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Il sistema Monte Carlo e la Valutazione Quantitativa del Rischio microbiologico nell’igiene degli alimenti Maurizio Ferri 1 – Valerio Giaccone 2 1 Servizio veterinario ASL n.5 di Pescara 2 Dipartimento di Sanità pubblica, Patologia comparata e Igiene veterinaria Introduzione L’ analisi del rischio comincia a essere un concetto familiare per quanti si interessano di igiene degli alimenti, e quindi anche per i veterinari, siano essi dipendenti pubblici o privati consulenti. Sulle nostre riviste di settore si è cominciato a pubblicare qualche rassegna illustrativa, compaiono i primi timidi tentativi di Valutazione Quantitativa del Rischio anche nel settore delle produzioni alimentari, e all’estero la bibliografia specializzata si arricchisce di tutta una serie di contributi pratici. Questa è forse la sede più indicata per fare il punto della situazione, e portare in discussione argomenti che sinora erano stati considerati soltanto di striscio. È questo il filo conduttore che ci ha guidato nello stilare questa relazione: ci è sembrato giusto approfondire in particolare le novità che sono emerse nella risk analysis in questi ultimi tempi, sulle definizioni e gli ambiti di applicazione della VQR. In particolare, è opportuno cominciare a chiedersi chi debba applicarla : le industrie come necessaria implementazione del piano HACCP? Le autorità sanitarie nazionali e sovranazionali per il raggiungimento degli obiettivi di sanità pubblica? Non è nostra intenzione rispondere in modo definitivo a queste domande proprio in questa sede; con quel che segue, vogliamo piuttosto portare il nostro contributo alla discussione. L’analisi del rischio (Risk analysis) come tecnica di valutazione, gestione e comunicazione del rischio era già conosciuta agli inizi degli anni ‘70, ma solo di recente ha ricevuto un’attenzione particolare come applicazione specifica nel campo della microbiologia degli alimenti e, più in generale, della sicurezza alimentare. Dalla sua iniziale applicazione ai settori dell’ingegneria, della chimica e della finanza, infatti, questo sistema di calcolo comincia gradualmente a essere applicato anche dalle industrie alimentari, per stimare la probabilità con cui si potrebbero manifestarsi i pericoli microbiologici, costituiti da quei virus, batteri e loro tossine che possono indurre la comparsa nel consumatore, di una malattia alimentare.

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Il sistema Monte Carlo e la Valutazione Quantitativa del Rischio microbiologico nell’igiene degli alimenti

Maurizio Ferri1 – Valerio Giaccone2 1 Servizio veterinario ASL n.5 di Pescara 2 Dipartimento di Sanità pubblica, Patologia comparata e Igiene veterinaria Introduzione L’analisi del rischio comincia a essere un concetto familiare per quanti si interessano di igiene degli alimenti, e quindi anche per i veterinari, siano essi dipendenti pubblici o privati consulenti. Sulle nostre riviste di settore si è cominciato a pubblicare qualche rassegna illustrativa, compaiono i primi timidi tentativi di Valutazione Quantitativa del Rischio anche nel settore delle produzioni alimentari, e all’estero la bibliografia specializzata si arricchisce di tutta una serie di contributi pratici. Questa è forse la sede più indicata per fare il punto della situazione, e portare in discussione argomenti che sinora erano stati considerati soltanto di striscio. È questo il filo conduttore che ci ha guidato nello stilare questa relazione: ci è sembrato giusto approfondire in particolare le novità che sono emerse nella risk analysis in questi ultimi tempi, sulle definizioni e gli ambiti di applicazione della VQR. In particolare, è opportuno cominciare a chiedersi chi debba applicarla: le industrie come necessaria implementazione del piano HACCP? Le autorità sanitarie nazionali e sovranazionali per il raggiungimento degli obiettivi di sanità pubblica? Non è nostra intenzione rispondere in modo definitivo a queste domande proprio in questa sede; con quel che segue, vogliamo piuttosto portare il nostro contributo alla discussione. L’analisi del rischio (Risk analysis) come tecnica di valutazione, gestione e comunicazione del rischio era già conosciuta agli inizi degli anni ‘70, ma solo di recente ha ricevuto un’attenzione particolare come applicazione specifica nel campo della microbiologia degli alimenti e, più in generale, della sicurezza alimentare. Dalla sua iniziale applicazione ai settori dell’ingegneria, della chimica e della finanza, infatti, questo sistema di calcolo comincia gradualmente a essere applicato anche dalle industrie alimentari, per stimare la probabilità con cui si potrebbero manifestarsi i pericoli microbiologici, costituiti da quei virus, batteri e loro tossine che possono indurre la comparsa nel consumatore, di una malattia alimentare.

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Nei primi tempi, le linee-guida e le raccomandazioni relative all’applicazione dell’analisi del rischio elaborate da organismi internazionali impegnati nel campo della sicurezza alimentare e sanità animale (la WHO, il Codex alimentarius e l’International Life Science Institute europeo) erano puntate su un approccio di tipo generale e multidisciplinare. Col passare degli anni e l’accumularsi delle prime esperienze pratiche, queste linee di comportamento hanno acquisito un taglio sempre più scientifico e specifico-settoriale relativamente ai diversi campi di applicazione (inquinamento ambientale, contaminazione chimica e microbiologia degli alimenti). Non bisogna dimenticare, inoltre, che l’applicazione della Risk Analysis nei vari paesi con realtà socio-sanitarie diversificate ha imposto definizioni di rischio necessariamente diverse sulla base della percezione sociale e politica dello stesso. I documenti ufficiali elaborati da Codex alimentarius e WHO, che trattano dell’analisi del rischio, costituiscono un corpus scientifico e normativo che nel tempo è diventato sempre più organico e aderente agli sviluppi scientifici. In essi l’analisi del rischio è sempre suddivisa nelle tre fasi rappresentate da Risk Assessment, Risk Management e Risk Communication, che non sono completamente separati, ma si sovrappongono in parte (il “partly overlapping” degli Autori di lingua inglese) proprio in virtù del processo di scambio attivo di dati ed informazioni tra i diversi soggetti che partecipano all’intero processo di analisi. Storicamente il primo documento nel quale sono tracciate le linee principali sulle quali si svilupperà successivamente l’analisi del rischio applicata alla sicurezza alimentare, risale al 1995 ed è un rapporto della FAO/WHO. In esso si specifica che “il ruolo delle autorità sanitarie è anche quello dell’uso dell’analisi del rischio al fine non solo di determinare i livelli di rischio (realistici e raggiungibili) rappresentati da patogeni alimentari, ma di utilizzare i risultati che da esso scaturiscono per l’elaborazione delle misure normative per la sicurezza alimentare”. Successivamente, nell’ambito della realizzazione degli accordi commerciali internazionali (World Trade Organization, WTO 1994), per la prima volta i paesi partecipanti agli scambi si impegnarono a elaborare opportuni standard alimentari e ad armonizzare le specifiche normative nazionali sulla base di un rigoroso processo scientifico

Risk Management

Risk Comunication

Risk Assessment

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che deve tenere conto dei tre elementi che costituiscono l’analisi del rischio alimentare: Risk management (FAO/WHO, 1997), Risk assessment (CAC, 1999) e Risk communication (FAO/WHO, 1998). Oltre a elaborare raccomandazioni e linee-guida, a partire dal 1999 FAO e WHO hanno finanziato e condotto studi di valutazione del rischio applicati a diverse combinazioni patogeni-alimenti, sia per affrontare problematiche di gestione dei rischi specifici e migliorare la relativa metodologia, sia per formulare opportune linee-guida da applicare alle diverse fasi che costituiscono la valutazione quantitativa del rischio (valutazione dell’esposizione, valutazione dose-risposta, caratterizzazione del rischio). Negli Stati Uniti, FDA e USDA hanno da poco portato a termine un ampio studio di VQR per Listeria monocytogenes in 20 tipi diversi di prodotti alimentari pronti per il consumo (ready-to-eat foods) allo scopo di definire la probabilità di infezione umana associata alla loro assunzione. In generale, l’analisi del rischio può essere definita come “un processo di analisi e gestione di qualsiasi attività umana che può comportare conseguenze negative”. Nel campo della sicurezza alimentare essa costituisce uno strumento essenziale che consente alle autorità responsabili della sicurezza e alle organizzazioni internazionali di capire, selezionare e valutare le diverse opzioni o strategie di riduzione del rischio sanitario seguendo un approccio formale, sistematico e trasparente. Scenario: Risk analysis ed Europa Restando in ambito europeo, le istituzione comunitarie hanno già da tempo introdotto nella normativa sulla sicurezza alimentare e sanità animale i concetti di Risk Analysis e Risk Assessment. Il Regolamento (CE) n.178/2002 del 28 gennaio 2002, che stabilisce e fissa i requisiti generali della legislazione alimentare, comprese le procedure nel campo della sicurezza alimentare e le responsabilità degli stati membri, ha istituito l’ Autorità Europea per la sicurezza alimentare con il compito di fornire alla Commissione la necessaria assistenza scientifica e tecnica per l’individuazione e valutazione dei nuovi rischi o “rischi emergenti” associati agli alimenti (Risk assessment). I recenti sviluppi della visita ante mortem, contenuti nella nuova proposta di Regolamento del Parlamento e del Consiglio presentata dalla Commissione, che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano (COM/2002/0377 del 29/10/2002) tengono conto proprio dei concetti della valutazione del rischio (risk assessment). Nel processo di revisione delle procedure di ispezione delle carni si è tenuto conto dei pareri scientifici del comitato scientifico sulle misure veterinarie in relazione alla sanità pubblica (Opinion of the Scientific Committee on veterinary measures relating to public health on revision on inspection procedures del 24.2.2000). Il controllo ufficiale, così come concepito dal nuovo regolamento, deve rientrare in un sistema che poggi su basi scientifiche, che consideri tutti i rischi collegati alla sicurezza delle carni, che affidi specifiche

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responsabilità ai diversi soggetti della filiera. Il testo normativo enfatizza inoltre il concetto di filiera integrata (“from farm to fork”), che consente di “affrontare” e “gestire” il rischio in tutte le fasi di produzione fino al consumo in ambito domestico, attraverso un continuo flusso di informazioni tra tutti i soggetti della filiera, in particolare tra la produzione primaria e i macelli. Frequenza e intensità dei controlli devono poggiare su una valutazione dei rischi (risk assessment) per la salute, rappresentati dal tipo di animale e dal tipo di processo. Risk assessment La valutazione del rischio costituisce un metodo che consente di esaminare, in modo sistematico, informazioni e dati scientifici disponibili per arrivare a valutare la probabilità con cui un dato pericolo si può manifestare. Quest’ultimo può essere costituito da un’infezione, una patologia grave o addirittura dalla morte di una persona, conseguente al consumo di alimenti inquinati da patogeni alimentari. Nel meeting internazionale tenutosi a Veldhoven (Olanda) nel 1999, dedicato proprio alla valutazione del rischio microbiologico, nell’ambito di sessione separate sono state esaminate ed analizzate le quattro fasi che costituiscono il percorso logico della valutazione del rischio: Hazard identification, Hazard characterization, Exposure assessment, Risk characterization. In una nostra precedente rassegna (Ferri et al., 2001) abbiamo illustrato ai veterinari igienisti gli aspetti fondamentali e le motivazioni della Valutazione Quantitativa del Rischio (VQR). In questa sede, riteniamo utile approfondire ed aggiornare le nostre conoscenze proprio sulle singole fasi in cui è articolata detta VQR. In sintesi, Lammerding e Fazil (2000) hanno definito la valutazione dell’esposizione (exposure assessment) come “la probabilità di esposizione di un individuo o popolazione a un pericolo microbiologico e la carica probabile ingerita del patogeno”. La caratterizzazione del rischio (risk characterization) secondo la definizione data da Buchanan (2000), esprime invece “la probabilità della risposta di un individuo in seguito all’esposizione a un patogeno alimentare”. Questa probabilità dipende dall’integrazione dei fatto ri connessi alla sensibilità del singolo soggetto, al tipo di alimento in causa e, ovviamente, alla virulenza del microrganismo patogeno che lo ha inquinato. Nella fase finale del risk assessment, quindi, la valutazione dell’esposizione (frequenza e carica ingerita) fornisce l’input per i diversi modelli dose-risposta selezionati e in ultima analisi consente di valutare il rischio (risk estimate) in relazione alle scelte adottate dal risk manager. In altri termini, nell’ambito della gestione del rischio (risk management) la caratterizzazione del rischio consente cioè di pesare le diverse opzioni di risk management e determinare l’influenza delle diverse strategie di riduzione (mitigation strategies) sul rischio stimato. Nella valutazione di tutti gli effetti dosi-risposta dovuti all’ingestione di un alimento che veicola un determinato agente microbico, una sostanza chimica o una tossina, dobbiamo considerare tutti i possibili effetti (end-points) che

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possono essere associati a quell’evento (es. diarrea, tasso di morbilità, tasso di mortalità, ecc.). Con il risk assessment, quindi, è possibile rappresentare gli effetti o conseguenze associati a precise scelte adottate nella fase di gestione del rischio, in termini proprio di calcolo delle diverse probabilità di rischio. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, ossia il concetto di conseguenze o complicazioni di un pericolo, di recente è stata introdotto un nuovo parametro sanitario di valutazione, che integra tutti i possibili esiti legati ad un determinato agente di malattia alimentare. Lo scopo di questa innovazione è di mettere a confronto un determinato rischio sanitario con le diverse strategie di riduzione del rischio, per cercare di scoprire quale sia la più efficace. Questo parametro sanitario è stato chiamato DALY, acronimo di Disability Adjusted Life Years. Il DALY costituisce la somma degli anni di vita persi a causa di una mortalità prematura più quelli vissuti con una disabilità, corretta con un fattore che può oscillare tra 1 e 0 a seconda della gravità della malattia (Murrey, 1996). In Danimarca Havelaar e coll. (2000 a,b) hanno cercato di valutare quanto possano incidere ogni anno sulla popolazione danese gli episodi di campylobatteriosi di origine alimentare e hanno fatto una scoperta interessante. Bisogna premettere che l’infezione da Campylobacter può causare nell’uomo una grave enterite acuta, di solito emorragica, febbre e patologie extraintestinali, tra cui una forma di paresi-paralisi temporanea che i medici definiscono “sindrome di Guillain-Barré”. I dati epidemiologici consentono di affermare con buona sicurezza che l’infezione alimentare umana da Campylobacter si manifesta di regola con la forma enterica, caratterizzata da una mortalità relativamente bassa rispetto ad altre malattie alimentari come il botulismo o la listeriosi, e che le forme extraintestinali hanno un’incidenza decisamente più contenuta. Ciò nonostante, Havelaar e collaboratori, con le loro stime hanno dimostrato che le conseguenze meno frequenti della campylobatteriosi alimentare, quali la mortalità per gastroenterite (310 DALY) e la sindrome di Guillan-Barré (340 DALY) hanno inciso tanto quanto l’enterite acuta (440 DALY) sul peso sanitario totale delle infezioni per anno (1440 DALY). Quando si parla di risk assessment bisogno avere chiari tre concetti essenziali: il rischio, la probabilità e la distribuzione di probabilità. Fino a oggi sono state proposte diverse definizioni di rischio. Secondo Notermans (1996) il rischio è “la probabilità del verificarsi di un effetto sfavorevole”. Nell’ambito della VQR e in linea con la definizione che ne dà il Codex Alimentarius Commission (1998), il rischio è “una funzione della probabilità di un effetto sanitario sfavorevole, compresa la sua gravità, dovuto alla presenza di un pericolo nell’alimento”. In generale, quindi, il rischio può essere riferito sia alla probabilità del verificarsi di un determinato pericolo che alle conseguenze che esso comporta. Dal punto di vista microbiologico, il rischio per gli alimenti è, quindi, costituito dalla presenza nel substrato di microrganismi patogeni, dalla loro moltiplicazione e/o dall’accumulo nell’alimento stesso di loro tossine. Le strategie di riduzione del rischio che il risk manager può stabilire di assumere

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possono prevedere la riduzione della frequenza degli inquinamenti e/o degli effetti sfavorevoli che questo inquinamento potrebbe avere sulla salute umana. In quasi tutte le definizioni di rischio, in ogni caso, compare il termine “probabilità”, ma che cosa si intende con questa parola? La probabilità è un dato quantitativo, un numero che misura la possibilità con la quale un valore o un evento si verificano. Partendo da una simulazione di dati, la probabilità può essere misurata come frequenza, calcolando il numero di volte che un valore o evento compare e dividendolo per il numero totale degli stessi. Questo calcolo fornisce un valore tra 0 ed 1 che poi è moltiplicato per cento. Se consideriamo che un parametro o una variabile (tempo, temperature, valore di aw, ecc.) possono assumere valori diversi e se già conosciamo la probabilità associata a tutti questi valori, tutte queste probabilità possono essere rappresentate da una “distribuzione di probabilità”. Nella VQR queste distribuzioni di probabilità giocano un ruolo essenziale. I modelli di risk assessment possono essere divisi in modelli di tipo qualitativo e quantitativo. Il modello qualitativo segue lo stesso percorso logico dei modelli quantitativi (identificazione del pericolo, valutazione dell’esposizione, caratterizzazione del pericolo, caratterizzazione del rischio) e viene utilizzato quando non sono disponibili dati scientifici o quando il tempo e le risorse non ne consentono l’applicazione. Di solito, i dati che si utilizzano sono di tipo descrittivo. Il risultato finale di un RA utilizzando il modello di tipo qualitativo (più adatto per i pericoli chimici) è una stima del rischio di tipo categorico e soggettivo (rischio basso, medio, elevato) che non tiene conto dell’incertezza. Difficile l’adattamento ai rischi di tipo microbiologico. Come altra possibile situazione di impiego, i modelli qualitativi possono essere scelti nella prima fase del processo di valutazione della sicurezza, quando si intende accertare se il rischio è significativo e richiede una analisi più approfondita mediante l’approccio probabilistico (EPA, 1997). Il modello quantitativo, invece, può utilizzare due approcci differenti a seconda di come vengono descritti gli input o dati utilizzati: deterministico e stocastico. Il modello deterministico, o point-estimate, si basa su valori singoli quali medie o descrizione del worst-case scenario ossia la prospettiva in assoluto peggiore che ci si potrebbe attendere. Questo modello applicato alla fase della valutazione dose-risposta (dose-response assessment) porta ad associare a ciascun microrganismo una dose infettante minima, un valore soglia al disotto del quale non si manifesta alcuna reazione negativa nel soggetto ospite, secondo una distribuzione logaritmica normale o logistica entrambe simmetriche rispetto alla media. Il risultato finale (output) del risk assessment, quindi, è costituito da un valore singolo che definisce il rischio finale o final risk estimate (ad es., la probabilità che un consumatore possa sviluppare una enterite in seguito a consumo di un determinato alimenti che contenga un batterio patogeno in carica superiore a quella infettante è pari a 10 x 10-5).

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Sempre più spesso, tuttavia, negli studi di risk assessment si fa ricorso all’approccio stocastico o probabilistico-quantitativo. In questo secondo caso, il sistema utilizza tutti i dati disponibili e impiega le distribuzioni di probabilità per descrivere gli intervalli di oscillazione dei valori che i parametri oggetto di analisi possono assumere di volta in volta. La probabilità che un soggetto vada incontro a un determinato pericolo, quindi, assume l’aspetto di una distribuzione del rischio cui un individuo o una popolazione saranno esposti. Sempre considerando la modellazione dose-risposta per i batteri patogeni, secondo l’approccio stocastico ciascuna cellula vitale di microrganismo patogeno è potenzialmente in grado di infettare una persona e di indurre una risposta nell’individuo (es. infezione) e questa possibilità cresce all’aumentare della capacità patogena secondo il modello denominato dell’azione indipendente o single-hit o senza valore soglia. Le curve dose-risposta più utilizzate seguono i modelli: esponenziale, beta-poisson, beta binomiale, Gompertz. Recentemente il modello Weibull-gamma, dal nome del fisico Waloddi Weibull (che l’ha utilizzato per modellare la distribuzione della forza di rottura dei materiali), viene sempre più usato nella modellazione dose-risposta per la maggiore flessibilità. In questo modello la probabilità che una cellula batterica causi infezione viene rappresentata dalla funzione di probabilità gamma. Metodologia VQR Negli ultimi 2-3 anni la valutazione quantitativa del rischio ha fatto la sua comparsa sia in documenti ufficiali che in lavori scientifici. Per elencare alcuni esempi di applicazione dei modelli di VQR per alcuni microrganismi in specifici prodotti alimentari, possiamo citare il lavoro di Whiting e Buchanan (1997) relativo al rischio di Salmonella enteritidis nelle uova pastorizzate; lo studio di modellazione di Cassin e coll. (1998) per Escherichia coli O157:H7 negli hamburger; lo schema di modellazione di Nauta e Heuvelink (1998) relativo a Escherichia coli O157:H7 in carne di vitello e prodotti a base di carne di vitello; la VQR di Bemrah (1998) applicata a Listeria monocytogenes nel formaggio fresco prodotto con latte crudo. Da citare inoltre i recentissimi lavori su Staphylococcus aureus nel formaggio fresco (Lindqvist, 2002), Campylobacter spp nel pollame (Rosenquist, 2002), Bacillus cereus nelle puree di broccoli (Nauta, 2001). In tutti questi studi la trasmissione del patogeno in causa viene modellata lungo tutto la filiera attraverso l’individuazione di fasi o processi che si susseguono dall’allevamento fino al consumo dell’alimento. In questo modello di trasmissione è possibile seguire l’andamento delle distribuzioni (di probabilità) sia della prevalenza che della concentrazione del patogeno attraverso le fasi consecutive dell’intero processo. In altri termini, è possibile stimare in modo obiettivo in quali fasi il microrganismo tende a presentarsi più spesso rispetto alle altre e in quali cariche. Il modello di rischio che ne deriva può essere utilizzato non solo per valutare il rischio reale

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associato alla combinazione pericolo/prodotto/fase del processo, ma anche per prevedere gli effetti degli interventi proposti per ridurre il rischio stesso. In Fig. 1 si riporta uno schema grafico di modello di filiera per la valutazione del rischio (Model risk) costituito da un patogeno. Fig. 1. Schema di modellazione di filiera

Gli approcci suggeriti per tale modello “from farm to fork” sono molti, ma quasi tutti utilizzano il modello stocastico o probabilistico, cosi com’è il sistema Monte Carlo, che consente di caratterizzare proprio la variabilità e l’incertezza dei dati attraverso le distribuzioni di probabilità. Nel caso di Campylobacter spp. nel pollame, per esempio, avremo delle distribuzioni in ciascuna delle fasi o moduli indicati nello schema di flusso sopra descritto. Queste distribuzioni sono relative alla probabilità di infezione del pollo o di contaminazione del prodotto (prevalenza) con relativa carica microbica (concentrazione). Tutti i moduli sono considerati a sé stanti e, quindi, separati usando tecniche di modellazione appropriate e di raccolta dati. I moduli sono, però, interdipendenti nel senso che gli output di un modulo costituiscono gli input del modulo successivo e il modulo finale genererà i livelli probabili di rischio (final risk estimate). Sviluppo di modelli di VQR Per arrivare a discutere sulla validità dei differenti modelli di VQR e per valutare la loro applicabilità in un preciso contesto sociale ed economico è necessario fare una premessa: i singoli modelli, pur mantenendo una struttura simile, devono poter riflettere condizioni specifiche esistenti nei diversi paesi e adattarsi il più possibile a ciascun contesto nazionale. È proprio nella fase di valutazione dell'esposizione (exposure assesssment), infatti, che possono emergere differenze di un certo rilievo, dovute a diversi scenari nazionali caratterizzati da sistemi di produzione, distribuzione, preparazione e consumo degli alimenti oltre che di prevalenza di specifici microrganismi. Fino a oggi

Allevamento e trasporto

Macellazione e lavorazione

Preparazione e consumo

Conseguenze sanitarie Rischio/

no rischio

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sono stati elaborati diversi protocolli e raccolte di linee-guida (Proposed Draft Principles and guidelines for the conduct of microbial risk assessment, Codex Alimentarius Commission, 1998; A general framework illustrating an approach to Quantitative Microbial Food Safety Risk Assessment, McNab, 1998; Revised framework for microbial risk assessment, ILSI 2000). A dispetto di questa notevole mole di materiale prodotto, bisogna constatare che la metodologia di VQR non è ancora ben definita e che ciascun ricercatore tende ad approcciarsi al sistema in modo personale. Gli approcci utilizzati per lo sviluppo del modello di risk assessment nascono proprio dalle diverse finalità dello studio, cosi come definite nell’ambito della fase di risk management. In questa fase si decide sulle fasi da includere nello studio, sui processi chiave del processo, sul livello di precisione dei dati utilizzati per valutare la probabilità e sui livelli probabili di esposizione a un determinato pericolo. Si potrà decidere, per esempio, di focalizzare l’attenzione su alcune fasi soltanto del processo trascurandone altre, se la disponibilità di dati o conoscenza del processo non sono sufficienti o se interessa valutare un determinato end-point o conseguenza sanitaria associata ad un determinato pericolo microbiologico o chimico. Spetta al risk manager, dunque, stabilire qual è lo scopo iniziale del risk assessment; per arrivare allo scopo, tuttavia, è indispensabile identificare le fasi cruciali dell’intera filiera e i processi chiave, con tutti i dettagli necessari per la valutazione della probabilità in tutte le fasi e dei livelli probabili di esposizione finale del consumatore. Quindi, è possibile utilizzare approcci diversi per lo sviluppo del modello, secondo l’importanza e le finalità del risk assessment. Le linee-guida suggerite dalla commissione del Codex Alimentarius (1998) e relative alla valutazione del rischio microbiologico contengono un elenco di principi e definizioni, ma non fanno riferimento specifico ad una particolare metodologia. In teoria, una volta stabilita la modellazione di questi processi base è possibile modellare qualsiasi filiera alimentare nella quale esiste una sequenza di processi di base che si susseguono in modo più o meno consecutivo. Roberts e coll. (1995) propongono il modello Event tree che descrive lo scenario a partire dagli eventi iniziali fino al momento finale del risk assessment. Questo approccio consente di identificare le fasi della filiera ad alto rischio di contaminazione o malattia oltre che di individuare le variabili del rischio che necessitano di ulteriori dati o modellazione. Al contrario, nell’approccio Fault tree (Roberts, 1995) si inizia già con la descrizione di un determinato pericolo e seguendolo lungo la filiera si individuano le fasi nelle quali lo stesso pericolo può presentarsi; quindi, la probabilità di un evento (pericolo) è determinata da un serie di condizioni necessarie per il verificarsi dello stesso. Marks nel 1998 introdusse, per la valutazione del rischio microbico, la modellazione Dynamical flow tree (DFT), nella quale viene enfatizza la natura dinamica della crescita microbica incorporando anche la microbiologia predittiva con l'analisi ed inferenza statistica dei dati.

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Il modello proposto da Cassin e coll. (1998) e adottato anche da Lammerding e Fazil (2000) è denominato Process Risk Model. Esso applica ed integra la VQR sia con l'analisi dello scenario che con i dati forniti dai sistemi di microbiologia predittiva. L'importanza di questo modello di VQR è insita nella capacità di fornire una valutazione delle caratteristiche igieniche del processo di lavorazione e di identificare le procedure di intervento in grado di mitigare o ridurre il rischio. Non consente però una valutazione quantitativa del rischio di per sé. A differenza di altre esperienze di VQR, quindi, questo modello attribuisce particolare enfasi non tanto alla valutazione della probabilità di infezione umana quanto piuttosto alle fasi più importanti del processo che influenzano il rischio. In ultima analisi, il modello fornisce uno strumento essenziale nell’ambito del processo decisionale finalizzato a identificare i fattori di riduzione del rischio di infezione alimentare. Nel Process risk model, si descrive il destino del patogeno lungo l'intera filiera (produzione, lavorazione, distribuzione, manipolazione e consumo) usando due parametri: la “prevalenza” (frequenza di contaminazione) e la “concentrazione” del patogeno (carica microbica) in ciascuna della fasi di lavorazione (Fig. 2). Fig. 2. Modellazione della prevalenza e concentrazione. La figura 2 mostra un esempio di modellazione per Campylobacter spp. nel pollame; in esso si descrive la sequenza delle fasi che caratterizzano la filiera from farm to fork e i risultati (output) maggiori del modello di valutazione del rischio. Le variabili primarie utilizzate nell’ambito della modellazione sono la prevalenza (P) e la concentrazione (C). Naturamente esiste una ben definita prevalenza (Pa) e concentrazione (Ca), di Campylobacter jejuni sui polli che dall’allevamento entrano nell’impianto di macellazione. Durante le varie fasi di macellazione si svolgono operazioni e attività che modificano queste quantità, al punto tale che sulle carcasse che escono dal processo ritroveremo una diversa prevalenza (Pp) e concentrazione (Cp). Queste quantità possono modificarsi

Prevalenza in allevamento

Macellazione e lavorazione

Preparazione e

consumo

Valutazione dose-risposta

Concentrazione in allevamento

PIn

fezi

one&

Mal

atti

a

Prevalenza di Campylobacter (P)

Concentrazione di Campylobacter (C)

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anche nella fase di distribuzione e nei momenti successivi alla vendita, e modificarsi al punto che sul prodotto al momento dell’acquisto si rilevano una concentrazione e prevalenza ulteriormente modificate. Nel momento della preparazione domestica, prima del consumo, si concretizza un’ulteriore probabilità che il consumatore sia esposto al patogeno. Il fatto che sulla porzione di pollo acquistata, vi sia una bassa carica di C. jejuni oppure una carica elevata può fare la differenza: nel secondo caso, infatti, si potrebbe concretizzare una probabilità di infezione del consumatore. Nell’effettuare la valutazione del rischio bisognerà, quindi, tenere presenti queste due possibili cariche microbiche. Se l’obiettivo è quello di valutare il rischio per la popolazione costituito da una determinata combinazione patogeno-alimento, è sufficiente invece strutturare il modello in modo tale da utilizzare solo dati e informazioni relative alle fasi immediatamente precedenti quella del consumo. A questo proposito citiamo il recente studio di VQR condotto negli Stati Uniti (2000) per Listeria monocytogenes in 20 tipi diversi di prodotti pronti per il consumo (ready-to- eat food). La FDA e il FSIS (Food Safety Inspection Service) si sono posti come finalità la valutazione del rischio di infezione per il consumatore e hanno utilizzato dati e informazioni relativi alle fasi più prossime a quella del consumo. Non è stata, quindi, considerata l'opportunità di individuare quei fattori distribuiti lungo l'intera filiera che possono amplificare il rischio o focalizzare l'attenzione sulle opzioni diverse di gestione del rischio. Un ulteriore esempio è quello svedese relativo alla VQR applicata a salmone e trote affumicati, inquinati da L. monocytogenes (Lindqvist e Westöö, 2000). In questo modello si mira a stabilire quale probabilità abbia uno Svedese di contrarre la listeriosi consumando una singola porzione di pesce affumicato; inoltre, si è calcolato anche il rischio cumulativo annuale (prevalenza), sempre basandosi sulle probabilità di esposizione della popolazione a quel prodotto ittico contenente una determinata carica di listerie. Il risultato è che in Svezia 2,8 persone/100.000 (incidenza) hanno la probabilità di mangiare una porzione di salmone o trota affumicati con cariche di L. monocytogenes prossime a 104 ufc/g, partendo dal presupposto che gli alimenti con una concentrazione di 104 ufc/g di L. monocytogenes possono causare infezione in determinate sottopopolazioni “a rischio”.

Di recente, Nauta (2001) ha proposto una metodologia denominata Modular Process Risk models (MPRM) per la modellazione della valutazione quantitativa dell'esposizione. In base a questo modello, applicando una struttura modulare l'intera filiera "from farm to table" è divisa in singole fasi di processo, escludendo però le fasi iniziali della produzione e quella finale del consumo. Come tale, il modello di Nauta assomiglia vagamente a quello proposto da Cassin (PRM). In breve, il modello MPRM si basa più sul tipo di processo che sulla disponibilità e tipo di dati; l’idea sul quale poggia è che in qualsiasi filiera alimentare, tutte le fasi di lavorazione possono essere riconducibili a sei

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processi base (o moduli): due riferiti ai processi microbici di crescita e in attivazione, e quattro riferiti ai processi di manipolazione del prodotto (porzionamento, mescolamento, rimozione e contaminazione crociata). In linea di principio, una volta stabilita la tecnica di modellazione per questi processi base, sarà possibile modellare qualsiasi filiera. La filiera è suddivisa in una serie di fasi di lavorazione alle quali si applica uno dei processi base sopra elencati. È implicito che input e output vengano a essere legati tra loro. I sei processi base, quindi, modificano a livello di ciascuna fase sia la prevalenza (o frazione delle unità contaminate: carcassa, confezione di carne, bottiglia di latte) che concentrazione (numero germi per “unità” ). La dimensione dell’unità, a sua volta, può cambiare lungo l'intero processo come risultato del mescolamento (diverse unità confluiscono in un’unica unità) o porzionamento (l’unità è divisa in unità di dimensioni più piccole) (Tab. 1). Tabella 1. Processi base del MPRM, e gli effetti su: P (Prevalenza); Ntot numero totale di microrganismi in tutte le unità considerate in una simulazione, dimensione dell’unità. ( = nessun effetto, + aumento, - diminuzione) (Da Nauta, 2001). Effetti su P Effetti su

Ntot

numero totale di cellule batteriche nelle unità

Effetti sulla dimensione dell’unità

Crescita

= + =

Inattivazione

- - =

Mescolamento + = + Porzionamento - = - Rimozione - - = Contaminazione crociata

+ = / + =

Il modello di Nauta può essere utilizzato in qualsiasi studio di VQR, sia industriale che per modelli from-farm-to-fork e, quindi, applicabili all'intera filiera. Si è scritto sopra che questo modello assomiglia vagamente a quello proposto da Cassin, ma differisce da quest’ultimo per due motivi: (1) la struttura modulare secondo la quale la trasmissione del patogeno lungo l'intero

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processo di filiera può essere ricondotta a una serie di processi base; (2) l’uso della modellazione Monte Carlo di secondo ordine che consente la separazione dell'incertezza e variabilità nel corso della modellazione stocastica. Il non tenere conto di questi due aspetti (incertezza e variabilità) può condurre a una valutazione impropria del rischio (Nauta, 2000). Modellazione Monte Carlo Uno dei concetti essenziali sui quali si fonda l’intera struttura del risk assessment è costituito dal principio della “probabilità”. In sin tesi, con il risk assessment si valutano la probabilità e la gravità di un pericolo potenziale noto e documentato; se questa valutazione viene sviluppata in senso quantitativo, essa produce il risultato (risk estimate) sotto forma di un’espressione matematica che descrive la probabilità di un evento sfavorevole per esposizione al rischio ad un determinato livello (Covello e Merkhofer, 1993). Gli studi tradizionali di risk assessment partono da uno o più input e attraverso modelli matematici giungono a una stima del rischio che è basata essenzialmente su valori singoli o medie. I modelli probabilistici, invece, sono visti sempre più spesso come modelli di scelta per la valutazione quantitativa del rischio proprio perché, integrando la tecnica matematica della simulazione Monte Carlo (con la quale i point-estimates o valori singoli sono sostituiti da distribuzioni di probabilità), riescono a caratterizzare in modo più completo il rischio tenendo conto anche di quelle incertezze e variabilità che costantemente influenzano i diversi parametri in gioco del modello oggetto di studio. I parametri utilizzati per lo studio (ad esempio, temperatura, valore di aw, carica microbica, ecc.) sono costituiti non da valori singoli, ma da distribuzioni di probabilità proprio perché non si conosce a sufficienza il parametro (incertezza) o si ignorano le variazioni cui esso potrebbe andare incontro (variabilità) (Vose, 2000). A ciascun valore del parametro ( input) è possibile associare una ben definita probabilità. Conducendo una simulazione Monte Carlo con i softwares disponibili (come @RISK, Palisade), la valutazione del rischio relativa a diversi scenari viene calcolata più volte fino a quando il risultato non cambia in modo apprezzabile o fino a quando si raggiunge un numero determinato di ripetizioni (es. 10.000 iterations). Di solito, a ogni iteration un campione (valore del parametro) viene selezionato in modo random (utilizzando il processo matematico Monte Carlo), da ciascuna distribuzione di probabilità del valore stesso. I valori caratterizzati da un’alta probabilità vengono campionati un numero di volte maggiore rispetto a quelli con bassa probabilità e alla fine il risultato della simulazione è una distribuzione di probabilità di tutti i possibili scenari che originano dalla combinazione di parametri e valori, di solito sotto forma di funzione di densità di probabilità oppure funzione di densità cumulativa. Ciascuna iteration costituisce, quindi, un potenziale evento “reale” della trasmissione del patogeno lungo la filiera.

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Per evento possiamo intendere uno specifico lotto di produzione in una determinata unità produttiva oppure la produzione giornaliera di un particolare alimento in una particolare regione o una quantità di alimento consumata annualmente in un paese. Conducendo una simulazione Monte Carlo nell'ambito di un modello di rischio quantitativo rappresentato ad esempio da Campylobacter spp. nelle carni di pollo (esposizione e probabilità di infezione) è possibile mettere a confronto diverse strategie di riduzione dell'incidenza dell'infezione umana. Le simulazioni condotte da Rosenquist e coll. (2002) hanno indicato come l'incidenza umana di campilobacteriosi associata al consumo di preparazioni a base di pollo, può essere abbassata fino a 30 volte introducendo la riduzione di 2 gradi logaritmici della carica batterica esistente sulle carcasse. Per ottenere lo stesso livello di riduzione si dovrebbe abbassare la prevalenza di infezione in allevamento di 30 volte (dal 60% al 2%), oppure migliorare l'igiene in cucina di 30 volte (riduzione dal 21% al 0,7% dei casi nei quali non si procede al lavaggio delle superfici di lavoro). Un’opzione di risk management efficiente e valida potrebbe essere quella di introdurre metodi di riduzione della carica batterica sulle carcasse in qualche fase della filiera (es. congelando le carcasse). Si vede quindi come, un modello di VQR, utilizzando la simulazione Monte Carlo, fornisce al risk manager, le informazioni essenziali su un'ampia gamma di interventi (mitigation strategies) ritenuti tutti importanti per la riduzione della trasmissione di Campylobacter spp. ai consumatori. Il sistema Monte Carlo non è, ovviamente, scevro di svantaggi o imperfezioni, che si manifestano come conseguenza di specifiche situazioni, ad esempio: difficoltà di definire in modo preciso le distribuzioni di probabilità che caratterizzano l’incertezza e la variabilità di un determinato parametro; difficoltà nella modellazione di sistemi molto complessi non lineari; quando eventi rari influenzano in modo significativo l’esito finale. Nel condurre una simulazione Monte Carlo utilizzando fogli di lavoro tipo Excel, è consigliabile fare ricorso ad alcune approssimazioni per ridurre il numero di celle utilizzate e rendere il modello più flessibile. La modellazione Monte Carlo richiede in primo luogo una precisa definizione delle distribuzioni di probabilità del parametro utilizzato (input). Purtroppo, non è sempre possibile scegliere la migliore distribuzione in assoluto; questa scelta dovrebbe basarsi sulla caratteristica naturale del parametro e del processo modellato. Uno dei più grandi esperti di VQR, Vose (1998, 2000) ha descritto e proposto varie distribuzioni di probabilità utili per la simulazione Monte Carlo. In Tab. 2 abbiamo riportato quelle attualmente più in uso.

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Distribuzioni di probabilità

Descrizione

Binomiale s = binomiale (n, p)

La distribuzione binomiale (n, p) descrive la probabilità di x successi in n prove, quando la probabilità di successi è p. È ritenuta la madre di tutte le distribuzioni di probabilità, ed è usata solitamente quando n è relativamente piccolo e quando p o 1-p è vicino a zero.

Poisson x = poisson (ë)

Descrive la probabilità di x eventi rari quando il numero di eventi attesi è ë. È collegata a quella binomiale ë=np la quale viene approssimata alla Poisson quando n è grande (n>50) e p è piccolo (np<5)

Normale N(ìó)

È una distribuzione continua, caratterizzata da una media (ì) e una deviazione standard (ó) (curva gaussiana). È collegata alla binomiale attraverso ì=np e ó=�np(1-p). Utilizzata spesso per i rischi microbiologici

Lognormale È una distribuzione normale dei logaritmi del parametro considerato. Il limite più basso è 0 e ha un massimo infinito (lunga coda). È utile in quanto le moltiplicazioni sono trattate come somme. Utilizzata nella VQR per i rischi microbiologici, considerando che i microrganismi crescono e muoiono in modo esponenziale e che il loro numero può essere considerato come distribuito in modo lognormale.

Beta p = beta (á1, á2,)

La distribuzione beta (á,ß) è flessibile e si adatta molto bene alla descrizione di distribuzioni di probabilità che oscillano tra 0 ed 1. Può essere usata per esprimere l’incertezza della probabilità di un processo binomiale quando si conosce il numero di s successi e il numero n di prove. In questo caso p ha una distribuzione beta (s+1, n-s+1), dove á1= s+1 ed á2 = n -s + 1. Es. se su 100 confezioni di una partita di prodotto alimentare, 27 sono contaminate da Salmonella spp., la probabilità che ogni altra confezione possa essere contaminata può essere calcolata con la seguente formula: p=beta (28, 72). La probabilità più verosimile 27%, è quella osservata, ma la vera probabilità potrebbe ragionevolmente cadere tra 18% e 41%

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Gamma (ed esponenziale)

È un’altra distribuzione continua, con il limite inferiore 0 e nessun limite superiore. Descrive ad es., la distribuzione di probabilità di una certa misura di tempo prima del verificarsi di á eventi rari dato un tempo medio ß tra gli eventi. Se alfa=1, la distribuzione gamma è uguale a quella esponenziale.

BetaPert Questa distribuzione (minimo, moda, media) (Vose, 2000) deriva da quella Beta. Si adatta bene alla descrizione dell’incertezza di un parametro valutato secondo l’opinione di un esperto. Se si valutano i valori minimo, più probabile e massimo di uno stesso parametro, la BetaPert può essere usata per rappresentare questa distribuzione. Si potrebbe anche usare anche la distribuzione triangolare (minimo, moda, massimo), però con lo svantaggio di essere troppo rigida con maggior estensione delle code

Nell’analisi Monte Carlo, sono due le tecniche di campionamento: semplice e dell’ipercubo latino. Quest’ultima forma di campionamento, ritenuta più sofisticata, costituisce un sistema di tipo stratificato, dove le distribuzioni della variabile random vengono divise in identici intervalli di probabilità. Ciascuna probabilità viene selezionata da ciascun intervallo per ciascun evento. Permette di ottenere maggior precisione e la descrizione delle distribuzioni di probabilità dei valori input si ottiene con un numero di ripetizioni molto più basso. La tecnica dell’ipercubo, inoltre, dà molto risalto alle code delle distribuzioni che si definiscono come “eventi rari”, ma che sono altresì importanti nel caso di modelli più complessi costituiti da più sottomoduli.

Il risultato finale della simulazione (output) è sempre una distribuzione della frequenza o probabilità di un determinato parametro s ulla base della quale possiamo valutare i rischi. L’analisi ulteriore del modello probabilistico (sensitivity analysis) fornisce poi tutte le informazioni sui processi chiave del processo di filiera (o CPP nel sistema HACCP) che influenzano in maniera significativa il risultato finale della valutazione del rischio, offrendo al contempo sia gli elementi per orientare la scelta degli interventi di riduzione (risk management) che le opportunità per la ricerca scientifica. L’obiettivo principale dell’analisi Monte Carlo è quindi quello di caratterizzare in modo quantitativo l'incertezza e la variabilità (ad es., della crescita microbica o della valutazione dell’esposizione), identificandone le fonti principali e quantificando il contributo relativo a varianza e range di oscillazione dei risultati del modello. C’è da aggiungere che nel contesto generale dell’analisi del rischio, il processo di analisi quantitativa di incertezza e variabilità consente

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di stimolare uno scambio interattivo di informazioni (risk communication) tra chi imposta il risk assessment e chi decide sulle strategie di riduzione del rischio, il risk manager. In questo modo la valutazione del rischio da processo statico si trasforma in processo dinamico. A questo punto, però, è indispensabile definire meglio che cosa si debba intendere per “incertezza” e, rispettivamente, “variabilità”. L’incertezza deriva dall’insufficiente conoscenza di specifici fattori, parametri o modelli. A seconda del tipo di studio di VQR e fasi oggetto di analisi, l’incertezza può riguardare: (1) il parametro (errori di misurazione, di campionamento o sistematici); (2) il modello (errata semplificazione dei processi “reali”, cattivo uso del modello, uso inappropriato di variabili sostitutive); (3) lo scenario (errori descrittivi, di aggregazione, di valutazione e giudizio, analisi incompleta). A tutto ciò si può ovviare, riducendo quindi il livello di incertezza con l’effettuazione di ulteriori studi e misurazioni. La variabilità costituisce l’eterogeneità reale o divers ità nella popolazione, la variazione naturale del sistema oggetto di studio o parametro di esposizione. Le cause della variabilità derivano, quindi, dal comportamento casuale dei processi per differenze genetiche o ambientali. Non è possibile ridurre la variabilità attraverso ulteriori misurazioni, a meno che non si cambi il processo. È possibile, tuttavia, caratterizzarla meglio effettuando ulteriori studi e ridurre in questo modo la possibilità di valutazioni finali del rischio non appropriate o addirittura sbagliate. Ad esempio, nel campo della modellazione microbica, l’incertezza può derivare da misure imprecise o scarsa conoscenza degli effetti di condizioni non previste nel modello. La variabilità, invece, è dovuta alle diverse temperature di crescita, presenza di ceppi microbici diversi e altri motivi di variabilità biologiche. Attualmente, però, nell’ambito della valutazione del rischio scarseggiano i modelli di secondo ordine in grado di separare variabilità e incertezza. Questa mancanza può generare curve di distribuzione del rischio finale, nelle quali non è possibile identificare l’incertezza e la variabilità. Il risultato finale è la valutazione non corretta del rischio.

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Termine Definizione Probabilità (Probabilità)

Questo termine è utilizzato spesso per indicare la frequenza di comparsa di un evento sulla base di una lunga sequenza di prove identiche e indipendenti. Nella concezione Bayesiana, la probabilità di un evento è la misura della certezza che un individuo ha, sulla base di una certa conoscenza che l’evento accada

Rischio (Risk)

Probabilità di comparsa e gravità delle conseguenze di esposizione ad un pericolo per la salute umana

Analisi del rischio (Risk analysis)

Processo che comprende tre fasi: valutazione del rischio, gestione del rischio e comunicazione del rischio

Valutazione del rischio (Risk assessment)

Valutazione scientifica degli effetti sanitari sfavorevoli conosciuti o potenziali derivanti dall'esposizione umana ad un pericolo.

Identificazione del pericolo (Hazard identification)

Identificazione degli effetti sanitari conosciuti o potenziali associati ad un particolare agente microbiologico.

Caratterizzazione del pericolo (Hazard characterization)

Valutazione quantitativa o qualitativa della natura degli effetti sfavorevoli associati ad un agente biologico presente in un alimento.

Caratterizzazione del rischio (Risk characterization)

Integrazione dell’identificazione del pericolo, caratterizzazione del

Termini di uso più comune nell’ambito di uno studio di VQR Microbiologico che utilizza il sistema Monte Carlo

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pericolo e valutazione dell’esposizione nell’ambito della valutazione degli effetti sfavorevoli probabili in una determinata popolazione, compreso le incertezze

Valutazione dell'esposizione (Exposure assessment)

È una componente della valutazione del rischio, e caratterizza la fonte e grandezza dell'esposizione umana al patogeno

Valutazione dose-risposta (Dose-response assessment)

Determinazione del rapporto che esiste tra la grandezza dell’esposizione e la grandezza e/o frequenza degli effetti sfavorevoli

Dose (Dose)

Quantità o carica del patogeno ingerito o che interagisce con l’ospite

Modellazione matematica (Mathematical modelling)

Tentativo di prevedere aspetti del comportamento di un sistema creando un modello matematico appropriato. I modelli matematici contribuiscono alla comprensione di sistemi complessi e alla previsione di comportamenti nell'ambito dello scopo del modello

Analisi Monte Carlo (Monte Carlo analysis)

Metodo di analisi computerizzato (o processo matematico) sviluppato negli anni quaranta che utilizza tecniche di campionamento statistico di variabili casuali (calcoli ripetuti) per ottenere una approssimazione probabilistica alla soluzione di un’equazione matematica o modello.

Simulazione Monte Carlo (Monte Carlo simulation)

Nell’analisi Monte Carlo, la simulazione è un processo di approssimazione dell’output di un modello mediante l’applicazione ripetuta dell’algoritmo del modello stesso. Può essere utilizzato anche per integrare la variabilità o incertezza nei risultati attesi per la popolazione. Per entrambi

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(variabilità e incertezza) si impiega la simulazione Monte Carlo a due dimensioni

Ripetizione (Iteration)

Calcolo singolo nell’ambito di una serie di calcoli nella simulazione Monte Carlo. Il modello è ripetuto con diverse valori delle variabili scelte secondo la loro distribuzione di probabilità .

Distribuzione (Distribution)

Serie di valori o equazione matematica che descrive la serie di valori

Distribuzione empirica (Empirical distribution)

Serie di valori osservati o dati

Distribuzione di frequenza (Frequency distribution)

Distribuzione che descrive la frequenza di comparsa di un valore in una serie o popolazione

Variabile discreta Variabile random che può assumere solo determinati valori (es., numero di persone malate)

Variabile continua Variabile random che può assumere qualsiasi valore all’interno di un determinato range finito o infinito (es. temperatura, peso corporeo)

Distribuzione cumulativa (Cumulative distribution)

Rappresentazione di una distribuzione dove i valori sono sistemati in ordine ascendente o discendente

Funzione di distribuzione cumulativa (FDC) (Cumulative distribution function)

denominata anche: funzione di distribuzione, funzione di frequenza cumulativa, funzione di probabilità cumulativa, esprime la probabilità che una variabile random X assuma un valore inferiore o uguale a un altro valore x secondo la funzione F(x) = Prob (X�x). Nel caso di variabili random continue, la FDC si ottiene a partire dalla funzione di densità di probabilità attraverso l’integrazione o somma nel caso di variabili discrete.

Funzione di densità di probabilità (Probability density function)

Denominata anche funzione di probabilità o funzione di frequenza.

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Per le variabili random continue, questa funzione esprime la probabilità che la variabile random ricada all’interno di un intervallo molto piccolo. Per quelle discrete si preferisce la funzione di probabilità di massa che esprime sempre la probabilità che la variabile assuma uno specifico valore.

Analisi della correlazione (Correlation analysis)

È un’indagine sulla misura di correlazione statistica tra le variabili random sulla base dei campioni. Es., coefficiente di correlazione lineare o correlazione di Pearson.

Popolazione suscettibile (Susceptible population)

Gruppo di persone predisposte o a rischio maggiore per l’infezione a malattia causata da un patogeno, spesso causata da una diminuzione delle capacità immunitarie dell'ospite

Suscettibilità (Susceptibility)

Grado di vulnerabilità dell’ospite all’infezione, che considera anche le capacità di difesa individuale.

Incertezza (Uncertainty)

Espressione relativa alla carenza di conoscenza normalmente espresso come range o gruppo di possibili alternative

Distribuzione dell'incertezza (Uncertainty distribution)

Descrizione del range di valori plausibili per la previsione.

Variabilità (Variability)

Descrizione delle differenze tra gli individui membri di una serie o popolazione

Analisi della sensibilità (Sensitivity analysis)

Variazione dell’output del modello matematico rispetto alle modifiche dei valori che costituiscono l’input. Fornisce una misura dell’influenza dei valori in entrata nel modello sulla variabilità ed incertezza del risultato finale dello stesso.

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Quando utilizzare il sistema Monte Carlo? Non sempre il sistema Monte Carlo, e in particolare la caratterizzazione quantitativa dell’incertezza e della variabilità, sono necessari per lo studio di risk assessment. Per citare alcuni esempi, l’analisi probabilistica del sistema Monte Carlo può essere evitata quando: (1) i calcoli preliminari dimostrano che l’esposizione al rischio è chiaramente al disotto del livello di preoccupazione (ad es., per i pericoli microbiologici sono i limiti di carica batterica, per i pericoli chimici gli LMR); (2) la tecnica di screening preliminare tende a sovrastimare in modo significativo l’esposizione; (3) c’è carenza di risorse e personale; (4) il problema può essere gestito a un costo più basso; (5) gli eventi rari hanno un impatto significativo sul rischio. Al contrario, l’analisi Monte Carlo può tornare molto utile nelle seguenti situazioni: (1) quando i valori (point-estimates) o i livelli conservativi (di cautela) superano quelli di rischio elevato; (2) per stabilire l’importanza delle sorgenti di esposizione e delle modalità di esposizione e contaminazione; (3) quando le conseguenze derivanti dalla non gestione del problema sono inaccettabili. Per verificare preliminarmente se l’uso del sistema Monte Carlo contribuisce positivamente al processo di valutazione e decisione (risk management), spesso si fa ricorso a un approccio “a gradini”, in base al quale si inizia con un semplice modello di screening per passare a modelli più sofisticati, realistici e complessi. A livello di ciascuna fase dell’approccio, è raccomandabile acquisire input a contributi da parte di tutti i soggetti coinvolti. In ultima analisi, nel decidere se adottare o meno il sistema Monte Carlo, bisogna considerare alcuni aspetti e cioè l’uso che se ne intende fare e l’aiuto che il sistema può dare al risk assessor, al risk manager e a quanti siano comunque coinvolti nella VQR. Considerazioni finali sulla VQR Sebbene la sicurezza alimentare costituisca un obiettivo importante di qualsiasi moderna società civile, l’industria alimentare e le autorità re sponsabili della sicurezza concepiscono e affrontano in modo differente la VQR e l’HACCP o i modelli predittivi. L’HACCP come sistema di controllo del rischio di tipo qualitativo, sicuramente ha aiutato a elevare gli standard sanitari in fase di produzione industriale e a garantire un maggiore livello di sicurezza del prodotto finito. L’HACCP si adatta meglio, però, a quegli impianti di produzione e distribuzione o catering nei quali si tende a utilizzare sistemi di produzione sempre più controllati. Autorevoli ricercatori (Notermans e Mead, 1996; Buchanan e Whiting, 1998) hanno dimostrato che l’HACCP può essere comunque integrato sia con la VQR che con la modellazione microbica predittiva (HACCP di tipo quantitativo). Da un punto di vista della sicurezza della produzione alimentare e quindi rimanendo esclusivamente in ambito industriale, l’applicazione della VQR può comportare difficoltà oggettive dovute alla complessità dello studio, alla necessità di disporre di un numero

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enorme di dati ed informazioni specifiche relative alle diverse fasi della filiera, ai tempi lunghi di realizzazione e non ultimo alla mancanza di specifiche professionalità. L’industria alimentare, infatti, pur integrando il sistema HACCP con i modelli di microbiologia predittiva per aderire ad un approccio il più possibile stocastico o quantitativo, persegue la finalità di eliminare o ridurre il più possibile il rischio e garantire che il prodotto finito sia sicuro al momento del consumo. Al contrario dal punto di vista della sanità pubblica e nell’ambito della elaborazione delle politiche o strategie di riduzione del rischio alimentare e protezione del consumatore su scala non necessariamente regionale o nazionale, il risk assessor deve poter valutare in modo quantitativo un rischio attribuibile a un determinato prodotto alimentare. Questa valutazione può derivare solo dalla conoscenza olistica dell’intero processo from-farm-to-fork. Ciò significa, quindi, spostare l’attenzione dall’alimento sicuro alla conoscenza dello stato sanitario della popolazione, con uno sforzo e un impegno notevoli (know-how, disponibilità di moderni ed efficaci programmi di epidemio-sorveglianza, esperti in risk analysis, tempo) finalizzati alla conoscenza di tutti i meccanismi dei processo di filiera, che non si limitino soltanto alla fase della produzione industriale. La quantificazione del rischio, quindi, appare molto più importante quando la VQR viene ad essere associata ad un obiettivo di sanità pubblica o meglio di sicurezza alimentare. In ultima analisi questo approccio, attraverso l’uso di indicatori di sanità pubblica, consente di confrontare il rischio definito e quantificato con altri rischi sanitari e di valutare le migliori strategie di riduzione del rischio proposte nell’ambito del risk management (Nauta e coll., 2000).