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Quando Seneca s accinse alla composizione del Thyestes il tema dell'odio insanabile e dei mostruosi delitti compiuti dai due fratelli, discendenti da Tantalo e da Pelope, era gi stato innumerevoli volte oggetto di rappresentazioni tragiche, in Grecia

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IL THYESTES DI SENECA1) INTRODUZIONE1A) LA FORTUNA DEL TEMA TIESTEO. Quando Seneca si accinse alla composizione del Thyestes, il tema dellodio insanabile e dei mostruosi delitti compiuti dai due fratelli, discendenti da Tantalo e da Pelope, era gi stato innumerevoli volte oggetto di rappresentazioni tragiche, in Grecia come a Roma. La fortuna del mito sulle scene greche fu forse determinata dal carattere esemplare delle vicende di Atreo e di Tieste, ma ogni illazione al riguardo rischia di essere imprudente a causa dellesiguo numero di frammenti pervenutici. Non stupisce, invece, il fatto che la traduzione latina della cena tiestea fu pi volte replicata, tanto in epoca mediorepubblicana quanto in et imperiale, fino alla fine del I secolo d.C. In effetti, il tema di Atreo e di Tieste presentava caratteristiche ideali per una sua resa latina, dato che sul piano del contenuto esso era passibile di uninterpretazione in chiave ideologica e sul versante formale offriva cospicuo materiale allaccentuazione del pathos e dellespressivit, due degli elementi che furono caratteristici del teatro latino (sia comico sia tragico) sin dalla sua nascita e che rimasero quale ineliminabile dato di genere, come testimonia ancora la tragedia senecana.

1B) LA DEFINITIVA SEPARAZIONE, NEL TEATRO ROMANO, TRA VICENDE MITICHE E SIGNIFICATI RELIGIOSI. Ai tempi di Seneca, frantumatasi ormai la solidariet tra contenuto mitico e forma tragica, il mito era divenuto struttura neutra, eredit di una nobile tradizione letteraria, adatto quindi ad unutilizzazione simbolica che portasse sulla scena, in modo immediatamente fruibile da parte del pubblico, la rappresentazione di valori e disvalori. noto, infatti, che la funzione simbolica del mito gi presente nella tragedia greca e che la sua importanza si accresce tanto pi, quanto pi decresce la funzione religiosa; tuttavia soltanto nella tragedia romana che viene celebrata interamente la scissione tra vicenda mitica ed aspetto religioso.Per Seneca, dunque, come per ogni intellettuale del suo tempo, il mito era letteratura o, se si preferisce, discorso di ri-uso che, proprio perch svincolato dal primitivo significato religioso, si prestava a divenire veicolo di nuovi messaggi destinati ad un pubblico tanto diverso da quello attico del V secolo a.C. Ci non significa, naturalmente, che le tragedie senecane siano una meccanica trasposizione in forma drammatica delle idee filosofiche dellautore; esse, al contrario, inserendosi in un genere letterario di straordinaria autorit, non possono che mutuarne aspetti strutturali, valori formali e moduli stilistici, e si pongono, nei confronti dei modelli attici e dei precedenti latini, in un chiaro rapporto di conservazione/innovazione. proprio in tale prospettiva che il gusto dellorrido e del macabro, la tendenza al patetico, lamore per la sentenza concettosa, per la metafora audace e per il discorso magniloquente, retoricamente articolato, lattenzione costante, cio, per lo spettacolo della parola evocatrice e narrante rivelano, al contempo, da una parte la fedelt al modello euripideo e, soprattutto, ai predecessori latini, e dallaltra lesigenza di adeguarsi ad aspettative nuove. In questa tensione tra vecchio e nuovo, in questa ricerca di equilibri formali originali, tanto a livello di struttura superficiale che di struttura profonda, va valutato il significato delloperazione culturale senecana.1C) IL POETA COME MAESTRO DI VERIT; IL CORO COME DECODIFICATORE DI SIGNIFICATI. Un aspetto, in particolare, deve essere chiaro: se la tragedia, come forma che istituzionalmente include la partecipazione del cittadino alla ricerca della verit attraverso lo strumento della comparazione tra valori e ragioni contrapposte (che sincarnano, sulla scena, nei protagonisti dellazione drammatica) muore inesorabilmente in Grecia con Euripide, e se in Roma la fabula cothurnata nasce essenzialmente come spettacolo in quanto rappresentazione di eventi tratti da un patrimonio culturale e religioso non latino, e quindi inevitabilmente appartenente al mondo dellimmaginario, Seneca, pur prendendo atto dellimpossibilit di un dramma che comporti lattiva partecipazione del civis, recupera in pieno lantica funzione del poeta come maestro di verit. La sua tragedia, infatti, realizza una sostanziale modificazione nellorganizzazione dei contenuti e quindi nella struttura profonda del testo mediante la riduzione e spesso la scomparsa della figura dellantagonista, sicch lintera scena risulta occupata da un unico protagonista, con il risultato di interiorizzare lazione mediante il risalto conferito, nel rapporto istituito tra le differenti unit drammatiche, al monologo interiore di derivazione euripidea (e anche da questa prospettiva andr valutata limportanza che riveste la parola in una simile concezione drammaturgica). Ci non comporta, naturalmente, il fatto che un messaggio sia assente; al contrario, esso presente, ma non sottoposto a discussione e sar facile osservare che in questa direzione spingevano sia la tradizione latina del genere, sia le condizioni politiche del tempo venendo semplicemente comunicato al pubblico come verit, senso profondo della vicenda scenica. Cambia, quindi, la forma dello spettacolo, perch mutano i modi della comunicazione. Ben si comprende, allora, la funzione del coro, non a caso portavoce della bona mens (mente che giudica correttamente) o, sar forse pi esatto dire, dei valori della obscura quies (appartata tranquillit) come porto sicuro, rifugio lontano dalle alterne vicende della fortuna e del regnum. Lungi dallessere puro intermezzo lirico o cantuccio nel quale il poeta racchiude la propria voce, esso, ereditando lantica funzione rivestita nel dramma attico, riferisce alla comunit gli eventi rappresentati e ne interpreta il significato ultimo, consegnandolo decodificato alla fruizione del destinatario. Si pensi, per esempio, ai canti corali della Phaedra, ove, nel giuoco dei differenti punti di vista di Ippolito, di Fedra, della nutrice e di Teseo, il coro interviene a sanzionare lottica giusta e a fornire la corretta interpretazione del mito. Su questa via, Seneca porta alle estreme conseguenze la tendenza a caricare la vicenda mitica di valenze simboliche ed a farne lespressione esemplare di una condizione esistenziale e sociale.1D) IL NUCLEO TEMATICO DEL THYESTES: LA SEDUZIONE DEL POTERE E LA CENTRALIT DELLINGANNO. La scelta del genere tragico costitu per Seneca unopzione in un certo senso obbligata. Egli intendeva esaminare i rapporti tra le passioni delluomo ed il potere; ed evidente che una simile tematica poteva essere oggetto soltanto di una trattazione tragica. Anche lepos, infatti, tratta materiali mitici e pu divenire metafora di una condizione esistenziale, ma la creazione epica assolve alla funzione primaria di illustrare i valori collettivi in cui la comunit si riconosce. La tragedia, invece, , per il suo stesso statuto, la forma artistica che meglio pu esprimere il conflitto esistente allinterno delluomo e nella struttura sociale perch, semplificando ed esasperando i contrasti in atto, li raffigura in modo generale ed immediatamente percepibile.Gli allettamenti del regnum e gli effetti devastanti che esso produce nella psiche delluomo sono, appunto, il nucleo tematico del Thyestes. Nella rivisitazione senecana il mito, utilizzato comunemente dai tragici latini in funzione della polemica antitirannica (lAtreus di Accio ne era stato la realizzazione pi celebre), fu sottoposto ad una lettura che port al centro del testo un elemento linganno gi presente nella catena sintagmatica della vicenda mitica, ma in posizione certamente pi periferica. Il regnum appare come inganno esso stesso, esposto alle volubili decisioni della fortuna, miraggio illusorio per luomo che crede ai suoi vani fulgori. Ma il regnum anche fonte di menzogne e di delitti, cui costretto chi vuole detenere il potere. Il tyrannus vive, dunque, nella dimensione assoluta dellapparenza e della falsit; egli ricorre alle risorse dellintelligenza astuta per tendere ai suoi antagonisti trappole perfettamente congegnate, ma al contempo preda di un accecamento che gli impedisce di conoscere il reale. Ladozione da parte di Seneca di tale modulo espressivo, riflesso necessario di una valutazione fortemente pessimistica sulla natura del potere e sulla possibilit di determinarne una logica diversa, fa dellazione dinganno il centro organizzativo della fabula, che finisce con il coincidere con lideazione, la preparazione e la realizzazione del dolus. La solidariet tra regnum e fraus , nel Thyestes, il meccanismo genetico dellazione e la ragione fondamentale della sua unit.2) IL PROLOGO (VV. 1-121)

2A) IL PROLOGO NELLA TRAGEDIA ATTICA. NellAtene del V secolo a.C., Sofocle costruisce dialoghi dapertura che fungono da premessa allazione, della quale non viene tuttavia anticipata la conclusione. La consapevolezza della sostanziale fragilit delluomo e della debolezza della sua conoscenza, legata al mondo dellapparenza e contrapposta al divino possesso della verit, non determinano la scomparsa della fiducia nel racconto mitico, ch anzi esso utilizzato per illustrare la problematicit delluniverso nella tensione tra tempo degli uomini e tempo degli dei. Di conseguenza, il poeta non altera nella sua opera la sequenza degli avvenimenti del mito; il pubblico, opportunamente informato sui presupposti della vicenda e sul carattere dei personaggi, si trova cos nelle condizioni ideali per prendere parte alla rappresentazione scenica.Le cose cambiano radicalmente con Euripide. Portatore di una concezione razionalistica della vita, sensibile agli influssi della sofistica, autore di un passo decisivo per lo spostamento della fabula nel dominio dellimmaginario, lultimo dei grandi tragici attici utilizza il mito come involucro, allinterno del quale innestare tutta una serie di varianti frutto dellautonomo intervento creativo del poeta. Diviene quindi essenziale, per assicurare la preinformazione dello spettatore, che il prologo assuma una funzione prevalentemente espositiva; i mutamenti introdotti rispetto alla normale sequenza mitica saranno inoltre segnalati da uno o pi monologhi recitati dal personaggio che realizza lintrigo, centro motore dellazione nel dramma euripideo. Tuttavia, nei prologhi delle Baccanti e dellIppolito, pronunciati da divinit, vengono comunicati non soltanto alcuni aspetti della vicenda, ma la sua stessa conclusione: viene cos anticipato il contenuto dellintero dramma, il cui svolgimento si trova racchiuso in nuce nel prologo.2B) IL PROLOGO DEL THYESTES E LE SUE FONTI. Strutturato comunemente come monologo, il prologo senecano rinnega sostanzialmente il carattere espositivo (ossia segnalatore degli elementi dinnovazione introdotti dal poeta nella vicenda mitica) del modello euripideo, potenziandone parallelamente la funzione di predire allusivamente quanto accadr nella fabula e di delineare il carattere del protagonista. Come in Euripide, anche in Seneca i prologhi possono essere recitati da personaggi umani o da entit divine, e questultimo il caso dellHercules furens, ove compare Giunone, mentre nellAgamemnon e nel Thyestes si muovono sulla scena ombre infernali che fungono da prsopa protatik [sintagma in lingua greca], personaggi introduttivi destinati a non ricomparire nel corso del dramma.Nel prologo del Thyestes (vv. 1-121), che costituisce un esempio di prologo dialogico nel teatro senecano, si affrontano una Furia ed il fantasma di Tantalo, evocato daglInferi perch ispiri nei suoi discendenti il suo stesso furor, spingendoli a nuovi delitti, il primo ed il pi terribile dei quali devessere la cena tiestea. La fonte principale di Seneca per questo passo stata gi da lungo tempo indicata nel dialogo che si svolge tra Iride e Lissa nellEracle euripideo (vv. 822-874), in cui Iride incarica Lissa di causare laccecamento delleroe, premessa necessaria allassassinio per sua mano della moglie e dei figli. La scena euripidea, che postula il precedente dellAiace di Sofocle, ove Atena comunica ad Odisseo la sua intenzione di sconvolgere la mente di Aiace (Aiace 51-ss.), svolge la tematica del dio che inganna e riveste una chiara funzione anticipatrice della seconda parte dellazione. Recentemente sono stati evidenziati anche sicuri paralleli con Eneide VII, 323-571 (Giunone ispira furor in Turno, re dei Rtuli e principale antagonista di Enea), che fanno pensare alla utilizzazione sia dellEracle sia dellEneide per la composizione del prologo del Thyestes. Si tratta di una significativa conferma del modus operandi di Seneca, il quale rielabora con grande libert i suoi modelli, tratti dallintero patrimonio consegnatogli dalla tradizione letteraria, che egli concepisce come un unico macro-testo allinterno del quale attuare la combinatoria che presiede alla creazione della sua opera drammaturgica.2C) GENUS, FUROR E NEFAS (VV. 1-53). Lombra di Tantalo compare sulla scena, dinanzi al palazzo regale dei Pelopidi, in preda ad una viva eccitazione, sottolineata dallinsistito succedersi delle interrogazioni (vv. 1-13a). Parzialmente accecata dalla luce del giorno, al quale riemerge dagli abissi infernali, essa non scorge la Furia ed tormentata dal timore che le venga inflitta una nuova punizione, peggiore del supplizio sofferto nellAde. dunque presente, sin dai primissimi versi, il tema della fame e della sete come dati connotativi del personaggio di Tantalo (vv. 4b-6a); ancor prima che egli pronunci il suo nome, il pubblico pu riconoscerlo dal cenno ai cibi fugaces che si sottraggono alla sua bocca (v. 2).La breve raffigurazione (vv. 6b-12) delle pene di Sisifo e di Tizio riveste un ruolo importante nelleconomia drammatica del prologo e dellintera tragedia. Evocata e descritta dalla parola, si apre qui una scena seconda, parallela alla prima, non meno importante di quella per lo sviluppo dellazione e per il suo significato. Micene e lAde sono, difatti, connessi inestricabilmente: la distanza incolmabile tra il regno dei morti e quello dei viventi annullata, mentre lampliamento dello spazio scenico ad una seconda dimensione si qualifica come tratto distintivo della vicenda rappresentata. Il mondo degli Inferi, grazie allombra di Tantalo, fa la sua apparizione sulla terra: gli effetti di questo evento sconvolgente si paleseranno tra breve e permarranno per tutta la durata del dramma.Il ricordo dei tormenti lasciati nel sottosuolo rinfranca Tantalo, che eleva una sfida allentit sconosciuta da cui stato trascinato dinanzi alla reggia di Atreo, invitandola a trovare una nuova punizione che possa intimorirlo (vv. 13b-18a). Ergendosi nella dimensione titanica del grande peccatore che coscientemente si contrappone alla divinit, egli rivendica con un sorprendente lampo dorgoglio il suo ruolo di capostipite nei confronti della turba dei suoi discendenti, che superer i delitti dellavo e lo render innocente: per mezzo di costoro, che oseranno ci che non mai stato osato, egli riempir la dimora di Minosse (vv. 18b-23a).Compaiono qui, semplicemente accennati, tre elementi tematici che rivestono grande rilievo nel Thyestes: il legame tra leroe ed il suo genus; il rapporto emulativo esistente tra gli appartenenti al genus nel realizzare il delitto; la ricerca di inausa (v. 20) come garanzia di successo nella competizione scellerata. Si tratta di motivi che, unitamente a quello dellevocazione del mondo infernale, ritornano assiduamente nel corpus tragico di Seneca e la cui presenza non pu certo essere considerata casuale.Ancora maggiore importanza ha il termine nefas, che compare per la prima volta al v. 28, in ultima sede e quindi in posizione di rilievo. Il nefas, che non da intendere come sinonimo di scelus, ma propriamente la negazione del fas e quindi della legge divina di cui i iura naturae (diritti di natura) sono espressione, infatti visto come prodotto dal caecus furor (cieco furore, v. 27) che pervade gli esponenti della stirpe, caratterizzandosi come malattia ereditaria che permane attraverso le generazioni.

Alla luce di queste considerazioni si comprende come mai dal v. 42b al v. 46a la Furia alluda ad eventi che trascendono le vicende oggetto del Thyestes: proprio perch sovvertimento dellordine naturale, il nefas anche instaurazione non episodica ma definitiva di una norma nuova, infera, che comporta la sistematica violazione delle antiche leggi di sangue e la profanazione del sacro. Lallusione ad Agamennone ed alla guerra di Troia dunque funzionale rispetto allo scopo primario di sottolineare nel nefas lelemento-cardine fondante di un novus ordo e la conseguente contaminazione che un simile tipo di colpa causa nel mondo intero (effusus omnes irriget terras cruor, il sangue versato irriga tutte le terre, v. 44). La solidariet tra furor, genus, nefas produce effetti che si dispongono lungo un asse diacronico, che ha in Tantalo il punto di partenza e nella dinastia dei Pelopidi la struttura portante.Facendone motivo di vanto, Tantalo aveva rivendicato a s lintenzione di colmare con gli esponenti della sua razza tutti i posti ancora vuoti nellempia dimora del Tartaro; la Furia replica sardonicamente, comandandogli di riempire di s tutta la sua casa. Parola fortemente ambigua, implere (riempire) evoca la sfera semantica del cibo e rinvia perci allusivamente sia al motivo della fame e della sete, tratti distintivi del personaggio-Tantalo, sia alla successiva prefigurazione della cena di Tieste (vv. 62-66a), ma pu anche suggerire lidea della possessione del fedele o del poeta ad opera di unentit sovrannaturale. Tantalo, nella sua qualit di capostipite e di autore primo del nefas, deve appunto ispirare il furor, che fa tuttuno con la sua persona, nei suoi discendenti. La funzione che egli chiamato a svolgere pertanto simile, nella sua specularit negativa, a quella della divinit, mentre i membri del genus si pongono in un poetico rapporto di emulazione tra di loro e nei confronti della tradizione di famiglia, alla ricerca del crimen novum (v. 30).In questa prospettiva il furor non generico moto passionale dellanimo, ma rifiuto protervo di accettare i vincoli imposti dai iura naturae, cosa che porta necessariamente alla rottura del fas. Esso caecus in un duplice senso, perch frutto di accecamento delle capacit razionali delluomo e perch lo rivolge contro i propri consaguinei: il caso di Atreo, che fa strage dei nipoti sullaltare; di Edipo, che uccide il padre e maledice i figli; di Fedra e di Teseo, che determinano in modi differenti la morte di Ippolito; di Ercole, che stermina la sua famiglia, con lunica eccezione del vecchio Anfitrione; di Clitemnestra, che sacrifica la vita dello sposo pi al timore che venga scoperto ladulterio con Egisto che al desiderio di vendetta; di Deianira, che provoca involontariamente la morte del marito; di Medea, che immola i figli allodio per Giasone. Dato costitutivo di questo teatro, il motivo del furor costituisce la variante senecana di un tema fondamentale nella tragedia greca, quello della perdita della ragione, che penetra leroe e lo spinge, preda di accecamento, ad atti criminosi di empia violenza. Poich il furor origina il nefas familiare, nel Thyestes la macchia inespiabile che si trasmette di padre in figlio non pu che coincidere con colui che per primo ha commesso la colpa, cio Tantalo.Atreo pervaso da una furia distruttrice, entit al contempo presente in lui ed a lui esterna, sicch ogni sua azione pu essere letta su due piani, come manifestazione del suo carattere o come prodotto della volont della sinistra potenza che lo possiede. Il problema del rapporto tra libert individuale e fato nelle tragedie di Seneca va dunque visto nella prospettiva del genere letterario e della assunzione-modificazione di un elemento semantico tra i pi importanti del sistema ideologico in cui si articola il dramma attico. A tal proposito, Seneca non nega la responsabilit individuale, giacch questa consiste nellautonoma decisione delleroe, determinata dal suo carattere, di accogliere dentro di s il furor, il quale poi agir nellinsondabile profondit dellanimo producendo frutti di dolore e di morte, in linea con le caratteristiche della colpa primigenia. Destino della razza e decisione soggettiva convergono verso la creazione del delitto inarrivabile, il quale, per essere concepito e realizzato, postula lintervento attivo di una forza straordinaria, che al di fuori delluomo, ma che questi pu far entrare in s.I tria regna sono tutti sottoposti ad un sommovimento profondo, che muta in modo radicale i termini del corso normale della vita e che leffetto della trasgressione del fas. La retorica intensificazione del pathos, sottolineata dal forte climax presente in questi versi, dunque finalizzata allillustrazione-interpretazione di un altro dei grandi temi della tragedia greca: la contaminazione che la colpa opera non solo sulleroe, ma anche sulla realt circostante, facendo di lui una fonte di contagio (in greco, pharmaks) che necessario allontanare dalla comunit per la salvezza collettiva.2D) LA TEMATICA DELLA NOVITAS (VV. 54-66a). Le parole che la Furia pronuncia allinizio della seconda sezione del suo discorso sono caratterizzate da ambiguit. Da una parte, infatti, lalloro verdeggiante sulle porte della reggia, dallaltra il fuoco che risplende sugli altari per accogliere adeguatamente il ritorno di Tantalo nella sua antica dimora (vv. 54-56a), suggeriscono lidea di celebrazioni religiose preparate per festeggiare lepifania di una divinit. Ma, con brutale sarcasmo, la Furia svela improvvisamente alla sua vittima in che cosa consista la festa che lattende: splendescat ignis Thracium fiat nefas / maiore numero! [risplenda il fuoco che il sacrilegio avvenuto in Tracia si verifichi con un pi grande numero (di partecipanti)!, vv. 56b-57a]. Lo studiato, violento effetto di sorpresa viene accentuato dalla giustapposizione ignis-Thracium: il fuoco, che evoca limmagine del sacro, serve invece a realizzare il nefas (di cui si noti la ripetuta collocazione in ultima sede): il sacrificio in onore della divinit si trasforma dunque nel suo opposto, lempia profanazione degli altari (patruos polluat sanguis focos, il sangue insozzi gli altari paterni, v. 61b).

Occorre qui cogliere un primo, importante parallelismo tra il comportamento delle due entit non umane che agiscono nel prologo e quello di Atreo e Tieste, protagonisti della fabula. Come Atreo far con il fratello, cos la Furia illude Tantalo: gli presenta la realt fallace di un ritorno felice per poi mostrargli, inatteso, labisso di sofferenza che gli spalanca dinanzi. Sin da ora linganno appare sulla scena quale dato caratterizzante della vicenda rappresenta, centro motore dellazione. Il dislivello conoscitivo tra ingannatore e ingannato e quindi la superiorit del primo sul secondo ha un risvolto immediato sul piano dellespressione nella pi sferzante delle ironie, e anche questo un elemento che accomuna Atreo e la Furia.Il delitto cui Tantalo chiamato ad assistere non una novit per lui (vv. 62b-63a), poich anchegli ha ucciso un consanguineo, il figlio Pelope, per portarne le carni sulla mensa degli dei. dunque giusto che Tantalo prenda parte ad un banchetto simile a quello da lui imbandito, che si disseti e si sazi con sangue e carne umana (vv. 62-66a). Risulta qui in tutta evidenza, sottolineato dal ritorno del tema della fame e della sete, il rapporto di continuit/innovazione che lega il delitto del capostipite a quello che realizzer il suo discendente. Atreo non dovr inventare nulla di nuovo, ma si limiter a potenziare un crimine gi sperimentato. La macchia della stirpe si ripresenta di generazione in generazione con le stesse immutabili caratteristiche, ma con un maggior potere di contaminazione, perch pi grande la quantit del sangue versato. Nuovo e vecchio insieme, il delitto di Atreo sar frutto di una tradizione e delle variazioni che egli sar capace di apportare.Linsistenza sul carattere di novit dello scelus (v. 30), sul suo ingrandirsi (v. 32), sul fatto che verr osato ci che in precedenza mai stato osato (v. 20) assume una precisa valenza, che pu essere colta pienamente solo nellottica dello spettacolo. In altri termini, si tratta di affermazioni che acquistano significato solo se viste in funzione del pubblico che ne destinatario, cui si garantisce loriginalit della vicenda che sta per essere rappresentata. Un simile modulo drammatico attestato per la prima volta, in ambito tragico latino, nel teatro di Seneca, ma probabile che abbia trovato attuazione gi nella tragedia di et mediorepubblicana. Ad ogni modo, la riproposizione da parte di Seneca di questo segnale, rivolto al destinatario, testimonia della sua attenzione per gli aspetti specifici della comunicazione drammatica, giacch la sottolineatura della novit e della spregiudicatezza della rappresentazione in corso ha la funzione di rassicurare e potenziare le attese del pubblico. In tal senso, il crimen di Atreo sar novum non per una sostanziale diversit rispetto al delitto-modello dellavo, ma per le nuove modalit attraverso cui si realizzer. Con matura sensibilit artistica, lelemento innovatore viene individuato non nel materiale a disposizione dellautore, ma nella differente organizzazione formale che egli in grado di realizzare. Tematica che permea lintero corpus tragico di Seneca, la ricerca dello scelus novum, maius, inausum (crimine nuovo, pi grande, mai osato), nellambito del rapporto di continuit delleroe o delleroina con la propria stirpe, trova voce di frequente ad opera dello stesso protagonista dellazione (in questo schema una qualche differenza presenta solo la figura di Medea, dato che, nel suo caso, i modelli da superare sono costituiti dai suoi stessi precedenti delitti). In rapporto analogico con gli eroi delle sue fabulae, il poeta ha dinanzi a s, nel momento della creazione, un patrimonio di miti prezioso, consegnatogli da tanta nobile tradizione letteraria, ma ormai logorato da innumerevoli riproposizioni. Usando quel materiale, variandone i dati formali, accrescendo gli effetti, introducendo elementi sorprendenti, egli sapr creare una tragedia nuova, che soddisfi le aspettative del suo pubblico.2E) LO SCHEMA DELLINVERSIONE (VV. 66b-121). La soddisfatta constatazione con cui la Furia conclude il suo primo intervento (inveni dapes / quas ipse fugeres, ho trovato cibi che tu stesso fuggiresti, vv. 66b-67a) introduce un motivo che origina un vivace movimento scenico. Tantalo, terrorizzato dallatroce prospettiva che gli si presenta, cerca di fuggire, ma viene fermato dalla sua persecutrice (v. 67b). Dopo aver espresso la propria preferenza per il mondo infernale rispetto a quello dei vivi (vv. 68-83a), ottiene di ritornare nellAde, ma non prima di aver contaminato la reggia ed ispirato il furor sulla sua discendenza (vv. 83b-86a). Consapevole che diverrebbe strumento di punizione e di contaminazione, dapprima Tantalo rifiuta il compito impostogli e, rivolgendosi al padre degli dei, ammonisce i nepotes a non profanare gli altari con un empio sacrificio, ergendosi a baluardo che impedir lo scelus (vv. 86b-95). Ma la Furia lo minaccia con i suoi serpenti, ridesta la sua fame e la sua sete e lo costringe ad ubbidire (vv. 96-100). La contesa si chiude con lingresso dellombra nel palazzo, dove instiller in Atreo ed in Tieste una reciproca sete di sangue (vv. 101-103a). Allorch la domus manifesta, tremando, lavvenuto contagio (vv. 103b-104), la Furia permette alla sua vittima di allontanarsi ed illustra le conseguenze che la sua presenza ha determinato sulla terra: lacqua si ritira nel suolo, i frutti fuggono dai rami, gli abitanti di Argo temono nuovamente lantica sete, il Sole in dubbio sullopportunit di proseguire il cammino consueto (vv. 105-121).

Tantalo esaurisce il suo compito portando il contagio dentro il palazzo; egli deve avviare lazione, non seguirne lo svolgimento, ch anzi la sua assenza sottolinea la forza eccezionale del suo potere di contaminazione ed il carattere durativo che questo riveste.Il tema dellaffiorare del Tartaro sulla terra il filo conduttore della seconda parte del prologo, e produce quel processo di intensificazione del pathos e di accumulazione degli effetti che caratteristico delle tragedie di Seneca. Il primo ed il pi immediato risultato dellevocazione dellombra di Tantalo , infatti, la singolare inversione di condizione che essa provoca, per cui le pene infernali divengono preferibili alla permanenza tra i vivi. Parallelamente, la fame e la sete, che costituiscono il tratto distintivo del personaggio, fissato da unormai lunga tradizione letteraria, si estendono non solo sui suoi discendenti come insaziabile desiderio di sangue, ma anche su tutta la realt circostante, che viene afflitta dalla mancanza di cibo e di acqua. La logica del rovesciamento governa tutto il passo: il prologo si apre con limmagine dei cibi che fuggono dinanzi alla bocca avida di Tantalo e si chiude con la sua fuga davanti alle vivande offertegli; loltretomba, presentato inizialmente come luogo di orrore, diviene infine rifugio ambito ed ospitale; anche lacqua ed il Sole si muovono in direzione opposta a quella stabilita dallordine naturale. Unuguale polarit ed un uguale processo di inversione si manifesta nellinfelice che tornato tra i viventi: rappresentato dapprima come il grande peccatore orgoglioso della sua colpa, egli appare alla conclusione del prologo come una figura penitente, come testimoniano linvocazione alla divinit ed il tentativo di impedire la ripetizione del delitto archetipico.La radice delloriginalit e dellefficacia drammatica della figura senecana va ricercata nella identificazione della Erinni/Furia (lo spirito vendicatore) della stirpe con il capostipite di essa: infatti la raggiunta consapevolezza di questa condizione (espressa nei vv. 86b-87a, me pati poenas decet, / non esse poenam: a me si addice sopportare i castighi, non essere il castigo) la molla che fa scattare in Tantalo il capovolgimento del suo atteggiamento. Assistiamo, cos, alla straordinaria apparizione sulla scena di unentit che condivide un doppio status, umano e non umano, e che, pur incarnando lorigine stessa del male, rifiuta questo ruolo, cercando di impedire lazione della forza che in lei. Creatura realmente tragica, Tantalo vive in s la scissione tra essere e voler essere.Linsaziabilit di Tantalo assume nei suoi nepotes i connotati di una brama inesausta di potere, che si esplicita nel desiderio del sangue del fratello nemico. Nefas e regnum presentano un primo, inquietante punto di contatto.Lintento di rifugiarsi negli Inferi per sottrarsi allinsopportabile vista di un universo contaminato e sconvolto per tratto pertinente di altri personaggi di questo teatro. Come Tantalo, anche Ercole, Edipo, Fedra, Teseo esprimono il desiderio di fuggire dalla terra e di cercare unimpossibile pace nel mondo dei morti. La formalizzazione di questo elemento nella scrittura tragica senecana leffetto della compresenza, accanto alla scena prima, di una scena seconda che consente spazi supplementari allazione. Leventum oggetto della fabula svela la sua reale natura nellintersezione di molteplici coordinate spaziali e temporali: loscuro passato del genus riemerge nel presente, trascinando con s i mostri del Tartaro; i protagonisti del dramma si muovono su di un doppio palcoscenico ed in un tempo indefinito, che deriva dallintreccio di passato, presente e futuro.

2F) PREINFORMAZIONE E SPETTACOLO. Lesposizione, da parte della Furia, delle sanguinose vicende dei Tantalidi si pone, a causa della natura divina della sua autrice, ad un livello sovratemporale e, assumendo le caratteristiche della profezia, determina il corso degli avvenimenti secondo un ordine stabilito che non potr pi mutare. In tal modo, attraverso una prenarrazione che comprende svolgimento ed esito della tragedia, viene assicurata lindispensabile preinformazione degli spettatori. Risulta perci tanto pi sorprendente, alla luce del successivo sviluppo dellazione, che nelle parole della Furia come anche in quelle di Tantalo non venga operata alcuna distinzione tra Atreo e Tieste, presentati entrambi come ugualmente colpevoli, preda luno e laltro dello stesso furor della stirpe. In contrasto con quella che la sua funzione istituzionale, il prologo presenta quindi nei confronti del pubblico un elemento di inganno che si sveler come tale solo allapparire di Tieste sulla scena (vv. 404-ss.). Non ci troviamo semplicemente di fronte ad un mutamento della sintassi tragica, che rinvia il completamento dellinformazione a fasi successive, ma ad un pi complesso intervento sulla natura stessa dellinformazione, che si manifesta non interamente rispondente al vero: si pu allora concludere che il prologo del Thyestes rivela una duplice valenza, di verit e dinganno, in linea con la contrapposizione realt/apparenza, verit/ finzione che il leitmotiv della fabula: preannuncia correttamente il corso degli eventi, ma ne fornisce una chiave interpretativa parzialmente falsa.Linnovazione operata da Seneca trova una convincente spiegazione nella prospettiva spettacolare della sua tragedia. La ricerca della novitas, riflesso necessario di una concezione della poesia come finzione, creazione delle capacit fantastiche del poeta, trova modo di realizzarsi nel colpo di scena, imprevedibile perch elude le informazioni in possesso del pubblico, ma proprio perci gradito. Nella versione senecana del mito esistono sostanziali somiglianze tra Tieste e il suo avo: giunto al cospetto della reggia, anche Tieste verr assalito dallimpulso di fuggire, anche Tieste si mostrer pentito delle sue colpe, anche Tieste asserir di preferire le sofferenze del passato allapparente felicit che gli viene offerta e, dopo aver appreso dellassassinio dei figli, esprimer il desiderio di sprofondare nel Tartaro. Il rapporto vittima-carnefice che si instaura tra Tantalo e la sua persecutrice prefigura, dunque, quello che si istituir nel dramma tra i due protagonisti; pi ancora, propone nel prologo la stessa struttura della tragedia. La fitta rete di relazioni esistente tra la scena introduttiva ed il resto dellopera si completa se si tiene presente che la Furia anche personificazione del desiderio di vendetta da cui Atreo pervaso. La totalit di questi aspetti, e quindi il loro significato complessivo, diviene per fruibile da parte del destinatario soltanto dal momento in cui Tieste rivela il suo vero modo dessere. Leffetto-sorpresa entra a far parte dello spettacolo, estrinsecazione, sul piano della comunicazione teatrale, dei molteplici effetti che produce la collocazione al centro del dramma della tematica dellinganno.3) IL PRIMO CANTO CORALE (VV. 122-175)3A) LA PRIMA PARTE (VV. 122-137). Fatto salvo quanto detto, pur vero che il motivo della fraus si inscrive esplicitamente nel tessuto drammatico soltanto nel primo canto corale, i cui rapporti di stretta connessione col prologo sono ben noti. Il coro si apre con una commossa preghiera ai numi tutelari di Argo e del territorio circostante perch impediscano il sorgere di nuove contese nellempia stirpe di Tantalo (vv. 122-137). Significativamente, linvocazione percorsa dal dubbio sulla benevolenza divina. La condizione del coro appare cos, sin dal suo ingresso sulla scena, quella dellignoranza, cui si mescola per un oscuro presentimento dei mali incombenti. Questultimo aspetto evidenziato dal fatto che i luoghi per cui si implora la protezione degli dei (Argo, lIstmo di Corinto, lAlfeo, i monti vicini) sono gli stessi che nella scena iniziale diventano oggetto della contaminazione di cui lombra di Tantalo portatrice. 3B) LA SECONDA PARTE (VV. 139b-175). Fungono da passaggio tra la prima e la seconda sezione del canto i vv. 138-139a [peccatum satis est: fas valuit nihil / aut commune nefas, il delitto (commesso) sufficiente; nulla valsero (nel tenere la stirpe lontana dal crimine) il diritto divino o (almeno almeno laccontentarsi del)lordinaria scelleratezza], che definiscono e propongono non in unottica di parte, bens oggettiva, la natura della colpa della stirpe, identificata nella violazione del fas e nella ricerca del delitto ineguagliabile. Il coro non , quindi, parafrasi del prologo, ma decodificazione ed enunciazione, consegnate alla fruizione del pubblico, dei significati del racconto mitico.

La seconda parte del canto illustra i crimini di Pelope e di Tantalo (vv. 139b-148) e fornisce una spiegazione in termini razionali delle motivazioni del supplizio della fame e della sete (vv. 149-151), che viene poi ampiamente descritto, sviluppando temi ed immagini gi presenti nel modello omerico. Sono qui evidenziati, accanto ai consueti elementi emblematici della figura di Tantalo, due tratti distintivi dei delitti del genus, linganno ed il carattere sacrificale. Tantalo, infatti, immola il figlio sugli altari prima di farlo a pezzi, mentre lo scelus di Pelope costituito da un doppio dolus [proditus occidit / deceptor domini Myrtilus, Mirtilo, ingannatore del padrone, cadde (a sua volta) tradito, vv. 139b-140a]. Per di pi, anche la pena cui sottoposto lavo di Atreo e di Tieste si rivela come un eterno susseguirsi di inganni: Tantalo continuamente ingannato dai rami carichi di frutti. Lindividuazione della fraus e del sacrificio empio quali segmenti essenziali della rete connotativa della colpa della stirpe comporta il fatto che essi siano destinati a riprodursi nello scelus di Atreo. Viene cos accresciuto, in un punto estremamente importante, il patrimonio delle conoscenze dello spettatore sulla vicenda che sta per essere rappresentata.

4) IL PRIMO ATTO (VV. 176-335)4A) UNA SORTA DI SECONDO PROLOGO. Dopo il prologo ed il successivo canto corale, lazione drammatica si avvia con lapparire sulla scena di Atreo e del satelles, il dialogo tra i quali riveste il carattere di un secondo prologo. Ora, il motivo che postula nel Thyestes lesistenza di un secondo prologo duplice. In primo luogo bisogna osservare che le parole della Furia e di Tantalo hanno fornito allo spettatore un quadro di riferimento sovrumano per le vicende che saranno oggetto di rappresentazione (indicando nella colpa del genus la radice delleventum futuro di cui sono stati preannunciati gli elementi essenziali), ma non linformazione sui caratteri e sui sentimenti dei protagonisti, n sullantefatto umano che innesca lazione. In secondo luogo, accanto a questa ragione ve n unaltra, pi interna al testo perch relativa allorganizzazione formale degli elementi strutturali che lo compongono. Nel momento in cui Atreo compare sulla scena, egli si trova nella condizione che pi di ogni altra definisce leroe tragico: di fronte ad una situazione giudicata insostenibile, il protagonista del dramma si rivolge linterrogativo fondamentale su cosa fare, medita su modi e fini dellazione, ne esamina i rischi ed i possibili vantaggi. Ma nel Thyestes, a differenza che nella tragedia eschilea o sofoclea, il carattere di scommessa sullavvenire e su di s che assume lazione delleroe non deriva dallinconoscibilit del volere divino (che in Eschilo e Sofocle si manifester solo alla conclusione della vicenda mitica, rivelando alluomo ci che egli ha realmente compiuto e quindi anche il suo vero volto), ma ha una spiegazione tutta umana: Atreo ha di fronte a s un rivale, il fratello, con cui deve misurarsi in una gara nel realizzare il delitto, ed allora opera una scommessa che connessa alle iniziative che deve intraprendere e che dipende esclusivamente dalle sue qualit dintelligenza, di forza e dastuzia, le quali determineranno il suo successo od il suo irrimediabile fallimento (in unottica tipicamente romana, tutto affidato allindomabile energia delluomo, capace di costruire da s il proprio destino). Ancor pi dellazione in s devono dunque essere studiati i modi attraverso cui essa pu essere realizzata, perch da questi dipende lesito finale. Leventum rappresentato nella fabula consiste allora nellideazione, nella preparazione e nellesecuzione di un piano ingegnoso, che consenta al suo creatore di affermarsi sullavversario. Linganno come frutto dellintelligenza astuta entra cos a far parte del Thyestes, divenendone il centro organizzativo proprio perch ne provoca lo svolgimento fino alla conclusione.Il modello che si propone a Seneca , naturalmente, quello del dramma dintrigo, sperimentato da Eschilo nelle Coefore e da Sofocle nelle Trachinie, nellElettra e nel Filottete, ma definitivamente formalizzato da Euripide. La straordinaria fortuna di cui questa struttura godette nella produzione teatrale greco-latina, e che testimoniata dalla palliata plautina, fu determinata dal fatto che essa forniva il supporto di un modulo compositivo di grande semplicit ed efficacia, utilizzabile, modificandone il registro espressivo, sia da parte del tragediografo che da parte del commediografo, e riproponibile, attraverso opportune varianti, in un numero illimitato di testi. Inoltre, gi nelleconomia drammatica della tragedia euripidea lintrigo, opera delluomo, sospingeva ai margini dellazione il significato religioso di cui era portatore il racconto mitico, riducendone la funzione a quella di una sorta di cornice esteriore della rappresentazione. Anche da questo punto di vista, dunque, oltre che da quello delleconomicit, un simile modello formale si prestava particolarmente ad una versione latina.Ora, nel dramma dintrigo la meditazione delleroe, attuata in un monologo o in un dialogo, il punto che segna il passaggio dalla cornice mitica allazione vera e propria, il nodo da cui si diparte il movimento scenico. Esso ha quindi il valore di un secondo inizio, e come tale si traduce nel Thyestes in un secondo prologo, che adempie alle diverse funzioni di rivelare lethos del protagonista e di esporre nei dettagli la trama del piano elaborato e quindi della fabula stessa , completando cos la preinformazione del pubblico. Oltre che nel Thyestes, anche nellHercules furens, nelle Troades, nella Medea, nella Phaedra, nellAgamemnon, nellHercules Oetaeus il piano dazione ordito da un personaggio lelemento di aggregazione attorno a cui si dispone una parte pi o meno vasta dellazione. Tuttavia solo nel Thyestes lelaborazione dellinganno ha una collocazione iniziale nella successione delle diverse unit che strutturano la tragedia, segnale non dubbio dellampiezza e dellimportanza della tematica della fraus nella fabula. Sin dallinizio della rappresentazione, la scena prima si apre ad una scena seconda e genera un raddoppiamento dei piani che assume carattere totalizzante, giacch si estende fino a coprire quasi per intero la superficie del testo, innestandovi una sorta di gioco di specchi che si manifesta nella continua alternanza realt/finzione e di cui in qualche misura vittima persino lo spettatore.4B) IL PRIMO MONOLOGO (VV. 176-204a): LA TEORIA DEL REGNUM. Il primo atto si apre con un monologo di Atreo in cui possibile individuare due sezioni (vv. 176-191 e vv. 192-204a) di pressoch uguale estensione. Personaggio contrassegnato nella tragedia romana da una caratterizzazione tirannica che trova espressione nel celebre motto acciano oderint, dum metuant (mi odino pure, purch mi temano), Atreo appare, fin dalle prime battute, preda di violente passioni che lo spingono allazione. Nella solitudine del proprio io, egli sviluppa un dialogo con s stesso che si articola secondo la ben nota tecnica del monologo interiore, che aveva gi conosciuto frequente applicazione nel teatro tragico latino. Gi i primi versi danno modo al personaggio di rivelare appieno il suo ethos: ignave, iners, enervis et (quod maximum / probrum tyranno rebus in summis reor) / inulte: post tot scelera, post fratris dolos / fasque omne ruptum questibus vanis agis / iratus Atreus? [o indolente, inerte, snervato e (insulto che ritengo il pi grande per un tiranno, negli avvenimenti pi importanti) invendicato: dopo tanti delitti, dopo glinganni del fratello ed ogni diritto divino spezzato, tu vivi irato tra vani lamenti, o Atreo?, vv. 176-180a]. Atreo si rivolge a s stesso con la seconda persona, pronuncia il proprio nome realizzando quel processo di sdoppiamento che sempre si verifica allinterno del personaggio che recita il monologo interiore e si rimprovera per la propria vigliaccheria, inerzia, fiacchezza. Invendicato (v. 178) e irato (v. 180), collocati entrambi in prima sede nei rispettivi versi, definiscono lo stato danimo delleroe: ira e desiderio di vendetta sono i sentimenti che si agitano dentro di lui, ed appena il caso di ricordare che nel dramma attico la violenta passionalit tratto distintivo di ogni figura di tiranno che compaia sulla scena. Dinanzi a lui vi una situazione non tollerabile, che richiede un intervento decisivo, ed egli ancora non ha preso alcuna iniziativa. Scelera (delitti), doli (inganni), fas omne ruptum (ogni diritto divino spezzato) delineano con un efficace climax la natura dellinsulto subito e, parallelamente, preannunciano nelle linee essenziali la punizione cui sar sottoposto Tieste. Viene cos posta nella maniera pi chiara lesigenza di elaborare un piano, tuttora inesistente, che risponda a tale necessit.Accanto a questi primi due elementi (rimprovero a s, necessit di agire) possibile isolarne un terzo che, per la sua importanza, fornisce una chiave di lettura per lintera tragedia. Limpazienza di Atreo non prodotta soltanto dal risentimento per le offese subite; egli tyrannus, e in questa ottica da un lato la vendetta un dovere ineludibile, dallaltro la virtus coincide con la pronta attuazione del delitto. Il retorico crescendo di effetti dei vv. 180b-189, in cui trova voce il desiderio di Atreo di mettere a ferro e fuoco il mondo intero per combattere lodiato nemico, ricorrendo persino allimpiego della flotta (v. 182) e degli squadroni di cavalleria (v. 185), dunque finalizzato alla duplice illustrazione dellenormit dellira che pervade il personaggio sulla scena e della valenza ideologica di questa figura. In tal modo furor e regnum appaiono uniti in un rapporto talmente indissolubile, da farne le due facce duna stessa medaglia: la realt del potere richiede il supporto di una lucida follia che permetta al tiranno di annientare qualsiasi avversario che attraversi la sua strada. I vv. 190-191, che concludono la prima parte del monologo, sottolineano lirrevocabilit della decisione di agire, qualunque conseguenza essa comporti.Posto in questi termini il problema tragico dellindifferibilit dellazione, lattenzione si sposta sulle caratteristiche che questa deve avere (vv. 192-204a). Lappello allanimo, elemento topico, a partire da Odisseo, nella sequenza di segmenti di cui si compone il monologo interiore, chiarisce questo aspetto: age anime, fac quod nulla posteritas probet, / sed nulla taceat: aliquod audendum est nefas / atrox, cruentum, tale quod frater meus / suum esse mallet. Scelera non ulcisceris, / nisi vincis (suvvia, o animo mio, fa ci che nessuna posterit approvi, ma che nessuna passi sotto silenzio: bisogna osare qualche nefandezza atroce, sanguinosa, tale che mio fratello avrebbe preferito fosse sua. Tu non vendichi i delitti, se non li superi, vv. 192-196a).Si tratta dunque del nefas, del sovvertimento dellordine naturale, cui demandato il compito di assicurare al suo autore una fama imperitura, sia pure nella disapprovazione dei posteri. Secondo lo schema strutturale del rovesciamento che abbiamo individuato nel prologo, tutti i valori risultano capovolti: la virtus si esplica nel compiere la vendetta; la gloria assicurata dalla grandezza del crimine. E tuttavia ci non determinato dalla malvagit individuale di Atreo, ma dalla logica interna del regnum, come dimostrer il successivo dialogo col satelles, e come gi chiariscono i vv. 201-202, che sottolineano come il prevenire lavversario sia una necessit cui il tiranno non pu sottrarsi. Compare qui, sia pure soltanto accennato, un motivo importante, quello del metus cui esposto chi vive nellaula. A questi temi si aggiunge quello anchesso rilevato nel prologo della gara nel realizzare il delitto che si instaura tra i componenti del genus. Naturalmente, perch la competizione, che ha per premio lo scelus stesso (in medio est scelus / positum occupanti, il delitto messo a disposizione di chi se ne impossessa, vv. 203b-204a), possa aver luogo, occorre che i rivali siano di uguali capacit, e difatti Atreo dipinge il fratello come dotato di ingenium indocile (carattere ribelle), privo di ogni misura nella buona sorte, indomabile nella disgrazia (vv. 198-200).Nefas e regnum rivelano dunque unintima connessione, la quale pu essere formalizzata nel seguente paradosso: il potere, ordine costituito, costituisce, in realt, un sovvertimento dellordine naturale. Come tale, esso trova nel nefas il fondamento su cui si basa. Da qui la necessit, che Atreo non manca di segnalare, del delitto sovrumano, che in questottica diviene la pietra angolare su cui costruire il regnum, il primo capovolgimento, che implica e trascina con s tutti gli ulteriori rovesciamenti che si producono nei rapporti tra gli uomini e nella natura stessa. Tieste ha violato il fas, dimostrando la fragilit di un potere rispettoso delle norme morali; si impone dunque una risposta che valichi definitivamente quelle norme e ne instauri di nuove. Il furor, la forza cio che spinge il protagonista del dramma nella direzione ora indicata, e che dovrebbe essere considerata come pura follia nella dimensione di una morale che rispetti i iura naturae, assume invece connotati freddamente razionali nella logica nuova del regnum. Lintero processo di rovesciamento qui palesatosi non pu non richiamare alla mente dello spettatore quanto il prologo annunciava: lAde sulla terra (e ora esso acquista i tratti connotativi del regnum: la Furia impone inflessibilmente il suo volere), e dietro il suo volto infernale compare la maschera del tiranno.Bisogna infine notare, nellautoincitamento che Atreo si rivolge, unaffermazione che indica il carattere di scommessa e di rischio connesso con lideazione del nefas: aliquod audendum est nefas (bisogna osare qualche nefandezza, v. 193). Segnale micro-sintattico formalizzato nella tragedia euripidea e riprodotto nel teatro plautino, lappello allanimo indica lavvio della trasformazione del personaggio in eroe che, attraverso gli atti che compie, crea la tragedia. Presente perci anche nei drammi di Seneca, esso ripetuto, con frequenza altrove generalmente inusitata, nel primo atto del Thyestes, ove scandisce con ritmo incalzante le diverse fasi della meditazione di Atreo, fungendo da puntello allarchitettura della scena. Linsistita riproposizione dello stesso elemento morfologico va infatti posta in rapporto con lestensione e limportanza straordinaria che in questa fabula riveste la preparazione del delitto.4C) IL PRIMO DIALOGO (VV. 204b-219): LA SUPERIORIT TEORETICA DEL TIRANNO. La tematica ideologica sollevata nel monologo introduttivo trova piena espressione nel successivo scambio di battute con il satelles (vv. 204b-220). Con disarmante semplicit, il tiranno demolisce le obiezioni che gli muove il suo fido, portatore di una visione etica del potere: il giudizio del popolo non conta nulla, poich esso costretto non solo a sopportare, ma anche ad elogiare le azioni del suo dominus (vv. 204b-207a); alla laus sincera preferibile quella falsa, poich questa tocca solo al potente (vv. 207b-212); quando il rex si sottomette alla legge morale, precario regnatur (si regna in maniera precaria, vv. 213-215a); sanctitas, pietas, fides (lintegrit, la giustizia, la lealt) sono virt che deve perseguire il privato cittadino, non il re (vv. 215b-218). La sfera della morale privata viene cos disgiunta irrimediabilmente dalla sfera della morale politica (sembra di leggere Machiavelli!); il regnum rivela la sua separatezza dalla societ civile.Sul piano formale, la delineazione di una vera e propria teoria del regnum viene attuata mediante limpiego della sententia, la cellula stilistica di cui Seneca si serve. Atreo ed il satelles espongono le loro contrapposte concezioni del potere utilizzando brevi massime: il satelles introduce ad ogni battuta un tema [limportanza dellopinione del popolo; la gloria della vera popolarit; la rispettabilit come necessario attributo del sovrano; linstabilit di un regno che non sia fondato sul diritto e sulla giustizia; la sacralit dei legami familiari], che viene puntualmente ripreso dal tyrannus e da lui riproposto in un contesto ideologico del tutto differente: il dialogo, sapientemente costruito in modo da lasciare al dominus la possibilit di mutare di segno i contenuti ideologici enunciati dal suo interlocutore, inserendoli nellottica nuova del regnum, dunque finalizzato alla dimostrazione della superiorit teoretica del tiranno. Non privo di significato, da questo punto di vista, che lillustrazione delle due diverse visioni del potere sia affidata a personaggi che godono di statuti assai differenti nella tragedia. In altri termini, il fatto che la difesa dei principi del buon governo sia delegata ad un personaggio di rango inferiore, come il satelles, evidentemente determinata dallintenzione dellautore di dimostrare che tali principi non hanno alcuna possibilit di affermarsi. Il regnum dunque privo di alternative credibili, ed Atreo ha pienamente ragione nellasserire che esso costituisce lunico modo di essere del potere.4D) IL SECONDO MONOLOGO E LIDEAZIONE DEL NEFAS (VV. 220-244). Lanalisi sin qui compiuta dimostra che la sequenza iniziale del primo atto, formata da un monologo cui segue un dialogo, va letta in maniera unitaria. Essa fornisce infatti unesauriente illustrazione del carattere del protagonista, i cui sentimenti risultano per determinati dal ruolo pubblico che egli ricopre. Linterpretazione ideologica della figura di Atreo si propone, cos, quale chiave di lettura privilegiata del testo (ma, come avremo modo di vedere, non unica).Lultima battuta di questa sequenza iniziale pronunciata dal satelles (nefas nocere vel malo fratri puta, devi giudicare una nefandezza il nuocere ad un fratello, per quanto malvagio, v. 219), che riassume nel termine nefas linsieme delle idee di Atreo sullinutilit delle leggi morali per il rex e sposta nuovamente lattenzione su Tieste, consente al suo interlocutore di avviare con una breve sententia, in cui formulata lopposizione fas/nefas [fas est in illo quicquid in fratre est nefas, verso di lui (=verso Tieste) lecito tutto ci che illecito verso un fratello], un monologo-racconto che espone le vicende precedenti leventum rappresentato nella fabula (vv. 220-244). Latto si conclude poi con un nuovo e pi ampio dialogo, che mette in scena un duplice atto creativo: da un lato quello dellideazione del delitto, cui leroe perviene attraverso unattenta cernita dei mezzi che gli si prospettano (vv. 245-286a); dallaltro quello della preparazione dellinganno, necessario per attirare in trappola la vittima designata (vv. 286b-335). Si riproduce in tal modo la sequenza monologo-dialogo, volta in questo caso a connettere, nel presente della scena, il passato di avvenimenti trascorsi ed il futuro dellazione che sar intrapresa. Informazione e prolessi si rivelano gli aspetti fondamentali del primo atto, e ne giustificano la definizione di secondo prologo.Attraverso le parole di Atreo, lorigine della contesa tra i due fratelli viene indicata nei delitti di Tieste: il furto del capro dal vello doro, simbolo del potere regio, e ladulterio perpetrato con la moglie Erope (vv. 221-236). I due motivi dello stuprum e del furtum sono presenti sia in diverse tragedie euripidee, sia nellAtreus di Accio. Rispetto al modello latino, che riserva eguale rilievo ad entrambi gli elementi, Seneca ha introdotto una notevole modificazione, accennando brevemente alladulterio per sviluppare assai pi ampiamente (vv. 225-235), secondo moduli narrativi, la leggenda del ratto dellarcanus aries (magico ariete, v. 226). evidente che la possibilit di inserire nel tessuto drammatico aspetti favolosi, di grande effetto spettacolare, ha giocato un ruolo importante in questa scelta. Non bisogna per sottovalutare la componente ideologica, nella valutazione delle differenti opzioni. Accio, rappresentante dellaristocrazia senatoria pi conservatrice, si fa portavoce della necessit, profondamente radicata nella classe cui aderisce, della purezza della stirpe, considerata decisiva per la funzione aggregante che essa svolge allinterno del gruppo dirigente. In Seneca, invece, il maximum probrum (il disonore pi grande) per il tyrannus non , come in Accio, vedere contaminata la propria stirpe, ma rimanere invendicato. Ne consegue che il maggiore sviluppo che nel Thyestes conosce il motivo del furtum rispetto agli altri temi, pure presenti, dovuto anche al fatto che il possesso dellaureo capro assicura, a chi lo detiene, il regnum. Dal punto di vista dello sviluppo dellazione scenica, il dato di maggiore interesse costituito dalla constatazione che le caratteristiche degli scelera (crimini) di Tieste sono, nellottica della sua vittima, la violazione dei legami di sangue e ladozione sistematica della fraus. Lindividuazione di tali tratti distintivi implica, infatti, la conseguenza che lazione di vendetta si serva degli stessi strumenti e persegua gli stessi fini. Come, nelle Coefore di Eschilo, Oreste era necessitato a riprodurre verso gli assassini di suo padre Agamennone [cio verso la madre Clitemnestra e lamante che costei si era scelta, Egisto] un inganno uguale e contrario, perch la punizione divina potesse raggiungerli e lordine violato fosse ristabilito, cos Atreo costretto a creare un meccanismo dinganno che gli assicuri una vendetta assimilabile al torto subto. Ma tra il personaggio eschileo e quello senecano esiste una differenza fondamentale, che rende incolmabile la distanza tra di loro: il primo agisce spinto da una necessit religiosa, il secondo desidera realizzare un delitto che sia nefas, cio assoluta negazione della legge religiosa. La logica mitica cos piegata a quella profondamente empia delleroe, che si propone di raggiungere il proprio scopo attraverso lutilizzazione di materiali gi impiegati in precedenti delitti compiuti da esponenti della stirpe. Questo aspetto esplicitato nel nuovo appello che il tiranno rivolge a se stesso alla fine di questo secondo monologo [vv. 241b-243: quid stupes? Tandem incipe / animosque sume: Tantalum et Pelopem aspice; / ad haec manus exempla poscuntur meae, perch resti attonito? Mettiti allopera, finalmente, e prendi animo, (e) considera Tantalo e Pelope: le mie imprese sono chiamate a questi esempi].

Tantalo e Pelope sono dunque i modelli da imitare, in quanto autori di crimini che, come quello di Tieste, comportano la violazione dei vincoli di parentela ed un ricorso alla fraus del tutto priva di scrupoli, dato che provoca la morte delle vittime designate. Atreo gi nella prospettiva della gara per superare il delitto del fratello che aveva preannunciata (ai vv. 195b-196a), e conclude il suo discorso con lordine, rivolto al satelles, di indicargli il mezzo migliore per mactare (immolare) lodiato avversario. Inizia cos il dialogo nel corso del quale egli giunger, mediante successivi tentativi, ad ideare il nefas (vv. 245-286a).4E) IL SECONDO DIALOGO ED IL RIBALTAMENTO DELLE FUNZIONI: UN OPPOSITORE-AIUTANTE (VV. 245-335). Con sorprendente rapidit il satelles, che aveva esercitato unenergica opposizione morale al furor del dominus, modifica radicalmente il proprio atteggiamento, come testimonia la pronta risposta al comando, impartitogli da Atreo, di suggerire unadeguata vendetta: ferro peremptus, spiritum inimicum expuat (ucciso con la spada, emetta il suo nocivo respiro, v. 245). Questo cambiamento stato interpretato come conseguenza del fatto che la figura del cortigiano priva di una sua reale caratterizzazione e rappresenta solo la voce dialettica di un ragionamento tutto interno al tiranno; secondo altri essa esprimerebbe la condizione del buon consigliere che ammonisce il re, ma alla fine deve comunque obbedirgli, oppure la reazione al tiranno da parte della morale comune, che tuttavia non ha la forza sufficiente per resistergli e finisce per collaborare con lui.In realt, sulla coerenza psicologica del personaggio ha la meglio la coerenza interna dellazione scenica, che gli impone il passaggio dalla funzione di oppositore a quella di aiutante. La prima sequenza monologo-dialogo aveva il fine di porre la vendetta come esigenza irrinunciabile per il protagonista; occorreva, pertanto, una figura che svolgesse un ruolo antagonistico rispetto a quello di Atreo e gli permettesse di rivelare pienamente la sua natura tirannica. La seconda sequenza monologo-dialogo, che ha per oggetto principale la scelta del delitto con cui punire Tieste, postula invece un collaboratore che faciliti il compito del protagonista. In altri termini, il mutamento che rileviamo sul piano della coerenza psicologica del personaggio non esiste sul piano della logica drammatica, perch il satelles, coerentemente con il suo status di personaggio subalterno, collabora sempre allo sviluppo dellazione, ora opponendosi al tiranno, ora facendosi suo complice: e pertanto, al di l delle apparenze, riveste sin dallinizio la funzione di aiutante.Questinterpretazione corroborata dalla constatazione che il medesimo schema formale si presenta anche nella Phaedra, ove la nutrice, dopo aver manifestato una decisa ostilit, motivata con argomenti di ordine filosofico-morale, nei confronti della passione della regina (vv. 129-217), accetta improvvisamente di assecondarla (vv. 267-273). Il ribaltamento delle funzioni prescinde dunque dal carattere dei personaggi, e si giustifica alla luce della costrizione implacabile dei meccanismi della rappresentazione: una prova, anche questa, della persistenza di moduli teatrali nella tragedia senecana. Naturalmente, la nutrix determina lo sviluppo del dramma in modo assai pi marcato di quanto non faccia il satelles, poich a lei spetta il compito di avvicinare Ippolito e successivamente Teseo per prepararli allincontro con Fedra. Essa perci assume, in una qualche misura, i tratti della protagonista, come testimonia il segnale dellappello allanimo (vv. 425-ss.; 719) che precede lesecuzione della parte affidatale. La funzione svolta dal satelles invece limitata al suggerimento degli strumenti peraltro giudicati insufficienti attraverso cui Atreo possa realizzare la sua vendetta e, infine, al mantenimento del silenzio sul piano elaborato (vv. 334-335). La ragione di questa differenza da ricercare nel ruolo che riveste il protagonista del Thyestes: egli il tyrannus, lunico che agisca veramente, poich nel regnum i sudditi possono solo subire le sue decisioni; tocca quindi a lui soltanto lideazione e la realizzazione del nefas.Se il ribaltamento della funzione del satelles dunque provocato dalla forza cogente della direzione del racconto drammatico, bisogna per osservare che anche in questa figura si verifica il processo di rovesciamento che nel Thyestes opera come modulo strutturale sia a livello di contenuti ideologici (lAde sulla terra; linstaurarsi del nefas al posto del fas), sia a livello di personaggi (Tantalo, Tieste), con lunica ovvia eccezione di Atreo, in cui si incarna la Furia del prologo, e che deve la capacit di imporre il suo volere agli uomini, e perfino agli dei, proprio allininterrotta fedelt a se stesso.4F) IL NEFAS COME OPERA DARTE. La meditazione di Atreo si apre con unammissione di ignoranza: egli non conosce la via attraverso cui punire Tieste, e perci chiede il consiglio del satelles (v. 244). Ma questi si rivela impari al compito, proponendo strumenti validi per delitti comuni (ferrum, il ferro, ignis, il fuoco, v. 257), che vengono immediatamente scartati.La mancanza di un piano prestabilito in rapporto allimpellente necessit dellazione situazione topica nella tragedia, che, ponendo il protagonista di fronte allesigenza della scelta, ne determina la trasformazione in eroe tragico. Le eroine del dramma dintrigo euripideo risolvono il problema che si pone loro facendo ricorso a tutte le arti dellingegno, che consentono lideazione di uno stratagemma adeguato alla bisogna. La forza irrazionale della passione, operante in loro, spesso fornisce la spinta decisiva. Ad Atreo non importa tanto lazione in s, quanto la sua qualit e novit straordinaria (vv. 255-256). Perci egli cerca ispirazione in una forza estranea al suo essere, e si rivolge alle Furie (vv. 250b-252a). Ed ecco lindividuazione del mezzo di cui servirsi: lo stesso Tieste (v. 259a). In preda ad una sorta di invasamento, conseguenza del furor che agisce in lui, il tyrannus intravede il nefas, annunciato da chiari segni divini (vv. 260-266a). Anche se ancora non sa con precisione in che cosa consista il facinus, egli ha comunque la certezza intuitiva che si tratti di qualcosa di grande (v. 270), e rivolge unesortazione al suo animo perch se ne impadronisca (vv. 267-270). Emerge alla coscienza dellartista Atreo limmagine del crimine di Progne e Filomela, che per non risponde al criterio della novitas: occorre maius aliquid (qualcosa di pi grande, v. 274). Dopo linvocazione alle due autrici del nefas Thracium (appunto, Procne e Filomela) perch lo assistano (vv. 275b-277a), il crimine si svela finalmente al suo ideatore: liberos avidus pater / gaudensque laceret et suos artus edat [avido ed allegro, il padre sbrani i figli e mangi (quelle) sue (stesse) membra, vv. 277b-278]. Sinserisce a questo punto un altro elemento topico nella meditazione delleroe, la trepidazione dinanzi allatto che bisogna compiere, superata qui grazie alla constatazione effettuata nellambito di un ulteriore appello allanimo che la parte peggiore del nefas sar riservata a Tieste (vv. 285-286a). ora chiaro allo spettatore, il quale pu confrontare le nuove informazioni con quelle fornitegli dalla scena iniziale, che il crimine concepito da Atreo si iscrive nella tradizione di famiglia, poich recupera i dati essenziali della colpa archetipica di Tantalo e punisce Tieste riproponendo, in un contesto assai pi potente, lo stesso elemento della violazione dei legami di sangue.In definitiva, la meditazione di Atreo pu essere cos descritta: a) occorre una performance non comune, ma di eccezionale livello; b) per raggiungere tale scopo, lautore deve essere ispirato; c) vi sono dei modelli da imitare; d) bisogna per apportare loro una qualche innovazione; e) il modello anche un termine di confronto con cui gareggiare; f) si instaura perci un rapporto di conservazione/innovazione con la tradizione precedente; g) alla buona riuscita del tentativo indispensabile linvocazione alle Muse, che assistano lartista e ne guidino la mano.Letto in questottica, il passo acquista il sorprendente significato di una riflessione del poeta sulla propria prassi letteraria. Che non si tratti di una forzatura del testo dimostrato dal confronto con la concezione dellattivit artistica che Seneca manifesta nelle opere in prosa.4G) NORMA E SCARTO: UNINTERPRETAZIONE LETTERARIA DEL DELITTO DI ATREO. La dottrina senecana sullimitatio trova la formulazione pi completa nellEpistula ad Lucilium LXXXIV, ove la pratica dellimitazione si definisce come presupposto del comporre, premessa necessaria alla aemulatio. Questi concetti vengono illustrati nei paragrafi 3-5 mediante il paragone con lattivit delle api: Dobbiamo imitare, come si dice, le api, le quali, errando qua e l, suggono i fiori adatti al miele, e tutto quello che portano allalveare lo dispongono con ordine nei favi e, come dice il nostro Virgilio, accumulano il limpido miele e riempiono le cellette col dolce nettare. [...] Ma, per restare nel nostro tema, anche noi dobbiamo imitare le api: cominciando col distinguere perch cos meglio si conserva quanto abbiamo raccolto dalle diverse letture; poi, col diligente lavoro dellingegno, dobbiamo fondere in un pensiero coerente il frutto delle diverse letture, in modo che, quandanche non si possano nascondere le fonti a cui abbiamo attinto, tuttavia appaia che i nostri scritti hanno unimpronta personale.

Il lavoro letterario appare caratterizzato da una prima fase meccanica di assimilazione degli elementi costitutivi dei modelli, cui fa seguito la personale rielaborazione ottenuta fondendo i materiali desunti dalle fonti e conferendo loro una nuova organizzazione formale. Il risultato di questa operazione il nuovo testo, che si qualifica mediante il manifestarsi contemporaneo di norma e scarto o, se si preferisce, di conservazione delle strutture formalizzate del discorso poetico e di loro trasformazione. Pi avanti (paragrafi 7-8) un nuovo paragone, quello della somiglianza del figlio con il padre, precisa le modalit di attuazione di questo processo: Anche noi dobbiamo fare cos: il contributo di altri autori scompaia, assimilato nel prodotto del nostro ingegno. E anche se nella tua opera trasparir lautore che ammiri e che impresso profondamente nel tuo animo, vorrei che la somiglianza fosse quella di un figlio, non quella di un ritratto: il ritratto una cosa morta. Dunque non si capir quale stile e quale modo di ragionare hai imitato, o da chi hai attinto le idee?. Penso che non si capir, se un uomo dingegno avr dato una forma originale al suo scritto, da qualunque modello labbia tratto, in modo da formare un tutto armonico.

Il nuovo testo riprodurr dunque i tratti distintivi dei precedenti, con alcune modificazioni che ne rendano possibile la lettura allinterno del rapporto binario conservazione/innovazione sopra individuato; esso si disporr genericamente nellambito della tradizione letteraria e specificamente nellambito del singolo genere cui appartiene come norma innovatrice della precedente e passibile di ulteriore deviazione. Tra vecchia e nuova opera esiste lo stesso rapporto di trasmissione di caratteri genetici che si instaura tra padre e figlio e che rende il secondo simile, ma non uguale, rispetto al primo.Esattamente in tali termini poetici si definisce il delitto di Atreo. Questi ha dinanzi a s, al momento della creazione, una tradizione cui deve uniformarsi e che costituita dalla colpa della stirpe, una colpa che si ripresenta di generazione in generazione con gli stessi immutabili connotati (il sacrificio empio e il banchetto di carne umana imbandito da Tantalo; la violazione dei legami di sangue operata da Tieste e dallo stesso Tantalo, assassino del figlio; il dolus di Pelope e ancora di Tieste). Gli scelera dei suoi predecessori si identificano con il genus, vocabolo la cui duplicit di significato (da una parte famiglia, stirpe, discendenza, dallaltra genere, specie, categoria) non avrebbe bisogno di essere evidenziata.Atreo gode quindi del conforto di una tradizione codificata, ma lesigenza della novitas gli impedisce una semplice riproposizione di moduli formali gi sperimentati. Perci egli guarda a Tantalo ed a Pelope come a modelli da imitare (vv. 242b-243), ma non manca di esaminare un altro misfatto il nefas di Procne e Filomela, evocato dalla Furia nella scena iniziale del dramma (v. 56b) che presenta marcate analogie con quello che definibile come il delitto di famiglia.Leredit costituita dal patrimonio di crimini computi dagli esponenti del genus vero e proprio discorso di ri-uso soggetto a diverse possibili trasformazioni, costante capace di generare molteplici realizzazioni cos solo parzialmente abbandonata, nel tentativo di creare lo scelus novum. La ricerca, che non sfugge al satelles (quid novi rabidus struis?, che cosa di nuovo prepari rabbioso?, v. 254b) e che poi dichiarata apertamente dallo stesso Atreo [vidit infandas domus / Odrysia mensas: fateor, immane est scelus, / sed occupatum; maius hoc aliquid dolor / inveniat, la casa odrisia (quella di Procne, Filomela ed Iti) ha visto orribili mense: (lo) ammetto, un delitto smisurato, ma (gi) impegnato; che la (mia) collera trovi qualcosa di pi grande di questo, vv. 272b-275a] mossa dallintento dellaemulatio. Lartista concepisce infatti come gara la vendetta [scelera non ulcisceris, / nisi vincis et quid esse tam saevum potest, / quod superet illum?, (tu) non vendichi i delitti, se non (li) superi e quale cosa che superi lui pu essere a tal punto crudele?, vv. 195b-197a], coerentemente con la prescrizione che la Furia aveva impartito nel prologo (certetur omni scelere, si gareggi in ogni delitto, v. 25). In questottica si spiega anche la tensione verso il sublime, che guida linventor nella cernita degli strumenti e lo porta a scartare le realizzazioni non adeguate allobiettivo. Fine ultimo di questo faticoso processo di gestazione , naturalmente, la fama imperitura, assicurata dalleccezionalit della creazione: age, anime, fac quod nulla posteritas probet, / sed nulla taceat [suvvia, o (mio) animo, fa ci che nessuna posterit approvi, ma (che) nessuna passi sotto silenzio, vv. 192-193a].4H) FUROR E ISPIRAZIONE POETICA. La meditazione di Atreo si configura, dunque, in termini di assoluta analogia rispetto allattivit creativa del poeta, sia dal punto di vista dei mezzi utilizzati, sia da quello dei fini perseguiti, con lovvia differenza che il sublime ricercato dal tyrannus quello del male, e che quindi la sua fama coincide con leterna disapprovazione dei posteri. Restano tuttavia da esaminare le modalit attraverso cui si verifica lispirazione poetica. Come abbiamo visto, nel corso del dialogo con il satelles Atreo avverte il bisogno di rivolgersi ad una forza estranea alle sue capacit razionali, e cerca nellaiuto delle Furie la spinta allazione: dira Furiarum cohors / discorsque Erinys veniat et geminas faces / Megaera quatiens: non satis magno meum / ardet furore pectus, impleri iuvat / maiore monstro [Vengano il funesto stuolo delle Furie, e la discorde Erinni, e Megera che scuote le (sue) due fiaccole: il mio cuore non arde di un furore abbastanza grande, bene che venga riempito da un mostro pi grande, vv. 250b-254a]. Di notevole importanza, in questo passo, limpiego del verbo implere (riempire), che allude allo stato di possessione ritenuto necessario per lideazione del delitto. Non diversamente la Furia, nel prologo, ordina a Tantalo identificato con il furor della stirpe di implere totam domum (riempire tutta la casa, v. 53). Preda di questa forza che lo sovrasta, il tiranno cos esprime la propria condizione: tumultus pectora attonitus quatit / penitusque volvit: rapior et quo nescio, / sed rapior [Un tumulto ansioso scuote il (mio) petto, e (lo) rivolta dal profondo: vengo trascinato via, e non so dove, ma vengo trascinato via, vv. 260a-262a]. Nel momento creativo Atreo preda di invasamento, pi che agente strumento dellenergia creativa che in lui. Allideazione del nefas egli giunge, infatti, per via intuitiva e non razionale: nescio quid animus maius et solito amplius / supraque fines moris humani tumet / instatque pigris manibus haud quid sit scio, sed grande quiddam est [Non so per quale cosa pi grande e importante dellordinario, nonch al di l dei confini dellumano, lanimo (mio) si gonfi e metta in movimento le pigre mani, vv. 267-270a]. In un noto passo del De tranquillitale animi, Seneca, dopo aver sottolineato lopportunit di rimuovere talora la tristis sobrietas (la triste moderazione), afferma (17, 10-11): Sia che crediamo al poeta greco, il quale afferma che a volte anche fare pazzie piacevole, sia a Platone, per il quale invano batte alle porte della poesia chi padrone di s, sia ad Aristotele, che scrive che non ci fu mai un grande ingegno senza mescolanza di pazzia, in ogni caso bisogna ammettere che una mente, se non concitata, non in grado di dire nulla di grande e di superiore agli altri. Quando essa ha disprezzato ci che solito ed usuale, e per divina istigazione balzata pi in alto, solo allora ha cantato qualcosa di pi grande di quello che compete alle bocche mortali. Finch in s, non in grado di toccare alcunch di elevato e di posto in ardua posizione: bisogna che si allontani da ci che usuale e che sia portata fuori, che morda i freni e trascini via il suo auriga, che lo porti l dove, da solo, avrebbe avuto timore di salire. qui esposta la teoria democriteo-platonica sullispirazione artistica. Nella formulazione senecana la creazione del poeta richiede come condizione preliminare la mota mens (mente concitata), mira al sublime, si verifica grazie allo stato di possessione divina, lunico che possa permettere la realizzazione di un capolavoro sovrumano: il suo luogo preferito , perci, al di fuori dei confini della razionalit. Il poeta, nella definizione che Seneca ne d, vates (profeta) che pronuncia divino ore (con bocca divina) i suoi versi more oraculi (alla stregua di un oracolo); lattivit artistica si realizza mediante ladesione alla volont di Dio, che lartista per eccellenza in quanto artifex mundi. In questo senso non vi contraddizione tra le finalit etiche e razionali prescritte allarte dalla filosofia stoica ed il delirio entusiastico del poeta, che proprio dallinvasamento divino indirizzato alla grandezza danimo e di sentimenti. Atreo dunque immagine speculare, doppio negativo del vates (ancora una volta nella fabula si rivela operante il modulo strutturale del rovesciamento): il lucido espositore della teoria del regnum, linventor geniale della trappola infallibile in cui cadr il suo nemico appare in bala di una forza sconosciuta, che ne oscura le capacit razionali; error e dementia si associano allastuzia diabolica quali elementi connotativi del tiranno.La possessione di cui il tiranno preda ad opera delle divinit del male fa s che il suo processo di ideazione del delitto supra fines moris humani (oltre i confini del comportamento umano) riproduca fedelmente, ma con un radicale cambiamento di segno, tutte le fasi della creazione artistica. Ne consegue che il dialogo tra il satelles ed il suo dominus assolve ad una duplice funzione: quella di puntello indispensabile allazione scenica in quanto esposizione dellantefatto del dramma e predizione della trama e quella di meditazione dellautore sulle complesse modalit di formulazione della parola poetica. Si innesta cos nel testo un doppio livello di significazione, che permette la simultaneit della rappresentazione e di un discorso diverso, stavolta relativo allopera letteraria in quanto tale.La specificit di questa operazione drammaturgica merita di essere sottolineata. Se infatti nella commedia antica istituzionalizzata la possibilit che il personaggio esca da s e sveli la sua realt dattore commentando la storia rappresentata e in questo spazio si inserisce la riflessione metaletteraria , nella tragedia la solidariet tra il personaggio e la maschera tale da impedire un analogo procedimento. Seneca supera la difficolt mediante limpiego di un linguaggio polisemico, che si presta a differenti possibilit di lettura, corrispondenti ai differenti livelli stratificati nel testo. Lambiguit della parola, che nella tragedia greca era servita ad esprimere la tensione fra valori inconciliabili o la doppiezza diabolica di un personaggio, diviene qui elemento aggregante, che permette la compresenza di una pluralit di significati. La parola rivela le sue molteplici potenzialit e, forzando la rigidit della norma tragica, perviene a nuove modalit di significazione. Il primo atto del Thyestes, punto di sutura tra un prologo recitato da personaggi protatici (cio presenti nella premessa, ma poi destinati a non comparire pi) ed azione vera e propria, palesa cos la sua natura di scena centrale della tragedia, di cui determina lorganizzazione formale e svela le differenti valenze.4I) LA PARTE CONCLUSIVA DEL SECONDO DIALOGO: FRAUS E REGNUM (VV. 286b-335). Concepito il delitto sovrumano, resta da definire il piano che ne consenta la realizzazione. questo, appunto, largomento che viene trattato nella parte conclusiva del secondo dialogo (vv. 286b-335). Al satelles, che pone il problema (vv. 286b-288a), il tiranno risponde che sar la spes regni il mezzo che attirer Tieste nella trappola (vv. 289b-294a); toccher ai giovani Agamennone e Menelao persuadere lo zio, recandogli lofferta di tornare in patria e di dividere il potere con il fratello (vv. 296-299a). Leventuale opposizione dellesule verr piegata facendo leva sullingenuit dei suoi figli (vv. 299b-302a) e, ancor pi, sul vetus regni furor (antica bramosia di potere), unito allesperienza delle sofferenze patite (vv. 302b-304). A questo punto il satelles muove alcune obiezioni, in tre successive battute, al piano espostogli: le disgrazie saranno ormai divenute sopportabili per Tieste (v. 305); meglio non coinvolgere Agamennone e Menelao nella esecuzione del disegno, per evitare che possano utilizzare in futuro contro il padre quanto hanno appreso (v. 308; vv. 310-311). Ma Atreo irremovibile, e ribatte osservando che il tempo accresce linfelicit (vv. 306-307); quanto ai figli, il potere stesso che insegna le vie della fraus e dello scelus, mentre la malvagit un dato genetico, per chi nasce nel regnum (vv. 312-316a). Egli ha solo un dubbio, relativo allopportunit di mettere a conoscenza della macchinazione ordita i collaboratori designati o farne strumenti inconsapevoli (vv. 317b-319). Nella tentazione di risparmiare ai figli la partecipazione alla colpa, si palesa un fuggevole barlume di umanit (vv. 321-323), subito spento da un ultimo appello allanimo (vv. 324-325a). soltanto il timore che il piano venga tradito involontariamente che determina la decisione di non esporlo neppure a chi sar chiamato a facilitarne la riuscita (vv. 325b-333). Il dialogo si chiude con la promessa del satelles di mantenere il segreto e laffermazione che a ci, ancor pi del timor, lo spinge la fides (vv. 334-335).Nella parte conclusiva del secondo atto dunque messa in scena la preparazione dellinganno: nefas e inventio rivelano la loro complementarit e si pongono come elementi centrali del dramma.La tematica dellinganno segnalata immediatamente dalluso, da parte del satelles, di termini appartenenti alla sfera semantica della caccia: capere, doli, laquei (catturare, inganno, lacci, vv. 286b-287). Dato di genere consegnato a Seneca dalla tradizione, la metafora del laccio-trappola evoca, accanto al riferimento alla caccia sanguinosa, il tema tragico del contrasto verit/apparenza.Nella scena che stiamo esaminando questa problematica si sviluppa per, prima ancora che sul piano esistenziale, su quello ideologico. Fides e credere, infatti, sono i vocaboli-chiave attorno a cui ruota tutta lelaborazione dellinganno. Atreo aveva relegato nellambito ristretto delletica individuale la fides, teorizzando per il rex lindipendenza dalla legge morale. Ma la fides il principio sacro e inviolabile che alla base dei rapporti tra i cives: la sua rimozione comporta, sul piano delle relazioni intersoggettive, limpossibilit per il singolo cittadino di credere alle promesse che gli vengono fatte o alle garanzie che gli sono offerte. Risulta chiaro, in tal modo, che il destino orrendo che attende lesule Tieste non frutto della mostruosa malvagit di Atreo, ma della logica stessa del regnum, che ha sostituito i fondamenti etici della convivenza civile con la prassi della sopraffazione e della violenza. In questottica, la fraus si rivela nella sua vera dimensione: non espediente accidentale, ma modo di essere del regnum, sostituto necessario al vincolo dellamicitia tra i cives che era connesso in modo indissolubile al credere.Di ci Atreo ha chiara consapevolezza, come dimostra la sua risposta al satelles, che lo invita a considerare i rischi insiti nel proposito di mettere Agamennone e Menelao a conoscenza del crimine architettato: ut nemo doceat fraudis et sceleris vias, / regnum docebit: ne mali fiant times?/ Nascuntur [quandanche nessuno insegni (loro) le vie dellinganno e del delitto, (gliele) insegner il regno. Temi che divengano malvagi? (Ci) nascono, vv. 312-314a]. Il regnum, in quanto negazione dellordine naturale, si fonda sul nefas e si esplica mediante linganno ed il delitto. Esso la pestis che, con la sua presenza, contamina il genere umano, la macchia inespiabile che deturpa inesorabilmente la vicenda delluomo e si trasmette di generazione in generazione come eredit di scelera. Chi nasce allinterno del regnum geneticamente predisposto al male; come mostrer in modo esemplare la sorte riservata a Tieste, soltanto lontano dal potere e dalle sue seduzioni possibile trovare la salvezza.Da queste considerazioni emerge chiaramente quale sia linterpretazione senecana del mito tiesteo. Non ha senso, in questa prospettiva, parlare di determinismo fatalistico nella tragedia di Seneca o di forza invincibile che assale luomo e lo trascina, preda in qualche modo innocente, a commettere crimini terribili. In quanto figura ideologica del tiranno, Atreo non rappresenta semplicemente il rovesciamento del saggio stoico, espressione iperbolica ed esemplare e perci sostanzialmente isolata ed irripetibile dellabisso di perversione cui luomo pu giungere abbandonandosi al mondo delle illusioni. Egli piuttosto simbolo ed incarnazione del male insito nel regnum, questo s capovolgimento assoluto di ogni norma etica. Interpretare Atreo come monstrum e come exemplum significa, quindi, non cogliere la reale misura del disperato pessimismo senecano: sullo scenario della storia, la maschera del tiranno destinata a riprodursi con gli stessi, orrendi tratti, perch il portato dellintrinseca negativit di un potere, ormai strutturato, che rifiuta il codice comportamentale della legge morale. Non a caso, nel prologo la Furia proietta le sue prescrizioni di sofferenza e di sangue ben al di l del racconto mitico oggetto di rappresentazione nel Thyestes, in un oscuro futuro tramato di vicende non meno spaventose.Ma torniamo alla fraus. La preparazione del dolus riveste una duplicit di significati che diverr chiara allo spettatore solo dopo lapparizione di Tieste sulla scena. Lideazione dellinganno si sviluppa secondo uno schema che pu cos essere sintetizzato: a) Atreo vuole attirare il fratello; b) lintento realizzabile perch Tieste, accecato dalla brama del potere, singanna su ci che lo aspetta: non pi, cio, capace di conoscere il reale.Quando lesule mostrer il suo vero volto, apparir evidente che a lui Atreo attribuisce la propria condizione esistenziale. Il tiranno crede di vedere il suo rivale, ma in verit guarda nello specchio e scorge riflessa limmagine di s. Linganno assume cos unampiezza impensabile: lingannatore inganna se stesso; egli vive nella dimensione assoluta della falsit e dellapparenza, ignotus sibi perch proietta allesterno la sua realt interiore. Le parole che Atreo pronuncia sono sostanzialmente vere; ci che errato il bersaglio verso cui le dirige.Viene qui recuperata in una qualche misura una dimensione sofoclea della tragedia come dramma dellapparenza. Ma nellAiace o nellEdipo re luomo ingannato dal dio, e il tema dellinganno volto a significare la labilit della conoscenza umana, contrapposta al divino possesso della verit. Questo elemento sostanzialmente estraneo al Thyestes, ove lerrore conoscitivo di Atreo determinato dal vetus furor regni, secondo lesatta diagnosi che egli formula, applicandola per al soggetto sbagliato.

Accanto alla componente, che potremmo definire sofoclea, delleroe che crede di essere nella verit ed invece radicato nellapparenza, si pone la componente di derivazione euripidea dellingannatore astuto, abile creatore di doli al fine di ottenere un vantaggio personale a danno della vittima prescelta. Il personaggio di Atreo dunque composito, risultante da materiali tragici di differente provenienza, che confluiscono nella creazione di una figura ideologica sostanzialmente nuova nella storia del genere tragico. La duplicit costitutiva del personaggio si palesa nella sconcertante alternanza di verit/falsit che presentano le sue parole. In quanto eroe euripideo, ci che egli dice ha funzione predittiva, e il prosieguo dellazione si svolger esattamente nella forma preannunciata: Tieste si opporr al ritorno in patria, ma i suoi figli rudes si faranno ingannare e lo trascineranno ad Argo. Atreo per anche eroe sofocleo e, in quanto tale, non riesce a conoscere il reale, di cui ha unimmagine deformata, e perci descrive il fratello non come , ma come era e come egli crede che sia ancora. Il malus ha bisogno, per agire, di crearsi un antagonista degno di battersi con lui, animato dalla stessa virtus indomabile, ma perversa e volta inesorabilmente al male.Lo straordinario talento di machinator di doli che il tiranno rivela lascia sbigottito perfino il satelles, il quale gli domanda: ipsosque, per quos fallere alium cogitas / falles? [E ingannerai quegli stessi attraverso i quali pensi di ingannare un altro?, vv. 320-321a]. Linganno prolifera sino ad estendersi a tutti coloro che ne sono toccati (lartefice, i collaboratori, le vittime), chiaro simbolo della condizione esistenziale di chi vive nel regnum.Fides, il termine evocato per sottolineare la difficolt di indurre Tieste ad accettare le profferte di pace del fratello (v. 294b), anche il vocabolo che chiude il secondo atto, e non privo di ironia tragica il fatto che la meditazione sul nefas e sulla machinatio si concluda facendo risuonare lantica, sacra parola, cardine delletica comunitaria. Ancor pi significativo, per, lo spostamento semantico che essa ha subito nellaffermazione del satelles [haud sum monendus: ista nostro in pectore / fides timorque, sed magis claudet fides, non necessario avvertirmi: la lealt e la paura, ma pi la lealt, chiuderanno codesti disegni nel nostro petto, vv. 334-335]: fides, associata a timor, designa ora lincondizionata fedelt, venata di paura, del