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IL SISTEMA FIACCOLA: LA PROGETTAZIONE DI DETTAGLIO Ing. Roberto Marelli – B&C Engineering and Construction srl 1. Sommario I sistemi di fiaccola o torcia, al servizio di raffinerie, impianti LNG ed impianti chimici rappresentano “l’estremità” dell’impianto, la parte meno nobile, tuttavia vitale per il funzionamento. La loro struttura di sostegno può essere di vario tipo, dimensione ed altezza; ultimamente a causa delle grandi portate di scarico e delle limitazioni sempre più restringenti del livello di radiazione a terra, le altezze delle torce sono aumentate raggiungendo ormai in più di un caso i 200m. Al tempo stesso le normative sempre più severe in fatto di vento e terremoto portano alla realizzazione di strutture sempre più performanti e di dimensioni ragguardevoli. Ecco che allora la metodologia di calcolo e la necessità di ridurre il peso delle strutture, per far fronte ad un sempre più elevato costo di materiali e manodopera, diventano fattori essenziali dell’attività del progettista. La necessità di realizzare strutture che possano essere facilmente assemblate in cantiere, in tempi ridotti e possibilmente senza errori di fabbricazione, consiglia l’utilizzo di strumenti di disegno automatico tridimensionale che consentono di modellare non solo la struttura ma anche tutte le parti di processo (risers, tubi di servizio, linee di vapore, ecc). Sempre più spesso infatti al progettista viene richiesto il modello tridimensionale che viene poi inserito nel modello completo dell’impianto, per le verifiche del caso. Lo studio della struttura sin dalle sue prime fasi, con una particolare attenzione alla sua realizzazione in cantiere, consente di ridurre drasticamente i tempi di montaggio ed i costi. 2. Introduzione Il calcolo di processo determina l’altezza e il diametro della fiaccola. La tipologia del sistema “flare” viene determinata in base a vari fattori tra i quali ricordiamo: ¾ Le condizioni di progetto, in particolare le temperature di progetto e/o di esercizio; ¾ Lo spazio a disposizione per la realizzazione della struttura portante; ¾ La necessità di poter eseguire la manutenzione in “operating”, nel caso di torce a più risers; Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 1 Marzo 2011

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IL SISTEMA FIACCOLA: LA PROGETTAZIONE DI DETTAGLIO

Ing. Roberto Marelli – B&C Engineering and Construction srl

1. Sommario I sistemi di fiaccola o torcia, al servizio di raffinerie, impianti LNG ed impianti chimici rappresentano “l’estremità” dell’impianto, la parte meno nobile, tuttavia vitale per il funzionamento. La loro struttura di sostegno può essere di vario tipo, dimensione ed altezza; ultimamente a causa delle grandi portate di scarico e delle limitazioni sempre più restringenti del livello di radiazione a terra, le altezze delle torce sono aumentate raggiungendo ormai in più di un caso i 200m. Al tempo stesso le normative sempre più severe in fatto di vento e terremoto portano alla realizzazione di strutture sempre più performanti e di dimensioni ragguardevoli. Ecco che allora la metodologia di calcolo e la necessità di ridurre il peso delle strutture, per far fronte ad un sempre più elevato costo di materiali e manodopera, diventano fattori essenziali dell’attività del progettista. La necessità di realizzare strutture che possano essere facilmente assemblate in cantiere, in tempi ridotti e possibilmente senza errori di fabbricazione, consiglia l’utilizzo di strumenti di disegno automatico tridimensionale che consentono di modellare non solo la struttura ma anche tutte le parti di processo (risers, tubi di servizio, linee di vapore, ecc). Sempre più spesso infatti al progettista viene richiesto il modello tridimensionale che viene poi inserito nel modello completo dell’impianto, per le verifiche del caso. Lo studio della struttura sin dalle sue prime fasi, con una particolare attenzione alla sua realizzazione in cantiere, consente di ridurre drasticamente i tempi di montaggio ed i costi. 2. Introduzione Il calcolo di processo determina l’altezza e il diametro della fiaccola. La tipologia del sistema “flare” viene determinata in base a vari fattori tra i quali ricordiamo:

Le condizioni di progetto, in particolare le temperature di progetto e/o di esercizio; Lo spazio a disposizione per la realizzazione della struttura portante; La necessità di poter eseguire la manutenzione in “operating”, nel caso di torce a

più risers;

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I costi di costruzione, montaggio e di manutenzione, I tempi di realizzazione, a partire dal progetto alla costruzione in cantiere.

Per far fronte a tutte o in parte a queste necessità, il sistema fiaccola può essere così suddiviso in varie tipologie:

Autoportante ( o “Self supporting”) Strallato ( o “Guyed”) Con struttura portante a derrick strallato e risers fissi (o Guyed derrick) Con struttura portante a derrick e risers fissi o (“Derrick”) Con struttura portante a derrick e risers smontabili (o “Derrick – Demountable”)

Ciascuna di queste tipologie risponde ad esigenze particolari che possono essere:

Economicità e velocità di montaggio; Velocità di realizzazione in officina; Raggiungibilità di altezze considerevoli a costi ridotti; Necessità di spazi ridotti al site; Possibilità di eseguire manutenzioni su una flare, tipicamente la sostituzione del

terminale, senza la necessità del blocco (“shut down”) di tutti gli impianti che convergono al sistema di torcia; tipico questo di sistemi multi-flare

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3. Tipologia delle torce 3.1 Torcia Autoportante La soluzione autoportante è utilizzabile per altezze fino a 50-60m e con risers di diametro significativo, dal momento che in questo caso essi costituiscono anche la struttura portante in grado di sopportare non solo il peso proprio ma anche l’azione del vento e del terremoto. Altezze più elevate comportano spessori considerevoli che possono rendere antieconomica questo tipo di soluzione, soprattutto quando si utilizzano materiali nobili come l’acciaio inossidabile, che notoriamente resiste alla corrosione ma ha caratteristiche di resistenza inferiori a quelle dell’acciaio al carbonio, soprattutto alle alte temperature. Infatti ciò che normalmente sconsiglia l’utilizzo di tale soluzione, è la temperatura di progetto e/o di esercizio. Poiché la resistenza del materiale (snervamento o “yielding stress”) è inversamente proporzionale alla temperatura, più è alta quest’ultima, più risulta ridotto lo snervamento del materiale e quindi la resistenza all’imbozzamento. A favore della soluzione autoportante vi sono: - la sua economicità; - la velocità di costruzione; - la facilità di montaggio; - il poco spazio richiesto al site per il suo posizionamento; Le torce autoportanti sono generalmente dotate di scale alla marinara e di una piattaforma di testa a 360°, per permettere l’accessibilità al terminale. Piattaforme secondarie o “rest platfoms” sono previste lungo tutto il risers al fine di permettere la sosta durante la salita. Solitamente non si accettano scale alla marinara più lunghe di 9m anche se ultimamente si tende a limitare questa misura a non più di 6m. Di solito sono munite di luci aeree, il cui numero di livelli e luci per livello, vengono determinate dalle norme del singolo paese dove vengono realizzate (Le più utilizzate sono le Americane ICAO)

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3.2 Torcia Strallata La soluzione strallata è utilizzabile per altezze fino a 150-160m ed anche in questo caso il riser costituisce la struttura portante. Nella torcia strallata le funi ricoprono il compito particolare di assorbire i carichi orizzontali e di trasferirli a terra mediante le forze di trazione che in esse si generano. Di norma si utilizzano funi “antigirevoli” composte da più fili metallici intrecciati tra di loro; esistono funi a 61, 91, 127 fili per ciascuna delle quali viene definito un “ultimate breaking load” o carico ultimo di rottura, che deve essere pari a tre volte la massima trazione realmente presente nella fune in condizione di esercizio. Le funi sono collegate: a) al riser mediante apposite orecchie di ancoraggio b) ai corpi morti a terra, mediante apposite barre filettate sulle quali si agisce in fase di montaggio per regolarne la tensione iniziale o “pretensione”. Solitamente le funi sono pretese in officina al fine di eliminare l’effetto “cordatura” che provocherebbe, alla prima tensione della fune, un allungamento indesiderato con conseguente perdita della pretensione. La pretensione iniziale o di montaggio, ha un compito essenziale nella limitazione degli spostamenti quando il riser funziona a basse temperature. Infatti in questa condizione, il riser si contrae, gli stralli si rilasciano o come si dice “vanno in bando” e non sono più in grado di contrastare gli spostamenti laterali del riser, a meno che non siano opportunamente pretensionati in fase di montaggio. Normalmente la pretensione di montaggio può essere calcolata nel 10-15% del carico di rottura della fune. Al variare dell’altezza del riser, ci possono essere vari ordini di stralli, tipicamente disposti a 120° l’uno dall’altro. Il sistema riser+stralli è alquanto complesso da studiare in quanto il grado di vincolo fornito dalle funi è paragonabile ad una molla elastica la cui rigidezza è in continuo cambiamento conseguentemente ai carichi orizzontali (e quindi agli spostamenti) applicati dall’esterno. Qualora non si abbia a disposizione un programma di calcolo che preveda l’ “elemento fune”, di norma si arriva ad una soluzione per iterazione. L’utilizzo della soluzione strallata è dunque agevole quando la massima temperatura di funzionamento della torcia non supera i 200°C. Una temperatura dello stack molto elevata provoca il suo allungamento per effetto della dilatazione termica con conseguente innalzamento delle tensioni nelle funi, oltre il limite di sicurezza. Per temperature molto elevate inoltre, il riser risulta soggetto a grossi carichi di compressione dovuti alla componente verticale delle tensioni presenti nelle funi; tali carichi danno origine a problemi di instabilità e di imbozzamento.

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Poiché la resistenza all’imbozzamento è funzione del rapporto ctR tra il raggio R del riser,

il suo spessore corroso t e della temperatura, più quest’ultima è alta e minore è la resistenza del materiale.

c

Le torce strallate possono essere a riser singolo o multiplo, con elementi meccanici di guida dei risers a diversa temperatura. A favore della soluzione strallata vi sono: - la sua economicità; - la velocità di costruzione; - la relativa facilità di montaggio; A sfavore della soluzione strallata vi sono: - i grandi spazi a terra richiesti per l’ancoraggio delle funi; l’angolazione di queste ultime è

infatti normalmente compresa tra i 40° e 60°. Ciò significa che uno strallo collegato al riser a 140m d’altezza può richiedere 70-80m a terra, il che può portare i corpi morti a disporsi su di una circonferenza di raggio 140-160m.

- la manutenzione delle funi che consiste nel controllo periodico della loro pretensione. Anche la torcia strallata è dotata di scale alla marinara e piattaforma di testa a 360° per la accessibilità al terminale. Ulteriori piattaforme possono essere previste in prossimità degli attacchi delle funi al riser, per permetterne la manutenzione. Anche in questo caso sono previste piattaforme di riposo lungo tutta l’altezza dello stack.

3.3 Torcia derrick strallata La soluzione con il derrick strallato è una via di mezzo tra la soluzione derrick e quella strallata pura. In questo caso un traliccio di dimensioni ridotte, solitamente a sezione costante, può supportare uno o più risers con temperature di funzionamento anche profondamente diverse tra di loro. Il derrick ed il sistema di funi hanno il compito di assorbire le azioni orizzontali dovute al vento o al terremoto mentre i risers possono scorrere lungo le guide in relazione alle temperature di esercizio. Questa soluzione presenta tutti i lati positivi della soluzione a traliccio: - grandi altezze raggiungibili; - possibilità di alloggiare più risers; - diversità di temperature di esercizio per i risers; - economicità della soluzione ma al tempo stesso presenta alcune delle problematiche della soluzione strallata pura: - necessità di grandi spazi a terra per l’ancoraggio delle funi - necessità di manutenzioni periodiche agli stralli. Le passerelle e le scale alla marinara per l’accesso al terminale possono essere alloggiate all’interno od all’esterno del traliccio. Di solito si prevedono piattaforme tutt’attorno al traliccio per l’alloggiamento del sistema di luci aeree e per la manutenzione del/dei terminali.

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3.4 Torcia derrick a riser fissi La soluzione a derrick con risers fissi, si utilizza quando si hanno più risers e le soluzioni autoportante, strallata o derrick strallata risultano impraticabili per mancanza di spazio a terra o perché i risers hanno diametri troppo piccoli per essere strallati, o perché hanno dimensioni troppo grandi per essere alloggiati su un traliccio strallato di piccole dimensioni. Poiché questa soluzione prevede solitamente la costruzione ed il montaggio di un traliccio di dimensioni ragguardevoli, risulta essere tra le meno economiche. La soluzione a derrick non ha limitazioni di altezza e consente ai risers di muoversi autonomamente in relazione alle temperature di funzionamento. Di pianta triangolare, quadrata, rettangolare o a farfalla, può avere la conformazione a tronco di piramide con facce inclinate e risers interni o a faccia piana con risers esterni al traliccio.

La soluzione a facce inclinate e riser interno di solito si utilizza quando si ha un solo riser, specialmente di grosso diametro. In fase di montaggio è più laboriosa perché costringe a montare la struttura ed il riser contemporaneamente, poiché non è possibile infilare il riser dall’altro, nella struttura completata;

La soluzione a faccia piana è quella che consente un montaggio più facile dei risers

che in questo caso risultano esterni alla struttura e i cui tronchi possono essere uniti a terra mediante flange o saldature e quindi ribaltati, limitando i tempi di montaggio in cantiere;

La soluzione a sezione triangolare, sia a faccia piana che a tronco di piramide, è ottima

per strutture con altezze fino a 100m circa di altezza e per carichi di vento non particolarmente severi: in condizione estreme infatti, la soluzione triangolare presenta l’inconveniente di avere un solo montante resistente a compressione, per vento che spira perpendicolarmente alla faccia piana.

La soluzione a sezione quadrata o rettangolare, sia a faccia piana che a tronco di piramide, non ha limitazione di altezza, né di dimensioni.

La soluzione a farfalla infine consente l’alloggiamento di un gran numero di risers, dal momento che potenzialmente presenta quattro facce piane.

I derricks sono dotati di scale alla marinara e piattaforma di testa per l’accessibilità al/ai terminale/i. Apposite piattaforme intermedie possono essere posizionate sia per l’impianto di segnalazione aerea, sia per facilitare le operazioni di connessione delle sezioni dei risers. La sostituzione del/i terminale/i può essere eseguita mediante la gru o l’utilizzo dell’apposito davit alloggiato in sommità del traliccio e di solito protetto dalle radiazioni del/i terminale/i, mediante uno schermo antiradiazione (“radiation shiled”).

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Per altezze non rilevanti, il derrick può essere costituito da profili ad H, L e C o composti. Quando le altezze diventano importanti, la soluzione tubolare risulta la migliore, poiché a parità di peso l’inerzia del profilo tubolare è superiore a quella dei profili e soprattutto, risulta essere uguale in tutte le direzioni. La soluzione tubolare garantisce inoltre una migliore resistenza alla corrosione, rispetto alla soluzione a profili.

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3.5 Torcia derrick a riser smontabili La soluzione a derrick con risers smontabili è in assoluto la più complessa dal punto di vista realizzativo e la più dispendiosa dal punto di vista economico ma consente di alloggiare risers completamente smontabili, indipendentemente l’uno dall’altro. Ciò significa che ciascuna fiaccola può essere abbassata completamente a terra qualora sia necessaria la manutenzione/sostituzione del terminale o del riser stesso. Tutte le linee di servizio (piloti, iniezione, vapore) e quelle elettriche (termocoppie) sono posizionate sul singolo riser e vengono sollevate/abbassate insieme ad esso. Le torce possono essere assistite a vapore o ad aria; la soluzione smontabile non presenta particolari problematiche in entrambi i casi. Nel primo caso i tubi del vapore che solitamente possono variare da uno a tre, sono fissati direttamente a ciascuna sezione del riser e sono flangiati alle estremità al fine di consentirne il collegamento con la sezione successiva. “Loops” o dilatatori assiali (“expansion bellows”) sono previsti sui tubi del vapore lungo ogni sezione del riser, al fine di assorbire le differenti elongazioni .

Esempio di loops su linee del vapore Expansion bellow Nel secondo caso il tubo dell’aria è concentrico a quello del gas ed è solitamente quello esterno. Entrambi i tubi sono flangiati alle estremità per consentirne il collegamento con la sezione successiva. Il riser interno del gas è guidato dal risers esterno dell’aria. La differenza di elongazione termica tra il tubo caldo o freddo del gas e quello solitamente freddo dell’aria, è assorbita da un compensatore o soffietto posto tra la flangia del tip e quella del tubo dell’aria.

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Riser a doppia canna per torce assistite ad aria

Il derrick può avere sezioni diverse: triangolare, quadrata, rettangolare, a farfalla o a doppia sezione a secondo del numero dei risers, delle loro dimensioni, della loro altezza e del loro peso. Il sistema di sollevamento/abbassamento dei riser è costituito da:

a) un sistema a terra di due o tre argani idraulici (uno di ribaltamento ed uno di sollevamento oppure uno di ribaltamento e due di sollevamento) a seconda che si abbiano uno o due golfari di sollevamento per ogni sezione di riser. Solitamente la soluzione col golfare unico viene adottata per tralicci a faccia piana, con risers esterni, sufficientemente vicini alla faccia del derrick stesso e con peso proprio non eccessivo. La soluzione col doppio golfare si utilizza qualora i risers siano interni al derrick, quando il loro peso è considerevole o quando, pur essendo esterni al derrick, risultano particolarmente distanti dalla faccia piana. Gli argani sono solitamente posti al di fuori di quella che viene chiamata area di ribaltamento (“laydown area”) in posizione frontale al derrick. Questa posizione consente agli operatori di avere una visuale completa del sistema di sollevamento durante le operazioni di montaggio e/o smontaggio dei risers, garantendo uno standard di sicurezza migliore rispetto ad altre soluzioni: argani laterali al traliccio o su retro del traliccio stesso.

b) un sistema di carrucole a terra ed in elevazione che permettono la moltiplicazione della portata degli argani;

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c) uno o due blocchi di sollevamento con due carrucole nel caso di tiro in quarta, di tre carrucole di caso di tiro in sesta etc.;

d) una trave di ribaltamento posta sul traliccio, con relativa piattaforma di ribaltamento;

e) una trave di sollevamento posta sul traliccio, con relativa piattaforma di sollevamento;

f) un sistema di piattaforme ribaltabili che consentono la connessione dei tronchi di risers, tubi di servizio, tubi del vapore e delle linee elettriche, durante il montaggio, nonché la loro separazione durante lo smontaggio;

A fronte di un maggior investimento iniziale, dovuto in parte all’equipaggiamento per il ribaltamento/sollevamento necessario (“lifting equipment”), la soluzione smontabile presenta notevoli vantaggi:

a) consente la manutenzione separata dei risers, dei terminali, delle linee di servizio e di quelle elettriche, senza la fermata totale di tutti gli impianti connessi alla torcia; b) consente di spingere al massimo la prefabbricazione dei risers in tronchi da 20-24m, completi di tutte le tubazioni di servizio ed elettriche in officina, riducendo i costi in cantiere;

Normalmente i derrick con risers smontabili sono dotati di scale a rampa fino alla piattaforma per la bullonatura delle flange dei risers, per poi proseguire con scale alla marinara fino alla piattaforma di testa posta in sommità del traliccio. Completa la soluzione smontabile, il sistema di segnalazione aerea anch’esso smontabile e che può essere di due tipi:

a) a fune b) scorrevole su binario

Nel sistema a fune, le lampade sono collegate ad un cavo metallico che partendo da terra raggiunge con un angolo di inclinazione molto acuto rispetto alla verticale, la sommità del traliccio. La fune parte da un argano a terra, che può essere manuale o elettrico e scorre sulla sommità del traliccio su una coppia di carrucole. Il cavo elettrico è fissato a quello metallico. In caso di necessità, l’argano a terra può abbassare la fune, le lampade ad esse collegate ed il cavo elettrico. Il sistema a fune presenta i seguenti vantaggi:

a) economicità b) facilità di installazione c) semplicità

d’altro canto può presentare le seguenti contro indicazioni:

a) non applicabilità per strutture di grande altezze b) scarsa resistenza per carichi molto elevati (zone cicloniche)

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c) instabilità delle lampade Nel sistema scorrevole a binario, le luci sono fissate su carrelli metallici, scorrevoli lungo un binario tubolare cavo fissato alla struttura, all’interno del quale sono alloggiati rispettivamente:

- la fune metallica di trazione; - il cavo elettrico; - un elemento anti torsione del cavo metallico/elettrico

A corredo del sistema vi è un argano elettrico carrellato, per il sollevamento/abbassamento delle lampade ed un sistema di blocco/sblocco lampade posto in sommità ad ogni binario. Ogni lampada necessità di un proprio binario di scorrimento e di un proprio supporto metallico. Questo sistema presenta i seguenti vantaggi:

a) robustezza; b) protezione delle parti elettriche (essenzialmente il cavo); c) stabilità delle lampade anche per forti carichi orizzontali applicati; d) facilità di sollevamento/abbassamento delle lampade; e) possibilità di raggiungere altezze considerevoli;

e le seguenti controindicazioni:

a) costo più elevato, dovuto alla maggior quantità di carpenteria necessaria; b) maggiori spazi richiesti sulla struttura per il suo alloggiamento.

Dal confronto dei due sistemi appare evidente che il sistema a fune può essere indicato per torce fino ai 100m di altezza; oltre questa soglia, il sistema a binario, pur avendo costi superiori, sicuramente offre garanzie superiori.

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4. I Carichi 4.1 Il Vento Il vento è senza ombra di dubbio il carico di progetto principe per questo tipo di strutture. Il carico ad esso dovuto, risulta direttamente proporzionale al quadrato della sua velocità ed alle aree esposte, sia del traliccio che dei risers, delle tubazioni di servizio, delle scale e delle piattaforme. I parametri che entrano in gioco nella definizione del carico dovuto al vento sono:

velocità di progetto del vento la pressione dei progetto del vento coefficiente di topografia coefficiente di rugosità coefficiente di importanza coefficiente di raffica coefficiente dinamico coefficiente di esposizione

La velocità di progetto, dipende strettamente dal sito in cui si andrà a costruire la

struttura. Ogni codice ha una propria mappa per la definizione delle velocità di progetto (“basic design wind speed”) da adottare. Di seguito un semplice confronto tra la normativa Americana ANSI/ASCE 7/05 nella colonna a sinistra e quella Italiana nella colonna di destra.

La basic wind speed delle ANSI/ASCE 7/05 è definita come la velocità del vento di una raffica con 3 secondi di periodo, ad un altezza di 10m da terra, su di un terreno in categoria di esposizione C. il codice definisce per macro aree degli stati uniti, il valore da utilizzarsi come V

Il D.M. 2008 definisce la velocità di riferimento v come il valore caratteristico della velocità del vento a 10m dal suolo, su di un terreno di categoria di esposizione II, mediata su 10m e con un periodo di ritorno di 50 anni.

b

22 )I (N/mVKd ⋅⋅⋅

613.0

zK

ztK

dK

La pressione del vento viene calcolata a partire dalla sua velocità, solitamente definita

ad un’altezza di 10m e con un periodo di ritorno di 3sec, e da una costante che riflette la densità dell’aria

La pressione del vento è definita come:

613.0 KKq ztzz ⋅⋅= dove:

= costante che tiene conto della densità dell’aria

= coefficiente che tiene conto della variazione della velocità con l’altezza

= fattore topografico = fattore di direzionalità del vento

I = fattore di importanza

La pressione del vento è definita come: bedp qcccp ⋅⋅⋅=

dove:

pc

dc

ec

bq

= coefficiente di forma

= coefficiente dinamico

= coefficiente di esposizione

= pressione cinetica di riferimento

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V = basic wind speed

2

21

bb vq ⋅⋅= ρ

ρ = densità dell’aria = 1 3/25. mkg

3211 KKK zt ⋅⋅+=

t

e

Il coefficiente di topografia viene definito in base all’area dove la costruzione andrà ad essere realizzata: esso tiene conto degli ostacoli che possono essere presenti attorno alla costruzione

Il coefficiente di topografia è definito come:

( )2K

con parametri definiti nella figura 6.4

Nel codice Italiano il coefficiente di topografia c è interno al calcolo del coefficiente di esposizione c ed è di solito posto uguale ad 1 sia per le zone pianeggianti che per quelle collinose.

Il coefficiente di rugosità è in taluni codici, l’equivalente del coefficiente di topografia e come questo, tiene conto degli ostacoli presenti accanto alla struttura.

Non è definito Il codice Italiano definisce quattro classi si rugosità

del terreno: A aree urbane B aree urbane (non di classe A), suburbane, industriali e boschive C aree con ostacoli diffusi D Aree prive di ostacoli

Il coefficiente di importanza tiene conto dell’importanza della struttura; maggiore è la

necessità che la struttura resista anche ad eventi assolutamente poco frequenti, in relazione alla sua importanza strategica, maggiore è il coefficiente di importanza.

Vedi tabelle 1-1 e 6-1 Non è definito nel D.M. 2008

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Il coefficiente di raffica (o “gust effect”) tiene conto del carico aggiuntivo dovuto alla turbolenza del vento ed include il carico dovuto all’amplificazione dinamica a cui sono soggette le strutture flessibili. Ricordiamo che secondo le norme americane ANSI/ASCE 7/05, si definiscono “flessibili” le strutture con un periodo del primo modo di vibrare < 1Hz, mentre si definiscono “rigide” quelle per le quali il primo modo di vibrare ha una frequenza ≥1 Hz.

Il coefficiente di raffica è definito come:

( )( )⎪⎩

⎪⎨

⋅=G

925.0

85.0

⋅⋅+

⋅⋅⋅+ ⋅

zv

zQ

IgQIg

7.117.11

Hzf 1≥

Per le strutture rigide, ossia quelle per le quali risulta

⎟⎟⎟

⋅⋅

⋅+⋅

zv

RQ

Ig

RgQg

7.1

2222

Hzf 1<

⎜⎜⎜

+

⋅⋅+⋅= ⋅zI

G1

7.11925.0

Per le strutture flessibili, ossia quelle per le quali risulta

Nel D.M. 2008 non c’è in coefficiente di raffica vero e proprio, ma viene definito un coefficiente di esposizione che fa variare la pressione del vento con l’altezza. Esso è definito come:

⎥⎥⎦

⎤⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅=

00

2 lnln)(zz

zzckzc tre 0zz ≥

⎢⎢⎣

⎡⋅+⋅ 7 ct per

( )minze)( czce = per minzz <

Il coefficiente dinamico tiene conto degli effetti riduttivi dovuti alla non

contemporaneità delle massime pressioni locali e degli effetti amplificativi dovuti alla risposta dinamica della struttura.

Non è definito, ma può pensarsi molto affine al coefficiente di raffica.

Nel D.M. 2008 il coefficiente dinamico è posto uguale ad 1, per le strutture di forma regolare con altezza non superiore agli 80m. Per altezze superiori può essere determinato con analisi specifiche o facendo riferimento a dati di comprovata validità

Il coefficiente di forma, dipende dalla forma del corpo che risulta esposto al vento, e le normative ne definiscono valori diversi a secondo delle varie tipologie degli elementi esposti. Nel caso delle strutture a traliccio, il coefficiente di esposizione o di forma dipende dal coefficiente di solidità, dalla sezione della struttura (triangolare o quadrata) e dalla tipologia degli elementi che la costituiscono (tubi o profili ad angoli vivi). Per situazioni ibride, tubi e profili a spigoli vivi insieme, occorre seguire opportune prescrizioni se presenti.

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Poiché il sistema fiaccola è di solito un insieme di elementi diversi, basti pensare ai risers (di solito considerati come corpi cilindrici di lunghezza infinita) ed alla struttura portante derrick (di solito considerata come struttura intralicciata o “trussed tower”) nel calcolo del vento occorre considerare tanti coefficienti di esposizione diversi quante sono le diverse tipologie di elementi che la costituiscono. Inoltre occorre considerare coefficienti di esposizione diversi a secondo della direzione del vento rispetto alla struttura; ciò è verosimilmente più vero quando si hanno strutture derrick, per le quali si hanno coefficienti di forma diversi a secondo che il vento agisca normalmente ad una faccia o in direzione diagonale.

Le norme ANSI/ASCE 7/05 definiscono valori del coefficiente di forma a secondo della tipologia della struttura e della forma degli elementi che la compongono, per vento normale alla struttura: - strutture tipo camini o serbatoi - strutture a telaio costituite da elementi a spigoli vivi o piatti - strutture intralicciate a torre, a sezione quadrata o triangolare costituite da elementi a spigoli vivi o tubolari. Per vento diagonale la normativa definisce un valore moltiplicativo. Per le strutture a traliccio, il coefficiente di forma è definito in base al coefficiente di solidità o “solidity ratio” a sua volta definito come:

faccia diuna Areafaccia una di esposta Area

Nel D.M. 2008 non vengono definiti valori per il coefficiente di forma che è funzione della tipologia, della geometria e dell’orientamento della costruzione rispetto alla direzione del vento. I suddetti parametri sono definiti nella Circolare applicativa delle Norme Tecniche sulle Costruzioni, n° 617 del 02 Febbraio 2009. Si può fare riferimento anche ad altri codici tipo l’Eurocodice 1, Parte 2-4, “Azioni sulle strutture – Azioni del vento”.

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Il calcolo della forza dovuta al vento agente sulla struttura, è dato dal prodotto di una parte o di tutti i parametri fin qui individuati, per l’area esposta della struttura. Per area esposta si intende la proiezione su un piano verticale perpendicolare alla direzione del vento, delle aree effettivamente esposte di una singola faccia della struttura. Le aree retrostanti alla faccia direttamente caricata, sono tenute in conto dal coefficiente di forma, definito in funzione del rapporto tra l’area della faccia esposta, e l’area racchiusa dal perimetro della faccia considerata, anch’essa proiettata sul piano verticale. Il carico dovuto al vento è definito come:

ffzz ACGqF ⋅⋅⋅=

zq

zG

fC

fA

ff ACpF ⋅

= pressione del vento all’altezza z = coefficiente di raffica o gust factor = coefficiente di forma = area esposta

Il carico dovuto al vento è definito come:

⋅=

p

fC

fA

vvs

= pressione del vento all’altezza z = coefficiente di forma = area esposta

Inoltre occorre considerare coefficienti di esposizione diversi a secondo della direzione del vento rispetto alla struttura; ciò è verosimilmente più vero quando si hanno strutture derrick, per le quali di solito si hanno coefficienti di forma diversi a secondo che il vento agisca normalmente ad una faccia o in direzione diagonale. L’applicazione del carico del vento si studia normalmente con un’analisi statica equivalente, ma l’utilizzo dei moderni programmi di calcolo e le sempre crescenti capacità di calcolo dei PC, consentono lo studio di “storie di carico”, mediante l’integrazione delle equazioni del moto dovuto all’applicazione di un “profilo di vento”. Uno dei modelli utilizzabili per il calcolo dinamico dell’azione del vento è il modello di “Schlaich”. In esso l’effetto dinamico del vento è schematizzato con due raffiche in risonanza con l’oscillazione propria della struttura e con picchi che raggiungono i valori massimi caratteristici della zona dove viene realizzata la struttura. Le ipotesi adottate sono le seguenti: 1) indicate con sv la velocità media e con v la velocità massima registrata nella località

in cui dovrà essere realizzata la struttura, si ammette che sia:

⋅= 6.0

Ossia si suppone che il coefficiente di rafficasv

v=λ

0v

, inteso come il rapporto tra il massimo

relativo di velocità riscontrabile in corrispondenza di una determinata raffica e la velocità media , sia pari a 1.67.

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 23 Marzo 2011

La struttura sarebbe allora soggetta ad una pressione cinetica massima:

162

22 vvq ≅⋅= ρ

sv

Alla velocità costante, risponde una pressione cinetica agente staticamente:

qv⋅≅⋅= 4.0

1636.0

2

qqq sd

vq s

s ⋅=2

La pressione dinamica diviene allora: q ⋅=−= 6.0 2) Si suppone che la raffica abbia una durata sec4=rt e che la pressione cinetica massima

raggiunga contemporaneamente tutti i punti della struttura 3) Si ammette che durante l’azione della raffica l’andamento della pressione cinetica in

funzione del tempo possa rappresentarsi con una semionda sinusoidale 4) Si suppone che passerà sicuramente un tempo abbastanza lungo per ritrovare una

raffica che raggiunga la massima velocità. Tuttavia, può accadere che raffiche di minore ampiezza entrino in risonanza con l’oscillazione propria del sistema. Per tener conto di questa possibilità, Schlaic propone di considerare dopo un intervallo di tempo

sec180=τ l’effetto di una seconda raffica, identica alla prima ed in risonanza con l’oscillazione propria del sistema.

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 24 Marzo 2011

Utilizzando il modello di Schlaich , ed applicando la “Time history modal superposition” si determinano gli andamenti nel tempo della risposta della struttura, sia in termini di spostamento che di sforzi. Questo metodo è il più comunemente usato per calcolare la risposta di sistemi soggetti a carichi di cui sia nota la legge di variazione nel tempo. Partendo da una legge vento-tempo come quella qui di seguito

Wind - Time law

180.

2

180.

4

191

211

231

Time (sec)

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1.0

1.1

1.2

0 1 2 3 4 23 43 63 83 103

123

143

163

180

Ampl

itude

Modello dinamico del vento e combinando i modi della struttura (di solito i primi 50, per garantire l’eccitazione di almeno il 90% della massa) si determinano gli andamenti del tempo sia dello spostamento che degli forzi, in ogni singolo punto della struttura, come indicato di seguito per il punto maggiormente sollecitato della struttura di esempio.

Mode 1 - Frequency = 3.9788Hz Mode 2 - Frequency = 4.0039 Hz

Mode 3 - Frequency =4.0040 Hz Mode 4 - Frequency = 5.8580Hz

Mode 5 - Frequency = 5.8640Hz

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 25 Marzo 2011

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 26 Marzo 2011

Displacements - Time

217.5221

.25225

228.75

232.5236

.25

Time (sec)

0.00

5.00

10.00

15.00

20.00

25.00

30.00

35.00

40.00

45.00

50.00

55.00

60.00

0.25 47.75

11.515.2

5 1922.7

526.5

30.25 34

37.75

41.545.2

5 49172

.5176

.25180

183.75

187.5191

.25195

198.75

202.5206

.25210

213.75

Disp

lace

men

ts(cm

)

Andamento dello spostamento massimo nel tempo (cm) nel nodo i-esimo

Axial force - Time

13.75

217.5221

.25225

228.75

232.5236

.25

Time (sec)

-600000

-400000-200000

0200000

400000600000

800000

10000001200000

14000001600000

18000002000000

2200000

0.25 47.75

11.515.2

5 1922.7

526.5

30.25 34

37.75

41.545.2

5 49172

.5176

.25180

183.75

187.5191

.25195

198.75

202.5206

.25210

2

Axia

l For

ce (N

)

Andamento dell’ azione assiale nel tempo, nell’ elemento i-esimo

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 27 Marzo 2011

Shear force T2 - Time

5195

.25202

.75210

.25217

.75225

.25232

.75

Time (sec)

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

16000

18000

0.257.75

15.2522.7

530.2

537.7

545.2

552.7

560.2

567.7

575.2

582.7

590.2

597.7

5105

.25112

.75120

.25127

.75135

.25142

.75150

.25157

.75165

.25172

.75180

.25187

.7

Shea

r for

ce T

2 (N

)

Andamento dell’ azione Tagliante T2 nel tempo, nell’ elemento i-esimo

Shear force T3 - Time

.75195

.25202

.75210

.25217

.75225

.25232

.75

Time (sec)

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

16000

18000

0.257.75

15.2522.7

530.2

537.7

545.2

552.7

560.2

567.7

575.2

582.7

590.2

597.7

5105

.25112

.75120

.25127

.75135

.25142

.75150

.25157

.75165

.25172

.75180

.25187

Shea

r for

ce T

3 (N

)

Andamento dell’ azione Tagliante T3 nel tempo, nell’ elemento i-esimo

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 28 Marzo 2011

To

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

0.257.75

15.2522.7

530.2

537.7

545.2

552.7

560.2

567.7

575.2

582.7

590.2

597.7

5105

.25112

.75120

.25127

.75135

.25142

.75150

.25157

.75165

.25172

.75180

.25187

.7519

Torq

ue m

omen

t (Nc

m)

rque moment - Time

5.25202

.75210

.25217

.75225

.25232

.75

Time (sec)

Andamento del momento torcente M1 nel tempo, nell’ elemento i-esimo

Be

-6000000-5500000-5000000-4500000-4000000-3500000-3000000-2500000-2000000-1500000-1000000

-5000000

500000100000015000002000000

0.257.75

15.2522.7

530.2

537.7

545.2

552.7

560.2

567.7

575.2

582.7

590.2

597.7

5105

.25112

.75120

.25127

.75135

.25142

.75150

.25157

.75165

.25172

.75180

.25187

.

Bend

ing

mom

ent M

2 (N

cm)

nding moment M2 - Time

75195

.25202

.75210

.25217

.75225

.25232

.75

Time (sec)

Andamento del momento flettente M2 nel tempo, nell’ elemento i-esimo

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 29 Marzo 2011

Bend

-7000000

-6000000

-5000000

-4000000

-3000000

-2000000

-1000000

0

1000000

2000000

0.257.75

15.2522.7

530.2

537.7

545.2

552.7

560.2

567.7

575.2

582.7

590.2

597.7

5105

.25112

.75120

.25127

.75135

.25142

.75150

.25157

.75165

.25172

.75180

.25187

.751

Bend

ing

mom

ent M

3 (N

cm)

ing moment M3 - Time

95.25202

.75210

.25217

.75225

.25232

.75

Time (sec)

Andamento del momento flettente M3 nel tempo, nell’ elemento i-esimo

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 30 Marzo 2011

4.2 Il Terremoto Per la natura del carico, sono più sensibili al terremoto le strutture aventi grandi masse, dal momento che la forza orizzontale dovuta al terremoto è ad essa direttamente proporzionale. L’analisi della struttura soggetta al carico del terremoto, può avvenire essenzialmente in due modi: - Analisi statica equivalente - Analisi dinamica Nel primo caso, la forza orizzontale totale dovuta al terremoto, viene calcolata in funzione di vari fattori e distribuita lungo l’altezza della struttura, ai vari livelli –i, proporzionalmente al valore della massa al livello i-esimo. Nelle norme UBC-97 il taglio totale dovuto al terremoto è definito come:

WTRIC

V v ⋅⋅⋅

=

vC

dove: = è il coefficiente sismico definito nella

tabella 16-R I = è il coefficiente di importanza definito nella tabella 16-K R = coefficiente che tiene conto della duttilità globale della struttura definito nella tabella 16-N o 16-P T = periodo del primo modo di vibrare espresso in secondi W = carico sismico totale definito come somma del peso proprio e di una parte dei sovraccarichi Il taglio totale non deve eccedere:

WR

ICV a ⋅

⋅⋅=

5.2

aC

WICV a ⋅⋅⋅= 11.0

dove: = è il coefficiente sismico definito nella

tabella 16-Q e non deve essere meno di:

Per la distribuzione del taglio lungo la struttura vale una formula analoga a quella della normativa italiana. La forza totale orizzontale è distribuita lungo

Nel D.M. 2008 vengono definiti due spettri di riposta elastici: uno per le componenti orizzontali (3.2.3.2.1) ed uno per quelle verticali (3.2.3.2.2). A partire da questi due spettri, si definiscono: a) lo spettro di progetto per SLE (3.2.3.4) b) lo spettro di riposta per gli SLU (3.2.3.5) La forza da applicare alla struttura, nell’analisi statica è:

∑ ⋅⋅⋅

=j jj

iihi Wz

WzFF

( )

dove:

gWTSF dh

λ⋅⋅=

iF

ji WW ,

ji zz ,

= è la forza da applicare alla massa i-iesima

= pesi della massa i e della massa j

= sono le quote rispetto alle fondazioni, delle masse i e j

( )1TSd

W = è l’ordinata dello spettro di progetto

= è il peso complessivo della costruzione λ = è un coefficiente che vale 0.85 se la costruzione ha almeno 3 orizzontamenti e 1.0 negli latri casi g = accelerazione di gravità

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 31 Marzo 2011

l’altezza della struttura in accordo alla formula seguente:

∑=+=

n

i it FFV1

V⋅ V. ⋅25

( )

dove: ma < 0 T.Ft ⋅= 070è un carico concentrato alla sommità.

∑ ⋅

⋅⋅−= n

i ii

xxtx

hw

hwFV

1

xw

iw

F

con: = peso al livello x = peso al livello i

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 32 Marzo 2011

Nel secondo caso, la struttura è sottoposta ad una storia di carico (Response Spectrum) definita dall’accelerogramma di progetto; le equazioni del moto dovute all’applicazione della storia di carico vengono integrate ed il programma di calcolo fornisce come risultato sia per gli spostamenti che per gli sforzi nelle membrature, i valori massimi ottenuti mediante algoritmi che combinano le risposte relative ai singoli modi della struttura. Uno degli algoritmi più noti è il SRSS o “Square Root of Sum of the Squares”. A differenza del “Time History” il “Response Spectrum” non fornisce l’andamento nel tempo, ma solo i valori massimi, sia per gli sforzi che per gli spostamenti. Nel caso di analisi dinamica secondo l’UBC 97 Code, viene definito uno spettro di progetto come segue: Fattore di zona sismica : (Zone C – z=0.075) (Table 16-I) Coefficiente di importanza sismica : (1, 1.25) (Table 16-K) Tipo di suolo : (tipo SD ) (Table 16-J) Near source factor : ( 1=aN

1) (Table 16-S)

Near source factor : ( =vN

aa N12.

vv N18.

) (Table 16-T) Coefficiente sismico : C 0= (Table 16-Q) Coefficiente sismico : C 0= (Table 16-R) Lo spettro di risposta di progetto è definito nelle UBC 97, figura 16-3. T sT⋅= 2.00

a

vs C

C⋅

=5.2

T

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 33 Marzo 2011

Le equazioni dello spettro sono:

per 0T<0 T< 12.018.0

0+= T

TgCa

T

per sTT <<0 3.0=g

Ca

TT >

per s TTC

gC va 18.0

==

0.000

0.050

0.100

0.150

0.200

0.250

0.300

0.350

00.6

0.8 1

1.2

1.4

1.6

1.8 2

2.2

2.4

2.6

2.8

D (sec)

SPECTRAL ACCELERATION (g's)

PERIO

RESPONSE SPECTRUM

La soluzione avviene in quattro steps: 1st formulazione delle equazioni del moto 2nd analisi modale 3rd disaccoppiamento delle equazioni del moto 4th uso dello spettro di progetto per il calcolo del massimo sforzo o spostamento

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 34 Marzo 2011

EQUAZIONI DEL MOTO

Sistema a due gradi di libertà Se consideriamo un sistema a due gradi di libertà come quello nella figura, le equazioni del moto sono date da: ( ) ( ) ( ) ( ) 02222111111 =−−−−−+−+ gggg yycyykyykyycy &&&&&&m (1) ( ) ( ) 0222222 =−+−+ gg y

21 21, yy

⎪⎩

⎪⎨⎧

−=

−=

g

g

yyu

yyu

22

11

gymm

uukkkucccum

&&&&&

⋅⎭⎬⎫

⎩⎨⎧

−=⎭⎬⎫

⎩⎨⎧⋅⎥

⎤⎡ −+⎫⎧⎤⎡ −+⎫⎧⎤⎡

2

1

2

1221122111 0

[ ]{ }

ykyycym &&&& Gli spostamenti relativi possono essere espresso in termini di spostamenti assoluti e del moto del suolo come:

,uu

gy

(2)

Le equazioni (1) possono essere scritte nella forma matriciale:

kkuccum &&& ⎢

⎣ −+

⎭⎬

⎩⎨⋅⎥

⎦⎢⎣ −

+⎭⎬

⎩⎨⋅⎥

⎦⎢⎣ 22222220

Per un sistema ad –n gradi di libertà, è: [ ]{ } [ ]{ } { }{ })(tymuKuCuM g&&&&& =++ (3) dove:

= matrice delle masse [ ]M[ ]C[ ]K{ }u

= matrice degli smorzamenti = matrice delle rigidezze = vettore degli spostamenti nodali relativi { })(tyg&& = vettore delle accelerazioni del suolo

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 35 Marzo 2011

ANALISI MODALE

L’analisi modale richiede la soluzione del sistema:

[ ]{ } [ ]{ } 0=+ uKuM && (4)

e se consideriamo la matrice [ ] { } { } { }[ ]nuU u ;...2u ;1= dove { }1u , { }2u , …, { }nu sono gli n autovettori associati agli autovalori n che solo la soluzione di:

[ ] [ ]( ) 0det 21 =⋅− MK ω (5)

(che è la condizione necessaria affinché [ ]{ } [ ]{ } 0=+ uKuM &&

{ }1u }2u }nu abbia una soluzione diversa da quella banale;

, { , …, { sono i modi della struttura quando non sono applicati carichi o smorzamenti). Possiamo introdurre il sistema di coordinate { }ϕ definite come:

{ } [ ]{ }ϕUu = (6)

DISACCOPPIAMENTO DELLE EQUAZIONI DEL MOTO

Se sostituiamo le (6) nelle (3) e premoltipichiamo per [ ]TU abbiamo:

[ ] [ ][ ]{ } [ ] [ ][ ]{ } [ ] [ ][ ]{ } [ ] { }{ })(tymU gT &&=ϕ

[ ] [ ][ ] [ ]IUMU T =

[ ] [ ][ ] [ ]Λ=UKU T

UKUUCUUMU TTT &&& ++ ϕϕ (7) ma: = è la matrice identità

= è la matrice diagonale degli autovalori Le (7) diventano:

[ ]{ } [ ] [ ][ ]{ } [ ]{ } [ ] { }{ })(tymU gT &&=Λ ϕ

[ ] [ ][ ] iiT UCU ωξ2=

=gij niy ,...2,1 &&

∑ngiji

jym

1 &&ϕ

UCUI T &&& ++ ϕϕ (8)

Se è una matrice diagonale, possiamo disaccoppiare le (3) ed ottenere n equazioni del tipo seguente

∑=++n

ij

iiiiii m1

22 &&& ϕϕωϕωξϕ (9)

Gli elementi possono essere espresso come funzioni del tempo ( ) gytg &&= e prendono l a

forma:

( ) in

giji tgym Γ⋅=∑ &&ϕ (10)

dove ∑=Γn

ijij

i m1

ϕ è chiamato“fattore di partecipazione modale” e le equazioni (9) diventano:

iiiii tg Γ⋅=+ )(2ϕωϕω & (11)

e introduciamo la trasformazione seguente:

)()( tt iii νϕ ⋅Γ= (12)

j 1

ii + 2ξϕ&&

S

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 36 Marzo 2011

E sostituiamo le (12) nelle (11) abbiamo:

(13)

ostituendo infine le(12) nelle (6) si ha:

{ }

iiiiiiiiii tgttt Γ⋅=⋅Γ⋅+⋅Γ+⋅Γ )()()(2)( 2 νωνωξν &&&

)()()()(2)( 2 tytgttt giiiiii &&&&& ==++ νωνωξν

S

[ ]{ })(tUu ii ν⋅Γ= { }

⎢⎢⎢⎢⎢

=

⎪⎪⎭

⎪⎪⎬

⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

...

1

2

1u

u

u

uu

n

{ }

{ } ⎪⎪⎭

⎪⎪⎬

⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

Γ

ΓΓ

⎥⎥⎥⎥⎥

)(...

)()(

..

1

21

11

2

t

tt

u nn ν

νν

cioè:

)(.....)(........................................

)(.....)()(.....)

2

1

tut

tuttut

nnnn

nnn

nnn

ν

νν

⋅Γ⋅+

⋅Γ⋅+⋅Γ⋅+

o spostamento )(1 tu è dato come combinazione delle risposte modali:

)(t

⎪⎪⎭

⎪⎪⎬

⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

+

nn

n

n

u

uu

...2

1

)(22 tν⋅Γ⋅

TRO DI

iamo ym&& n) esso è funzione dello spostamento

)()(..................................................

)()(()()(

222111

222211212

221211111

utut

ututuututu

nnn νν

νννν

⋅Γ⋅+⋅Γ⋅=

⋅Γ⋅+⋅Γ⋅=⋅Γ⋅+⋅Γ⋅=

u

Così l

=

⎪⎪⎭

⎪⎪⎬

nu

uu

...2

1

⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

...u

uu

⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

⎪⎪⎭

⎪⎪⎬

1

21

11

n

11 ν⋅Γ⋅ )(t

⎪⎪⎩

⎪⎪⎨

+

12

...

nu

uu

⎪⎪⎭

⎪⎪⎬

2

2222 ν⋅Γ⋅

USO DELLO SPET PROGETTO

Se pon aC=ax (spectral acceleratio

spettrale iν : iiaiC νω 2= (dove iω è la frequenza naturale).

Squares) fornisce il massimo valore dello orzo o dello spostamento nel singolo punto della struttura.

L’applicazione del metodo SRSS ( Square Root of Sum of the sf

2

2

2

21

........

............................

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅Γ+

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅Γ+

n

annn

n

ann

n

n

Cu

Cu

ω

ω

te durante la soluzione degli autovalori e calcola gli

tto è ap lungo le direzioni X, Y e Z.

=0.7;Y=0.7,Z=0 per terremoto lungo la diagonale

2

22

22

2

21

11max,2

2

22

122

2

21

111max,1

................................................................................

........

21

21

+⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅Γ+⎟

⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅Γ=

+⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅Γ+⎟

⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅Γ=

an

an

aa

Cu

Cuu

Cu

Cuu

ωω

ωω

Il processore combina tutti i modi e le frequenze calcolaspostamenti e gli sforzi dovuti allo spettro di progetto. Lo spettro di proge plicato in proporzioni variabili X=1; Y=0; Z=0 per terremoto lungo l’asse x X=0;Y=1; Z=0 per terremoto lungo l’asse Y X

Di solito, viste le masse ridotte in gioco, il carico del vento è preponderante su quello del terremoto, che difficilmente risulta essere governante.

Il sistema fiaccola: la progettazione di dettaglio R. Marelli Pagina 37 Marzo 2011

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4.3 Vortex shedding (Distacco dei vortici di Von Karman) Per strutture o elementi strutturali snelli di forma cilindrica, ciminiere, torri, elementi di travi reticolari, occorre tener conto dell’effetto dinamico dovuto al distacco alternato dei vortici da un lato e dell’altro del corpo investito dal vento. Detto distacco alternato, provoca una forza ciclica ortogonale alla direzione del vento e all’asse del corpo cilindrico la cui frequenza è data da:

d

VSf t

s⋅

=

da cui: t

scr S

dV

tS

2.0=tS

vd

cr progettoV⋅> 2.1

f=

dove:

= è il numero di Strouhal, funzione della sezione e del suo orientamento rispetto alla direzione del vento. Nel caso di sezioni circolari il numero di Strouhal è pari a

= è la velocità media del vento = è la sezione perpendicolare alla direzione del vento

Quando la frequenza del distacco dei vortici è prossima o uguale ad una frequenza propria della struttura o la velocità del vento è prossima a quella critica, si possono instaurare condizioni di risonanza con spostamenti di ampiezza sempre più grandi quanto più piccolo è lo smorzamento e la massa della struttura. Di solito la frequenza più critica è quella del primo modo di vibrare. Non si hanno spostamenti significativi quando la velocità critica V è . Quando si prevedono importanti effetti dovuti al continuo distacco dei vortici, occorre prevedere particolari accorgimenti. Per i camini o le torce autoportanti detti accorgimenti sono costituiti dall’applicazione di eliche rompi-vortice. Talvolta lo stesso effetto può essere svolto dalle scale e passerelle che solitamente sono posizionate lungo tutto il riser. Il fenomeno del “vortex shedding” non è da riferirsi ai soli camini o alle torce autoportanti ma può interessare anche le singole membrature delle strutture a traliccio. Le membrature dei tralicci possono essere verificate secondo la formula:

tr S

dfV ⋅=

rV

df

S

dove: = è la velocità di risonanza della membratura singola espresso in (m/sec) = diametro della membratura espressa (m) = frequenza naturale della singola membratura(Hz) = numero di Strouhal (0.18-0.2 per tubi in acciaio)

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La velocità critica V deve essere più alta del grafico riportato qui sotto, in funzione dell’altezza a cui è collocata la membratura, rispetto al suolo.

r

La frequenza del 1° modo può essere calcolata secondo la seguente formula:

AgIE

l ⋅⋅⋅

⋅⋅⋅

=γπ

λ2

2

2f

dove: λ = coefficiente che dipende dalla condizione di vincolo alle estremità = 3 se entrambe le estremità sono incernierate (connessione a paletta) 14.

93.

73.lE

= 3 se una estremità è incernierata e l’altra incastrata (connessione flangiata) = 4 se entrambe le estremità sono incastrate = lunghezza della membratura in (m) = Modulo di Elasticità in (t/m2) I = Inerzia della membratura in (m4) γ = peso per unità di volume della singola membratura in (t/m3) A = area della singola membratura in (m2) g = accelerazione di gravità (=9.8m/sec2) Nel caso si abbiano problemi di vortex shedding sulla singola membratura, i possibili rimedi sono i seguenti: a) aumentare la frequenza, cambiando le condizioni di vincolo alle estremità (parametro λ) b) diminuire la lunghezza della membratura aggiungendo un rompitratta c) aumentare le caratteristiche statiche della membratura (area ed inerzia)

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4.4 Carichi termici I carichi termici o comunque derivanti da azioni termiche, possono essere di due tipi: a) Carichi termici dovuti alla temperatura di esercizio dei risers; b) Carichi di natura termica, applicati a livello dell’inlet. 4.4.1 Carichi termici dovuti alla temperature di esercizio dei risers Sono dovuti essenzialmente alla elongazione o alla contrazione dei riser per effetto della temperatura di progetto o esercizio. Normalmente la temperatura di progetto, per la quale vengono dimensionati e verificati i risers, è più elevata di quella di esercizio ed ha un ruolo molto importante nella verifica dei risers stessi, perché da essa dipende lo snervamento del materiale e quindi, come già detto, la sua resistenza all’imbozzamento sotto l’effetto dei carichi esterni applicati (peso proprio e vento). Ciò è molto più significativo nel caso di torce strallate, dove le forze verticali di compressione, che risultano dalle proiezioni delle tensioni nelle funi, possono risultare particolarmente significative. Questa è la ragione per cui le torce strallate possono essere una valida soluzione fintantoché la loro altezza non è particolarmente rilevante e le temperature di funzionamento non sono particolarmente elevate. Se consideriamo il seguente sketch che mostra un sistema di tre funi soggetti all’azione del vento, si ha che la fune numero 1 è in tensione, mentre le funi 2 e 3 sono “rilasciate” o “in bando”.

3

2

1

Se v indica un movimento riferito alla fune numero 1, il movimento riferito alle funi 2 e 3 è approssimativamente v/2. La tensione all’interno delle funi vale:

11'

1 sinα⋅= TT

22'2 sinα⋅= TT

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'2

'3 TT =

Dove:

'1T'2T'

3T

2211 sin αα senTT ⋅−⋅

è la tensione nella fune 1, dovuta allo spostamento v

è la tensione nella fune 2, dovuta allo spostamento v/2

è la tensione nella fune 3, dovuta allo spostamento v/2 Con le assunzioni precedenti, per l’equilibrio è:

'2

'12

'1 60cos2 TTTTFexternal =−=⋅⋅−= (1)

Per procedure con l’analisi delle funi, possiamo seguire il seguente schema:

Dove l, d, h and ϑ are parametri noti e w è il peso totale della fune. Chiamiamo e T le tensioni orizzontali nelle funi rispettivamente in A e B. iAT iB

ϑsin⋅+= WTBA

La relazione generale diviene: T . La condizione teorica al montaggio è:

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or T ϑsin⋅+= WTT iBiA ϑsin⋅−= WTiAiB

La tensione media è:

( )2

sin2

sin ϑϑ⋅−= WTiA2

1⋅+=+⋅= WTTTT iBiBiAMi

Non appena la tensione media cambia, anche lo spostamento laterale cambierà, secondo l’equazione:

( ) ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−⋅

⋅+ 22

0

2 1124 MTT

dW

0

M

−⋅⋅

= 0sec

M TTAE

lv ϑ

Con A = sezione della fune E = modulo elastico dei elasticità T = tensione iniziale media T = tensione finale media l, d, v, ϑ = grandezze geometriche note In corrispondenza di uno spostamento orizzontale v, si ha per la fune numero 1:

⎟⎟⎟⎟⎟

⎟⎠⎞⋅+

221

2sin

1

MTW ϑ

⎜⎜⎜⎜⎜

⎜⎝⎛

⋅⋅

+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅−−⋅

⋅=

2

242sinsec

iB

iBM

T

dWWTTAE

lv ϑϑ (2)

dove2

sin1

ϑ⋅−= WTMT .

Per la fune numero 2 si ha:

⎟⎟⎟⎟⎟

⎟⎠⎞⋅+

221

2sin

1

MTW ϑ

⎜⎜⎜⎜⎜

⎜⎝⎛

⋅⋅

+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅−−⋅

⋅=−

2

242sinsec

2iB

iBM

T

dWWTTAE

lv ϑϑ (3)

dove 2

sin2

ϑ⋅−= WTM

iBTT ,sin,sin,, 2121

T .

Una relazione simile vale, con il solo cambiamento dell’indice, anche per la fune 3. A questo punto sono disponibili tre relazioni algebriche che possono essere risolte mediante successive approssimazioni. Una volta fissati A, E, W e v, I parametri sconosciuti sono: T αα Guardando attentamente questi termini, si possono individuare alter relazioni. La curva che descrive ciascuna fune è una catenaria che può essere rappresentata con buona approssimazione dall’equazione parabolica seguente:

( )

⎥⎥⎥⎥⎥⎥

−⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅⋅

ϑ

ϑ

sec2

cos 22

WBT

⎢⎢⎢⎢⎢⎢

⎡+

⋅=ϑ 4sin

da

Dallo sketch seguente si ha:

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2dXxA +=

2dXxB −=

ϑtgaX ⋅=

αtan

12)(=

+=

a

dX

aA)( =′ xAy

ϑ

ϑ

22

cos4

sec1

−⎟⎠⎞

⎜⎝⎛⋅+

WTB

1α 2sinα 1 2

1

ϑ

ϑϑα

sin

tantan22tan

+=

+⋅⋅⋅

=da

a

Usando l’ultima relazione, sin e possono essere definiti in termini di T e T . Un sistema pratico per risolvere il sistema algebrico precedentemente decritto, è quello di risolvere le equazioni 2 e 3, lasciando al progettista la possibilità di definire , e poi calcolare iBT α ed 2α . Di solito due o tre tentativi sono sufficienti a raggiungere una soluzione soddisfacente. La tensione dovuta alla espansione termica di una flare può essere calcolata come segue. L’elongazione della flare dovuta ad un aumento della temperatura provoca un aumento di tensione nelle funi. Dallo sketch seguente si può verificare che uno spostamento verticale produce un aumento di tensione equivalente ad un movimento laterale pari a . ϑtan⋅= VH vv

ϑcos⋅=′Δ Hvl ϑsin⋅=Δ Vvl

Se ll Δ=′Δ risulta: v ϑtan⋅= VH v

Si può così scrivere l’equazione:

⎟⎟⎟⎟⎟

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅−

− 2

1

2

2sin

1

ϑWT⎜⎜⎜⎜⎜

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅+

⋅⋅

+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅−−⋅

⋅=

2

1

2sin

1242

sinsec

ϑ

ϑϑ

WT

dWWTTAE

lv

iB

iB

con la quale si può definire una nuova tensione uguale alla tensione iniziale aumentata della tensione dovuta all’ espansione termica della flare. La somma delle due è la tensione da considerare nel calcolo delle funi soggette ai carichi esterni.

Anche temperature di funzionamento del riser molto basse possono essere un ostacolo alla realizzazione delle torce strallate, soprattutto quando sono associate a temperature massime molto elevate e questo per vari motivi tra i quali:

a) ad una temperatura di funzionamento negativa, corrisponde una contrazione della flare e ciò provoca un decremento della pretensione iniziale;

b) d’altra parte in presenza di alte temperature di esercizio, il valore della pretensione

iniziale non può essere molto elevato perché altrimenti le funi andrebbero in crisi sotto l’effetto combinato dei carichi applicati (vento) e termici (elongazione del riser). Perciò il valore della pretensione iniziale viene limitato, per evitare la crisi del sistema lato funi.

c) quando il riser durante il funzionamento, raggiunge basse temperature ed è soggetto

ai carichi orizzontali, il sistema funi si trova ad avere basse pretensioni iniziali date dalla somma algebrica delle tensioni iniziali e della “decompressione” dovuta alla contrazione del riser. Questa è solitamente la condizione in cui si ha la crisi lato riser, dovuta ad eccessivi spostamenti laterali scarsamente contrastati dalle funi.

Nel caso di flares guidate da tralicci strallati o da tralicci autoportanti, l’effetto dei carichi termici dovuti al funzionamento del risers non è così importante, dal momento che i risers sono guidati lateralmente ma lasciati liberi di espandersi o contrarsi. L’unico effetto che può individuarsi è l’eventuale frizione tra il riser e la guida, solitamente limitato a piccole zone di contatto. Nel caso di torce smontabili, i risers sono liberi di elongarsi o contrarsi, guidati da rulli. 4.4.2 Carichi di natura termica, applicati a livello dell’inlet I carichi di natura termica applicati agli inlets, derivano dalla “stress analysis” delle linee che arrivano alla torcia. E’ buona norma che le linee abbiano dei “loops” distribuiti sul pipe rack, in modo da minimizzare le azioni che esse trasmettono alla flangia dell’inlet, per effetto della elongazione termica. La funzione dei loops è quella di “dissipare” con la loro elasticità le forze che nascono per effetto della temperatura. Più grandi sono il diametro della linea, il suo spessore e la temperatura di progetto, maggiori sono le forze che esse sono in grado di trasmettere. Il riser che è guidato dalla torcia, difficilmente può essere utilizzato come punto fisso, perché ciò comporterebbe spessori considerevoli. Per questo motivo, quando si è in presenza di linee di grosso diametro e quindi rigidezza , una possibilità per evitare grossi carichi termici sulla flangia del riser è quella di

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posizionare sulla struttura un vicolo, che non consenta alla linea spostamenti longitudinali lungo il suo asse. In tal modo i carichi sull’inlet risulteranno limitati.

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4.5 Fenomeni di fatica Per le strutture soggette a carichi ciclici, come ad esempio l’azione del vento, può essere richiesta la verifica a fatica di alcuni dettagli costruttivi (si pensi ai bulloni dei giunti) considerando una distribuzione delle azioni coerente con la tipologia strutturale in esame e con il regime di impegno previsto nel corso della vita nominale. Il cosiddetto “Spettro di carico” definisce la distribuzione delle ampiezze delle azioni applicate, nel corso del tempo; esso definisce il numero di ripetizioni di ciascun livello di azione di progetto in un intervallo di tempo di riferimento. Nella verifica dei dettagli strutturali metallici, spesso è necessario considerare spettri di carico convenzionali differenziati, a secondo che si tratti di verifica a fatica a vita illimitata o di verifiche a danneggiamento. Gli spettri di tensione sono ricavati analizzando gli oscillogrammi di tensione ( )tσ indotti nel dettaglio considerato dalle azioni dello spettro di carico assegnato, con opportuni metodi di identificazione e di conteggio. Per le strutture civili di solito si usano il “Metodo del serbatoio” o il “Metodo del flusso”. Nella verifica a fatica si considerano: - i delta di tensione di calcolo di,σΔ ricavati moltiplicando i delta di tensione dello spettro

per il coefficiente parziale di sicurezza per le verifiche a fatica Mfγ ; - la curva caratteristica S-N di resistenza a fatica del dettaglio individuata mediante la

classe di resistenza cσΔ che rappresenta la resistenza a fatica del dettaglio, espressa in MPa per 6105 ⋅= cicli. N

Si rimanda a testi specifici per una trattazione più dettagliata. 4.6 Combinazione dei carichi A seconda che si esegua un calcolo alle tensioni ammissibili, agli Stati Limite di Esercizio (S.L.E.) o agli Stati Limite Ultimi (S.L.U.) i singoli carichi debbono combinati tra di loro utilizzando opportuni parametri che vengono definiti dalle diverse normative.

5.1 Normativa per la definizione dei carichi di progetto e per le verifiche strutturali Le normative più comuni nel campo delle torce sono senz’altro le normative Americane: ANSI/ASCE 7-05 e 7-10 per il calcolo del vento e del terremoto Uniform Building Code 97 per il calcolo del terremoto International Building Code per il calcolo del vento e del terremoto ASCE Recommendation: Wind loads on petrochemical facilities per il calcolo delle azioni sulle strutture AISC per il calcolo strutturale ASME per il calcolo a pressione Si utilizzano spesso anche le norme Inglesi: BS CP3 (ritirate) per il calcolo del vento BS 6399 Part 2 per il calcolo del vento BS 5950-1 per il calcolo strutturale O quelle legate al particolare paese dove si va ad operare: AS/NZS 1170.2 (Australia-New Zealand) per il calcolo del vento AS/NZS 1170.4 per il calcolo del terremoto AN4100 per il calcolo strutturale IS 875 Part 3 (India) per il calcolo del vento IS 1893 Part 4 per il calcolo del terremoto NV 65 (Francia) per il calcolo del vento CM66 per il calcolo strutturale RNV99 (Algeria) RPA99 SNIP (Ex Unione Sovietica) EUROCODE (Europa) Di solito le normative sono accompagnate da specifiche tecniche che le completano o ne permettono l’applicabilità. Un limite delle normative, soprattutto di quelle che definiscono i carichi, è che il più delle volte non sono state pensate appositamente per le torce e perciò presentano ampie zone non ben definite. Si pensi ad esempio al problema della schermatura tra elementi diversi (tipicamente tra riser e traliccio, tra riser e tubi di servizio, tra struttura ed elementi secondari ad essa collegati) oppure al problema dell’interferenza tra elementi diversi ma contigui.

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6.1 Modello di calcolo L’evoluzione dei modelli di calcolo è legata a varie necessità che si sono fatte sempre più esigenti nel tempo: - necessità di ridurre i pesi e quindi i costi, utilizzando modelli di calcolo tridimensionali; - codici sempre più stringenti, con la richiesta di verifiche che difficilmente possono

essere eseguite “a mano”; - possibilità di utilizzare il modello di calcolo 3D come input per la preparazione dei

disegni costruttivi; - necessità di ridurre le tempistiche; Esistono vari programmi di calcolo automatico (Autodesk Simulation 2011 ex Algor, Staad, Prosteel, ecc..) che consentono la modellazione strutturale in 3D ed eseguono le verifiche strutturali secondo determinate normative. Lo scrivente utilizza Autodesk Simulation 2011, denominato fino a qualche tempo fa ALGOR SuperSap e quindi quanto segue è riferito al suddetto pacchetto. A secondo di quello che si intende modellare, Autodesk Simulation consente l’utilizzo di varie tipologie di elementi. Per esempio se si vuole modellare una torcia autoportante o strallata, si può ricorrere ad elementi monodimensionali (essenzialmente elementi beam) con sei gradi di libertà per nodo. Ogni elemento è soggetto a tutte e sei le componenti degli sforzi interni; la struttura è normalmente considerata incastrata a terra. Nel caso di torcia derrick fissa o smontabile, il traliccio viene modellato con elementi “beam” e “truss”, come nel caso precedente. Le membrature principali, le colonne sono normalmente elementi “beam” incastrati; le aste di piano e i controventi di faccia sono elementi “beam” con l’introduzione di svincoli ai nodi in modo da avere sono azioni assiali agenti, che si traducono in tagli sui bulloni di collegamenti. Le aste rompitratta sono modellate con elementi “truss”, soggetti alla sola azione assiale. Il traliccio è supposto incernierato a terra. Gli inlets, le orecchie di sollevamento, i rinforzi sui risers, le guide dei risers, sono modellati con elementi “plate” a 4 nodi, con 5 gradi di libertà per nodo: tre traslazioni e due rotazioni (non è definita la rotazione al di fuori del piano dell’elemento).

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Torcia strallata: massimi spostamenti

Torcia strallata: massimi sforzi interni

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Torcia derrick strallata – Modello Torcia derrick strallata – Deformata

Torcia derrick strallata – Spostamenti Torcia derrick strallata – Sforzi

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Torcia derrick – Modello e carichi Torcia derrick– Deformata

Torcia derrick – Spostamenti Torcia derrick – Sforzi

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Inlet – Modello e carichi Gonna – Modello

Gonna – Spostamenti Gonna– Sforzi

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Orecchie di sollevamento riser smontabile - Modello

Orecchie di sollevamento - Sforzi

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L’utilizzo dei programmi di calcolo 3D consente lo sfruttamento della geometria tridimensionale con un risparmio di peso ed un reale comportamento della struttura, rispetto al calcolo della singola faccia piana. Il programma di calcolo 3D consente tra l’altro di esportare il modello verso programmi di disegno con notevole risparmio di tempo. Le verifiche strutturali sono compiute direttamente all’interno del programma di calcolo o, mediante l’esportazione in un foglio elettronico dei files delle geometrie e dei risultati, all’esterno del programma stesso. Di solito l’utilizzo del foglio elettronico consente le verifiche secondo qualunque normativa, previa impostazione delle formule di verifica.

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7.1 La disegnazione 3D Esistono vari programmi di disegno 3D. I vantaggi della disegnazione 3D sono molteplici: - reale situazione della struttura; - eliminazione di interferenze tra membrature; - controllo automatico delle dimensioni; - eliminazione di errori di disegnazione; - produzione di normalini, per ogni singolo pezzo, che non devono essere ridisegnati in officina, ma possono essere usati direttamente per la produzione; - produzione dei disegni delle marche assemblate; - produzione dei disegni di montaggio; - produzione delle liste materiali automatiche; - esportazione dei modelli verso programmi di modellazione dell’impianto (PDMS); - calcolo dei pesi e dei baricentri reali della struttura; - possibilità di modellare le parti di processo (risers, tubi di servizio, parti elettriche) fin nei minimi dettagli eliminando le possibilità di interferenze tra la parte strutturale e quella di processo; - possibilità di utilizzare il modello 3D in fase di montaggio, congiuntamente con i disegni di montaggio (facce e piani del traliccio con l’indicazione del numero di marca per ogni singolo pezzo); consente di individuare molto velocemente la posizione di una marca all’interno del modello, individuare il numero ed il diametro dei bulloni di collegamento.

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Modellazione 3D della struttura e del piping

Modellazione 3D della struttura e del piping

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Modellazione 3D della struttura e del piping

Modellazione 3D della struttura e del piping

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Modellazione 3D della struttura e del piping

Modellazione 3D della struttura e del piping

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8.1 Il montaggio Il montaggio in cantiere è con la costruzione in officina, una delle fasi più delicate all’interno della fornitura di una torcia. E’ uno dei punti di partenza della progettazione, insieme ai dati di progetto: velocità del vento, coefficienti relativi, codice da applicare ecc. La struttura deve essere pensata con un occhio rivolto alla sua costruzione al site. Purtroppo, poiché talvolta l’ordine per il montaggio viene separato da quello per la fornitura della struttura, accade che la progettazione avvenga limitando al massimo i costi di costruzione, senza tener in alcun modo conto dell’effettiva sequenza di montaggio. Invece l’attenzione a come la struttura verrà montata in campo, può sì richiedere piccoli accorgimenti in fase di progettazione/costruzione, che si rivelano però decisivi nella fase finale al site. Il montaggio può avvenire con diverse modalità:

a) con falcone o “flying jib”; b) in un'unica sezione, con più gru; c) a piccole sezioni con gru di media capacità; d) a moduli completi con gru di grandi capacità; e) con elicottero

8.1.1 Montaggio con falcone Il montaggio con falcone era largamente usato in passato, quando non vi era la possibilità di utilizzare le gru sia per mancanza di spazio (montaggio in zone impervie) o per la mancanza di gru adatte. Il falcone viene posizionato a terra per il sollevamento della prima sezione; quindi viene sollevato e fissato in sommità della sezione già sollevata. In questa nuova posizione il falcone viene utilizzato per sollevare la seconda sezione. Viene poi riposizionato sulla sommità della seconda sezione ed utilizzato per sollevare la terza e così fino al completamento della struttura. Data la sua piccola capacità di carico, la struttura deve essere sollevata in piccole parti; nel caso di un traliccio, vengono sollevate singole membrature. 8.1.2 Montaggio in unica sezione Il montaggio in un'unica sezione, possibile sia per torce autoportanti che per tralicci a riser fissi, è tipico di quando i tempi a disposizione sono molto ridotti (si pensi ai periodi di “shut down”, solitamente non più lunghi di 3- 4 settimane). In questo caso oltre ai carichi esterni, la condizione di ribaltamento e sollevamento della struttura può divenire governante. Il sollevamento in un'unica sezione prevede l’utilizzo di una gru di grande portata che agganci la struttura in sommità; due gru a torre che sollevano la struttura agganciandola in prossimità del baricentro. Una o più gru di ritenuta (“tailing cranes”) che sollevano la base della struttura durante il ribaltamento. L’utilizzo di importanti mezzi di sollevamento, può rendere il montaggio molto oneroso, ma talvolta è l’unica soluzione possibile.

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8.1.3 Montaggio a piccole sezioni Il montaggio a piccole sezioni con gru di media capacità è il più classico dei montaggi quando non vi siano particolari esigenze di tempo e di spazio. E’ quello che richiede la maggior quantità di lavoro in quota e per questo motivo è quello che potenzialmente presenta più rischi. 8.1.4 Montaggio a moduli completi Il montaggio a moduli di grandi dimensioni, completamente preassemblati, richiede l’utilizzo di gru di grande capacità, soprattutto quando le altezze coinvolte sono molto elevate. A fronte di un alto costo della gru, questo tipo di montaggio consente di limitare al minimo la durata del suo utilizzo, rendendolo così competitivo. Ia stesura di un appropriato piano di montaggio o “erection procedure” che individui:

a) l’effettiva durata dei sollevamenti e quindi il tempo di utilizzo delle gru; b) le posizioni delle gru e le configurazioni necessarie ai sollevamenti; c) la disposizione dei pezzi preassemblati a terra, in modo da evitare riposizionamenti

della gru; d) i pesi ed i baricentri delle sezioni da sollevare e) l’esatta sequenza delle operazioni

consente un grosso risparmio di denaro in termini di giorni/uomo, poiché razionalizza le operazioni evitando costose perdite di tempo. 8.1.5 Montaggio con elicottero L’elicottero è utilizzato soprattutto per il montaggio dei terminali quando non sia possibile utilizzare le gru. Il suo utilizzo è possibile anche per il montaggio di tralicci di piccole/medie dimensioni in relazione alla massima capacità di carico, che va da 1.5t per gli elicotteri più piccoli alle 14t circa di quelli militari. Il costo di questo tipo di montaggio è ovviamente legato all’utilizzo dell’elicottero e può essere molto oneroso.

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8.2 Montaggio delle varie tipologie di torcia 8.2.1 Montaggio torcia autoportante Poiché la torcia autoportante ha di solito un diametro significativo ed un’altezza non particolarmente importante, essa è di solito montata in uno, due o più tronconi (dipendenti dall’altezza totale) con scale, passerelle, tubi di servizio e “conduits” elettrici generalmente preassemblati. Il montaggio in cantiere si riduce al ribaltamento/sollevamento dei tronchi ed all’esecuzione delle flangiature o delle saldature in corrispondenza delle sezioni di unione. Possono essere previsti dispositivi temporanei o permanenti di centraggio dei singoli conci, in modo da facilitare il loro posizionamento corretto, mediante l’utilizzo della gru di sollevamento. 8.2.2 Torcia strallata Il montaggio della torcia strallata si differenzia da quella autoportante, per la presenza degli stralli collegati al riser. In questo caso, la sequenza di montaggio avviene ribaltando e sollevando le sezioni di torcia, completamente preassemblate a terra, comprese tra i vari ordini di stralli, in modo da avere sempre una struttura sufficientemente vincolata durante le fasi intermedie di montaggio. La tesatura degli stralli fino al valore di pretensione definito dal progettista ed il controllo della verticalità della struttura in ogni fase, costituiscono un’altra peculiarità della torcia strallata. 8.2.3 Torcia a derrick strallato La torcia a derrick strallato, di solito coinvolge un derrick di limitate dimensioni in pianta (3-4 m circa di lato). Il traliccio può allora essere preassemblato in tronchi da 12 o 24m, in officina o al site, dipendentemente dalle possibilità di trasporto. Può anche essere spedito sciolto in cantiere ed ivi preassemblato in sezioni da 12-24m di lunghezza, in relazione alla gru di sollevamento a disposizione. In questo caso, il traliccio viene ribaltato e sollevato nelle sezioni comprese tra gli ordini di stralli. Come nel caso della torcia strallata, gli stralli devono essere tesati e la verticalità della struttura deve essere controllata dopo ogni tesatura. Nel caso di riser esterno al traliccio, esso può essere posizionato sia contestualmente al traliccio, sia a traliccio montato. Nel caso di riser interno al traliccio, esso deve essere sollevato e posizionato all’interno, man mano che il traliccio viene sollevato ed ancorato a terra. Non sarebbe agevole sollevare il riser e posizionarlo nel mezzo del traliccio, dopo che questo è stato interamente sollevato.

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8.2.4 Torcia a derrick fisso La torcia a derrick fisso può essere generalmente montata in sezioni completamente assemblate e i risers possono essere sollevati contestualmente alle sezioni del derrick, se interni, o dopo il sollevamento della struttura se esterni. Generalmente la soluzione a risers esterni è da preferirsi perché è la più semplice in fase di montaggio ed anche di manutenzione. Infatti in fase di montaggio il fatto di avere i riser esterni, consente una loro prefabbricazione maggiore (sezioni di lunghezza superiore) e quindi un risparmio di tempo-gru. La soluzione con riser interni comporta il montaggio in sezioni di circa 12m, al fine di limitare la portata della gru (che deve infilare il pezzo dall’alto, scavalcando la struttura) e facilitare l’inserimento della singola sezione all’interno delle guide. La soluzione con risers esterni è la più comoda anche per la manutenzione; qualora sia necessario sostituire un riser, esso può essere sflangiato o tagliato ed abbassato a terra facilmente. Nel caso di riser interno, l’operazione di sostituzione è notevolmente più complicata perché le singole sezioni devono essere sfilate dall’alto. La soluzione a riser esterni è migliore anche per ragioni di sicurezza; le giunzioni tra i risers (saldate o flangiate che siano) avvengono da una passerella di servizio dalle dimensioni/pesi molto ridotti, ma che consentono agli operatori di lavorare in tutta tranquillità e sicurezza. La soluzione a riser interni implica la realizzazione di piani di lavoro provvisori, con maggiori rischi per i lavoratori e maggiori costi.

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8.2.5 Torcia smontabile La torcia smontabile è di gran lunga la più complessa dal punto di vista del montaggio ma è quella che consente la manutenzione delle varie fiaccole separatamente l’una dalle altre. Il traliccio, di solito di dimensioni importanti, viene preassemblato in sezioni a terra, completo di scale, passerelle, “radiation shields” e binari verticali di guida dei risers. Una gru di grande capacità solleva le sezioni del derrick fino al completamento della struttura. A questo punto di procede con il montaggio dei risers, che può essere differente a secondo che le flares siano assistite a vapore o ad aria, con doppio tubo concentrico, uno per il gas (interno) ed uno per l’aria (esterno). Tutti i “lifting equipment” (carrucole e rulli per la deviazione delle funi) necessari al ribaltamento/sollevamento dei risers, sono fissati alla struttura e sollevati con il traliccio. Le funi per il ribaltamento ed il sollevamento, vengono posizionate sulle carrucole in elevazione ed a terra e collegate con le taglie di sollevamento; prima di procedere al ribaltamento/sollevamento viene eseguito il test degli argani e di tutto il sistema argani-carrucole-funi. La sequenza di montaggio dei risers è la seguente:

a) la prima sezione del riser ad essere ribaltata e sollevata è quella in sommità con il TIP. La sezione viene posta in posizione orizzontale, completamente assemblata, su apposite selle di montaggio, e la base inferiore viene bullonata alla base ribaltante.

Il terminale viene flangiato al riser; vengono eseguiti i collegamenti delle linee di servizio ed elettriche. Se le dimensioni del TIP sono molto importanti o lo è il suo peso proprio, il terminale può essere collegato quando la prima sezione è già in posizione verticale, al fine di non aggravare la capacità di tiro richiesta all’argano di ribaltamento.

Talvolta, pur connettendo il terminale al risers in posizione orizzontale, la prima sezione viene ribaltata utilizzando anche una piccola gru che “aiuta” l’argano nelle prime fasi di tiro, inclinando la sezione fino ad un angolo di 30° rispetto all’orizzontale.

b) Non appena la prima sezione è in posizione verticale, i bracci di guida connessi alla sezione, vengono inseriti nei binari verticali posizionati lungo il traliccio. Se si tratta di un traliccio a faccia piana, le guide saranno del tipo ad H. Se invece il traliccio è con i risers interni, le guide sono tubolari. In entrambi i casi esse corrono dalla base del traliccio fino alla sua sommità. Il loro compito è quello di guidare i risers durante le fasi di sollevamento/smontaggio e costituiscono il vincolo laterale durante la condizione di ”operating”.

c) Con la sezione fissata alla base ribaltante e guidata lungo la sua altezza, vengono connessi alle apposite orecchie le due taglie di sollevamento od “hoisting block” e le funi vengono messe in tensione.

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d) Si rimuove mediante l’apposita piattaforma, la fune di sollevamento o la carrucola se si ribalta in seconda, si sbullona la sezione dalla base ribaltante e si inizia a sollevare con gli argani di sollevamento. Questa è la fase più delicata del montaggio poiché occorre che i due argani siano effettivamente sincronizzati tra di loro, al fine di evitare pericolose differenze nel tiro delle funi, con conseguente danneggiamento del traliccio, delle carrucole e dei bracci di guida.

e) Con una velocità di circa 10m/min, gli argani di sollevamento sollevano la prima

sezione fino ad un’altezza di circa 23-24m, tanto basta per ribaltare la seconda sezione del riser fino a portarla in posizione verticale.

f) Una nuova sezione del riser viene posizionata sulle selle di montaggio, collegata

alla base ribaltante e quindi ribaltata in posizione verticale. I bracci di guida vengono posizionati al fine di garantire un vincolo laterale alla sezione.

g) La sezione precedentemente sollevata viene calata finché viene a contatto con

quella inferiore. Prima che ciò avvenga vengono inserite le guarnizioni sia sul riser che sui tubi del vapore se presenti. Quindi gli operatori che lavorano in completa sicurezza sull’apposita piattaforma posizionano i tiranti delle flange e procedono alla loro tesatura.

h) A questo punto le due taglie di sollevamento vengono scollegate e calate fino alla

piattaforma dove verranno connessi alla sezione del riser sottostante, per procedere al sollevamento della colonna ottenuta mediante la giunzione delle singole sezioni.

i) Ripetendo le operazioni ai punti e) -f) -g) ed h), si procede al sollevamento di tutte

le sezioni del riser.

j) Qualora si debba procedere al sollevamento di un'altra flare, occorre riposizionare le funi di sollevamento/ribaltamento su altre carrucole e quindi ripercorrere tutte le fasi da a) ad i).

I collegamenti elettrici, specialmente quelli relativi alle termocoppie, possono essere realizzati in modi diversi a secondo della soluzione che si adotta: - La prima soluzione può essere quella di posizionare i cavi all’interno di “conduit” che terminano nelle “junction boxes” poste alla base di ogni singola sezione. In questo modo si hanno tante giunzioni quante sono le JB; solitamente una per sezione. Le JB ed i “conduit” vengono raccordati mediante tubi flessibili che permettono l’elongazione dei cavi elettrici in seguito all’elongazione dei risers. - La seconda soluzione è quella di posizionare i cavi all’interno di canaline mediante appositi ganci che possono essere fissati man mano che il riser viene sollevato. In questo modo le giunzioni sono solo due: una alla sommità del traliccio ed una alla sua base, riducendo di molto la possibilità di malfunzionamento. Durante le fasi di sollevamento od

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Da ultimo si procede al montaggio delle luci aeree, di solito anch’esse smontabili, e che possono essere, come già visto, di due tipi: - a fune - a binario Il primo sistema, a fune, è costituito da:

a) argano manuale/elettrico, a terra; b) una fune che partendo dall’argano a mano, scorre su una coppia di carrucole posta

in sommità del traliccio ed è ancorata a terra nell’altra estremità; c) telai metallici fissati alla fune; d) luci aeree fissate a ciascun telaio; e) cavo elettrico collegato alla fune in acciaio;

In caso di necessità, l’argano a terra svolge il cavo metallico abbassando di fatto la parte a cui sono fissati i telai e le luci aeree, permettendone la manutenzione. Il secondo sistema, a binario, è costituito da:

a) binario tubolare cavo, di solito rettangolare, fissato alla struttura su cui scorre la luce. Il binario parte da terra ed arriva fino alla sommità del traliccio;

b) argano manuale/elettrico carrellato; c) cavo in acciaio con la funzione di traino, posizionato all’interno del binario e

collegato all’argano da un lato ed ad un blocco antitorsione interno al binario, dall’altro.

d) cavo elettrico collegato a quello metallico di traino e) carrello metallico scorrevole sul binario a cui è fissata la singola luce; il carrello è

opportunamente zavorrato per permettere la discesa della luce in caso di necessità; f) sistema automatico di blocco/sblocco posto in cima al binario.

Con questo sistema ogni luce necessita di un proprio set composto dai punti da a) ad f) ad eccezione dell’argano che può essere spostato da un binario all’altro. In caso di necessità l’abbassamento delle luci avviene come segue: - Il cavo elettrico della luce, viene sconnesso; - l’argano viene collegato alla base del binario; la fune sul tamburo viene connessa a quella di traino all’interno del binario; - il cavo metallico viene dapprima avvolto per favorire lo sgancio del sistema automatico di blocco/sblocco della luce; - il cavo di traino viene svolto dal tamburo dell’argano; - per effetto del contrappeso sul carrello, la luce si abbassa scorrendo lungo il binario. - non appena la luce è a terra si provvede alla manutenzione e quindi ripercorrendo a ritroso le fasi precedenti, si riposiziona la luce in sommità.

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Il sistema a binario sebbene sia più costoso del sistema a fune, garantisce una migliore manutenzione e stabilità delle luci anche in condizioni di vento molto gravose. A montaggio terminato, le carrucole a terra per il sollevamento dei risers e gli argani, devono essere rimossi e stoccati in apposito magazzino, per prevenirne il danneggiamento., soprattutto quando situati in ambienti particolarmente severi (si pensi agli impianti posti in zone sabbiose). Le carrucole poste sul traliccio, sia sulle travi di ribaltamento e di sollevamento, possono essere lasciate in loco, purché si utilizzino carrucole con cuscinetti autolubrificanti sigillati, che non necessitano ulteriore manodopera. 8.3 Il piano di montaggio Il piano di montaggio o “erection procedure” è in sintesi un documento dove viene affrontata tutta la fase di montaggio, nei suoi vari aspetti: - sicurezza - organizzazione del cantiere - studio delle fasi di sollevamento - sequenza di montaggio dei risers - verifica della struttura nelle fasi di ribaltamento sollevamento Di seguito alcuni allegati tipici di un piano di montaggio.