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1 La valutazione degli interventi per l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con disturbo psichiatrico. Da un caso di studio alla proposta di un modello Claudio Torrigiani – Dipartimento di Scienze della Formazione, Università di Genova Abstract Il contributo proposto riguarda gli interventi per l’inserimento sociale e lavorativo di persone con disturbo psichiatrico e intende presentare un modello per la valutazione di questo tipo di interventi a partire dall’analisi di un progetto appena concluso, finanziato dalla Regione Liguria a valere sul Fondo Sociale Europeo. Si tratta di un caso interessante per la valutazione delle politiche pubbliche, in quanto attiene un ambito di intervento intersettoriale, che richiede l’integrazione delle politiche sanitarie, delle politiche sociali, delle politiche formative e del lavoro e che necessita il coinvolgimento diretto e la collaborazione del mondo aziendale. Anche guardando a un singolo progetto, tale inter-settorialità ha un impatto molto rilevante e immediato che rende complessa la valutazione di questa politica pubblica, in quanto rende necessaria l’implementazione, in parallelo o in successione, di azioni diverse tutte necessarie per garantire l’efficacia complessiva del percorso verso la salute e l’inclusione sociale della persona. Alla molteplicità e alla necessità di coordinamento di azioni diverse, si accompagna un ulteriore elemento di complessità dato dalla presenza di numerosi attori – pubblici, privati e di terzo settore – che, con competenze diverse ma tutte necessarie, devono non solo coordinare l’implementazione di azioni differenti di cui ciascuno ha piena ed esclusiva responsabilità, ma anche coordinarsi nell’implementazione comune di azioni che richiedono l’integrazione delle rispettive competenze. Il coordinamento tra diversi attori si gioca su due livelli distinti e complementari che entrambi richiedono la condivisione di linguaggi e culture professionali talvolta anche molto distanti: il livello inter-organizzativo e quello intra-organizzativo. Operatori che appartengono a organizzazioni diverse hanno spesso approcci distanti allo stesso problema che derivano dalle competenze istituzionali ma anche dai valori di riferimento dell’organizzazione cui appartengono. Operatori appartenenti alla stessa organizzazione, pur condividendo, almeno formalmente, i valori e le competenze istituzionali

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La valutazione degli interventi per l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con disturbo

psichiatrico. Da un caso di studio alla proposta di un modello

Claudio Torrigiani – Dipartimento di Scienze della Formazione, Università di Genova

Abstract

Il contributo proposto riguarda gli interventi per l’inserimento sociale e lavorativo di persone con

disturbo psichiatrico e intende presentare un modello per la valutazione di questo tipo di interventi a

partire dall’analisi di un progetto appena concluso, finanziato dalla Regione Liguria a valere sul

Fondo Sociale Europeo. Si tratta di un caso interessante per la valutazione delle politiche pubbliche,

in quanto attiene un ambito di intervento intersettoriale, che richiede l’integrazione delle politiche

sanitarie, delle politiche sociali, delle politiche formative e del lavoro e che necessita il

coinvolgimento diretto e la collaborazione del mondo aziendale.

Anche guardando a un singolo progetto, tale inter-settorialità ha un impatto molto rilevante e

immediato che rende complessa la valutazione di questa politica pubblica, in quanto rende necessaria

l’implementazione, in parallelo o in successione, di azioni diverse tutte necessarie per garantire

l’efficacia complessiva del percorso verso la salute e l’inclusione sociale della persona.

Alla molteplicità e alla necessità di coordinamento di azioni diverse, si accompagna un ulteriore

elemento di complessità dato dalla presenza di numerosi attori – pubblici, privati e di terzo settore –

che, con competenze diverse ma tutte necessarie, devono non solo coordinare l’implementazione di

azioni differenti di cui ciascuno ha piena ed esclusiva responsabilità, ma anche coordinarsi

nell’implementazione comune di azioni che richiedono l’integrazione delle rispettive competenze. Il

coordinamento tra diversi attori si gioca su due livelli distinti e complementari che entrambi

richiedono la condivisione di linguaggi e culture professionali talvolta anche molto distanti: il livello

inter-organizzativo e quello intra-organizzativo. Operatori che appartengono a organizzazioni diverse

hanno spesso approcci distanti allo stesso problema che derivano dalle competenze istituzionali ma

anche dai valori di riferimento dell’organizzazione cui appartengono. Operatori appartenenti alla

stessa organizzazione, pur condividendo, almeno formalmente, i valori e le competenze istituzionali

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che essa rappresenta, spesso li interpretano in maniera differenziata in ragione del proprio ruolo e

della relativa cultura professionale. Nel caso specifico si aggiunge l’elemento problematico derivante

dalla necessità di coordinare attori istituzionali a livelli diversi, come l’amministrazione regionale,

provinciale e comunale, titolari di competenze da integrare per il successo dell’intervento.

Agli elementi sopra accennati si aggiunge un elemento di complessità dato dalla particolare tipologia

di utenza. Le persone con disturbo psichiatrico, infatti, anche per l’inserimento sociale e lavorativo

esprimono bisogni molto differenziati in ragione della patologia specifica. Questa ha ripercussioni

immediate sulla tipologia di mansione, sulla possibilità e il grado di integrazione in gruppi di lavoro,

sugli orari realisticamente sostenibili, sulla durata dei percorsi e molte altre dimensioni

dell’intervento. Questo significa che la personalizzazione dell’intervento sulle caratteristiche della

persona non è, come per altri tipi di politica, un elemento per la massimizzazione dell’efficacia quanto

piuttosto, in senso stretto, una condizione per l’efficacia.

Nel contributo viene presentato l’insieme delle attività valutative messe in opera nel corso del

progetto, ponendo particolare enfasi sulle criticità riscontrate in relazione alla tipologia di azioni

valutate, di destinatari e di stakeholder coinvolti nell’attuazione del progetto.

Su questa base, e alla luce delle caratteristiche sopra delineate, viene proposto un modello per la

valutazione di questo tipo di interventi che si inserisce nell’alveo della valutazione guidata dalla teoria

e, tenendo conto delle diverse componenti di quest’ultima (teoria del processo e teoria dell’impatto)

e applicandole simultaneamente alle diverse azioni ritenute necessarie per il successo

dell’inserimento sociale e lavorativo, tenta di individuare gli elementi di cui tenere conto per costruire

un sistema integrato di monitoraggio e valutazione dei percorsi di inserimento sociale e lavorativo

delle persone con disturbo psichiatrico.

Parole chiave: inclusione sociale, inserimento lavorativo, disturbo psichiatrico, valutazione guidata

dalla teoria

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1. Concetti chiave di riferimento: salute, disabilità, inclusione sociale

A partire dalla definizione del concetto di salute come “stato di completo benessere fisico, mentale e

sociale e non semplicemente assenza di malattia o infermità”, anche la salute mentale deve intendersi

come qualcosa di “più della mera assenza di disordini o disabilità mentali” (WHO, 2014), come uno

stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l’individuo è in grado di sfruttare il proprio

potenziale ed esplicitare le proprie capacità cognitive ed emozionali, rispondere alle esigenze

quotidiane della vita di ogni giorno ed affrontare gli eventi che lo sottopongono a stress, lavorare in

modo produttivo e fruttuoso, contribuire alla vita della comunità ed esercitare la propria funzione

all’interno della società, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, partecipare

costruttivamente ai mutamenti dell’ambiente e adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni

(WHO, 2013; Ministero della Salute, 2013). Non c’è quindi salute senza salute mentale: quest’ultima

non è da intendersi come semplice assenza di disordini mentali ed è determinata da molteplici fattori

socio-economici, biologici ed ambientali (WHO, 2014). Ad esempio, il livello di salute mentale

correla con la povertà, con il livello di istruzione, con la condizione occupazionale, con la dotazione

di capitale sociale, con la rapidità del mutamento sociale, con condizioni lavorative particolarmente

stressanti, con la discriminazione di genere e l’esclusione sociale, con stili di vita e salute fisica, con

il rischio di subire violenze e con la violazione dei diritti umani.

Se quella sopra riportata è la definizione attualmente condivisa di “salute mentale” e quelli appena

citati sono alcuni dei fattori che correlano con il livello di salute mentale, i disturbi di salute mentale

sono definibili come stati di malessere emotivo, psicologico e cognitivo, anche parziale e

momentaneo, determinati da molteplici fattori biologici, psicologici, economici, sociali e ed

ambientali, che incidono sulla capacità della persona di interagire efficacemente con l’ambiente che

la circonda, gli altri esseri umani, la comunità, la società e anche con se stessa, impedendole di

esprimere il proprio potenziale e di esplicitare le proprie capacità.

Tali disturbi sono certamente annoverabili tra i più disabilitanti: non a caso, nella International

Classification of Functioning, Disability and Health (WHO, 2001), che descrive lo stato di salute

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della persona in relazione ai suoi ambiti di funzionamento (familiare, lavorativo e sociale) e giunge

alla definizione di disabilità come condizione di salute in un ambiente sfavorevole (Ferraresi, 2005),

le funzioni mentali sono riportate per prime, immediatamente seguite da quelle sensoriali e

comunicative . La disabilità (mentale) va dunque sempre intesa come il risultato di una complessa

relazione tra le condizioni di un individuo e i fattori ambientali (Marzoli, 2013) e il suo elemento di

definizione si sostanzia non tanto in un connotato del soggetto, ma nella vulnerazione che su esso

producono le caratteristiche dei contesti di vita (Ruggeri, 2013).

La dis-abilitazione del soggetto ad opera del contesto di vita e lavoro e, dunque, l’origine socio-

ambientale del disturbo di salute mentale, pare confermata tra l’altro dalla tendenza crescente all’uso

di sostanze e psicofarmaci finalizzata non alla cura di patologie conclamate, ma al potenziamento

delle normali prestazioni cognitive, ormai ritenute socialmente inadeguate (Maturo, 2012; Collin et

al., 2012) anche in risposta ai normali processi di invecchiamento (Katz e Peters, 2012). Questa

tendenza risponde tra l’altro a un processo diffuso di medicalizzazione, che vede trasformate in

problemi medici condizioni umane prima non considerate patologiche (Conrad, 2007, 2009).

Se osserviamo poi il rapporto tra salute mentale e inclusione sociale ci rendiamo conto di come, in

una società dell’informazione e della comunicazione, del prodotto immateriale e creativo, in una web

society in cui l’ecletticità diviene imperativo categorico per lo scienziato sociale (Cipolla, 2013) e

non solo, la stessa definizione di salute mentale come capacità di interazione e adattamento dinamico

all’ambiente di vita rende il disturbo di salute mentale un fattore di esclusione sociale probabilmente

più minaccioso per la persona rispetto a quelli riferiti ad altri ambiti funzionali, come ad esempio

quello delle funzioni locomotorie e i relativi apparati. Per la persona con disturbo di salute mentale

l’inserimento lavorativo ha una indiscutibile valenza inclusiva, riconducibile sia alle funzioni

esplicite e di carattere sociale che esso riveste sia a funzioni più implicite, che riguardano la

condizione della persona rispetto alla malattia e sono connesse a fattori latenti – il tempo, lo spazio,

l’apprendimento, l’autostima e la socializzazione – che tendono a normalizzare l’esperienza della

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persona (Tria, 2005). In questo senso l’inserimento lavorativo rappresenta sia un obiettivo del

percorso riabilitativo sia un mezzo per la sua piena inclusione sociale.

2. Il progetto MentealLavoro - Laboratorialmente

Quanto di seguito riportato prende le mosse dalla partecipazione del Dipartimento di Scienze della

Formazione dell’Università degli Studi di Genova (DISFOR) al progetto “MentealLavoro –

Laboratorialmente”, finanziato dalla Regione Liguria a valere sul Fondo Sociale Europeo e finalizzato

all’inclusione sociale e lavorativa di persone con disturbo psichiatrico medio e medio-grave. Il

progetto ha visto l’implementazione di attività formative e laboratoriali di gruppo sotto la guida di

docenti esterni e di work experience individuali svolte in contesti lavorativi non protetti, con

l’accompagnamento di un tutor formativo e un tutor aziendale e sotto la supervisione del referente

del Servizio di salute mentale dell’Azienda sanitaria locale.

Figura 1 – Il modello MentealLavoro

Sono state inoltre realizzate attività di informazione rivolte a gruppi di familiari, momenti formativi

dedicati e attività di supervisione per gli operatori, azioni di marketing territoriale finalizzate alla

sensibilizzazione e all’apertura delle aziende a percorsi di inserimento e reinserimento sociale e

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lavorativo e alla formalizzazione di protocolli di intesa volti a rafforzare la collaborazione tra i diversi

attori del sistema. Il DISFOR ha coordinato le azioni di analisi dei bisogni degli utenti e delle loro

famiglie e di monitoraggio e valutazione delle diverse azioni realizzate. Di seguito, dopo alcuni cenni

ai risultati dell’analisi dei bisogni –che, in accordo con i partner del progetto, è stata implementata in

prospettiva sistemica, centrando l’attenzione sia sui bisogni degli utenti sia sulla attuale strutturazione

della rete dei servizi per la salute mentale– vengono riportati con maggiore dettaglio i risultati

dell’attività di monitoraggio e valutazione dei percorsi dei partecipanti al progetto.

3. Cenni metodologici

Il disegno delle attività di ricerca condotte dal DISFOR ha incluso, in primo luogo, l’analisi

quantitativa dei dati secondari relativi ai bisogni nel settore della salute mentale, utilizzando le fonti

statistiche ufficiali disponibili a livello locale e i dati forniti dagli stessi attori della rete dei servizi

messi anche a confronto con dati di livello nazionale e sovranazionale. L’approfondimento successivo

dell’analisi è stato realizzato utilizzando tecniche di ricerca qualitative (interviste e focus group) ai

principali attori della rete dei servizi. Questa fase del disegno della ricerca era finalizzata a

evidenziare, da un lato, la lettura dei bisogni degli attori sociali in relazione alla loro posizione nella

rete dei servizi e allo specifico ruolo ricoperto; dall’altro, la funzione assegnata ai diversi attori nella

risposta ai bisogni degli utenti e le criticità individuabili in relazione alla copertura di tali bisogni.

In parallelo, l’attività di monitoraggio e valutazione si è avvalsa di strumenti quantitativi

(questionario) e qualitativi (interviste individuali e di gruppo) rivolti agli utenti del progetto, per

comprendere se e quanto e con quali criticità il progetto abbia fornito una possibile risposta ai loro

bisogni di inclusione sociale e lavorativa, a partire dalla considerazione – banale ma non priva di

conseguenze metodologiche – che la percezione del bisogno da parte dell’utente si attualizza nel

momento in cui egli sperimenta una possibile risposta. Contemporaneamente, sono stati messi a punto

strumenti qualitativi e quantitativi che gli operatori hanno utilizzato per il monitoraggio e la

valutazione dei percorsi degli utenti nei laboratori e nelle work experience. Nell’ultimo semestre di

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attività progettuale sono stati realizzati con gli operatori due momenti focalizzati su una valutazione

sistemica del progetto con particolare attenzione all’implementazione delle work experience che, di

fatto, costituivano il momento cruciale di tutte le azioni previste, realizzando la messa alla prova della

persona in un contesto lavorativo non protetto. Un’ulteriore attività di valutazione ha riguardato gli

workshop formativi realizzati dedicati agli operatori per rafforzarne le competenze su alcune

tematiche ritenute di particolare interesse per chi opera nell’inserimento lavorativo della persona con

disturbi di salute mentale.

4. L’analisi dei bisogni

4.1 Alcuni dati quantitativi

I disturbi di salute mentale sono molto diffusi e costosi a livello globale, ma la mancanza di risorse

umane formate e delle infrastrutture necessarie a fornire i servizi sono ostacoli seri anche per l'accesso

alla mera assistenza di base. Sono circa 900.000 l’anno i morti per suicidio nel mondo, a fronte di

un’allocazione di risorse pari in media al 2,8% del budget sanitario e di 1 psichiatra ogni 100.000

abitanti, con rilevantissime disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri nella disponibilità ed accessibilità

di cure e servizi ma anche di una legislazione di settore (WHO, 2011).

In Italia, nel 2012, le ospedalizzazioni per disturbi psichici, misurate dal numero di dimissioni, sono

254.888, di cui il 21,5% in day-hospital e con una degenza media per il regime di ricovero pari a 14

giorni. In Liguria nel 2012, le giornate di degenza per malattie e disturbi mentali sono 79.745 con una

degenza media pari a circa 12 giorni. Le giornate di degenza nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e

Cura sono 56.716 per 108 posti letto e gli utenti dei servizi di assistenza della salute mentale

ammontano a 28.199, pari all’1,8% dei residenti (Regione Liguria, 2014). Alcuni altri dati macro,

riferiti al territorio ligure nell’anno 2012, aiutano a comprendere che il fenomeno è probabilmente

più esteso di quanto non facciano intendere i soli dati relativi all’utenza dei servizi dedicati: sono

infatti 16.115 gli utenti dell’assistenza disabili (1,1% popolazione), 9.335 le persone affette da

dipendenze in carico ai SERT (0,6%), 102.925 gli utenti dell’assistenza famiglia e minori (6,6%), di

cui 28.390 gli utenti dei servizi di neuropsichiatria infantile e di riabilitazione psicologica e sociale,

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29.995 gli utenti dell’assistenza anziani (7% circa della popolazione ligure oltre i 64 anni di età). Se

a questi dati ci limitiamo ad aggiungere quelli relativi alla disoccupazione, che nel 2012 coinvolge in

Liguria circa 56.000 persone, con un tasso di disoccupazione pari all’8,1% e una disoccupazione

giovanile pari al 30,1%, otteniamo un quadro piuttosto fosco ma forse anche più realistico, che fa

pensare ad un bisogno in questo settore ben superiore a quello indicato dall’utenza effettivamente in

carico ai servizi.

4.2 Alcuni elementi qualitativi

Dal punto di vista della copertura del bisogno sono emersi elementi di interesse sia sotto il profilo

quantitativo che sotto quello qualitativo. Li accenniamo qui di seguito raggruppati attorno a tre poli

che riprendono il modello del “diamante del welfare” (Ferrera, 2012): rete dei servizi, aziende e

cooperative sociali, famiglie e persone con disturbo di salute mentale.

La rete dei servizi

Nel settore di intervento considerato esiste una rete dei servizi ormai consolidata1, i cui operatori si

conoscono da tempo e collaborano con buoni risultati sia quantitativi che qualitativi per l’inserimento

socio lavorativo degli utenti. Nonostante gli ottimi risultati conseguiti dagli uffici della Provincia di

Genova e dal Comune di Genova, la carenza di risorse economiche e umane rende impossibile dare

una risposta adeguata a tutte le situazioni di disagio che necessiterebbero di intervento, determinando

un’insufficiente copertura del bisogno. Le persone con disturbo di salute mentale che accedono alla

rete dei servizi presentano situazioni di disagio fortemente differenziate per tipo e per grado. I diversi

attori della rete dei servizi hanno distinto nel tempo i rispettivi ruoli, specializzandosi nella risposta

ad una fascia di utenza normalmente in base alla severità dei sintomi. La carenza di risorse

economiche ed umane impedisce peraltro di personalizzare i percorsi in una misura che sia ritenuta

adeguata dagli stessi operatori. Il percorso infatti, secondo l’opinione degli operatori, dovrebbe essere

articolato in fasi in relazione alle condizioni della persona (Govigli e Prato, 2007) e caratterizzarsi

1 Sottolineiamo che le attuali vicende che hanno visto la formale chiusura della Provincia di Genova e la nascita della Città metropolitana stanno creando non pochi né lievi problemi alla tenuta di questo ormai collaudato sistema.

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come graduale, modulabile, flessibile ed elastico, prevedendo un’apertura ad eventuali fallimenti

come momenti costruttivi di consapevolezza e crescita della persona. Criterio di successo del percorso

di inserimento lavorativo non dovrebbe essere solo l’assunzione delle persona e/o la sua performance

lavorativa (produttività) ma il miglioramento delle condizioni di vita, il riconoscimento sociale,

l’effetto terapeutico e la riduzione delle probabilità di cronicizzazione. Un dato interessante è,

viceversa, la tendenza involontaria e talvolta necessitata dalle condizioni di contesto e dal ruolo

istituzionale, ad includere/escludere gli utenti dall’accesso ai servizi e ai percorsi in base alla

probabilità di una performance positiva e all’efficienza complessiva del servizio piuttosto che alla

sola valutazione dello stato di bisogno. E’ sempre sulla base di criteri di efficienza e contenimento

dei costi che, ormai da qualche anno, nella rete dei servizi disponibili a livello locale sono venuti

meno i percorsi triennali di formazione professionale della Provincia di Genova, determinando un

vuoto di risposta al bisogno di una fascia di utenza giovane, con sintomi di grado medio-grave e che

necessita di percorsi di lunga durata, a carattere marcatamente formativo, per poter accedere, un

domani, a percorsi di inserimento socio-lavorativo sostenibili nel tempo.

Le aziende e le cooperative sociali

Tra le criticità che impediscono di incrementare le copertura del bisogno dal punto di vista

quantitativo, figura l’indisponibilità di strumenti normativi che regolamentino, rendendole così

percorribili, le aperture alla collaborazione fattiva che emergono da parte delle piccole aziende del

settore privato. La finanziabilità delle borse lavoro specificamente destinate alla situazioni più gravi

– e quindi più bisognose di intervento – è infatti limitata al settore pubblico o alle cooperative sociali

di tipo B, tagliando fuori le aziende private. Emerge d’altro canto che il mercato rappresentato dalle

grandi aziende in obbligo in base alla l. 68/99 e dalle cooperative sociali di tipo B è orami pressoché

saturo, rendendo oltremodo difficile il compito dei mediatori dell’inserimento lavorativo, nella parte

relativa alla ricerca di aziende ospitanti. Il dato positivo è rappresentato peraltro dalla disponibilità

del mondo profit, segno di un’apertura e di un’evoluzione anche culturale, emersa tra l’altro

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nell’ambito di alcuni incontri promossi dai partner del progetto MentealLavoro2. Se il mondo

aziendale esprime apertura e disponibilità, esso presenta anche bisogni specifici relativi ai percorsi di

inserimento lavorativo delle persone con disturbo di salute mentale: lo screening e la selezione dei

potenziali collaboratori, che devono essere adattabili al ruolo e all’ambiente lavorativo; la

disponibilità di figure di supporto al percorso di inserimento, che devono accompagnare la persona

anche in azienda ed eventualmente formare anche il referente aziendale; momenti di follow-up e

disponibilità di personale a supporto in caso di eventuali criticità, che vanno fronteggiate

tempestivamente per garantire la tenuta occupazionale. Si tratta di bisogni già almeno in parte

soddisfatti dai servizi pubblici dedicati ma probabilmente da rinforzare ulteriormente. All’apertura

del mondo della piccola e media impresa a questo tipo di percorsi deve inoltre accompagnarsi il

rafforzamento degli uffici pubblici preposti nelle funzioni dedicate alla ricerca e allo screening delle

aziende disponibili.

La famiglia e la persona

E’ da sottolineare, anzitutto, che il pregiudizio e i processi di stigmatizzazione cui vanno incontro

persone con disturbo di salute mentale fanno sì che il bisogno in questo specifico settore sia

plausibilmente molto sottostimato sotto il profilo quantitativo, rendendolo più grave e urgente, anche

tra le stesse persone già occupate ma a rischio di espulsione dal mondo del lavoro. Questo dato

emerge, tra l’altro, dal comportamento degli stessi fruitori potenziali del collocamento mirato (legge

68/99), i quali spesso rinunciano al servizio in quanto rifiutano di essere presi in carico dal Servizio

di salute mentale della Azienda sanitaria locale, come viene loro richiesto dagli operatori del

collocamento mirato della Provincia. La famiglia della persona con disturbo di salute mentale riveste

un ruolo chiave per il suo percorso di inserimento sociale e lavorativo, in quanto ne condiziona

fortemente l’atteggiamento. Essa spesso richiede un intervento specifico che la valorizzi e la gestisca,

quando si pone come risorsa potenziale e che la ridimensioni e/o la neutralizzi, quando interviene

2 Come accennato sopra una delle azioni previste dal progetto prevedeva proprio il coinvolgimento delle potenziali aziende ospitanti attraverso attività di networking.

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come vincolo ed elemento di disturbo al processo. La famiglia esprime un bisogno di supporto

psicosociale e di empowerment, sovente volto anche ad assumere piena consapevolezza del problema,

un bisogno di informazione sul problema e sui servizi disponibili per fronteggiarlo, spesso poco noti

e di difficile accesso. Il caregiver familiare ha bisogno di tempo liberato dall’accudimento e dalla

costrizione entro le mura domestiche e, in un welfare familistico come quello italiano, i genitori della

persona hanno bisogno di certezze sul “dopo di noi?”. Emerge così, tra l’altro, il problema

dell’autonomia abitativa e della casa che si affianca a quello dell’autonomia economica e quindi

dell’inserimento lavorativo non come mero riconoscimento del ruolo sociale della persona ma come

reale necessità economica. I bisogni della persona sono rispecchiati in gran parte da quelli già citati

della famiglia: supporto e sostegno psicologico, socializzazione all’ambiente comunitario e gestione

del tempo libero, sostegno all’abitare e inserimento lavorativo. Quest’ultimo assume sia il significato

di riconoscimento del proprio ruolo sociale e costruzione identitaria, momento di relazione e

socializzazione, sia spesso la valenza di reale necessità economica come contributo necessario

all’economia familiare, nel presente e per un’esistenza autonoma e decorosa, domani. L’analisi

dell’esperienza degli utenti del progetto ha evidenziato che, almeno dal punto di vista qualitativo,

MentealLavoro ha saputo fornire una risposta proprio a quelle situazioni di disagio che non trovano

più un’offerta adeguata nel sistema dei servizi. Si tratta peraltro di un progetto a carattere

sperimentale, che dipende da un finanziamento europeo con i limiti che ne conseguono in termini di

complessità gestionale e di numero di utenti inseriti, di sostenibilità nel tempo, di continuità di

risposta: ad un bisogno reale, ampio ed espresso coralmente da tutti gli operatori della rete dei servizi

non può corrispondere una risposta che non sia sistemica.

5. Monitoraggio e valutazione delle azioni realizzate

5.1 La selezione delle persone da avviare ai percorsi

Il primo fondamentale step valutativo richiesto dal progetto ha riguardato, nelle primissime fasi, la

definizione di criteri, condivisi dagli operatori coinvolti, sulla base dei quali effettuare la selezione

dei potenziali candidati a partecipare ai percorsi di inserimento lavorativo proposti. A questo fine è

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stata realizzata una serie di incontri che hanno permesso di mettere a punto una “Griglia di criteri per

la selezione degli utenti” che prendeva in considerazione diversi aspetti quali – oltre al genere e l’età

- il possesso delle autonomie di base, l’atteggiamento della famiglia di provenienza rispetto

all'esperienza formativa proposta, gli eventuali ostacoli di tipo logistico alla frequenza delle attività

proposte, la motivazione del candidato, l’utilità potenziale della proposta formativa, la presa in carico

da parte del DSM della ASL e il fatto che il candidato fosse o meno utilizzatore dei servizi della

Provincia di Genova o del Comune di Genova (UCIL). Tali criteri hanno permesso di selezionare le

persone che avrebbero preso parte ai laboratori formativi.

5.2 La formazione iniziale

Prima di partecipare ai laboratori formativi gli utenti hanno partecipato a due moduli formativi

obbligatori, uno sulla sicurezza ed uno sulla contrattualistica. Per la valutazione di queste attività

formative preliminari è stato somministrato agli utenti un questionario che oltre a valutare l’interesse

e l’utilità degli argomenti trattati, la qualità della docenza e la necessità di approfondimenti, è stato

utilizzato per fare il punto sulla motivazione dei partecipanti, sulla chiarezza degli obiettivi del

progetto e sulla necessità di chiarimenti, sulle aspettative rispetto al percorso intrapreso.

5.3 I laboratori formativi

La prima fase del progetto prevedeva l’implementazione di laboratori formativi di gruppo, in diversi

ambiti professionali3 per una durata complessiva di 68 ore distribuite diversamente nell’arco della

settimana a seconda delle capacità di tenuta della persona. I laboratori sono stati seguiti da 42 persone,

9 delle quali hanno dovuto abbandonare per essere sostituite da altrettanti partecipanti. Per la

valutazione dei laboratori formativi sono stati utilizzati a) una scheda di monitoraggio e valutazione,

articolata in 4 dimensioni e 24 indicatori e compilata dall’operatore di riferimento insieme all’utente;

b) una griglia di intervista, utilizzata come traccia per il colloquio iniziale e quello finale di

3 Dalla falegnameria, alla bigiotteria, alle pulizie, alla manutenzione del verde alle attività tecniche o espressive in ambito teatrale.

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valutazione tra operatore e utente e coerente con la scheda di cui al punto a; c) un questionario finale,

compilato dall’utente prima di un successivo colloquio di approfondimento con il valutatore.

Per quanto riguarda in particolare il questionario (punto c), le domande hanno sondato diversi aspetti

quali: l’interesse per l’attività svolta, gli apprendimenti e la loro utilità, l’adeguatezza del carico

lavorativo e delle mansioni, l’autovalutazione dell’impegno personale, i rapporti con i colleghi e gli

apprendimenti sul piano relazionale, l’effetto dell’esperienza sull’autostima e sui rapporti con i

familiari, le figure di riferimento (docente e tutor), le difficoltà incontrate, la soddisfazione

complessiva, la motivazione e le aspettative attuali.

5.4 Le work experience

Le performance degli utenti

Gli utenti che hanno intrapreso questi percorsi di inserimento lavorativo sono 17. In questo caso gli

abbandoni sono stati 5 (30% circa) mentre è stato possibile effettuare solo 2 sostituzioni. Nel

complesso quindi 15 persone hanno portato a termine questa esperienza di inserimento nel mondo del

lavoro beneficiando di 400 ore di tutoraggio aziendale e di 256 ore di counseling individuale.

Oltre ai colloqui periodici con le tre figure di riferimento (tutor aziendale, tutor formativo, operatore

ASL) che hanno ovviamente una valenza di monitoraggio dell’esperienza, i partner hanno concordato

sull’opportunità di proseguire con l’utilizzo della scheda di monitoraggio e valutazione utilizzata per

i laboratori formativi (cfr. 5.3). Come anticipato sopra si tratta di uno strumento di valutazione

articolato in 4 dimensioni:

• Attività lavorativa e gestione dei limiti

• Rappresentazione del lavoro

• Affidabilità/Inaffidabilità

• Apprendimento e esecuzione dei compiti

Ciascuna delle dimensioni è articolata in indicatori, 24 in tutto, su cui gli operatori, confrontandosi

con la persona, hanno dato una valutazione su una scala a 5 posizioni (del tutto insufficiente; non

sufficiente, sufficiente, discreto, buono) associate a valori numerici. La somma del punteggio medio

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ottenuto dalla persona su ciascuna dimensione ha permesso di fornire una valutazione sintetica in

punteggio percentuale a partire dai singoli indicatori considerati agevolando tra l’altro il confronto

tra i diversi utenti e tra gli operatori di riferimento. L’uso del colore associato a soglie di riferimento

(< 50 = rosso; < 75 = giallo; ≥ 75 = verde) ha permesso di rendere immediato il feedback

sull’andamento del percorso nel tempo. Come si vede nella figura 1 nei casi A, H, I, L e N c’è stato

un progressivo miglioramento dell’andamento del percorso durante il laboratorio formativo, cui in

alcuni casi (A, L) è seguito un lieve peggioramento a inizio work experience poi recuperato entro il

termine della stessa. I casi B, C, e D, viceversa, hanno fatto presagire un successo molto probabile

nel passaggio dal laboratorio alla work experience che è stato poi smentito dalle performance negative

della persona.

Figura 2 – Restituzione sintetica delle schede di monitoraggio e valutazione dei laboratori formativi

e delle work experience

1^ val. LAB (%) 2^ val. LAB (%) 3^ val. LAB (%) 1^ val. WE (%) 2^ val. WE (%)

A 70 70 77 71 77

B 92 92 92 32 22

C 79 79 79 52 49

D 79 79 77 49 46

E 93 88 88 85 RITIRATO

F 88 95 96 INT. MOT. ORG. INT. MOT. ORG.

G 93 99 100 83 93

H 74 79 90 85 89

I 68 57 87 87 91

L 60 70 75 73 85

M 75 75 75 100 100

N 52 61 61 97 97

Il caso E è riferito a una persona che ha avuto valutazioni positive costantemente sia durante il

laboratorio formativo che durante la work experience ma che, per una crisi legata al problema di

salute mentale, ha dovuto ritirarsi dal percorso, mentre il caso F fa riferimento ad una persona che per

motivi connessi alla compatibilità tra pensione di invalidità e reddito da lavoro ha dovuto cessare

un’esperienza pienamente soddisfacente.

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Il punto di vista degli operatori

A conclusione delle work experience dopo un primo focus group, è stato realizzato un secondo

incontro di gruppo con gli operatori della ASL, responsabili della supervisione delle work experience.

E’ stato loro richiesto di confrontarsi a coppie, e di compilare una scheda predisposta dal valutatore

in cui si richiedeva di indicare sinteticamente quali fossero state le criticità e i punti di forza

nell’implementazione delle work experience rispetto a diverse dimensioni chiave: la ricerca delle

aziende, la selezione delle persone da avviare ai percorsi, il tutor formativo, quello aziendale e le

figure sanitarie implicate, la comunicazione tra le diverse figure e l’integrazione dell’intervento

realizzato, il contesto aziendale e il rapporto con i colleghi di lavoro, l’adeguatezza dell’impegno

lavorativo quotidiano e settimanale e delle mansioni affidate alla persona, la durata dell’esperienza,

gli aspetti logistici, il tipo di disturbo di salute mentale, le condizioni di salute e la gestione delle

eventuali criticità, l’organizzazione, il coordinamento e la chiusura della work experience.

Figura 3 – Criticità e punti di forze della work experience

CRITICITA’ PUNTI DI FORZA ricerca di aziende dove implementare le WE

I capofila hanno avuto difficoltà a reperire aziende Ricerca insufficiente di aziende da parte del partenariato

Le aziende entrate nel progetto erano “in rete” con alcuni servizi territoriali e loro personale

selezione delle persone da avviare alle WE:

Parametri differenti di valutazione Criteri comuni di selezione Presenza operatori ASL e condivisione metodologia Conoscenza da parte degli operatori ASL delle persone proposte Attenzione per le caratteristiche delle persone

tutor formativo: Formazione carente della persona designata (assente formazione clinica) Scarsa esperienza con il paziente psichiatrico e con il suo inserimento in ambito lavorativo Difficoltà di comunicazione

Buona collaborazione e sinergia lavorativa Integrazione e collaborare Disponibilità al confronto formato in itinere sull’esperienza pratica

tutor aziendale: Poca esperienza con i pazienti psichiatrici e con il loro inserimento in ambito lavorativo

Buona collaborazione e sinergia lavorativa Presenza costante, ottima Formazione Disponibilità al confronto esperto del lavoro

figure sanitarie difficoltà iniziale di coordinarsi con i tutor poco tempo per potersi dedicare alla discussione del caso difficoltà organizzative. operatori non sgravati da altri lavori di routine

Buona collaborazione tra tutor formativo ed aziendale sperimentata e creata Buona conoscenza del paziente Motivazione, professionalità, procedure uniche

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CRITICITA’ PUNTI DI FORZA comunicazione tra le diverse figure di riferimento:

Inizio difficoltoso a causa dell’inesperienza Limitata sempre per la difficoltà di potersi incontrare per diversità di orari Complessa talvolta per la difficoltà di reperibilità delle persone

Buon avvio e prosecuzione Positiva per la disponibilità di base scambio di competenze

integrazione intervento delle diverse figure di riferimento:

Inizio difficoltoso a causa dell’inesperienza Collaborazione e integrazione Integrarsi attraverso mail e telefono Buona ed efficace tenuta Positiva considerata la mancanza di esperienze precedenti

contesto aziendale di inserimento

Inesperienza nell’accogliere il paziente psichiatrico in ambito lavorativo e prestazionale

Velocità nell’accoglimento Reale, di lavoro

rapporti con i colleghi di lavoro

Verifica immediata delle difficolta Adeguatezza nella risoluzione in team della problematica Buoni rapporti con i colleghi Alcuni già conosciuti nel laboratorio

mansioni affidate alla persona sul lavoro

Verifica immediata delle difficolta Buona capacità di analisi tra tutor e pazienti Complessivamente congrue alle risorse personali dei soggetti Gradualità Bilancio continuo

impegno orario settimanale Troppo poco per alcuni e troppo per altri L’aumento di ore non corrispondeva ad un aumento del corrispettivo economico

Modulabilità dell’orario Adeguato alle capacità Con possibilità di crescita

impegno orario quotidiano Buona tenuta dei pazienti e del contesto lavorativo Modulato per la persona

durata della WE Da alcuni ritenute breve Per le ottime capacità di alcuni pazienti sarebbe stato opportuno una maggiore durata della WE o la possibilità di una continuazione

Intensa per competenze acquisite Da alcuni ritenuta di giusta durata

aspetti logistici (raggiungimento del luogo di lavoro ecc.)

Vicinanza a zona di residenza e al CSM di appartenenza Adeguati Quasi tutte le WE in centro e di facile raggiungimento

tipo di disturbo di salute mentale della persona:

interferenza con luoghi di residenza e cura- confronto con la prestazione lavorativa

Consapevolezza di malattia Per alcuni si è evidenziato un buon adattamento

andamento delle condizioni di salute durante la WE

Criticità legate alla situazione abitativa Riconoscimento dei segnali precoci di crisi Mantenimento di un buon compenso psico-fisico Complessivamente positivo

gestione delle eventuali situazioni di criticità

Velocità di passaggio di informazioni tra tutor e personale sanitario

Buona relazione e sinergia creata tra i tutor e personale sanitario Adeguata alle situazioni che hanno richiesto una particolare attenzione Coordinamento tra le varie figure

chiusura della WE Tempistica serrata Report a 4: tutor, personale sanitario e paziente con restituzione delle competenze e delle difficoltà

organizzazione e la gestione delle WE dal punto di vista amministrativo

Ritardo nei pagamenti. Retribuzioni non congrue alle prestazioni lavorative Eccesso di adempimenti burocratici

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CRITICITA’ PUNTI DI FORZA coordinamento delle WE Difficoltà da parte del capofila nella

gestione

monitoraggio delle WE Alcune difficoltà di comunicazione con i tutor

Buona tempistica e organizzazione tra i tutor ed il personale sanitario

supervisione del gruppo di lavoro

Mancata presenza dei tutor alle supervisioni Maggior partecipazione delle parti esterne per potersi coordinare meglio nelle WE

Utilità e buon metodo di analisi e condivisione Supervisione utilissima per dipanare le criticità

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