"Il Toro, Spartaco, l'Arcangelo" di Carlo Vulpio

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30 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 13 APRILE 2014 Percorsi Controcopertina Il toro , Spartaco , l’ arcangelo Il culto del dio Mitra s’intreccia a Capua con l’epica del gladiatore e la cristianità dal nostro inviato a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) CARLO VULPIO N on c’è pianta, albero, giardino, orto, frutteto, anche negli angoli più an- gusti e trascurati, che non sembri in preda a una perenne esplosione or- monale, a una vigorosa e continua manifestazione di esuberanza della vegetazione in tutte le sue varietà, un’eruzione di verde che è l’antitesi dell’eruzione di lava dal Vesuvio e che tuttavia non è meno vulcanica di quella e ha meritato alla parte di Campania tut- t’intorno a Capua l’aggettivo felix: fertile, prospero- sa, feconda, ubertosa. Come la natura, così anche la storia, l’arte, la filosofia e le religioni di Santa Maria Capua Vetere, Capua, Sant’Angelo in Formis e Caser- ta Vecchia si addensano nella stessa area, si conten- dono lo spazio e la luce, ma alla fine ne emergono tutte vittoriose e inconfondibili. E anzi, l’una non può che rimandare all’altra, ognuna ha bisogno del- l’altra per meglio definire se stessa. Non si può non andare e venire tra le due Capua. Santa Maria Capua Vetere — che è la Capua Antica, «l’altra Roma» (Cicerone), le cui origini risalgono all’Età del Ferro, tra IX e VIII secolo avanti Cristo, e che duecento anni fa è stata chiamata anche Santa Maria per la presenza dell’omonima basilica del V secolo dopo Cristo — e l’attuale Capua, la città me- dievale rifondata dai Longobardi a metà del IX seco- lo, dopo la distruzione della città antica a opera dei Saraceni. Né si può credere che salire e scendere tra i monti Tifatini e la pianura sia una fatica che non valga il godimento degli affreschi dell’abbazia bene- dettina di Sant’Angelo in Formis e del borgo medie- vale di Caserta (Casa Hirta) Vecchia, che sta a 400 metri di altitudine, è monumento nazionale dal 1960 ed è «l’equivalente italiano di Les Baux, splen- dida e illustre città della Provenza abbandonata tra le rocce, con la differenza — ha scritto Guido Piove- ne — che Les Baux è celebrata in Francia mentre Ca- serta Vecchia è quasi ignota da noi». Non si può non lasciarsi catturare e trascinare da un angolo all’altro di questo straordinario quadrila- tero anche per un’altra ragione. Che possiamo rias- sumere in tre nomi: il dio persiano Mitra, il gladia- tore ribelle venuto dalla Tracia, Spartaco, e l’Arcan- gelo Michele, il cui nome significa «chi è come Dio». Tre figure che, come vedremo, nonostante le vicende storiche e mitologiche che le separano, le- gano tra loro questi luoghi e le rispettive opere d’ar- te e sono legate l’un l’altra dall’aver tutte e tre usato la spada, il gladio, il pugnale: Mitra per sgozzare il toro bianco su ordine del dio Sole e così creare il mondo, Spartaco per guidare la rivolta contro Roma nel 73 avanti Cristo e dare una speranza di libertà agli schiavi, San Michele Arcangelo per sterminare i 180 mila assiri che assediavano Gerusalemme e poi, nello scontro finale tra Bene e Male, sconfiggere l’Anticristo. Il Mitreo di Santa Maria Capua Vetere, l’ipogeo scoperto nel 1922 che a quattro metri sotto il livello stradale conserva l’affresco della Taurocto- nia, in cui appunto Mitra con una mano afferra il to- ro per le narici e con l’altra lo sgozza, è senza dubbio il luogo più misterioso e affascinante. Mitra era una divinità di origine persiana che as- sume un profilo ben definito, scrive il professor Al- Il patrimonio italiano Il centro antico e quello attuale segnano un’area di straordinaria ricchezza storica e archeologica, non ancora studiata a fondo ma che alcuni interventi sono riusciti a valorizzare. Nonostante tutto Visioni cosmiche e liriche in cui spuntano personaggi della vita minuta, di nome Fay o Bud, che lavorano nei sobborghi, nei bar, nelle fattorie, in piccoli orizzonti ignari: sono i racconti e le prose di Dalla morte al mattino, di Thomas Wolfe (1900-1938) riproposto da Cartacanta (traduzione di Jacopo Lenkowicz, pp. 247, € 15). Elliot ha appena pubblicato il suo O lost e si sente che è stato contemporaneo di Faulkner, amato da Roth e nume di autori da Tartt a Ellis. Wolfe, vite cosmiche di uomini piccoli { Colpo di fulmine di Ida Bozzi

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Corriere della Sera, domenica 13 aprile 2014. La lettura di Carlo Vulpio "Il culto del dio Mitra s'intreccia a Capua con l'epica del gladiatore e la cristianità"

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30 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 13 APRILE 2014

Percorsi Controcopertina

Il toro, Spartaco, l’arcangeloIl culto del dio Mitra s’intreccia a Capuacon l’epica del gladiatore e la cristianitàdal nostro inviato

a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) CARLO VULPIO

Non c’è pianta, albero, giardino, orto,frutteto, anche negli angoli più an-gusti e trascurati, che non sembri inpreda a una perenne esplosione or-monale, a una vigorosa e continuamanifestazione di esuberanza dellavegetazione in tutte le sue varietà,

un’eruzione di verde che è l’antitesi dell’eruzione dilava dal Vesuvio e che tuttavia non è meno vulcanicadi quella e ha meritato alla parte di Campania tut-t’intorno a Capua l’aggettivo felix: fertile, prospero-sa, feconda, ubertosa. Come la natura, così anche lastoria, l’arte, la filosofia e le religioni di Santa MariaCapua Vetere, Capua, Sant’Angelo in Formis e Caser-ta Vecchia si addensano nella stessa area, si conten-dono lo spazio e la luce, ma alla fine ne emergono

tutte vittoriose e inconfondibili. E anzi, l’una nonpuò che rimandare all’altra, ognuna ha bisogno del-l’altra per meglio definire se stessa.

Non si può non andare e venire tra le due Capua.Santa Maria Capua Vetere — che è la Capua Antica,«l’altra Roma» (Cicerone), le cui origini risalgono all’Età del Ferro, tra IX e VIII secolo avanti Cristo, eche duecento anni fa è stata chiamata anche SantaMaria per la presenza dell’omonima basilica del V secolo dopo Cristo — e l’attuale Capua, la città me-dievale rifondata dai Longobardi a metà del IX seco-lo, dopo la distruzione della città antica a opera deiSaraceni. Né si può credere che salire e scendere trai monti Tifatini e la pianura sia una fatica che nonvalga il godimento degli affreschi dell’abbazia bene-dettina di Sant’Angelo in Formis e del borgo medie-

vale di Caserta (Casa Hirta) Vecchia, che sta a 400metri di altitudine, è monumento nazionale dal 1960 ed è «l’equivalente italiano di Les Baux, splen-dida e illustre città della Provenza abbandonata trale rocce, con la differenza — ha scritto Guido Piove-ne — che Les Baux è celebrata in Francia mentre Ca-serta Vecchia è quasi ignota da noi».

Non si può non lasciarsi catturare e trascinare daun angolo all’altro di questo straordinario quadrila-tero anche per un’altra ragione. Che possiamo rias-sumere in tre nomi: il dio persiano Mitra, il gladia-tore ribelle venuto dalla Tracia, Spartaco, e l’Arcan-gelo Michele, il cui nome significa «chi è come Dio». Tre figure che, come vedremo, nonostante levicende storiche e mitologiche che le separano, le-gano tra loro questi luoghi e le rispettive opere d’ar-

te e sono legate l’un l’altra dall’aver tutte e tre usatola spada, il gladio, il pugnale: Mitra per sgozzare iltoro bianco su ordine del dio Sole e così creare il mondo, Spartaco per guidare la rivolta contro Romanel 73 avanti Cristo e dare una speranza di libertàagli schiavi, San Michele Arcangelo per sterminare i180 mila assiri che assediavano Gerusalemme e poi,nello scontro finale tra Bene e Male, sconfiggerel’Anticristo. Il Mitreo di Santa Maria Capua Vetere,l’ipogeo scoperto nel 1922 che a quattro metri sottoil livello stradale conserva l’affresco della Taurocto-nia, in cui appunto Mitra con una mano afferra il to-ro per le narici e con l’altra lo sgozza, è senza dubbioil luogo più misterioso e affascinante.

Mitra era una divinità di origine persiana che as-sume un profilo ben definito, scrive il professor Al-

Il patrimonioitaliano

Il centro antico e quello attuale segnano un’area di straordinaria ricchezza storica e archeologica, non ancora studiata a fondo ma che alcuniinterventi sono riusciti a valorizzare. Nonostante tutto

Visioni cosmiche e liriche in cui spuntano personaggi della vita minuta, di nome Fay o Bud, che lavorano nei sobborghi, nei bar, nelle fattorie, in piccoli orizzonti ignari: sono i racconti e le prose di Dalla morte al mattino, di Thomas Wolfe

(1900-1938) riproposto da Cartacanta (traduzione di Jacopo Lenkowicz, pp. 247, € 15). Elliot ha appena pubblicato il suo O lost e si sente che è stato contemporaneo di Faulkner, amato da Roth e nume di autori da Tartt a Ellis.

Wolfe, vite cosmiche di uomini piccoli

{Colpo di fulminedi Ida Bozzi

DOMENICA 13 APRILE 2014 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 31

Torino dedica a David Seymour (1911–1956), celebre fotoreporter di guerra, una retrospettiva a Palazzo Reale fino al 14 settembre. Immagini che raccontano un pezzo di storia di uno dei fondatori della

Magnum. Nelle sue immagini non c’è spazio per l’arte ma solo l’autenticità dei fatti. Seymour muore durante uno di suoi servizi e questa mostra ricorda che ancora oggi c’è chi rischia la vita fotografando in prima linea.

La prima linea di David Seymour

{Scatti flessibilidi Fabrizio Villa

SSSL’ipogeo scoperto nel 1922 è uno dei 137 santuari della divinità persiana conosciuti, uno dei pochi affrescati e l’unico in cui sia raffigurato l’intero ciclo dell’iniziazione. Lì tutto è simbologia, dalle stelle a ottopunte al grande dipinto semicircolare del sacrificio

Dall’alto: il Duomo di Caserta Vecchia e un particolare del Giudizio universale; in grande: l’anfiteatro; in alto a sinistra: il mitreo di Capua (Servizio fotografico di TONY VECE)

SSSUna copertinaun artista

Iliprandi, il carnet dell’anima«Gli acerbi capezzoli deilimoni. Le rosse arance,succose quanto le modelleciociare agli occhi deivedutisti. Il verde argentatodei mirti mischiato ai cupiallori. Mentre il blu del cieloci accarezza nello Zefiro».

Giancarlo Iliprandi (Milano, 1925) accompagna con queste parole la sua opera. Artista noto soprattutto per la sua straordinaria attività di graphic designer (vincitore di quattro Compassi d’Oro, ultimo dei quali alla carriera) è un raffinato autore dotato di pungente ironia che esercita con tutti gli amici, nei suoi scritti e con gli studenti in una delle sue vocazioni più amate: la didattica. Da venticinque anni ha ripreso a disegnare, raccontando, in preziosi carnet de voyage, la sua passione per il viaggio e in particolare per il Sahara, metafora di uno spazio essenziale e magico dove smarrirsi perritrovare se stessi. Iliprandi ha accompagnato l’acquerello con i versi di Goethe e sottolinea: «Questi limoni e arance per me sono la metafora di altri piaceri carnali, della vitalità, dell’energia creativa». E non a caso il verso finale ci parla proprio di un viaggio verso un altrove da scoprire e condividere. Sentimento apprezzato (ne siamo sicuri) anche da molti lettori: «Laggiù, laggiù, con te, amore mio, vorrei andare». (gianluigi colin)

Supplemento culturale del Corriere della Seradel 13 aprile - Anno 4 - N. 15 (#125)

Direttore responsabile Ferruccio de BortoliCondirettoreVicedirettori

Luciano FontanaAntonio MacalusoDaniele MancaGiangiacomo SchiaviBarbara Stefanelli

Supplemento a curadella Redazione cultura Antonio Troiano

Pierenrico RattoStefano BucciAntonio CariotiSerena DannaMarco Del CoronaDario FertilioCinzia FioriLuca MastrantonioPierluigi PanzaCristina Taglietti

Art director Gianluigi Colin

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berto Perconte Licatese ne Il Mitreo di Capua (pub-blicato in proprio), grazie a Zarathustra, «riforma-tore della religione dell’antico Iran, vissuto tra il1000 e il 500 avanti Cristo, e fondatore dello zoroa-strismo». Ma soprattutto, sottolinea lo studioso,«Mitra era il dio del patto concluso con l’umanità».Un aspetto, questo, che, nonostante il suo carattereiniziatico ed elitario, mise il mitraismo — introdot-to in Italia dai gladiatori (barbari e nemici sconfitti)nella seconda metà del III secolo avanti Cristo — inconcorrenza con il cristianesimo fino al 380 dopoCristo, quando con l’editto di Teodosio la religionecristiana divenne «religione di Stato».

Quello di Capua Vetere — sostiene in un suo stu-dio del 1971, purtroppo non ancora tradotto in ita-liano, lo scomparso Maarten Jozef Vermaseren, ar-cheologo e docente all’università di Utrecht — è unodei 137 mitrei sparsi nel mondo. Ma è uno dei pochiad affresco ed è l’unico in cui è raffigurato l’interociclo di iniziazione degli adepti. I quali vengono am-messi al culto del dio in totale sottomissione, nudi,bendati e con le mani legate dietro la schiena. Nellacripta in cui si svolge il rito, lunga dodici metri e lar-ga tre, tutto è simbologia, dalle stelle a otto punte che decorano la volta e rappresentano il firmamen-to ai gradi di iniziazione, che sono sette (il sette è ilnumero-chiave del mitraismo), fino al grande affre-sco semicircolare in cui Mitra sacrifica il toro. Ani-male di somma importanza, che viene ucciso da Mi-tra affinché il suo sangue fecondi la terra e che ritro-viamo nei miti del Minotauro, del ratto di Europa,della settima fatica di Eracle, nelle Taurilie — i gio-chi in onore degli Inferi —, nei nomi delle città diTorino e Taormina e dei monti Tauri in Asia minore,fino alla corrida, che risalirebbe ai misteri in onoredi Dioniso (che era taurofago) praticati in Tracia.

Il mitraismo però trovò terreno fertile nell’Impe-ro anche per un’altra ragione. «Mitra — sostienePerconte Licatese — incarnava tutte le virtù che unsoldato romano avrebbe potuto possedere: guerrie-ro invitto, cacciatore astuto, abilissimo cavaliere e,soprattutto, un militare che seguiva un severo codi-ce di autodisciplina, d’onore, di lealtà, di fedeltà».Quelle qualità da «soldato romano» che Giulio Ce-sare avrebbe ammirato proprio in Spartaco, il gla-diatore trace la cui compagna era sacerdotessa diDioniso e che in quegli anni era, con il re del Ponto,Mitridate (che derivava il nome dal dio Mitra) tra gliirriducibili nemici di Roma. Un’ammirazione cheSpartaco si era guadagnato per aver saputo trasfor-mare una massa di sbandati in esercito, anzi in un

«esercito romano». In un’Italia in cui «la rete di or-ganizzazione schiavistica — scrive Aldo Schiavonein Spartaco. Le armi e l’uomo (Einaudi) — aveva consentito di raggiungere una ricchezza mai vista,distribuita in modo abissalmente diseguale», Spar-taco si ribella. E dalla ricca Capua, proprio da quel-l’arena in cui aveva dovuto uccidere per non essereucciso — che alla fine del I secolo dopo Cristo verràabbattuta per far posto al grande anfiteatro da 60 mila posti e 44 metri d’altezza, secondo soltanto alColosseo — Spartaco, che «metteva insieme sco-perta geografica, rilevazione antropologica, dise-gno strategico e sicurezza tattica» (sempre Schiavo-ne), entrerà direttamente nella storia e nella leggen-da. Oltre che nel cinema e nella tv. Spartacus diStanley Kubrick, interpretato da Kirk Douglas, vinsequattro Oscar e un Golden Globe nel 1961, mentre negli Stati Uniti in questi ultimi tre anni sono stateprodotte tre serie tv, tanto che nei corridoi del Mu-seo archeologico dell’Antica Capua è in bella mostraun manifesto che celebra Andy Whitfield — l’attoreche ha interpretato Spartaco nella prima serie, mor-to di leucemia appena concluse le riprese — e gli ri-conosce il merito di aver «contribuito a rendere ilpersonaggio storico una figura amata anche dal

pubblico contemporaneo».Non aver rinchiuso nei

recinti accademici Sparta-co, Capua e il suo anfitea-tro, ma al contrario, aver fa-vorito una certa contamina-zione tra cultura «alta» e«popolare» è servito a rag-giungere un doppio risulta-to. Nei numeri, con 43 milavisitatori nel 2013, più deldoppio dell’anno preceden-te; e nello stato dei luoghi,con l’anfiteatro, il Museodei gladiatori e le strutturedi accoglienza che sono sta-ti restaurati e realizzati con

fondi pubblici, senza stramberie e «buchi neri», edove la gente ama trascorrere le serate primaverilied estive. Una bella novità, che suscita un certo or-goglio in chi per anni ha lavorato a questo obiettivo,come la soprintendente Adele Campanelli e gli ar-cheologi Francesco Sirano e Laura Del Verme.

Santa Maria Capua Vetere, abbiamo detto, vennedistrutta dai Saraceni nell’841 e venne rifondata cin-que chilometri più a nord dai Longobardi, i quali,nel processo di cristianizzazione che avevano intra-preso, «adottarono» come loro santo protettore l’Arcangelo Michele, il più simile al Wodan della mi-tologia nordica, che oggi è il patrono di Capua e, so-prattutto, è il santo al quale sono intitolate la basili-ca di Sant’Angelo in Formis (in formis è il riferimen-to all’acquedotto romano che portava l’acqua dalmonte Tifata a Capua) e al duomo di Caserta Vec-chia.

La chiesa di Sant’Angelo sorge sulle rovine di untempio di Diana, che fu poi soppiantato da un san-tuario cristiano dedicato dai Longobardi al santoguerriero «Mika-El» nel VI-VII secolo. Al posto delsantuario infine, nella metà dell’XI secolo, sorse labasilica benedettina così com’è oggi, con i suoi me-ravigliosi affreschi che la decorano completamentee ne fanno un magnifico esempio di quella Bibliapicta, o Biblia pauperum, che raccontava e facevacapire le Scritture agli analfabeti e alla gente sempli-ce. E che papa Gregorio Magno, ben prima della fu-ria iconoclasta dell’VIII secolo dovuta all’imperatorebizantino Leone III l’Isaurico, caldeggiava per la loroutilità didattica.

Tutti gli affreschi meriterebbero di essere men-zionati, ma quelli del Giudizio universale, che su cinque registri riempiono tutta la parete della con-trofacciata, con il Cristo Giudice racchiuso in unamandorla e tre angeli che separano i giusti («Venitebenedicti») dai malvagi («Ite maledicti»), sono diuna potenza suggestiva unica. Non meno fascinosaè Caserta Vecchia. Il suo duomo, del XII secolo, do-mina il borgo, con un campanile di 32 metri a pian-ta quadrata e un tiburio il cui esterno è consideratotra le più importanti testimonianze di decorazionearchitettonica arabo-normanna. All’interno, i pre-ziosi mosaici (XIII secolo) del pulpito e del pavi-mento. Sul quale, purtroppo, abbiamo visto batterela pioggia che penetra dal tetto. L’Arcangelo Miche-le è un santo guerriero. Farlo arrabbiare non convie-ne.

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