Il team odontoiatrico al lavoro
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1. INTRODUZIONEGli odontoiatri, gli igienisti dentali, gli assistenti di studio
odontoiatrico (ASO), gli odontotecnici fanno tutti parte di
una squadra, il team odontoiatrico, che ha come mission quel-
la di “generare un servizio globale che produca prevenzione,
assistenza e salute” [1]. In questa definizione, che risale ad
alcuni anni fa, figura il concetto di “servizio” inteso come uno
degli elementi costitutivi del “prodotto” messo in vendita dal-
lo studio. Con il concetto di servizio si esclude l’idea, prece-
dentemente dominante, secondo cui lo studio odontoiatrico è
un luogo dove si vendono otturazioni, estrazioni ecc. Sempre
con il concetto di servizio si introduce l’idea della continui-
tà nel rapporto con il cliente, della sua fidelizzazione: come
afferma il professor Guastamacchia, si propone il concetto
di alleanza terapeutica con il paziente, cioè si stabilisce un
rapporto continuativo responsabilizzando e coinvolgendo il
cliente nell’articolato ruolo di prevenzione e mantenimento
della salute orale, corporale e psicologica.
Ed è proprio grazie a questo secondo concetto, la prevenzio-
ne come pilastro portante del servizio, che lo studio odonto-
iatrico entra nella modernità. Prevenzione per la salute del
cavo orale ma anche contro i danni prodotti a distanza dalla
placca batterica. Prevenzione contro i danni causati da stili di
vita scorretti, come per esempio la dipendenza dal fumo e l’in-
sufficiente attività fisica. Lo studio odontoiatrico diventa così
luogo di salute e per la salute, capace di discutere, motivare,
coinvolgere il cliente/paziente in un processo di maturazione e
consapevolezza (fig. 1). Tramonta dunque l’idea di un cliente
che deve sottostare, che deve essere curato, che spesso non
capisce bene e con il quale allora è inutile insistere, mentre
si afferma il modello del cliente come soggetto attivo e col-
laborante.
L’idea della prevenzione al primo posto, dello studio come
luogo di sviluppo delle conoscenze e della partecipazione dei
Il team odontoiatrico al lavoroGiulio C. Leghissaa, Federica Demarosia, Fulvia Magengab
a Liberi professionisti in Milano b Assistente di studio odontoiatrico (certificata Regione Lombardia) in Milano
clienti fa sì che immediatamente emerga il ruolo centrale, de-
cisivo, indispensabile che in questo progetto assumono i colla-
boratori: igienisti e ASO innanzitutto.
Torna in mente un incontro pubblico di qualche anno fa nel
quale un relatore, dirigente di un importante sindacato di
odontoiatri, sosteneva piccato: “Ma smettiamola con questa
storia dello studio odontoiatrico come azienda. Non c’è niente
di aziendale, il mio rapporto con i miei pazienti è personale, li
conosco tutti e non c’è nessun bisogno di scrivere tante cose:
fanno quello che io suggerisco perché si fidano di me”. In que-
sto modo si confondono i concetti più elementari.
Il rapporto con i pazienti deve essere gestito con i carat-
teri del rapporto azienda-cliente, poiché tale è la relazione
economica esistente tra studio e paziente. “Un’impresa è
ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che
eserciti un’attività economica […] Sono considerate impre-
se i lavoratori autonomi, le imprese familiari, le partnership
Fig. 1
Lo studio odontoiatrico è un luogo di salute e per la salute, capace di coinvolgere il cliente/paziente in un processo di maturazione e consapevolezza
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e le associazioni che esercitano regolarmente un’attività
economica” [2]. Rientra dunque in una concezione ottocen-
tesca l’idea che “non c’è bisogno di scrivere tante cose”.
Al contrario, c’è bisogno di scrivere tutto: programma degli
appuntamenti, consenso informato e soprattutto preventivo
dettagliato. E a questo percorso, che dalla prima visita porta
al piano terapeutico e alla fidelizzazione del cliente, parte-
cipano in modo decisivo tutte le componenti della squadra.
I pazienti “si fidano di me…”: ci mancherebbe che i pazienti
non si fidino del proprio medico. Questo però non ha nulla
a che vedere con un corretto rapporto medico-paziente. La
fiducia deve essere conquistata sul campo, con la spiegazione,
il confronto, la disponibilità, la dedizione e… la trasparenza
del rapporto economico. La fiducia non è, e non deve essere,
basata sul rapporto fideistico e autoritario.
2. LA PREVENZIONE AL PRIMO POSTORiprendiamo i concetti precedenti: “Il prodotto venduto dallo
studio odontoiatrico, dunque, non è una terapia, ma un servi-
zio che comprende la terapia e che in essa non si esaurisce. È
il livello del servizio che determina la qualità del prodotto for-
nito dallo studio, ma è come il paziente percepisce tale livello
che determina il grado di qualità che il paziente attribuisce al
prodotto stesso” [3].
Il grado di qualità che il paziente riconosce al servizio rice-
vuto si basa quindi sulla sua percezione di qualità (fig. 2a,b).
Tale percezione è determinata da numerosi fattori tra cui le
aspettative, il livello culturale, le esperienze precedenti, la
comprensione della comunicazione del team. Il cliente ana-
lizza le impressioni che riceve dall’accoglienza e le somma
alla valutazione (emotiva!) sia della struttura, dell’igiene,
della pulizia e dell’ordine dell’ambiente, sia della squadra:
dalla sua capacità e rapidità di risposta a un’esigenza alla
disponibilità ad accogliere particolari richieste. Dunque
oggi, nel mondo medico, va imponendosi l’idea che la sod-
disfazione del paziente possa essere considerata “uno de-
gli esiti desiderati della cura e l’informazione riguardo alla
soddisfazione del paziente dovrebbe essere un elemento in-
dispensabile tanto per valutare la qualità quanto per pro-
gettare e gestire i sistemi sanitari […]. Aver raggiunto e
prodotto salute e soddisfazione […] è la convalida definitiva
della qualità della cura” [4].
Il primo passo per raggiungere questo risultato consiste,
come si è detto, nel mettere la prevenzione al primo posto.
Ciò significa che tutta l’azienda deve essere strutturata e
organizzata, tutta la squadra deve essere addestrata, mo-
tivata, costantemente formata sulla prevenzione. Per dirla
con Guastamacchia, che in Italia è stato padre, madre e zio
dell’ergonomia e del lavoro di squadra: “Le previsioni per
l’avvenire sono ottime, a patto che si comprenda e soprat-
tutto si insegni e si insista su un concetto fondamentale, cioè
che la vera, unica ragione della nostra professione, per noi e
per i nostri collaboratori, è la prevenzione, la prevenzione e
ancora la prevenzione” [5].
Bisogna allora organizzare l’azienda in modo tale che la pre-
venzione risulti effettivamente al primo posto.
Fig. 2a,b Procedure di igiene, pulizia e ordine dell’ambiente sono tutti fattori che il cliente valuta nel giudicare il livello di qualità dello studio odontoiatrico
2a 2b
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Progettazione e realizzazione della struttura devono ri-
spondere a questa esigenza. Lo spazio alberghiero della
struttura va separato nettamente dal settore clinico, nel
quale pareti, pavimenti, arredi, organizzazione delle sale
di igiene professionale dicono in coro la stessa cosa: qui la
prevenzione è la cosa più importante.
L’impatto visivo del cliente deve ricevere continui stimoli:
opuscoli, poster, carta dei servizi, spazi dedicati alla pre-
venzione ecc.
L’organizzazione dell’attività preventiva richiede la realiz-
zazione di misure concrete: protocolli precisi per la pre-
venzione dell’infezione crociata dei quali il paziente deve
essere reso partecipe; protocolli precisi per la prevenzione
delle malattie dento-parodontali nei quali il cliente deve
essere coinvolto come attore protagonista; protocolli per
l’intercettazione precoce del cancro orale; protocolli per
la lotta al fumo; protocolli per la prevenzione degli infor-
tuni e degli incendi.
La gestione delle risorse umane deve reggere l’impegno
di quest’attività: in primo luogo l’igienista dentale (fig. 3).
Senza igienista non si fa prevenzione in modo continua-
tivo e prioritario. Nulla vieta che l’odontoiatra si occupi
dell’igiene orale professionale. Ma l’odontoiatra tenderà
sempre a vedere quest’attività come secondaria, non sod-
disfacente, riduttiva e non dedicherà tutta l’attenzione e la
dedizione necessarie.
L’intera squadra deve essere formata sui principi della
prevenzione affinché ne diventi artefice.
3. LA SQUADRA ODONTOIATRICA AL LAVORO PER LA PREVENZIONE E LA SALUTE AL PRIMO POSTOTutta la squadra deve essere motivata e rimotivata sul concet-
to della prevenzione al primo posto (fig. 4).
Gli igienisti sono, istituzionalmente, i responsabili del repar-
to di prevenzione orale. Il reparto deve essere visivamente
identificabile all’interno dell’area operativa perché i pazienti
devono immediatamente percepire il fatto che alla preven-
zione si dedica spazio (dunque struttura, dunque denaro…).
Questo spazio deve essere attrezzato in modo adeguato e con
strumentazione idonea (per esempio scaler ultrasonici) all’o-
peratività, alla comunicazione (per esempio videocamera in-
traorale), alla propaganda (opuscoli, modelli esplicativi ecc.).
Il cliente deve conoscere la propria igienista, che a sua volta
conosce la sua bocca, i suoi problemi, i suoi punti deboli.
Alle sedute di igiene orale professionali va dedicato tutto il
tempo necessario (60-75 minuti per paziente) in modo da
poter “comunicare” con il cliente, motivarlo e rimotivarlo,
verificare con lui il lavoro svolto, complimentarsi per i suc-
cessi e incoraggiare nuovi traguardi. L’addestramento alle
manovre di igiene orale domiciliare – che andrebbe fatto
concentrandosi su pochi, validi strumenti (spazzolino elet-
trico e scovolino interdentale) – deve trovare tutto il tempo
necessario affinché il paziente capisca e si addestri. E dove
si trova questo tempo se non nell’appuntamento dedicato
all’igiene orale professionale?
L’igienista deve avere il tempo di mostrare al paziente la
situazione con la videocamera intraorale, di spiegare l’uso Fig. 3 L’igienista dentale è la figura professionale indispensabile
per fare prevenzione in modo continuativo e prioritario
Fig. 4 Tutta la squadra deve essere motivata sul concetto della prevenzione al primo posto
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degli strumenti nelle zone più scomode. E all’appuntamento
successivo, grazie ancora alla videocamera, potrà mostrare i
progressi e i difetti. Sempre incoraggiando, sempre accom-
pagnando il paziente a capire e migliorare. Servono tempo e
pazienza, tempo e tenacia, tempo e chiarezza. Il cliente non
sa nulla della bocca, nemmeno la differenza tra un canino e
un premolare, tra infiammazione e infezione ecc. Spetta all’i-
gienista avvicinarlo via via alla conoscenza e alla consapevo-
lezza. E questo è compito di tutta la squadra: gli ASO sono
fondamentali per continuare a stimolare il paziente, spiegare
ancora e ancora, motivarlo e rimotivarlo.
È un complesso gioco di squadra che coinvolge tutti e al quale
tutti devono partecipare. È ragionevole pensare che i colla-
boratori si impegnino con entusiasmo e professionalità per
grazia ricevuta? No. Bisogna organizzare riunioni (nell’orario
di lavoro) per spiegare, informare, rendere partecipi. Ancora
una volta servono tempo e pazienza, tempo e tenacia, tempo
e chiarezza. E siccome nessuno, all’università, ha insegnato ai
collaboratori la scienza delle comunicazione, né la scienza del
comportamento umano, il management aziendale e il marke-
ting, bisogna studiare e imparare. E se ancora non ci si sente
sicuri si può chiedere a esperti in queste materie di venire
nello studio a tenere corsi a tutta la squadra.
È un impegno gravoso, ma è la strada per il successo. Tutto si
risolve quando la squadra capisce fino in fondo due concetti:
la soluzione delle malattie parodontali si basa non su ri-
medi fantasiosi o applicazioni tecnologiche, ma sulla rea-
lizzazione di un rigoroso quanto sistematico protocollo
igienico. E il paziente continuerà a chiedere: “Sì dottore,
va bene, ma poi cos’altro posso fare per la mia malattia?”.
La risposta è: “Deve seguire i protocolli d’igiene, perché
l’igiene orale (professionale e domiciliare) è la terapia”;
la prevenzione e la terapia parodontale si basano sull’ap-
plicazione di un rigoroso protocollo. Perché questo proto-
collo venga applicato è necessario che la squadra lo cono-
sca e s’impegni. E affinché la squadra possa esprimere il
proprio potenziale comunicativo e motivazionale, affinché
il protocollo possa essere realizzato servono persone dedi-
cate, struttura e attrezzatura.
In sintesi: la prevenzione e la terapia parodontale sono orga-nizzazione del lavoro della squadra.
E tutto ciò ancora non basta: pilastro della prevenzione è la
lotta alla dipendenza dal fumo. Basta con i ragionamenti ap-
prossimativi: il fumo non è un vizio, è una dipendenza e come
tale va trattata. La squadra deve conoscere i danni provocati
dal fumo ed essere istruita sulle conseguenze perniciose della
nicotina a livello della microcircolazione, della chemiotassi
dei polimorfonucleati, della fagocitosi ecc. E tutta la squadra
deve lavorare il paziente ai fianchi spiegando e rispiegando,
informando del fatto che l’igienista ha seguito un apposito
corso per aiutarlo a smettere e che l’odontoiatra può contri-
buire prescrivendo farmaci e cerotti alla nicotina. È dimostra-
to che un attento lavoro compiuto dal team può portare alla
cessazione del fumo il 10-15% dei pazienti: una percentuale
elevata e un risultato importante. E quando un paziente smet-
te di fumare deve essere festeggiato e incoraggiato da tutti.
4. LA SQUADRA E LA PREVENZIONE DEL CANCRO ORALECosì come per il tabagismo, anche la prevenzione del cancro
orale è un compito di grande rilevanza. Viene portato avanti
con l’educazione alimentare (riduzione del consumo di alcol)
e i regolari controlli. Sul vassoio per visita e controlli deve
sempre esservi la garza, in modo che l’odontoiatra possa
prendere la lingua e spostarla per verificare lo stato di muco-
se e rivestimenti.
E se l’odontoiatra per una volta lo dimenticasse l’ASO può
porgergli la garza con un sorriso, “Dottore, la garza che mi ha
chiesto”, e richiamare la sua attenzione sul dovere da assol-
vere senza assolutamente suscitare nel paziente la sensazione
che ci si sia dimenticati questo controllo.
Igieniste e ASO devono essere state motivate e devono sape-
re come si presenta una precancerosi o un cancro in situ, in
modo da osservare sempre con attenzione, rilevare e segnala-
re immediatamente qualunque sospetto.
5. LA SQUADRA E LA PREVENZIONE NEL BAMBINOI primi lavori che hanno dimostrato che la somministrazione
di fluoro nel bambino e l’impiego di prodotti al fluoro nell’a-
dulto sono strumenti efficaci nella prevenzione della carie
batterica risalgono agli anni Sessanta e sono stati confermati
da numerosissimi studi scientifici in tutto il mondo. Eppure
ancora oggi i pazienti chiedono all’odontoiatra se sia corretto
assumere fluoro in gravidanza, somministrare le gocce o le
pastiglie di fluoro ai propri bambini o usare dentifrici e col-
lutori al fluoro.
Servizio e qualità della prestazione significano anche for-
nire al paziente informazioni corrette e aggiornate su ciò
che domanda. Sull’argomento fluoro il paziente spesso rice-
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ve informazioni molto diverse da pediatra, medico di base e
odontoiatra. Chi ha ragione? Per il paziente sono tutti e tre
professionisti di cui si fida. Il paziente pretende e ha diritto
a una risposta corretta. Questa è frutto dell’istruzione degli
operatori, quindi di tutto il team, e dell’aggiornamento con-
tinuo. La risposta dell’odontoiatra, che sarà uguale a quella
dell’ASO e dell’igienista, deve basarsi sulle linee guida, se
esistono, sui documenti ufficiali e sulla letteratura interna-
zionale. La risposta corretta però non vale per sempre. Per
quanto riguarda il fluoro il Ministero della Salute nell’otto-
bre 2008 ha stilato linee guida che sono state aggiornate nel
novembre 2013 [6]. In definitiva il team deve riportare al
paziente il contenuto delle linee guida ed essere a conoscen-
za degli aggiornamenti.
Per esempio, il team deve informare non solo sull’importanza
della somministrazione di fluoro nei bambini di età inferiore
a 3 anni ma anche sul danno causato ai denti dall’assunzione,
fuori dei pasti principali, di bevande e cibi contenenti carboi-
drati semplici. E ancora, il consumo elevato e frequente di
zuccheri oltre a essere un fattore di rischio per le malattie del-
la bocca lo è anche per le malattie cardiache e il diabete. Per
fare prevenzione nel bambino bisogna prima fare prevenzione
nell’adulto. Esistono infatti forti evidenze scientifiche che lo
stato della salute orale di chi si occupa del bambino e lo stato
socioeconomico della famiglia influiscano sul suo rischio di
sviluppare lesioni cariose. La presenza di alte concentrazioni
di batteri cariogeni associata o meno a un’elevata esperienza
di carie nella madre influenzerà la precoce colonizzazione di
tali batteri nel cavo orale del bambino.
Quindi, fare prevenzione in età pediatrica significa curare il
più precocemente possibile la carie perché la presenza anche
di un solo dente cariato è un fattore di rischio per l’insorgenza
di nuove lesioni cariose; fare le sigillature dei solchi dei mola-
ri permanenti per prevenire la carie delle superfici occlusali;
consigliare l’impiego di composti fluorati; promuovere una
dieta appropriata e stili di vita salutari; fare prevenzione nel
contesto della famiglia. Tutto ciò per favorire e mantenere nel
tempo una buona salute orale e generale (fig. 5).
6. IL CLIENTE ARRIVA IN STUDIOQuando un paziente contatta per la prima volta lo studio
odontoiatrico può presentarsi di persona o al telefono. In tutti
e due i casi, quasi sempre, il primo operatore con cui entra in
contatto è l’ASO o la segretaria; quest’ultima, spesso, è anche
una delle assistenti dello studio.
Tutti sappiamo che la prima impressione è quella che conta e,
per dirla con Guastamacchia e Tosolin, “non ci sarà mai una
seconda occasione per dare una prima buona impressione”
[7]. Dunque la persona che riceve il cliente dovrà presentarsi
in ordine, essere sorridente, esprimere sicurezza e competenza.
Farà sentire l’interessamento dello studio ponendo domande
aperte (quelle che iniziano con “come”, “dove”, “chi”, “per-
ché” e “quando”) che diano la possibilità al nuovo arrivato di
aprirsi alla comunicazione.
L’ASO deve conoscere la qualità del servizio erogato dallo
studio per poterlo spiegare in modo efficace al cliente.
È compito dell’assistente interpretare eventuali difficoltà del
paziente a comprendere quanto richiesto nella raccolta dei dati
anamnestici, in modo da mettersi a disposizione per spiegare il
significato di alcune domande e consegnare all’odontoiatra più
informazioni possibile riguardo la salute generale, l’eventuale
assunzione di farmaci ecc. Particolare attenzione va posta ad
allergie, problemi cardiocircolatori e assunzione di bifosfonati.
Quando la raccolta dei dati (anamnestici e anagrafici) sarà
completata spetterà all’ASO accompagnare il paziente nell’a-
rea operativa, dove verrà visitato e dove si completerà la tra-
smissione di fiducia/empatia da parte di tutto il team. Per
conquistare la fiducia del paziente è fondamentale, in questa
fase, la comunicazione. Parlare con il cliente, spiegare e so-
prattutto ascoltare. Ascoltare ciò che il paziente desidera dire
e ciò che non dice verbalmente ma esprime con atteggiamenti,
mimica, silenzi, posture difensive ecc.
Fig. 5
Fare prevenzione in età pediatrica significa anche fare prevenzione nel contesto della famiglia per favorire e mantenere nel tempo una buona salute orale e generale
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È bene che l’ASO inviti il paziente a visitare tutto lo studio.
Il padrone di casa accompagna l’ospite a vedere la casa, per-
ché mai in uno studio odontoiatrico, che diventerà una delle
dimore temporanee del paziente, ci si dovrebbe comportare
diversamente? Così il cliente potrà osservare le attrezzature
delle quali si dispone proprio per offrire un servizio di qualità,
la pulizia assoluta di tutti i reparti, l’ordine e l’organizzazio-
ne, in particolare in linea di sterilità. È un po’ come in quei
ristoranti nei quali, entrando, si vede la cucina attraverso una
parete a vetri: tutti i mobili in acciaio brillante, gli addetti
pulitissimi, ogni oggetto al suo posto. L’impressione che se ne
ricava è immediatamente positiva e ci accompagnerà per tut-
to lo svolgimento del pranzo. Nello studio non basta mostrare,
passando, l’ordine e la pulizia. Il cliente deve essere invitato a
osservare come vengono archiviati tutti i controlli quotidiani
del funzionamento delle autoclavi, come vengono registrati
tutti i controlli effettuati dalle diverse ASO che firmano ciò
che hanno fatto ecc.
A questo punto al cliente verrà consegnata una cartellina in
cartoncino leggero contenente:
la carta dei servizi, documento indispensabile perché spie-
ga chi sono, uno a uno, i membri del team odontoiatrico e
quali titoli hanno, quali sono gli orari e i tempi dello studio,
come viene gestita la prevenzione, quali attività cliniche
vengono svolte, quali attrezzature sono disponibili ecc.;
un semplice foglio esplicativo sull’importanza della pre-
venzione;
un dépliant sui danni specifici che il fumo determina a li-
vello del cavo orale;
il modulo del consenso informato per le eventuali radio-
grafie;
il modulo del consenso informato per le anestesie.
Solo a questo punto viene conclusa la prima visita con la
presentazione del preventivo che la segreteria avrà preparato
sulla base delle proposte terapeutiche indicate dall’odonto-
iatra. Preventivo che deve comprendere tutte le singole voci
del trattamento proposto, il costo di ciascuna voce, il perio-
do di validità a partire dalla data di stampa, le condizioni di
pagamento ecc. Intendiamoci: “Se la compilazione del pre-
ventivo è compito esclusivo della segreteria, la presentazione del preventivo è compito dell’odontoiatra, non nel senso che
all’odontoiatra tocca discutere con il cliente le condizioni di
pagamento ecc., ma nel senso che a lui compete spiegare le
voci che singolarmente lo compongono e la visione d’assieme
che tutto il preventivo rappresenta” [1].
A questo punto si è sicuri che il paziente accetterà il preventi-
vo? No. Il paziente non accetta mai un preventivo. Il paziente
è stato convinto – da tutto ciò che ha visto, dalla comunica-
zione avuta con la squadra, dall’atteggiamento di tutti i suoi
membri, dall’insieme delle sensazioni ricevute – che è proprio
quello lo studio adatto alla soluzione dei suoi problemi. “Il
paziente non accetta la terapia in quanto tale: accetta o ri-
fiuta le modalità di comunicazione con cui la terapia gli viene
proposta […] Far scegliere il trattamento al paziente, come se
ci limitassimo a informarlo sul ventaglio di possibilità cliniche
e di servizio disponibili, è una presa in giro del paziente” [7].
7. LA SQUADRA AL LAVORO IN SALA OPERATORIAL’esecuzione della terapia è il momento nel quale la squadra
esprime il massimo livello di coesione, formazione, addestra-
mento continuo, attitudine psicologica.
Tutto ciò che serve è stato preparato. Alla mattina, prima di
incominciare, è stata fatta una riunione di 10 minuti durante
i quali si è analizzato il programma di lavoro per ogni cliente
e si è rivisitato, rapidamente, ogni percorso terapeutico con
il materiale necessario. Dunque è tutto pronto, il paziente è
stato fatto accomodare, si somministra l’anestesia e si inizia.
A questo punto qualcuno pronuncia la frase che fa infuriare
anche un santo: “Stia calmo, non abbia paura”. Il paziente
non ci pensa neanche a stare calmo, è in apprensione, se non
veramente spaventato, e questo invito lo innervosisce ancora
di più perché di colpo si rende conto di essere nelle mani di
incompetenti. Per tranquillizzare il paziente bisogna parlare
con lui con voce calda e sicura, porre domande aperte (“chi”,
“come”, “dove”, “quando”, “perché”) in modo da distrarlo e
farlo interagire con gli operatori. Sorridere, sorridere, sorride-
re. Non è una possibilità, è un obbligo professionale.
Mai parlare tra operatori di questioni che escludono il cliente.
Lui, e solo lui, è l’argomento del quale chiacchierare. Dei suoi
hobby, dei suoi gusti, delle sue esigenze… Mai essere inter-
rotti da telefonate, domande estranee, riflessioni sul lavoro.
Mai pronunciare termini sgradevoli o terrifici come sangue,
nervo, bisturi, taglio, sutura ecc. Insomma il cliente è al centro
dell’attenzione della squadra, lui lo sa e vuole averne costan-
temente conferma. Si esegue la terapia lavorando a quattro o
sei mani e poi si riordina.
“Ma come, 150 euro per un’otturazione che ha richiesto 20
minuti?”, questo pensa il paziente. Siamo da capo. Il cliente
non sa quanto lavoro ci sia prima, durante e dopo quei 20
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minuti. E come potrebbe saperlo? Non è la sua professione.
Invece di guadagnare stima e riconoscenza perché si è riusciti
a tagliare i tempi e tutto è scivolato via senza intoppi e sere-
namente, si fa la parte dei disonesti che chiedono tanto per un
lavoro “semplice” e della durata di pochi minuti.
La soluzione è forse quella di tirare in lungo pasticciando e
causando un po’ di dolore? No. La soluzione consiste nello
spiegare al cliente che cosa è stato fatto, quanto lavoro sia
servito per preparare l’intervento, quanta attenzione durante
e quanta ne servirà dopo per riordinare, pulire e sterilizza-
re. E chi darà tali informazioni al cliente? L’ASO, che deve
curare molto bene questi aspetti comunicazionali cogliendo-
ne appieno l’importanza e il profondo impatto che produr-
ranno sulla percezione di qualità da parte del cliente. Non è
sufficiente fare un lavoro di qualità, è necessario che il cliente
percepisca questa qualità e ne sia soddisfatto. La qualità del
servizio non si esaurisce nella qualità esecutiva professionale,
ma si completa e si integra proprio con la percezione che ne
ha il cliente.
8. CONCLUSIONIL’odontoiatra assolve al doppio ruolo di leader della squadra,
perché spetta a lui guidare, trascinare, stimolare tutti i com-
ponenti trasformando i singoli in un gruppo compatto e, con-
temporaneamente, di manager poiché sua è la responsabilità
di gestire i rapporti del e nel gruppo e organizzarne obiettivi
e strategie.
L’odontoiatra perciò deve conoscere i valori fondamentali
dell’azienda: clienti, personale, fornitori. Stabilito l’ordine dei
valori si può decidere quali siano le priorità dell’azienda e
come guidare la squadra per raggiungere gli obiettivi prefissa-
ti sulla base delle priorità stabilite. Dunque si fanno scelte. Le
scelte sono la conseguenza della determinazione dei valori e
dell’individuazione delle priorità. E si sceglie continuamente:
scegliere è dirigere. Questo è il cuore del problema. Le scelte
sono continue e, a volte, difficili. Ma come si fa a valutare
la loro validità? Con un sistema di Verifica e Revisione della
Qualità (VRQ).
Come sostengono Carrassi et al. [8], il problem solving
counselling si basa fondamentalmente sul principio che ogni
situazione problematica, per quanto complessa, possa esse-
re scomposta in elementi più semplici, in sottoproblemi che
risultano più facilmente affrontabili se ordinati in base alle
priorità dettate dalla situazione. Una volta chiarito il proble-
ma principale, e definita la sua portata, si passa alla fase più
delicata: aiutare la persona a stabilire con precisione quali
obiettivi si devono raggiungere per risolvere il problema. So-
stanzialmente sono gli stessi principi sui quali si basa la VRQ,
che non parte mai dall’analisi delle problematiche globali ma
le scompone in problemi più semplici, di cui analizza i singoli
aspetti per svilupparsi in fasi sempre più complesse. La VRQ
va impostata con tutta la squadra.
Per esempio: lo studio è frequentemente in ritardo, perché?
Si considera allora quanti pazienti si visitano, quanto tempo
richiede ogni specifica terapia, quante ASO vengono utiliz-
zate, quante sale operatorie sono disponibili ecc. E alla fine
emergono le idee: non si tiene conto del tempo necessario al
riordino immediato e si fissano gli appuntamenti uno in fila
all’altro; oppure non si considera che per utilizzare veramen-
te le due sale operatorie serve un adeguato numero di ASO
disponibili. Una volta individuate le possibili cause, si cercano
le soluzioni.
Questo sistema, se applicato correttamente e con costanza,
offrendo realmente a tutti i membri della squadra l’opportu-
nità di esprimersi, senza attuare tattiche repressive ma con-
sentendo la libera circolazione delle idee, conduce a continui
innalzamenti dei livelli di qualità, rinforza lo spirito di squa-
dra, favorisce l’entusiasmo e la disponibilità a impegnarsi.
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