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Il successo non è solo cio che realizzi nella tua vita, ma anche cio che ispiri nella vita degli altri. (anonimo)

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Il successo non è solocio che realizzi nella tua vita,

ma anche cio che ispirinella vita degli altri.

(anonimo)

In copertina:La famiglia Camporese al completo nel 1971.

2015 © OF Camporese sas - FAB Camporese srl35010 Borgoricco (Padova) Italiawww.camporese.net - [email protected] - [email protected]

CamporeseCAMPORESEun SECOLOdi LAVORO e FAMIGLIA

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Cento anni sono molti: difficile arrivarci, per ognuno di noi, e in ogni caso non ci si arriva certo nel pieno delle forze… Lo stesso si può dire delle aziende, che hanno spesso una vita ancora più breve, a meno che, grazie all’impegno di più generazioni, non si riesca a farle crescere e progredire, adeguandole alle esigenze di una società che muta in maniera sempre più rapida, ma anche conservando la continuità familiare. Una continuità che non è solo di proprietà e di gestione, ma anche, e soprattutto, di impegno intelligente ed appassionato, in uno stretto legame fra lavoro e famiglia, all’insegna del detto dei nostri vecchi: “Far e robe par ben, come Dio comanda”.È questo il caso della ditta Camporese, che, celebrando quest’anno i suoi primi cento anni, può guardare con legittima soddisfazione al percorso compiuto.Nell’arco di tre generazioni si è passati dal piccolo e modesto laboratorio di falegnameria, a una ditta specializzata nella produzione di cofani mortuari, aprendosi poi, con un respiro

internazionale, a tutta la gamma di servizi presenti nel campo delle onoranze funebri.Un ‘servizio’, quello offerto dalla Ditta Camporese, che va ben oltre l’aspetto strettamente commerciale, perché riguarda la conclusione della nostra vita terrena. Si tratta di un evento che la società tende oggi a rimuovere o a mettere fra parentesi, quasi fosse un tabù; ma è proprio qui che lo “stile Camporese”, nel suo coniugare insieme qualità, efficienza e umana disponibilità, contribuisce a fare di tale evento un’occasione di ritrovata umanità.Vale la pena soffermarsi e riflettere sulle notizie e sulle foto contenute in queste pagine, che danno il senso del cammino compiuto in tutti questi anni, ma anche del nesso inscindibile tra il vivere e il morire, ove il dolore si apre alla speranza.

Gregorio PiaiaProfessore ordinario di Storia della filosofia

Università di Padova

Presentazione

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Mappa del Graticolato Romano.Nel riquadro, le indicazioni di San Michele delle Badesse (Sa Micee) e Borgoricco (Borgorico).

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Proveniente dal quartiere Arcella di Padova, la famiglia Camporese si era insediata, già nell’Ottocento, a San Michele delle Badesse, frazione di Borgoricco, circa 15 chilometri a Nord del capoluogo, all’interno dell’antico “Graticolato romano”.All’inizio del Novecento l’economia del paese, come quella di tanti altri della zona, era prettamente agricola, con qualche sporadica realtà artigianale.Gran parte della proprietà terriera era in mano a poche famiglie. In tutto il Veneto era in atto una forte emigrazione verso l’estero. Per chi rimaneva la vita non era facile, ma al contrario, segnata da sofferenze e da duro lavoro.Nel 1897, quando nacque Pietro Giobatta (Battista), la sua famiglia era una delle tante che campavano con la forza delle proprie braccia, ingegnandosi per combattere la povertà, animata da una fede incrollabile nel lavoro. Pietro Battista aveva questo in mente: il lavoro. Aveva anche frequentato la prima e la seconda elementare, ma durante le lunghe ore passate seduto sui banchi, continuava a pensare a tutte quelle cose che nel frattempo avrebbe potuto fare. E a come farle.

Dal padre Luigi, aveva ereditato la passione per il legno. Così lasciò la scuola e si mise a cercare un mestiere. Volenteroso e intraprendente com’era, non faticò a trovare un posto come garzone nella falegnameria di Corrado Rettore, detto Sandro Gioachin, che divenne così il suo maestro, mentre lui ne divenne il braccio destro.Un rapporto di lavoro improntato alla fiducia e al rispetto reciproco, alla dedizione e alla buona volontà. La bottega si trovava in via Fratta di Sotto e Battista vi si impegnò a tal punto da rendersi presto indispensabile. Infatti, non si accontentava di fare il suo dovere, ma voleva andare oltre. Al lavoro di falegnameria cominciò ad affiancare il disegno di mobili e serramenti, nel quale manifestò buone capacità. Il suo tavolo da disegno? “Terra spianata sotto le vigne del campo che stava tra due strade parallele: via Desman e via Fratta di Sotto”, come amava raccontare. In questo studio improvvisato Pietro Battista trascorreva tutto il tempo possibile. Perfino durante la pausa di mezzogiorno andava lì a disegnare mobili, attrezzi o altri oggetti. Mangiava poco, in fretta, il minimo indispensabile.

Le origini

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Siccome era esile e mingherlino, sua mamma Maria si preoccupava e a cena gli chiedeva se aveva pranzato. Spesso lui rispondeva: “Non ho avuto tempo”.La fame, Battista, ce l’aveva di lavoro. Che per fortuna non mancava. Ma sempre più spesso arrivavano indicazioni, appunti, ordini per iscritto. Oppure si trovava nella necessità di lasciare un messaggio. Sempre per iscritto. Si rese conto di aver sottovalutato l’importanza dell’istruzione. Quando la parrocchia di San Michele organizzò un servizio di scuole serali, tenute dal cappellano, iniziò a frequentarle. Nel 1915, a soli 18 anni, coronò il suo sogno di aprire una propria attività, attrezzando un laboratorio sotto il portico di casa, mentre continuava a frequentare la bottega del suo maestro.Era l’inizio della grande guerra. Per qualche anno Battista fu disponibile a rispondere alle richieste più diverse, impegno che lo portò a frequenti uscite per collaborazioni di vario genere. Una mole imprevista di lavoro gli venne incontro nell’immediato dopoguerra. E come sempre, lui non si spaventò. Da fare ce n’era tanto: case da ricostruire, da sistemare, da ripristinare. Il conflitto mondiale aveva lasciato in tutta la zona una traccia profonda di devastazione, soprattutto nei vicini paesi del basso Piave. Dopo la disfatta di Caporetto, l’esercito italiano organizzò in quelle zone il nuovo fronte e, dopo gli estenuanti mesi della guerra di trincea, da lì sferrò l’assalto alle forze austroungariche. L’offensiva fu vittoriosa, ma paesi come Meolo, Fossalta e San Donà di Piave ne uscirono distrutti. Anche Battista Camporese si adoperò per la ricostruzione. Insieme ad Alvise Rizzato, detto “Alvise dea Clelia”, girava da un paese all’altro a riparare tetti e posare infissi.

Nel 1915 Pietro Battistacoronò il sogno di aprireuna propria attività

1923. Battista è in piedi, terzo da destra. Il padre Luigi è il quarto.

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Fin dall’inizio, voleva orientarsi verso una specializzazione. Fare una cosa sola, ma farla meglio degli altri, per differenziarsi e farsi notare. Il mercato di allora si apriva verso le ruote in legno e ferro, i mobili, i serramenti. A volte gli capitava di adoperare il legno degli stessi clienti, spesso ricavato dal taglio delle loro piante, che trasportava su un carro trainato da un cavallo o su di un carrettino trascinato dalla sua bicicletta. Bisognava lavorarlo con gli attrezzi adatti, come il “segone” per tronchi e la “spartitora” (che serviva per segare a mano i tronchi in lunghezza e ricavare tavole dello spessore desiderato), e poi essiccarlo naturalmente.Battista aveva la capacità di risolvere i problemi pratici con l’ingegno e la determinazione.

Le attrezzature utilizzate all’epoca per la lavorazione del legno erano scarse e molto costose, così egli costruiva da solo i suoi attrezzi di lavoro, come pialle o seghe. Tutto fatto a regola d’arte, come voleva lui, e con pochi soldi.La verniciatura veniva eseguita con gomma lacca sciolta nell’alcol e applicata con uno stoppino di cotone avvolto nella canapa. I serramenti venivano colorati con un composto di olio di lino, biacca, zinco e terre colorate.Battista lavorava instancabilmente ed era conosciuto non solo per la bravura, ma anche per la sua capacità di collaborare con i colleghi del territorio, con i quali stringeva rapporti di sincera amicizia e per i quali divenne presto un punto di riferimento.

“Segone” per tronchi.

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Due fratelli Camporeseimpegnati con la sega “spartitora”.

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Ma sarebbe sbagliato dire che Battista pensava solo al lavoro. Due sono sempre stati i principi guida della sua vita. Due punti fermi incrollabili, che seppe trasmettere ai fi gli come l’eredità più importante: il lavoro e la famiglia. Avviata la falegnameria, così come lui la voleva, con dipendenti già dal 1920, nel febbraio del 1925 sposò la donna che gli rimase al fi anco per tutta la vita e che gli diede sei fi gli: Maria Bertoncello.Battista mise tutta la passione e il mestiere di cui era capace per preparare la casa in cui accogliere la sua sposa. Dopo il lavoro per i clienti, si dedicava

La famiglia

I coniugi Maria Bertoncelloe Pietro Battista Camporese.

Un mobile decorato realizzatoda Pietro Camporeseper la camera nuziale.

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alla sua camera nuziale, al tavolo, alle sedie, ai mobili, sempre seguendo i suoi metodi. La decorazione del mobile che si vede nella foto fu realizzata con una impiallacciatura stesa con un ferro da stiro a carbone.I sei figli di Battista e Maria nacquero nei primi undici anni di matrimonio. Il primo, Giuseppe (Pino), arrivò nel dicembre dello stesso anno. Dopo due anni nacque Lidia, l’unica femmina, che purtroppo morì per un incidente a soli sette anni. E poi Luigi (Gigetto) nel ’29, Antonio (Toni) nel ’32, Guerrino nel ’34 e Lidio nel ’36.Il lavoro non mancava, ma nemmeno le bocche da sfamare. Erano anni difficili. I riflessi della crisi del ’29 arrivarono in Italia, così come nel resto d’Europa, con una generale contrazione della produzione industriale e dei salari.Anche la famiglia Camporese fu costretta a sopportare dei sacrifici e a vendere una parte del suo capitale: un campetto di terra che serviva al mantenimento della mucca. Di quell’unica mucca il cui latte aveva nutrito sei bambini, e che permetteva alla loro mamma di fare in casa il formaggio, il burro e la ricotta.Mamma Maria, in casa faceva tutto. Anche i vestitini, utilizzando a volte panni usati e trasformandoli con buon gusto e fantasia. E trovava il tempo anche per aiutare il marito. Anzi, visto che le ore del giorno erano finite, il tempo lo toglieva alla notte. Una volta

trascorse in piedi l’intera vigilia di Natale per far trovare ai bambini, la mattina dopo, il vestito della festa nuovo di zecca. E nessuna sorpresa avrebbe potuto destare maggiore meraviglia.Maria aveva le doti necessarie per governare una famiglia di sei maschi energici e intraprendenti. Sapeva farsi obbedire dai figli e rispettava il marito, mettendolo sempre in buona luce e in primo piano agli occhi dei ragazzi. Le interessava fare, non apparire, e in questo assecondava la mentalità del tempo, con saggezza, ma anche con la consapevolezza che il suo ruolo non era secondario a quello del marito.Era autonoma e moderna - qualità che seppe trasmettere ai figli - aperta alle novità e capace, più del marito, di stare al passo coi tempi. Anche in età avanzata riusciva a mantenere un rapporto vivace e alla pari con nuore e nipoti. Era punto di riferimento per tutti loro e tutti erano innamorati della nonna Maria. Lei aveva sempre qualcosa da offrire o qualche mancia per i piccoli servizi che le rendevano i nipoti.Maria era una donna forte, ma di pace. Un senso di pace che sapeva trasmettere agli altri, con cui stava volentieri, mai stanca di accogliere chi veniva nella sua casa, per lavoro, per visita o altro.In questo faceva ciò che a suo marito Battista talvolta pesava: essere disponibile a incontrare tutti coloro che, per un motivo o per l’altro,

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frequentavano l’azienda o la casa. Tanto allegra e disponibile lei, quanto compunto e riservato il marito; i due si completavano, diversi nel modo e nella vivacità con cui affrontavano il mondo.La porta della loro casa era sempre aperta, tutti ricordano che a pranzo lei preparava una porzione in più, e quasi sempre c’era qualcuno che, invitato o no, si fermava a mangiare in compagnia. Un amico, un cliente, un fornitore o anche un povero, che godeva dell’ospitalità di una cucina sempre aperta.Ospitalità che, d’accordo con Battista, Maria offrì per un ventennio a Giovanni Ceccato (Ioanin), rimasto orfano e affetto da disabilità mentale. Ioanin fu accolto a casa loro, proprio come Maria fu accolta a casa di un suo parente, Angelo Bronca, che con la fidanzata Italia Munaro, andò a prenderla all’orfanotrofio, e la fece crescere assieme alle figlie che ebbe poi dal matrimonio.Maria continuò a cucire e a sistemare gli abiti

di famiglia, anche quando avrebbe potuto permettersi l’aiuto di una sarta. Aveva una mezza stanza sempre piena di stoffe – che lei chiamava “strasse” – con cui fare qualcosa. Non buttava nulla perché, chissà, forse sarebbe potuto tornarle utile prima o poi.Quelle che una volta erano state le maniche di una camicia da notte potevano ricomparire dopo qualche anno sotto forma di ornamento sulla scollatura di un abito estivo (e nessuno se ne sarebbe accorto).Non era, tuttavia, una donna dimessa. I figli ricordano alcune sue uscite sorprendenti, come quando si faceva portare in città e tornava con un collo di volpe nuovo, o con una bella acconciatura e le mani curate.Allora capivano perché, dopo tutto il lavoro necessario per la famiglia, trovava anche il tempo per pascere le oche del serraglio.Un bel giorno, le oche sparivano e al loro posto si materializzava il denaro per qualche sfizio.

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Il primo capannone a San Michele.

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I sacrifici di quegli anni furono un insegnamento prezioso per i fratelli Camporese, che li portò a mettere tutto il loro impegno nello sviluppo di quella che allora era una bottega artigiana e che poi sarebbe diventata un’azienda industriale. Questo fu possibile non solo grazie alla buona volontà, ma sicuramente per lo spirito di sacrificio, la dedizione, l’armonia che regnava tra loro e che riusciva a tenerli compatti di fronte all’impegno comune, e permetteva loro di fare economia e rinunciare a qualcosa di personale per lo sviluppo di quell’azienda che era il bene di tutti. Non è un caso quindi che i ragazzi manifestassero presto, spontaneamente, il desiderio di lavorare col padre, nel primo insediamento a San Michele delle Badesse. Intorno a quella bottega si creò un movimento di gente, per lo più giovani coetanei dei fratelli Camporese. La bottega era diventata uno dei luoghi di ritrovo la sera e la domenica, lì si davano appuntamento per stare in compagnia, per organizzare un’uscita o progettare qualcosa da fare insieme.Negli anni che precedettero lo scoppio della seconda guerra mondiale, il pensiero di

Battista era sempre rivolto alla ricerca di una specializzazione verso cui indirizzare il proprio lavoro. Qualcosa che fosse veramente nuovo e unico nel panorama locale e non solo. In principio si orientò verso lo studio di attrezzi per l’agricoltura, come gli aratri, o strumenti di uso domestico, come un “batti-burro”. Fino ad allora, aveva realizzato le bare soltanto in occasione della scomparsa di qualche conoscente, o su richiesta specifica di un cliente affezionato.Un’attività che affiancava a quella principale e che lo costringeva al lavoro notturno. Poi pensò di farne qualcuna in più, da fornire agli amici falegnami dei paesi vicini, a cui si rivolgevano le famiglie in occasione di un lutto. Quando succedeva, il falegname spesso doveva passare la notte insonne a fabbricare la cassa per il funerale del giorno seguente. Così cominciò la costruzione in serie di un nuovo prodotto, da vendere appunto ai falegnami e, in numero maggiore, alle poche imprese funebri organizzate esistenti. Primi in assoluto Farinati a Mirano, Tegon a Treviso, Macola a Camposampiero, Santinello a Padova e Zanini a San Donà di Piave. E via, via, da qui

Battista e i figli nella prima bottega

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Linea di segheria.

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ad altre città del Veneto e poi del Nord Italia. Nelle vicinanze, i cofani venivano trasportati con il carretto a due ruote di ferro, trainato da cavalli, del signor Giulio Michieletto, che solitamente trasportava ghiaia.Si continuava ancora a fare tutto nella falegnameria di San Michele delle Badesse. Ma il locale cominciava a non essere più adeguato alla mole di lavoro. Era difficile sia entrare con la materia prima che uscire con il prodotto finito. L’accesso al capannone era così stretto da costringere chi ci lavorava a portare i tronchi montati su carrelli trascinati a braccia, e spesso a caricarsi le tavole sulle spalle. Ma nonostante queste difficoltà logistiche, il lavoro artigianale si evolveva continuamente. Alle attrezzature rudimentali ne subentrarono di nuove, più evolute, frutto dell’inventiva personale, di studio approfondito, di continui tentativi per migliorare le prestazioni e i prodotti. Come la macchina per tortiglioni: Battista realizzò i componenti in legno e il signor Adolfo Liviero, detto “Pupo

1937. Il signor Giulio Michieletto, con il suo carroa due ruote in ferro, trainato dal cavallo.

Solitamente trasportava ghiaia e occasionalmente i cofani.

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Pessato”, costruì le parti in ferro, riciclando vecchie balestre di automobili.Insieme al collega Antonio Fassina realizzò una pialla a filo, in legno, procurandosi il primo motore elettrico del paese, da un cavallo e mezzo di potenza. Quando il motore girava, diminuiva la tensione di tutta la linea elettrica, lasciando quasi al buio le famiglie del quartiere. Per questo motivo spesso Battista era costretto a farla funzionare di notte.In seguito si costruì una sega a nastro, sempre in legno, e quando fu demolito l’orologio del campanile, ne utilizzò gli ingranaggi per farne una pialla ondulatrice e un pantografo, che gli serviva per intarsiare e decorare i suoi prodotti.Riservato com’era per natura, e geloso delle sue creazioni, teneva tutto avvolto dalla segretezza.Solo i figli ed i collaboratori entravano nella parte più interna del suo laboratorio, che consisteva in un piccolo capannone, appoggiato sul lato sud della sua abitazione. Era su due piani: al piano terra si entrava dal cortile, mentre per accedere al primo piano bisognava passare dalla finestra di una stanza. A chi gli faceva notare questa stranezza rispondeva che a lui non creava nessuna difficoltà e che gli altri avrebbero potuto restarne fuori. I figli, nel frattempo, si davano da fare. Evidentemente l’inventiva era un tratto genetico. Guidati da Pino, il maggiore, appassionato di meccanica, costruirono una

macchina per “battere la saggina”, fissata sul vecchio telaio di un’auto, utilizzato come carrello. La macchina funzionava con un motore a petrolio, carburante all’epoca contingentato. Ogni famiglia poteva ottenerne solo una modesta quantità, presentando la propria “tessera”. I cinque fratelli si erano inventati un business attorno a questa loro creazione. Portavano la macchina “batti-saggina” presso le famiglie dei contadini. La trainavano con i buoi e la facevano lavorare con il petrolio delle famiglie. In cambio del servizio chiedevano una quota della saggina battuta, che poi vendevano.

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1943. Pialla a filo in legno costruita da Battista.

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1953. I fratelli Camporese con i dipendenti davanti ai primi capannoni del nuovo stabilimento di Borgoricco.

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Nell’immediato dopoguerra, Battista affiancò il lavoro della falegnameria con l’assistenza alle macchine per trebbiatura, attività che gli permise di aumentare le proprie competenze tecniche. Competenze che poi investiva nella progettazione delle attrezzature da lavoro. Nella stessa epoca cominciò a procurarsi il legname direttamente dalle nostre montagne: dal bellunese, dal Trentino, dall’Alto Adige. In assenza di altri mezzi, pubblici o privati, raggiungeva le località minori viaggiando su camionette militari. Dopo il suo collaudo, il legname veniva spedito in treno fino alla stazione di San Giorgio delle Pertiche e lì montato su carri a cavallo nei primi anni, e più avanti su camion. Il lavoro aumentava, consentendo l’assunzione di altri collaboratori, ma lo spazio, nel capannone a San Michele, era sempre lo stesso. Così la produzione dei semilavorati avveniva in bottega e il montaggio dei cofani funebri veniva fatto dai dipendenti, a casa loro. I figli, col carro trainato da una mucca, facevano tutti i giorni il giro delle abitazioni, per consegnare i componenti e ritirare il prodotto montato. Ben presto, una delle esigenze più sentite

Verso Borgoricco

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1955. L’autocarro della ditta Camporese e figli, con l’indicazione dei numeri di telefono:9 per Borgoricco e 4 per San Michele delle Badesse.

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fu quella del telefono. A San Michele il problema era notevole; Giovanni Gallo, detto “Pancione”, proprietario del negozio di alimentari di Borgoricco, era l’unico della zona ad avere un telefono pubblico. Quando arrivava una chiamata per i Camporese, inforcava la bicicletta e pedalava per andare ad avvisarli di un appuntamento telefonico. Ma con l’aumentare dei clienti, in città sempre più lontane, diventava necessario comunicare più rapidamente. Il telegrafo e la posta erano lenti. I Camporese chiesero l’allacciamento e furono tra i primi ad averlo, con il numero 4, dopo il Comune, il medico ed il posto pubblico. Qualche anno dopo ottennero il numero 9, per la sede di Borgoricco.Nel 1951 arrivò il tanto agognato ampliamento. La famiglia acquistò la casa del dottor Molini, a Borgoricco, con quattromila metri di terreno e vi si trasferì. L’anno successivo iniziò la costruzione dei primi capannoni con un piccolo ufficio interno. Fu un investimento importante per l’azienda. Per risparmiare, il capannone fu realizzato con mattoni fatti a mano dai figli e con il tetto in legno, fatto da Battista.Per qualche anno i Camporese non abbandonarono la sede di San Michele,

dove rimaneva la segheria ed una parte della lavorazione. Poi la proprietà diventò l’abitazione del figlio maggiore, Pino.Un altro dei grandi problemi iniziali, sulla via dell’industrializzazione, fu quello dell’energia elettrica. A Borgoricco non c’era energia sufficiente per uno stabilimento. Allora, dopo una lunga trattativa ed un’ancor più lunga attesa, arrivò la prima cabina per la corrente ad alta tensione di tutto il comune. Ai Camporese fu imposto l’obbligo di cedere un’area all’interno della proprietà, istituendo una servitù tuttora esistente. Infatti, per agevolare l’arrivo della cabina, le destinarono uno spazio del loro fabbricato, dove ancora si trova. L’azienda si radicò nel tessuto sociale borgoricchese, al punto da segnarne il tempo. La fabbrica aveva una sirena, che suonava alle 8 quando iniziava il lavoro, alle 12 per la pausa, e poi di nuovo alle 13.30 e alle 17.30. Una sirena forte e continua, che assomigliava a quella di un allarme aereo in guerra. Per la gente di Borgoricco era “a cuca”. Un richiamo divenuto familiare per tutti, tanto che, quella mattina in cui per un guasto non suonò, qualcuno arrivò tardi al lavoro e pure qualche negozio aprì in ritardo.

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1929. Cassetta per recuperare le maniglie di ghisa della cassa prima della sepoltura.A destra, saldatore ad acqua e carburo realizzato con due proiettili di cannone

della prima guerra mondiale (opera di ingegno di Battista Camporese).

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Durante la guerra, Battista era stato costretto dai tedeschi a fabbricare alcune casse e a svolgere una sorta di servizio mortuario. Attività che aveva sempre continuato ad affiancare alla principale, anche se fino alla fine degli anni Quaranta lui ed i figli rimanevano più proiettati verso lo sviluppo dell’azienda di produzione.A quei tempi, in campagna, quando scompariva una persona cara, la tradizione voleva che alcuni amici si mettessero a “camminare per il morto”, ossia a sbrigare tutte le incombenze relative all’organizzazione del funerale, per conto della famiglia, sollevandola da questo peso gravoso nel momento del dolore.Dopo la guerra, le abitudini delle famiglie che pativano un lutto cominciarono a cambiare. Era necessario dare un servizio migliore. Seguendo questa idea, già in quel periodo Battista e figli costruirono un’autofunebre. La ricavarono da una Ford 8V, che l’esercito americano aveva lasciato in Italia, con motore a otto cilindri alimentato a metano e con cambio a tre rapporti. Occorreva una certa abilità nella guida, perché era difficile mantenere la velocità

dei pedoni al corteo funebre, a causa delle marce troppo lunghe.In quel tempo i fratelli si interrogarono sull’opportunità di diventare organizzatori del funerale anche nei piccoli paesi, anziché solo fornitori di cofano e trasporto. Proprio come avevano visto fare dalle poche imprese di città, generalmente per le famiglie più abbienti. In tal modo il servizio funebre avrebbe acquistato in completezza qualità ed efficienza, e le famiglie non avrebbero avuto incombenze da svolgere.Nel frattempo il lavoro di fornitura dei cofani alle altre onoranze funebri aveva procurato numerosi contatti con gli impresari del settore, allargando le conoscenze e le competenze. Ciò permise di aumentare la qualità dell’offerta, oltre ad aprire il campo al servizio di organizzazione e trasporto in Italia e all’estero, per i colleghi.Per soddisfare tutte queste esigenze, l’azienda si dotò di mezzi, ma soprattutto dell’investimento più importante, l’elemento principale sul quale l’azienda ha sempre puntato per crescere in professionalità, quello che oggi si chiama capitale umano.

Lo sviluppo dell’attività di onoranze funebri

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Persone che hanno lavorato fianco a fianco coi Camporese per decenni, collaborando con le tre generazioni. Due di essi, nel 2009, riceveranno un riconoscimento dalla Camera di Commercio di Padova, riservato ai lavoratori di particolare importanza e anzianità di servizio nelle aziende della provincia: avevano passato ben cinquant’anni nelle due ditte Camporese, e continuavano a prestare il loro servizio.

Durante gli anni Cinquanta, fatto il salto di qualità, i figli di Battista e Maria presero sempre più in mano, ed in prima persona, la responsabilità dell’azienda, dividendosi i compiti. Nel 1956 Battista, consapevole di questo, cambiò la denominazione in Camera di Commercio, passando da ditta individuale a “Camporese Pietro Battista e figli, società di fatto”, che nel 1968 si trasformò in FAB

di Camporese Fratelli Snc e poi, nel 1990, in FAB Camporese Srl, il nome attuale.Pino, che già validamente aiutava il papà prima e durante la guerra e ne aveva maggiormente ereditato la passione per la meccanica, si dedicava alle macchine di produzione. Molte di quelle della prima industrializzazione, sino agli anni ’70, sono state sue creature. Tuttora sono in funzione macchine, parti meccaniche e adattamenti fatti da lui. Anche gli altri fratelli, dopo la scuola dell’obbligo, si precipitarono in azienda, eccetto Gigetto, il secondo, l’unico che dimostrò di preferire lo studio e passò due anni ad Ivrea nell’Istituto Salesiano. Tornò a casa nel ’42 a causa della guerra, ma ricordò sempre con nostalgia quel periodo, rimanendo animatore attivo degli incontri di ex allievi della zona. Con l’andar del tempo e la crescita delle onoranze funebri, già negli anni Cinquanta fu necessario occuparsene con maggiore intensità. Gigetto lavorò progressivamente sempre più per i servizi funebri, mentre Pino si occupava delle macchine ed insieme a Toni della segheria, dell’industrializzazione, della lavorazione del legno e della guida dei dipendenti. Anche Guerrino e Lidio

Negli anni Cinquantai figli cominciarono ad assumerein prima personala responsabilità dell’azienda.

1947. La prima autofunebre.Fu realizzata da Pietro Camporese con figli,ricavandola da una Ford V8 dell’esercito americano.

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inizialmente lavoravano per entrambe le attività, come avviene in molte aziende di famiglia, dove il fare non è a compartimenti stagni.Nel primo periodo tutti loro, infatti, quando c’era un servizio funebre, lasciavano per qualche ora la falegnameria e si dedicavano alla famiglia del defunto ed all’organizzazione delle esequie.Con l’aumento del numero dei servizi vennero sempre più interessati i collaboratori.Lidio si dedicò sempre più al settore funebre,

promuovendone la crescita e lo sviluppo in particolare nel campo dei marmi cimiteriali. Guerrino si occupava di entrambe le attività, sopratutto per la parte contabile e del rapporto con enti, banche e associazioni. Intraprendente nelle relazioni commerciali, il suo settore specifico era lo sviluppo del mercato dei prodotti. Frequenti erano i suoi viaggi a tappe, fino in Sicilia, in Sardegna o all’estero, per incontrare i clienti impresari funebri o i fornitori di legname, che poi spesso ricambiavano con una visita in azienda.

1958. Autofunebrecon necrofori in divisa.

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1960. Cena aziendale della Camporese.

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A partire dagli anni Sessanta Battista lasciò progressivamente il governo dell’azienda ai figli. Come diceva lui: era nato senza possedere nulla e così se ne poteva tranquillamente andare.Nel 1967 fu ricoverato all’ospedale di Camposampiero per un intervento chirurgico. Una cosa non particolarmente grave, ma Battista non voleva lasciare nulla al caso. Convocò i figli, uno ad uno, e comunicò loro che intendeva ritirarsi dalla sua posizione di proprietà. A chi gli chiese cosa intendesse tenere per sé, per provvedere agli anni della sua vecchiaia, rispose semplicemente: “Mi fido di voi”. E da allora in poi continuò a frequentare l’azienda, lavorando come un semplice operaio. Morì nel 1978.Intanto la Camporese cresceva, con le due attività sempre più distinte tra loro. Tra gli anni Sessanta e Settanta fu costruita la maggior parte degli stabili, con notevoli investimenti. Inizialmente le macchine erano quelle fatte da Battista e da Pino. Poi furono acquistati macchinari specifici per la lavorazione dei cofani, di produzione italiana e tedesca.I dipendenti aumentavano, così anche i clienti della produzione ed il lavoro delle onoranze funebri. Molti artigiani e falegnami, che in passato avevano costruito cofani funebri, trovarono più conveniente dedicarsi al mobile e all’edilizia e lasciarono la produzione delle bare ad aziende specializzate, come la FAB Camporese. In quel periodo, e sino agli anni Ottanta, le industrie italiane del settore conobbero solo espansione e miglioramento della qualità. Anche i fratelli Camporese riuscirono a percorrere questa strada; le due ditte arrivarono ad occupare circa cinquanta addetti. Allargarono il giro degli

I fratelli guidano l’azienda

I fratelli Camporese davanti a pacchi di legname.

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acquisti di legname procurandosi essenze pregiate dal Piemonte, dalla Toscana, dalla Calabria, dall’Europa dell’Est e dall’Africa. Per meglio trovare una collocazione sul mercato, pensarono di utilizzare anche un’essenza particolare, il castagno, specializzandosi nella sua lavorazione. Ciò fu di ulteriore stimolo per allargare il mercato e permise di entrare in zone in cui quel legno era particolarmente apprezzato: il Lazio, la Campania, la Calabria e altre parti d’Italia. In questa maniera l’azienda acquisì una clientela che richiedeva un prodotto di qualità medio-alta, diffusa a macchia di leopardo in tutto il paese, isole comprese. Per un’azienda produttiva come la Camporese si trattava di un mercato molto ampio che comportava lunghi viaggi per le consegne. Il lato positivo, però, fu la possibilità di conoscere imprese funebri e costumi locali ovunque in Italia ed anche in alcuni paesi esteri, come il Belgio, la Germania e la Francia. Ciò permise di ampliare l’offerta e le conoscenze della onoranze funebri per tutta quell’attività di servizi professionali e trasporti, anche internazionali, svolti per i colleghi. Non c’è una provincia italiana dove la Onoranze Funebri Camporese non si sia trovata ad operare. E lo stesso si può dire per la maggior parte dei Paesi europei e per diversi altri nel mondo.La naturale inclinazione a collaborare con i colleghi, che Battista aveva sempre coltivato

e trasmesso ai figli, si tradusse in un proficuo impegno nel campo associativo.Nel 1965 si costituì la prima Associazione di categoria del settore funebre, la Fe.N.I.O.F. (Federazione Nazionale Italiana Onoranze Funebri), tuttora la principale. La Onoranze Funebri Camporese vi aderì e così fece la FAB (Falegnameria Artistica Borgoricco) aderendo all’A.N.Fa.C. (Associazione Nazionale Fabbricanti Cofani), nata poco dopo. In entrambe le Associazioni di categoria, l’impegno e la presenza dell’azienda di Borgoricco furono costanti e assidue e portarono anche alcuni componenti della famiglia a rivestire diversi incarichi istituzionali.I fratelli Camporese si dimostrarono aperti al dialogo con i colleghi ed in particolare con gli altri tre principali produttori veneti, ai quali erano legati da solida amicizia.Nel 1967, insieme, queste quattro imprese si lanciarono alla ricerca di un prodotto innovativo da realizzare con un materiale alternativo al legno: una resina. Costituirono così una società, la Resilegno Italiana Spa.Nel 1970, lo stesso gruppo, con il sostegno della Fe.N.I.O.F., organizzò a Firenze la prima Mostra internazionale funeraria italiana. Anche questa per la FAB fu un’importante occasione di sviluppo, che la portò ad ampliare ulteriormente la propria clientela nel Centro e Sud Italia. Dopo la fiera di Firenze ne furono organizzate altre, in diverse città d’Italia.

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Nel 1990 i prodotti Camporese furono portati a Dusseldorf, in Germania facendo apprezzare il design italiano.Anche per la Onoranze Funebri quegli anni furono segnati da continua crescita, fi no a fare dell’azienda la maggiore dell’Alta Padovana. Lo confermano eventi di rilievo, come il funerale della collezionista americana Peggy Guggenheim nel dicembre 1979.Nel 1981 le due ditte Camporese furono divise anche societariamente. I servizi presero il nome di “Impresa Onoranze e Trasporti Funebri Camporese snc”, che dal 1998 è diventata “Onoranze Funebri Camporese sas”.diventata “Onoranze Funebri Camporese sas”.

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La prima Mostra internazionale funeraria organizzata a Firenze nel 1970con il sostegno della Fe.N.I.O.F.

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I Camporese con i colleghi fabbricanti alla Mostra organizzata a Firenze.

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Un disegno della fabbrica di Borgoricco.Sotto, lo stabilimento fi no agli anni Sessanta.

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L’interno della fabbrica di Borgoricco negli anni Settanta.

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“Dal tronco lavorato con maestrìa il meglio”.Opera premiata all’Esposizione internazionale di Foggia del 25 giugno 1979.

1º ANKH ITALIANOSEZIONE FABBRICANTI

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Giugno 1979. All’Esposizione di Foggia, Guerrino ritira il premio per la Camporese.

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I risultati ottenuti e la passione per il lavoro, animavano una continua ricerca di innovazione. Un esempio fu lo studio e la realizzazione, nei primi anni Ottanta, di una macchina fotografica, la “Repro 4”, che riproducesse istantaneamente le foto dei defunti in 2 o 4 esemplari, per poter affiggere i manifesti murali con la foto, usanza introdotta in zona dalla OF Camporese.A quel tempo, nel mercato non c’era un prodotto adatto a questa esigenza particolare. La “Repro 4” fu quindi realizzata in serie e venduta ad altre imprese. Accanto alla crescente professionalità nell’attività locale, aumentava l’attività di servizi e trasporti rivolta ai colleghi italiani ed esteri.La produzione invece, dopo una lunga fase di sviluppo, intorno alla metà degli anni Novanta, cominciò a risentire di un profondo cambiamento di mentalità, di gusti e di comportamenti riguardo alla morte e alle onoranze funebri. Si andava affermando una tendenza alla semplificazione, con una perdita d’interesse per gli aspetti più tradizionali, e

una maggiore attenzione per l’importanza del servizio a discapito del cofano, un tempo oggetto preponderante nella percezione delle onoranze al defunto. Tutto questo, insieme alla congiuntura economica negativa e alla pesante concorrenza dei mercati esteri ha portato verso una lenta ma continua caduta della qualità richiesta e dei fatturati delle aziende produttrici italiane. Le avvisaglie della crisi del settore consigliarono un atteggiamento prudente. Per questo motivo la FAB, negli ultimi quindici anni, ha modificato il suo approccio adeguandosi alle nuove richieste del mercato.Molti colleghi hanno subìto una notevole flessione della domanda e quindi della produzione, e parecchi sono stati costretti a cessare l’attività. Oggi, almeno la metà dei cofani funebri utilizzati in Italia proviene da Paesi in cui la manodopera costa meno, anche se ciò va a scapito della qualità del prodotto.La FAB Camporese ha risentito di questa crisi ma, grazie alla presenza ed alle sinergie con la Onoranze Funebri, ha potuto continuare la sua attività.

Repro 4 - Reproclima riproduttore fotografico.

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Il settore amministrativo.

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La Camporese premia i suoi collaboratori pensionati negli anni Ottanta.

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Arrivo in segheria dei tronchi di mogano e noce africani.

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2000. Mostra del settore aModena.

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1997. Visita del Console senegaleseDiouf Abdoukarim allo stabilimentodi Borgoricco.

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2003. Il Vescovo di Padova Antonio Mattiazzovisita la Camporese

e incontra le maestranze.

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In piedi da sinistra: Rino, Lucio, Gino - Seduti: Lidio, Guerrino e Toni Camporese.

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Negli anni più recenti, l’attività delle onoranze funebri della Camporese rivolta alle altre imprese è culminata in accordi con partner internazionali per il rimpatrio delle salme di stranieri deceduti in tutto il Settentrione e in parte del resto d’Italia, o per il rimpatrio degli italiani deceduti all’estero.Nella nostra zona, dopo il 2000, le condizioni del mercato sono mutate anche nel campo dei servizi, sia per il cambiamento dei costumi sia per la nascita di molti concorrenti nelle vicinanze. Ma le risorse a disposizione dei Camporese non sono mancate: la volontà di rinnovarsi, l’entrata in azienda di forze nuove, la capacità di integrare, diversificare e internazionalizzare l’attività. Grazie a questo, l’impresa è riuscita a mantenere una posizione di prestigio nel settore. Già da tempo, dopo Battista e i figli, nella gestione di FAB e OF Camporese è coinvolta la terza generazione.Pino e Gigetto ci hanno lavorato sino a che le condizioni di salute glielo hanno permesso, fin

quasi alla loro scomparsa nel 1998 e nel 2013.Toni da qualche anno non presta più servizio a tempo pieno, anche se rimane socio e quotidianamente visita l’azienda e dà il suo prezioso apporto.Guerrino e Lidio lavorano ancora, assiduamente e con impegno.I soci di terza generazione: Gino, figlio di Gigetto, Lucio di Guerrino e Rino di Lidio, assieme a Marta, figlia di Pino, e Maria Ausilia di Gigetto, già da molti anni prestano la loro opera in azienza, con il compito di portare avanti e rinnovare l’attività di famiglia, fedeli agli ideali sempre riconosciuti.I progetti da realizzare sono tanti, per una società attiva, sempre attenta alla soddisfazione dei clienti, punto di riferimento per tanti colleghi non solo italiani.Il panorama è cambiato, ma il segreto è rimasto lo stesso: la passione per il lavoro, una famiglia unita e il rispetto per i valori che da sempre hanno segnato il percorso.

I nostri giorni

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Camposampiero, 2005. Premiazione Maestri del Commercio a cura della Confcommercio di Padova.Da sinistra: l’Assessore alle Attività Produttive della Provincia di Padova, Flavio Manzolini, l’Assessore al Commercio

del Comune di Padova, Ruggero Pieruz, Guerrino Camporese, la signora Ines Marangon presidente 50&PIÙ,il sindaco di Camposampiero Marcello Volpato e Alfredo Gomiero.

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20 dicembre 2009.Premio al lavoro e al progresso economico

assegnato dalla Camera di Commercio.

Da sinistra:Nicola Rossi presidente Confesercenti

Padova, Benito Rossi collaboratore della Camporese, Fernando Zilio presidente ASCOM Padova e Giovanna Novello

sindaco di Borgoricco.

Sotto da sinistra:Mario Cortella, consigliere della Camera

di Commercio di Padova, Giuseppe Bosello collaboratore della Camporese,

Roberto Furlan presidente della Camera di Commercio di Padovae il sindaco di Borgoricco.

Due «recordmen» alla CamporeseBorgoricco. La Camera di Com-mercio ha assegnato la distinzione di merito a due dipendenti della Camporese: Benito Rossi, giunto da Mirano a Borgoricco, lavora da 52 anni per la ditta di onoranze fu-nebri; Giuseppe Bosello, del paese, è dipendente FAB - produzione cofani e accessori funebri - da 48 anni. Con loro il titolare Guerrino Camporese.(da Il Mattino di Padova, 29 /12/2009).

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Immagini dello stabilimento attuale.

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Finito di stampare nel mese di maggio 2015presso Bertato srl - Villa del Conte (PD)

Presentazione .............................................................................pag. 5

Le origini ......................................................................................... » 7

La famiglia ...................................................................................... » 13

Battista e i figli nella prima bottega .................................... » 17

Verso Borgoricco ......................................................................... » 23

Lo sviluppo dell’attività di onoranze funebri ................. » 27

I fratelli guidano l’azienda ...................................................... » 32

I nostri giorni ................................................................................ » 53

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