decisivo sul terreno che presenta per loro la maggiore criticità: quello dei collegamenti con i nuovi mercati che si aprono grazie all’e-commerce. Ampliare il mercato degli approvvigionamenti e delle vendite significa aumento del numero dei clienti e degli ordini con relativa diminuzione del valore medio dell’ordine e questo, combinato con la riduzione dei tempi di consegna e con l’aumento della frequenza delle consegne, porta per le PMI un incremento dei costi di trasporto e dei costi amministrativi a parità di fatturato, che può incidere molto negativamente sul loro conto economico. Ecco perché poter disporre di servizi logistici efficienti e a basso costo diventa decisivo per il futuro delle nostre PMI.

Distripark e parchi ferroviari

La consapevolezza che il mercato della contract logistics possa aprire agli operatori del ciclo

marittimo-portuale nuove opportunità è ormai diffusa e consolidata. Molti porti italiani ritengono che il modo migliore per presentarsi su questo mercato sia quello di costruire un distripark. Per evitare facili illusioni e poi brusche delusioni sarà bene ricordare che il termine distripark è stato utilizzato per la prima volta in Olanda per indicare le piattaforme logistiche delle multinazionali americane o giapponesi, che avevano optato per sistemi distributivi a livello europeo con un solo magazzino centrale. L’area scelta da queste piattaforme come zona ottimale veniva chiamata distripark quando vedeva la presenza di più piattaforme. Il porto entrava in gioco in un secondo momento, perché la maggioranza delle merci trattate in queste piattaforme vi transitava (di norma in container). L’origine del distripark si trova dunque nelle scelte logistiche delle grandi imprese, non nelle scelte commerciali del porto. Attrezzare un’area, costruirvi dei capannoni, dei centri servizi e poi attaccare all’ingresso un cartello con sopra scritto distripark, certamente può servire per attirare imprese in cerca di spazi, non è detto però che sia sufficiente per far diventare quell’area una piattaforma logistica. Forse si tratta solo d’intendersi sui termini e di capire che differenza c’è tra i servizi erogati all’utente da un distripark rispetto a quelli erogati da un interporto.

Molto più importante del distripark è la dotazione ferroviaria di un porto.

La ragione è molto semplice ed è esposta con grande chiarezza sia negli studi OSC e Drewry, sia nel saggio di Clarkson Research già citati, oltre che in numerose altre fonti tra cui è bene ricordare La desserte terrestre des ports maritimes, atti della 103ma Tavola Rotonda della CEMT (Conférence Européenne des Ministres des Transports).

Il costo del trasporto ferroviario intermodale da porto a inland terminal o il trasporto pesante su strada da porto a destinazione finale incidono sempre di più sui costi dell’intero tragitto del container. Se circa 2.000 dollari sono il costo di un trasporto marittimo Est Asia-porti del Northern Range per un container da 40’ pesante, se i Total Handling Costs (THC) oscillano tra i 120 e i 150 euro, il costo per portarlo via treno a Basilea da Rotterdam o da Anversa è rispettivamente di 500 e 550 euro, cifra cui vanno aggiunti i costi di terminalizzazione (150 euro circa). Maggiore sarebbe il costo se dovessimo portarlo a Basilea da Genova, malgrado la minore distanza.

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Secondo le analisi dell’Ufficio Italiano Cambi, compiute l’anno scorso in occasione della revisione del sistema di calcolo della bilancia dei noli, nel decennio 1989-1999 l’andamento dei noli dei diversi modi di trasporto è stato il seguente:

strada Aereo treno nave (container) 1989 78,7 70,2 106,1 123,1 1999 102,7 94,0 106,5 96,0 1997 = 100

I noli marittimi sono gli unici a subire una riduzione (in certe tipologie di traffico anche del 50%) mentre i noli ferroviari e stradali o sono in crescita o sono stabili. E’ evidente quindi che la proporzione tra il costo della tratta via mare e quello della tratta terrestre risulta sempre più a favore di quest’ultima malgrado la distanza percorsa sia molto inferiore.

Ancora più importante è il percorso terrestre dal punto di vita del servizio al cliente. Poiché i carichi delle portacontainer hanno sempre dei volumi molto elevati, il trasporto via ferrovia diventa la soluzione ottimale, dato lo stato di congestione del traffico stradale. Per quanto riguarda il Mezzogiorno, data la grande distanza tra i porti ed i loro mercati di riferimento, il trasporto via treno non ha rivali, anche nei confronti del feeder marittimo.

Si è calcolato che un container sbarcato a Gioia Tauro e consegnato a Milano con trasporto ferroviario intermodale potrebbe beneficiare di un risparmio di tempo di tre/quattro giorni sul feeder marittimo e di un risparmio economico del 10/20%.

Eppure solo il 4% dei container di Gioia Tauro che hanno origine e destinazione l’Italia vengono trasportati per ferrovia e l’80% ha come regione di riferimento la Puglia. Ciò è dovuto ai ritardi nella costruzione e nell’entrata in servizio del raccordo che collega il porto con la stazione di Rosarno. L’opera, finalmente completata, e l’iniziativa commerciale di Trenitalia Cargo, che si assume il rischio treno col nuovo servizio multicliente, porteranno a una svolta nel corso del 2001, consentendo al porto di disporre di un’offerta ferroviaria doppia rispetto a quella attuale.

Un indubbio passo avanti, ma ancora insufficiente per realizzare quello che può diventare un radicale mutamento nel ruolo dei porti del Sud, cioè il passaggio dal ruolo di porti regionali del Mediterraneo al ruolo di gates per tutta Europa dei flussi di merci provenienti e dirette al Far East. Passaggio che può essere realizzato a una sola condizione: che si possa disporre di reti ferroviarie adeguate e di servizi ferroviari affidabili.

I terminal portuali italiani del Sud possono diventare la porta d’ingresso degli scambi con il Far East per tutta l’Europa?

Un’idea come questa avrebbe fatto sorridere i più accreditati analisti del mercato qualche anno fa. Oggi invece sembrano orientati diversamente. Il recentissimo studio Ocean Shipping Consultants North European Containerisation non a caso si conclude con la domanda: lo sviluppo dei porti mediterranei quanto può incidere sul mercato dei porti del Nord? La risposta è che occorre analizzare la questione da un doppio punto di vista: la perdita secca – per i porti del Nord – di quote di mercato e la perdita indiretta provocata dalla sostituzione dei servizi direct deep sea con servizi feeder short sea a partire dai porti di transhipment del Mediterraneo. Tale seconda ipotesi sarebbe avvalorata dall’entrata in servizio di navi full container di dimensioni tali da sconsigliare il loro

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utilizzo per servizi diretti East-Asia-Nordeuropa e da limitarne l’impiego ai servizi pendulum East Asia-Nordamerica. Lo studio OSC non sembra dar credito a questa ipotesi mentre avvalora l’altra e cioè la perdita secca di quote di mercato da parte dei porti del Northern Range a favore dei porti del Mediterraneo.

Finora – argomentano OSC – il modo migliore per servire i ricchi mercati italiani, svizzeri e austriaci e la stessa Francia del Sud è stato quello di utilizzare i servizi ferroviari intermodali dai porti di Rotterdam e di Anversa. Oggi il mercato più grosso, quello italiano, si può ben servire dai porti della penisola.

Questo è vero in linea generale, tuttavia io sarei ancora prudente nel pronosticare per i porti del Sud ed in particolare per quelli di transhipment un avvenire tale da metterli in competizione con Rotterdam e Anversa anche sui mercati transalpini, in particolare sul mercato della Germania meridionale. Due sole considerazioni, a questo proposito.

Un esperto italiano di problemi portuali, l’ing. Trotta di Marconsult, ha dimostrato in un articolo pubblicato sull’ultimo numero dell’International Journal of Maritime economics che il recupero di quote di mercato da parte dei porti mediterranei a scapito dei porti del Nord è più apparente che reale, cioè è un’illusione statistica determinata dalla presenza dei porti di transhipment, che contano i TEU due volte. Trotta prova a fare un confronto dei traffici container negli anni 1997/1999 tra soli terminal non di transhipment (tra Le Havre, Rotterdam, Anversa, Zeebrugge, Amburgo e Bremerhaven da un lato e Valencia, Barcellona, Marsiglia, Genova, Livorno, La Spezia, Venezia e Koper dall’altro), il risultato è il seguente (in milioni di TEU):

1997 1999 crescita Porti selezionati del Nord 15.341 17.960 2.619 Porti selezionati del Sud 5.192 6.019 827 Totale TEU 20.533 23.980 3.466

Come si vede, la crescita complessiva dei porti del Nordeuropa è molto più consistente. Quindi, sulla base di questo test, ad un esame più approfondito, potrebbe darsi che nel corso degli Anni 90 i porti del Nord abbiano accresciuto, non diminuito, la loro quota di mercato. Certi luoghi comuni che circolano nell’ambiente portuale italiano ed hanno il solo effetto di dar luogo a uno sterile trionfalismo dovrebbero essere ridimensionati.

La seconda considerazione riguarda i traffici intermodali italiani in direzione dei porti del Nord. Un esempio molto rappresentativo della tendenza generale ci viene dai traffici dell’Interporto di Padova, che è uno dei maggiori inland terminal europei, cioè uno scalo ferroviario dove vengono imbarcati e sbarcati i container in direzione dei porti. Nel 2000 l’Interporto di Padova ha movimentato circa 280.000 TEU, più di qualunque porto dell’Adriatico. Come si vede dalle figure 11 e 12 i porti del Nord vengono usati dagli utenti italiani, cioè dalle imprese, soprattutto per l’import (73% dei treni viene dal Nord) mentre per l’export si utilizzano i porti italiani (22% dei treni soltanto va al Nord). Tra l’altro, la tendenza non accenna ad invertirsi, perché la quota di import via porti del Northern Range, secondo i dati di Padova, è in crescita (69% nel 1996, 73% nel 2000).

Occorre quindi una lettura molto più differenziata dei dati per poter dare delle valutazioni più precise.

I noli ferroviari e marittimi sono ancora favorevoli ai porti del Northern Range. I transit time sulle rotte con il Far East – come è stato messo in luce dallo studio del CNEL sui traffici nel

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Mediterraneo - non presentano grandi differenze, malgrado i 5/6 giorni di navigazione in più, perché le navi che toccano i porti del Nord fanno meno scali rispetto a quelle che toccano i porti mediterranei per il maggior carico di cui dispongono.

Ma ciò che ancora pone i porti del Nord in posizione competitiva è la presenza nei loro hinterland dei centri di distribuzione europea delle multinazionali.

Dove il Mediterraneo è attualmente competitivo?

?? nella dotazione di scali di transhipment

?? nelle tariffe di handling portuale

?? nel percorso marittimo più breve.

Dove “potrebbe” essere competitivo?

Abbandonare il concetto di competizione tra Range portuali e adottare una visione di “sistemi a rete”

Gli operatori che hanno fatto la fortuna di Gioia Tauro ci propongono i seguenti dati, per dimostrare la competitività del sistema meridionale e per rendere credibile l’ipotesi che dai porti italiani del Mezzogiorno sia possibile servire i mercati del Centro-Europa.

Un servizio Far East-Germania meridionale (per esempio Singapore-Monaco di Baviera) via Rotterdam impiega 20 giorni, via Amburgo 22 giorni, via Gioia Tauro potrebbe impiegare 14 giorni. Il costo sarebbe inferiore del 13%.

Sono dati che smentiscono le nostre precedenti affermazioni? No, tutto sta in quel “potrebbe”, cioè nella volontà del sistema-Italia, quindi del decisore pubblico e dell’impresa privata nel creare le condizioni perché quel “potrebbe” diventi “si può”. Per farlo occorre realizzare in tempi rapidi i potenziamenti richiesti nei terminal (spazi di manovra, di accosto, fondali), occorrono investimenti in gru con sbraccio in grado di raggiungere le 22 file di container delle navi della prossima generazione in luogo delle 18 attuali, occorrono spazi retroportuali dedicati e imprese innovative ed efficienti che vi s’installino, occorrono enti e istituzioni pubbliche che non creino ostacoli, occorrono tempi e impegni assunti dalla mano pubblica che vengano rispettati, occorrono Autorità Portuali con ampia visione del futuro, circondate da consenso, in perfetta armonia con i terminalisti, occorre che i raccordi ferroviari con la linea principale funzionino al massimo di efficienza, occorre che la linea Paola-Sibari sia portata a standard adeguati ad un traffico container, occorre che la linea adriatica possa permettere il transito anche dei container high cube, occorre che gli operatori ferroviari mettano a disposizione servizi in grado di competere coi transit time del feeder ma altrettanto affidabili e regolari, occorre che vi siano sempre locomotori, carri e personale a disposizione, che vi siano tracce orarie a sufficienza a sopportare un carico di traffico che potrebbe raggiungere negli anni prossimi dieci coppie di treni al giorno dai terminal di Brindisi, Taranto e Gioia Tauro.

Quante di queste condizioni sono già oggi soddisfatte? Il problema è che debbono esserlo tutte assieme contemporaneamente. La mancanza di una sola di esse potrebbe far fallire l’ambiziosa prospettiva di diventare gate dell’Europa. Ma c’è un punto sul quale gli operatori di Gioia Tauro ci danno un’indicazione preziosa: non si può più parlare di competizione tra Range portuali bisogna parlare di competizione tra diversi “sistemi a rete” che comprendono porti di diversi Range. Proprio Eurogate è l’esempio classico: gestisce Amburgo, Brema, Gioia Tauro e La Spezia, due porti al

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Nord e due porti al centro del Mediterraneo. Come potrebbe essere in competizione con sé stesso? La sua strategia, come quella di tutti i grandi terminal operators mondiali consiste nel disporre di una rete in grado di offrire una molteplicità di soluzioni logistiche, una molteplicità di servizi ad una clientela che chiede sempre più “personalizzazione” dei medesimi. Così si entra nel mercato della contract logistics. Altriment i se ne resta fuori, al Nord come al Sud.

Questo, a mio avviso, è l’approccio “globale” con cui si deve leggere oggi il mercato dei traffici containerizzati. Leggerlo con la lente di un solo porto (es. Taranto) o di un solo Range portuale (es. i porti del Sud Italia) ci porta fuori strada.

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Traffico di contenitori sulle principali rotte mondiali

In milioni di TEUEastbound Westbound Totale

Transpacifica 6.338 3.392 9.730

Transatlantica 1.650 2.620 4.270

Europa/F. East 2.950 4.925 7.875

Europa/M.O. 975 175 1.150

Nordamerica/M.O. 245 100 345

F.East/M.O. 250 1.455 1.705

Totale Est -Ovest 25.075

Totale Nord-Sud 15.423

Totale interregionale 21.585

Totale intraeuropeo 5.235

Fonte: Drewry 2000

•Tabella 1

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17

Transiti nel Canale di Suez per tipologia di naviglio 1998

0102030405060

Tank

ers

Bulk c

arriers

Combin

ed ca

rriers

Genera

l Carg

o

Contain

er

Lash

ships

Ro/ro s

hips

Car carr

iers

Passe

ngers

War s

hips

Others

% sul numero totale% sul tonnellaggio totale

F o n t e : I S L , 1 9 9 9

•F i g u r a 1

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18

AC

L

P

T

G .T

M

D

A = A l g e s i r a sC = C a g l i a r iT = T a r a n t oG . T . = G i o i a T a u r oM = M a l t aP = P i r e oD = D a m i e t t aL = L i m a s s o l

• F i g u r a 2

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19

L’incidenza del transhipmentnei traffici mediterranei è superiore di tredici punti

alla media mondiale1999 1999

Aree % Incidenza deltranshipment

.000 TEU trasbordati (%vuoti)

Nordamerica 6,1% 1.725 (23,5)

Europa Nord 23,0% 6.737 (16,1)

Europa Sud 36,0% 6.205 (23,3)

Far East 18,9% 11.247 (19,1)

Sudest A. 48,1% 14.708 (15,3)

Asia Sud 24,0% 1.327 (17)

M. Oriente 41,2% 4.080 (25,3)

Am . Latina 18,0% 2.767 (31,6)

Africa 14,7% 901 (27,0)

Totale mondo 23,9% 49.825 (20,5)

Fonte: Drewry,

2000

•Tabella 2

1999/2000

2000/2001

2001/2002

2002/2003

Nordamerica 4,5% 4,2% 3,9% 3,3%

Europa Nord 5,6% 2,5% 5,0% 4,6%

Europa Sud 12,7% 6,5% 9,2% 7,2%

Far East 10,5% 6,1% 10,7% 10,5%

Asia sud-est 10,8% 13,4% 14,8% 13,8%

Asia sud 11,5% 24,5% 12,8% 14,2%

M. Oriente 4,2% 8,2% 8,3% 8,4%

Am. Latina 16,4% 16,6% 12,5% 12,7%

Africa 17,6% 7,8% 7,5% 7,4%

Totale mondo

9,4% 7,7% 9,4% 9,1%

•Tabella 3

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Il Trasporto Internazionale di Container, la Portualità Italiana, la Logistica

20

-

1.000.000

2.000.000

3.000.000

4.000.000

5.000.000

6.000.000

7.000.000

8.000.000

9.000.000

10.000.000

TEUs

1 2 3 4 5

Anni

Previsioni di traffico nel Mediterraneo: riepilogo

Mediterraneo OccidentaleMediterraneo CentraleMediterraneo OrientaleFonte: OSC, Mediterranean

Container Market, 1998

•Figura 3

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Il Trasporto Internazionale di Container, la Portualità Italiana, la Logistica

21

Numero di portacontainer per classi dimensionali

17%

17%

17%15%

9%

8%

8%6% 2%1%

< 500500-900

1000-1499

1500-19992000-24992500-2999

3000-3999

4000-49995000-5999>6000

Fonte:Drewry Shipping Consultant, 2000

•Figura 4

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22

Ordini di portacontainer per classi dimensionali

1%3% 4% 7%

8%

7%

8%13%

27%

22%

< 500

500-900

1000-1499

1500-1999

2000-24992500-2999

3000-3999

4000-4999

5000-5999>6000Fonte: Drewry Shipping Consultants, 2000

•Figura 5

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Il Trasporto Internazionale di Container, la Portualità Italiana, la Logistica

23

0

500000

1000000

1500000

2000000

2500000

3000000

TEUs

Algeciras

Valencia

Barcellona

Genova Voltri

La Spezia

Cagliari

Gioia Tauro

TCT

Marsaxlokk

Pireo

Limassol

Larnaca

Alessandria

Damietta

Port Said

Incrementi di capacità previstiFonte: Smile Puglia, 2000

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24

I n c r e m e n t i d e l l a c a p a c i t à p r o d u t t i v a p e r a r e a

0

2 0 0 0 0 0 0

4 0 0 0 0 0 0

6 0 0 0 0 0 0

8 0 0 0 0 0 0

1 0 0 0 0 0 0 0

1 2 0 0 0 0 0 0

M e d i t e r r a n e oO c c i d e n t a l e

M e d i t e r r a n e oC e n t r a l e

M e d i t e r r a n e oO r i e n t a l e

C a p a c i t à a t t u a l eC a p a c i t à a l 2 0 1 0

F o n t e : S m i l e P u g l i a , 2 0 0 0

•Figura 7

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Il Trasporto Internazionale di Container, la Portualità Italiana, la Logistica

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Maersk Broker quarterly container rate fixtures 1994-1999

56789

1011121314

1994

1995

1996

1997

1998

1999

650-899 TEU900-1299 TEU

Fonte: ISL, 1999

Figura 8

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26

M a e r s k B r o k e r q u a r t e r l y c o n t a i n e r r a t e f i x t u r e s 1 9 9 4 - 1 9 9 9

23456789

1 01 11 2

1994

1995

1996

1997

1998

1999

1 3 0 0 - 1 9 9 9

2 0 0 0 - 2 9 9 9

F o n t e : I S L , 1 9 9 9

F i g u r a 9

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Tariffe di handling 1990 - 2000 (in lire)

100000150000200000250000300000350000

1990 1992 2000

F i g u r a 1 0

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28

0,9%200.000Geo Logistics

1,4%300.000Danzas

1,9%400.000Schenker

1,9%400.000Panalpina

3,3%700.000K&N

Market shareTEU’sCompany

Fonte: Sarasin Bank, 2000

Tabella 4

5 % <4 ) C o n t r a c t L o g i s t i c s

1 , 5 %3 ) O v e r l a n d T r a n s p .

> 3 %2 ) A i r F r e i g h t

> 3 %1 ) O c e a n f r e i g h t

F o n t e : S a r a s i n B a n k , 2 0 0 0 2 0 %A s i a9 %S p a g n a9 %I t a l i a9 %U K8 %F r a n c i a8 %G e r m a n i a8 %B e n e l u x1 2 %N o r d a m e r i c a

T a b e l l a 5Tabella 6

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TERMINAL CONTAINER - TRAFFICI in EXPORTanno 2 0 0 0

GENOVA 29%

LA SPEZIA24%

TRIESTE15%

NORD EUROPA22%

LIVORNO10%

Traffici container dell’Interporto di Padova nel 2000

export

Figura 11

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30

TERMINAL CONTAINER - TRAFFICI in IMPORTanno 2000

GENOVA 6%

LA SPEZIA18%

TRIESTE0,13%

NORD EUROPA73%

LIVORNO3%import

Figura 12

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PARTE PRIMA

IL PUNTO DI VISTA DEI TERMINALISTI

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RENATO MATTEUCCI

Consigliere CNEL - Coordinatore

La nostra idea è quella di mettere a confronto, sulla base della relazione di scenario molto efficace del professor Bologna, da una parte gli operatori terminalisti, e dall’altra parte gli operatori dei trasporti e logistica, tentando quindi di conoscere dalla realtà vissuta, e non solo in termini di puro approccio generale e programmatico, la situazione attuale, ma anche qual è la prevedibile funzione futura del nostro sistema.

Ho dunque il compito facilitato dalla relazione del professor Bologna, e sottolineo solo tre approcci che propongo ai miei interlocutori, i quali rappresentano i tre terminal. Da un lato chiedo, pur riconoscendo che sono tra loro in concorrenza, di compiere lo sforzo di essere per un momento vissuti come sistema (del resto il professor Bologna ha sottolineato questa esigenza), in quanto nel bacino del Mediterraneo siamo di fronte ad ulteriori sfide concorrenziali fra i porti di transhipment.

Quindi, la domanda è: l’insieme dell’offerta infrastrutturale e tecnologica dei tre terminal italiani – Gioia Tauro, Taranto e Cagliari – costituisce un patrimonio sufficiente per il sistema Paese, per battere la concorrenza che nel Mediterraneo si determinerà? Quali sono gli interventi che gli operatori ritengono debbano essere fatti sulle infrastrutture e quanto invece è di loro competenza per essere competitivi in prospettiva?

Nel nostro Paese abbiamo fatto la scelta di avere un sistema di tre terminal di transhipment in concorrenza fra di loro, in un mercato che ha caratteristiche di libero mercato internazionale molto complesse. Le imprese di gestione dei terminal hanno delle strategie concorrenziali, che certo non chiediamo loro di esplicitare oltre il dovuto, ma appare evidente, per come è partita la fase di questa scommessa sul transhipment, costituita da Contship a Gioia Tauro, che le strategie aziendali dei tre terminal sono tra loro diversificate.

Gioia Tauro si configura sostanzialmente come un terminal ad utilizzazione plurima, che si offre al mercato del transhipment internazionale dei grandi armatori; avrà dunque una strategia che tiene conto di questo dato, costruendo anche contratti fidelizzati.

Taranto si basa sul rapporto con uno dei più consistenti operatori marittimi internazionali di transhipment, Evergreen, che, fra l’altro, è un gruppo che ha al suo interno attività logistiche. Qual è la sua strategia? Al di là di essere, con definizione aeronautica, un “hub” per un grande armatore, come svilupperà una politica di services per altri operatori? Questa esperienza è già esistente a livello internazionale, bisogna sperimentarla nel nostro Paese, forse con qualche difficoltà in più.

Cagliari è il nuovo entrante, e quindi sta impostando politiche promozionali, rapporti con operatori. Quale delle due strategie attualmente in campo sta privilegiando? Quali sono le condizioni del suo decollo? Perché qui siamo proprio alla fase iniziale.

La terza questione è legata alla logistica. I terminal non si affermano solo perché hanno delle infrastrutture adeguate per le grandi navi porta-container, ma anche per l’insieme dei servizi di logistica marittima e terrestre, più altri servizi che sono stati giustamente introdotti dal professor Bologna, che arricchiscono la parte definita povera del circuito. L’offerta attuale di logistica, intendendo feederaggio e sistema ferroviario, è ritenuta adeguata? Qual è il ruolo nel feederaggio dell’armamento italiano? Per quanto ne sappiamo, è molto marginale. Qual è il ruolo - ovviamente dal lato dei terminalisti, poi risponderà l’ing. Bussolo per FS – del vettore ferroviario e su quali aree del mercato nazionale ed internazionale si pensa possa avere un ruolo? Infine, questa ridefinizione, dall’ottica del terminalista, dell’offerta complessiva di logistica di un sistema, come può essere

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offerta al cliente di transhipment o al caricatore di livello europeo. La sensazione è che in questo momento i pezzi siano tra loro separati.

Cominciamo con Cecilia Eckelmann Battistello, che è Presidente di Medcenter di Gioia Tauro, la quale ha diritto al primo intervento per due ragioni: la prima, perché quello che lei rappresenta è il primo terminal che è partito in Italia, la seconda è che oggi è l’8 marzo, Festa della Donna. In seguito verrà data la parola al dott. Claudio Casalini, che qui rappresenta le posizioni del terminal di Taranto, e al dott. Luigi Negri, che ci illustrerà le scelte del terminal di Cagliari.

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CECILIA ECKELMANN BATTISTELLO

Presidente Medcenter – Gioia Tauro

Vorrei cominciare ringraziando il Presidente Pietro Larizza e tutti i suoi collaboratori per l’organizzazione di questo evento. Ringrazio anche per queste bellissime mimose che sono state offerte in occasione della Festa della Donna.

Do il benvenuto a tutti. Sono Cecilia Battistello, nel gruppo Contship dal 1973. Sarò molto semplice nella mia presentazione, perché penso che questa darà adito poi a possibili ulteriori interventi.

Parliamo di evoluzione e di cambiamenti che si verificano tutti i momenti. Da quando è entrato il contenitore in Europa, 40 anni fa, abbiamo assistito ad una sempre maggiore concorrenza; con l’avvento della globalizzazione abbiamo visto la formazione di alleanze; con l’aumento dei volumi containerizzati abbiamo visto le navi crescere e diventare sempre più grandi. Che cosa significa navi sempre più grandi? Che esse devono fare scalo in un minor numero di porti, perché il costo di uno scalo è penalizzante. Abbiamo assistito all’evoluzione di Hong-Kong e Singapore, che oggi fanno 14-15 milioni di movimenti; abbiamo visto nel resto del mondo altre hubs importanti svilupparsi.

Cosa è successo nel Mediterraneo, che è proprio quello che ci sta a cuore? Una caratteristica del Mediterraneo è che abbiamo 60 porti, su cui ci soffermiamo un attimo. Questi 60 porti sono di taglio medio-piccolo, sono porti con limitazioni geografiche dovute ai pescaggi ed alle banchine. Anche nel Mediterraneo, in ogni caso, abbiamo visto il sorgere delle hubs. Cosa abbiamo oggi? Abbiamo già nove hubs.

Vorrei fare una distinzione, con riguardo al Mediterraneo; abbiamo le hubs vicino al Medio Oriente, cioè vicino all’ingresso di Suez, come Damietta, Port Said, Pireo, che è molto ben localizzata per il Mar Nero; ed abbiamo invece delle hubs vicino a Gibilterra, come Algesiras ed eventualmente Cagliari, che è già una realtà; abbiamo poi, nel Centro, Malta, che è stato il primo importante porto di trasbordo a nascere; quindi i nostri porti del Sud Italia, come Taranto e Gioia Tauro. Oltre a questi otto porti di hub, che sono già una realtà, siamo a conoscenza di nuovi progetti, in particolare quello di Port Said, che sarà sviluppato dalla Mearsk, di un progetto a Gibilterra e di un altro in Algeria.

Come scegliere le hub nel Mediterraneo? A me sembra che qui in sala noi pensiamo di poter influenzare chi fa che cosa. Signori, chi decide è solamente la merce; è a seconda di quello che costa al trasportatore giapponese, piuttosto che al signore di Shangai, portare il suo contenitore, che contenga mobili o soldi da Shangai o da Tokio fino a Monaco di Baviera, piuttosto che a Milano, piuttosto che a Napoli, che decide quale hub si sceglie. È come quando noi viaggiamo: se io devo andare a New York guardo al tempo che si impiega, sette ore per la via diretta o 12 ore per un’altra strada. A decidere è la questione del costo, non siamo noi.

Noi vendiamo servizi, qualcosa di non tangibile. Vediamo comunque che i porti di Suez favoriscono la distribuzione nel vicino Oriente, perché è meno caro il costo del feeder, mentre un porto come Algesiras è più favorevole, come del resto lo sarà Cagliari, per la distribuzione nel West Mediterraneo. I porti centrali dal mio punto di vista hanno il vantaggio che possono coprire sia il West, sia il l’East Mediterraneo a prezzi abbastanza competitivi.

Questa slide ci mostra la crescita dei volumi e le previsioni per i prossimi dieci anni. Ci soffermiamo a vedere che nei prossimi dieci anni la previsione di crescita del volume di trasbordo è

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molto maggiore in proporzione a quella del carico che verrà distribuito direttamente. Fra dieci anni si parla di 20 milioni di contenitori, che nella movimentazione equivarrà a 40 milioni di contenitori, perché si conta il movimento da una nave ad un’altra, che è dunque doppio.

Stiamo parlando di Gioia Tauro. Che cos’era Gioia Tauro prima che la Contship sviluppasse, quando si è fatto l’Accordo di programma nel dicembre 1993? E cos’è oggi Gioia Tauro? È diventato il sedicesimo porto al mondo, avendo lavorato l’anno scorso 2.700.000 pezzi; tuttavia per la maggioranza si è trattato di traffico di transhipment. Potremo fare i complimenti a chi ha creduto in questo progetto ed a chi l’ha fatto diventare una realtà. Però che cos’è che ci prospettiamo per il futuro? Il 95 per cento di quello che sta passando per Gioia Tauro oggi, domani può spostarsi in un altro porto; va bene se va a Taranto, meno bene se va al Pireo, o a Damietta, bene se va a Cagliari, male se va a Malta. Parliamo di Italia verso il resto del Mediterraneo.

Dottor Bussolo, io so che noi la martelliamo troppo, però di fatto la ferrovia è un aggancio troppo importante per cercare di attirare quello che va nell’entroterra e che non si ferma lì. Gioia Tauro o Taranto per me è lo stesso, io guardo l’Italia, ed è importantissimo creare dei valori aggiuntivi, come la zona franca, come servizi di logistica, servizi di informatica. Parliamo, ripeto, di Italia verso il resto del Mediterraneo; l’esempio è Gioia Tauro. Detto questo, io ringrazio molto le Ferrovie, perché mi risulta che proprio nel giro di due settimane si dovrebbe cominciare a partire con dei treni per la distribuzione su Milano, Padova, Bologna, e noi sappiamo che il grosso mercato, i grossi volumi sono nel Nord Italia, per cui dovremmo cercare di far passare dai porti del Sud quei volumi che vengono poi distribuiti al Nord.

Non solo; perché non mirare ad una distribuzione che dai porti del Mediterraneo, Sud d’Italia particolarmente, possa raggiungere il Centro Europa? Facciamo un esempio. Il mercato che a noi interessa, l’ha sottolineato il professor Bologna, è quello del Far East, che trans ita dal Mediterraneo nel Nord Europa, o si ferma nel Mediterraneo. Si consideri che una nave che parte da Hong-Kong o da Singapore, arriva a Taranto o a Gioia Tauro in 14 giorni; se continua e va sui porti del Nord, come Rotterdam o Amburgo, impiega 22 giorni. Solamente se ci fermiamo al consegna porto, sono dieci giorni di differenza, ma diciamo pure cinque. Allora, un contenitore pieno di lana che viene dall’Australia e che ha come destinazione Marzotto, ha un valore di 200 mila dollari e la merce viene pagata quando è consegnata, quando il ricevitore la riceve. Questo che cosa significa? Se al 5 per cento di interesse, dieci giorni di differenza da una data di consegna all’altra, su dieci contenitori, che è la media dei volumi, nei miei calcoli sono 3.000 dollari, ossia 6 milioni di differenza. È dunque la merce che decide la strada da seguire per arrivare a destinazione. L’Italia ha la chance che i porti del Sud Italia hanno un margine di dieci giorni per raggiungere la zona di Monaco.

Professore, è vero che al Nord sono ubicati i centri di distribuzione, però se un contenitore è pieno al 90 per cento di merce che viene consegnata nella zona di Rotterdam, è chiaro che andrà a Rotterdam e manderà al Sud il 10 per cento. Detto questo, è molto corretto che no i dobbiamo adeguarci con le infrastrutture se vogliamo darci una chance ed in parte recuperare quello che va nel Centro Europa.

Abbiamo detto che Gioia Tauro è una storia di successo, ma quando si è campioni diventa problematico mantenere la posizione del campione, perché tutti cercano di prendere il posto. La Mearsk è il cliente numero uno di Gioia Tauro e sappiamo che è anche il gruppo numero uno al mondo, e la differenza tra volumi Mearsk e quelli del secondo grosso gruppo marittimo è enorme.

Abbiamo visto le navi diventare sempre più grandi, sappiamo oggi che tecnicamente si può arrivare a navi da 18.000 TEU, mentre oggi si parla di navi di 7.000-8.000 TEU, che sono già una realtà. Perché non si va da 7-8 a 10.000 TEU? Perché quando si arriva a 10.000 TEU di capacità la

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nave deve avere due motori e non diventa più competitivo avere una nave con un prezzo due motori e solamente 10.000 TEU, pertanto si passa ad una capacità molto superiore. La Mearsk sta guardando a questo tipo di capacità.

Che cosa succederà a Gioia Tauro, se arriveranno delle navi più grosse? Sappiamo che non possono entrare: si deve allargare il canale. Navi di questa taglia hanno anche un pescaggio diverso, ed oggi Gioia Tauro ha 15 metri di pescaggio, mentre bisogna arrivare a 17,5 metri. L’équipment, le gru che ci sono dovranno essere adeguate. Gli azionisti di Contship Italia di Gioia Tauro in questo momento hanno bloccato gli investimenti sull’équipment, per vedere come sarà il futuro, perché se ordiniamo delle gru come quelle attua li si rischia che non siano adeguate per il futuro. Ma prima di ordinare l’équipment è importante che l’azionariato sappia se ci saranno i fondali perché possano operare le navi più grosse, e se ci sarà la possibilità di manovrare.

Ho inserito nella slide la foto di Angelo Ravano, che molti di voi hanno conosciuto, perché è stata una sua visione, giustamente appoggiata dalle autorità, è stato un suo sogno che noi abbiamo portato avanti e mi pare giusto ricordarlo.

Io potrei fermarmi qui, però vorrei andare ancora avanti per condividere con voi, al di là di quello che appare, che cosa poi succede dietro le quinte. Gioia Tauro ha movimentato l’anno scorso 2.700.000 pezzi. Se guardiamo al bacino, in quella zona vicino all’ingresso – l’ha già menzionato il dottor Larizza prima - c’è un deposito petrolifero che mi risulta essere di un certo signor Sensi, il quale si occupa anche di calcio. Là c’è l’ingresso del canale, qui abbiamo i contenitori; la nave da una parte, e di là il deposito di petrolio. È da quattro anni che la Contship Italia si sta battendo, poiché noi siamo lieti di avere dei vicini (anche se il petrolio può essere pericoloso, perché può saltare tutto), perché è meglio che essere da soli. Però, attenzione, si deve fare l’attracco al di fuori del canale, altrimenti si blocca la viabilità di quello che già esiste, il canale di ingresso dove attraccano le navi, là dove sono le gru.

Questo è uno studio che abbiamo fatto fare, che dimostra che cosa succede oggi nel bacino di evoluzione. All’anno a Gioia Tauro fanno scalo più di 3.000 navi, cioè più di 10 al giorno; la manovra di ogni nave varia da un’ora e mezza a due. Ci sono i piloti, ci sono i rimorchiatori, dunque vediamo come già è a rischio e come già è utilizzato questo canale. Dove si vuol fare la base del petrolio? Proprio lì. Allora, se io sono un azionista straniero e investo i miei soldi laddove c’è bisogno di portare lavoro, laddove c’è bisogno di portare sviluppo, laddove ci sono le premesse geografiche per avere successo, francamente dico che è meglio che mi carico le gru e mi cerco un’altra opportunità. Della Mearsk, signori, io ho di fronte a me una lettera di cui ho preso visione solamente ieri, che non è indirizzata al gruppo Contship ma al Commissario Straordinario Mario Buscemi, Autorità del Porto di Gioia Tauro, del seguente tenore: se il bears del petrolio verrà costruito, e la sicurezza messa a rischio, vi informiamo che la Mearsk Sea-Land ritirerà gli scali delle loro navi del tipo più grosso. In conclusione, in futuro Gioia Tauro può perdere 1.400.000 pezzi. Mi congratulo per la storia di successo! Complimenti a Cagliari, forse a voi andrà meglio!

Dottor Matteucci, guardiamo al Mediterraneo e vogliamo guardare al nostro Paese, all’Italia, che è lì ben piazzata nel Centro e potrebbe veramente diventare la portaerei del futuro? Lei parla di concorrenza tra Taranto, Gioia Tauro e Cagliari. Le do un piccolo esempio: un gruppo che scala Malta – non l’Italia – ad esempio, sostiene per 5.000 TEU di capacità il costo annuale di 135.000 US$, contro i 1.750.000 US$ che dovrebbe sostenere in Italia. Qui non si tratta di fare la concorrenza tra il mio vicino di destra, Cagliari, o di sinistra, Taranto. L’Italia vuole darsi una chance? Noi ci adegueremo a seconda delle circostanze, però questi costi hanno un’incidenza per contenitore che transita dal porto italiano e sarà la linea marittima che decide dove le navi andranno, via Nord o via Mediterraneo.

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Si parlava di concorrenza – dottor Matteucci, cerco di rispondere anche alle sue indicazioni – parlando di feeder. Il terminal di Taranto si è ben organizzato per una distribuzione feeder ed a questo punto tra Gioia Tauro e Taranto c’è l’intenzione e l’intesa di cooperare nella gestione di un common feeder per la distribuzione mediterranea. Il vantaggio sarà che l’accoppiamento dei volumi permetterà l’impiego di navi di taglia superiore e si spera di essere dunque più competitivi (mi sia consentito!) di Cagliari, per esempio.

Che cosa, dal mio punto di vista, qualsiasi operatore dovrebbe aspettarsi per avere successo in Italia? È decisamente l’infrastruttura, la ferrovia, al di là dell’atteggiamento monopolistico delle ferrovie europee, non solo italiane. È importantissimo rendersi conto che i tempi cambiano e, ripeto, l’importante alla fine è quanto tempo impiega la merce, partendo dal punto A, ad essere consegnata al punto B e quanto costa. Rendiamoci conto che nessuno di noi influenzerà niente.

Volevo darvi, solamente per curiosità, la situazione in Europa, dove sembra che siamo ancora un po’ padroni delle nostre cose. I porti principali del Nord: in Inghilterra abbiamo Filighstowe, in Olanda abbiamo Rotterdam. Questi due porti sono di proprietà di Hutchinson Wan Poa – Hong-Kong. Anversa, è stato già annunciato due giorni fa, è controllata dal porto di Singapore, come in Italia avviene a Genova ed a Venezia. Cagliari, porto italiano, è controllato da P & D. La Spezia e Gioia Tauro sono controllati dai tedeschi. Il futuro di Trieste è incerto, però mi risulta che diventerà sotto il controllo di Copper. Stando così le cose, saranno guai se non ci renderemo conto che è solo la collaborazione ed il lavorare assieme con degli stranieri che può portare al successo. Pensiamo forse che gli stranieri rimangano a guardare che cosa sarà il domani? O non penso e ritengo che sia importante cominciare a dare dei segnali costruttivi.

Ritengo di avere concluso e vorrei ringraziare per l’attenzione. Sperando di essere stata chiara, vi ringrazio.

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C. CASALINI

Consigliere di Amministrazione di Taranto Container Terminal

Forse mai come in questo momento è difficile affrontare le problematiche relative allo sviluppo della portualità e della logistica . Un quadro di mercato in rapidissima e spesso traumatica evoluzione, si abbina a un quadro normativo e politico specie a livello comunitario caratterizzato da un’incertezza senza precedenti. Basti pensare al recente progetto di direttiva comunitaria del commissario ai Trasporti, Loyola de Palacio, per comprendere quanti e quali rischi di cambiamento incombano sulle strut ture portuali esistenti, progettate (anche in termini di rapporti) su pilastri che rischiano di essere nella migliore delle ipotesi strutturalmente indeboliti.

Non differente è la situazione del mercato logistico, che – secondo le previsioni di tutti gli esperti del settore – non troverà per almeno un decennio un assetto consolidato, sia per il ruolo crescente dei grandi gruppi (impegnati in una colonizzazione di aree di mercato) sia per l’incertezza predominante nei processi di liberalizzazione nazionali. In questo caso è sufficiente citare la liberalizzazione del trasporto ferroviario, che potrebbe subire battute di arresto anche non normativo attraverso l’applicazione di contratti a peso economico eccessivo.

In uno scenario di questo tipo ogni tipo di previsione, specie di dettaglio, rischia di essere smentita dai fatti. E ciò vale anche per le previsioni sui programmi dei grandi operatori del trasporto e della logistica i cui ritmi di modifica delle scelte strategiche di fondo tendono a diventare sempre più serrati. E’ sufficiente, al riguardo, ricordare le oscillazioni che hanno caratterizzato l’approccio di grandi gruppi armatoriali al problema della gestione dei terminal portuali. Ad una spiccata spinta alla terziarizzazione (fenomeno questo che ha dato spazio crescente ad un fenomeno di business terminalistico più o meno puro, con ricadute e interessi diffusi sull’intero ciclo logistico, ha fatto e sta facendo seguito un rinnovato interesse armatoriale per la gestione diretta di terminal, considerati oggi sempre di più anelli strategici di un ciclo di trasporto e di logistica integrata, in cui l’armatore aspira a svolgere un ruolo di primo piano).

E dunque in questo scenario, caratterizzato in termini macroeconomici da una rivalutazione del ruolo della portualità mediterranea e segnatamente di quella italiana, con previsioni di fortissimo sviluppo delle attività di transhipment e, in parallelo, di feederaggio, che va collocata anche l’iniziativa di Taranto.

Taranto si pone quale interlocutore per lo sviluppo dell’area sud-est dove negli ultimi anni si è verificata la maggiore crescita delle piccole e medie aziende. Per la prima volta l’area si è dotata di un vero porto commerciale del quale beneficeranno tutti coloro che lavorano nell’Import / export.

Sempre maggiore e determinante è l’incidenza dei costi del trasporto sulla produzione e pertanto si può ben dire che l’area diventerà più competitiva.

Taranto guarda al Medio Oriente ed al Mar Nero ed è presumibile che diventi il terminale per l’Europa. In questo contesto, la vocazione di Taranto dovrà essere letta non in alternativa a Gioia Tauro, bensì in aggiunta al sistema degli hub che avranno sempre un ruolo maggiore nello shipping in relazione all’utilizzo di navi sempre più grandi e costose. Con Taranto verrà riqualificato il ruolo di tutto l’Adriatico sia per il marcato italiano che centro europeo. Pensiamo a quello che avviene oggi nell’offerta dei servizi dove si servono i paesi del centro Europa e anche quelli dell’est Europa attraverso i porti nord europei e ciò per mancanza di infrastrutture portuale nel Mediterraneo. Se vediamo Taranto e Gioia Tauro come centri di distribuzione capiremo quanto sia il risparmio in ordine di tempo per la consegna delle merci.

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Per quanto riguarda il trasporto italiano attraverso il porto di Taranto si dovrà assolutamente rivedere la politica dei trasporti ferroviari e del cabotaggio in alternativa al camion.

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LUIGI NEGRI

Presidente di Cagliari International Container Terminal – Presidente Federagenti

a) Evoluzione del transhipment Internazionale

L’utilizzo dei porti di transhipment da parte dei grandi gruppi armatoriali che offrono servizi per tutte le destinazioni del mondo, sorge dalla necessità di servire mercati numericamente più piccoli, i cui volumi non giustificano uno scalo diretto della nave oceanica nei porti di destinazione finale o di partenza delle merci. Ciò anche in considerazione del fatto che per raggiungere determinati porti, sarebbe necessario allungare di molto le rotte.

Con lo sviluppo delle tecniche di trasporto e con la costruzioni di navi sempre più grandi, si è accentuata la necessità dell’utilizzo di un porto di transhipment, che consentisse la minima deviazione possibile per grandi navi e che abbracciasse più mercati possibili. Pertanto la convenienza di utilizzare porti di transhipment è molto aumentata.

Successivamente si è sviluppato anche un altro utilizzo del porto di transhipment, anch’esso molto importante. Infatti, sull’esempio di Maersk e Sealand ad Algesiras, dove si incrociano le rotte est-ovest e quelle nord-sud della stessa compagnia di navigazione, il porto di transhipment, oltre che per servire i mercati cosiddetti “minori”, viene utilizzato per trasbordare contenitori da nave madre a nave madre.

Ciò significa che un contenitore che trasporta merci prodotte in Italia che devono pervenire in Giappone, può essere imbarcato con una compagnia di navigazione che effettua un servizio dal Mediterraneo all’Estremo Oriente e viceversa, pur non toccando direttamente nessun porto giapponese, ma comunque scalando Gioia Tauro per servire il Mediterraneo Orientale; il contenitore viene trasbordato a Gioia Tauro su una nave della stessa compagnia, ad esempio di un servizio espresso Nord Europa-Giappone che scali anch’esso Gioia Tauro allo scopo principale di servire il Mediterraneo Orientale.

Come si vede l’intersecazione di due servizi oceanici in un unico hub port, permette di raggiungere i porti di destinazione più disparati mediante il trasbordo fra navi madre.

La connessione di servizi madre nello stesso hub è molto utilizzata tanto che circa il 30% dell’operatività di un porto di transhipment, è rappresentato da trasbordi fra navi.

Mentre per effettuare quest’ultimo tipo di operazioni l’hub port deve trovarsi il più possibile vicino alle rotte che effettuano le grandi navi per quanto riguarda invece l’operazione di trasbordo da neve madre a nave feeder è molto importante che l’hub sia situato in maniera ottimale per servire i porti cosiddetti “regionali”, da cui cioè sia facile, con una rete di feeder, servire più mercati possibile.

E’ chiaro pertanto che l’hub port scelto dai grandi gruppi armatoriali deve rispondere al miglior compromesso possibile tra questi due tipi di operatività.

Un'altra importante componente della scelta è l’opportunità di servire i cosiddetti traffici locali cioè i traffici che geograficamente trovano in quel porto il loro ottimale sfogo.

Per questo motivo il porto di Gioia Tauro viene utilizzato anche per merci che arrivano e partono da e per regioni limitrofe.

E’ chiaro che relativamente a quest’ultimo tipo di traffico, l’armatore non è gravato dei costi né di transhipment né di feeder.

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In questa ottica, dei tre porti di transhipment di Gioia Tauro, Taranto e Cagliari, sembra molto più avvantaggiato Taranto poiché è molto più vicino ad aree da cui partono e arrivano consistenti quantità di merci.

E’ anche chiaro però che l’armatore che lo utilizza deve sopportare costi di deviazione di rotta abbastanza superiori rispetto agli altri due terminal.

b) Evoluzione del sistema di feederaggio

Parallelamente allo sviluppo dei porti di transhipment nel Mediterraneo (soprattutto di quello di Gioa Tauro), vi è stato anche un notevole sviluppo dell’attività di feederaggio.

Non vi è dubbio che la maggior parte del carico che viene movimentato in un hub port riguardi il Mediterraneo Orientale. Una discreta parte riguarda i porti dell’Adriatico ed una minima parte i porti del Tirreno.

Ciò è dovuto al fatto che si sia verificato un enorme sviluppo dei traffici sia da e per il Far East, sia da e per gli USA, cioè i due mercati più importanti: conseguentemente i volumi riguardanti il Tirreno sono cresciuti in modo tale da giustificare servizi dedicati con navi oceaniche, da e per i maggiori porti del Tirreno: la Spezia, Genova, Fos, Barcellona, Valencia

E’ pertanto il Mediterraneo orientale il mercato verso il quel si è focalizzata l’attività dei feeder operator.

La pluralità di porti utilizzati per il transhipment nel Mediterraneo sicuramente non ha favorito l’operatività dei feeder operator; infatti attualmente vengono utilizzati i porti di Gioia Tauro, Malta, Pireo, Damietta, Port Said. Pertanto i volumi movimentati in questi hub sono divisi fra i porti sopradetti , e ciò ha ridotto di gran lunga la possibilità di grandi concentrazioni di volumi partenti da un unico porto verso la Grecia, la Turchia, l’Egitto, la Siria o il Libano.

Se pensiamo inoltre che i grandi gruppi armatoriali, che movimentano notevoli volumi di contenitori, spesso decidono di utilizzare propri feeder, è chiaro che l’attività dei common feeder risente molto di questa situazione, che è destinata a peggiorare ulteriormente con l’imminente apertura dei porti di Taranto di Cagliari.

L’attività di feederaggio pertanto attraversa un momento critico,ma ci si augura comunque che si possa stabilizzare nel medio periodo in virtù della continua crescita dei volumi che si prevede raddoppierà nei prossimi 10 anni.

Anche l’attività di Terminal Operator dovrebbe, tra non molto, incominciare a dare le giuste soddisfazioni alle imprese terminalistiche, in relazione agli sforzi e agli investimenti fatti fino a questo momento. Gli sforzi in realtà sono sempre più grandi, i terminal operator sono chiamati ad un continuo ammodernamento delle proprie attrezzature: tra breve infatti si dovrà provveder ad attrezzare i terminal con gru in grado di operare fino alla 22° fila. I pescaggi che i porti dovranno garantire non dovranno essere inferiori ai 15-16 metri etc..

A questo punto vorrei ricordare che gli investimenti necessari in un terminal contenitori sono enormi; ad esempio: ognuna delle gru che opera su una nave richiede, fra banchina e piazzale, investimenti non inferiori a 18-22 miliardi a seconda dei mezzi scelti dai terminalista.

Si devo aggiungere tutti gli altri investimenti fra cui non ultimo quello dell’ hardware e del software del sistema informatico.

E’ per questo motivo che chi parla da Bruxelles di tempi ridotti delle concessioni demaniali dovrebbe prima analizzare i tempi necessari per i vari piani di ammortamento per gli investimenti e

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poi proporre, a meno che non vi sia coscientemente il desiderio di scoraggiare l’attività del puro terminal operator.

c) La domanda e l’offerta di infrastrutture di transhipment

Nonostante un’ apparente attuale ridondanza di offerta delle infrastrutture di transhipment rispetto alla domanda, siamo convinti che tra breve si verificherà un equilibrio tra domanda e offerta, grazie soprattutto allo sviluppo dei traffici.

Sarebbe preoccupante il processo inverso e cioè se dovesse verificarsi un eccesso di domanda rispetto alla possibilità di offerta di strutture.

Sicuramente i porti italiani perderebbero l’opportunità, in considerazione del tempo che occorre che occorre nel nostro paese per progettare, costruire e preparare terminal portuali.

Vorrei per concludere, dire due parole sul rapporto del terminal di transhipment con il sistema logistico terrestre.

A mio avviso i porti di transhipment servono perfettamente i traffici in transhipment dedicati ai porti cosiddetti “regionali” così come servono perfe ttamente i trasbordi sull’intersecazione dei vari servizi oceanici e servono anche molto bene i cosiddetti traffici locali. Estendere questa funzione potenziando e investendo sulla rete ferroviaria per raggiungere mercati meglio serviti da altri porti anche importanti ipotizzando di percorrere lunghissime distanze con i convogli ferroviari è a mio avviso sicuramente sbagliato.

E’ con grande stupore che qualche anno fa appresi che ad esempio nel più grande porto del Nord Europa, Rotterdam, l’inoltro o la ricezione delle merci sbarcate o imbarcate avveniva, in termini di percentuale, nella seguente maniera: quasi il 60% dei totali volumi via chiatta, attraverso quindi fiumi e canali, il 28% via camion e il 12% via ferrovia.

Prima di tutto quindi sono state sfruttate le vie d’acqua, poi la strada e poi la ferrovia.

In Italia si vorrebbe apparentemente sconvolgere il senso delle cose, trasferendo via ferrovia dal Sud al Nord dell’Italia, se non addirittura al centro dell’Europa, volumi incredibili di merci, sfruttando una rete ferroviaria già precaria di per se stessa o costruendo tunnel e ponti nella nostra penisola, che non è proprio una lunga pianura.

Una delle pochissime ricchezze del nostro paese è il mare che lo circonda tutto ed è chiaro che la scelta del mare per unire il Sud con il Nord e viceversa è assolutamente prioritaria, più economica, non produce disagi, né ha bisogni di grandi investimenti.

Vorrei chiarire che questo non è un mio pensiero solo perché al momento attuale sono coinvolto nell’attività di un terminal di transhipment situato in un’isola: chi ha buona memoria ricorderà che questa era la mia opinione molto prima di intraprendere quest’ultima attività.

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PARTE SECONDA

IL PUNTO DI VISTA DEGLI OPERATORI DEI TRASPORTI E DELLA LOGISTICA

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GIUSEPPE PERASSO

Consigliere CNEL – Coordinatore

Vorrei dare il buon esempio parlando poco, perché per rendere produttiva la mattinata che ancora rimane sarebbe bene che tutti ci contenessimo nel limite massimo di 15 minuti, al fine di poter avere un quadro generale, disegnato da tutti quelli che interverranno.

Mi ha fatto piacere vedere la fotografia di Angelo Ravano, che conoscevo molto bene essendo io nato a Chiavari e lui a Lavagna. Questa fotografia mi ha fatto ricordare una cosa curiosa, e cioè che il problema delle dimensioni delle navi, che giustamente oggi preoccupa, fu la fortuna di Gioia Tauro nel senso che l’aumento, allora, delle dimensioni delle navi porta contenitori rese possibile l’utilizzo di quella cattedrale nel deserto che era Gioia Tauro. E mi ricordo che prima che fosse pubblica l’iniziativa, Angelo Ravano e Andrea Costa mi descrissero questo progetto in occasione del varo di una nave di Costa; essi mi fecero abbandonare la cerimonia, mi condussero in una cabina e dispiegarono le carte per illustrarmi questa intuizione geniale che avevano avuto.

Ma bando ai ricordi, sia pure belli, ma per certa parte un po’ tristi, per passare all’argomento. Noi adesso daremo la parola agli operatori dei trasporti e della logistica, Bussolo, Leonida e Nerli, ed io non voglio portar loro via del tempo, intrattenendomi sulla materia oggetto, oggi, del nostro convegno. Preferisco ricordare solo una cosa, approfittando del fatto che il professor Bologna nell’introduzione ha ricordato uno studio che il CNEL fece due anni fa e che ebbe un certo successo, sui flussi marittimi nel Mediterraneo.

Noi stiamo per far avviare – oggi alle 15 abbiamo una riunione come Commissione “Grandi Opere e Infrastrutture a Rete” del CNEL – una nuova indagine sui flussi marittimi, molto più capillare della precedente in quanto articolata per settori merceologici oltre che per tipologia di navi. Trovo molto singolare che si affrontino i problemi logistici, mentre nessuno ci dice che cosa arriva e che cosa parte dal nostro Paese, da dove viene la merce e dove va. Non parlo solo di container, ma anche di autostrade del mare (tema che riguarda prevalentemente i traghetti), di carbone, di petrolio, di granaglie, di legname, di marmo. Solo avendo un quadro generale dei flussi si può avere una visione globale delle necessità logistiche.

Tornando ai container e al presente convegno mi chiedo se questo sviluppo del transhipment al Sud possa poi riversarsi sul Nord Europa per via prevalentemente marittima (come in parte già oggi avviene), oltre che sulle direttrici ferroviarie. In che modo, in che misura, sarebbe poi da esaminare in maniera più approfondita, perché penso che da questo poi derivino anche le scelte di investimento nelle infrastrutture.

Noi speriamo di fare uno studio utile, perché almeno nel nostro settore non facciamo studi ripetitivi, non diciamo cose che altri hanno già detto, anzitutto perché pensiamo che siano noiose, e in secondo luogo che siano poco produttive. Sui flussi, con sorpresa abbiamo preso coscienza che non c’è un’analisi, perciò fotografarli in un certo momento è sicuramente utile; se poi vi saranno degli spostamenti, sarà nostra cura tenere aggiornata questa mappatura.

Ci tenevo a segnalare questa iniziativa perché siamo in sede CNEL, facciamo queste cose, ci fa piacere che si sappiamo ed avremo un po’ bisogno anche di voi, che siete molto esperti nella materia, per avere qualche suggerimento durante l’opera, per far sì che le ricerche servano e non siano soltanto studi destinati a rimanere chiuse nei cassetti.

Ho concluso questa breve parentesi che d’altra parte, data la sede in cui ci troviamo, mi è sembrata quasi doverosa, e pregherei di tornare alla materia più specifica di oggi il dottor Bussolo, Direttore della Divisione Cargo delle Ferrovie, che tanto fanno soffrire i nostri operatori marittimi.

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MAURIZIO BUSSOLO,

Direttore Divisione Cargo Trenitalia S.p.A.

Lo sviluppo dei traffici marittimi nel corso degli ultimi anni è stato particolarmente sostenuto e si è manifestato con particolare intensità nei porti del Mediterraneo che hanno progressivamente migliorato la loro quota di traffico rispetto ai porti del Nord Europa.

Distribuzione % del traffico container (Distribuzione % del traffico container (teuteu))

60,960,9

19,719,716,716,7 19,419,4

0

10

20

30

40

50

60

70

80

1994 1999

Nord EuropaNord EuropaNord Europa ItaliaItaliaItalia Altri portimediterranei

Altri portiAltri portimediterraneimediterranei

69,269,2

14,114,1

Noi siamo interessati allo sviluppo del traffico marittimo, la crescita della quota dei nostri porti è stata molto alta, in questi anni, essi hanno conquistato spazi e questo ci ha fatto piacere. Le previsioni di traffico sul Mediterraneo sono di 40 milioni di TEU al 2010

*Fonte : Società di consulenza Drewry

Previsioni di crescita nell'area del Mediterraneo*Previsioni di crescita nell'area del Mediterraneo*(milioni di teu)

22223030

4040

00

1010

2020

3030

4040

5050

6060

7070

20002000 20052005 20102010

Nella progettualità di Trenitalia la linea di rinforzare l’intermodalità mare-terra ha uno “spazio” di assoluto rilievo sia nella dimensione nazionale che internazionale.

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Uno spazio non solo teorico ma che ha già trovato positivi riscontri nella realtà del trasporto ferroviario nei porti.

Io vorrei, infatti, sottolineare con un certo orgoglio che noi siamo tra i primi in Europa a fare tanto traffico di contenitori via ferrovia. La ferrovia, infatti lavora, fa la sua parte, e la fa anche benino.

Relativamente infatti alle quote di traffico ferroviario nei diversi porti italiani ed europei, siamo superati soltanto dal porto di Brema, che detiene il record del 60% di traffico via ferrovia.

Quota ferroviaria su traffico portuale 1999 (container)Quota ferroviaria su traffico portuale 1999 (container)

60%60%

40%40%

33%33%

31%31%

23%23%

14%14%

10%10%

9 %9%

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70%

BremaBrema

TriesteTrieste

GenovaGenova

La SpeziaLa Spezia

LivornoLivorno

RotterdamRotterdam

LeLe HavreHavre

AnversaAnversa

Si tratta, però, di un porto che ha una particolare situazione logistica: ha infatti uno speciale raccordo con le ferrovie. Comunque bisogna riconoscere che sono molto bravi, per cui noi li studiamo con una certa attenzione, dal momento che c’è sempre da imparare. Se noi consideriamo i nostri porti, rileviamo che essi hanno delle quote molto elevate di trasporto ferroviario, molto più elevate degli altri. Rotterdam – si tratta di dati ufficiali – complessivamente non movimenta il 20, bensì il 14% di merci via ferrovia, e quindi ha la stessa percentuale di trasporto ferroviario che ha Trenitalia a Gioia Tauro (circa il 13%). Certo, non sul totale, perché i contenitori che vanno in Turchia o in Algeria, non si possono trasportare con il treno. Pertanto, prendiamo in considerazione solo quelli che entrano in Italia per feeder o per ferrovia. Quindi mi sembra una percentuale significativa! Per dare il senso dello sforzo che stanno compiendo le ferrovie, mi sembra importante ricordare che nel 2000 , sia in termini di tonnellate che di tonnellate/chilometro, rispetto agli ultimi 5 anni, e poi con il ’90, l’80 ed il ’70, Trenitalia ha realizzato il record storico. Infatti, mai le ferrovie italiane hanno trasportato tante merci come nel 2000: più di 90 milioni di tonnellate.

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TkTk(milioni)(milioni)

+ 4,5%

10.000

20.000

30.000

TOTALE 18.906 19.031 21.855 24.642 23.948 25.862 25.312 24.434 25.535

70 80 90 95 96 97 98 99 00

TonnellateTonnellate(migliaia)(migliaia)

40.000

60.000

80.000

100.000

TOTALE 63.362 60.665 69.745 82.789 79.630 86.019 87.001 85.410 90.382

70 80 9 0 95 96 97 9 8 99 00

+5 ,8%

Dentro questa crescita ha avuto un ruolo molto rilevante il traffico ferroviario portuale, che ha registrato una crescita di circa il 10%, con una forte crescita, perché rispetto alla media complessiva, che è stata da record storico, nei porti siamo andati ad una velocità doppia.

Questo ha sicuramente comportato un grosso impegno per Trenitalia, perché tutti i porti Italiani fanno tanti contenitori quanti ne fa il solo porto di Rotterdam.

Il mio collega olandese ha sicuramente i suoi problemi, però deve organizzare dei servizi per un solo porto, mentre noi dobbiamo servire 10 porti contemporaneamente, e questo è logisticamente più complicato. Pertanto, ritengo, che vadano evidenziati i risultati che abbiamo ottenuto nei porti.

Via ferrovia il traffico dei contenitori ha avuto questa crescita, dal ’90 al 2000, ed abbiamo raddoppiato la nostra presenza. Soprattutto dal ‘95 in poi la crescita è stata molto consistente.

Container trasportati dalla ferrovia nel periodo 1999/2000Container trasportati dalla ferrovia nel periodo 1999/2000((tonntonn/000)/000)

+ 101,3% + 101,3%

-

2.000

4.000

6.000

8.000

10.000

12.000

14.000

16.000

90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 2000

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È con orgoglio che io dico che il sistema Italia ha avuto un exploit consistente sui porti e noi abbiamo fatto la nostra parte, nel senso che con circa il 25% di quota dei contenitori trasportati in media su tutto il Paese, abbiamo dato un contributo fondamentale, anche a livello di minor impatto ambientale.

Penso, infatti, alle collocazioni urbanistiche dei nostri porti e credo che tutti abbiano chiaro che se non vi fossero state le ferrovie, da Genova, da Livorno, da Civitavecchia, da Trieste, con i camion sarebbe risultato difficile per chiunque portare fuori tanti contenitori, senza creare problemi ambientali e di congestione. Noi abbiamo fatto, nel 2000, più di 1 milione di TEU, e credo che l’aiuto delle ferrovie è stato indispensabile per sostenere lo sviluppo dei nostri porti .

Quanto alle percentuali di crescita del 2000 rispetto al 1999 nei diversi porti, i risultati più significativi li abbiamo ottenuti a Genova, con il 10 % e a Trieste, con il 12,5%. Di notevole importanza è l’incremento, del 53,8%, registrato a Gioia Tauro, dove nel 2000 abbiamo fatto 1.300 treni, contro gli 800 di due anni fa.

Nel 2001, sempre a Gioia Tauro faremo 2.400 treni.

Per incrementare l’offerta su Gioia Tauro abbiamo organizzato un nuovo servizio di trasporto di contenitori verso il Nord Italia e viceversa.

Il servizio è rivolto a quei clienti che non hanno da spedire una quantità di contenitori tale da riempire un intero treno.

Trenitalia mette, quindi, a loro disposizione gruppi di 3/5/10 o più carri, a seconda delle loro esigenze, assumendosi il rischio commerciale di far partire i treni anche se non sarà raggiunto il pieno carico.

Il cliente può decidere il numero di carri da acquistare con la formula “vuoto per pieno”, cioè pagherà i trasporti prenotati.

Questo servizio è per noi molto strategico, e non essendoci stato alcun operatore in grado di assumersi la responsabilità commerciale dell’intero treno, Trenitalia ha deciso di assumersi il rischio commerciale di fare il treno, in collaborazione con la società Sogemar del Gruppo Contship che ci assicura la prenotazione di circa la metà del treno. È la prima volta nella storia delle Ferrovie, che ci si assume il rischio commerciale, facendo comunque il treno.

Noi abbiamo deciso di effettuare quello che si chiama un investimento commerciale, e quindi ci aspettiamo un ritorno da questo investimento, come qualunque altro imprenditore. Secondo noi, questa è stata una decisione importante. Gioia Tauro avrà un supporto operativo da un investimento che Trenitalia sta facendo, ed è un investimento un po’ particolare, poiché non si tratta di costruire binari, di fare gallerie, ma di assumere un approccio imprenditoriale nuovo. Da questo nuovo approccio noi ci aspettiamo molto.

Si tratta, quindi, di treni che partiranno tutti i giorni, due giorni diretti a Milano, due giorni a Bologna e 1 giorno a Padova, sia in andata che in ritorno, con dei “transit time” molto interessanti: 26 ore su Milano, 20 ore su Bologna Interporto, e 24 ore su Padova Interporto, con uno scalo intermedio a Napoli Marcianise.

Quindi, rese competitive ma anche prezzi competitivi. Sull’aspetto dei prezzi devo fare una precisazione.

Io ho apprezzato molto la relazione del professor Bologna, però sul fatto che a livello europeo i porti del Nord Europa abbiano dei vantaggi sulle tariffe ferroviarie rispetto ai nostri porti,

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debbo dire che non sono d’accordo. Non sto dicendo questo per sostenere una linea di difesa delle Ferrovie, che in questo caso, poi, non sarebbero neppure quelle italiane, ma le francesi e tedesche, con le quali abbiamo un ottimo rapporto.

Non è così: i nostri porti sono avvantaggiati dal punto di vista delle tariffe, nel senso che le tariffe nazionali dei contenitori italiani sono più basse delle tariffe internazionali. Pertanto i nostri porti non sono svantaggiati dalle tariffe ferroviarie. Andare da Gioia Tauro a Padova la tariffa ferroviaria non è superiore rispetto a quella Rotterdam-Padova, anzi, le tariffe internazionali mediamente sono superiori. Quindi, il problema della competitività dei porti italiani non dobbiamo andare a cercarlo nella tariffa ferroviaria. Vi sono altri elementi che avvantaggiano molto di più un porto rispetto ad un altro, e credo di non dire una cosa nuova quando affermo che sono le “toccate” nei vari porti. Perché una nave va a Rotterdam e non si ferma a Gioia Tauro con i contenitori che debbono andare a Monaco? Trenitalia è già pronta per programmare dei treni su Monaco. Come abbiamo organizzato il servizio multiclienti per il nord Italia possiamo prevedere il proseguimento su Monaco e Francoforte. Il problema è che non arrivano a Gioia Tauro o a Genova contenitori destinati in Germania, ma solo al mercato italiano. Questo vuol dire che le navi che arrivano in Italia sono caricate con contenitori che vanno nell’Italia settentrionale.

I motivi sono diversi, potrebbe darsi che gli armatori non conoscano bene la potenzialità della ferrovia. Io mi sono recato in Corea, e a Singapore - e vi posso assicurare che ero il primo ferroviere europeo che vi si recava – per fornire spiegazioni sulle possibilità che si è in grado di offrire. Però esistono anche i problemi delle navi. Voi sapete che oggi ci sono dei contenitori che da Singapore a Rotterdam pagano meno del contenitore che da Singapore arriva a Gioia Tauro. Ciò vuol dire che vi sono dei problemi di carico delle navi, sicché una volta che uno ha deciso di fare una nave per Rotterdam, i noli risentono della necessità di riempire la nave. Noi dobbiamo allora convincere gli armatori che abbiamo una capacità superiore, più economica, più efficiente per servire il centro Europa dall’Italia, e dobbiamo andare insieme a spiegarlo loro.

C’è anche qualche cosa di più che può abbassare i costi che può andare verso l’interesse dell’armatore. Infatti, se sui 22 giorni complessivi di navigazione, la ferrovia fa risparmiare 8 giorni , vuol dire il 30 % di risparmio, ossia vuol dire che sulla flotta dedicata al Far East dell’Europa, su sei navi ne posso risparmiare due. È l’investimento dedicato che cambia: ho due navi in meno da dedicare, che posso dedicare ad altre rotte, oppure posso non fare l’investimento. È chiaro che il vantaggio è enorme.

Proprio per i successi che abbiamo ottenuto fino ad oggi, sono convinto che dovremmo valutare la possibilità di lavorare insieme e di andare, in modo collaborativo, a proporre questi nuovi servizi. E non sto parlando del 2020, sto parlando del secondo semestre del 2001.

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GIOVANNI LEONIDA

Presidente di Assologistica

Il mondo dei fornitori di logistica si sta dividendo in due: gli integratori, che offrono un servizio completo, ed i produttori di un segmento di attività, che sono subfornitori dei primi. Tutti proclamano di voler fare gli integratori, ma nei fatti non è sempre così; fra l'altro, anche l'integratore deve essere bravo. Forse non eccellente, ma bravo in tutti i segmenti del ciclo oltre che nella combinazione degli stessi.

Il subfornitore, opera tipicamente in condizioni di forte competizione, per cui deve essere bravo nel suo lavoro ed investire molto. Consideriamo il ciclo di un contenitore che parte dall’interno della Cina con dei televisori, che vanno a finire sul mercato di Milano o di Monaco. Vi intervengono ancora 17-18 attori, ognuno con la responsabilità di un segmento o del coordinamento di alcuni segmenti perché non ci sono ancora grossi integratori che guidano tutto il mercato mondiale. La cosa che sorprende di più, è che la redditività è più bassa laddove è maggiore l’investimento. Armatori e terminalisti portuali investono grandi capitali ma sono fortemente intercambiabili, vendono una commodity.

Che cosa stanno facendo i vari attori sul mercato? Quelli che sono già integratori cercano di estendersi, sia in copertura geografica che per completezza dei servizi. Gli operatori tradizionali cercano di diventare integratori, assumendo anche funzioni di spedizioniere. I terminalisti cercano di fare una rete mondiale, anche se l'economia di scala è limitata. Le Ferrovie europee potrebbero essere integratori, ma è difficile capirne la politica. Le compagnie di navigazione, salvo eccezioni, sono ferme o ambiscono ad integrarsi solo coi terminali. Gli spedizionieri stanno costruendo, attraverso acquisizioni ed alleanze, la rete mondiale per diventare integratori globali. Le Poste stanno espandendo delle loro attività, per diventare integratori, ma, partendo da un confortevole monopolio sono poco abituate a competere. I courier erano già mondializzati e stanno integrando altri servizi, come magazzini, lavorazione, distribuzione. Nel trasporto aereo, le compagnie che avevano deciso di andare direttamente sul cliente finale, offrendo il door to door e servizi logistici a valore aggiunto, stanno rapidamente facendo marcia indietro perché hanno perso la battaglia con gli spedizionieri. D'altra parte l'integrazione si gioca nei servizi a terra, dove loro sono molto deboli.

Quali sono le dimensioni della partita per un integratore? Oggi, il riferimento è Deutsche Post: 22 miliardi di Euro di fatturato, alla quale la borsa ha attribuito un valore pari al 110% del fatturato. Pochi anni fa aveva destato scalpore che le poste olandesi acquistassero TNT per 1,2 miliardi di Euro.... Se confrontiamo D. P. con i maggiori players o le maggiori compagnie (Lufthansa, British Airways, Evergreen, ecc.) si vede che la sua generazione di mezzi è tale che se li potrebbe comprare tutti. In sede politica, ci sarebbe molto da discutere, dal momento che queste posizioni sono state acquisite grazie al monopolio. Ma i dati sono questi.

Si va dicendo che i vettori marittimi si stanno integrando, ma non mi sembra facciano sul serio. Una delle poche compagnie a pubblicare la sua strategia è Evergreen: la potete vedere sul suo sito. Vuole avere la flotta la più competitiva possibile, di espandere la rete, di minimizzare i rischi, andare sulle merci che hanno rate alte, investire nei business correlati allo shipping, rinforzare lo shipping, controllare molto bene i costi. Più che un'aggressione al ciclo della logistica sembra una strategia molto riflessiva.

Stranamente, nella grande partita dell'integrazione, non ci sono casi significativi di acquisizioni o fusioni fra aziende di logistica a valore aggiunto e aziende trasporto a lunga distanza,

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di qualunque modalità. Sembrano due mondi del tutto estranei, che comunicano solo passandosi la merce.

D'altra parte, gli associati Assologistica, tradizionalmente integratori, non hanno generato abbastanza mezzi per un'espansione. Nella ricerca che stiamo conducendo con il Politecnico di Milano (professor Boscacci) sull'evoluzione del settore in Italia, le indicazioni sono contrastanti. Fondamentalmente vi erano quattro tipologie di operatori: gli integrati, gli operatori multiprodotto (ma con una funzionalità base, di solito il magazzino); gli operatori di nicchia, (come ad esempio gli stagionatori di formaggio) e gli operatori di filiera (per esempio quella alimentare). Oggi questo tutto il settore è in fermento: non solo tutti cercano di fare gli integratori logistici, ma tutti cercano di fare tutto, comprando oppure integrandosi con accordi ed alleanze.

Molti stanno uscendo dal mercato. L’operatore di nicchia tende ad essere comprato dal produttore specializzato (esempio: stagionatore di formaggio acquistato dal produttore). L’operatore tradizionale (fortemente attaccato da Poste, courier, spedizionieri) tende a vendere ad operatori stranieri, molto più grandi. Le aziende industriali, anziché scegliere operatori ad alto potenziale a farli crescere, hanno creato le proprie aziende di logistica (Zanussi con Distrilux, Benetton con Benlog, IBM con DST, ecc. fino ai casi recenti di Assopiastrelle con Assocargo, Barilla con Number 1 e così via). Un'anomalia tutta italiana, che ha contribuito non poco alla frammentazione del settore.

Anche i terminalisti marittimi non stanno vivendo giorni sereni, al di là dei dati positivi sui volumi. L'eccesso di competizione ha fatto scendere troppo velocemente il prezzo, anche se 10 dollari in meno di THC non portano più traffico. In compenso portano ad una scarsa generazione di mezzi per investimenti nel settore ed in settori collaterali. A questo si è aggiunto il forte rischio della nuova normativa europea, che li costringe a pensare solo al breve termine, frustrando all'origine le ambizioni di integrazione e la costruzione di distripark (che quelli del nord Europa hanno già fatto!). Per non parlare del livello del costo del lavoro, del contratto unico (molto oneroso) che ci è stato imposto, del fatto che fino a pochi giorni fa l'INAIL considerava tutti i dipendenti del terminal ad alto rischio (anche quelli che operavano solo in ufficio) e così via.

I terminalisti non hanno cercato molta integrazione con gli operatori di filiera. Con le ferrovie c’è un rapporto di odio-amore e più spesso vengono viste come concorrenti piuttosto che come alleate. Il transhipment resta fondamentalmente un fenomeno isolato, chiuso su se stesso, quasi fosse su un’isola, anche se viene fatto per terra. Ad esempio Gioia Tauro - con oltre 2,5 milioni di contenitori e linee di feederaggio su tutto il nord Africa, Medio Oriente e Mar Nero - potrebbe agevolmente fare stoccaggio e distribuzione per 350 milioni di consumatori (cioè tutto il Mediterraneo ad esclusione di Spagna, Francia ed Italia). Ma nessuno ha ancora investito.

Ma anche gli altri terminal contenitori italiani non hanno fatto di più: restano dei puri punti di transito verso l'interno, dove la merce viene stoccata, lavorata e distribuita. Vale a dire che svolgono la parte più povera ed a più alta intensità di capitale di tutta la filiera. Genova è emblematica: continua a parlare di fare logistica, ma non mette a disposizione territorio e si limita a chiedere a gran voce un miglioramento dei collegamenti con la pianura padana.

Chi ha fatto i distripark si è creato le condizioni per essere integratore, per possedere un nodo completo di tutti i servizi, per essere molto competitivo eseguendo la distribuzione (per piccole partite) sia via terra che via mare. Perché i porti sono già, per loro natura, un nodo di traffico fortemente collegato (anche per ferrovia) con tutti i maggiori centri di produzione e di consumo; quindi il posto ideale per fare logistica a valore aggiunto.

Non è cha la logistica interna si poi molto efficiente. La mancanza di pianificazione degli impianti per le merci porta spesso a situazioni del tutto irrazionali. Ho già presentato alcuni anni fa,

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proprio in questa sede, un caso emblematico, vissuto in prima persona. Facevo arrivare dei giocattoli in contenitori via Genova e li portavo per ferrovia a Rho, intasando la già critica cinta ferroviaria di Milano; su camion li portavo a S. Giuliano Milanese intasando la tangenziale ovest; li stoccavo; preparavo gli ordini e tornavo ad intasare le tangenziali in distribuzione perché il mio più grosso cliente era a Cusago (vicino a Rho!) ed il secondo a Levate, vicino a Bergamo. Mi sentivo un criminale, ma non avevo altra soluzione. Non è che a Roma andasse meglio, dal momento che facevo arrivare casse mobili a Pomezia, le portavo a Bagni di Tivoli e così via...

E' difficile fare logistica integrata con strutture... disintegrate. Inutile essere bravi nel porto e nel magazzino; se la catena logistica complessiva è del tipo detto prima non ci può essere competitività: le nostre merci in export sono penalizzate, paghiamo di più quelle in import e non esportiamo logistica, anzi la importiamo. Un ruolo chiave deve essere giocato dalle Ferrovie. Io, come tanti operatori, sono diffidente perché non ne capisco la strategia. Non sto muovendo accuse, ma le ho sempre viste condividere poco le loro strategie, in bilico fra il voler diventare un integratore ed essere un bravo operatore monomodale; le ho viste cercare più competizione che integrazione lungo la filiera; le ho viste un medio operatore in cerca di vocazione in un mondo dove sono già nati i giganti.

Gli spedizionieri italiani sono stati messi in ginocchio dall'abolizione delle barriere doganali del '93; al momento di giocare la partita dell'integrazione avevano il fiato corto e molti hanno preferito vendere. Situazione analoga per i corrieri, poveri di risorse per effetto di un mercato molto competitivo.

Le Poste Italiane sono un mistero. Dopo un avvio brillante di acquisizione nel mondo dei corrieri (purtroppo con mezzi pubblici, per cui noi privati che competiamo abbiamo delle difficoltà) sembrano essere ritornate a riflettere sul fatto di fare banca. Si parla di grosse alleanze con un courier per coprire il mondo nei piccoli pacchi, anche se la segmentazione prezzo fra courier e posta è estremamente diversa. Si parla di alleanze con altre Poste, ma non si vedono fatti concreti; sicuramente anche in loro c’è una forte tendenza antistorica ad autoprodurre tutti i servizi. Hanno disdetto il contratto con le Ferrovie, vogliono farsi una società di trasporto stradale e forse anche una compagnia aerea. Purtroppo non cercano minimamente l’integrazione con gli altri attori della filiera e al loro interno non hanno competenza di logistica integrata

Riassumendo, la situazione non è rosea. Abbiamo una posizione geografica unica in Europa, ma non la sfruttiamo. Abbiamo rilanciato i porti, ma bisogna anche cercare di dare un ruolo ai singoli porti e, soprattutto, costruire dei distripark. La finanza italiana non investe in logistica e gli operatori del settore stanno spesso cedendo a stranieri. Ben vengano i capitali esteri, ma dobbiamo dal loro delle condizioni operative accettabili, in linea col resto del mondo sviluppato. Non sono abituati alle nostre manfrine: all'estero una licenza edilizia per un capannone si ottiene in 1-2 settimane. Se uno decide di costruire un impianto di logistica lo vuole aprire in 10 mesi; 12 sono visti come un tempo molto lungo. Non abbiamo scelta: dobbiamo scegliere alcuni nodi portuali ad alto potenziale ed iniziare a costruire i distripark. pochi, nei porti giusti, che hanno già traffico. Poi la logistica a valore aggiunto verrà da sola, con tutti i grandi players europei alla ricerca di uno spazio.

Certamente dobbiamo mettere ordine in altre cose. La normativa portuale è eccessiva: non c’è un posto più normato del porto - per contrasto col il mare, con tutta la sua libertà - e nonostante questo ci sono forti incertezze. Aumentate dalla recente normativa europea, derivata da quella aeroportuale senza tener conto che il terminalista aeroportuale usa mezzi molto più facili da spostare delle gru di banchina.

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Il contratto di lavoro dei porti è estremamente oneroso e ci è stato imposto semplicemente perché non possiamo accettare scioperi. Qualcuno ha affermato che “vi abbiamo lasciati crescere, adesso mietiamo”. Non è così che si costruisce la logistica a valore aggiunto.

Bisogna mettere mano alle dogane: abbiamo impiegato quattro anni di battaglie per avere magazzini in sospensione IVA, che gli altri hanno avuto d’ufficio il 1° gennaio 1993. Oggi abbiamo ancora le dogane chiuse per il 68% del tempo in porto ed aeroporto, che lavorano per definizione a ciclo continuo, 24 ore per 365 giorni.

Ho lasciato dopo le infrastrutture perché ne parlano tutti. Non basta investire sulle ferrovie; bisogna lavorare per l’integrazione, e quindi sui nodi del sistema logistico. Gli interporti sono stati una grande intuizione, anche se spesso mal realizzata, ma sono passati 30 anni dalla loro concezione. Occorre costruire centri distributivi e piattaforme per la logistica urbana, dove si passa direttamente dal treno al furgone e viceversa.

Bisogna investire molto sulla scuola. In Italia, la logistica - nelle aziende industriali, commerciali e di servizi - assorbe il 20 per cento dei neo-diplomati, ma non abbiamo una scuola media superiore dei trasporti e logistica. I fondi sociali disponibili sono usati non per una specializzazione dei diplomati ma per riconvertire geometri, ragionieri e periti in pseudo- logistici. E' vergognoso che una scuola auto-referente condanni tanti ragazzi alla disoccupazione o sotto-occupazione mentre le aziende non trovano quadri intermedi.

Il Piano generale dei trasporti è appena stato approvato, ma bisogna ricominciare a mettervi mano. La parte dedicata alla logistica ed alla integrazione è poco più di una bozza. Inoltre lo e-commerce sta cambiando molto, fa ripensare la rete fisica ai produttori ed ai distributori, crea nuove esigenze e quindi nuove opportunità. Col PGT abbiamo messo un po’ di ordine in casa e costruito una base sulla quale lavorare, anche per la logistica. Adesso bisogna approfondire tutti gli argomenti e non solo quello delle infrastrutture.

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FRANCESCO NERLI

Presidente di Assoporti

Io vorrei rispondere ai quesiti che sono stati posti prima dal Presidente Larizza e poi dal professor Bologna. Ritengo però utile una breve precisazione, pur non volendo andare fuori tema, con riferimento alle parole pronunciate dall’Avv. Perasso, presentando questa seconda parte del convegno.

Discuteremo quindi di container, ma siccome si parla di logistica, di porti, di strutture, di strade, di ferrovie e di integrazione, credo che non si debba mai dimenticare che di tutte le merci movimentate nei porti italiani più della metà non sono containerizzate. Se non teniamo presente questo si ha una visione distorta e parziale della portualità italiana e si rischia di non capire perché si agisce in un determinato modo in un porto, in un range, in un sistema.

Evidentemente, peraltro, come è già stato fatto presente da tempo il mondo italiano dello shipping non è estraneo alla movimentazione internazionale dei container, ed a questo segmento del traffico si collegano anche altre tipologie di traffici e altre tematiche, quali ad esempio lo sviluppo delle cosiddette “autostrade del mare”.

Chiusa questa parentesi, vorrei tornare al tema dell’incontro.

La discussione è molto stimolante, meriterebbe di entrare nel merito di molte osservazioni e di alcune provocazioni che il dibattito sempre produce, perché siamo in una fase, io credo, di “confusione da crescita”.

Il Presidente Larizza chiedeva come ci stiamo preparando; io credo sia più giusto chiederci: come dobbiamo continuare?

I problemi che oggi sono stati rappresentati anche da parte degli operatori terminalisti, si collocano infatti dentro una crescita, ininterrotta ormai da 4-5 anni, dei porti italiani e delle imprese che vi operano. Porti ed imprese in questo breve lasso di tempo hanno fatto segnare un trend di crescita forte, anche maggiore rispetto agli altri porti del Mediterraneo, e hanno segnato una performance che – è vero quello che diceva il professor Bologna – ha consentito addirittura di sottrarre quote di traffico ai porti del range Nord Europeo. Ma (ed è anche vero questo), una crescita dei porti del Mediterraneo e di quelli italiani nei confronti dei Nord Europa è avvenuta già prima del consolidamento e dell’insediamento delle grandi compagnie internazionali nei porti italiani, o comunque durante. Non c’era ancora una presenza definitiva di PSA; di Evergreen; di altri, ma la crescita era già iniziata.

Nel tentativo di darci delle risposte sulle azioni da adottare per il futuro è però opportuno tenere presente diversi elementi. Primi tra tutti il contesto comunitario ed il quadro di riferimento del Piano generale dei trasporti. E’ all’interno di questi riferimenti che dobbiamo muoverci anche per valutare problemi di costo, sicuramente rilevanti.

Anzitutto in materia di costi, io andrei molto cauto in affermazioni un po’ apocalittiche, come quelle che ho ascoltato in qualche intervento. Se è vero che a Malta, che comunque è un Paese che non opera secondo le regole della concorrenza della Comunità Europea, determinati servizi possono costare meno, è anche vero che mentre Malta perdeva traffico, Gioia Tauro è cresciuta. Quindi non è solo dai costi (pur importanti) che possono derivare problemi per Gioia Tauro. Malta fa proposte interessanti ad operatori internazionali. Recentemente ha proposto a Cosco, se va a Malta, per sei mesi, servizi portuali e servizi tecnico-nautici a zero lire. È chiaro, lo può fare, mentre un porto italiano non lo può fare, ma nonostante ciò, in questi anni Malta è scesa e Gioia Tauro è

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cresciuta. Allora, bisogna fare attenzione quando si affrontano i problemi, perché non tutto dipende da questo.

Come ci stiamo preparando, come dobbiamo proseguire? Il riferimento come detto ritengo sia il Piano Generale dei Trasporti che ha già al suo interno proposte e indicazioni di misure. Io – lo guardo dal versante dell’Associazione che rappresento, quindi dei porti, delle risposte che devono dare le Autorità portuali – credo dobbiamo:

?? proseguire con molta più convinzione l’opera di infrastrutturazione dei porti. Il Ministro Bersani si appresta ad emanare il decreto di ripartizione dei fondi previsti dalla finanziaria fino al 2003, con una logica più integrata che risponde già al Piano generale dei trasporti e della logistica;

?? dare attuazione alla delega che il Parlamento ha conferito al Governo, alla fine dello scorso mese di novembre, per quanto riguarda l’autonomia finanziaria delle Autorità portuali.

Ritengo questi i due assi attorno ai quali ruota la possibilità di far svolgere un ruolo al pubblico che, come dicevano sia il Presidente Larizza che il professor Bologna, è ancora indispensabile. Non è infatti pensabile – ce lo dice la cronaca, ce lo dicono i dati economici – che tutto ciò di cui c’è bisogno a livello di reti e di intermodalità, possa essere fatto da privati.

In proposito è anzi utile una riflessione sul ruolo, in questi anni, delle grandi compagnie (ho ascoltato con molta attenzione quanto è stato detto dalla dottoressa Battistello). Non sono stati certo maggioritari gli investimenti privati; il rapporto tra investimenti pubblici ed investimenti privati in questa crescita è ancora tutto sbilanciato verso il pubblico.

Conseguentemente noi abbiamo, in questa fase di crescita, un problema che dobbiamo risolvere: non si può pensare di chiedere al pubblico di continuare ad investire alcune migliaia di miliardi, mentre il privato decide, al di fuori di ogni confronto, se andarsene, se venire, quando andarsene e quando venire. Qualcuno potrà domandarsi se per caso intendo mettere un freno alla scelta delle compagnie su dove scalare. Non ci penso affatto! Ma è del tutto evidente che è indispensabile individuare un metodo di concertazione e di confronto, perché se s’investono centinaia di miliardi pubblici per facilitare l’insediamento di una grande compagnia internazionale in un porto; creare le condizioni; le strutture; le infrastrutture e le connessioni alla rete, non può essere che il giorno dopo, siccome qualcuno installa un deposito costiero, quella compagnia decide di andarsene. Mi pare un po’ troppo.

Se si presenterà il problema, se ne discuterà, però mi pare francamente complicato prevedere un modello per cui una parte investe e l’altra parte decide, indipendentemente da qualsiasi sinergia.

Dico questo anche alla luce del c.d. “Pacchetto porti” che è stato pubblicato da qualche giorno dall’U.E. Questo documento, così come il Libro Verde ed il Libro Bianco apriranno una stagione di serrato dibattito. Vorremmo che questa volta gli operatori privati fossero un po’ più insieme a noi a condurre un confronto con l’U.E., e non solo a fare in un secondo tempo i ricorsi. In quel Pacchetto infatti, nel testo della proposta attuale, le previsioni che si fanno sulle forme di rilascio e sulla durata delle concessioni potrebbero rendere impossibile anche ogni tipo di programmazione. A maggior ragione riteniamo quindi utile una sinergica azione al fine di apportare modifiche necessarie per non penalizzare la portualità nazionale.

Dico queste cose, partendo dal fatto che noi abbiamo aperto, con la legge di riforma del ’94, una profonda liberalizzazione dei mercati, che non va assolutamente intaccata e sulla quale non possiamo far gravare nuove forme di monopoli di servizi. Io questo l’ho chiarissimo, e non può esservi nessuna marcia indietro, ma rispetto alle tuttora esistenti esigenze di investimenti pubblici

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dobbiamo trovare lo strumento che, una volta trovato il punto d’intesa, lo mantiene nel tempo per una sua incidenza reale, obiettiva, in un contesto concorrenziale mondiale che difficilmente guidabile solo dalle comunità locali. Si è infatti aperto un dibattito sul tema se i porti debbano essere gestiti dai Comuni o dalle Province. In proposito ho qualche dubbio credo legittimo, che i porti possano rispondere al mercato globale con un modello municipale.

In una logica di rete e di confronto dialettico tra soggetti autoritativi al fine di mettere a punto una strategia di promozione di un vero sistema di trasporto globale che vada oltre il singolo porto o la singola funzione non posso neanche pensare che siano le singole compagnie a scegliere, senza nessun vincolo di sistema. Non parlo, ripeto, di vincoli operativi; non di impossibilità di scegliere dove scalare, perché la merce va dove vuole il padrone della merce. Ma l’idea di creare un sistema non entizzato, non grandi autorità portuali, è un’idea che c’è nel Piano generale dei trasporti e della logistica e noi dobbiamo farla maturare ancora di più, perché può essere un elemento che corrobora una strategia di programmazione che non sia la pianificazione che impone nulla a nessuno.

Io proporrò nelle prossime settimane a Salerno, a Gioia Tauro, a Taranto, a Brindisi di pensare ad un’offerta globale di infrastrutture, di rete, perché il gap infrastrutturale che il Mezzogiorno ha – lo diceva prima il Prof. Bologna – possa essere superato, e ciò è possibile se c’è un’idea di network che viene offerta. Non parlo di grande autorità portuale, di un neo-centralismo di tipo regionale o interregionale, ma parlo di network che possa offrire punti di riferimento di infrastrutture materiali e immateriali.

Come ci prepariamo, si domandava il Presidente Larizza. Continuiamo ad investire sui porti, bisogna continuare ad investire. C’è un punto che nella discussione con Sviluppo Italia, che ha avuto il compito per conto del Governo di proporre criteri per la realizzazione delle autostrade del mare, noi abbiamo chiesto venisse inserito, ed è stato accolto dal Ministro Bersani: che le Autorità portuali possano avere risorse anche per acquisire aree ai porti. Qui c’è una grande battaglia politica, ma anche culturale, di intesa fra Governo e grandi città. Nel momento in cui si restituiscono le parti storiche dei porti alle città, c’è bisogno di uno scambio di aree, altrimenti quelle piazze logistiche che si devono costruire non nasceranno mai.

Questa è una delle questioni che possono essere affrontate con una grande strategia nazionale. Penso alle città portuali che hanno depositi costieri nati negli anni ’50, ’60 e ’70, che occludono queste opportunità. Anche qui non si tratta di cacciare chi ha il deposito costiero, ma si tratta di fare piani di delocalizzazione nei grandi nodi portuali italiani, coinvolgendo pubblico e privato in questi investimenti. Se davvero vogliamo affrontare il problema degli spazi retro-portuali per l’insieme della crescita del sistema logistico, questo è un altro punto al quale non possiamo sottrarci, e vale sicuramente anche per quanto riguarda i piazzali ed i nodi ferroviari - portuali.

C’è una novità: noi un anno fa abbiamo stipulato, come Assoporti, con il Governo e con le Ferrovie un accordo che ha bisogno, per essere operativo, che l’autonomia finanziaria delle autorità portuali divenga effettiva , altrimenti non ci sono le risorse economiche per attuarlo: i sedimi ferroviari non sono più delle Ferrovie, investono le autorità portuali; non parleremo più di atti di concessione alle Ferrovie, ma di autorizzazioni all’impresa ferroviaria, chiunque essa sia.

Quindi, nel solco della direttiva D’Alema, che recepisce la direttiva comunitaria, nel solco della direttiva del Ministero dei Trasporti sulle Ferrovie, che sono profondamente cambiate, io credo si possa pensare a soggetti con compiti diversi, ma con un unico obiettivo: il supporto logistico multimodale. Con questo obiettivo, in aree vaste – in questo momento penso all’area campana con quella calabrese e pugliese, per fare un esempio – si possono vedere protagonisti le Ferrovie; le autorità portuali; i soggetti privati, che trasformano le vecchie società delle manovre

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ferroviarie in imprese ferroviarie, con elementi di rischio. Le leggi lo consentono, lo consentono le Autorità portuali; il privato può essere interessato a sperimentarlo, credo che questo nei prossimi mesi potrebbe essere uno degli elementi di approfondimento, di ricerca e di costruzione.

L’ultimo aspetto è la questione delle tasse portuali cui, di passaggio, ho accennato indirettamente. C’è una legge delega per il riordino, ed io spero che si faccia in tempo, prima della fine della legislatura almeno, ad avviare una parte di questo riordino. Ma facciamo attenzione. Premesso che in tutti i porti d’Europa le navi pagano le tasse – va detto, perché altrimenti sembra che si paghino solo in Italia – nella prima stesura della bozza del Piano generale dei trasporti e della logistica venivano accusate le Autorità portuali di riscuotere poco per tasse e per canoni. Nei porti del Nord Europa non riscuotono di meno, non si spende di meno, forse si spenderà meglio; la vera anomalia è che questi che sono costi per gli utenti, dalle altre parti, attraverso gli enti di gestione dei porti, ritornano ai porti per il miglioramento dei servizi e per lo sviluppo della logistica. Da noi avviene altrimenti: vanno al Tesoro. Ecco perché io insisto, non si tratta di ingrassare le Autorità portuali, che sono enti pubblici non economici vigilati, ma se una parte della ricchezza prodotta ha un ritorno, inevitabilmente una politica anche sui costi dei canoni e delle tariffe sarà più responsabile e non astratta, concretamente finalizzabile ad una politica di integrazione, di sviluppo e di promozione nei confronti anche degli operatori privati.

Credo che questi elementi di riferimento siano indispensabili, e che non possano trovare un freno. Quando, 4-5 anni fa, come Assoporti si pose questo problema, qualcuno rispondeva che i porti italiani sono anche troppo infrastrutturati. Per fortuna si è capito rapidamente che non è così. Il percorso è avviato; ora non deve conoscere interruzioni. Può essere l’elemento che consolida quella sinergia con gli operatori, che serve sia a dare nuove certezze ai terminalisti e agli operatori della logistica, sia a candidarci ad essere quello che possiamo essere nel Mediterraneo: piattaforma che coglie anche per il Nord Europa (non contro) la crescita che viene dal Maghreb, dal Nord Africa, oltre che dal Far East e dall’Atlantico. Grazie.

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INTERVENTI

LUIGI PERISSICH

Direttore Generale della Confederazione Italiana Armatori

Premessa

Negli ultimi anni il contesto geopolitico e socioeconomico nel quale si colloca il nostro paese, ha subito una serie di cambiamenti rapidi e significativi che hanno reso indispensabile un adeguamento del Sistema Italia.

Ciò che emerge con chiarezza è la necessità che le politiche nazionali si inseriscano e si coordinino nel più ampio contesto europeo e si confrontino con il progressivo affermarsi della globalizzazione dei mercati.

Tutto questo è particolarmente vero e necessario per le politiche dei trasporti ed in particolare del trasporto delle merci in container, dove sono oggi caricati i prodotti semilavorati e finiti a più alto valore aggiunto.

Trasporto e logistica sono oramai riconosciuti come fattori critici di successo: le aziende si insediano privilegiando aree servite da un sistema logistico efficiente.

Purtroppo, il nostro sistema-paese si è presentato a queste sfide con un forte ritardo infrastrutturale e normativo. Il considerare il potenziamento dei trasporti come un problema sostanzialmente di infrastrutture non ha creato i presupposti per lo sviluppo dimensionale e qualitativo delle imprese di trasporto italiane, né ha rafforzato sufficientemente le infrastrutture stesse a causa dell’eccessiva burocratizzazione dei processi decisionali e dell’opposizione delle realtà locali con lo slogan not in my back yard – (non nel mio giardino). Devo dare però atto che alcuni passi avanti sono stati fatti, ad esempio nella navigazione internazionale con l’istituzione del Registro Internazionale, nella portualità, dove gli investimenti sono stati effettuati soprattutto in infrastrutture e dove vi sono segni di ripresa e di recupero rispetto ai concorrenti nord europei.

Anche dal punto di vista della liberalizzazione del mercato, la situazione negli ultimi anni si è evoluta: sul fronte delle liberalizzazioni e privatizzazioni sono stati fatti dei passi avanti, ma troppe sono ancora le resistenze al cambiamento, troppi i monopoli e le rendite di posizione che rallentano il recupero di competitività del nostro sistema dei trasporti a danno delle imprese di trasporto e dell’utenza.

Le importanti iniziative promosse da questa legislatura per il trasporto marittimo hanno registrato purtroppo una battuta d’arresto preoccupante proprio con la Legge Finanziaria 2001-2003, che con la sua impostazione ha sottratto ai trasporti quei fondi di parte corrente fondamentali per completare gli interventi di avvicinamento delle condizioni operative della flotta italiana ai concorrenti europei.

Interventi necessari non solo per rafforzare le imprese armatoriali, ma anche per permettere al trasporto marittimo di svolgere al meglio il suo ruolo strategico di servizio, sia sulle rotte internazionali sia su quelle di cabotaggio e short sea shipping (o autostrade del mare). Una maggiore competitività del trasporto marittimo contribuisce alla competitività di tutto il sistema dei trasporti.

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Ruolo del sistema Italia come piattaforma logistica europea

La forte dipendenza dai mercati esteri dell’industria di trasformazione italiana, fa sì che la

navigazione marittima risulti di gran lunga il sistema di trasporto prevalente per le importazioni e le esportazioni del nostro paese.

Anche se il convegno odierno si focalizza sul container, voglio ricordare che circa l’80% delle merci è costituito da prodotti che giungono o partono alla rinfusa e che seguono una catena logistica particolare con problemi specifici. Si tratta di prodotti assolutamente vitali per la nostra economia, come ad esempio i prodotti energetici e chimici, senza i quali si fermerebbe letteralmente il Paese. Il container è invece strategico per le merci semilavorate o finite a più alto valore aggiunto. L’importanza di questo traffico è fondamentale quindi per un Paese avanzato come il nostro. La forte crescita dell’armamento in questo settore, con navi sempre più grandi ed efficienti, permette alla economia nazionale di esprimere a pieno le sue potenzialità attraverso un trasporto sicuro, ambientalmente sostenibile e a basso costo. Basti pensare che nelle tratte transoceaniche il costo del trasporto non rappresenta che il 2% del prezzo del prodotto finito.

La conformazione naturale del nostro Paese e la sua collocazione geografica assegnano inoltre opportunità particolari all’Italia come piattaforma logistica tra Europa e Mediterraneo, opportunità utile per il nostro Meridione, che acquista così una posizione di centralità e non di periferia rispetto ai grandi flussi internazionali delle merci.

Questa vantaggiosa posizione geografica, però, non basta per qualificarsi come piattaforma logistica europea: bisogna altresì porsi in grado di rispondere concretamente alle esigenze e alle urgenze del trasporto europeo.

Solo così si potranno sfruttare le opportunità di crescita che derivano al Mediterraneo dalla sua rinnovata centralità sulle grandi direttrici marittime internazionali est-ovest e dalla crescita interna degli scambi tra le sponde nord e sud.

Negli ultimi anni, i traffici marittimi con le altre aree mondiali che hanno avuto origine o destinazione nel Mediterraneo sono risultati superiori a 500 milioni di tonnellate. Se si includono anche i traffici tra i paesi del Mediterraneo, si superano 700 milioni di tonnellate, pari al 15% del traffico marittimo mondiale. La previsione è di un aumento medio annuo del 4,12% almeno fino al 2004.

Necessità di un approccio integrato sotto il profilo ambientale e sociale

Negli ultimi tempi le iniziative politiche, internazionali ed europee si sono focalizzate sulla sicurezza della navigazione.

Confitarma è favorevole a queste politiche che in sostanza promuovono l’utilizzo di naviglio di qualità e l’eliminazione della concorrenza sleale del naviglio sub-standard. Sono iniziative importanti, ma non devono far perdere di vista l’obiettivo strategico di utilizzare il più possibile il mare per diminuire la congestione delle modalità terrestri. Non dobbiamo dimenticare infatti che il trasporto marittimo è la modalità ambientalmente più sostenibile, come dimostrano gli studi di Amici della Terra e di Infras/IVV, e in quanto tale in cima alle priorità della Commissione europea e del PGTL per ridurre la congestione, gli incidenti stradali e le emissioni di CO2.

Siamo però fermamente contrari ad iniziative locali, che non riteniamo riescano ad ottenere vantaggi ambientali importanti, in quanto non si adatterebbero alla struttura del trasporto marittimo

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internazionale e globale né risolverebbero i problemi ambientali, considerato che l’inquinamento non rispetta i confini locali e nazionali. Iniziative di questo tipo quindi non solo non potrebbero evitare i danni provocati da incidenti che si verifichino fuori dalle acque territoriali, ma certamente danneggerebbero l’ economia dei porti nazionali e del nostro Paese, favorendo lo spostamento di importanti traffici verso scali non italiani, con aumenti di costo insostenibili per le imprese utenti del trasporto marittimo. A tale proposito, mi rivolgo al Ministro Bersani, raccomandandogli caldamente di proseguire nella sua azione politica volta a promuovere le iniziative a livello europeo e internazionale. E’ pertanto fondamentale, parallelamente alle lodevoli iniziative di ulteriore miglioramento della performance ambientale del trasporto marittimo, proseguire sulla strada di rendere il sistema marittimo portuale sempre più competitivo. Non a caso la commissaria europea De Palacio ha annunciato ieri che la Commissione sta effettuando uno studio di valutazione degli effetti positivi della tonnage-tax per favorire l’adozione di questo strumento in tutti i Paesi dell’Unione, e ha presentato una proposta di direttiva sulla liberalizzazione dei servizi portuali.

Sistemi produttivi e crisi del trasporto terrestre

Sulla base dell’esperienza del decennio appena concluso, si può stimare una crescita annua della domanda di trasporto tra il 5% e il 7%; questo senza tener conto del traffico internazionale.

Questa crescente spinta dovuta alla globalizzazione, all’allargamento verso est, allo sviluppo della new economy deve però fare i conti con pressioni ambientalistiche e dell’opinione pubblica sempre più forti, nonché con gli impegni presi nel rispetto degli obiettivi di Kyoto. Il nuovo Piano Generale dei Trasporti e della Logistica, approvato dal Consiglio dei Ministri di venerdì 2 marzo ha indicato tra le sue priorità il riequilibrio e l’integrazione modale, riconoscendo il ruolo particolarmente importante del trasporto marittimo e fluviale. Dei 214 mila miliardi da spendere in 10 anni, però, solo 6.000 miliardi sono stati previsti per i porti, a fronte dei 120 mila per le ferrovie e 60 mila per le strade.

Nulla poi è previsto per le imprese di navigazione, le quali assicurano il collegamento tra i porti nazionali e tra questi e quelli europei ed internazionali.

Di interventi sui porti ci sarebbe un gran bisogno, se è vero che gli spazi destinati alla movimentazione di container sono particolarmente esigui nelle nostre realtà portuali, confrontate con quanto avviene all’estero ed in particolare nei porti del Nord Europa.

Basti pensare alla lunghezza delle banchine dedicate ai container, che è di oltre 5.200 metri a Rotterdam, a Brema, a Le Havre; di 4.500 metri ad Amburgo, di 3.200 metri ad Anversa. Mentre raggiunge solo a Gioia Tauro i 3.100 metri, ma non supera i 1.800 metri a Genova, i 1.000 metri a La Spezia, i 900 metri a Ravenna, i 600 metri a Livorno.

La differenza con i porti del Nord Europa è ancor più eclatante se si confrontano le aree destinate al traffico di container.

A Brema la superficie è di quasi 2.700.000 mq, a Rotterdam di 2.500.000 mq, ad Amburgo di 2.300.000 mq, ad Anversa di quasi 1.700.000 mq.

Per contro, la superficie disponibile nei porti italiani è molto più esigua: a Genova 574.000 mq, a Ravenna 280.000 mq, a Trieste 270.000 mq, e così via. Solo a Gioia Tauro abbiamo una superficie di oltre 950.000 mq, ma il suo confronto con quanto avviene in Nord Europa ne sottolineano la natura di porto di transhipment, con scarsi legami con il retroterra.

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Oltre a ciò, anello particolarmente debole della catena trasportistica sono i collegamenti ferroviari nelle aree portuali, spesso inesistenti ovvero inadeguati alle caratteristiche dei container delle ultime generazioni (limiti di sagoma dei tracciati ferroviari, carri ferroviari ribassati).

Quali sono i problemi di politica industriale del trasporto marittimo?

Se si vuole risolvere le questioni che rendono il trasporto marittimo italiano ancora inadeguato, bisogna affrontare con decisione questi problemi:

a) disparità di condizioni operative con i concorrenti europei, soprattutto per il settore cabotiero;

b) costo del lavoro: è un problema che riguarda in particolare la navigazione in cabotaggio per la quale gli sgravi contributivi hanno una portata parziale e limitata al 2001;

c) regime fiscale: l’Italia è in ritardo nell’adozione di una normativa fiscale che ricalchi le linee della cosiddetta tonnage-tax, ossia lo strumento di tassazione forfettaria sul tonnellaggio delle navi, già introdotta in Norvegia, Olanda, Germania, Grecia e Gran Bretagna ed in discussione in Finlandia e Danimarca.

d) carenza (quantitativa e qualitativa) di personale marittimo: la mancanza di personale da imbarcare sulle navi impiegate sia nei traffici internazionali che di cabotaggio può costituire una limitazione per lo sviluppo del trasporto per mare;

e) miglioramento delle opere infrastrutturali nei porti italiani: occorrono interventi ulteriori per aumentarne gli spazi e l’accessibilità con progetti mirati al collegamento con le altre modalità di trasporto. Ma altrettanto importante è lavorare per una completa liberalizzazione;

f) ruolo di codecisione delle imprese di navigazione nelle scelte d’investimento nelle infrastrutture, soprattutto in quelle portuali da dedicarsi allo sviluppo di cabotaggio, short sea-shipping ed autostrade del mare.

g) razionalizzazione della Pubblica Amministrazione con la unificazione di molti dicasteri: è importante che non si perda il patrimonio di competenza e di esperienza dei singoli settori; così come è bene che le modifiche si rivelino efficaci anche a livello periferico e portino ad una semplificazione e ad un minor costo dei servizi portuali;

h) stretto raccordo dell’Amministrazione dei trasporti e della navigazione con la Commissione europea, al fine di inserire le scelte italiane nell’ambito di una politica dei trasporti che sempre più è decisa a livello comunitario.

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SAVINO PEZZOTTA

Segretario Generale della CISL

L’intervento che mi è stato assegnato, in quanto rappresentante di una parte sociale, prevede di far seguire ad alcune valutazioni - che mi permetterò di fare, riferendomi all’intero problema delle infrastrutture e in particolare a quelle del Mezzogiorno - le attese del sindacato e la nostra disponibilità e volontà ad essere attori dello sviluppo. Per questo motivo il mio intervento forse uscirà un po’ dai rigidi schemi del tema, per spaziare su alcune problematiche più generali.

Partiamo dalla constatazione che la carenza delle infrastrutture nel nostro Paese è sotto gli occhi di tutti. Se poi ci soffermiamo sulle infrastrutture relative ai trasporti, i dati pubblicati dal Piano generale dei trasporti evidenziano una forte riduzione della ripartizione della spesa tra le diverse modalità, sia in termini assoluti, sia rispetto al prodotto interno lordo, che mostra l’assoluta prevalenza dei fondi destinati alla strada rispetto ad altre soluzioni. Si evince un certo rilancio delle ferrovie, ma si destina una quota del tutto secondaria ai porti, nonostante, come anche in questa sede è stato ben evidenziato, ci sia un aumento della domanda portuale.

Le conseguenze di questa situazione, si manifestano con la difficoltà ad attrarre finanziatori stranieri per i nostri investimenti, disincentivati proprio dalla carenza delle infrastrutture, che al Nord non permettono di sviluppare le potenzialità di crescita dell'economia locale, mentre al Sud si rischia un ulteriore isolamento per la mancanza di collegamenti funzionali a programmare il proprio sviluppo.

E' necessario intervenire, proponendo non solo opere, ma un disegno di programmazione, più generale, dello sviluppo infrastrutturale, dove poi collocare l’insieme dei singoli interventi. Ma qui dobbiamo fare i conti con il decentramento amministrativo, cioè con quell'insieme che va dall’elezione diretta dei sindaci a quella dei presidenti delle giunte provinciali e regionali, che ha sicuramente determinato i presupposti per modificare la programmazione dello sviluppo, rispetto a quanto fatto fino ad oggi.

Certo, cresce la responsabilità diretta degli amministratori, aumenta il rapporto diretto tra eletto ed elettore, che viene misurato su cosa fa, ma aumenta anche la richiesta di maggior consenso. Ed allora bisogna reimpostare tutto per vedere come si possano coinvolgere i soggetti portatori di rappresentanza per arrivare a decisioni omogenee e fare in modo che tutti siano coinvolti, altrimenti, il rischio di una frammentazione delle decisioni, che anche questa mattina veniva denunciato, potrebbe diventare reale.

Come sempre e com'è ovvio che sia, noi come soggetti sociali, rilanciamo un metodo basato su una concertazione di tipo istituzionale e fra le parti sociali, ed in ogni caso, sia che si tratti di una grande opera di iniziativa nazionale o di un progetto gestito dalle Istituzioni locali o dalle Regioni, sosteniamo quello che ne permette una rapida realizzazione. Pertanto la capacità decisionale rapida è sicuramente l’esercizio della concertazione a tutti i livelli di competenza, prevedendo che attraverso di essa il progetto in discussione diventi compatibile con l’obiettivo dello sviluppo e con le necessità espresse dal territorio, un'esigenza quest'ultima che dobbiamo tenere sempre in alta considerazione.

Sul versante delle risorse necessarie per gli investimenti crediamo che sia opportuno superare alcuni limiti che rendono difficile oggi la partecipazione di risorse private all’investimento pubblico. Se analizziamo l'attuale situazione nel Mezzogiorno dobbiamo constatare, che pure in presenza di un rilancio delle opere pubbliche, mancano proprio quelle che permetterebbero un significativo sviluppo dell’area.

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Se ci soffermiamo sul Rapporto sulle aree depresse predisposto dal ministero del Tesoro, notiamo che è evidenziata una maggiore capacità di spesa del Sud rispetto al resto del Paese, per il completamento delle opere avviate.

Quello che si evince da è che nel nostro Paese attualmente esiste un gap infrastrutturale rispetto agli altri Paesi europei, che può diventare nel tempo molto, molto rischioso. Questa situazione è ancora più grave nel Mezzogiorno perché il Sud rischia un progressivo isolamento socio-economico se non si realizzano strutture di collegamento, anche perché per il Mezzogiorno passa e può passare tutta l’economia legata ai Paesi dell'area del Mediterraneo, mercati sempre più appetibili per le produzioni europee.

Se dal Nord ci si impiega troppo tempo ad arrivare al Sud, è chiaro che si cercheranno sbocchi su altre direttrici, per cui la necessità dello sviluppo del Sud è legata ad una rete infrastrutturale che renda più flessibile e veloce i collegamenti. Ecco perché occorre veramente puntare in questa direzione.

Il modello più giusto che riteniamo debba essere perseguito è quello dei sistemi di trasporto integrati, cioè non più suddivisi per modalità - aereo, marittimo, terrestre - ma pensati in modo che si sviluppino azioni concentrate sulla loro concatenazione, in grado anche di abbassare i costi ed i tempi, migliorando la qualità del servizio. Il processo di integrazione, tuttavia, non deve fermarsi solo alla intermodalità, bensì diventare sistema, cioè investire tutte le fasi del ciclo riferito al trasporto, dal susseguirsi delle modalità, alla gestione degli ordini, alla gestione degli stock, e così via.

Il problema è che se all’unità del progetto integrato poi si contrappone un’articolazione dei poteri amministrativi e istituzionali e non si trova il modo di riarticolarli e rimetterli insieme, si ricade nella difficoltà di assunzione delle decisioni. È per questo che per l’importanza delle opere e per gli interessi territoriali, il modello di decentramento previsto dal Piano generale dei trasporti può essere, a nostro avviso, una buona base di discussione, se alla fine si riesce a far collimare l’obiettivo di un sistema integrato con una sede certa di decisioni.

Noi siamo convinti che la logistica, supportata da un sistema integrato fra trasporto, manipolazione, stoccaggio e deposito delle merci, rappresenta la risorsa distributiva del territorio, aumentando la competitività del sistema Paese, in particolare nella prospettiva dei nuovi cambiamenti che stanno investendo l’insieme della nostra economia.

Da quanto è dato vedere, il tempo non sembra lavorare a nostro favore. La rapidità di adeguamento e di sviluppo delle strutture esistenti è secondo noi l’unica prospettiva vincente per il Paese. Quello che non possiamo perdere è la possibilità di essere il Paese distributore per il Sud Europa, la Spagna, il Mediterraneo, i Balcani.

A questo punto diventa indispensabile la riqualificazione delle infrastrutture esistenti, e data la situazione può essere utile l’istituzione di un’agenzia per la promozione logistica, così come è già presente in altri Paesi d’Europa. In particolare, per quanto riguarda le questioni di cui si è discusso questa mattina in ordine ai porti è necessario prevedere interventi di completamento delle opere di infrastrutturazione, corredandole di terminali per il servizio alla clientela.

Concordiamo con chi propone investimenti che più che essere finalizzati alla costruzione di nuovi porti, puntino in modo costante e permanente ad un loro adeguamento con il territorio, attraverso il potenziamento dei collegamenti ferroviari in primo luogo, oltre a quelli stradali.

Sempre in termini di potenziamento, riteniamo importante che il sistema portuale italiano possa offrire delle vere e proprie piattaforme di comunicazione telematica, fondamentali per aumentare la competitività con gli altri sistemi presenti nel Mediterraneo. In questo ambito è

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possibile prevedere che i porti raggiungano l’autonomia finanziaria, garantendo loro le risorse che loro stessi producono.

Per quanto riguarda lo sviluppo del cabotaggio, riteniamo che esso sia indice del cambiamento del sistema. L’obiettivo deve essere la realizzazione di servizi dedicati esclusivamente alle merci, prevedendo terminali attrezzati e localizzati, in modo da ridurre al minimo l’ impatto con le aree già congestionate, intervenendo sulle infrastrutture di adduzione.

Indispensabile, allora, è l'intervento sui fattori di organizzazione del servizio, utilizzando – come si diceva anche questa mattina – le nuove tecnologie telematiche, in modo da regolare prenotazioni, imbarchi, e pianificare lo stivaggio. Per quanto riguarda invece gli obblighi burocratici, dobbiamo arrivare ad una loro standardizzazione e semplificazione, soprattutto delle procedure.

Esistono dei problemi anche sul versante del contratto di lavoro, avevamo proposto una semplificazione rispetto alla pluralità di contratti che oggi ci sono nel settore, puntando, se era il caso, con gradualità, ad un contratto unico di categoria.

Ci sembra però che questa proposta non sia stata molto ben accettata, ma di questo ne discuteremo in altra sede.

Comunque, una maggiore organizzazione del sistema deve portare alla sua ottimizzazione ed è possibile, a parità di tonnellaggio, prevedere una riduzione della stessa intensità di trasporti. L’attuale incidenza di viaggi a vuoto abbassa sensibilmente l’utilizzazione dei mezzi e delle infrastrutture, il superamento di questo problema, secondo noi, passa attraverso la razionalizzazione dell'intero sistema, da realizzarsi con il consolidamento dei traffici intermodali ed il cabotaggio marittimo.

In sintesi, riferendomi a quanto previsto dal Piano generale dei trasporti, relativo al sistema nazionale integrato, che per quanto riguarda i porti prevede un primo insieme di 20 porti sedi di Autorità portuali con una rilevante entità di traffici ad elevato valore aggiunto e ad elevata specializzazione, riteniamo necessario prevedere la possibilità di integrare questo insieme con altri scali, con l’obiettivo dello sviluppo dei sistemi portuali e del cabotaggio. Siamo convinti che dalle infrastrutture portuali passi la possibilità di rafforzare il ruolo strategico dell’Italia nello sviluppo dei traffici mondiali e la promozione del trasporto marittimo quale riequilibratore del trasporto stradale.

Per noi, tuttavia, resta fondamentale la questione del potenziamento delle infrastrutture rispetto alle quali l’Italia, come dicevo poc'anzi, è rimasta indietro in confronto agli altri Paesi europei. È quello che sta dietro ai porti che per me oggi sta diventando l’elemento indispensabile. La mancanza di una strategia adeguata ha infatti portato il Paese a sviluppare il settore stradale come unica soluzione ai crescenti bisogni di mobilità e a sottovalutare, non senza problemi, la questione determinante del potenziamento dei valichi; a trascurare ed a rinviare nel tempo gli interventi indispensabili per lo sviluppo del Mezzogiorno.

Da parte nostra, chiediamo che si arrivi ad una grande chiarezza sulla determinazione e l’utilizzo delle risorse destinate al potenziamento delle infrastrutture nei trasporti, con particolare riferimento al Sud ed al superamento delle strozzature imposte al sistema da scelte politiche episodiche e, soprattutto, disordinate quanto a titolarità dei centri decisionali di spesa. Se l'Italia vuole cogliere le opportunità che le derivano dal fatto di trovarsi in una posizione intermedia tra l’Europa ed il Mediterraneo, è necessario decidere anche rilevanti interventi infrastrutturali per il Sud come intervento prioritario, con livelli decisionali rapidi, con scelte coerenti, con un quadro configurato a sistema dal quale non si può sicuramente più prescindere. Così sui valichi alpini, ad

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esempio, vanno precisate le scelte che l’Italia ritiene più utili per non rimanere tagliata fuori dall’Europa, e che vanno indicate nei tempi e nelle priorità, perché se è vero che bisogna fare in fretta, che il tempo è veramente denaro, come ci veniva spiegato anche questa mattina, se poi continuiamo ad avere i valichi che diventano delle strozzature, anche il nostro sistema portuale ne subisce delle conseguenze estremamente negative.

Così, ad esempio, di fronte alla necessità di rendere più sicuro, agevole ed adeguato l’attraversamento degli Appennini è indispensabile costruire una risposta di sistema sul versante stradale, ferroviario e cabotiero ai problemi dei traffici interni, per evitare di ritrovarsi in tempi più o meno brevi in una situazione di emergenza. Sul versante terrestre, in particolare, in tempi certi e ravvicinati è essenziale il quadruplicamento del collegamento ferroviario, accanto alla variante di valico autostradale per la quale va rapidamente definita la soluzione più opportuna ed è indispensabile anche un coordinamento per l’attuazione dei progetti che, pur nel rispetto dei vincoli ambientali, evitino di procrastinare più a lungo nel tempo queste soluzioni mantenendo le inevitabili strozzature.

Le cosiddette autostrade del mare, di cui si è molto parlato, a nostro parere vanno intese come un sistema portuale integrato, con un’efficiente rete di terminali, di cabotaggio. Occorre prevedere il completamento, l’ammodernamento, l’adeguamento ed il potenziamento di Gioia Tauro, di Taranto e di Cagliari, pur senza trascurare il sistema portuale dell’Alto Tirreno e dell’Alto Adriatico; c’è da prevedere il potenziamento del collegamento dei porti-territorio e l’estensione dei servizi portuali. La potenzialità da mettere in campo è anche quella che riguarda tutto il corridoio adriatico, a favore di una coesione europea in termini di migliori relazioni Nord-Sud/Est-Ovest, rimaste purtroppo ancorate ad una fase di mera indagine. Secondo noi, il corridoio adriatico va visto come un pezzo coerente con gli obiettivi del Piano generale dei trasporti e come asse nazionale di infrastrutture e servizi organizzati, in una logica di sistema in grado di produrre effetti positivi non solo sul riequilibrio modale, ma anche sugli aspetti economici e territoriali delle Regioni.

Nel progetto di rilancio del trasporto integrato va inserita anche la questione del ponte sullo Stretto di Messina. Ne abbiamo parlato poco in questa sede, credo, invece che sia un problema importante per dare la dimensione delle capacità del nostro Paese di guardare oltre e che non è fuori tema rispetto a quanto si è discusso fin qui perché non è solo una valida alternativa ad una serie di problemi, ma è un segnale per l'esterno, cioè la capacità del nostro Paese di progettare anche opere grandi ed importanti, la capacità di un Paese in grado di guardare al suo futuro con grande attenzione.

Per la CISL il ponte sullo Stretto non significa solo occupazione finalizzata alla sua costruzione, ma significa invece volontà di rilancio dell’economia locale e nazionale.

Queste sono le considerazioni che noi facciamo sull’insieme di questa partita. Siamo interessati ad essere dentro questi processi e dentro questo progetto, e a compiere tutti gli sforzi necessari perché le cose che fin qui si sono dette si realizzino nella maniera più efficiente possibile, come base per lo sviluppo del nostro Paese, capace di creare prospettive occupazionali soprattutto nelle aree del Mezzogiorno.

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CONCLUSIONI

PIERLUIGI BERSANI

già Ministro dei Trasporti

Anzitutto desidero sottolineare l’utilità di queste iniziative del CNEL. Dalla discussione di stamani si possono trarre considerazioni interessanti: essendo partita dal transhipment, essa ha poi via via abbracciato temi più vasti, relativi al trasporto marittimo, affrontando la questione del suo ruolo dentro la catena logistica, ma anche nell’economia del mare. A me piacerebbe che il concetto dell’economia del mare fosse messo a fuoco anche in questa sede perché in questo campo stiamo sviluppando un cambiamento di mentalità, un’appropriazione come forse non abbiamo mai avuto nel passato in chiave nazionale, programmatica, politica e culturale, di questo aspetto delle nostre prospettive di sviluppo.

Credo che questo sia importante, perché come programmazione pubblica noi dobbiamo sapere di poter ragionare in termini di lungo periodo sulla economia marittima. Infatti, possiamo immaginare una linea di sviluppo con dei caratteri strutturali, sia perché siamo in presenza di indicatori ormai conclamati, sia perché attorno alle prospettive di crescita di questo settore vi sono fatti irreversibili di mutamento della situazione mondiale. Basterebbe vedere come negli ultimi anni la crescita del trasporto marittimo corrisponde esattamente, sotto il profilo percentuale, alla crescita del commercio mondiale: questo sta a significare che è un mondo che ha incrociato il tema della globalizzazione e che quindi è sicuramente destinato ad accompagnarci per il futuro.

La seconda cosa, che i più danno per acquisita, è il fatto che i porti, nell’epoca in cui c’è bisogno di una integrazione delle modalità, hanno espresso in tutto il mondo una vocazione particolarissima: si sono candidati ad essere, almeno potenzialmente, delle piattaforme logistiche. Non è un caso che quando parliamo di porti, li associamo con i temi della logistica, perché si sta affermando questo tipo di scommessa che, come vedremo, ha però diverse complicazioni.

Un’altra questione di fondo, secondo me più problematica e che non va sottovalutata, è il tema ambientale. Finché il trasporto marittimo porterà all’idea che implica una salvaguardia dell’ambiente, per noi vi sarà una prospettiva sicuramente eccezionale. Attualmente questo avviene fino a prova contraria, e la prova contraria è data dalle sensibilità diffuse. Bisogna fare i conti con l’opinione pubblica: ogni anno si hanno 6.000 morti a seguito di incidenti stradali, ma la gente si scandalizza nel caso di alcuni morti per incidenti ferroviari. Questo perché dalle ferrovie si pretende sicurezza. Se avviene uno sversamento di una nave, la cosa è ben diversa rispetto al caso di uno sversamento di dieci camion. Quindi, dobbiamo avere il massimo di avvertenza, però all’interno del rispetto rigoroso delle regole moderne di un mercato che deve avere i suoi riferimenti.

Sotto questo profilo posso confermare che l’Italia, anche correggendo alcune impostazioni precedenti, si è situata dalla parte dei Paesi più rigorosi nel chiedere che siano emanate normative a livello comunitario che siano in grado di garantire la massima sicurezza. Sarebbe strano che non fossimo noi tra i più rigorosi, con il tipo di costi e di problemi che abbiamo, ma anche con la sensibilità e con la straordinaria opportunità di usare il mare come risorsa.

Credo che ci si debba muovere all’interno di un percorso che abbia caratteri unitari, una visione generale europea, che ci consenta di procedere a equilibrate operazioni nazionali. In sintesi: posizione rigorosa e molto ferma nel chiedere norme, ma tenendo anche conto delle regole della competizione.

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Dentro questi fatti oggettivi rientra anche la questione della ripresa del Mediterraneo, della sua capacità di crescere a ritmi superiori a quelli del Nord Europa. Credo sia un dato di lungo periodo per molti aspetti, se consideriamo come attorno a quest’area si affacciano opportunità e possibilità, sia dal lato dei Balcani che da quello medio-orientale. Quindi non solo pensando al modo di arrivare al Nord passando per il Mediterraneo, ma immaginando pure quanto di crescita intrinseca può esprimere l’area del Mediterraneo.

A differenza di quanto verificatosi in altre situazioni in passato, di fronte a tali opportunità l’Italia questa volta ha saputo fare squadra e cogliere l’occasione. Credo che, obiettivamente, il giudizio sintetico debba essere questo, anche se poi passeremo a considerare tutti i problemi. Siamo portati spesso a lamentarci del fatto che i treni passano e noi li perdiamo; questa volta i dati ci dicono che il treno non l’abbiamo perso. Dobbiamo ragionare attorno a nuovi problemi, nuove difficoltà, per essere all’altezza e per vedere come possiamo aumentare la catena del valore di quello che abbiamo afferrato.

Sarebbe di cattivo gusto elencare quello che si è fatto o non si è fatto. Abbiamo dei dati sul tema dell’economia del mare: oggi, se mettiamo assieme i sistemi del trasporto marittimo, della portualità con quelli della cantieristica, del cabotaggio, del diporto, cominciamo ad accostarci ad un settore quale è quello agricolo. In questi anni noi siamo andati avanti a ritmi superiori a quelli del resto d’Europa e dell’area mediterranea.

Sarei lieto che la prossima legislatura avesse la piena consapevolezza che non siamo di fronte ad un fatto residuale, ma siamo in presenza di un fatto che ha una rilevanza molto significativa. Pertanto, se il CNEL dà una mano a tenere viva la questione, è a tutto vantaggio del Paese.

All’interno di questo settore troviamo la ripresa dell’attività dei porti; la crescita della nostra flotta; la ripresa di competitività della nostra cantieristica, che ha saputo collocarsi in zone tecnologicamente significative. E, naturalmente, c’è dentro il tema dei traffici, in particolare del traffico dei containers, che in cinque anni è praticamente triplicato, con un grandissimo contributo che è venuto da Gioia Tauro, alla quale si deve la metà di questa crescita, senza comunque cannibalizzare nessuno, anzi dimostrando che si può crescere armonicamente.

La controprova di queste affermazioni è data dal fatto che operatori a carattere internazionale si sono ingaggiati attorno all’ipotesi di piattaforma logistica italiana; si tratta di investitori tedeschi, maltesi, ecc. Vorrei che a queste olimpiadi partecipassero anche squadre italiane. Nel frattempo cominciamo a registrare che se questi interessi si muovono è perché abbiamo delle carte da giocare in ordine alle possibilità offerte sulle grandi rotte, avendo cercato di agganciare le nuove opportunità con un rapporto pubblico-privato che mi pare sia stato positivo.

Per andare avanti, quali problemi abbiamo in primo luogo da affrontare? A me pare che dalle riflessioni che si stanno facendo in questo periodo vengano fuori due questioni fondamentali. Una è quella dell’integrazione, cioè il tema propriamente detto della logistica in tutte le sue connessioni. L’altra è quella della massa critica, in termini infrastrutturali, strutturali, portuali, imprenditoriali.

Partiamo dalla questione dei porti. Io credo che la riforma che è stata attuata abbia portato dei risultati. Inoltre, sono stati fatti degli investimenti con esiti relativamente soddisfacenti. Sicuramente si può fare di più, ma non siamo di fronte ad un “inghippo”. Siamo arrivati ad un certo punto con buoni risultati.

Come guardare avanti? Per quegli aggiustamenti che sono stati ricordati, possiamo immaginare nella prossima legislatura una seconda fase della riforma? Noi abbiamo gettato dei

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ponti verso questa ipotetica seconda fase, in particolare sviluppando il concetto di autonomia finanziaria e dando luogo ad un ulteriore rilancio di investimenti. Sicuramente queste sono due buone piste. Sono sufficienti? Noi abbiamo in sostanza due questioni, la prima delle quali è relativa al rapporto porto-città. E’ facile parlare di retroporto, ma non dobbiamo dimenticare la configurazione del nostro Paese, il peso degli Appennini. Siamo di fronte ad un territorio come risorsa scarsa che suscita una competitività micidiale. Si tratta di capire se i porti sono cresciuti abbastanza da far intendere che sono la carta delle città, oppure se questo non si è verificato. Questa cosa sarà risolta nella seconda fase: ovvero quella che deciderà la governance del sistema.

La situazione attuale è nota: vi sono competenze di tipo urbanistico in capo alle Regioni, altre in capo ai Comuni, vi sono nomine fatte centralmente e tutta una serie di questioni di cui occorre tenere conto. Io sono convinto che in una situazione come la nostra dobbiamo dare al porto pertinenza e forza, anche dal punto di vista di una discussione territoriale, che lo ponga come obiettivo delle risorse. Dico questo in nome dell’esigenza nazionale, se è vero che i porti sono i più invocati per la costruzione dei modelli di praticabilità integrata, di nuova logistica, che i porti lavorino. Capisco che questo comporta problemi per le città, però quando parlo di seconda fase intendo anche dire che bisogna riflettere su come dar seguito allo sviluppo che abbiamo avuto e come riuscire a guadagnare più massa critica.

Sono emersi alcuni problemi, che si possono risolvere solo cercando di fornire stimoli affinché la ruota giri verso dei meccanismi di integrazione. Per questo è necessario che vi sia uno sforzo anche soggettivo: a) per concepire, laddove si può, sistemi regionali; b) per trovare un equilibrio, nei sistemi regionali o macroregionali, fra competizione e collaborazione. Bisogna incentivare questo meccanismo. Sono a conoscenza di iniziative in corso, che vanno incoraggiate. Occorre portarle a compimento e quindi passare ad una nuova fase della riforma dei porti, facendo tesoro dell’esperienza del passato.

Abbiamo provveduto ad effettuare investimenti, ed ultimamente stiamo erogando, man mano che si fanno gli appalti, gli ultimi 1.050 miliardi che avevamo ripartito. Attualmente ci accingiamo ad ulteriori operazioni di finanziamento, che sul bilancio pubblico pesano per 2.400 miliardi come limite di impegno, a cui corrisponderanno 1.700-1.800 di investimenti netti, dei quali 500 circa sul cosiddetto cabotaggio del mare, proprio per dare spinta alle operazioni.

I porti hanno fatto i loro piani triennali di investimento e stanno procedendo. Ma gli investimenti non debbono andare solo per aggiustamenti: ci vuole talvolta un ripensamento attorno a temi di impostazione, a cominciare dal piano del porto, e quindi attorno al tema del government. Per esempio, nel caso di Gioia Tauro va ricordato che, considerando in prospettiva le esigenze di quel porto c’è certamente da condurre un’operazione di un certo rilievo. Ed allora, balza all’occhio che dovremmo avere per alcuni porti una certa fisiologia di gestione, in grado di affrontare ordinati sviluppi sul piano urbanistico. Ritengo che questa sia una cosa molto delicata ed importante, perché se si debbono fare operazioni che entrano nel vivo dei meccanismi territoriali, queste si debbono poter fare sapendo che vi sono strutture di governance in condizione di permetterle; e dobbiamo farle all’interno delle regole. Da Ministro non ho veste per parlare, ad esempio, del deposito costiero. Però a me risulta che vi sia attualmente l’intenzione di realizzare all’esterno il deposito costiero e che, semmai vi sarà una fase transitoria con attracchi provvisori, dovranno essere vigilati da organismi diversi: commissario, vigili del fuoco, lavori pubblici. E solo se le norme di sicurezza lo consentono saranno realizzati, altrimenti no. Sappiamo che i porti fanno parte di meccanismi delicati per i quali occorre trovare un equilibrio, di cui è bene discutere per trovare le soluzioni opportune. Sono convinto che, al di là delle norme, può sempre esservi un modo ragionevole di trovare soluzioni. Abbiamo bisogno di avere climi positivi in queste nuove, grandi iniziative.

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Nel Piano generale dei trasporti, che il Presidente Larizza ha ricordato nel suo intervento iniziale, prevediamo una serie di potenziamenti infrastrutturali a vario titolo. Naturalmente sentiamo in modo particolare il tema delle infrastrutture ferroviarie, in termini di investimento, ed il Piano è prevalentemente orientato sulla priorità ferroviaria; ci aspettiamo da questa linea di investimenti anche un potenziamento delle opportunità che possono venire dai grandi movimenti di traffico merci. Credo che noi abbiamo intrapreso una strada, in termini di investimenti in campo ferroviario che ci consegnerà, fra qualche anno, un Paese mutato perché, pur con tutti i ritardi e gli squilibri, siamo quelli che in Europa hanno più cantieri aperti (e questo è l’ovvia conseguenza dei ritardi) e che stanno investendo in misura assolutamente non paragonabile ad altri. Le FS sono attualmente in condizione di spendere 7.000 miliardi l’anno in investimenti, mentre alcuni anni fa ne investivano 4.000. A questi ritmi, se non facciamo fare loro delle cose azzardate o insensate, con 7.000 miliardi l’anno, che potranno anche diventare 8.000-8.500, stiamo rimontando un ritardo certamente colossale. Ma noi mettiamo l’enfasi sulle infrastrutture di nodo, che sono sempre nelle priorità, con disponibilità ad investire e ad accelerare i programmi.

In questa sede si è nuovamente presentato un tema che, secondo me, è il clou del Piano generale dei trasporti e che troviamo nel sottotitolo quasi invisibile di detto Piano: “non solo infrastrutture”. Infatti non si può pensare, non dico di risolvere i problemi, ma di cogliere le opportunità, di intermodalità, di nuova logistica, di catena del valore aggiunto, di connessione logistica al territorio, senza una rinascita, una ulteriore fase di sviluppo imprenditoriale, che riguarda i soggetti che già ci sono, ma anche altri che debbono aggiungersi.

Consideriamo, ad esempio, le ferrovie. In questi ultimi due o tre anni bisogna riconoscere come non sia stato facile capire in quale modo orientarsi, e forse ancora oggi non è facile. Vi sono tuttora da dipanare alcune cose, però una direzione l’abbiamo presa mettendo contemporaneamente insieme riorganizzazione delle FS - che a giugno si completa - e liberalizzazione. Credo che più di così non si potesse fare. Non tutti nodi sono sciolti, occorre riflettere insieme; io ritengo assolutamente necessario e scontato che da lì debba venire come servizio infrastrutturale, come funzione di esercizio - in forme che poi l’azienda deciderà - un grande contributo allo sviluppo logistico di questo Paese. Così come penso che anche altri attori che magari non abbiamo citato, come ad esempio il sistema di autotrasporto, possano dare un contributo in questo senso.

Ci sono opportunità che vengono dai grandi soggetti di rete. Le Poste, cosa stanno facendo? Un Governo che cosa può o potrà fare? Secondo me, può anzitutto abbattere tutte le barriere normative tra modalità e modalità. Il senso della liberalizzazione è proprio questo, la famosa concorrenza, che certo arriverà; ma noi adesso dobbiamo sviluppare le forze produttive per metterle in grado di cogliere le opportunità e di sfruttare con intelligenza le infrastrutture che ci saranno. Quindi, chiunque può ci provi. Adesso c’è la possibilità di avere una licenza ferroviaria, che magari può risolvere un microproblema innestato in una macrosoluzione che le FS possono dare. Va tutto bene, purché si risolva il problema della crescita.

Noi siamo stati convinti sostenitori di una certa liberalizzazione, a cui io non mi accosto in termini ideologici. Adesso cerchiamo di sfruttare in amicizia le possibilità che possono presentarsi, rimandando ad un secondo momento la questione della concorrenza. È pur vero che le modalità possono integrarsi, ma questo non avviene grazie a delle direttive; per esempio, un’impresa che riesce ad essere utilmente plurimodale ed a risolvere problemi di integrazione, questa per me è una risposta.

Quindi liberalizzazione, certo, ma anche - e questo è il tema che maturerà nei prossimi mesi – sistemi di sollecitazione e incentivazione che è ora di considerare, una vo lta fatto il quadro, perché ci aiutino ad innescare meccanismi di intermodalità logistica anche, per esempio, privilegiando

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l’aspetto delle tecnologie che, sono convinto, in una situazione come quella italiana potrebbe dare una grossa mano.

Con queste mie notazioni ho voluto segnalare, in sintesi, una cosa che poi dicevo anche all’inizio del mio intervento: noi abbiamo colto un’occasione; tenerla stretta e rilanciarla non è semplice, però secondo me era più difficile la fase uno, rispetto alla fase due. Mi inchino di fronte a chi ha fatto alcune scelte; ora affrontiamo la fase due, con tutte le sue difficoltà, portando avanti un gioco di squadra anche con la stessa passione di chi partecipa ad un gioco di squadra, e cerchiamo di vedere come possiamo collaborare mentre impariamo come possiamo competere.