Il sistema delle Case Famiglia per anziani: L'esperienza...

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Università degli Studi di Parma Dipartimento di Giurisprudenza Corso di Laurea Magistrale in Programmazione e Gestione dei Servizi Sociali Curriculum Organizzazione e Gestione dei Servizi Sociali Tesi di Laurea in Diritto Commerciale dei Servizi Sociali Il sistema delle Case Famiglia per anziani: L'esperienza nel Comune di Parma Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Silvia Magelli Laureanda: Simona Barardi ___________________________________________________________________________ Anno Accademico 2012-2013

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Università degli Studi di Parma

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Programmazione

e Gestione dei Servizi Sociali

Curriculum Organizzazione e Gestione dei Servizi

Sociali

Tesi di Laurea in

Diritto Commerciale dei Servizi Sociali

Il sistema delle

Case Famiglia per anziani:

L'esperienza nel Comune di Parma

Relatore:

Chiar.ma Prof.ssa

Silvia Magelli

Laureanda:

Simona Barardi

___________________________________________________________________________

Anno Accademico 2012-2013

I

INDICE

CAPITOLO PRIMO

ASSISTENZA AGLI ANZIANI: NUOVI BISOGNI E NUOVE

RISPOSTE. VERSO UN MODELLO DI WELFARE MIX

1.1 La crisi del welfare state e la necessità di nuove riforme nelle politiche

socio assistenziali ...................................................................................................... 1

1.1.1. Gli attori del welfare: ridefinizione di ruoli e funzioni .............................. 3

1.2 Le nuove tendenze in atto nell'utilizzo dei servizi tra reti informali e

mercato privato ......................................................................................................... 7

1.2.1. Risorse della famiglia e importanza della rete integrata di servizi .......... 9

1.3 Le Case Famiglia per anziani: una risposta solidale nel nuovo mercato

liberale .................................................................................................................... 14

1.3.1 Principi ispiratori e diritti dell'anziano .................................................... 15

1.3.2 Il boom delle Case Famiglia per anziani. Quali i motivi di questo

successo? ........................................................................................................... 17

CAPITOLO SECONDO

L'ATTUALE SISTEMA DELLE CASE FAMIGLIA PER ANZIANI TRA

SVILUPPO E CARENZE NORMATIVE

2.1 Cenni sulla normativa nazionale ....................................................................... 20

2.2 Scelta della natura giuridica .............................................................................. 25

2.2.1 Case Famiglia con natura giuridica di cooperativa sociale .................... 26

2.2.2 Case Famiglia con natura giuridica di impresa individuale .................... 30

2.2.3 Case Famiglia con natura giuridica di associazione ............................... 31

II

2.3 Avvio dell'attività: procedimento amministrativo e documentazione .............. 33

CAPITOLO TERZO

L'ESPERIENZA ALL'AVANGUARDIA DEL COMUNE DI PARMA:

NODI DA SCIOGLERE E PROSPETTIVE FUTURE

3.1 L'Emilia Romagna: tendenze in atto ................................................................. 37

3.1.1 Normativa regionale sulle Case Famiglia ................................................ 39

3.1.2 Intervista al Commissario UNEBA ........................................................... 41

3.2 L'esperienza innovativa del Comune di Parma ................................................. 45

3.2.1 Elementi amministrativi ed organizzativi previsti dalle Linee Guida ....... 47

3.2.2 Case Famiglia: un business o una risorsa per il territorio? ................... 52

3.3 Brevi dati quantitativi sugli anziani in Casa Famiglia ...................................... 54

3.4 Interviste ai gestori: principali aspetti rilevati ................................................... 57

Conclusioni ............................................................................................................ 66

Appendice ............................................................................................................... 71

Bibliografia............................................................................................................. 94

Sitografia ................................................................................................................ 96

1

CAPITOLO PRIMO

ASSISTENZA AGLI ANZIANI: NUOVI BISOGNI E NUOVE RISPOSTE.

VERSO UN MODELLO DI WELFARE MIX

1.1 La crisi del welfare state e la necessità di nuove riforme nelle politiche

socio assistenziali

Dopo decenni di successo1 le politiche sociali si sono trovate, negli ultimi anni,

ad affrontare una serie di problemi di ordine sia economico che politico, con i quali

i modelli esistenti devono fare i conti. L'analisi di questi problemi risulta molto

complessa, poiché molteplici ed eterogenei sono i fattori che incidono sulla

struttura delle politiche sociali: riguardano trasformazioni delle basi sociali, delle

basi economiche e di quelle politiche. Nonostante la natura complessa e dinamica

di questi problemi, possiamo identificare la modificazione della struttura socio-

demografica della popolazione come il fenomeno che più ha prodotto dei

sostanziali cambiamenti nel sistema di welfare.

"Negli anni d'oro del welfare state, la popolazione dei paesi occidentali era in

media relativamente giovane e fertile, di conseguenza veniva garantito un

equilibrio tra le generazioni e una capacità degli individui e delle famiglie di

rispondere in modo relativamente o completamente autonomo ad una serie di

problemi, come la cura dei malati e l'accudimento dei minori"2.

Oggi, l'aumento della popolazione anziana, la diminuzione dei tassi di natalità e

l'allungamento della speranza di vita incidono enormemente sulla struttura socio-

demografica, producendo un disequilibrio nei rapporti intergenerazionali e un

innalzamento del tasso di dipendenza, cioè del rapporto tra popolazione bisognosa

1 In Italia, la fase di espansione delle politiche sociali coincide con la fine della Seconda Guerra

Mondiale (periodo durante il quale si assiste al primo potenziamento delle misure di protezione

sociale) e prosegue per tutti gli anni Sessanta. 2 C. Borzaga, L. Fazzi, Manuale di politica sociale, Franco Angeli, Milano 2005, p.148.

2

di assistenza e popolazione totale3. Questi stessi fattori nel corso degli anni hanno

generato due effetti di ordine economico e sociale:

un aumento della spesa sociale (dovuto ad una crescita delle uscite per

pensioni, sanità e assistenza);

un indebolimento delle funzioni di cura e di assistenza delle famiglie

che, nel momento in cui riducono il numero dei componenti, diventano

più instabili.

Venendo meno i servizi di cura e assistenza assicurati dalle famiglie, i costi a

carico del sistema istituzionale sono aumentati vertiginosamente, inoltre lo

squilibrio crescente tra domanda e offerta di servizi di welfare ha pesato

notevolmente sullo Stato che si era affermato, fino al quel momento, come

erogatore principale di servizi, ma che, dagli anni Settanta in poi, si è dovuto

confrontare con il problema del rallentamento della crescita economica non

riuscendo più a rispondere ai bisogni crescenti4.

Successivamente alla crisi economica di quegli anni, che ha palesato

l'insostenibilità delle politiche di welfare fino ad allora adottate, i principali

problemi con i quali si sono dovuti confrontare i sistemi di welfare,

condizionandone l'evoluzione, sono legati all'esigenza di:

riportare sotto controllo la crescita della spesa pubblica5;

aumentare l'efficienza e l'efficacia dei servizi;

ridefinire il ruolo e le funzioni dei singoli attori impegnati nella

produzione dei servizi di welfare;

ridimensionare il ruolo dello Stato come erogatore diretto di

prestazioni e decentrare le responsabilità in materia di welfare.

3 Cfr. C. Borzaga, L. Fazzi, Manuale di politica sociale, cit., p. 149.

4 Ivi, p.154. 5 Nei paesi della Comunità Europea si conferma un rallentamento dei trend di spesa a partire dal

1993. Fonte: European Commission, 2002.

3

Le politiche socio assistenziali in Italia, vengono così travolte da una serie di

riforme che introducono importanti strategie quali la restrizione dei target dei

beneficiari dei servizi attraverso l'introduzione di sistemi di accesso alle prestazioni

sulla base di criteri più selettivi, lo spostamento di parte dei costi a carico dei

beneficiari dei servizi attraverso l'introduzione del principio della

compartecipazione alla spesa, la definizione di programmi di controllo in merito

alla qualità, ai costi e alla performance6.

Si è resa necessaria una ristrutturazione dei sistemi tradizionali di politica

sociale e l'adozione di strategie e di programmi di intervento finalizzati ad un loro

ammodernamento.

1.1.1. Gli attori del welfare: ridefinizione di ruoli e funzioni

Un importante filone di riforme, avviato a partire dagli anni Novanta, ha

riguardato lo sviluppo di un'economia mista dei servizi volta a favorire nuove unità

di offerta, diverse da quelle tradizionali di Stato e famiglia. Nel settore della

protezione sociale diventa importante coinvolgere l'iniziativa privata, sia non profit

che for profit che "non sostituisce o elimina l'intervento pubblico, ma lo affianca"7.

Tale nuova configurazione valorizza i nessi tra i diversi attori sociali: il ruolo

dello Stato, ad esempio, da fornitore delle prestazioni, diviene progressivamente

quello di regolatore e di facilitatore dell'azione di altri soggetti, senza intaccare le

sue principali responsabilità nei confronti delle funzioni di programmazione e

controllo, di fondamentale importanza per i cittadini8.

Si avvia dunque, una fase di affermazione del carattere plurimo del welfare,

con lo sviluppo e l'introduzione di un sistema misto di offerta pubblico-privato. Da

questo momento in poi, concetti come pluralismo, privatizzazione,

decentralizzazione, e welfare mix tendono ad essere utilizzati con sempre maggiore

frequenza all'interno dei dibattiti sulla riforma dei servizi sociali, soprattutto dopo

l'entrata in vigore della Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di

6 Cfr. C. Borzaga, L. Fazzi, Manuale di politica sociale, cit., pp.187-188.

7 Ivi, p.192. 8 Cfr. Breda M.G., Micucci D., Santanera F., La riforma dell'assistenza sociale e dei servizi

sociali, analisi della Legge 328/2000 e proposte attuative, UTET Libreria, Torino 2001, p.93.

4

interventi e servizi sociali n. 328 del 20009 che sancisce la piena legittimazione

normativa dell'economia mista di offerta di servizi socio assistenziali assegnando

un ruolo molto ampio al terzo settore.

La legge prevede, infatti, non solo che il terzo settore partecipi "alla gestione ed

all'offerta dei servizi in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella

realizzazione concertata degli interventi" (art.1, 5° comma), ma che gli Enti locali,

le Regioni e lo Stato sono tenuti a promuovere "azioni per il sostegno e la

qualificazione dei soggetto operanti nel terzo settore" (art.5, 1° comma).

Secondo Vincenzo Tondi della Mura10

, ai fini della costruzione di un sistema di

protezione attivo, la legge 328/2000 dovrebbe "consentire una più ampia

partecipazione alle scelte da parte dei cittadini e delle loro organizzazioni"11

.

Tale affermazione rimanda alla necessità di istituzionalizzare un nuovo sistema

di politica sociale, dove i diversi attori sono chiamati a svolgere un ruolo attivo

nella realizzazione delle politiche sociali.

Famiglia, terzo settore, Stato e mercato sono dunque ricollocati al centro del

dibattito sul welfare, e rivalorizzati allo scopo di rifondare su basi diverse una

solidarietà di cittadinanza cioè una solidarietà intesa come sinergia che coordini le

forze esistenti nella società e nel sistema pubblico.

La crisi del modello di welfare state non è solo frutto di una serie di "fallimenti"

da parte dello Stato o del mercato, ma è anche il risultato di un profondo

cambiamento della società civile che sceglie di non delegare le risposte ai propri

bisogni allo Stato o al mercato, ma di responsabilizzarsi in prima persona. Ciò non

significa che le responsabilità dello Stato o del mercato cessano, ma che si devono

modificare rispetto al passato, riorganizzandosi in una logica di sussidiarietà anche

rispetto all'emersione di istanze sociali e nuovi soggetti politici.

Basti pensare all'elevata visibilità sociale che il terzo settore ha ormai acquistato

soprattutto nell'ambito dei servizi alla persona e all'utilizzo che ne fanno Stato e

mercato, per "concorrere a risolvere la crisi del welfare state nella supposizione che

9 In Appendice A/1, p. 70.

10 Professore associato di Diritto Costituzionale, Facoltà di Giurisprudenza, Università del

Salento. 11 V. Tondi della Mura, Le prospettive di sviluppo del terzo settore avviate dalle riforme della

XIII legislatura, in Non profit, 2001, fasc. 1, p.8.

5

l'uso del terzo settore significhi un risparmio di spese sociali"12

vista la complessità

dell' universo che sta dietro l'etichetta di terzo settore e la dimensione problematica

delle organizzazioni che a esso appartengono.

Queste ultime, infatti, hanno da subito rappresentato una risorsa

complementare, supplementare e talvolta eventuale rispetto alla funzione ricoperta

dall’ente pubblico, intervenendo laddove quest’ultimo non era in grado o non

ritenesse di dover intervenire13

.

Il termine terzo settore viene spesso utilizzato per indicare "l'insieme dei

soggetti organizzativi di natura privata volti alla produzione e allocazione di beni e

servizi a valenza pubblica o collettiva"14

. In realtà, esiste una grossa difficoltà ad

individuare con precisione una definizione di terzo settore, a causa della varietà di

istituzioni che lo compongono e alle molteplici sfaccettature e caratteristiche dei

soggetti organizzati operanti in esso. Esiste infatti una diversità terminologica

adottata per definirlo: terzo settore, privato sociale, terzo sistema, terza

dimensione15

.

Nel nostro Paese, lo sviluppo del terzo settore avviene parallelamente ad una

serie di fenomeni realizzatesi negli ultimi anni:

le trasformazioni della domanda di servizi sempre più diversificati

e personalizzati;

la crisi dello Stato sociale;

la nascita di nuove soggettività sociali promotrici a livello locale di

azioni per il benessere dei cittadini (ad esempio le cooperative sociali).

Una miscela di fattori che hanno condotto a parlare di crisi del modello

istituzionale di welfare e a far largo all'idea di una diversa concezione della

composizione dei soggetti che concorrono alla elaborazione e gestione delle attività

per il benessere dei cittadini. Un processo che ha dato vita all'azione di numerosi

soggetti sociali autonomi e auto-organizzati che, a livello della comunità locale, si

12 P. Donati, Introduzione, in P. Donati (a cura di), Sociologia del terzo settore, Nuova Italia

Scientifica, Roma 1996, p. 20. 13 Unicredit Foundation, “Ricerca sul valore economico del Terzo settore in Italia”, 2012 14 I. Colozzi, Da terzo settore a imprese sociali, Carocci Faber, Roma 2003, p.42. 15 Ivi, p.54.

6

sono preoccupati di dare risposte innovative ai bisogni di cura di cittadini

svantaggiati.

Negli anni Novanta, il forte processo di terziarizzazione del sistema economico

sociale ha comportato un aumento e una trasformazione qualitativa della domanda

di servizi, in particolare è cresciuta la domanda di servizi sempre più diversificati e

personalizzati, dando un enorme impulso al diffondersi della cooperazione sociale

promuovendo una concezione maggiormente partecipativa e democratica

dell'organizzazione dei servizi e immettendo fattori innovativi nel sistema di

welfare e nel terzo settore.

L'idea di fondo che ispira tali realtà è costruire la modalità operativa con la

quale si realizza l'aiuto, su uno stile d'azione di tipo comunitario, improntato alla

piena condivisione delle situazioni di vita delle persone che si trovano in situazioni

di disagio o di bisogno (in conformità ai principi della gestione cooperativa).

Sulla scorta di tali esperienze è emerso un movimento di pressione politica

volto a far riconoscere a livello legislativo i tratti specifici di questa forma di

azione civica e di partecipazione all'emergente welfare mix, che porterà alla

definitiva istituzionalizzazione del fenomeno con l' introduzione di una legge16

che

definisce le cooperative sociali delle vere e proprie imprese poiché, danno un

indirizzo imprenditoriale alla loro azione solidaristica collocandosi, tra le varie

tipologie di organizzazioni di terzo settore, tra quelle più protese verso il mercato17

.

Oggi la cooperazione sociale è divenuta il principale interlocutore delle

pubbliche amministrazioni per l'esternalizzazione dei servizi di cura, considerando

che i settori di intervento della cooperazione sociale riguardano soprattutto

l'assistenza sociale.

A queste forme di assistenza fornite da gruppi organizzati (cooperative sociali e

altre organizzazioni di terzo settore) radicati nel territorio, vanno aggiunte quelle

fornite dalle reti informali di supporto (familiari, amici, vicini di casa) e dai privati

a fini di lucro, quest'ultimi affermatesi nel momento in cui si è generata la

consapevolezza della impossibilità di espandere ulteriormente la spesa pubblica,

ma che la legge ancora oggi non disciplina in maniera chiara e uniforme.

16 Legge 8 novembre 1991, n.381 "Disciplina delle cooperative sociali". 17 Cfr. I. Colozzi, Da terzo settore a imprese sociali, cit., pp.138-145.

7

In una società che si evolve verso un welfare mix, al fine di migliorare l'offerta

di servizi di assistenza, alcuni soggetti di terzo settore, come vedremo nei prossimi

paragrafi, iniziano a collocarsi all’interno del mercato, entrando in competizione

con il settore profit e incrementando la propria cultura manageriale e la qualità dei

servizi offerti forse con il "rischio di farsi contaminare dalle leggi del mercato

estinguendo l'originale matrice solidaristica"18

.

Il welfare mix nasce, dunque, dall’intuizione secondo cui, separando le funzioni

di finanziamento da quelle di gestione dei servizi, è possibile introdurre elementi di

mercato e quindi di competizione. Si è perciò incentivato l’ingresso di fornitori

privati nel campo assistenziale, ricorrendo all’allentamento dei vincoli che

impediscono l’accesso alle imprese private lucrative il cui contributo alla

realizzazione delle politiche di welfare ha assunto in via crescente e prevalente un

valore di tipo economico (Ascoli e Ranci, 2003).

1.2 Le nuove tendenze in atto nell'utilizzo dei servizi tra reti informali e

mercato privato

Oggi, nonostante la crescita istituzionale di welfare e i profondi cambiamenti

strutturali e culturali intercorsi (rivoluzione sessuale, riforma del diritto di famiglia,

ridefinizione dei ruoli all’interno delle mura domestiche e nel mercato del lavoro),

la gran parte delle risposte ai bisogni di vita quotidiana dei soggetti deboli viene

dalle reti parentali, informali che hanno comunque, da sempre, costituito la

principale forma e fonte di supporto per i soggetti più deboli.

Queste reti però, sono fragili e oggi rischiano di diventarlo ancora di più per una

serie di cambiamenti importanti in atto: invecchiamento della popolazione,

maggior lavoro femminile, maggior fragilità delle famiglie.

Il nuovo sistema di protezione sociale mira ad un maggiore riconoscimento e

sostegno dell'aiuto prestato dalle famiglie, ma la situazione attuale pone un

complesso problema: di fronte all'aumento delle situazioni di non autosufficienza,

si deve aumentare la quantità di servizi da mettere a disposizione per sostenete il

lavoro di cura delle famiglie, ma come farlo senza aumentare la spesa sociale?

18 P. Donati, Sociologia del terzo settore, cit., p.84.

8

Il processo di invecchiamento della popolazione ha determinato notevoli

ripercussioni sulla domanda di servizi sociali e sanitari tali da destare l'interesse

non solo delle amministrazioni pubbliche, soprattutto quelle locali, ma anche di

molti studiosi (medici, sociologi, psicologi) che hanno posto la figura dell'anziano

al centro di un dibattito che copre diversi aspetti: dal rapporto tra bisogni e servizi,

al ruolo attribuito alla famiglia nel far fronte alle necessità.

"Di fronte all'aumento numerico, assoluto e relativo, della popolazione anziana

e di fronte alla crescita di bisogni che comporta, si tende a prevedere la semplice

moltiplicazione di quello che esiste (più ospedali, più case di riposo), generando

spesso una visione apocalittica del futuro per il peso economico dell'assistenza agli

anziani. Altre volte, invece, il rimedio a ciò diviene la negazione della reale

dimensione del problema, ipotizzando una diminuzione di domanda assistenziale

che non si è capito bene da che dovrebbe dipendere"19

.

Tale citazione rappresenta perfettamente la complessità di un fenomeno che

spinge i vari soggetti del sistema (servizi sanitari, sociali, reti di supporto non

formali) a riflettere sui processi di trasformazione in atto e sulle dinamiche

dirompenti che tali cambiamenti producono sul sistema dei servizi sociali e

sanitari, tenendo conto di un dato non trascurabile: gli ultrasessantacinquenni

consumano più del cinquanta per cento delle risorse sociali e sanitarie erogate20

.

Gli stessi soggetti sono, inoltre, chiamati a misurarsi nella costruzione di un

modello di intervento basato su una forte integrazione reciproca e su una visione

dell'anziano, non solo come portatore di bisogno, ma anche come risorsa sociale.

"La consapevolezza di trovarsi di fronte ad uno scenario in continuo e rapido

mutamento obbliga gli operatori e le istituzioni ad interrogarsi sull'evoluzione dei

bisogni della popolazione anziana e delle famiglie con anziani"21

.

19 A. Guaita, Prefazione, in S. Casazza et al, Anziani. Tra bisogni in evoluzione e risposte

innovative, Franco Angeli, Milano 2002, p. 13. 20 G. Bertin (a cura di), Invecchiamento e politiche per la non autosufficienza, Erickson, Firenze

2009, p.8 21 Ivi, p. 191.

9

Una necessità, questa, particolarmente forte in un contesto come quello italiano,

dove c'é stato uno sviluppo demografico unico22

: nell'arco di un ventennio l'Italia si

è trasformata in uno dei Paesi europei con una maggiore percentuale di anziani23

.

1.2.1. Risorse della famiglia e importanza della rete integrata di servizi

L'analisi dei bisogni sociali emergenti non può prescindere dal porre l'attenzione

sulle trasformazioni della struttura familiare in un sistema di welfare storicamente

caratterizzato da una forte centralità assegnata alle reti di solidarietà familiare (il

cosiddetto familismo italiano).

La famiglia, quale rete di protezione primaria dei singoli cittadini, da sempre

considerata il principale ammortizzatore sociale, svolgeva un ruolo centrale nella

cura e assistenza di un familiare parzialmente o totalmente non autosufficiente.

Oggi, la sua funzione è mutata, a causa di numerosi e profondi cambiamenti che

hanno trasformato la sua composizione e il suo ruolo, ponendo forti perplessità

circa la possibilità che all'interno di essa possa essere soddisfatta la crescente

domanda di servizi di cura.

Il prolungamento della vita rende più frequente la presenza di una famiglia

composta da diverse generazioni ma questo non significa un aumento degli anziani

che vivono con i figli, anzi si conferma una realtà dove il minor numero di figli e

l'aumentata propensione alla mobilità territoriale riducono la capacità di cura della

rete sociale dell'anziano.

Si assiste, infatti, ad una contrazione delle risorse familiari causata da una serie

di fattori che hanno man mano ridotto l'ampiezza della rete di protezione primaria

dei singoli individui: il crescente calo delle natalità, il progressivo calo dei

matrimoni e l'incremento dei divorzi, le trasformazioni culturali che hanno reso

possibile alle donne una più ampia partecipazione al mondo del lavoro, diminuendo

22 In base all'ultima rilevazione Istat (2011) su scala europea, l'Italia si colloca al secondo posto

per indice di vecchiaia (pari al 144%) seguito dalla Germania (153,3%). Inoltre, secondo le

ultime rilevazioni statistiche (Istat, 2010) l'indice di dipendenza, vale a dire il rapporto tra la

popolazione "attiva" e quella economicamente "dipendente" in Italia è passato dal 48% al 52% in

dieci anni, in funzione del peso crescente delle persone anziane. Al primo gennaio 2011, il

rapporto tra gli anziani e i giovani ha assunto proporzioni notevoli, raggiungendo quota 144,5%. 23 C. Facchini, Anziani e famiglia: nuove reti, nuove solitudini in S. Casazza et al, Anziani. Tra

bisogni in evoluzione e risposte innovative, cit., p. 41.

10

le risorse di tempo e di energie da dedicare ai compiti di cura delle generazioni

anziane in difficoltà, sono mutamenti importanti che hanno investito l'istituto della

famiglia, rendendolo più fragile rispetto al passato.

“Il persistere di queste tendenze porterà in un futuro prossimo ad uno squilibrio

tra le generazioni, in particolare tra quella più anziana e quella più giovane”24

Inoltre, i tempi di lavoro sempre più totalizzanti hanno portato ad una continua

riorganizzazione dei tempi di vita familiare e ad una progressiva delega delle

funzioni di cura a soggetti esterni alla famiglia25

.

Governare tutti questi cambiamenti sociali non è sicuramente facile, essi

avvengono con una tale rapidità che non sempre il sistema di offerta dei servizi

sociali è cosi flessibile da adattarsi e rispondere adeguatamente ai bisogni della

collettività.

Varietà dei bisogni, sistemi di accesso alle prestazioni sulla base di criteri

sempre più selettivi, esigenza di soluzioni innovative: è questo lo scenario con il

quale le famiglie e le istituzioni devono fare i conti spingendo "verso la ricerca di

risposte innovative e pensate con fantasia per stare al passo con il mutare rapido e,

in alcuni casi, imprevedibile dei bisogni"26

.

A spingere verso questo genere di impostazione vi è la consapevolezza che le

necessità della popolazione anziana richiedono degli interventi che possono essere

efficaci solo se inseriti in una rete di servizi, nella cui costruzione intervengono

diversi soggetti: Asl, Comuni, utenti e familiari, organizzazioni del privato sociale

profit e non profit. Ciascun attore concorre alla realizzazione di un sistema in grado

di garantire continuità nell'assistenza e integrazione fra le varie opportunità

presenti, attraverso modalità di intervento condivise.

La Legge Quadro di riforma del sistema di welfare ribadisce questa necessità di

creare un sistema integrato di interventi e servizi sociali, che garantisca un aiuto

concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà. Il sistema integrato è da

24 G. Rossi, S. Meda, La cura agli anziani in Sociologia del Lavoro, Franco Angeli, 2010, p.119. 25 Cfr. F. Zulli, Badare al futuro: verso la costruzione di politiche di cura nella società italiana

del terzo millennio, Franco Angeli, Milano 2008, p.17. 26 S. Casazza et al., Anziani. Tra bisogni in evoluzione e risposte innovative, cit., p.199.

11

intendersi sia come coordinamento degli interventi assistenziali con quelli sanitari,

sia come coinvolgimento del pubblico e del privato nella rete dei servizi.

La legge ha tra i suoi punti di forza proprio il coinvolgimento di soggetti

pubblici e privati nell'erogazione dei servizi sociali, essa prevede e promuove

attività socio-assistenziali da parte di associazioni di cittadini, quali le Onlus, le

cooperative sociali, le organizzazioni di volontariato, i quali possono offrire e

gestire dei sevizi alternativi a quelli degli enti pubblici e, nel rispetto del principio

di sussidiarietà27

, definisce in maniera chiara obiettivi, ruoli e competenze: viene

affidata allo Stato la definizione di principi e obiettivi generali a carattere

universale, mentre alle Regioni viene delegato il compito di recepire e tradurre

questi principi in norme e criteri selettivi per il territorio di loro competenza

attraverso strumenti riconosciuti e condivisi28

.

L'organizzazione dei servizi, all'interno del territorio nazionale, varia da regione

a regione mostrando talvolta profonde differenze che si manifestano non solo in

termini di scelte politiche adottate, ma anche nelle modalità di erogazioni dei

servizi. Talvolta a questo si aggiunge una distribuzione dei servizi a macchia di

leopardo, su tutto il territorio nazionale, a fronte della quale ci si domanda se i

servizi erogati grazie alle risorse del sistema del welfare istituzionale sono o

saranno mai sufficienti a soddisfare l'universo dei bisogni emergenti.

Una prima soluzione per le famiglie che hanno difficoltà a sviluppare una

relazione di aiuto capace di fare fronte a tutte le difficoltà, è ricorrere alle risorse

formali (servizi) del sistema di welfare che, in relazione alle trasformazioni del

modello di famiglia, ha sviluppato una fitta (ma disomogenea) rete di servizi

residenziali per gli anziani, ma le strutture di ricovero non sempre sono una

risposta adeguata perché molte persone rifiutano l'istituzionalizzazione e

preferiscono, anche in condizioni di precarietà fisica, continuare a vivere nella

propria casa e nel proprio ambiente di vita.

Alla luce dei cambiamenti nella struttura delle reti familiari analizzati finora,

sono emersi negli ultimi anni alcuni segnali di criticità relativamente alla capacità

27 Articolo 1, comma 3 della Legge 328 del 2000: "La programmazione e l'organizzazione del

sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni e allo Stato

secondo i principi di sussidiarietà (...)". In Appendice A/1, p. 70. 28 Piani di Zona e Piani Regionali previsti rispettivamente dagli articoli 19 e 8 della Legge Quadro

328 del 2000. In Appendice A/1, p. 70.

12

delle reti familiari di dare risposte all'aumento del lavoro di cura prodotto dal

processo di invecchiamento in atto, appare evidente che in molte zone del Paese,

ancora oggi, ad un incremento dei bisogni di cura delle persone anziane non ha

fatto riscontro un incremento delle risposte della rete pubblica dei servizi di

analoga intensità, tantomeno un incremento della disponibilità di cura delle

famiglie.

Molte famiglie italiane sono state costrette ad auto-organizzarsi per fronteggiare

la condizione di bisogni dei propri familiari, supplendo alla carenza di risposte

provenienti dal sistema di welfare istituzionale. Un numero sempre crescente di

famiglie si organizza come può, ricorrendo ad aiuti extra rete, per lo più remunerati

che consentano di ridurre parte del lavoro.

Nell'esperienza italiana recente, è emersa la figura dell'assistente familiare

(badante), tale fenomeno ha avviato lo sviluppo di un ampio mercato privato dei

servizi assistenziali assumendo proporzioni considerevoli, ma si tratta comunque di

un servizio molto precario, poiché richiede una grande rigidità organizzativa

(convivenza, lavoro su 24 ore), che spesso è resa possibile solo a causa delle

condizioni di precarietà nelle quali si trovano le badanti29

.

In effetti, nell’ultimo decennio, si è costituito un mercato sociale dei servizi alla

persona alimentato, in misura sempre maggiore, da forme di lavoro sommerso di

cura, che offrono alla popolazione scarse garanzie nella qualità dei servizi prestati e

limitata protezione occupazionale ai prestatori di cura. Questa forma non regolata

del lavoro di cura impedisce lo sviluppo e la sostenibilità di un più ampio impianto

di protezione sociale, oltre ad esporre i soggetti coinvolti a forti livelli di

vulnerabilità. Questo perché, il più delle volte, manca un vincolo formale nel

raggiungimento degli accordi assunti solo verbalmente tra le parti, cui si associa

indeterminatezza della durata dei rapporti di lavoro. Tutto ciò comporta evidenti

ripercussioni sulla qualità dell’assistenza, che soffre di discontinuità temporale,

scarsa competenza tecnica e limitate possibilità di connessione con le altre risorse

di cura30

.

Tra coloro che invece non ricevono sostegno da parte della rete pubblica dei

servizi sociali o dalla rete di cure informali, stanno nascendo nuove forme di

29 Cfr. G. Bertin (a cura di), Invecchiamento e politiche per la non autosufficienza, cit., p.65. 30 Cfr. S. Pasquinelli, Badanti: tre nodi da sciogliere, in Prospettive sociali e sanitarie, Speciale

Anziani, lavoro di cura e politiche dei servizi, ANNO XXXIV n. 17-18, 1-15 ottobre 2004.

13

assistenza privata a pagamento (la retta è completamente a carico dell'utente) che

hanno dato vita al recente mercato privato delle Case Famiglia, organizzate in

forma di cooperative, srl, associazioni di volontariato o imprese individuali.

Scegliere una soluzione di questo tipo dipende da alcuni fattori in grado di

modificarne l'adozione o meno da parte delle famiglie: risorse a disposizione

dell'anziano, risorse a disposizione della rete familiare, presenza del coniuge

dell'anziano, cultura solidaristica della famiglia, condizioni di salute dell'anziano.

La Casa Famiglia è una struttura destinata all'accoglienza di anziani autosufficienti,

essa viene definita una "comunità di tipo familiare con sede nelle civili

abitazioni"31

.

Le prime Case Famiglia per anziani risalgono a circa quindici anni fa quando in

alcune zone del Nord d'Italia nascono le prime sperimentazioni, sviluppandosi

successivamente su tutto il territorio nazionale. Trattandosi di servizi di recente

costituzione, non esiste a livello nazionale una mappatura generale sulla diffusione

di queste strutture in termini di dati quantitativi.

Nonostante la scarsità dei dati a disposizione, in molte realtà del nostro

territorio, il lavoro privato di queste strutture sta rappresentando un'importante

risposta ai bisogni di cura degli anziani. La Casa Famiglia sembra essere peraltro,

la soluzione ottimale e meno traumatica psicologicamente per alleviare il distacco

dell'anziano dai propri parenti, in quanto al suo interno viene ricostruito un

ambiente il più possibile familiare32

.

Considerata dalle famiglie come una misura alternativa alla

istituzionalizzazione dell'anziano o come una "struttura provvisoria" in attesa di

trovare una soluzione all'interno della rete istituzionale. Nella maggior parte dei

casi, però la Casa Famiglia rappresenta una valida soluzione alle difficoltà dei

familiari, soprattutto dei figli, nel conciliare il tempo necessario ad assistere

l'anziano con il tempo di cura dedicato al proprio nucleo familiare e i tempi di

lavoro.

31 Articolo 1, comma1 del Decreto del Ministro per la Solidarietà Sociale del 21 maggio 2001

n°308, in Appendice A/3, p. 87. 32 over-blog.com/Casefamigliaperanzianicosasonoecomefunzionalassistenza.

14

1.3 Le Case Famiglia per anziani: una risposta solidale nel nuovo mercato

liberale

Nei precedenti paragrafi abbiamo visto come le tre sfere delle relazioni

informali, del sistema politico e del sistema economico, fortemente interrelate,

costituiscono l'assetto della società moderna. All'interno di questa articolazione,

dove vengono collocate le Case Famiglia?

Esse potrebbero essere collocate in quella che Bauer (1993) definisce "quarta

sfera" ossia all'interno del sistema delle organizzazioni intermediarie dal momento

che esse operano in equilibrio tra azione economica e responsabilità sociale

rispondendo alle esigenze della comunità e del mercato. Esse nascono prima di

tutto per un bisogno insito della persona umana di creare nuove sfere di

relazionalità, che danno origine a "movimenti sociali" sempre nuovi (Donati,

1993).

Per effetto di tutta una serie di fenomeni sociali (analizzati nei precedenti

paragrafi) oggi ci si muove verso nuove forme di solidarietà che fanno parlare di un

sistema di welfare delle "responsabilità condivise"33

, che ha permesso alle Case

Famiglia per anziani di registrare una significativa espansione su tutto il territorio

nazionale, in particolar modo nelle regioni del Nord d'Italia.

Lo sviluppo del welfare mix, come abbiamo visto, ha abbassato i livelli di

impegno diretto dello Stato nel campo del welfare e lo sviluppo incrementale della

presenza di organizzazioni di terzo settore, riconoscendo largo spazio alla libera

iniziativa. Questo tende a favorire la capacità di scelta dei cittadini, che in questo

modo divengono i giudici ultimi delle performance delle varie agenzie pubbliche e

private, profit e non, operanti nel mercato sociale.

Le Case Famiglia non sono altro che il risultato dell'emergere di nuovi bisogni

sociali, il cui soddisfacimento avviene "in base a nuovi mix e nuove combinazioni

la cui scelta è affidata al cittadino, pienamente libero ed autonomo"34

.

33 G.Pastori, Pubblico e privato nella sanità e nell'assistenza, in Sanità Pubblica e privata, Roma

2002, fasc.11-12, p. 1285.

34 G. Rossi, I settori della protezione sociale: la sanità e i servizi sociali, in P. Donato (a cura di),

Fondamenti di politica sociale. Teorie e modelli, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1993, vol.1,

p.111.

15

Esse sono il prodotto del grande momento di successo che il liberismo35

ha

avuto negli anni Ottanta, periodo durante il quale lo Stato, come abbiamo visto, è

stato costretto ad avviare politiche di restrizione della spesa pubblica.

Proprio con il diffondersi del liberismo (fondato sull'autonomia e su processi di

individualizzazione del soggetto) non solo in campo economico, ma in ogni campo

dell'esistenza umana, la libera iniziativa dei privati diventa sempre più presente,

anche nell'assistenza.

Tale libertà viene intesa come la possibilità offerta a ciascun individuo, che

abbia delle risorse a disposizione, di perseguire i propri fini senza che nessuno,

tantomeno lo Stato, ostacoli il libero esplicarsi delle scelte individuali36

.

Nel caso delle Case Famiglia l'azione libera dell'individuo, coincide anche con

un interesse collettivo, perciò essa non può che realizzarsi in un contesto in cui

siano garantiti necessariamente i diritti dell'anziano.

Abbracciare la logica del mercato non significa negare la solidarietà e il rispetto

dei diritti di questa particolare fascia di popolazione. Tali diritti devono essere

sempre e comunque tutelati, evitando per chi gestisce queste strutture, di far

prevalere la dimensione dell'imprenditorialità privata e del business, con il rischio

di portare queste strutture a commercializzarsi e ad incrementare il raggiungimento

di interessi meramente personalistici.

1.3.1 Principi ispiratori e diritti dell'anziano

Per definizione, le Case Famiglia nascono, su iniziativa privata, con lo scopo di

assicurare luoghi di tipo familiare che diano assistenza e ospitalità ad anziani

autosufficienti che, per età o mancanza di aiuti, non sono capaci di vivere

35 Dottrina economica, filosofica e politica nata in Inghilterra nel corso del XIX secolo in seguito

alla rivoluzione industriale e agli studi di Adam Smith e, ripresa negli ultimi anni del XX secolo,

che considera come condizione ottimale di funzionamento del sistema economico quella risultante

dalla libera iniziativa dei singoli individui, che nel perseguimento del proprio interesse non

devono essere condizionati né ostacolati da nessun vincolo esterno imposto dall'interferenza dello

Stato. 36 Gli articoli 38 e 118 della Costituzione sanciscono rispettivamente la libertà dell'assistenza

privata e la definizione del ruolo di Stato, Regioni, Province e Comuni nel favorire "l' autonoma

iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla

base del principio di sussidiarietà".

16

autonomamente. Queste strutture sono generalmente ubicate in zone già

urbanizzate al fine di evitare ogni forma di isolamento sociale e accolgono un

numero limitato di ospiti (massimo sei).

La filosofia portante delle Case Famiglia si basa sulla centralità e sul sostegno

dell'anziano, che viene accolto e inserito in modo da mantenere integri i legami con

la sua famiglia d'origine. Una soluzione attraverso la quale riuscire a conciliare i

bisogni di autonomia e privacy con quelli di solidarietà agli anziani.

Invecchiare spesso significa sperimentare uno stato di profonda solitudine e

marginalità, e vivere in un ambiente "familiare" può aiutare l'anziano a non sentirsi

abbandonato o a modificare l'atteggiamento di chiusura verso il mondo esterno.

L'opera delle Case Famiglia è finalizzata ad offrire una risposta globale ai

bisogni degli anziani attraverso la cura, la promozione, lo sviluppo delle

potenzialità e l'assistenza di ciascun ospite al fine di assicurare il benessere della

persona, ma soprattutto dare effettiva e concreta attuazione ai diritti fondamentali:

diritto alla salute (art.32 cost.) e diritto all'assistenza sociale (art.38 cost.).

Creare un clima familiare significa riuscire a preservare anche le capacità

fisiche e relazionali residue dell'anziano, in ambienti che garantiscano dignità,

rispetto della persona e umanità la cui piena realizzazione dipende dalla capacità di

ciascuna Casa Famiglia di erogare servizi sulla base dei seguenti principi:

uguaglianza ( i servizi devono essere erogati secondo regole uguali per

tutti);

imparzialità (gli operatori tenuti ad avere atteggiamenti di obiettività e

a trattamenti uniformi nei confronti degli ospiti);

diritto di scelta dell'anziano;

territorialità (devono essere favoriti legami e collegamenti con il

territorio in cui la casa famiglia è situata);

efficienza ed efficacia (servizi e prestazioni devono essere forniti

mediante l'adozione di misure idonee per soddisfare i bisogni dell'ospite

e promuoverne il benessere).

Inoltre, ciascun anziano ha il diritto di sviluppare e di conservare la propria

individualità e libertà evitando ogni forma di ghettizzazione che gli impedisca di

interagire con l'ambiente esterno e di essere salvaguardato da ogni forma di

17

violenza fisica e/o morale. Rispetto a quest'ultimo punto diviene particolarmente

importante il ruolo degli Enti pubblici ai quali spetta svolgere attività di

coordinamento, regolazione e controllo di questi soggetti privati. Obiettivo ultimo è

evitare il rischio di creare disparità di trattamento o incrementare disuguaglianze

sociali all'interno di un settore della società connotato dalla valenza solidaristica.

1.3.2 Il boom delle Case Famiglia per anziani. Quali i motivi di questo

successo?

Oggi si assiste ad una crescente attenzione che si concentra attorno alle Case

Famiglia per anziani, un'esperienza che, ancora in molti contesti, è quasi del tutto

misconosciuta, sia a livello politico, sia nella ricerca empirica.

In Italia sono le Case Famiglia per minori ad avere una visibilità e una storia

assai più consistente, oltre che ad essere anche più diffuse e consolidate. La scarsa

visibilità che ha caratterizzato finora l'operato delle Case Famiglia per anziani è

probabilmente in parte riconducibile al carattere innovativo che le contraddistingue

e ad una debole legittimazione istituzionale.

Nell'attuale contesto sociale le famiglie sono maggiormente protese verso

l'utilizzo di queste nuove forme di assistenza per evitare un aumento della

solitudine e dell'esclusione sociale del proprio familiare anziano.

Ciò ha portato ad una maggiore diffusione di servizi alternativi e ad un aumento

di questo genere di richieste anche in Regioni (come l'Emilia Romagna, il Veneto,

la Lombardia) ricche di servizi e di opportunità di sostegno. Questo perché i recenti

tagli al fondo sociale e i ridotti trasferimenti finanziari agli Enti Locali hanno

segnato la fine di importanti politiche assistenziali, provocando tagli per i servizi

sociali e assistenziali territoriali37

.

Sicuramente gli anziani assistiti risiedono prevalentemente nelle Case Famiglia

del Nord e in misura minore in quelle del Sud (non si conoscono le cifre). Questa

differenza territoriale è spiegabile in parte con la diversa struttura per età e

l'eterogenea diffusione del servizio che contraddistingue le diverse aree

geografiche nel nostro Paese, in parte dal differente modello culturale del ruolo

della famiglia nello svolgimento del lavoro di cura degli anziani (le famiglie del

37 G. De Robertis, A. Nappi (a cura di), Welfare come diritto. Scenari e sfide del Servizio Sociale

Professionale, La Meridiana, Bari 2013, p.30.

18

nord acquisiscono più facilmente la consapevolezza della necessità di un intervento

esterno) e dalla diversa rilevanza sociale assegnata agli interventi a sostegno dei

processi di invecchiamento38

.

Si possono identificare alcuni più frequenti motivi per i quali le famiglie e/o gli

stessi anziani decidono di entrare in Casa Famiglia:

l'anziano, sulla base delle normative vigenti, non risulta essere destinatario

di altre tipologie di servizi (casa protetta, RSA), poiché mancano le

condizioni e i requisiti richiesti per l'inserimento in struttura, ad esempio

per un alto livello di autosufficienza. Tali requisiti e modalità di accesso

variano a seconda del comune di residenza;

manca l'effettivo possesso della residenza anagrafica nei comuni nei quali

si è avviata la richiesta di inserimento in struttura, mentre nelle Case

Famiglia vengono accolti anche anziani che hanno la residenza in altri

comuni;

non esiste una reale incapacità economica da parte dell'anziano e dei

parenti obbligati agli alimenti39

di provvedere agli oneri delle rette (la

condizione economica non rientra nei criteri applicativi dell'ISEE);

rifiuto da parte dell'anziano e/o dei familiari di ricorrere a forme di

assistenza privata a pagamento (badanti);

liste di attesa lunghe per l'inserimento in altre tipologie di strutture che

variano a seconda del numero di posti letto disponibili.

Esiste poi un canale informale (segnalazioni di amici e conoscenti, pubblicità),

che si rivela decisivo per orientarsi su questo tipo di servizio. Tali processi hanno

sicuramente spianato il terreno per la nascita e lo sviluppo di un numero sempre più

alto di Case Famiglia, specie in alcune città.

38 G. Bertin (a cura di), Invecchiamaneto e politiche per la non autosufficienza, cit., p.68. 39 Secondo l'articolo 433 del codice civile, all'obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti

nell'ordine: il coniuge; i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi, e, il loro mancanza i

discendenti prossimi, anche naturali; i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, anche

naturali; gli adottanti; i generi e le nuore; il suocero e la suocera; i fratelli e le sorelle germani o

unilaterali con precedenza dei germani sugli unilaterali.

19

Il crescere del numero di simili strutture sul territorio nazionale implica il

diffondersi di una nuova cultura civile e di nuove reti di sociabilità e, sembra che

esse stiano lentamente affermando un proprio ruolo societario.

Insomma, si parla di fenomeno sociale emergente in crescente importanza per le

attività che svolge e in rapida diffusione (nella sola Provincia di Pavia, nel giro di

dieci anni, sono nate circa una ventina di Case Famiglia e a breve ne apriranno

delle altre)40

.

I costi spesso elevati delle rette hanno fatto in modo che in questo mercato

entrassero sempre nuove strutture in concorrenza fra loro, con lo scopo di

migliorare la qualità e la quantità dei servizi offerti.

Purtroppo, ancora oggi, non esistono ancora dei dati, né a livello nazionale, né a

livello regionale, rispetto al numero di richieste e al numero di anziani ospiti in

queste strutture.

Sappiamo che le tipologie di presidio più diffuse sono le residenze socio

assistenziali (48,1%) e le residenze assistenziali (44,1%), mentre una piccolissima

porzione di anziani sono ospiti nelle comunità di tipo familiare (pari al 0,2%) nelle

quali non vengono considerate le sole Case Famiglia ma, tutte le strutture con

carattere comunitario e/o familiare. Registrano i numeri più alti tre regioni: il

Veneto, il Friuli Venezia Giulia e l'Emilia Romagna41

.

In molti casi si tratta ancora di "sperimentazioni" che hanno trovato

applicazione in contesti territoriali limitati dove, queste particolari tipologie di

strutture rappresentano una efficace iniziativa locale per favorire l'incontro tra

domanda e offerta di servizi.

40 laprovinciapavese.gelocal.it 41 Fonte: Elaborazione Ageing Society su dati ISTAT

20

CAPITOLO SECONDO

L'ATTUALE SISTEMA DELLE CASE FAMIGLIA PER ANZIANI TRA

SVILUPPO E CARENZE NORMATIVE

2.1 Cenni sulla normativa nazionale

La crescente attenzione per le condizioni di vita delle persone ospiti di strutture,

l'esigenza di un'evoluzione delle politiche per gli anziani volta al superamento delle

strutture intese in modo tradizionale e la necessità di realizzare interventi articolati

e flessibili in grado di offrire risposte più personalizzate possibili hanno portato il

legislatore ad occuparsi della nascente realtà delle Case Famiglia, garantendo

attraverso alcuni importanti passaggi legislativi, l'adozione di programmi

innovativi da parte di molte amministrazioni locali e regionali, seppur tali

"sperimentazioni" si siano sviluppate in pochi contesti territoriali.

Un primo fondamentale passaggio necessario alla realizzazione di un nuovo

Welfare, come ampliamente discusso nel precedente capitolo, è rappresentato dalla

Legge Quadro sull'Assistenza n. 328 del 2000, la quale introduce una serie di

importanti cambiamenti che hanno investito anche i servizi per anziani, compresa

l'area della residenzialità, alla luce delle evidenti trasformazioni che hanno

investito e che tuttora investono questi servizi.

Essi un tempo accoglievano una popolazione relativamente giovane, oggi

invece, accolgono anziani che vengono istituzionalizzati in età sempre più avanzata

e con numeri sempre più elevati.

La Legge 328 del 2000 inserisce a pieno titolo le strutture residenziali e

semiresidenziali nel sistema integrato di servizi presso cui accogliere persone di

"elevata fragilità" o con limitata autonomia non assistibili a domicilio (art.22,

2°comma, lettera g).

In alcune di queste strutture vengono perfettamente rispettate norme e standard

qualitativi e organizzativi, altre, seppur autorizzate, non sono sottoposte a necessari

controlli di routine e le persone che vi risiedono spesso vivono in pessime

condizioni, tali da indurre le autorità alla chiusura della struttura. E' dunque

necessaria l'esigenza di prestare dovuta attenzione all'esistenza e alla conoscenza di

21

tali realtà e soprattutto alla vigilanza su di esse, tenendo conto dell'ampia

autonomia di cui godono.

Le Case Famiglia nascono su iniziativa di soggetti privati e la normativa

vigente non prevede per questa particolare tipologia di struttura né un obbligo di

preventiva autorizzazione al funzionamento, né alcuna forma di convenzione o

accordo con gli enti istituzionali per l'esercizio della loro attività.

Esse perciò, godono di un'autonomia tale da consentire ai soggetti gestori di

definire tariffe per i servizi erogati, standard qualitativi delle prestazioni e

condizioni di lavoro.

Nascono nel nostro Paese circa quindici anni fa per effetto di una forte esigenza

di sviluppare un sistema di cura più esteso. Tale necessità si sta tuttora traducendo

in innovazioni di un certo peso, ma stenta ancora a trovare un consenso

generalizzato, un'evidenza riconosciuta da tutti e un impegno legittimato a livello

nazionale42

. Basti pensare che le poche leggi che disciplinano queste strutture si

limitano a menzionarle e regolamentarle in poche e semplici righe, lasciando ampi

vuoti normativi in merito.

Le Case Famiglia infatti, non rientrando nella disciplina dell'accreditamento43

,

quale condizione essenziale per accedere al finanziamento pubblico, spesso

vengono "trascurate" o "dimenticate" dalle norme, rispetto ai molti altri servizi

residenziali per i quali i criteri dell'accreditamento valgono ai fini del rilascio dell'

autorizzazione al funzionamento.

Le poche norme esistenti hanno tutte l'obiettivo di rendere queste strutture più

umane, adeguate alle esigenze di coloro che vi abitano, flessibili, aperte alla

comunità e il più possibile integrate nella rete territoriale dei servizi.

42 Cfr., C. Ranci, La domanda emergente di cura e le trasformazioni del sistema assistenziale, in

Assessorato Servizi sociali e sanità, La professione dell'assistenza agli anziani fra vecchio e

nuovo welfare: atti del convegno, Amministrazione Provinciale, 2002, p.22. 43 Secondo l'articolo 11 della Legge 328 del 2000: "I servizi e le strutture a ciclo residenziale e

semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, sono autorizzati

dai comuni. L'autorizzazione è rilasciata in conformità ai requisiti stabiliti dalla legge regionale,

che recepisce ed integra, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi nazionali determinati

ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c), con decreto del Ministro per la solidarietà sociale".

Inoltre, il medesimo articolo stabilisce che " le Regioni disciplinano le modalità per il rilascio da

parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi innovativi e sperimentali, per un

periodo massimo di tre anni". In Appendice A/1, p. 70.

22

In particolare, per le Case Famiglia che accolgono anziani autosufficienti o

parzialmente autosufficienti è necessaria una maggiore attenzione nel garantire ai

propri ospiti una vita altamente socializzante e attiva, ricca di nuovi stimoli e

interessi.

La Legge 328 del 2000 rappresenta sicuramente un primo importante

provvedimento al quale le Case Famiglia fanno riferimento.

Nonostante essa non preveda un obbligo di preventiva autorizzazione al

funzionamento, trattandosi di materia di stretta competenza regionale, ciascuna

regione ha poi disciplinato con modalità differenti prevedendo comunque, per le

Case Famiglia che accolgono fino ad un massimo di sei ospiti, l'obbligo di

comunicare l'avvio di tale attività al comune di competenza. Nello specifico la

Legge prevede che:

lo Stato fissi i requisiti minimi strutturali e organizzativi per

l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo

residenziale e semiresidenziale e preveda i requisiti specifici per le

comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni (articolo 9,

lettera c);

le Regioni recepiscano ed integrino, in relazione alle esigenze locali, i

requisiti minimi nazionali (articolo 11, comma 1);

ai Comuni spettino funzioni in materia di autorizzazione,

accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo

residenziale e semiresidenziale (articolo 6, lettera c).

La Legge succitata ha fornito le prime indicazioni per l'applicazione di un

nuovo regolamento da parte del Ministro per la Solidarietà Sociale. A norma

dell'articolo 11 della Legge Quadro, il 21 maggio del 2001 viene emanato il

Decreto n. 308 concernente Requisiti minimi strutturali e organizzativi per

l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e

semiresidenziale44

. Il regolamento adottato prevede dei "requisiti specifici per le

comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni" (articolo 1), rivolte ad

anziani per interventi socio assistenziali o socio sanitari, finalizzate al

44 In Appendice A/3 p. 87.

23

mantenimento e al recupero delle residue capacità di autonomia della persona e al

sostegno della famiglia, prevedendo altresì che le regioni recepiscano ed integrino,

in relazione alle esigenze locali, i requisiti fissati dal Decreto secondo quanto

stabilito nell'articolo 3: "le comunità di tipo familiare e i gruppi appartamento con

funzioni di accoglienza e bassa intensità assistenziale, che accolgono, fino ad un

massimo di sei utenti, anziani, disabili, minori o adolescenti, adulti in difficoltà per

i quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o

permanentemente impossibile o contrastante con il progetto individuale, devono

possedere i requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione".

Gli articoli 5, 6 e 7 (a norma dell'articolo 9 della Legge n.328 del 2000)

regolamentano i seguenti requisiti strutturali e organizzativi:

Requisiti strutturali

possesso dei requisiti previsti per le civili abitazioni dalla normativa

vigente in materia edilizia, igienico sanitaria, di prevenzione incendi,

sulle condizioni di sicurezza degli impianti, sulle barriere

architettoniche, sulla prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro;

ubicazione in luoghi abitati facilmente raggiungibili tali da permettere

agli ospiti di partecipare alla vita sociale del territorio e alle famiglie di

facilitare le loro visite;

dotazione di spazi destinati ad attività di socializzazione distinti dagli

spazi destinati alle camere da letto in modo da garantire l'autonomia

individuale e la privacy.

Nello specifico il decreto 308 del 2001 prevede che all'interno di ciascuna Casa

Famiglia sia presente una linea telefonica a disposizione degli ospiti e dei

campanelli di chiamata in ogni posto letto, che esse siano dotate di arredi e

attrezzature idonee alla tipologia degli ospiti e in particolare che siano garantiti letti

articolati regolabili in altezza, materassi e cuscini antidecubito e un armadio

farmaceutico.

24

Requisiti organizzativi

presenza di figure professionali sociali e sanitarie qualificate, in

relazione alla tipologia di servizio prestato e alle caratteristiche e

bisogni dell'utenza accolta;

individuazione di un coordinatore responsabile che ha l'onere generale

sia della struttura che del servizio prestato, a lui compete anche la

gestione del personale e la conduzione economica e patrimoniale; egli

non coincide con il rappresentante legale (il quale di solito è il

presidente della cooperativa) che gestisce la struttura;

adozione di un registro degli ospiti e predisposizione di piani

individuali di assistenza elaborati in base alle condizioni fisiche e

psicologiche dell'anziano, indicanti gli obiettivi da raggiungere, le

modalità di intervento e la valutazione dei risultati;

adozione, da parte del soggetto gestore, della Carta dei Servizi Sociali45

comprendente la pubblicizzazione delle tariffe praticate e l'indicazione

delle prestazioni fornite.

Chiunque decida di aprire una Casa Famiglia per anziani è tenuto dunque, a

rispettare i criteri organizzativi e strutturali previsti dalla Legge 328 del 2000 e dal

45 Introdotta dall'articolo 13 della Legge n. 328 del 2000 che stabilisce: "al fine di tutelare le

posizioni soggettive degli utenti, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della

presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per

la solidarietà sociale, d'intesa con i Ministri interessati, è adottato lo schema generale di

riferimento della carta dei servizi sociali. Entro sei mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta

Ufficiale del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ciascun ente erogatore di

servizi adotta una carta dei servizi sociali ed è tenuto a darne adeguata pubblicità agli utenti. Nella

carta dei servizi sociali sono definiti i criteri per l'accesso ai servizi, le modalità del relativo

funzionamento, le condizioni per facilitarne le valutazioni da parte degli utenti e dei soggetti che

rappresentano i loro diritti, nonché le procedure per assicurare la tutela degli utenti. Al fine di

tutelare le posizioni soggettive e di rendere immediatamente esigibili i diritti soggettivi

riconosciuti, la carta dei servizi sociali, ferma restando la tutela per via giurisdizionale, prevede

per gli utenti la possibilità di attivare ricorsi nei confronti dei responsabili preposti alla gestione

dei servizi".

25

Decreto 308 del 2001, oltre a fare riferimento alle relative normative regionali in

materia che, ad oggi, rappresentano gli unici riferimenti legislativi che

regolamentano solo alcuni aspetti di queste strutture tralasciandone altri.

Sulla base di suddetti requisiti le singole regioni hanno, in maniera differente,

rivolto la loro attenzione a questo nascente settore di attività, con l'obiettivo di

promuoverne lo sviluppo nel proprio territorio.

Il rapido sviluppo di queste realtà infatti, impone soprattutto a quelle regioni che

hanno assistito ad un notevole proliferarsi di Case Famiglia, la necessità di

riflettere su questo campo che vede coinvolta una fascia di popolazione

vulnerabile, composta da persone anziane che si collocano al di sopra dei criteri di

accesso ai servizi assistenziali pubblici e si rivolgono necessariamente alla rete

privata.

Diventa dunque, un dovere delle regioni e dei comuni porre la giusta attenzione

a questa platea di utenti "respinti" dal welfare pubblico che si rivolgono al nuovo

mercato privato delle Case Famiglia e al processo di commercializzazione che sta

investendo queste strutture.

Purtroppo fino ad oggi, a fronte del crescente sviluppo di Case Famiglia per

anziani la legislazione nazionale e regionale è rimasta sostanzialmente assente. Nel

panorama nazionale non esistono leggi specifiche in materia, ma solo norme

collocate all'interno di leggi regionali che hanno identificato tale realtà attraverso

definizioni e attribuzioni di definizioni e compiti diversi da regione a regione.

2.2 Scelta della natura giuridica

L'inizio dell'attività di una Casa Famiglia richiede necessariamente scelte

precise da parte dei gestori circa la forma giuridica da assumere, tenendo conto di

una serie di elementi che riguardano la responsabilità patrimoniale, la convenienza

fiscale e le prospettive economiche dell'attività. Una scelta fondamentale che

comporterà conseguenze sia giuridiche che economiche.

Queste strutture si sono costituite negli anni, attraverso una configurazione

giuridica precisa, di natura diversa a seconda del numero di soggetti coinvolti, del

capitale necessario, dei costi di costituzione e gestione, delle implicazioni fiscali e

del grado di responsabilità del gestore.

26

Solitamente la scelta della forma giuridica con cui operare ricade sulla

cooperativa sociale per lo scopo principale che la identifica, ossia perseguire

l'interesse generale della comunità e promuovere l'integrazione sociale dei cittadini

attraverso la gestione di servizi socio sanitari e socio assistenziali. Altri gestori

scelgono l'impresa individuale o recentemente si fa largo l'idea di utilizzare

l'associazione come forma giuridica alternativa.

La persona che intende aprire una Casa Famiglia è chiamata quindi, a decidere

e stabilire da subito se lavorare individualmente oppure associarsi con altre

persone, in altre parole è chiamato a decidere se costituire un'impresa individuale o

un'impresa collettiva, cioè una società. Tale scelta determinerà l'assetto

organizzativo, amministrativo, fiscale e contabile dell'attività, generando di

conseguenza differenti obblighi civili, amministrativi e fiscali per il gestore46

.

La legge impone obblighi e assolvimenti spesso onerosi che conducono a scelte

operative diverse ma, in sede di scelta, ha una fondamentale importanza anche la

tipologia di servizio che si intende offrire. Trattandosi di servizi di natura socio

assistenziale sicuramente alcune forme giuridiche, per i principi ispiratori che le

caratterizzano, risultano essere più idonee rispetto ad altre.

Non sempre associazioni e cooperative nascono primariamente con lo scopo di

gestire delle residenze per anziani, spesso si tratta di organizzazioni sociali che già

operano sul territorio e decidono di aggiungere alle loro attività la gestione di

queste strutture in quanto conforme ai loro obiettivi e scopi sociali.

2.2.1 Case Famiglia con natura giuridica di cooperativa sociale

Le cooperative sociali sono "società che esercitano attività di impresa

perseguendo uno scopo mutualistico. Tale scopo si traduce, in concreto, nel fornire

beni e servizi o occasioni di lavoro direttamente ai soci a condizioni più

vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato"47

.

46 www.businessplanvincente.com 47 www.informagiovani-italia.com

27

Allo scopo mutualistico può aggiungersi lo scopo di lucro che rimane tuttavia

secondario48

. Attualmente sono l'unica forma di impresa privata a finalità sociale

consentita dalla normativa nazionale.

Esse sembrano essere la soluzione ottimale, oltre che la più diffusa tra i gestori

che intendono avviare una Casa Famiglia per anziani, in quanto questa forma

giuridica, proprio per lo scopo mutualistico che la caratterizza, favorisce sia i

propri soci garantendo sicurezza e vantaggi (la società svolge la propria attività in

favore dei soci creando nuove occasioni di lavoro per gli stessi o anche per altri

lavoratori rispettivamente sotto forma di rapporto di lavoro fra soci e società

oppure di rapporto di lavoro subordinato) e, al tempo stesso, soddisfa principi di

solidarietà socialmente utili alla comunità, avendo l'obiettivo di rispondere alle

esigenze dei cittadini più deboli e svantaggiati. Si realizza, in questo modo, una

convergenza di interessi tra l'ospite della struttura e il gestore che garantisce anche

un equilibrio di mercato tra il primo (che ne trae un profitto) e il secondo (che paga

la retta).

Trattandosi di cooperative che gestiscono servizi di natura socio assistenziale,

esse rientrano nella tipologia di cooperative di tipo A e, per le ridotte dimensioni

dell'impresa, richiedono un numero minimo di soci pari a tre49

(fino ad un massimo

di otto soci). Ogni socio ha l'obbligo di contribuire alla società attraverso il

conferimento di beni e servizi (beni in natura, denaro, prestazioni di lavoro) e tutti

partecipano in qualche modo, direttamente o indirettamente alla gestione delle

attività anche se solitamente è l'amministratore unico che si occupa della gestione

"pratica" della struttura assicurando una presenza costante presso la Casa Famiglia,

verificando le condizioni di salute e psicologiche degli ospiti, stabilendo contatti

con le famiglie e con tutto il personale in genere.

La cooperativa come forma giuridica di esercizio delle Case Famiglia per

anziani oltre ad essere tutelata dalla stessa Costituzione che ne promuove e

48 Se l'atto costitutivo lo prevede, esse possono svolgere anche attività con terzi (art.2521 c.c.)

finalizzata alla produzione di utili e quindi, può essere attività lucrativa. Incompatibile con lo

scopo mutualistico è e resta però l'integrale distribuzione ai soci degli utili prodotti dalla

cooperativa. 49 Sono sufficienti tre soci persone fisiche se la società adotta le norme della società a

responsabilità limitata (art.2522 c.c.).

28

favorisce la diffusione e lo sviluppo50

, viene particolarmente incentivata dalle

leggi, anche a carattere regionale, che riconoscono particolari agevolazioni.

I soci che intendono fondare una cooperativa finalizzata alla gestione di una o

più Case Famiglia devono, alla presenza di un notaio, redigere un atto costitutivo

pubblico ed uno statuto sociale al cui interno vengono specificati: la

denominazione, la sede e la durata, lo scopo e l'oggetto, diritti e obblighi dei soci, il

patrimonio sociale, gli organi, le clausole in merito allo scioglimento e alla

liquidazione della società. Lo statuto può prevedere diverse tipologie di soci:

lavoratori, ordinari, volontari, ai quali deve essere garantita parità di trattamento

seppure svolgono compiti differenti.

L'atto costitutivo e lo statuto saranno depositati presso la Camera di Commercio

della Provincia di appartenenza dove verrà formalizzata l'iscrizione al Registro

delle Imprese e all'Albo delle cooperative. Entro 30 giorni dalla costituzione, è

necessario chiedere l'attribuzione della Partita Iva e del codice fiscale all'ufficio

locale competente dell'Agenzia delle Entrate e iscriversi all'INPS e all'INAIL.

Nell'atto costitutivo i soci scelgono, per ragioni di capitale, la disciplina delle S.r.l.

(Società a responsabilità limitata) per la quale è prevista una quota inferiore di

capitale (10.000 euro) rispetto a quella prevista per le Società per azioni (120.000

euro).

Perché i gestori scelgono la cooperativa sociale come forma giuridica? Quali i

vantaggi?

La cooperativa sociale presenta una serie di aspetti vantaggiosi: semplicità

nella realizzazione, spese necessarie alla costituzione ridotte, capitale sociale non

elevato, agevolazioni fiscali e contributive.

Per i gestori di Case Famiglia la scelta della cooperativa è soprattutto legata all'

agevolazione di un favorevole regime IVA (imposta sul valore aggiunto). Esse

infatti, sono assoggettate all'aliquota IVA agevolata del 4%51

e ad altre

50 Articolo 45, 1° comma: "La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a

carattere di mutualità e senza fini da speculazione privata". 51 Come previsto dall'articolo 10 del DPR 633 del 1972 "Istituzione e disciplina dell'imposta sul

valore aggiunto".

29

agevolazioni52

di natura fiscale che ne favoriscono la costituzione e che riguardano:

l'esenzione dall'IRES (imposta sul reddito della società) e la riduzione o, in alcuni

casi, l'esenzione dell'aliquota IRAP (imposta regionale sull'attività produttive).

Chi costituisce una cooperativa gode anche di un vantaggio patrimoniale in

quanto il rischio da parte del socio è circoscritto alla quota di capitale che viene

sottoscritta.

Ma chi gestisce una Case Famiglia, intese come entità operanti in un contesto

territoriale con il quale continuamente interagiscono, non può prescindere dal porre

una grande attenzione nei confronti di tutti i soggetti portatori di un qualsiasi

interesse verso la loro attività: soci, fornitori, utenti, istituzioni pubbliche, opinione

pubblica. Proprio per questo motivo, la scelta di costituire una cooperativa risponde

in maniera più adeguata a questa necessità in quanto essa permette la realizzazione

di una maggiore condivisione degli obiettivi dell'attività da parte dei soci, la

creazione di una partecipazione più consapevole alla vita sociale della cooperativa

e soprattutto una maggiore assunzione di nuove responsabilità.

Condividere il senso e l'obiettivo dell'attività è un elemento di facilitazione per

ciascuno socio, il quale non è un semplice addetto ma ricopre istituzionalmente una

responsabilità complessiva sull'adeguatezza del servizio reso all'utenza. Questo

vale sicuramente anche per i soggetti aderenti alle associazioni di cui parleremo

successivamente.

La costituzione, il deposito e l'iscrizione comportano comunque, per i soci, dei

costi. Per questo motivo, ci sono dei casi in cui lo stesso gestore ricorre ad un'altra

forma d'impresa, quella individuale che, rispetto alla cooperativa, è meno onerosa e

più semplice per la quale non è previsto l'obbligo di redigere nessun bilancio

sociale e minore è il controllo da parte dell'autorità giudiziaria53

.

52 Le disposizioni di carattere agevolativo si applicano soltanto alle cooperative a mutualità

prevalente, come previsto dal Decreto Legislativo 6 del 2003 "Riforma organica della disciplina

delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della Legge 3 ottobre 2001, n. 366", a

condizione che introducano nei loro statuti le clausole fissate dall'articolo 2514 c.c. 53 Le società cooperative sono sottoposte al controllo dell'autorità governativa (art.2545-

quaterdecies c.c.), finalizzata all'accertamento dei requisiti mutualistici e ad assicurare il regolare

funzionamento amministrativo e contabile delle stesse. La vigilanza spetta al Ministero dello

Sviluppo Economico ed è esercitata tramite revisioni e ispezioni straordinarie disposte ogni

qualvolta se ne ravvisa l'opportunità.

30

Le cooperative inoltre, non avendo per obiettivo il profitto, non possono avere

nel bilancio annuale un utile da ripartire tra i soci superiore ad una minima

percentuale del capitale sociale54

.

2.2.2 Case Famiglia con natura giuridica di impresa individuale

L'impresa individuale è una forma giuridica sicuramente più semplice e meno

onerosa, richiede infatti, pochi adempimenti e una gestione più semplificata. Viene

scelta da chi vuole preservare la massima autonomia nella gestione dell'attività,

(non si hanno soci). Il soggetto titolare dell' impresa è obbligato alla semplice

iscrizione alla Camera di Commercio e a denunciare l'inizio dell'attività presso

l'Agenzia dell'Entrate al fine di farsi attribuire un numero di partita IVA. Anche per

l'impresa individuale bisogna provvedere a regolare una posizione presso l'INPS e

presso l'INAIL.

L'unico titolare è anche il solo responsabile dell'attività e ne risponde dinnanzi

alla legge (i rischi d'impresa e tutte le obbligazioni che nascono dall'attività

ricadono tutti su di lui) ed è anche l'unico promotore della sua attività. Il titolare,

nonché gestore della Casa Famiglia, rappresenta anche l'interlocutore principale

per le famiglie e per tutto il personale che opera all'interno della struttura.

In alcuni casi, la scelta dei gestori ricade sull'impresa individuale in quanto per

la sua costituzione non si impone una quantità minima di capitale iniziale da

investire, tale forma giuridica è infatti, preferita quando si devono svolgere attività

che non richiedono grandi investimenti e che comportano rischi abbastanza

limitati.

Oltre alla rapidità della tempistica per la sua costituzione e ai minori oneri

amministrativi, contabili e fiscali, l'impresa individuale comporta anche minori

costi di gestione, l'assenza di redigere il bilancio a fine anno (previsto invece per le

cooperative) e l'accentramento decisionale del titolare. Quest'ultimo aspetto

potrebbe risultare uno svantaggio in quanto l'assenza di soci potrebbe essere

considerata una mancata possibilità di confronto.

Seppur il peso delle responsabilità gravino su una sola persona, tale forma

giuridica viene preferita per i limitati vincoli sia per quanto riguarda le formalità da

54 Caratteristica peculiare delle cooperative è la variabilità del capitale in rapporto al variare del

numero dei soci.

31

espletare in fase di avvio, sia per quanto riguarda la massima libertà del titolare nel

prendere le decisioni più opportune55

.

2.2.3 Case Famiglia con natura giuridica di associazione

Negli ultimi anni i gestori delle Case Famiglie si stanno timidamente

indirizzando verso la scelta di una nuova forma giuridica per la cui costituzione è

previsto un iter burocratico celere e semplificato e dei costi ridotti per via di un

assetto organizzativo molto più indefinito e dei minori controlli da parte delle

autorità istituzionali.

L'associazionismo56

rappresenta ormai una valida alternativa per chi vuole

gestire attività, anche di tipo commerciale, indirizzate a particolari categorie di

soggetti a rischio di emarginazione sociale, come gli anziani.

Esistono differenti forme di associazioni: associazioni di volontariato, le quali si

avvalgono prevalentemente delle prestazioni volontarie e gratuite dei propri soci e

associazioni di promozione sociale, le quali svolgono attività di utilità sociale senza

finalità di lucro. Quest'ultime per la propria attività possono servirsi delle

prestazioni volontarie dei soci o rivolgersi a terzi riconoscendo dei compensi o

assumendo dei dipendenti.

Per costituire un'associazione è necessario redigere l'atto costitutivo contenente:

il nome dell'associazione, la sede, lo scopo sociale, i dati dei soci, del Presidente,

del vice Presidente e del Segretario. Mentre nello statuto viene regolata

l'organizzazione interna dell'associazione specificandone la finalità, le attività che

si intendono svolgere e gli organi, dati che verranno registrati presso l'Agenzia

delle Entrate territorialmente di competenza, dove verrà presentata anche domanda

di attribuzione delle partita IVA.

55 www.cna.it 56 La libertà di associazione è riconosciuta dall'articolo 18 della Costituzione, che stabilisce: "I

cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati

ai singoli dalla legge penale". La forma delle associazioni è regolata all'interno del Titolo II del

Codice Civile (artt. 11-47) e dalle seguenti Leggi Nazionali: L. 266 del 1991 (Legge Quadro sul

volontariato) e L. 383 del 2000 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale).

32

Anche se le associazioni non sono enti a scopo di lucro, possono svolgere tutte

le attività, anche di tipo commerciale, purché previste dallo statuto, compatibili con

lo scopo sociale e purché esse non siano prevalenti rispetto a quelle di volontariato.

Le associazioni che gestiscono una o più Case Famiglia perseguono

esclusivamente finalità di solidarietà sociale attraverso lo svolgimento di attività a

favore degli anziani al fine di migliorarne la qualità della vita e lo sviluppo

dell'autonomia. Per il perseguimento del proprio oggetto sociale, gli statuti

prevedono la possibilità per tali associazioni di:

fornire prestazioni di assistenza socio sanitaria, socio riabilitativa,

socio assistenziale domiciliare;

gestire autonomamente servizi di assistenza diretta alle persone;

acquisire o gestire strutture da destinare a residenze.

Per lo svolgimento di suddette attività è prevista la possibilità per l'associazione

di avvalersi sia di prestazioni retribuite che gratuite. L'attività degli aderenti, invece

non può essere retribuita in alcun modo, ogni forma di rapporto economico con

l'associazione derivante da lavoro dipendente o autonomo è incompatibile con la

qualità di socio. Oltre all'Assemblea dei soci (organo sovrano), sono organi

dell'associazione: il Consiglio direttivo e il Presidente che è anche il rappresentante

legale della Casa Famiglia e l'unico su cui ricade la responsabilità sia civile che

penale dell'associazione.

Perché i gestori scelgono l'associazione come forma giuridica? Quali i

vantaggi?

I motivi di questa scelta sono rinvenibili soprattutto nella necessità, da parte dei

gestori, di fornirsi di un gruppo con un obiettivo comune per la gestione di un

progetto innovativo come quello delle Case Famiglia per anziani.

La scelta di tale forma giuridica dipende anche dalla possibilità di trarre risorse

economiche per il funzionamento e lo svolgimento delle proprie attività dai

contributi, donazioni ed erogazioni liberali dei privati, dai fondi derivanti dal 5 per

mille (trattandosi di associazione che svolge attività in favore di anziani), oltre che

dalle entrate derivanti dall'attività commerciale.

33

Come previsto dall'articolo 8 della Legge Quadro n. 266 del 1991, "gli atti

costitutivi delle organizzazioni di volontariato costituite esclusivamente per fini di

solidarietà sociale e quelli connessi allo svolgimento delle loro attività sono esenti

dall'imposta di bollo e dall'imposta di registro" (1° comma).

Per tale entità organizzativa inoltre, non c'è tassazione sulle somme ricavate

dalle attività effettuate nell'ambito dell'utilità sociale, sono previste esenzioni IVA

per le prestazioni ospedaliere e per le prestazioni socio sanitarie in genere.

L'unico vincolo per le associazioni è la redazione del bilancio annuale ma senza

l'obbligo di depositarlo in alcun ufficio, esso viene approvato dall'assemblea dei

soci e tenuto agli atti dell'organizzazione per essere liberamente consultato dai soci.

2.3 Avvio dell'attività: procedimento amministrativo e documentazione

Al fine di snellire l'iter burocratico, evitando lunghe attese per i gestori

coerentemente con la logica della semplificazione, le Case Famiglie solitamente

rientrano tra quelle strutture non soggette all'obbligo di preventiva autorizzazione

al funzionamento. L'iter burocratico è simile a quello previsto per l'avviamento di

qualsiasi altra attività commerciale (ad esempio un bar). Il primo passo da

compiere è recarsi al SUAP (Sportello Unico Attività Produttive) del Comune di

residenza che serve come referente per tutte le pratiche amministrative e come

sportello informativo per i gestori.

Il legale rappresentante dell'impresa individuale, della cooperativa o

dell'associazione che intende aprire una Casa Famiglia è tenuto a fornire la sola

comunicazione dell'avvio dell'attività cui sarà allegata la documentazione prevista

secondo quanto disposto dai regolamenti e dalle leggi regionali, entro i termini

fissati. Sono obbligatori i seguenti documenti:

Comunicazione di avvio dell'attività

Essa sostituisce l'autorizzazione e viene compilata, su apposito modulo spesso

scaricabile dai siti internet dei Comuni, dal gestore in regime di autocertificazione,

per avviare la propria attività. Ai sensi dell'articolo 19 della Legge sul

34

procedimento amministrativo57

produce effetti immediati e deve essere corredata

delle autocertificazioni circa il possesso di requisiti soggettivi (morali e

professionali) e oggettivi (attinenti la conformità edilizia, igienico-sanitaria ecc.) Il

relativo modello deve essere compilato in ogni sua parte e deve contenere:

estremi anagrafici del rappresentante legale della società o del titolare

dell'impresa individuale o dell' Presidente dell'associazione;

estremi anagrafici del responsabile coordinatore della struttura;

denominazione o ragione sociale

indirizzo della sede legale, la quale non deve essere necessariamente

una sede fisica, si può indicare anche il domicilio di uno dei soci;

numero di codice fiscale o partita IVA;

data di avvio dell'attività;

numero massimo di utenti che possono essere ospitati nella sede;

caratteristiche dell'utenza ospitata;

numero e qualifiche del personale che opera nella Casa Famiglia;

modalità di accoglienza dell'utenza e la retta richiesta agli ospiti.

Tale comunicazione non prevede dei costi e deve pervenire al Comune entro 60

giorni dall'avvio dell'attività, in caso di omessa comunicazione al Comune entro i

termini indicati, si applicano le disposizioni delle rispettive norme regionali.

L'amministrazione di competenza, entro 60 giorni dal ricevimento, accerterà il

possesso e la veridicità dei requisisti dichiarati dando comunicazione dell'avvio del

procedimento (ai sensi degli articoli 7 e 8 della Legge 241 del 1990). Lo

svolgimento dell'attività in maniera difforme da quanto dichiarato può comportare

l'adozione, da parte degli organi competenti, di provvedimenti sanzionatori e

inibitori.

57 Secondo l'articolo 19 della Legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990, "Ogni atto

di autorizzazione, licenza, [...], comprese le richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale o

commerciale [...] è sostituito da una dichiarazione dell'interessato corredata, per mezzo di

autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste [...] L'attività

può essere iniziata dalla data della presentazione della dichiarazione all'amministrazione

competente".

35

Carta Dei Servizi

E' un documento elaborato nel rispetto della Legge n. 328 del 2000 che,

all'articolo 13 prevede: "ciascun ente erogatore di servizi adotta una Carta dei

Servizi Sociali ed è tenuto a darne adeguata pubblicità agli utenti".

Essa illustra i servizi offerti all'utenza ispirandosi ai principi di trasparenza,

uguaglianza, imparzialità, continuità, diritto di scelta, partecipazione, efficienza ed

efficacia ed è rivolta a chiunque voglia, a titolo personale, professionale o

istituzionale, conoscere la realtà della Casa Famiglia.

Uno strumento informativo che facilita il controllo della rispondenza dei servizi

effettivamente offerti a quelli promessi58

.

La Carta dei Servizi intende essere il documento in cui vengono descritte e

aggiornate le caratteristiche delle prestazioni erogate e dove vengono esplicitate le

modalità secondo cui si definisce l'impegno di reciprocità nell'assunzione di doveri

precisi tra erogatore del servizio e fruitore.

Attraverso tale strumento il soggetto gestore che eroga il servizio si impegna a

rispettare determinati standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni con

l'intento di monitorarne e migliorarne le modalità di fornitura e somministrazione.

Nello specifico, la carta dei servizi contiene:

la descrizione della struttura;

le finalità del servizio;

i criteri e le modalità di accesso al servizio;

le tipologie di servizi offerti;

le figure professionali coinvolte;

i costi.

Essa è redatta tenendo conto dei diritti fondamentali dell'anziano, nonché delle

normative regionali in materia di assistenza, qualità e servizi preposti alla cura ed

assistenza dell'anziano.

58

C. Ranci, La domanda emergente di cura e le trasformazioni del sistema assistenziale, in

Assessorato Servizi sociali e sanità, La professione dell'assistenza agli anziani fra vecchio e

nuovo welfare: atti del convegno, cit., p.33.

36

Altri documenti da allegare

Il soggetto gestore dovrà allegare alla documentazione sopra citata, la

planimetria dell'abitazione, la scheda tecnica di autocertificazione che attesti il

possesso dei requisiti strutturali e organizzativi, la dichiarazione antimafia che

certifichi (in caso di società) che nei confronti di ciascun socio non sussistono

misure di prevenzione59

, curriculum del personale impiegato con copia dei relativi

contratti ed è inoltre, chiamato a presentare comunicazione di ogni altra variazione

(modifica della sede, del recapito telefonico, modifica della ragione sociale, ecc.) o

comunicazione di cessazione dell'attività.

Il Comune di competenza esamina la documentazione presentata ed

eventualmente richiede l'integrazione per i documenti incompleti o mancanti,

verifica il possesso dei requisiti minimi previsti dalle leggi regionali in vigore e

invia copia del provvedimento alla Provincia, che detiene un registro aggiornato

delle Case Famiglia, e ai Servizi Sociali del Comune di riferimento.

Inoltre, esercita attività di vigilanza e controllo, avvalendosi sei Servizi Sociali

Territoriali, dell'Azienda USL e della Polizia Municipale per accertare l'osservanza

di tutti gli adempimenti previsti dalla normativa vigente in materia di servizi socio

assistenziali attraverso visite periodiche. Nei casi di gravi e ripetute violazioni di

legge, il Comune può disporre la chiusura dell'attività.

59 L'autocertificazione in materia antimafia per le società cooperative deve essere rilasciata dal

rappresentante legale a dagli eventuali altri componenti l'organo di amministrazione. Il socio è

chiamato a dichiarare che non sussistono nei propri confronti cause di divieto, di decadenza o di

sospensione di cui all'art.10 della Legge 31 maggio 1965 n.575 "Disposizioni contro la mafia".

37

CAPITOLO TERZO

L'ESPERIENZA ALL'AVANGUARDIA DEL COMUNE DI PARMA:

NODI DA SCIOGLERE E PROSPETTIVE FUTURE

3.1 L'Emilia Romagna: tendenze in atto

In linea con la tendenza registrata a livello nazionale, il fenomeno

dell'invecchiamento della popolazione rappresenta un trend rilevabile anche in

Emilia Romagna60

.

L'Emilia Romagna pur collocandosi tra le regioni italiane con la più alta

capacità di copertura del bisogno tramite interventi residenziali, negli ultimi anni

ha assistito alla nascita di nuove soggettività sociali promotrici di azioni per il

benessere dei cittadini e alla diffusione di servizi sempre più diversificati e

personalizzati. Un processo che ha dato vita a numerosi soggetti sociali in grado di

dare risposte innovative ai nuovi bisogni emergenti tenendo conto dell'impossibilità

di espandere ulteriormente la spesa pubblica.

In un contesto di crisi economica e sociale, che vede un maggior contenimento

degli interventi pubblici statali, l'iniziativa dei privati profit che decidono di aprire

delle Case Famiglia rivolte non più solo ai minori ma anche agli anziani, si colloca

nell'ambito di valorizzazione di un diverso spazio di intervento ad esse attribuito,

perseguendo il rilancio dell'efficienza dei servizi collettivi per la costruzione di un

nuovo welfare.

Anche in Emilia Romagna si assiste dunque, ad una profonda innovazione

organizzativa e culturale del sistema assistenziale che vede lo sviluppo di una rete

di servizi alternativi il cui spazio di azione si colloca tra lo Stato (ossia il pubblico)

60 Secondo gli ultimi dati Istat (2012), in Emilia Romagna gli anziani sono aumentati di 17.605

unità (+ 1,8%), arrivando al 22,5% della popolazione. Parte di questo incremento si concentra sui

grandi anziani (di 80 anni e più), che sono aumentati nel corso dell'anno del 2%, arrivando al

7,2% della popolazione. Di questi circa 2 su 3 sono femmine. Fonte: www.regione.emilia-

romagna.it

38

e il mercato61

. Non si tratta però di un mercato finanziario inteso in senso

tradizionale, bensì di un "mercato civile"62

all'interno del quale vi è una maggiore

attenzione alla valorizzazione della qualità delle relazioni sociali.

Quando si parla di Case Famiglia ci si trova di fronte ad una realtà per certi

versi giovane e forse proprio per questo estremamente dinamica63

. Nel Comune di

Parma, come vedremo, esse rappresentano un vero e proprio potenziale sociale per

il territorio, un settore in continua espansione che indica una direzione di

cambiamento nelle forme di erogazioni dei servizi assistenziali alternativi al

ricovero in istituto e segnano il passaggio progressivo da un sistema fondato sulla

dominanza della fornitura pubblica di servizi, ad un sistema misto che consente

maggiore competizione e pluralismo tra i diversi fornitori.

Colpisce la ricerca di soluzioni alternative da parte delle famiglie, un vero e

proprio rovesciamento storico rispetto alla cultura "familista" che ha sempre

caratterizzato il nostro Paese. Sicuramente il passaggio da un sistema in cui

prevalevano le cure familiari informali ad uno in cui sono sempre più rilevanti le

prestazioni rese da personale retribuito (siano operatrici delle Case Famiglia, siano

badanti), è rilevante in una Regione che registra il più alto tasso di occupazione

femminile d'Italia64

.

Nel contesto emiliano-romagnolo è maggiore la domanda espressa di servizi

alla persona per via di una serie di fattori che forse sono più evidenti rispetto ad

altri territori: vi è da un lato una maggiore propensione individuale o familiare ad

avvicinarsi ai servizi, dall'altro vi è una maggiore disponibilità di servizi in grado

di rispondere, almeno parzialmente, alle esigenze dei cittadini.

E' pur vero che la realtà delle Case Famiglia per anziani si è concentrata, nella

Regione, in contesti territoriali molto limitati, rimanendo sconosciuta in molte altre

zone. Parma, ad esempio, è l'unica Provincia che ha registrato un vero e proprio

61 A.C. Giorio, Impresa sociale, crisi e sussidiarietà "Osservatorio Isfol", I (2011), n. 3-4, pp. 45-

55. 62 P. Donati, Introduzione. Alla ricerca di ciò che rende "civile" la società, in P. Donati, I.

Colozzi (a cura di), La cultura civile in Italia: tra Stato, mercato e privato sociale, Il Mulino,

Bologna 2002. 63 www.veniteallafesta.org 64 Nel 2011 il tasso di occupazione femminile in Emilia Romagna era pari a 50,9%,

posizionandosi al di sopra della media italiana (47,2%). Fonte ISTAT.

39

"boom" di Case Famiglia per anziani ed è anche l'unica ad avere dettato norme in

materia, mentre a Bologna, Modena e Piacenza queste strutture sono addirittura

poco o per nulla conosciute, esse vengono definite attraverso l'utilizzo di una

varietà terminologica che attribuisce loro significati divergenti. Spesso con il

termine "casa famiglia" si indicano strutture che, invece, hanno caratteristiche

simili ma non equivalenti a quelle di una Casa Famiglia vera e propria.

3.1.1 Normativa regionale sulle Case Famiglia

In Emilia Romagna i requisiti e le procedure per l'autorizzazione al

funzionamento dei servizi socio sanitari e sociali sono stati definiti con delibera

della Giunta Regionale n. 564 del 200065

, così come previsto dall'articolo 35 della

Legge Regionale n. 2 del 2003 Norme per la promozione della cittadinanza sociale

e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi: "la Giunta

Regionale stabilisce con propria direttiva quali servizi e strutture sono soggetti

all'autorizzazione e quali sono soggetti alla comunicazione di avvio attività" (1°

comma), prevedendo altresì che lo stesso Consiglio Regionale stabilisca "con

propria direttiva le modalità di comunicazione di avvio attività per i servizi e gli

interventi non soggetti ad autorizzazione al funzionamento" (2° comma) tra i quali

rientrano le Case Famiglie.

Secondo il provvedimento regionale del 2000 le Case Famiglia, che accolgono

fino ad un massimo di sei ospiti, rientrano tra le strutture non soggette all'obbligo

di autorizzazione e per le quali il soggetto gestore è tenuto a comunicare il solo

avvio di tale attività (articolo 3), entro 60 giorni, al Comune del territorio

indicando, in conformità con quanto previsto dall'articolo 9 della delibera:

la denominazione e l'indirizzo esatto della sede in cui si svolge l'attività;

la denominazione, la natura giuridica e l'indirizzo del soggetto gestore;

il numero massimo (entro le sei unità) di utenti che possono essere

ospitati;

caratteristiche dell'utenza;

65 Direttiva Regionale per l'autorizzazione al funzionamento delle strutture residenziali e

semiresidenziali per minori, portatori di Handicap, anziani e malati di AIDS, in attuazione della

L.R. 12 ottobre 1998, n. 34. In Appendice A/2, p.78.

40

il numero e le qualifiche del personale che vi opera;

le modalità di accoglienza dell'utenza;

la retta richiesta agli ospiti o ai familiari.

Nei casi di inosservanza di tale obbligo la legge prevede sanzioni

amministrative per i gestori66

, mentre nei casi in cui, "a seguito di verifica disposta

dal Comune o dalla Regione, viene accertata l'assenza di uno o più requisiti minimi

o il superamento della capacità recettiva autorizzata, il Comune diffida il legale

rappresentante del soggetto gestore a provvedere al necessario adeguamento entro

il termini stabilito nell'atto di diffida"67

.

I requisiti minimi funzionali e strutturali e i requisiti generali riguardanti il

personale che opera all'interno di ciascuna Casa Famiglia sono i medesimi previsti

dal Decreto del Ministro per la Solidarietà Sociale n. 308 del 2001, la Delibera

Regionale 564 del 2000 ne stabilisce gli standard e le modalità.

L'articolo 8 introduce inoltre, l'obbligo di istituire, presso ciascuna

Amministrazione provinciale, un registro delle Case Famiglia, costantemente

66 Articolo 39, Legge n. 2 del 2003 prevede: "Chiunque apra, ampli, trasformi o gestisca una

struttura socio assistenziale o socio sanitaria di cui all'articolo35, senza avere ottenuto la

preventiva autorizzazione al funzionamento, è punito con la sanzione amministrativa da euro

2.000 ad euro 10.000. L'apertura, l'ampliamento, la trasformazione o la gestione di una struttura

socio assistenziale o socio sanitaria, o l'erogazione di un servizio, senza l'acquisizione della

prevista autorizzazione al funzionamento, comportano inoltre la chiusura dell'attività disposta con

provvedimento del Comune competente, che adotta le misure necessarie per tutelare gli utenti"

(1°comma). "Il gestore di struttura che, in possesso di autorizzazione al funzionamento, supera la

capacità ricettiva massima autorizzata, è punito con la sanzione amministrativa di euro 2.000 per

ogni posto che supera la capacità ricettiva autorizzata. In caso di violazione della capacità

ricettiva il Comune inoltre diffida il gestore a rientrare nei limiti entro un termine fissato"

(2°comma). "Il Comune può inoltre disporre la revoca o la sospensione dell'autorizzazione al

funzionamento, in relazione alla gravità della violazione, qualora accerti il venire meno dei

presupposti che hanno dato luogo al suo rilascio. Il provvedimento di revoca o sospensione deve

indicare gli adempimenti da porre in essere e la documentazione da produrre per riprendere

l'attività" (3°comma). "La decisione del gestore di interrompere o sospendere l'attività autorizzata

deve essere preventivamente comunicata al Comune che ha rilasciato l'autorizzazione. In caso di

inosservanza si applica la sanzione amministrativa da euro 1.000 ad euro 3.000 (4°comma). "In

caso di inosservanza dell'obbligo di denuncia di avvio di attività previsto all'articolo 37 si applica

la sanzione amministrativa da euro 300 ad euro 1.300" (5°comma).

67 Articolo 9, DGR 564 del 2000, in Appendice A/2, p.78.

41

aggiornato in seguito a qualsiasi provvedimento adottato dai Comuni competenti,

anche rispetto all'attività di vigilanza che quest'ultimi esercitano sulle singole

strutture. Tale Delibera rappresenta l'unico strumento normativo prodotto dalla

Regione Emilia Romagna che disciplina in poche e semplici righe alcuni degli

aspetti legati alla materia.

3.1.2 Intervista al Commissario UNEBA

"Parma è stata una città che da sempre si è caratterizzata per le sue importanti

scelte politiche indirizzate alla ricerca di soluzioni alternative alla residenzialità

classica".

Così il dottor Fabio Cavicchi, Commissario UNEBA68

per la Regione Emilia

Romagna, definisce la realtà all'avanguardia di questo Comune, che da anni

rappresenta un esempio per molte province di Italia in materia di Case Famiglia per

anziani. Il dottor Cavicchi è anche Direttore Generale della Fondazione Santa

Clelia Barbieri e, dunque, conosce bene la dimensione dei servizi socio

assistenziali del territorio.

La Fondazione nasce a Vidiciatico, nell' Appennino Bolognese, e gestisce una

pluralità di strutture che hanno come obiettivo quello di sostenere anziani e disabili

che, per le loro condizioni fisiche, psichiche o socio relazionali, non possono

rimanere nel loro ambiente familiare.

Essa opera attraverso l'erogazione di servizi differenziati e personalizzati,

secondo la tipologia di bisogno espresso: casa di riposo, casa protetta o centro

diurno. Ma tra le strutture più innovative che rientrano in questa ampia idea

progettuale vi è una residenza protetta rivolta ad anziani parzialmente

autosufficienti che comprende vari appartamenti aggregati, una casa famiglia e un

68 Unione Nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale. Sorge nel 1950 ed opera in molte

regioni d'Italia. Ad essa appartengono enti, istituzioni, associazioni, fondazioni, imprese sociali ed

altre realtà operanti del campo sociale, socio-sanitario ed educativo. UNEBA promuove le libere

iniziative assistenziali e la loro libera partecipazione alla programmazione in tutte le sue fasi;

rappresenta e tutela le associazioni e le iniziative associate nei loro rapporti con gli organi

legislativi, governativi ed amministrativi; approfondisce dei problemi sociali e promuove

iniziative di formazione per gli operatori sociali. Fonte: www.uneba.org

42

gruppo appartamento (appartenenti entrambi alla medesima unità strutturale), ossia

delle strutture socio assistenziali, di ridotte dimensioni, destinate ad anziani o

disabili autosufficienti o parzialmente autosufficienti. Esse consentono una

maggiore autonomia dell'ospite che, comunque, viene supportato dalla struttura

centrale.

Insomma, si tratta di un progetto che vuole sperimentare ed affiancare alle

strutture residenziali tradizionali, una serie di servizi innovativi all'interno del

sistema di assistenza.

Alla luce delle esperienze realizzate e delle sperimentazioni avviate nel settore

dei servizi residenziali per anziani e/o disabili, da parte della Fondazione, nel corso

dell'incontro con il dottor Cavicchi, sono emersi degli spunti operativi circa le

direzioni da intraprendere per rispondere in maniera sempre più efficiente ed

efficace alle nuove esigenze dell'attuale sistema socio assistenziale e socio

economico, ma sono sorte anche delle riflessioni sulla scarsa visibilità sociale e

legittimazione istituzionale di queste particolari tipologie di strutture dovuta, in

parte, all'assenza di una normativa regionale specifica sull'argomento, prendendo

atto che la Delibera Regionale n. 564 del 2000 non fornisce indicazioni dettagliate

sulle modalità di gestione né delle case famiglia, né dei gruppi appartamento69

.

Quali sono i motivi per i quali le Case Famiglia per anziani si sono

sviluppate, paradossalmente, in quelle regioni, come l'Emilia Romagna, che

godono di un sistema di welfare efficiente e dove vi è un'offerta estesa di

servizi tradizionali?

"Il settore dei servizi socio-assistenziali è un settore particolare, dove non è la

domanda (di servizi) che crea l'offerta ma succede esattamente il contrario: viene

creata l'offerta e a quel punto nasce la domanda. Quindi, se in un determinato

territorio si sviluppa la cultura di un servizio, questo viene offerto agli utenti

generando , di conseguenza, la crescente domanda di quello stesso servizio.

Creare dei servizi sempre più differenziati permette di cucire un vestito su

misura per ognuno. Non può esistere solo il centro diurno, l'assistenza domiciliare

69 Viene soltanto specificato il numero di ospiti che possono essere accolti all'interno delle

strutture (6), senza prevedere una chiara definizione dell'utenza ammissibile e dei livelli di

autosufficienza consentiti.

43

o la casa protetta. Non può esistere un unico contenitore dove metterci di tutto. I

servizi vanno differenziati e non eliminati. Le Case Famiglia, ad esempio, nascono

per rispondere ai bisogni di un target molto particolare di persone che, per le loro

condizioni, non necessitano di entrare in struttura ma non possono nemmeno

restare in casa".

Perché il Comune di Parma si è distinto fra tutti per aver introdotto delle

Linee Guida per la disciplina delle Case Famiglia?

"Il motivo è legato all'adozione di scelte politiche, da parte della classe

dirigente, mirate a potenziare una rete di servizi alternativi alla residenzialità

tradizionale che, da sempre, hanno caratterizzato questo Comune rispetto ad altri.

A Bologna, ad esempio, forse è mancata una scelta politica in tal senso".

Per quanto riguarda l'anziano in Casa Famiglia, egli può essere definito

come un soggetto istituzionalizzato?

"Dipende sicuramente dalle modalità con le quali queste strutture vengono

gestite. Se l'anziano viene sottoposto a stimoli che favoriscono le interazioni

sociali, la sua autonomia e indipendenza, aiutandolo a mantenersi il più attivo

possibile, ad esempio consentendogli di muoversi liberamente anche fuori dalla

struttura: fare una passeggiata, andare al bar ecc., allora non può essere

considerato istituzionalizzato in quanto le attività svolte quotidianamente

all'interno della struttura possono essere in parte assimilabili a quelle svolte nella

propria residenza".

Sarebbe opportuno, in futuro, pensare ad un possibile sistema di

accreditamento per le Case Famiglia?

"Sì, un possibile accreditamento delle Case Famiglia potrebbe essere

conveniente per far rientrare queste strutture nel pieno della rete di servizi".

Perché è così importante rientrare nella rete dei servizi?

44

"Essere in rete rafforza il valore del servizio quindi, per chi gestisce queste

strutture è penalizzante dover essere considerati al di fuori. Da qui l'importanza,

per queste strutture, di essere riconosciute a livello sociale ed istituzionale e

quindi, disciplinate".

La Regione ha mai pensato di prevedere una forma di accreditamento

anche per questa particolare tipologia di struttura?

"Sì, se ne parlava prima della crisi economica. La Regione aveva preso in

considerazione l'ipotesi di prevedere il libero accreditamento per le Case

Famiglia ma essa non si è mai concretizzata. Sicuramente, la realizzazione di

un'idea simile consentirebbe ai comuni di esercitare al meglio le proprie funzioni

di vigilanza e controllo".

Oggi, soprattutto per le esperienze più evolute come quella di Parma o Bologna,

quest'ultima conosciuta grazie alla testimonianza del dottor Cavicchi, diviene

fondamentale misurarsi con la necessità di creare un sistema di servizi alla persona

aperto alle trasformazioni richieste dai cambiamenti sociali ed economici in atto.

Ma, di fronte alle sfide dei nuovi scenari economici tutto appare più complicato e

salvaguardare ciò che i servizi socio assistenziali hanno saputo garantire finora è

già tanto.

La prospettiva futura di assorbire nel sistema di accreditamento regionale

strutture come le case famiglia o i gruppi appartamento potrebbe essere

fondamentale non solo per la qualità dell'assistenza, attraverso l'accertamento del

possesso e del mantenimento di una serie di requisiti strutturali ed organizzativi,

ma anche per garantire l'efficienza e la sostenibilità economica.

E' perciò doveroso per le regioni intervenire per rispondere alla crisi

economica, provando ad attribuire ai servizi socio assistenziali presenti sul

territorio il giusto riconoscimento, non eliminandoli ma valorizzandoli e provare a

rinsaldare il legame con le rispettive comunità.

45

3.2 L'esperienza innovativa del Comune di Parma

In molte città italiane le Case Famiglia per anziani rappresentano non solo una

risposta concreta per il territorio, ma anche il risultato di una realtà sociale in

continuo movimento.

Una tematica che, a Parma, ha acquistato rilevanza crescente, ponendosi in

misura sempre più insistente all'attenzione dei policy markers, a fronte

dell'incremento di soggetti privati che decidono di avviare questo genere di attività.

Nel giro di quindici anni, si sono costituite ben venti Case Famiglia, un vero e

proprio record per il Comune parmigiano, dove il tema di una innovazione

profonda del modello di servizi per gli anziani non è del tutto nuovo ma, da anni,

impegna le diverse amministrazioni comunali, attraverso l'adozione di scelte

politiche indirizzate alla ricerca di soluzioni alternative alla residenzialità classica,

tutte scelte guidate da un unico filo conduttore: la volontà di restituire dignità e

diritti agli anziani anche quando perdono la loro autosufficienza.

Si tratta di un processo che segna una nuova stagione delle politiche

assistenziali territoriali, fondato sull'idea che le regole del mercato, una volta

adattate ad un prodotto particolare quale è il servizio di cura, consentono

un'espansione del sistema di assistenza senza un aggravio eccessivo di costi per

l'amministrazione pubblica.

Sollevare l'attenzione delle istituzioni sul tema delle Case Famiglia permette un

miglioramento della qualità dell'assistenza da parte di chi lavora in questo settore

che, nella sua complessità, comprende insieme la dimensione assistenziale e quella

relazionale e, allo stesso tempo, consente lo sviluppo di azioni volte a migliorare la

qualità di vita di chi riceve le cure.

Nella città di Parma la domanda di questo tipo di servizio continua a crescere in

seguito all'aumentare della popolazione anziana e alle trasformazioni in atto dei

modelli familiari. Comprendere le ragioni e le prospettive della scelta di tante

famiglie che si sono rivolte a delle Case Famiglia, assume un significato ed una

dimensione assolutamente particolare in un comune come questo, ricco di servizi

"tradizionali" e opportunità di sostegno.

Se l'obiettivo di questi servizi alternativi è assicurare risposte più personalizzate

e più flessibili, più aderenti agli stili di vita e alle aspettative degli anziani, colpisce

ancora oggi, l'assenza di un'adeguata riflessione sulle condizioni degli anziani in

46

Casa Famiglia nel panorama politico nazionale e regionale. Al fine di colmare, in

parte, questo vuoto normativo, nella convinzione che solo attraverso un

investimento di risorse in questa direzione sia possibile perseguire obiettivi di

qualità e di vero benessere per gli anziani, il Consiglio Comunale di Parma, nel

2008, ha definito con Delibera n. 84/15 delle Linee guida per la disciplina, la

valorizzazione e la qualificazione delle Case Famiglia per anziani e per l'esercizio

delle attività di vigilanza e controllo70

che ne regolano il funzionamento e

declinano le funzioni amministrative e di vigilanza in capo all'Ente Pubblico

Locale.

Una normativa orientata a fornire ai gestori e, a chiunque voglia avviare

un'attività di questo tipo, un quadro di riferimento che mira a garantire la qualità

del servizio erogato. Dopotutto compito di un'amministrazione locale è proprio

quello di leggere i bisogni emergenti e ricercare nuove soluzioni che si adattino ai

cambiamenti sociali in atto, favorendo l'autonoma iniziativa dei privati, singoli e

associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.

Con l'introduzione delle Linee Guida viene definitivamente abolito il precedente

Regolamento per la vigilanza nelle strutture residenziali per anziani con un

numero di ospiti fino ad un massimo di sei denominate case famiglia del 2006.

Sicuramente esso si caratterizzava per una più immediata e diretta applicabilità

oltre che ad essere maggiormente vincolante ed incisivo rispetto alle attuali Linee

Guida le quali lasciano maggiore arbitrio di decidere il modo con cui operare per

adempiervi.

Secondo quanto stabilito dalle Linee Guida, le Case Famiglia, nate su iniziativa

privata, che operano sul Territorio Comunale di Parma, possono accogliere anziani

autosufficienti e/o che necessitano di bassa intensità assistenziale, certificata dal

Medico di Medicina Generale.

Ma come stabilire esattamente il livello di autosufficienza di un anziano?

Spiegare il concetto di autosufficienza risulta molto complesso poiché i criteri

di definizione utilizzati dalle singole regioni, in assenza di indirizzi legislativi

unitari a livello nazionale, sono molto eterogenei. In Emilia Romagna i parametri

utilizzati per individuare una persona autosufficiente vengono determinati

70 In Appendice C, p. 91.

47

dall'UVG71

attraverso l'utilizzo della scala BINA (Breve Indice di Non

Autosufficienza)72

.

Essere autosufficiente (o parzialmente) è dunque, condizione necessaria per

essere accolti in Casa Famiglia, ma cosa succede se le condizioni dell'ospite non

sono più compatibili con le caratteristiche proprie della struttura?

Nei casi di variazione o perdita dell'autosufficienza viene attivato

immediatamente il Medico Geriatra, secondo le modalità previste dalle Linee

Guida e, laddove venga accertata la non compatibilità dell'anziano, "verrà

assegnato alla Casa Famiglia un termine idoneo al trasferimento dell'ospite". Il

Comune "in caso di comprovate gravi carenze che possano pregiudicare la

sicurezza dell'ospite" può procedere alla diffida del legale rappresentante,

invitandolo a "provvedere al necessario adeguamento entro il termine stabilito

nell'atto di diffida".

3.2.1 Elementi amministrativi ed organizzativi previsti dalle Linee Guida

Come ampliamente descritto nel capitolo secondo, per i soggetti privati che

intendono aprire una Casa Famiglia per anziani, l'iter burocratico da seguire è

simile a quello previsto per l'avviamento di una qualsiasi altra attività commerciale

(ad esempio un bar).

Il primo passo da compiere è recarsi al Settore Sportello Unico Impresa Edilizia

del Comune di Parma, quale referente per tutte le pratiche amministrative e

principale sportello informativo al quale comunicare l'avvio dell'attività (entro 60

71 Unità di Valutazione Geriatrica, un'equipe multiprofessionale, composta da un medico geriatra,

un infermiere e un'assistente sociale, incaricata di valutare le condizioni di bisogno del soggetto, il

suo livello di non autosufficienza e di elaborare un Programma Assistenziale Individualizzato

(PAI). 72 BINA è una scala di disabilità che analizza 10 items, ognuno dei quali dotato di 4 modalità

ordinate e di un punteggio, che indica la gravità della disabilità. Gli items sono: medicazioni,

necessità di prestazioni sanitarie, controllo sfinterico, disturbi cognitivi e/o comportamentali,

funzioni del linguaggio, deficit sensoriali, mobilità, attività della vita quotidiana, fattori abitativi e

ambientali, stato della rete familiare e sociale. Il valore dell'indice corrisponde al punteggio totale

riportato nella valutazione, tale valore va confrontato col valore soglia, pari a 230. Sono

considerati non autosufficienti i soggetti con punteggio superiore a 230.

48

giorni) e fornire tutti gli allegati previsti (scheda tecnica73

, planimetria e carta dei

servizi), che provvederà a trasmettere la documentazione alla Struttura Operativa

Anziani, copia della Comunicazione di Inizio Attività verrà trasmessa ai Nas,

all'Ispettorato del Lavoro e all'Azienda USL. Ogni anno tutte le C.I.A. vengono

inviate alla Provincia, che detiene un registro delle case famiglia74

come da

adempimento normativo, tramite la compilazione di un apposito modello a ciò

predisposto75

.

Per il Comune invece è previsto l'obbligo di tenere un elenco aggiornato delle

Case Famiglia attive contenente la denominazione della struttura, l'indirizzo, il

nominativo del legale rappresentante e le rispettive C.I.A., si tratta di un elenco

pubblico e quindi accessibile ad ogni cittadino che può richiederlo in qualsiasi

momento.

Una procedura dunque, molto snella e celere che sicuramente avvantaggia i

gestori la cui attività viene però sottoposta a regolare controllo e vigilanza, non

solo da parte dell'Ente Pubblico ma anche da parte dell'Azienda USL, dei Nas e

dell' Ispettorato del Lavoro.

Il Comune, secondo quanto previsto dalle Linee Guida, è chiamato ad

effettuare, almeno due volte all'anno, delle verifiche a sorpresa presso le strutture

avvalendosi di un gruppo tecnico di sopralluogo, composto solitamente da

un'assistente sociale coordinatrice del Polo Territoriale di riferimento, una RAA76

e

un referente infermieristico dell'USL, che provvederà alla compilazione del

73 Il Comune di Parma ha predisposto un apposito modello di scheda tecnica da compilare in

regime di autocertificazione da parte dei soggetti gestori di attività socio assistenziale denominate

Case Famiglia. Tale strumento certifica i requisiti strutturali ed organizzativi, ossia la tipologia

dell'immobile, la capacità ricettiva complessiva, il rispetto delle norme contrattuali, assicurative e

previdenziali previste per la stipula dei contratti di lavoro dei dipendenti, la presenza del Medico

di Medicina Generale, la presenza di un coordinatore responsabile, l'adozione della carta dei

servizi e di un registro degli ospiti con l'indicazione dei piani individualizzati di assistenza e ogni

altro requisito previsto dal D.M. del 21 maggio 2001 n. 308. 74 Come previsto dall'articolo 8 della D.G.R. 564 del 2000. 75 Per le comunicazioni di avvio attività il modello è: "Mod.DEN1" allegato alla D.G.R. 564 del

2000. In Appendice B, p. 90. 76 Responsabile delle Attività Assistenziali la cui presenza è prevista dal DGR 1378 del 1999; il

DGR 564/2000 inoltre, inserisce la R.A.A. fra il personale addetto alle funzioni socio-

assistenziali, socio-sanitarie ed educative.

49

cosiddetto Modulo di Sopralluogo Congiunto, ossia un modello prestampato

all'interno del quale vengono trascritti tutti i dati riportati nel registro degli ospiti

(estremi anagrafici di ciascun ospite, recapito telefonico del familiare referente,

nominativo del Medico di Base, data di ingresso dell'ospite nella struttura e data di

dimissione, se presente). Tale modulo viene compilato in tutte le sue parti, in base

alle rispettive competenze, dai seguenti organi:

al Dipartimento Igiene Pubblica competono gli aspetti strutturali

(adeguatezza delle stanze e del bagno, modalità di preparazione e

conservazione degli alimenti, numero dei posti letto per ciascuna

camera, esistenza di barriere architettoniche, adeguatezza degli arredi,

pulizia degli ambienti);

al Dipartimento Cure Primarie dell'Azienda USL competono gli aspetti

medico infermieristici (esame della cartella infermieristica, del diario

clinico, della scheda terapica, della scheda dietetica);

alla Direzione Programma di Geriatria Territoriale competono gli

aspetti geriatrici (livello di autonomia, stato psichico, ecc.);

ai Servizi Sociali competono gli aspetti organizzativo/funzionali

(numero degli operatori e presenza di documentazione che ne attesti il

tipo di qualifica, presenza dell'infermiere professionale, presenza del

registro e delle schede informative degli ospiti, presenza dei Piani

Assistenziali Individualizzati) e gli aspetti socio assistenziali (presenza

di attività di socializzazione/animazione e di interventi finalizzati al

miglioramento della qualità della vita).

Il verbale di sopralluogo viene rimandato al Dirigente del Settore Welfare e

inviata una copia a tutti gli altri soggetti coinvolti.

Scopo dei sopralluoghi, oltre a rilevare eventuali elementi di positività o

criticità relativi all'attività assistenziale posta in essere dalla struttura, è verificare

lo stato di funzionamento dell'intera organizzazione, individuare eventuali

problematiche (espresse e non), assicurarsi che ogni gestore conservi in maniera

accurata tutta la documentazione cartacea predisposta per ciascun ospite, raccolta

in sede di accoglimento della domanda (vedi tabelle 1 e 2).

50

Tabella 1. Cartella infermieristica: principali elementi rilevati

Denominazione e indirizzo della Casa Famiglia

Caratteristiche dell'ospite:

1) dati anagrafici

2) data di ingresso e provenienza (domicilio o ospedale)

3) familiari di riferimento

4) uso di ausili, presidi antidecubito, mezzi di contenzione

5) modalità di alimentazione

6) tipo di dieta

7) eliminazione urinaria e fecale

Anamnesi:

1) familiare

2) patologica remota

3) patologica attuale

4) farmacologica

Diario clinico medico

Scheda di terapia

Diario di assistenza socio sanitaria integrata

La tabella 1 contiene i principali dati che vengono registrati all'interno della

cartella infermieristica, uno strumento organizzativo imprescindibile per

ottimizzare e sistematizzare le informazioni riguardanti l'intero processo

assistenziale, tenuto costantemente aggiornato in base alle condizioni cliniche

dell'ospite che col tempo possono modificarsi.

51

Tabella 2. Scheda informativa sull'attività di vita dell'ospite per il

mantenimento del suo benessere

Dati relativi all'ospite

estremi anagrafici

stato civile

attività lavorativa precedentemente svolta

medico curante (recapito telefonico, indirizzo ambulatorio)

generalità dei familiari di riferimento

certificazione dell'invalidità di accompagnamento

data di ingresso (temporaneo o a tempo prolungato)

Abitudini di vita dell'ospite

orari

attività della mattina e del pomeriggio

attitudine a stare da solo o in compagnia

capacità di esprimere i propri bisogni/necessità/preferenze

principali argomenti di conversazione

attività proposte poco gradite

abitudini alimentari

frequenza delle visite ricevute e/o uscite con familiari e/o amici

Indicazioni dei familiari in caso di eventi urgenti o straordinari

riguardanti lo stato di salute dell'ospite

OBIETTIVI realistici

che gli operatori della casa famiglia si propongono di

raggiungere per il benessere dell'ospite

I dati contenuti nella scheda illustrata nella tabella 2 rappresentano

un'importante fonte informativa sia per il gestore, sia per le operatrici che

forniscono l'assistenza, sia per il gruppo tecnico di sopralluogo in quanto, oltre alle

classiche notizie anagrafiche, fornisce una serie di notizie sulla rete di relazioni

familiari alla quale fare riferimento, ma soprattutto consente di attivare un processo

di conoscenza dell'anziano: carattere, abitudini, gusti, legami familiari e sociali al

fine di indirizzare le risorse interne alla casa famiglia al corretto mantenimento e

52

recupero dell'anziano nella sua interezza preservando e, se possibile, ripristinando

le condizioni funzionali, cognitive e relazionali eventualmente compromesse.

La cartella infermieristica e la scheda informativa vanno aggiornate in maniera

continuativa e sistematica in modo da poter in ogni occasione, ricostruire il

percorso dell'ospite per evitare eventuali anomalie (relative all'incompleta

compilazione delle cartelle sanitarie o all'assenza dei piani assistenziali

individualizzati).

Determinante è dunque il ruolo dell'Ente Pubblico e dell'azienda USL nel

monitorare i continui cambiamenti in atto in modo da garantire costantemente la

tutela e la sicurezza dell'anziano e la qualità del servizio.

3.2.2 Case Famiglia: un business o una risorsa per il territorio?

Parma da sempre si è distinta per aver svolto un ruolo di primo piano, nel

panorama nazionale, nel proporre assetti territoriali di intervento nel settore delle

Case Famiglia. Una tematica complessa, frutto di numerosi dibattiti nello scenario

politico della città, ma anche così nuova e inesplorata, non tanto in termini di

prestazioni erogate ma in termini di impatto sulla comunità locale.

In passato non sono mancati episodi che hanno visto affiorare accuse pesanti nei

confronti delle Case Famiglia. Un esempio è la dichiarazione resa dal Segretario

Generale Cgil di Parma pubblicata sulle pagine di un giornale locale il 3 luglio

dello scorso anno:

"assistiamo alla crescita del fai da te nei servizi rivolti agli anziani [...]

continuano a spuntare case famiglia con offerte, a detta dei nuovi imprenditori,

pari alle "residenze assistite". Eppure noi sappiamo bene che queste strutture sono

fuori dal sistema di assistenza, non hanno regole (tranne un timido regolamento

del Comune di Parma). Insomma ancora una volta si è scoperto che gli anziani

possono diventare un business anche facendo leva sull'attuale difficoltà delle

famiglie a sostenere costi e a trovare risposte immediate"77

.

77 www.gazzettadiparma.it

53

Una dura affermazione che fa ben comprendere quali siano ancora i nodi da

sciogliere all'interno del dibattito nel panorama politico e sociale parmigiano sulle

Case Famiglia considerate ancora fuori dal sistema di welfare. Eppure sono tanti i

professionisti che con competenza agiscono nel controllo all'interno delle

abitazioni che ospitano gli anziani, il lavoro del Comune è un lavoro costante come

dimostra una dichiarazione resa nel 2008 dall'Assessore alle Politiche Sociali in

occasione di un blitz da parte dei Nas che portò a disporre l'immediata cessazione

dell'esercizio dell'attività socio assistenziale di una casa famiglia:

"chiudere le strutture che non rispettano i criteri minimi imposti dalla legge per

salvaguardare i soggetti che dovrebbero aiutare, serve anche a valorizzare la

professionalità di tanti operatori del sociale, pubblici e privati, che fanno i salti

mortali per dare un servizio adeguato ai bisogni delle persone. E sono tanti in

città"78

.

Sono tante le persone che considerano queste strutture un'importante risorsa per

la città, un vero potenziale sociale da valorizzare e sempre più numerosi anche i

cittadini che usufruiscono di questo particolare servizio che, nonostante le critiche,

è molto lontano dalla cultura del "fai da te", bensì si tratta di un'attività normata da

leggi nazionali e delibere regionali in base alle quali il Comune esercita attività di

vigilanza. Come poter trascurare o sottovalutare un aspetto così rilevante?

Ciò non esclude l'opportunità di pensare a possibili percorsi evolutivi a livello

normativo, a livello burocratico e a livello formativo che si possono tradurre in

forme di sensibilizzazione o in azioni volte a favorire il radicamento sul territorio

di un'effettiva cultura delle case famiglia, intese come strumento di arricchimento

del tessuto sociale e come un'opportunità per accrescere il benessere della

comunità.

In quest'ottica pensare ad un business delle Case Famiglia per anziani non

pregiudica la possibilità di offrire delle risposte concrete e di qualità ai bisogni

emergenti.

Un sistema mosso dalle logiche del mercato ma, in molti casi in grado di

garantire efficacia in termini di benessere per chi riceve le cure e di soddisfazione

78 www.parma.repubblica.it

54

per l'utente. Una formula organizzativa che si inserisce nel pieno del mercato di

servizi alla persona riuscendo a valorizzare anche l'autonoma iniziativa dei privati e

a promuovere la diffusione di esperienze innovative per riformare il sistema dei

servizi. Includere le Case Famiglia nella rete dei servizi, prevedendo in futuro

l'ipotesi di un possibile accreditamento, potrebbe risultare un ulteriore passo verso

modalità operative più dirette con l'Ente Pubblico e verso una nuova stagione di

rapporti, di reciproco riconoscimento di ruoli e collaborazione tra le parti.

3.3 Brevi dati quantitativi sugli anziani in Casa Famiglia

La città di Parma, in linea con il trend registrato nel resto d'Italia, negli ultimi

dieci anni ha assistito ad un aumento della popolazione anziana che, al 2012

contava 41.315 anziani con sessantacinque anni e più (di questi oltre la metà sono

donne), su una popolazione totale di 175.842 residenti79

.

Parallelamente è cresciuta la domanda di servizi alla persona che si esprime

solo limitatamente in contesti residenziali o semiresidenziali di natura privata,

riscontrando una netta prevalenza di richieste di intervento pubblico.

Dai dati istituzionali non emergono particolari informazioni circa le risposte ai

bisogni di cura della popolazione anziana fornite dalle Case Famiglia, le quali,

ancora oggi, restano escluse dalle rilevazioni e dalle documentazioni sui presidi

socio assistenziali.

Vi è una carenza di informazioni e dati quantitativi sul tema che non permette di

avere un quadro sintetico e globale né a livello nazionale, né a livello regionale,

sulla diffusione di queste strutture, sul loro utilizzo e sulla tipologia di ospiti

accolti.

La progressiva espansione di queste strutture necessiterebbe di un'analisi

approfondita sul fenomeno con il proposito di raccogliere indicazioni utili ai fini

della programmazione sociale e dati necessari per monitorare al meglio i bisogni

dell'anziano in Casa Famiglia, in vista anche di un futuro possibile aumento della

richiesta di questo servizio.

Grazie alle informazioni raccolte dagli archivi del Comune di Parma- all'interno

della Struttura Operativa Anziani- è stato possibile elaborare una serie di dati sulla

79 Dati Istat registrati al 1° Gennaio 2012.

55

composizione per sesso, età e luogo di provenienza di tutti gli ospiti accolti. Ciò ha

consentito di formulare un quadro sintetico e generale sulle principali

caratteristiche degli anziani assistiti nelle Case Famiglia di Parma, seppur in

riferimento ad una dimensione territoriale molto ristretta rispetto al panorama

nazionale.

Al 22 aprile 2013 risultavano iscritte all'elenco comunale 20 Case Famiglia, la

cui titolarità è interamente in carico a soggetti privati profit. Come si evince dalla

tabella 3, la gestione delle strutture è affidata, nella quasi totalità dei casi, a

cooperative sociali (80%), mentre per una porzione ristretta di gestori la scelta

della forma giuridica da adottare ricade sull'associazione o sull'impresa individuale

(vedi paragrafi 2.2.2 e 2.2.3).

Tabella 3. Tipologie di forme giuridiche delle Case Famiglia

Natura

Giuridica

del Gestore

Natura Giuridica

della Casa Famiglia

Profit

Cooperative

Sociali

80%

Associazioni

10%

Imprese

Individuali

10%

All'interno di queste abitazioni vengono ospitati in tutto 101 anziani80

, di cui 82

donne e 19 uomini. Molto sbilanciato il rapporto tra i generi: la componente

femminile risulta prevale su quella maschile, costituendo oltre l'80% dell'intero

collettivo (vedi grafico 1). Le donne vivono di fatto più a lungo e spesso hanno una

rete familiare già rarefatta (per la morte del coniuge). Motivi questi, che facilitano

la richiesta di un servizio residenziale.

80 Dato aggiornato al 31 aprile 2013.

56

Grafico 1 Anziani assistiti in Casa Famiglia per sesso

0

20

40

60

80

100

120

Femmine Maschi Totale

FEMMINE

MASCHI

TOTALE

Un altro elemento analizzato per descrivere la composizione della popolazione

ospitata in Casa Famiglia è l'età. Il primo dato che emerge è l'esistenza di una

porzione molto elevata di persone "molto anziane" (vedi grafico 2). Oltre l'80%

degli anziani ha più di ottant'anni. L'età media calcolata, per entrambi i sessi, è pari

a 88 anni. Dal grafico si desume che la maggiore età è indicatore della propensione

all'ingresso in Casa Famiglia, si hanno infatti 24 anziani con età compresa tra 76 e

85 anni, 54 anziani compresi nella fascia d'età tra 86 e 95 anni (fascia d'età col più

alto numero di anziani), ben 17 anziani hanno più di 96 anni, mentre un numero

ridotto di anziani ha un' età relativamente più giovane, compresa tra 64 e 75 anni.

Grafico 2 Anziani assistiti in Casa Famiglia per classe d'età

0

10

20

30

40

50

60

Femmine Maschi TOTALE

da 64 a 75 anni

da 76 a 85 anni

da 86 a 95 anni

96 e più anni

57

Un ultimo aspetto di cui si è tenuto conto nel processo di elaborazione dei dati

interessa il luogo di provenienza degli anziani che vivono stabilmente in Casa

Famiglia. Come sappiamo, contrariamente a quanto avviene per le strutture gestite

dagli Enti pubblici, dove la residenza nel comune di riferimento è requisito

fondamentale per godere di un servizio, la Casa Famigli accoglie anche anziani non

residenti. Ciò favorisce la domanda di assistenza da parte di quelle famiglie che

vivono nei comuni limitrofi, consentendo loro di avere il proprio parente anziano

vicino. Vi è infatti un buon 17,80% di ospiti non residenti a Parma. (vedi grafico

3).

Grafico 3

Purtroppo i dati disponibili non contenevano informazioni sullo stato civile

degli ospiti e sulla situazione familiare che ha preceduto l'ingresso in struttura

(numero di figli, condizione lavorativa). L'unico dato certo è che gli ospiti delle

Case Famiglia non sono anziani soli e quindi privi di appoggi familiari, ma sono

anziani i cui familiari, pur essendo presenti, incontrano difficoltà logistiche,

organizzative o di altro tipo che rendono troppo oneroso il compito di assistenza.

Del resto il 90% delle richieste che arrivano ai gestori provengono dalle

famiglie.

3.4 Interviste ai gestori: principali aspetti rilevati

Il paragrafo contiene i risultati di una serie di interviste realizzate presso sei

Case Famiglia per anziani del Comune di Parma, e somministrate ai relativi gestori

58

o rappresentanti legali, con l'obiettivo di conoscere gli attuali scenari e il contesto

in cui esse si collocano. La scelta dei gestori da intervistare è avvenuta in maniera

casuale attingendo dall'elenco pubblico del Comune. I dati raccolti hanno

consentito di delineare un quadro d'insieme dell'organizzazione e della gestione di

queste strutture e conoscere a fondo il punto di vista di chi le gestisce.

Risposte inevitabilmente legate al quadro di riferimento dell'intervistato,

secondo la prospettiva dettata dal ruolo che egli ricopre. Tuttavia, alcuni temi

comuni emergono con una certa chiarezza. L'idea di base è formulare delle

metodiche assistenziali alternative attraverso un'adeguata lettura dei bisogni.

Le interviste si sono incentrate su sei principali aree tematiche: Caratteristiche

del gestore, la richiesta del servizio e il suo utilizzo, caratteristiche dell'ospite,

personale coinvolto, prestazioni e servizi, informazione e pubblicità.

1. CARATTERISTICHE DEL GESTORE

"È più facile aprire una casa famiglia che un bar; il procedimento burocratico

è semplicissimo e veloce, l'idea è nata da una lunga esperienza nel settore

dell'assistenza agli anziani"

Ecco alcune delle espressioni utilizzate più frequentemente per spiegare i motivi

che hanno spinto i vari gestori ad avviare le loro attività.

Chi decide di aprire una Casa Famiglia ha già lavorato nel settore

dell'assistenza, molte case famiglia nascono da anni di esperienza all'interno di

cooperative sociali o associazioni di volontariato per poi arrivare a destinare parte

del proprio lavoro alla gestione di locali (civili abitazioni nella maggior parte dei

casi in affitto) idonei a svolgere attività di assistenza agli anziani. In altri casi, i

soggetti intervistati hanno deciso di costituire delle associazioni o cooperative

proprio con lo scopo di dare vita a delle case famiglia, determinando la scelta da

parte dei soci di:

"sporcarsi le mani in prima persona collaborando nella gestione pratica della

struttura".

59

Secondo la normativa vigente, non sono previsti particolari requisiti o titoli per

i soggetti che intendono avviare l'attività commerciale in essere, come affermano

gli stessi gestori:

"chiunque può aprire una casa famiglia".

Un altro aspetto, questo, a vantaggio dei gestori che, nell'esercizio della loro

attività, seppur non godono di nessun finanziamento o forma di convenzione con

l'Ente pubblico, si trovano a dover affrontare un iter amministrativo e burocratico

estremamente semplificato.

2. LA RICHIESTA DEL SERVIZIO E IL SUO UTILIZZO

La richiesta di accesso in casa famiglia arriva dalle famiglie o dall'anziano in

prima persona? A questa domanda gli intervistati hanno dato una risposta comune:

"La decisione di ricorrere alla casa famiglia è in ogni caso una decisione

condivisa con l'anziano, ma la richiesta viene sollecitata il più delle volte dalla

famiglia della persona assistita. Raramente è l'anziano a contattare la struttura

chiedendo informazioni specifiche sul servizio".

La domanda nasce dalla presenza di un insieme di bisogni sociali e assistenziali

a cui le famiglie non ritengono più di essere in grado di rispondere o che non

intendono più sostenere. Secondo la percezione di molti gestori, i principali motivi

che spingono le famiglia ad utilizzare il loro servizio, sono:

"le famiglie non trovano un supporto nella rete pubblica dei servizi il cui

accesso è sempre più selettivo, mancano i posti e le liste di attesa sono troppo

lunghe", "l'anziano ha rifiutato più volte la presenza della badante in casa

propria". "Negli ultimi due anni le famiglie si sono allontanate dall'uso delle

badanti che faticavano a gestire e con le quali si hanno spesso esperienze negative,

preferendo altre soluzioni".

60

In effetti la spesa media mensile sostenuta dalle famiglie che assumono una

badante regolarmente è molto elevata. Inoltre, la presenza del riposo giornaliero e

settimanale, la concessione di ferie e permessi spingono le famiglie a cercare

soluzioni alternative che garantiscano una copertura completa, per tutto l'anno.

Per queste ragioni la Casa Famiglia si pone come la giusta soluzione intermedia

per accogliere anziani che, come emerge da una particolare affermazione:

"non possono essere inseriti in struttura, ma non possono nemmeno stare a

casa propria a causa del bisogno di assistenza continua"

La Casa Famiglia, come è emerso dalle risposte date dai gestori, non sempre è

la soluzione definitiva per l'anziano, essa può rappresentare anche una soluzione

temporanea, ad esempio nei casi in cui l'anziano sia in attesa di entrare in una

struttura residenziale pubblica. Le richieste di sistemazioni provvisorie sono più

frequenti nei mesi estivi, mentre in nessun caso vengono accettate richieste di

accoglienza diurna. Secondo il punto di vista di molti gestori:

"la casa famiglia non dovrebbe essere un posto transitorio, sarebbe

controproducente rompere gli equilibri creati".

Per l'ospite che vive stabilmente nella Casa Famiglia, trattandosi di struttura

privata (e non di domicilio privato), è prevista l'apertura della convivenza

anagrafica81

che permette di conoscere le persone che convivono nell'abitazione,

consentendo comunque, all'ospite di mantenere la residenza presso il Comune di

riferimento.

Un ultimo aspetto emerso dalle testimonianze dei gestori riguarda il costituirsi

di liste di attesa per l'ingresso in Casa Famiglia. Un dato inaspettato per questa

tipologia di struttura ma, a quanto pare, esistente:

81 L'articolo 5 del DPR 223/1989 stabilisce: agli effetti anagrafici per convivenza s’intende un

insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di

pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune.

61

"è capitato di dover gestire delle liste di attesa, dover quindi, valutare diverse

richieste giunte in casa famiglia. In ogni caso si predilige l'ordine di bisogno

tenendo conto di criteri di priorità temporali solo se i casi sono paragonabili."

3. CARATTERISTICHE DELL'OSPITE

Il livello di autosufficienza degli ospiti, quale condizione fondamentale per

accedere in Casa Famiglia (riconosciuto dal servizio sanitario), è una delle

caratteristiche più attentamente seguite in quanto la tipologia di autosufficienza

determina lo sviluppo del lavoro e della proposta dei servizi della struttura che

devono essere impostati in funzione delle caratteristiche degli ospiti.

I parametri dei servizi forniti dalla Casa Famiglia non sono compatibili con la

condizione di non autosufficienza perciò, se si dovesse valutare un peggioramento

delle condizioni di salute dell'ospite, il gestore è tenuto ad informare i familiari,

consigliando di rivolgersi ai Servizi Sociali Territoriali, al fine di procedere con le

dimissioni dell'ospite e trovare una soluzione alternativa. Rispetto al tema

dell'autosufficienza, molti gestori ritengono che vi sia:

"una carenza nelle Linee Guida riguardo alla definizione del concetto di

autonomia e autosufficienza".

I rapporti familiari e con il contesto sociale più ampio sono un altro aspetto

trattato all'interno dell'intervista e condiviso con i gestori.

L'anziano in Casa Famiglia mantiene costanti i rapporti con i propri familiari,

che possono andarlo a trovare in ogni momento della giornata (la struttura in alcuni

casi suggerisce degli orari in modo da rispettare le esigenze organizzative tipiche di

una struttura comunitaria), ma anche con il territorio attraverso uscite o passeggiate

nel quartiere in totale autonomia . Rispetto a quest'ultimo punto qualche gestore

aggiunge:

"la nostra struttura prevede un'autorizzazione da parte dei familiari che si

fanno carico di ogni responsabilità nei casi di uscite esterne dell'anziano".

62

Per quanto è possibile, i gestori fanno in modo che gli anziani mantengano

all'interno della struttura le loro abitudini consentendo di avere il massimo

dell'autonomia fisica e sociale. L'anziano è libero di muoversi entro e fuori dalla

casa. Rimangono però rigidi gli orari dei pasti. Secondo i gestori,

"assicurare un contesto che salvaguardi l'indipendenza dell'ospite, evitando

l'isolamento e stimolando interessi, contribuisce a non far vivere all'anziano quel

processo di spersonalizzazione tipico di quelle strutture che ospitano un numero

elevato di utenti".

e aggiungono:

"confrontarsi con un numero ristretto di persone aiuta l'anziano a sentirsi come

in una famiglia, mentre in un contesto più ampio l'anziano rischia di diventare un

numero ed è anche maggiore il rischio di rapportarsi con la malattia".

Proprio per la sua particolare organizzazione, la Casa Famiglia prevede lo

svolgimento di attività quotidiane (di animazione, gioco, giardinaggio,

collaborazione in cucina), nel rispetto delle abitudini di vita dell'ospite, tipiche di

un contesto familiare. Emerge, invece una certa difficoltà da parte dei gestori, ad

organizzare attività esterne, come passeggiate in gruppo, visite ai parchi o ai musei

della città. Quando si è chiesto ai gestori di indicare eventuali attività esterne

realizzate, in molti hanno risposto:

"le uniche attività esterne vengono garantite grazie ad un servizio di trasporto

che ci permette di accompagnare gli ospiti per soddisfare ogni tipo di necessità,

possono essere accompagnati in chiesa, dal parrucchiere, in ospedale ecc.".

4. PERSONALE COINVOLTO

All'interno della Casa Famiglia opera personale professionalmente preparato e

formato attraverso esperienze lavorative maturate nel settore dell'assistenza o in

possesso di specifiche qualifiche82

.

82 Come previsto dall'articolo 5 della DGR 564/2000, in Appendice A/2, p.78.

63

"Come previsto dalle stesse Linee Guida del Comune, tutto il personale ha una

lunga esperienza nell'assistenza agli anziani, come badante o altro" afferma un

gestore.

Solitamente viene impiegato un infermiere libero professionista che assicura

una presenza giornaliera nella preparazione e somministrazione della terapia e

collabora con il medico curante segnalandogli eventuali variazioni sullo stato di

salute di ciascun ospite. L'assistenza infermieristica ed eventuali altre prestazioni

fornite dalle diverse figure sanitarie di base (fisioterapista, tecnico della

riabilitazione), messe a disposizione dalla struttura sono comprese nella retta

mensile. Tutti gli ospiti sono sottoposti a visita specialistica geriatrica all'ingresso e

periodicamente, mentre l'assistenza medico generica è data ad ognuno dal proprio

medico di base che può partecipare alla stesura del piano assistenziale e

all'aggiornamento della cartella socio assistenziale. Per molti gestori questo è un

aspetto molto importante

"per il bene dell'anziano e in virtù del rapporto di fiducia creato negli anni con

il proprio medico".

Ma le figure più a diretto contatto con gli anziani, che si occupano

materialmente della soddisfazione delle loro necessità, sono le operatrici

assistenziali che assicurano una presenza continuativa nelle 24 ore (organizzata su

turni). Esse coordinano le attività e collaborano nella gestione della casa.

In molte Case Famiglia si tratta di semplici collaboratrici dal cui curriculum

professionale si evince un'esperienza pluriennale (la normativa prevede almeno un

anno di esperienza) nell'ambito dell'assistenza a persone anziane autosufficienti e

valutate anche in base alla capacità e attitudine a sostenere l'anziano.

Sono altrettanto numerose le Case Famiglia che si affidano a personale con

qualifica di OSS o di Assistente di Base. La loro attività è tesa ad assicurare il

soddisfacimento dei bisogni primari di assistenza e di igiene personale, collaborano

ad attività finalizzate al mantenimento delle capacità psicofisiche residue,

favoriscono l'autonomia del soggetto attraverso l'erogazione dell'aiuto domestico,

64

la fornitura dei pasti e della biancheria, l'aiuto nella deambulazione e nella

somministrazione dei farmaci.

Infine, ciascuna Casa Famiglia può avvalersi della disponibilità di volontari

occasionali e di una figura qualificata in attività di animazione al fine di favorire la

socializzazione e il mantenimento di capacità cognitive e manuali.

5. SERVIZI E PRESTAZIONI

Tutte le prestazioni assistenziali, infermieristiche, sanitarie e di socializzazione

svolte all'interno del contesto comunitario della Casa Famiglia sono volte a

mantenere le capacità residue dell'anziano, a prevenire eventuali rischi e ad

alleviare lo stato di dipendenza. Ciascuna sceglie autonomamente la tipologia di

prestazioni o servizi che intende erogare e se attivare o meno delle prestazioni

extra, non comprese nella retta. Sono prestazioni comuni a tutte le case famiglia

che rientrano nelle attività di bassa intensità assistenziale previste per queste

strutture:

prestazioni di tipo domestico:aiuto nell'igiene personale, nella

vestizione;

prestazioni di tipo alberghiero: vitto, alloggio, servizi di biancheria e

lavanderia;

assistenza diurna e notturna;

assistenza infermieristica professionale: interventi infermieristici

tecnici, iniezioni e prelievi, medicazioni e altro;

attività di socializzazione e di stimolazione psicosociale;

servizio di ristorazione (nel rispetto di eventuali diete personalizzate).

A discrezione del gestore possono essere garantiti servizi aggiuntivi di

trasporto, di accompagnamento a visite specialistiche, di assistenza psicologica. Vi

sono Case Famiglia che, in casi particolari, prevedono interventi di assistenza

domiciliare83

organizzati dalle AUSL e attivati dal medico di base.

83 Vedi articolo 15, Legge 328 del 2000 in Appendice A/1, p.70.

65

Per garantire la qualità delle prestazioni e dei servizi sopra elencati è

indispensabile scegliere il posto adatto ossia un'abitazione dotata di locali disposti e

arredati in modo da favorire un facile utilizzo, un'ampia sala comune e servizi

igienici dotati di tutti gli ausili necessari per gli ospiti con difficoltà motorie. Gli

stessi gestori hanno definito le loro case famiglia "un nido", ossia un luogo

confortevole e sicuro.

Tutte le informazioni sull'accesso alle prestazioni e alle modalità di erogazione

sono contenute nella Carta dei Servizi in possesso della Casa Famiglia, strumento

imprescindibile per assicurare la qualità del servizio ma non solo. Essa è

un'occasione di coinvolgimento degli utenti in cui possono essere confrontati i

principi cui si ispirano le strategie di offerta e negoziati gli standard di qualità e gli

strumenti in caso di mancato rispetto.

Le Carte dei Servizi illustrate dai soggetti intervistati dimostrano che non

sempre esse rispettano i requisiti previsti dalla Legge 328 del 2000, mancando di

alcuni contenuti fondamentali.

Diventa dunque, doveroso per le istituzioni far acquisire a chi gestisce queste

strutture la consapevolezza che la carta dei servizi non rappresenta un mero

adempimento normativo, ma uno strumento di crescita organizzativa e una

possibilità di miglioramento.

6. INFORMAZIONE E PUBBLICITÀ

Il canale informale, di segnalazioni di amici e conoscenti, si rivela decisivo per

orientarsi su questo particolare mercato ed anche più gratificante per i gestori le cui

strutture hanno sempre posti pieni. Dopotutto l'immagine della struttura dipende in

larga misura dal passaparola dei clienti e dei familiari.

Esiste poi un canale pubblicitario, ossia un'azione di informazione che le stesse

case famiglia conducono tramite manifesti, pubblicazioni sui giornali locali, attività

di volantinaggio per attirare l'utenza presso il proprio servizio.

Spesso sono i Servizi Sociali dell'ospedale o del quartiere ad informare l'utenza

sulla possibilità di adottare una simile soluzione nei casi di richieste urgenti per le

quali non si riescono a fornire delle risposte immediate.

66

Conclusioni

Le significative trasformazioni demografiche e i cambiamenti delle politiche

socio assistenziali nel rispondere alla nuova domanda di cura della popolazione

anziana, comportano inevitabilmente degli effetti sulla sfera economico sociale e

sulle scelte di natura istituzionale.

La riflessione sul tema delle Case Famiglia per anziani è scaturita proprio

dall'analisi dei più significativi fattori politici, finanziari ed organizzativi che hanno

accompagnato il processo di espansione del tradizionale sistema di cura e lo

sviluppo di servizi alternativi.

Il forte periodo di crisi delle politiche assistenziali infatti, non ha avuto come

esito la riduzione dei servizi esistenti, bensì la promozione di un sistema di offerta

privato in grado di rispondere ai bisogni emergenti senza gravare sulle spese delle

amministrazioni pubbliche e dando vita a servizi sempre più diversificati e

personalizzati.

Di fatto, se la popolazione cresce, crescono anche i bisogni e i modelli di

welfare devono necessariamente evolversi, non solo attraverso strategie di

intervento che potenzino i servizi esistenti, ma anche favorendo nuove forme di

assistenza e, le Case Famiglia ne sono un esempio concreto.

Per conoscere a fondo la realtà storica e sociale entro la quale si collocano le

Case Famiglia, si è posta l'attenzione sui comportamenti che hanno caratterizzato la

scelta di molte famiglie di affidare il proprio parente anziano ad una struttura

residenziale di questo tipo. Sicuramente la gran parte delle richieste si orienta,

ancora oggi, verso soluzioni residenziali classiche (casa protetta, RSA, ecc.)

soprattutto se si tratta di anziani non autosufficienti, ma con il nascere delle Case

Famiglia, le scelte vengono dirottate su soluzioni nuove, capaci di fornire un

sostegno concreto e rivolte ad anziani con un'età elevata, ma che conservano un

sufficiente livello di autonomia.

In quest'ottica si è visto come, soprattutto in alcune città, si sia posta l'

attenzione sulla necessità di sostenere l'avvio di queste azioni sperimentali e di

attivare iniziative volte ad una maggiore conoscenza del funzionamento di una

Casa Famiglia nonché alla sensibilizzazione dell'anziano verso le opportunità

presenti sul territorio.

67

Come più volte si è voluto sottolineare, le Case Famiglia per anziani si sono

sviluppate in contesti territoriali limitati, rimanendo in molte zone del Paese

completamente sconosciute. Parma si è distinta per essere stata la prima città

d'Italia ad aver introdotto, nel rispetto della normativa nazionale e regionale, delle

Linee Guida che disciplinano il funzionamento di queste particolari strutture e

stabiliscono gli standard per le funzioni di vigilanza da parte del Comune.

Scopo delle Linee Guida è tutelare gli anziani e le famiglie che intendono

avvalersi di tali servizi, valorizzare e promuovere la diversificazione dell'offerta

assistenziale e fornire ai soggetti interessati un utile strumento per il corretto

esercizio dell'attività di controllo. Una disciplina che per alcuni aspetti colma il

vuoto legislativo presente a livello nazionale e "rimedia" alla carenza di

informazioni in materia.

Visto il consistente numero di Case Famiglia, per il Comune di Parma è

risultato particolarmente utile e qualificante realizzare una politica sociale orientata

ad incentivare la crescita di queste strutture, attraverso l'adozione di scelte politiche

volte ad attribuire una certa rilevanza sociale a questi organismi, mentre in molte

zone d'Italia non si è ancora diffusa una vera e propria cultura della Casa Famiglia

per anziani. "Una realtà tutta parmigiana" potremmo dire.

Al fine di comprenderne meglio il funzionamento e l'organizzazione, in assenza

di ricerche empiriche sull'argomento, sono state raccolte una serie di informazioni

tratte dalle dichiarazioni dei gestori che hanno rappresentato un'occasione di

ulteriore conoscenza e riflessione sulla fattispecie.

Le considerazioni raccolte hanno permesso di formulare eventuali ipotesi di

sviluppo future e mettere in evidenza possibili elementi da potenziare, come ad

esempio, migliorare il grado di conoscenza dell'offerta di servizi proposta e pensare

ad una normativa che attribuisca a queste strutture maggiore legittimità

istituzionale.

Poiché la normativa in questo campo è abbastanza recente, le Case Famiglia

presentano articolazioni diversificate rispetto alle modalità organizzative, alla

tipologia di servizi erogati, alla formazione prevista per il personale.

Viene lasciata, ad esempio, ampia autonomia a ciascun gestore di adottare le

scelte ritenute più idonee in merito alla formazione del personale difatti, molte

operatrici sono delle semplici assistenti (con esperienza) e in pochi casi hanno delle

qualifiche specifiche. Assicurare la formazione professionale degli operatori

68

significa qualificare la struttura, non solo per esigenze di legge ma per le

responsabilità dell'organizzazione legate alle prestazioni erogate. Aggiornamento e

conoscenze sull'evoluzioni legislative nel settore dell'assistenza agli anziani sono

fondamentali per un operatore sociale perciò, sarebbe auspicabile che tale aspetto

venisse potenziato attraverso l'intervento delle istituzioni aventi il dovere di porre

maggiore attenzione nel progettare iniziative di formazione o sollecitare i gestori a

delineare un percorso formativo per il personale impiegato anche se questo richiede

tempo e fondi economici.

Allo stesso modo è importante per i gestori, sollecitare la previsione di incontri

d'equipe interni alla struttura in cui evidenziare eventuali problematiche sorte,

discutere su azioni di miglioramento e correttive, definire obiettivi, strumenti,

stabilire quali soggetti coinvolgere, quali gli interventi da realizzare al fine di

garantire l'efficacia e l'efficienza del servizio.

A questo aggiungerei la necessità di pensare a percorsi innovativi di formazione

congiunta con i soggetti istituzionali per delineare un percorso comune e condiviso

dal momento che spesso i diversi soggetti (gestori, AUSL, comune) perseguono

obiettivi diversi.

Se da un alto l'iniziativa dei privati e il loro coinvolgimento nella rete dei servizi

è fondamentale per uno sviluppo del welfare, dall'altro, se questa risulta

inadeguata, lo Stato e gli Enti territoriali hanno l'obbligo di intervenire, attraverso

controlli e verifiche rigorosi.

Per evitare che tali controlli vengano percepiti dai gestori come un "ostacolo"

alla loro attività è fondamentale che le politiche pubbliche tentino di promuovere

patti e contribuire alla mediazione affinché si crei un equilibrio tra responsabilità

pubbliche e responsabilità dei soggetti privati.

Sono gli stessi gestori che spesso denunciano l'assenza di un contesto

collaborativo con le istituzioni e la mancata previsione di momenti

d'incontro/confronto tra tutte le Case Famiglia in grado di favorire lo sviluppo di un

lavoro condiviso.

Ecco per quale motivo, pensare alla possibilità di prevedere un sistema di

accreditamento per le Case Famiglia, così come è emerso nell'intervista al

Commissario UNEBA, porterebbe all'attribuzione di una maggiore rilevanza

sociale ed istituzionale di queste strutture e, a parer mio, sarebbe un'opportunità per

una piena affermazione di una cultura civica dell'accoglienza in Casa Famiglia.

69

Sarebbe opportuno sperimentare un percorso che tenti di arrivare ad un sistema

di valutazione condiviso tra i soggetti coinvolti, in grado di fornire riferimenti

rispetto alle caratteristiche che ogni Casa Famiglia deve avere. Ciò è possibile

agendo sulla formazione dei gestori e di tutti gli operatori in generale, attraverso lo

sviluppo delle competenze, sulla formulazione di valide Carte dei Servizi e su un

maggiore controllo rispetto alla fissazione delle tariffe da parte dei gestori.

L'accreditamento consentirebbe inoltre, di inserire pienamente nella rete dei

servizi le Case Famiglia quali soggetti attivi nella progettazione e realizzazione

concreta degli interventi ed evitare che esse vengano ancora descritte come "servizi

fai da te, fuori dal sistema di welfare".

La Casa Famiglia non può infatti, essere considerata come una risorsa per il

territorio fine a se stessa ma è una risorsa che va inserita all'interno di un circuito,

allo scopo di garantire unitarietà e integrazione agli interventi realizzati o che si

intendono realizzare.

Ci si può attendere che nei prossimi anni vi sia una maggiore diffusione di

questi servizi e un aumento delle richieste in vista delle future sfide da affrontare,

prima fra tutte la capacità di adattamento sociale, economico e culturale alle

modifiche strutturali che il fenomeno dell'invecchiamento della popolazione

comporta.

70

71

Appendice

Appendice A

Questa appendice riporta alcuni

estratti delle disposizioni di legge di

maggiore interesse in tema di

strutture residenziali e sviluppo del

privato sociale. Sono state tralasciate

le parti non rilevanti delle normative.

1) Legge 8 novembre 2000, n. 328

Legge quadro per la realizzazione

del sistema integrato di interventi e

servizi sociali

Capo I

PRINCÌPI GENERALI DEL

SISTEMA INTEGRATO DI

INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI

Art. 1. Principi generali e finalità

1. La Repubblica assicura alle

persone e alle famiglie un sistema

integrato di interventi e servizi sociali,

promuove interventi per garantire la

qualità della vita, pari opportunità, non

discriminazione e diritti di cittadinanza,

previene, elimina o riduce le condizioni

di disabilità, di bisogno e di disagio

individuale e familiare, derivanti da

inadeguatezza di reddito, difficoltà

sociali e condizioni di non autonomia, in

coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della

Costituzione.

3. La programmazione e

l'organizzazione del sistema integrato di

interventi e servizi sociali compete agli

enti locali, alle regioni ed allo Stato ai

sensi del decreto legislativo 31 marzo

1998, n. 112, e della presente legge,

secondo i principi di sussidiarietà,

cooperazione, efficacia, efficienza ed

economicità, omogeneità, copertura

finanziaria e patrimoniale, responsabilità

ed unicità dell'amministrazione,

autonomia

organizzativa e regolamentare degli

enti locali.

4. Gli enti locali, le regioni e lo Stato,

nell'ambito delle rispettive competenze,

riconoscono e agevolano il ruolo degli

organismi non lucrativi di utilità sociale,

degli organismi della cooperazione, delle

associazioni e degli enti di promozione

sociale, delle fondazioni e degli enti di

patronato, delle organizzazioni di

volontariato, degli enti riconosciuti delle

confessioni religiose con le quali lo Stato

ha stipulato patti, accordi o intese

operanti nel settore nella

programmazione, nella organizzazione e

nella gestione del sistema integrato di

interventi e servizi sociali.

5. Alla gestione ed all'offerta dei

servizi provvedono soggetti pubblici

nonché, in qualità di soggetti attivi nella

progettazione e nella realizzazione

concertata degli interventi, organismi

non lucrativi di utilità sociale, organismi

della cooperazione, organizzazioni di

volontariato, associazioni ed enti di

promozione sociale, fondazioni, enti di

patronato e altri soggetti privati. Il

sistema integrato di interventi e servizi

sociali ha tra gli scopi anche la

promozione della solidarietà sociale, con

la valorizzazione delle iniziative delle

persone, dei nuclei familiari, delle forme

di auto-aiuto e di reciprocità e della

solidarietà organizzata.

6. La presente legge promuove la

partecipazione attiva dei cittadini, il

contributo delle organizzazioni sindacali,

delle associazioni sociali e di tutela degli

utenti per il raggiungimento dei fini

istituzionali di cui al comma 1.

Art. 5. Ruolo del terzo settore

1. Per favorire l'attuazione del

principio di sussidiarietà, gli enti locali,

le regioni e lo Stato, nell'ambito delle

risorse disponibili in base ai piani di cui

agli articoli 18 e 19, promuovono azioni

per il sostegno e la qualificazione dei

soggetti operanti nel terzo settore anche

72

attraverso politiche formative ed

interventi per l'accesso agevolato al

credito ed ai fondi dell'Unione europea.

2. Ai fini dell'affidamento dei servizi

previsti dalla presente legge, gli enti

pubblici, fermo restando quanto stabilito

dall'articolo 11, promuovono azioni per

favorire la trasparenza e la

semplificazione amministrativa nonché il

ricorso a forme di aggiudicazione o

negoziali che consentano ai soggetti

operanti nel terzo settore la piena

espressione della propria progettualità,

avvalendosi di analisi e di verifiche che

tengano conto della qualità e delle

caratteristiche delle prestazioni offerte e

della qualificazione del personale.

3. Le regioni, secondo quanto

previsto dall'articolo 3, comma 4, e sulla

base di un atto di indirizzo e

coordinamento del Governo, ai sensi

dell'articolo 8 della legge 15 marzo 1997,

n. 59, da emanare entro centoventi giorni

dalla data di entrata in vigore della

presente legge, con le modalità previste

dall'articolo 8, comma 2, della presente

legge, adottano specifici indirizzi per

regolamentare i rapporti tra enti locali e

terzo settore, con particolare riferimento

ai sistemi di affidamento dei servizi alla

persona.

4. Le regioni disciplinano altresì,

sulla base dei principi della presente

legge e degli indirizzi assunti con le

modalità previste al comma 3, le

modalità per valorizzare l'apporto del

volontariato nell'erogazione dei servizi.

Capo II

ASSETTO ISTITUZIONALE E

ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA

INTEGRATO DI INTERVENTI E

SERVIZI SOCIALI

Art. 6. Funzioni dei comuni

1. I comuni sono titolari delle

funzioni amministrative concernenti gli

interventi sociali svolti a livello locale e

concorrono alla programmazione

regionale. Tali funzioni sono esercitate

dai comuni adottando sul piano

territoriale gli assetti più funzionali alla

gestione, alla spesa ed al rapporto con i

cittadini, secondo le modalità stabilite

dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, come

da ultimo modificata dalla legge 3 agosto

1999, n. 265.

2. Ai comuni, oltre ai compiti già

trasferiti a norma del decreto del

Presidente della Repubblica 24 luglio

1977, n. 616, ed alle funzioni attribuite ai

sensi dell'articolo 132, comma 1, del

decreto legislativo 31 marzo 1998, n.

112, spetta, nell'ambito delle risorse

disponibili in base ai piani di cui agli

articoli 18 e 19 e secondo la disciplina

adottata dalle regioni, l'esercizio delle

seguenti attività:

a) programmazione, progettazione,

realizzazione del sistema locale dei

servizi sociali a rete, indicazione delle

priorità e dei settori di innovazione

attraverso la concertazione delle risorse

umane e finanziarie locali, con il

coinvolgimento dei soggetti di cui

all'articolo 1, comma 5;

b) erogazione dei servizi, delle

prestazioni economiche diverse da quelle

disciplinate dall'articolo 22, e dei titoli di

cui all'articolo 17, nonché delle attività

assistenziali già di competenza delle

province, con le modalità stabilite dalla

legge regionale di cui all'articolo 8,

comma 5;

c) autorizzazione, accreditamento e

vigilanza dei servizi sociali e delle

strutture a ciclo residenziale e

semiresidenziale a gestione pubblica o

dei soggetti di cui all'articolo 1, comma

5, secondo quanto stabilito ai sensi degli

articoli 8, comma 3, lettera f), e 9,

comma 1, lettera c);

d) partecipazione al procedimento per

l'individuazione degli ambiti territoriali,

di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a);

e) definizione dei parametri di

valutazione delle condizioni di cui

all'articolo 2, comma 3, ai fini della

determinazione dell'accesso prioritario

alle prestazioni e ai servizi.

3. Nell'esercizio delle funzioni di cui

ai commi 1 e 2 i comuni provvedono a:

a) promuovere, nell'ambito del

sistema locale dei servizi sociali a rete,

73

risorse delle collettività locali tramite

forme innovative di collaborazione per lo

sviluppo di interventi di auto-aiuto e per

favorire la reciprocità tra cittadini

nell'ambito della vita comunitaria;

b) coordinare programmi e attività

degli enti che operano nell'ambito di

competenza, secondo le modalità fissate

dalla regione, tramite collegamenti

operativi tra i servizi che realizzano

attività volte all'integrazione sociale ed

intese con le aziende unità sanitarie

locali per le attività socio-sanitarie e per i

piani di zona;

c) adottare strumenti per la

semplificazione amministrativa e per il

controllo di gestione atti a valutare

l'efficienza, l'efficacia ed i risultati delle

prestazioni, in base alla programmazione

di cui al comma 2, lettera a);

d) effettuare forme di consultazione

dei soggetti di cui all'articolo 1, commi 5

e 6, per valutare la qualità e l'efficacia

dei servizi e formulare proposte ai fini

della predisposizione dei programmi;

e) garantire ai cittadini i diritti di

partecipazione al controllo di qualità dei

servizi, secondo le modalità previste

dagli statuti comunali.

4. Per i soggetti per i quali si renda

necessario il ricovero stabile presso

strutture residenziali, il comune nel quale

essi hanno la residenza prima del

ricovero, previamente informato, assume

gli obblighi connessi all'eventuale

integrazione economica.

Art. 8. Funzioni delle regioni

1. Le regioni esercitano le funzioni di

programmazione, coordinamento e

indirizzo degli interventi sociali nonché

di verifica della rispettiva attuazione a

livello territoriale e disciplinano

l'integrazione degli interventi stessi, con

particolare riferimento all'attività

sanitaria e socio-sanitaria ad elevata

integrazione sanitaria di cui all'articolo 2,

comma 1, lettera n), della legge 30

novembre 1998, n. 419.

2. Allo scopo di garantire il costante

adeguamento alle esigenze delle

comunità locali, le regioni programmano

gli interventi sociali secondo le

indicazioni di cui all'articolo 3, commi 2

e 5, del decreto legislativo 31 marzo

1998, n. 112, promuovendo, nell'ambito

delle rispettive competenze, modalità di

collaborazione e azioni coordinate con

gli enti locali, adottando strumenti e

procedure di raccordo e di concertazione,

anche permanenti, per dare luogo a

forme di cooperazione. Le regioni

provvedono altresì alla consultazione dei

soggetti di cui agli articoli 1, commi 5 e

6, e 10 della presente legge.

3. Alle regioni, nel rispetto di quanto

previsto dal decreto legislativo 31 marzo

1998, n. 112, spetta in particolare

l'esercizio delle seguenti funzioni:

a) determinazione, entro centottanta

giorni dalla data di entrata in vigore della

presente legge, tramite le forme di

concertazione con gli enti locali

interessati, degli ambiti territoriali, delle

modalità e degli strumenti per la gestione

unitaria del sistema locale dei servizi

sociali a rete. Nella determinazione degli

ambiti territoriali, le regioni prevedono

incentivi a favore dell'esercizio associato

delle funzioni sociali in ambiti territoriali

di norma coincidenti con i distretti

sanitari già operanti per le prestazioni

sanitarie, destinando allo scopo una

quota delle complessive risorse regionali

destinate agli interventi previsti dalla

presente legge;

b) definizione di politiche integrate in

materia di interventi sociali, ambiente,

sanità, istituzioni scolastiche, avviamento

al lavoro e reinserimento nelle attività

lavorative, servizi del tempo libero,

trasporti e comunicazioni;

c) promozione e coordinamento delle

azioni di assistenza tecnica per la

istituzione e la gestione degli interventi

sociali da parte degli enti locali;

d) promozione della sperimentazione

di modelli innovativi di servizi in grado

di coordinare le risorse umane e

finanziarie presenti a livello locale e di

collegarsi altresì alle esperienze

effettuate a livello europeo;

e) promozione di metodi e strumenti

per il controllo di gestione atti a valutare

74

l'efficacia e l'efficienza dei servizi ed i

risultati delle azioni previste;

f) definizione, sulla base dei requisiti

minimi fissati dallo Stato, dei criteri per

l'autorizzazione, l'accreditamento e la

vigilanza delle strutture e dei servizi a

gestione pubblica o dei soggetti di cui

all'articolo 1, commi 4 e 5;

g) istituzione, secondo le modalità

definite con legge regionale, sulla base di

indicatori oggettivi di qualità, di registri

dei soggetti autorizzati all'esercizio delle

attività disciplinate dalla presente legge;

h) definizione dei requisiti di qualità

per la gestione dei servizi e per la

erogazione delle prestazioni;

i) definizione dei criteri per la

concessione dei titoli di cui all'articolo

17 da parte dei comuni, secondo i criteri

generali adottati in sede nazionale;

l) definizione dei criteri per la

determinazione del concorso da parte

degli utenti al costo delle prestazioni,

sulla base dei criteri determinati ai sensi

dell'articolo 18, comma 3, lettera g);

m) predisposizione e finanziamento

dei piani per la formazione e

l'aggiornamento del personale addetto

alle attività sociali;

n) determinazione dei criteri per la

definizione delle tariffe che i comuni

sono tenuti a corrispondere ai soggetti

accreditati;

o) esercizio dei poteri sostitutivi,

secondo le modalità indicate dalla legge

regionale di cui all'articolo 3 del decreto

legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nei

confronti degli enti locali inadempienti

rispetto a quanto stabilito dagli articoli 6,

comma 2, lettere a), b) e c), e 19.

4. Fermi restando i principi di cui alla

legge 7 agosto 1990, n. 241, le regioni

disciplinano le procedure amministrative,

le modalità per la presentazione dei

reclami da parte degli utenti delle

prestazioni sociali e l'eventuale

istituzione di uffici di tutela degli utenti

stessi che assicurino adeguate forme di

indipendenza nei confronti degli enti

erogatori.

Art. 9. Funzioni dello Stato

1. Allo Stato spetta l'esercizio delle

funzioni di cui all'articolo 129 del

decreto legislativo 31 marzo 1998, n.

112, nonché dei poteri di indirizzo e

coordinamento e di regolazione delle

politiche sociali per i seguenti aspetti:

a) determinazione dei principi e degli

obiettivi della politica sociale attraverso

il Piano nazionale degli interventi e dei

servizi sociali di cui all'articolo 18;

b) individuazione dei livelli essenziali

ed uniformi delle prestazioni, comprese

le funzioni in materia assistenziale,

svolte per minori ed adulti dal Ministero

della giustizia, all'interno del settore

penale;

c) fissazione dei requisiti minimi

strutturali e organizzativi per

l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e

delle strutture a ciclo residenziale e

semiresidenziale; previsione di requisiti

specifici per le comunità di tipo familiare

con sede nelle civili abitazioni;

d) determinazione dei requisiti e dei

profili professionali in materia di

professioni sociali, nonché dei requisiti

di accesso e di durata dei percorsi

formativi;

e) esercizio dei poteri sostitutivi in

caso di riscontrata inadempienza delle

regioni, ai sensi dell'articolo 8 della legge

15 marzo 1997, n. 59, e dell'articolo 5 del

decreto legislativo 31 marzo 1998, n.

112;

f) ripartizione delle risorse del Fondo

nazionale per le politiche sociali secondo

i criteri stabiliti dall'articolo 20, comma

7.

Art. 11. Autorizzazione e

accreditamento

1. I servizi e le strutture a ciclo

residenziale e semiresidenziale a

gestione pubblica o dei soggetti di cui

all'articolo 1, comma 5, sono autorizzati

dai comuni. L'autorizzazione è rilasciata

in conformità ai requisiti stabiliti dalla

legge regionale, che recepisce e integra,

in relazione alle esigenze locali, i

requisiti minimi nazionali determinati ai

75

sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c),

con decreto del Ministro per la

solidarietà sociale, sentiti i Ministri

interessati e la Conferenza unificata di

cui all'articolo 8 del decreto legislativo

28 agosto 1997, n. 281.

2. I requisiti minimi nazionali trovano

immediata applicazione per servizi e

strutture di nuova istituzione; per i

servizi e le strutture operanti alla data di

entrata in vigore della presente legge, i

comuni provvedono a concedere

autorizzazioni provvisorie, prevedendo

l'adeguamento ai requisiti regionali e

nazionali nel termine stabilito da

ciascuna regione e in ogni caso non oltre

il termine di cinque anni.

3. I Comuni provvedono

all'accreditamento, ai sensi dell'articolo

6, comma 2, lettera c), e corrispondono

ai soggetti accreditati tariffe per le

prestazioni erogate nell'ambito della

programmazione regionale e locale sulla

base delle determinazioni di cui

all'articolo 8, comma 3, lettera n).

4. Le regioni, nell'ambito degli

indirizzi definiti dal Piano nazionale ai

sensi dell'articolo 18, comma 3, lettera

e), disciplinano le modalità per il rilascio

da parte dei comuni ai soggetti di cui

all'articolo 1, comma 5, delle

autorizzazioni alla erogazione di servizi

sperimentali e innovativi, per un periodo

massimo di tre anni, in deroga ai requisiti

di cui al comma 1. Le regioni, con il

medesimo provvedimento di cui al

comma 1, definiscono gli strumenti per

la verifica dei risultati.

Art. 13. Carta dei servizi sociali

1. Al fine di tutelare le posizioni

soggettive degli utenti, entro centottanta

giorni dalla data di entrata in vigore della

presente legge, con decreto del

Presidente del Consiglio dei ministri, su

proposta del Ministro per la solidarietà

sociale, d'intesa con i Ministri interessati,

è adottato lo schema generale di

riferimento della carta dei servizi sociali.

Entro sei mesi dalla pubblicazione nella

Gazzetta Ufficiale del citato decreto del

Presidente del Consiglio dei ministri,

ciascun ente erogatore di servizi adotta

una carta dei servizi sociali ed è tenuto a

darne adeguata pubblicità agli utenti.

2. Nella carta dei servizi sociali sono

definiti i criteri per l'accesso ai servizi, le

modalità del relativo funzionamento, le

condizioni per facilitarne le valutazioni

da parte degli utenti e dei soggetti che

rappresentano i loro diritti, nonché le

procedure per assicurare la tutela degli

utenti. Al fine di tutelare le posizioni

soggettive e di rendere immediatamente

esigibili i diritti soggettivi riconosciuti, la

carta dei servizi sociali, ferma restando la

tutela per via giurisdizionale, prevede per

gli utenti la possibilità di attivare ricorsi

nei confronti dei responsabili preposti

alla gestione dei servizi.

3. L'adozione della carta dei servizi

sociali da parte degli erogatori delle

prestazioni e dei servizi sociali

costituisce requisito necessario ai fini

dell'accreditamento.

Capo III

DISPOSIZIONI PER LA

REALIZZAZIONE DI PARTICOLARI

INTERVENTI DI INTEGRAZIONE E

SOSTEGNO SOCIALE

Art. 15. Sostegno domiciliare per le

persone anziane non autosufficienti

1. Ferme restando le competenze del

Servizio sanitario nazionale in materia di

prevenzione, cura e riabilitazione, per le

patologie acute e croniche,

particolarmente per i soggetti non

autosufficienti, nell'ambito del Fondo

nazionale per le politiche sociali il

Ministro per la solidarietà sociale, con

proprio decreto, emanato di concerto con

i Ministri della sanità e per le pari

opportunità, sentita la Conferenza

unificata di cui all'articolo 8 del decreto

legislativo 28 agosto 1997, n. 281,

determina annualmente la quota da

riservare ai servizi a favore delle persone

anziane non autosufficienti, per favorirne

l'autonomia e sostenere il nucleo

familiare nell'assistenza domiciliare alle

persone anziane che ne fanno richiesta.

76

2. Il Ministro per la solidarietà

sociale, con il medesimo decreto di cui al

comma 1, stabilisce annualmente le

modalità di ripartizione dei finanziamenti

in base a criteri ponderati per quantità di

popolazione, classi di età e incidenza

degli anziani, valutando altresì la

posizione delle regioni e delle province

autonome in rapporto ad indicatori

nazionali di non autosufficienza e di

reddito. In sede di prima applicazione

della presente legge, il decreto di cui al

comma 1 è emanato entro novanta giorni

dalla data della sua entrata in vigore.

3. Una quota dei finanziamenti di cui

al comma 1 è riservata ad investimenti e

progetti integrati tra assistenza e sanità,

realizzati in rete con azioni e programmi

coordinati tra soggetti pubblici e privati,

volti a sostenere e a favorire l'autonomia

delle persone anziane e la loro

permanenza nell'ambiente familiare

secondo gli indirizzi indicati dalla

presente legge. In sede di prima

applicazione della presente legge le

risorse individuate ai sensi del comma 1

sono finalizzate al potenziamento delle

attività di assistenza domiciliare

integrata.

4. Entro il 30 giugno di ogni anno le

regioni destinatarie dei finanziamenti di

cui al comma 1 trasmettono una

relazione al Ministro per la solidarietà

sociale e al Ministro della sanità in cui

espongono lo stato di attuazione degli

interventi e gli obiettivi conseguiti nelle

attività svolte ai sensi del presente

articolo, formulando anche eventuali

proposte per interventi innovativi.

Qualora una o più regioni non

provvedano all'impegno contabile delle

quote di competenza entro i tempi

indicati nel riparto di cui al comma 2, il

Ministro per la solidarietà sociale, di

concerto con il Ministro della sanità,

sentita la Conferenza unificata di cui

all'articolo 8 del decreto legislativo 28

agosto 1997, n. 281, provvede alla

rideterminazione dei finanziamenti alle

regioni.

Capo IV

STRUMENTI PER FAVORIRE IL

RIORDINO DEL SISTEMA

INTEGRATO DI INTERVENTI E

SERVIZI SOCIALI

Art. 19. Piano di zona

1. I comuni associati, negli ambiti

territoriali di cui all'articolo 8, comma 3,

lettera a), a tutela dei diritti della

popolazione, d'intesa con le aziende unità

sanitarie locali, provvedono, nell'ambito

delle risorse disponibili, ai sensi

dell'articolo 4, per gli interventi sociali e

socio-sanitari, secondo le indicazioni del

piano regionale di cui all'articolo 18,

comma 6, a definire il piano di zona, che

individua:

a) gli obiettivi strategici e le priorità

di intervento nonché gli strumenti e i

mezzi per la relativa realizzazione;

b) le modalità organizzative dei

servizi, le risorse finanziarie, strutturali e

professionali, i requisiti di qualità in

relazione alle disposizioni regionali

adottate ai sensi dell'articolo 8, comma 3,

lettera h);

c) le forme di rilevazione dei dati

nell'ambito del sistema informativo di cui

all'articolo 21;

d) le modalità per garantire

l'integrazione tra servizi e prestazioni;

e) le modalità per realizzare il

coordinamento con gli organi periferici

delle amministrazioni statali, con

particolare riferimento

all'amministrazione penitenziaria e della

giustizia;

f) le modalità per la collaborazione

dei servizi territoriali con i soggetti

operanti nell'ambito della solidarietà

sociale a livello locale e con le altre

risorse della comunità;

g) le forme di concertazione con

l'azienda unità sanitaria locale e con i

soggetti di cui all'articolo 1, comma 4.

2. Il piano di zona, di norma adottato

attraverso accordo di programma, ai

sensi dell'articolo 27 della legge 8 giugno

1990, n. 142, e successive modificazioni,

è volto a:

77

a) favorire la formazione di sistemi

locali di intervento fondati su servizi e

prestazioni complementari e flessibili,

stimolando in particolare le risorse locali

di solidarietà e di auto-aiuto, nonché a

responsabilizzare i cittadini nella

programmazione e nella verifica dei

servizi;

b) qualificare la spesa, attivando

risorse, anche finanziarie, derivate dalle

forme di concertazione di cui al comma

1, lettera g);

c) definire criteri di ripartizione della

spesa a carico di ciascun comune, delle

aziende unità sanitarie locali e degli altri

soggetti firmatari dell'accordo,

prevedendo anche risorse vincolate per il

raggiungimento di particolari obiettivi;

d) prevedere iniziative di formazione

e di aggiornamento degli operatori

finalizzate a realizzare progetti di

sviluppo dei servizi.

3. All'accordo di programma di cui al

comma 2, per assicurare l'adeguato

coordinamento delle risorse umane e

finanziarie, partecipano i soggetti

pubblici di cui al comma 1 nonché i

soggetti di cui all'articolo 1, comma 4, e

all'articolo 10, che attraverso

l'accreditamento o specifiche forme di

concertazione concorrono, anche con

proprie risorse, alla realizzazione del

sistema integrato di interventi e servizi

sociali previsto nel piano.

Capo V

INTERVENTI, SERVIZI ED

EMOLUMENTI ECONOMICI DEL

SISTEMA INTEGRATO DI

INTERVENTI E SERVIZI SOCIALI

Art. 22. Definizione del sistema

integrato di interventi e servizi sociali

1. Il sistema integrato di interventi e

servizi sociali si realizza mediante

politiche e prestazioni coordinate nei

diversi settori della vita sociale,

integrando servizi alla persona e al

nucleo familiare con eventuali misure

economiche, e la definizione di percorsi

attivi volti ad ottimizzare l'efficacia delle

risorse, impedire sovrapposizioni di

competenze e settorializzazione delle

risposte.

2. Ferme restando le competenze del

Servizio sanitario nazionale in materia di

prevenzione, cura e riabilitazione,

nonché le disposizioni in materia di

integrazione socio-sanitaria di cui al

decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.

502, e successive modificazioni, gli

interventi di seguito indicati

costituiscono il livello essenziale delle

prestazioni sociali erogabili sotto forma

di beni e servizi secondo le

caratteristiche ed i requisiti fissati dalla

pianificazione nazionale, regionale e

zonale, nei limiti delle risorse del Fondo

nazionale per le politiche sociali, tenuto

conto delle risorse ordinarie già destinate

dagli enti locali alla spesa sociale:

a) misure di contrasto della povertà e

di sostegno al reddito e servizi di

accompagnamento, con particolare

riferimento alle persone senza fissa

dimora;

b) misure economiche per favorire la

vita autonoma e la permanenza a

domicilio di persone totalmente

dipendenti o incapaci di compiere gli atti

propri della vita quotidiana;

c) interventi di sostegno per i minori

in situazioni di disagio tramite il

sostegno al nucleo familiare di origine e

l'inserimento presso famiglie, persone e

strutture comunitarie di accoglienza di

tipo familiare e per la promozione dei

diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;

d) misure per il sostegno delle

responsabilità familiari, ai sensi

dell'articolo 16, per favorire

l'armonizzazione del tempo di lavoro e di

cura familiare;

e) misure di sostegno alle donne in

difficoltà per assicurare i benefici

disposti dal regio decreto-legge 8 maggio

1927, n. 798, convertito dalla legge 6

dicembre 1928, n. 2838, e dalla legge 10

dicembre 1925, n. 2277, e loro

successive modificazioni, integrazioni e

norme attuative;

f) interventi per la piena integrazione

delle persone disabili ai sensi

dell'articolo 14; realizzazione, per i

78

soggetti di cui all'articolo 3, comma 3,

della legge 5 febbraio 1992, n. 104, dei

centri socio-riabilitativi e delle comunità-

alloggio di cui all'articolo 10 della citata

legge n. 104 del 1992, e dei servizi di

comunità e di accoglienza per quelli privi

di sostegno familiare, nonché erogazione

delle prestazioni di sostituzione

temporanea delle famiglie;

g) interventi per le persone anziane e

disabili per favorire la permanenza a

domicilio, per l'inserimento presso

famiglie, persone e strutture comunitarie

di accoglienza di tipo familiare, nonché

per l'accoglienza e la socializzazione

presso strutture residenziali e

semiresidenziali per coloro che, in

ragione della elevata fragilità personale o

di limitazione dell'autonomia, non siano

assistibili a domicilio;

h) prestazioni integrate di tipo socio-

educativo per contrastare dipendenze da

droghe, alcol e farmaci, favorendo

interventi di natura preventiva, di

recupero e reinserimento sociale;

i) informazione e consulenza alle

persone e alle famiglie per favorire la

fruizione dei servizi e per promuovere

iniziative di auto-aiuto.

3. Gli interventi del sistema integrato

di interventi e servizi sociali di cui al

comma 2, lettera c), sono realizzati, in

particolare, secondo le finalità delle leggi

4 maggio 1983, n. 184, 27 maggio 1991,

n. 176, 15 febbraio 1996, n. 66, 28

agosto 1997, n. 285, 23 dicembre 1997,

n. 451, 3 agosto 1998, n. 296, 31

dicembre 1998, n. 476, del testo unico di

cui al decreto legislativo 25 luglio 1998,

n. 286, e delle disposizioni sul processo

penale a carico di imputati minorenni,

approvate con decreto del Presidente

della Repubblica 22 settembre 1988, n.

448, nonché della legge 5 febbraio 1992,

n. 104, per i minori disabili. Ai fini di cui

all'articolo 11 e per favorire la

deistituzionalizzazione, i servizi e le

strutture a ciclo residenziale destinati

all'accoglienza dei minori devono essere

organizzati esclusivamente nella forma

di strutture comunitarie di tipo familiare.

4. In relazione a quanto indicato al

comma 2, le leggi regionali, secondo i

modelli organizzativi adottati, prevedono

per ogni ambito territoriale di cui

all'articolo 8, comma 3, lettera a),

tenendo conto anche delle diverse

esigenze delle aree urbane e rurali,

comunque l'erogazione delle seguenti

prestazioni:

a) servizio sociale professionale e

segretariato sociale per informazione e

consulenza al singolo e ai nuclei

familiari;

b) servizio di pronto intervento

sociale per le situazioni di emergenza

personali e familiari;c) assistenza

domiciliare;

d) strutture residenziali e

semiresidenziali per soggetti con fragilità

sociali;

e) centri di accoglienza residenziali o

diurni a carattere comunitario.

2) DGR 2000 n. 564

Direttiva Regionale per

l'autorizzazione al funzionamento

delle strutture residenziali e

semiresidenziali per minori, portatori

di handicap, anziani e malati di AIDS,

in attuazione della L.R. 12 ottobre

1998, n. 34

PARTE I.

DISPOSIZIONI GENERALI

1. AMBITO DI APPLICAZIONE

La presente direttiva si applica alle

strutture che, indipendentemente dalla

denominazione dichiarata, offrono

servizi rivolti a cittadini che si trovano in

difficoltà a maturare, recuperare e

mantenere la propria autonomia psico-

fisica e relazionale, perseguendo la

finalità di favorire processi di

emancipazione da situazioni di

privazione/esclusione.

79

2. STRUTTURE SOGGETTE

ALL'OBBLIGO DI

AUTORIZZAZIONE AL

FUNZIONAMENTO

L'obbligo di autorizzazione al

funzionamento previsto dall'art. 1 della

L.R. 12 ottobre 1998, n. 34 riguarda le

strutture già funzionanti alla data di

entrata in vigore della presente direttiva e

quelle di nuova istituzione, gestite sia da

soggetti pubblici che privati che: hanno

sede nel territorio regionale; offrono

ospitalità di tipo residenziale e

semiresidenziale e - indipendentemente

dalla denominazione dichiarata -

rientrano nelle tipologie specifiche

indicate nella parte II della presente

direttiva ed offrono servizi rivolti a:

minori per interventi socio-assistenziali

integrativi o sostitutivi della famiglia;

cittadini portatori di handicap per

interventi socio-assistenziali o socio-

sanitari finalizzati al mantenimento e al

recupero dei livelli di autonomia della

persona e sostegno della famiglia;

anziani per interventi socio-assistenziali

o socio-sanitari finalizzati al

mantenimento e al recupero delle residue

capacità di autonomia della persona ed al

sostegno della famiglia;cittadini malati di

AIDS o con infezione da HIV che

necessitano di assistenza continua e

risultano privi del necessario supporto

familiare, o per i quali la permanenza nel

nucleo familiare sia temporaneamente o

definitivamente impossibile o

contrastante con il progetto individuale.

3. STRUTTURE NON SOGGETTE

ALL'OBBLIGO DI

AUTORIZZAZIONE AL

FUNZIONAMENTO

Non sono soggette all'obbligo di

autorizzazione al funzionamento: le

strutture con finalità prettamente

abitative; le strutture che offrono

ospitalità ai soli fini della frequenza a

corsi scolastici o di istruzione; le

strutture con finalità formative o di

inserimento lavorativo; le strutture di cui

L.R. 25 ottobre 1997, n. 34 "Delega ai

Comuni delle funzioni di controllo e

vigilanza sui soggiorni di vacanza per

minori"; le strutture con finalità diverse

da quelle socio-assistenziali anche se al

loro interno sono ospitati soggetti deboli

o a rischio di emarginazione; gli

appartamenti protetti ed i gruppi

appartamento per anziani e disabili, le

case famiglia, che accolgono fino ad un

massimo di sei ospiti. Il soggetto gestore

di queste strutture è comunque tenuto a

comunicare l'avvio di tali attività con le

modalità di cui al successivo paragrafo

9.1. Tali strutture, se ospitano minori

oggetto di intervento educativo-

assistenziale collocati fuori dalla

famiglia d'origine, devono rispettare i

requisiti funzionali.

5. REQUISITI MINIMI

FUNZIONALI E STRUTTURALI DI

CARATTERE GENERALE

Tutte le strutture socio-assistenziali e

socio-sanitarie residenziali e

semiresidenziali devono possedere i

requisiti minimi funzionali e strutturali

previsti dal presente paragrafo e dai

paragrafi 5.1 e 5.2. Tali requisiti

attengono alla sicurezza degli utenti e

degli operatori, nonché alla qualità

minima delle prestazioni erogate. Tutte

le strutture devono essere in possesso dei

requisiti previsti dalle norme vigenti in

materia urbanistica, edilizia, prevenzione

incendi, igiene e sicurezza, previsti per le

singole tipologie indicate nella II parte

della presente direttiva, in relazione alle

loro caratteristiche. Tutte le strutture

esercitano la propria attività nel rispetto

dei principi di cui all'articolo 4 della L.R.

12 gennaio 1985, n. 2 e di cui all'articolo

188 della L.R. 21 aprile 1999, n. 3.

5.1 REQUISITI COMUNI A TUTTE

LE STRUTTURE DAL PUNTO DI

VISTA STRUTTURALE

Organizzazione degli spazi interni

(camere, sale, servizi igienici, ecc.) tale

da garantire agli ospiti il massimo di

fruibilità e di privacy, con particolare

riferimento al mantenimento e sviluppo

80

dei livelli di autonomia

individuale;laddove, nei requisiti

strutturali minimi indicati nella parte II

della presente direttiva, si fa riferimento

a locali "adeguati alle modalità

organizzative adottate per il servizio",

l'adeguatezza va valutata anche tenuto

conto delle modalità che il gestore

intende adottare per l'erogazione di

alcuni servizi, quali ad esempio la

lavanderia e la preparazione pasti, per i

quali può essere previsto il ricorso a

soggetti esterni o comunque con

organizzazione esterna alla struttura;

adozione di soluzioni architettoniche e

suddivisione degli spazi interni che

tengano conto delle caratteristiche

dell'utenza a cui è destinata la struttura,

al fine di garantire la funzionalità delle

attività che vi vengono svolte; ubicazione

in luoghi abitati e comunque facilmente

raggiungibili con l'uso di mezzi pubblici;

ciò al fine di permettere la partecipazione

degli utenti alla vita sociale del territorio,

nonché la facilità per i visitatori di

raggiungere gli ospiti della struttura; per

le case di riposo e case protette/RSA:

sistema di riscaldamento invernale e di

rinfrescamento estivo con possibilità di

regolazione differenziata della

temperatura per ambiente e di controllo

per l'umidità e il ricambio di aria;

impianto di luci di sicurezza; per le

strutture residenziali: impianto di

illuminazione notturna; impianto TV

nelle camere; presenza di almeno un

telefono pubblico negli spazi comuni.

5.2 REQUISITI COMUNI A TUTTE

LE STRUTTURE DAL PUNTO DI

VISTA ORGANIZZATIVO-

FUNZIONALE

Deve essere presente un registro degli

ospiti costantemente aggiornato; tale

registro deve essere mostrato su richiesta

ai soggetti che effettuano la vigilanza

nonché alle altre autorità competenti;

l'utenza ospitata deve presentare

caratteristiche omogenee rispetto ai

bisogni assistenziali espressi; in caso

contrario le necessità assistenziali

devono comunque essere tra loro

compatibili, anche in relazione alle

finalità della struttura ed alle

caratteristiche della stessa; la qualità e

quantità degli arredi deve essere

conforme a quanto in uso nelle civili

abitazioni; gli arredi, le attrezzature e gli

utensili devono essere curati,

esteticamente gradevoli, nonché

permettere una idonea funzionalità d'uso

e fruibilità in relazione alle

caratteristiche dell'utenza ospitata; deve

essere garantita agli utenti la possibilità

di utilizzare arredi e suppellettili

personali, in particolare nelle strutture a

carattere residenziale; tale possibilità

deve essere esplicitata nella Carta dei

Servizi di cui al successivo paragrafo

6.1, con l'indicazione delle relative

modalità e limiti; deve essere predisposto

per ogni utente un piano individualizzato

di assistenza; per le strutture per minori:

deve essere predisposto per ogni utente

un progetto educativo individuale; le

attività devono essere organizzate nel

rispetto dei normali ritmi di vita degli

ospiti; deve essere garantita la possibilità

- in relazione alle eventuali specifiche

esigenze dietetiche degli ospiti - di

somministrare pasti personalizzati; deve

essere adottato un regolamento o Carta

dei servizi della struttura da consegnare a

ciascun utente e/o familiare al momento

dell'ingresso in struttura; devono essere

informati gli utenti e/o parenti - al

momento dell'ingresso in struttura - di

quanto previsto dalla deliberazione di

Giunta regionale n. 477 del 12/04/1999

"Criteri per l'individuazione dei costi per

l'assistenza medica generica e per

l'assistenza specifica nei servizi

semiresidenziali e residenziali per

anziani e disabili in possesso

dell'autorizzazione al funzionamento

prevista dalle norme regionali"; deve

essere garantita la possibilità per parenti

e conoscenti di effettuare visite agli

ospiti della struttura, anche

sollecitandone la partecipazione e

l'apporto per il miglioramento del

servizio; le modalità di visita agli ospiti

della struttura, ove si intenda

disciplinarle, devono essere contenute

nel regolamento o Carta dei servizi di cui

81

al punto precedente; deve essere favorito

l'apporto del volontariato presente sul

territorio; in ogni struttura deve essere

previsto un coordinatore responsabile ed

un responsabile delle attività sanitarie

ove previste; devono essere rispettati gli

obblighi informativi verso Regione e

Province relativi all'aggiornamento

annuale della banca dati delle strutture di

cui al successivo paragrafo 10.

5.2.1 REQUISITI COMUNI

RIGUARDANTI IL PERSONALE

In considerazione delle modifiche in

corso nella normativa nazionale sui

profili professionali in area sociale e

socio-sanitaria e sui relativi percorsi

formativi, le indicazioni espresse su tali

ambiti dalla presente direttiva saranno

oggetto di successivi aggiornamenti e

integrazioni. All'interno di ogni struttura

deve operare - in relazione a quanto

previsto dalle disposizioni specifiche

della Parte II - personale socio-

assistenziale, socio-sanitario ed

educativo, in possesso di adeguata

qualificazione ottenuta tramite la

frequenza a corsi teorico-pratici, come

previsto dalle direttive regionali della

formazione in materia e dal presente

provvedimento. Nel caso in cui il

personale sia sprovvisto di specifica

qualificazione deve essere in possesso di

un curriculum professionale e formativo

adeguato alle funzioni da svolgere,

comprensivo di esperienza lavorativa

specifica almeno biennale; deve avere

inoltre partecipato ad attività formative

mirate, salvo quanto previsto nella Parte

II "Disposizioni specifiche", paragrafo

4.2.1. Se il personale è sprovvisto di

qualifica, al soggetto gestore, ad

eccezione dei gestori di strutture per

minori, è rilasciata autorizzazione

provvisoria al funzionamento con le

modalità di cui al successivo paragrafo 6.

Il personale addetto alle funzioni

socio-assistenziali, socio-sanitarie ed

educative è di norma il seguente:

educatore professionale in possesso di

attestato di abilitazione rilasciato ai sensi

del D.M. Sanità 10 febbraio 1984;

educatore professionale ai sensi della

Direttiva Comunitaria 51/1992, in

possesso dell'attestato regionale di

qualifica rilasciato al termine di Corso di

formazione attuato nell'ambito del

progetto APRIS; educatore in possesso di

diploma di laurea in Scienze

dell'Educazione o in Scienze della

Formazione, indirizzo "Educatore

professionale extrascolastico"; addetto

all'assistenza di base in possesso

dell'attestato regionale di qualifica;

animatore in possesso dell'attestato

regionale di qualifica; responsabile di

attività assistenziali in possesso di

certificato regionale di specializzazione o

di attestato regionale di frequenza;

coordinatore responsabile di struttura in

possesso di adeguata formazione ed

esperienza professionale valutabile dal

curriculum posseduto; istruttore per

specifiche attività.

L'organizzazione del lavoro deve

prevedere momenti di lavoro in équipe,

programmi annuali di formazione e

aggiornamento del personale con

indicazione del responsabile, nonché

azioni di supervisione da attuare con

l'impiego di professionisti esperti. Il

personale deve portare ben visibile (ad

eccezione di quello delle strutture per

minori) un tesserino identificativo

rilasciato dal gestore della struttura dove

devono essere indicati il nome e la

qualifica rivestita. L'utilizzo di volontari

ed obiettori di coscienza deve essere

preceduto ed accompagnato dalle attività

formative ed informative necessarie ad

un proficuo inserimento nella struttura,

nell'ambito dei progetti d'intervento

riferiti ai piani individuali di assistenza o,

nel caso di strutture per minori, ai

progetti educativi; anche per i volontari e

gli obiettori di coscienza vale l'obbligo

del tesserino identificativo previsto al

capoverso precedente (ad eccezione delle

strutture per minori), rilasciato dal

gestore della struttura o

dall'organizzazione di volontariato se

esiste un accordo di collaborazione tra

questa e il soggetto gestore.

82

6. PROCEDURA PER IL RILASCIO

DELLA AUTORIZZAZIONE AL

FUNZIONAMENTO

L'autorizzazione al funzionamento di

cui alla presente direttiva deve essere

acquisita prima dell'inizio dell'attività

della struttura. A tal fine il legale

rappresentante del soggetto gestore

presenta apposita domanda al Comune

nel cui territorio è ubicata la struttura,

secondo il modello a ciò predisposto

dalla Regione ai sensi dell'articolo 3,

comma 3 della L.R. n. 34/98, ed allegato

alla presente direttiva (allegato 1). Sono

altresì soggette a preventiva

autorizzazione al funzionamento,

secondo le modalità di cui alla presente

direttiva, tutte le trasformazioni e/o gli

ampliamenti di strutture già autorizzate

ai sensi della presente direttiva e delle

direttive regionali di cui alle

deliberazioni del Consiglio regionale n.

560 del 11/07/1991, n. 2134 del

28/09/1994 e n. 779 del 10/12/1997, che

comportino il rilascio di concessione

edilizia o che modifichino la capacità

ricettiva autorizzata. Sono inoltre

soggette a preventiva autorizzazione al

funzionamento secondo le modalità

sopra indicate, le trasformazioni

consistenti nella modifica di tipologia di

struttura tra quelle previste nella parte II.

Ai sensi dell'articolo 3, comma 2 della

L.R. n. 34/98, per l'attività istruttoria

delle domande oggetto della presente

direttiva, il Comune si avvale della

Commissione di cui al successivo

paragrafo 6.2. Il Comune, acquisiti i

risultati dell'attività istruttoria e preso

atto del parere formulato dalla

Commissione di cui al paragrafo 6.2,

rilascia l'autorizzazione al

funzionamento; in caso di parere

negativo, sulla base degli elementi forniti

dalla Commissione, indica gli

adeguamenti da porre in essere prima

dell'inizio dell'attività della struttura. A

seguito della comunicazione del legale

rappresentante della struttura di avere

ottemperato a quanto richiesto, il

Comune provvede - attraverso la

Commissione alla verifica. In caso di

riscontro positivo provvede al rilascio

dell'autorizzazione al funzionamento. In

casi eccezionali e straordinari, da

indicare espressamente nell'atto di

autorizzazione, il Comune può

autorizzare provvisoriamente una

struttura fatto salvo eventuali

prescrizioni di interventi edilizi di lieve

entità, da effettuarsi entro il termine

massimo di 18 mesi non prorogabili,

previa acquisizione del parere della

Commissione in ordine al fatto che gli

interventi prescritti non pregiudicano la

sicurezza o l'incolumità degli ospiti o

degli operatori, nonché la funzionalità

della struttura al servizio per il quale è

destinata. I requisiti funzionali ed

organizzativi vengono dichiarati nella

domanda di autorizzazione al

funzionamento nei modi e con le

modalità indicate al successivo paragrafo

6.1 "Domanda per il rilascio

dell'autorizzazione al funzionamento". In

sede di prima istruttoria - per quanto

riguarda i requisiti funzionali ed

organizzativi - si effettua il riscontro di

quanto dichiarato con quanto previsto

dalla presente direttiva; successivamente

al rilascio dell'autorizzazione al

funzionamento, e comunque entro e non

oltre 90 giorni dal rilascio, il Comune

provvede - mediante l'apposita

Commissione - al sopralluogo per la

verifica. In nessun caso possono essere

concesse autorizzazioni provvisorie per

quanto attiene ai requisiti funzionali ed

organizzativi, salvo il caso di oggettiva

carenza di personale educativo od

addetto all'assistenza di base in possesso

dei titoli ed attestati di cui al precedente

paragrafo 5.2.1, attestata dalla

Amministrazione provinciale

competente; in questi casi occorre che

per il personale privo di qualifica sia

verificato almeno il possesso della

necessaria esperienza e capacità

professionale, maturata in strutture della

stessa od analoga tipologia di quella

oggetto di autorizzazione al

funzionamento, valutabile dal curriculum

posseduto. L'Amministrazione

provinciale, nell'attestazione di cui al

precedente capoverso, indica i tempi

83

previsti per l'attuazione delle attività

formative specifiche, nell'ambito della

propria programmazione e tenuto conto

della durata dei diversi percorsi

formativi. Sulla base dell'attestazione

provinciale il Comune fissa i termini

dell'autorizzazione provvisoria, previa

acquisizione della dichiarazione del

legale rappresentante della struttura di

impegno ad avviare a formazione o

riqualificazione gli operatori interessati

nei termini indicati. Per il personale

operante nelle strutture per minori

valgono le disposizioni specifiche di cui

alla Parte II, paragrafo 4.2.1.

6.1 DOMANDA PER IL RILASCIO

DELL'AUTORIZZAZIONE AL

FUNZIONAMENTO

Alla domanda per il rilascio

dell'autorizzazione al funzionamento,

compilata sul modello a ciò predisposto

dalla Regione ed inoltrata al Comune nel

cui territorio è ubicata la struttura, deve

essere allegata la seguente

documentazione: planimetria quotata dei

locali della struttura, con l'indicazione

della destinazione d'uso dei singoli

ambienti; dichiarazione sostitutiva

dell'atto di notorietà ai sensi del D.P.R.

20 ottobre 1998, n. 403 e della L. 4

gennaio 1968, n. 15, del legale

rappresentante del soggetto gestore,

attestante che la struttura rispetta la

normativa vigente in materia urbanistica,

edilizia, prevenzione incendi, igiene e

sicurezza; nella dichiarazione sostitutiva

devono essere indicate la data del rilascio

e l'autorità emanante dei certificati e

degli altri atti amministrativi; si richiama

quanto previsto all'art. 26 della L. n. 15

del 1968 in materia di sanzioni, e quanto

previsto all'art. 11 del D.P.R. n. 403 del

1998 in materia di controlli sul contenuto

delle dichiarazioni sostitutive; per le

strutture per minori: copia del progetto

educativo generale della struttura che

espliciti le metodologie educative che si

intendono adottare, il tipo di utenza che

si intende ospitare e la fascia d'età a cui

ci si rivolge (Parte II "Disposizioni

specifiche", paragrafo 4.2); copia del

modello di cartella personale in uso

presso la struttura; dichiarazione a firma

del legale rappresentante del soggetto

gestore indicante le qualifiche ed il

numero del personale previsto per la

struttura a regime; la verifica del rispetto

di quanto dichiarato sarà effettuata

successivamente all'inizio dell'attività

con le modalità indicate al precedente

paragrafo 6.; dichiarazione a firma del

legale rappresentante del soggetto

gestore indicante il nominativo del

coordinatore responsabile e del

responsabile delle attività sanitarie ove

previste, specificando per quest'ultimo il

possesso dei titoli posseduti richiesti

dalla legge; nel caso di cambiamenti dei

soggetti sopra indicati, è fatto obbligo al

legale rappresentante di darne tempestiva

comunicazione al Comune che ha

rilasciato l'autorizzazione al

funzionamento ed alla Amministrazione

provinciale competente, ai fini della

tenuta del Registro di cui al successivo

paragrafo 8.; dichiarazione a firma del

legale rappresentante del soggetto

gestore indicante il nominativo del

responsabile del servizio protezione e

prevenzione ai sensi del D.lgs. 626/94;

per le strutture residenziali: copia del

regolamento o Carta dei Servizi adottata

dalla struttura in cui devono essere

indicate: la retta totale richiesta all'ospite

o al soggetto che provvede al pagamento;

nel caso di stipula di convenzione con

l'Azienda USL per il rimborso degli

oneri a rilievo sanitario ai sensi delle

direttive regionali vigenti, la Carta dei

Servizi andrà integrata con l'indicazione

della quota portata in detrazione perché

oggetto di rimborso al gestore; le attività

ed i servizi erogati ricompresi nella retta

di cui sopra; le attività ed i servizi

garantiti a richiesta non ricompresi nella

retta, con l'indicazione delle relative

tariffe; le modalità - se soggette a

restrizione di orari o di altro genere - di

accesso di soggetti esterni alla struttura

(parenti, volontari, ecc.); gli orari di

presenza in struttura del personale

sanitario ove previsto; le modalità con

cui vengono effettuate le ammissioni e le

dimissioni; le regole di vita comunitaria;

84

le modalità ed i limiti per l'utilizzo di

arredi e suppellettili personali di cui al

precedente paragrafo 5.2.

6.2 ATTIVITA' ISTRUTTORIA

Il Comune, per l'accertamento dei

requisiti minimi previsti dalla presente

direttiva, si avvale della Commissione di

cui all'articolo 4 della L.R. n. 34 del

1998. Ogni Commissione dovrà essere

composta da almeno 7 esperti, oltre al

Presidente, con documentate competenze

ed esperienze in materia di: a) edilizia

socio-sanitaria; b) impiantistica generale;

c) organizzazione e sicurezza del lavoro;

d) organizzazione e gestione di servizi

sociali; e) neuropsichiatria e

riabilitazione; f) geriatria; g) assistenza ai

minori.

Gli esperti di cui alle precedenti

lettere a), b), c) sono gli stessi già

individuati ai sensi della deliberazione di

Giunta regionale dell'8 febbraio 1999, n.

125. Il Responsabile del Dipartimento di

prevenzione attiva di volta in volta,

nell'ambito della suddetta Commissione,

un gruppo ispettivo correlato e

commisurato alla tipologia e alle

dimensioni della struttura per la quale è

stata richiesta l'autorizzazione al

funzionamento.

Gli esperti di cui alle precedenti

lettere a), b), c) sono nominati dal

Direttore Generale dell'Azienda USL. Gli

esperti di cui alle precedenti lettere d), e),

f), g) sono nominati dal Direttore

Generale dell'Azienda USL su

designazione della Conferenza sanitaria

territoriale.

La Commissione dura in carica 5

anni. Qualora durante i 5 anni si dovesse

procedere alla sostituzione di uno o più

componenti, l'individuazione avviene

con le modalità di cui al precedente

capoverso.

La Commissione si configura quale

organo tecnico consultivo di tutti i

Comuni del territorio di riferimento

dell'Azienda USL, per l'esercizio della

funzione di autorizzazione al

funzionamento delle strutture oggetto

della presente direttiva.

Il Responsabile del Dipartimento di

Prevenzione dell'Azienda USL, nella sua

qualità di Presidente della Commissione,

assicura la tenuta di apposito registro di

verbalizzazione dell'attività e dei pareri

della Commissione stessa, nonché

l'archiviazione della documentazione

allegata alle domande.

La Commissione, al fine di

permettere al Comune di adottare gli atti

di propria competenza, trasmette una

relazione contenente le conclusioni ed il

parere sulla domanda oggetto

dell'istruttoria.

Il Comune provvede ad inviare il

provvedimento di autorizzazione al

funzionamento al legale rappresentante

del soggetto gestore; contestualmente

provvede ad effettuare le previste

comunicazioni alla Provincia, con le

modalità di cui al successivo paragrafo 8.

6.3 ELEMENTI

DELL'AUTORIZZAZIONE AL

FUNZIONAMENTO

L'autorizzazione rilasciata dal

Comune deve indicare: a) l'esatta

denominazione del soggetto gestore, la

natura giuridica e l'indirizzo; b) l'esatta

denominazione della struttura e la sua

ubicazione; c) la tipologia della struttura,

tra quelle previste nella parte II della

presente direttiva; d) la capacità ricettiva

autorizzata; e) la eventuale condivisione

di locali ammessa per le tipologie di

strutture di cui ai successivi paragrafi 1.1

e 2.1 della Parte II "Disposizioni

specifiche" e la struttura con cui vengono

condivisi; f) il nominativo del

coordinatore responsabile e del

responsabile delle attività sanitarie se

previste; g) la data del rilascio

dell'autorizzazione; da tale data

decorrono i termini di cui al successivo

paragrafo 9.

8. REGISTRO PROVINCIALE

DELLE STRUTTURE AUTORIZZATE

E' istituito presso ciascuna

Amministrazione provinciale il Registro

delle strutture residenziali e semiresi-

85

denziali pubbliche e private che svolgono

attività socio-sanitaria e socio-

assistenziale, autorizzate al

funzionamento ai sensi della L.R. 12

ottobre 1998, n. 34, artt. 1, co. 1 e 3, co.

2.

Le Amministrazioni provinciali

devono essere tempestivamente

informate, contestualmente alle

comunicazioni effettuate al legale

rappresentante del soggetto gestore, dei

provvedimenti adottati dalle

Amministrazioni comunali competenti

sulle singole strutture, anche

nell'esercizio delle funzioni di vigilanza,

affinchè provvedano ad annotarle nel

Registro.

Al fine della istituzione, tenuta ed

aggiornamento del Registro, i Comuni

comunicano alla Provincia i

provvedimenti adottati tramite la

compilazione degli appositi modelli a ciò

predisposti ed allegati alla presente

direttiva.

Per le autorizzazioni di cui ai

precedenti paragrafi 6.2 e 7.2 si dovrà

utilizzare il modello "Mod. AUT1"; lo

stesso modello deve essere utilizzato per

le autorizzazioni di cui al precedente

paragrafo 7.1, precisando se

l'autorizzazione è stata rilasciata sulla

base dei requisiti strutturali previsti dalle

direttive precedenti o dalla presente.

Per le strutture di cui al precedente

paragrafo 7.3 i Comuni, per le previste

comunicazioni alla Provincia, utilizzano

il modello "Mod. PROVV".

I Comuni provvedono altresì a dare

comunicazione alla Provincia dell'esito e

della data del sopralluogo di verifica dei

requisiti funzionali ed organizzativi

dichiarati, di cui al precedente paragrafo

6., per quanto attiene all'istruttoria delle

domande di autorizzazione al

funzionamento presentate sulla base

della disciplina di cui alla L.R. 34/98 e

della presente direttiva. La Provincia

annota nel Registro la data e l'esito del

sopralluogo di verifica.

La Provincia provvede ad

informatizzare, nell'apposita procedura

del Sistema informativo regionale, i

modelli "Mod. AUT1" e "Mod.

PROVV", ricevuti dai Comuni e le

annotazioni relative alla data ed esito del

sopralluogo di verifica dei requisiti di cui

al precedente paragrafo 6..

Nel Registro è tenuta una apposita

sezione destinata alla annotazione delle

comunicazioni di avvio attività di cui al

successivo paragrafo 9.1. La Provincia

provvede ad informatizzare nella

apposita procedura del sistema

informativo regionale i modelli "Mod.

DEN1" ricevuti dai Comuni.

9. VERIFICHE E CONTROLLI

La permanenza dei requisiti minimi

sulla base dei quali è stata rilasciata

l'autorizzazione al funzionamento è

verificata di norma ogni quattro anni,

mediante autocertificazione sottoscritta

dal legale rappresentante del soggetto

gestore, trasmessa al Comune che ha

rilasciato l'autorizzazione al

funzionamento. L'autocertificazione deve

essere conforme al modello predisposto

dalla Giunta regionale con propria

deliberazione. Il Comune può comunque

procedere in qualsiasi momento a

verifiche ispettive anche avvalendosi

della Commissione di cui al paragrafo

6.2.

La Regione può disporre controlli e

verifiche sulle strutture autorizzate,

dandone comunicazione al Comune ed

avvalendosi della Commissione di cui al

precedente paragrafo 6.2. L'esito dei

controlli e verifiche effettuate deve

essere tempestivamente comunicato al

legale rappresentante del soggetto

gestore, alla Provincia ed al Comune nel

caso di controlli e verifiche disposti dalla

Regione. Alla Provincia deve essere

altresì trasmessa - a cura del Comune -

copia della autocertificazione sottoscritta

dal legale rappresentante del soggetto

gestore di cui al primo capoverso del

presente paragrafo, ai fini

dell'annotazione nel Registro provinciale

delle strutture autorizzate.

Qualora, a seguito di verifica disposta

dal Comune o dalla Regione, venga

accertata l'assenza di uno o più requisiti

minimi o il superamento della capacità

86

ricettiva autorizzata, il Comune diffida il

legale rappresentante del soggetto

gestore a provvedere al necessario

adeguamento entro il termine stabilito

nell'atto di diffida. Tale termine può

essere eccezionalmente prorogato, con

atto motivato, una sola volta. Il mancato

adeguamento nel termine stabilito,

ovvero l'accertamento di comprovate

gravi carenze che possono pregiudicare

la sicurezza degli assistiti o degli

operatori, comporta l'adozione di un

provvedimento di sospensione - anche

parziale - dell'attività. Con tale

provvedimento il Comune indica la

decorrenza della sospensione dell'attività

nonché gli adempimenti da porre in

essere per permetterne la ripresa. Ove il

legale rappresentante del soggetto

gestore non richieda al Comune - entro

un anno dalla data del provvedimento di

sospensione - la verifica circa il

superamento delle carenze riscontrate,

l'autorizzazione al funzionamento si

intende decaduta. In questo caso l'attività

può essere nuovamente esercitata solo a

seguito di presentazione di nuova

domanda con le modalità di cui ai

precedenti paragrafi 6. e 6.1. A seguito

della comunicazione del legale

rappresentante del soggetto gestore di cui

al precedente capoverso, il Comune

provvede entro 30 giorni alla prevista

verifica; decorsi i 30 giorni senza che il

Comune abbia provveduto alla verifica,

il gestore può riprendere l'attività oggetto

di sospensione. L'eventuale mancato

esercizio dell'attività protratto per più di

12 mesi comporta la revoca

dell'autorizzazione al funzionamento.

Nel caso di verifiche e controlli disposti

dal Comune o dalla Regione a seguito

dei quali venga adottato un

provvedimento, il Comune deve darne

comunicazione alla Provincia utilizzando

il modello a ciò predisposto allegato alla

presente direttiva "Mod. VER1".

9.1 COMUNICAZIONE DI AVVIO

DI ATTIVITA'

Il legale rappresentante del soggetto

gestore di appartamenti protetti e gruppi

appartamento per anziani e disabili, di

case famiglia, che accolgono fino ad un

massimo di sei ospiti, deve comunicare

l'avvio di tali attività al Sindaco del

Comune del territorio.

La comunicazione - finalizzata

all'esercizio dell'attività di vigilanza -

deve essere effettuata entro 60 giorni

dall'avvio dell'attività e deve indicare: la

denominazione e l'indirizzo esatto della

sede in cui si svolge l'attività; la

denominazione, la natura giuridica e

l'indirizzo del soggetto gestore; il numero

massimo (entro le sei unità) di utenti che

possono essere ospitati nella sede; il

numero e le caratteristiche dell'utenza

presente (esempio: minori, anziani,

disabili, ecc.); il numero e le qualifiche

del personale che vi opera; le modalità di

accoglienza dell'utenza (convenzione con

enti pubblici, rapporto diretto con gli

utenti, ecc.); la retta richiesta agli ospiti

e/o ai familiari e l'eventuale

partecipazione alla spesa di soggetti

pubblici.

Per le attività di cui al presente

paragrafo, già avviate alla data di entrata

in vigore della presente direttiva, la

comunicazione deve essere effettuata

entro 60 giorni dall'entrata in vigore. Il

Comune provvede a dare comunicazione

alla Provincia, al fine della tenuta

dell'apposita sezione del Registro, delle

comunicazioni di avvio di attività

ricevute, utilizzando l'apposito modello a

ciò predisposto ed allegato alla presente

direttiva "Mod. DEN1".

10. SISTEMA INFORMATIVO

La Regione, ai sensi dell'articolo 14

della L.R. n. 3 del 1999, nell'ambito delle

linee di indirizzo per lo sviluppo

telematico dell'Emilia-Romagna,

promuove il coordinamento delle

informazioni e la comunicazione

istituzionale con il sistema delle

autonomie locali. Nell'ambito del più

complessivo sistema informativo

regionale si colloca quello delle politiche

sociali, la cui gestione territoriale è

affidata alle Province ai sensi dell'art.

190 della L.R. n. 3 del 1999.

87

Il sistema informativo delle politiche

sociali - realizzato con procedure

informatiche gestite in rete tra la Regione

e le Province - comprende, tra l'altro, la

banca dati delle strutture socio-

assistenziali e socio-sanitarie del

territorio regionale. La banca dati è

costituita dall'anagrafe delle strutture - la

cui implementazione avviene, per le

strutture oggetto della presente direttiva,

attraverso i Registri di cui al precedente

paragrafo 8. - e da aggiornamenti annuali

effettuati attraverso le apposite

rilevazioni rivolte ai soggetti gestori. Gli

aggiornamenti annuali riguardano:

l'organizzazione del presidio, l'utenza, il

personale, gli aspetti economici.

L'anagrafe delle strutture oggetto della

presente direttiva viene alimentata e

modificata in modo continuo dalle

Province, a seguito dell'invio da parte dei

Comuni dei modelli a ciò predisposti

("Mod. AUT1", "Mod. PROVV", "Mod.

DEN1", "Mod. VER1"). Gli

aggiornamenti annuali vengono effettuati

attraverso i modelli di rilevazione

"ISTAT/Regione" per le strutture

residenziali e i modelli "Regione" per le

strutture semiresidenziali. I modelli

vengono inviati dalle Province agli enti

gestori che provvedono alla

compilazione e restituzione alle Province

per la relativa informatizzazione. Il

sistema così delineato crea a livello

provinciale un punto di accesso unificato

alle informazioni sulle strutture socio-

assistenziali e socio-sanitarie,

individuando nelle Province il punto di

riferimento privilegiato per i soggetti del

rispettivo ambito territoriale. A livello

regionale fornisce elementi per

l'esercizio delle funzioni di

programmazione, coordinamento ed

indirizzo.

3) DECRETO 21 maggio 2201, n.308

Regolamento concernente

"Requisiti minimi strutturali e

organizzativi per l'autorizzazione

all'esercizio dei servizi e delle strutture

a ciclo residenziale e semiresidenziale,

a norma dell'articolo 11 della legge 8

novembre 2000, n. 328"

Art. 1. Oggetto e finalità

1. Il presente decreto fissa i requisiti

minimi strutturali e organizzativi per

l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e

delle strutture a ciclo diurno e

residenziale di cui alla legge n. 328 del

2000, con previsione di requisiti specifici

per le comunità di tipo familiare con sede

nelle civili abitazioni.

2. Ai sensi dell'articolo 11, comma 2,

della legge n. 328 del 2000, le regioni

recepiscono e integrano, in relazione alle

esigenze locali, i requisiti minimi fissati

dal presente decreto, individuando, se del

caso, le condizioni in base alle quali le

strutture sono considerate di nuova

istituzione e le modalità e i termini entro

cui prevedere, anche in regime di deroga,

l'adeguamento ai requisiti per le strutture

già operanti.

Art. 2. Strutture e servizi soggetti ai

requisiti minimi per l'autorizzazione

1. I requisiti minimi per

l'autorizzazione al funzionamento di cui

alla legge n. 328 del 2000 riguardano le

strutture e i servizi già operanti e quelli

di nuova istituzione, gestiti dai soggetti

pubblici o dai soggetti di cui all'articolo

1, commi 4 e 5 della legge n. 328 del

2000 che, indipendentemente dalla

denominazione dichiarata, sono rivolti a:

a) minori per interventi socio-

assistenziali ed educativi integrativi o

sostitutivi della famiglia;

b) disabili per interventi socio-

assistenziali o socio-sanitari finalizzati al

mantenimento e al recupero dei livelli di

autonomia della persona e al sostegno

della famiglia;

88

c) anziani per interventi socio-

assistenziali o socio-sanitari, finalizzati

al mantenimento e al recupero delle

residue capacità di autonomia della

persona e al sostegno della famiglia;

d) persone affette da AIDS che

necessitano di assistenza continua, e

risultano prive del necessario supporto

familiare, o per le quali la permanenza

nel nucleo familiare sia

temporaneamente o definitivamente

impossibile o contrastante con il progetto

individuale;

e) persone con problematiche psico-

sociali che necessitano di assistenza

continua e risultano prive del necessario

supporto familiare, o per le quali la

permanenza nel nucleo familiare sia

temporaneamente o definitivamente

impossibile o contrastante con il progetto

individuale.

2. Per le strutture che erogano

prestazioni socio-sanitarie di cui

all'articolo 8-ter del decreto legislativo n.

502 del 1992, come modificato dal

decreto legislativo n. 229 del 1999,

l'autorizzazione di cui al comma 1,

lettere b), c), d) ed e), e' rilasciata

comunque in conformità a quanto

previsto dall'articolo 8-ter dello stesso

decreto legislativo.

3. Restano ferme le disposizioni

adottate in attuazione della legge 18

febbraio 1999, n. 45, in materia di

strutture e servizi destinati al recupero e

alla riabilitazione della

tossicodipendenza.

Art. 3. Strutture di tipo familiare e

comunità di accoglienza di minori

1. Le comunità di tipo familiare e i

gruppi appartamento con funzioni di

accoglienza e bassa intensità

assistenziale, che accolgono, fino ad un

massimo di sei utenti, anziani, disabili,

minori o adolescenti, adulti in difficoltà

per i quali la permanenza nel nucleo

familiare sia temporaneamente o

permanentemente impossibile o

contrastante con il progetto individuale,

devono possedere i requisiti strutturali

previsti per gli alloggi destinati a civile

abitazione. Per le comunità che

accolgono minori, gli specifici requisiti

organizzativi, adeguati alle necessità

educativo-assistenziali dei bambini e

degli adolescenti, sono stabiliti dalle

regioni.

Art. 5. Requisiti comuni delle

strutture a ciclo diurno e residenziale

1. Fermo restando il possesso dei

requisiti previsti dalle norme vigenti in

materia urbanistica, edilizia, prevenzione

incendi, igiene e sicurezza e

l'applicazione dei contratti di lavoro e dei

relativi accordi integrativi, le strutture

devono possedere i seguenti requisiti

minimi ai sensi dell'articolo 9, comma 1,

lettera c), della legge n. 328 del 2000:

a) ubicazione in luoghi abitati

facilmente raggiungibili con l'uso di

mezzi pubblici, comunque tale da

permettere la partecipazione degli utenti

alla vita sociale del territorio e facilitare

le visite agli ospiti delle strutture;

b) dotazione di spazi destinati ad

attività collettive e di socializzazione

distinti dagli spazi destinati alle camere

da letto, organizzati in modo da garantire

l'autonomia individuale, la fruibilità e la

privacy;

c) presenza di figure professionali

sociali e sanitarie qualificate, in relazione

alle caratteristiche ed ai bisogni

dell'utenza ospitata, così come

disciplinato dalla regione;

d) presenza di un coordinatore

responsabile della struttura;

e) adozione di un registro degli ospiti

e predisposizione per gli stessi di un

piano individualizzato di assistenza e,

per i minori, di un progetto educativo

individuale; il piano individualizzato ed

il progetto educativo individuale devono

indicare in particolare: gli obiettivi da

raggiungere, i contenuti e le modalità

dell'intervento, il piano delle verifiche;

f) organizzazione delle attività nel

rispetto dei normali ritmi di vita degli

ospiti;

g) adozione, da parte del soggetto

gestore, di una Carta dei servizi sociali

secondo quanto previsto dall'articolo 13

89

della legge n. 328 del 2000,

comprendente la pubblicizzazione delle

tariffe praticate con indicazione delle

prestazioni ricomprese.

Art. 6. Requisiti comuni ai servizi

1. Ferma restando l'applicazione dei

contratti di lavoro e dei relativi accordi

integrativi, il soggetto erogatore di

servizi alla persona di cui alla legge n.

328 del 2000 deve garantire il rispetto

delle seguenti condizioni organizzative,

che costituiscono requisiti minimi ai

sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c),

della medesima legge:

a) presenza di figure professionali

qualificate in relazione alla tipologia di

servizio erogato, secondo standard

definiti dalle regioni;

b) presenza di un coordinatore

responsabile del servizio;

c) adozione, da parte del soggetto

erogatore, di una Carta dei servizi sociali

secondo quanto previsto dall'articolo 13

della legge n. 328 del 2000

comprendente la pubblicizzazione delle

tariffe praticate con indicazione delle

prestazioni ricomprese;

d) adozione di un registro degli utenti

del servizio con l'indicazione dei piani

individualizzati di assistenza.

Art. 7. Requisiti specifici delle

strutture

1. Ai fini della individuazione dei

requisiti minimi delle strutture si

considerano:

a) strutture a carattere comunitario;

b) strutture a prevalente accoglienza

alberghiera;

c) strutture protette;

d) strutture a ciclo diurno.

2. Le strutture a carattere comunitario

sono caratterizzate da bassa intensità

assistenziale, bassa e media complessità

organizzativa, destinate ad accogliere

utenza con limitata autonomia personale,

priva del necessario supporto familiare o

per la quale la permanenza nel nucleo

familiare sia temporaneamente o

definitivamente contrastante con il piano

individualizzato di assistenza.

3. Le strutture a prevalente

accoglienza alberghiera sono

caratterizzate da bassa intensità

assistenziale, media e alta complessità

organizzativa in relazione al numero di

persone ospitate, destinate ad accogliere

anziani autosufficienti o parzialmente

non autosufficienti.

4. Le strutture protette sono

caratterizzate da media intensità

assistenziale, media e alta complessità

organizzativa, destinate ad accogliere

utenza non autosufficiente.

5. Le strutture a ciclo diurno sono

caratterizzate da diverso grado di

intensità assistenziale in relazione ai

bisogni dell'utenza ospitata e possono

trovare collocazione all'interno o in

collegamento con una delle tipologie di

strutture di cui ai commi precedenti.

90

Appendice B

Questo appendice riporta lo schema del modulo allegato alla DGR 564/2000. Il

modulo viene compilato dai Comuni ed inviato alla Provincia di riferimento al fine

di registrare gli aggiornamenti annuali relativi alle strutture oggetto della delibera.

Mod. DEN1

REGISTRO PROVINCIALE DELLE COMUNICAZIONI DI AVVIO ATTIVITA'

L.R. 12 OTTOBRE 1998, N. 34

DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N.___ DEL ___

PARTE I, PARAGRAFO 9.1

COMUNE DI __________

PROVINCIA DI ________

SOGGETTO GESTORE _________

(denominazione, natura giuridica ed indirizzo)

STRUTTURA _____________ (denominazione, indirizzo)

NUMERO MASSIMO DI UTENTI CHE POSSONO ESSERE OSPITATI NELLA

STRUTTURA _________

CARATTERISTICHE DELL'UTENZA OSPITATA ________

(esempio: minori, anziani, disabili, ecc.)

NUMERO E QUALIFICHE DEL PERSONALE CHE OPERA NELLA

STRUTTURA__________________________

MODALITA' DI ACCOGLIENZA DELL'UTENZA ______________________

(convenzione con enti pubblici, rapporto diretto con gli utenti, ecc.)

RETTA RICHIESTA AGLI OSPITI E/O AI FAMILIARI ED EVENTUALE

PARTECIPAZIONE ALLA SPESA DI SOGGETTI PUBBLICI_____________________

DATA IN CUI E' STATA PRESENTATA AL COMUNE LA COMUNICAZIONE DI

AVVIO ATTIVITÀ ____________________________

91

Appendice C

Questa appendice riporta il testo

integrale delle Linee Guida approvate

in data 08/07/2008 dal Consiglio

comunale di Parma con delibera n.

85/15.

Linee Guida per la disciplina, la

valorizzazione e la qualificazione delle

Case Famiglia per anziani e per

l'esercizio delle attività di vigilanza e

controllo.

Case Famiglia

Le Case Famiglia nascono, su iniziativa

privata, per dare una risposta al crescete

bisogno di luoghi di tipo familiare, che

diano assistenza e ospitalità a persone di

terza età.

La filosofia portante delle Case Famiglia

e della organizzazione deve basarsi sulla

centralità e sul sostegno dell’anziano che

viene accolto e inserito in modo da

mantenere integri i legami con la sua

famiglia, la sua casa, i suoi amici. Le

stesse devono farsi carico dell’anziano

nella globalità e, oltre a garantire un

soggiorno e un’assistenza di base di

ottimo livello, devono promuovere le

potenzialità di salute, di benessere, di

affettività e di vita relazionale degli

assistiti.

Le Case Famiglia che operano sul

Territorio Comunale di Parma, possono

accogliere anziani autosufficienti e/o che

necessitano di bassa intensità

assistenziale, certificata dal Medico di

Medicina Generale. Per bassa intensità

assistenziale si intende il livello di cura

che il singolo anziano richiede per

svolgere le attività di vita quotidiana e si

caratterizza in prestazioni quali:

- aiuto per l’igiene personale e il bagno;

- aiuto nella vestizione;

- aiuto nella preparazione dei pasti;

-accompagnamento per disbrigo pratiche;

- accompagnamento ai presidi sanitari;

- attività di socializzazione

e quant’altro può contribuire al benessere

dell’anziano e al mantenimento delle sue

capacità residue.

A) Percorsi procedurali

concentrati tra il Settore Sportello

Unico Impresa Edilizia-Cittadino e i

Servizi Sociali

1. Il soggetto gestore che intende

avviare una “Casa Famiglia”, ove

possono essere accolti fino ad un

massimo di sei ospiti, è tenuto a dare

comunicazione dell’avvio di tale attività

al Settore Sportello Unico del Comune di

Parma entro 60 giorni. Tale

dichiarazione deve contenere tutte le

informazioni elencate al Punto 9.1 della

Delibera di Giunta Regionale n. 564/00,

oltre a quelle di cui alla Scheda Tecnica

approvata con Provvedimento

Dirigenziale.

2. Il Settore Sportello Unico del

Comune di Parma dovrà provvedere a

trasmettere tempestivamente le

Comunicazioni di Avvio Attività

all’Assessorato Politiche Sociali e di

Parità- Struttura Operativa Anziani per le

successive azioni di verifica e controllo,

come stabilito dalla Deliberazione di

Giunta Regionale 564/00.

3. La Struttura Operativa Anziani

provvederà quindi a trasmettere le

Comunicazioni di avvio attività agli

organismi competenti, ovvero NAS,

Nucleo Carabinieri ISP DEL LAVORO e

Azienda USL – Distretto di Parma –

Dipartimento di Sanità Pubblica.

4. Presso la Struttura Operativa

Anziani è tenuto un apposito elenco delle

Case Famiglia, contenente la

denominazione della struttura, l’indirizzo

e il nominativo del legale rappresentante,

nonché la data di presentazione delle

Comunicazioni di Avvio Attività. Tale

elenco viene periodicamente aggiornato

ogni qualvolta pervengono alla Struttura

Operativa Anziani nuove comunicazioni

di avvio attività o cessazioni si attività

92

già in essere e in caso di provvedimenti

di chiusura emessi dagli organismi

competenti

5. Il Settore Sportello Unico, entro

il mese di dicembre di ogni anno, al fine

della tenuta dell’apposita sezione del

Registro, provvederà a trasmettere alla

Provincia le comunicazioni di avvio di

attività ricevute, utilizzando l’apposito

modello “Mod.DEN1”, allegato alla

Deliberazione di Giunta Regionale

n.564/00.

B) Comunicazione per l’avvio e la

gestione delle Case Famiglia

1. Ai fini dell’esercizio dell’attività di

vigilanza e controllo, la comunicazione

di avvio dell’attività deve contenere,

sulla base dei modelli allegati che i

Dirigenti competenti potranno

eventualmente modificare:

- Planimetria della Casa possibilmente in

scala 1:100 e individuazione del numero

dei posti letto;

- Carta dei servizi Sociali (ai sensi

dell’art. 13 della legge n.328/2000);

- Dichiarazione Antimafia (in caso di

società);

- Scheda Tecnica, da cui risulti il

possesso dei requisiti minimi strutturali

ed organizzativi previsti dalle norme di

legge e dai Regolamenti Comunali

vigenti.

C) Valorizzazione e qualificazione

dell’attività delle Case Famiglia

1. Il Soggetto Gestore può fornire alla

Struttura Operativa Anziani – in fase di

avvio o in momenti successivi –

qualunque elemento che ritiene utile al

fine di qualificare l’attività svolta, anche

in un’ottica di diversificazione

dell’offerta assistenziale, progettualità

innovativa, messa in campo di risorse

aggiuntive, promozione di interventi

finalizzati a migliorare la qualità di vita e

a favorire una condizione di benessere

complessivo degli ospiti.

2. Parimenti i Soggetti Gestori di Casa

Famiglia possono sperimentare modalità

di gestione associata di alcune

professionalità (esempio: Infermiere

Professionale), raccordandosi tra loro o

con gli altri servizi del territorio per la

condivisione di attività o momenti

comuni, favorire la partecipazione egli

ospiti agli eventi del territorio anche con

il coinvolgimento dei familiari.

3. E’ altresì da considerarsi elemento

qualificante la partecipazione delle

persone impegnate nell’assistenza –

siano essi dipendenti, collaboratori o

volontari - a momenti o cicli di

formazione/aggiornamento organizzati

dalla Struttura Operativa Anziani o da

altri soggetti, così come è da favorire da

parte dei gestori la graduale

qualificazione del personale che già

opera nelle Case Famiglia qualora si

dimostri predisposizione e attitudine al

lavoro di cura.

4. Fermo restando che il referente

sanitario degli ospiti è il Medico di

Medicina Generale e il Responsabile del

Piano Assistenziale è il Familiare

Referente, i professionisti del Settore

sociale e dell’Azienda USL si pongono

come possibili interlocutori per

migliorare l qualità del servizio erogato

all’interno della Casa Famiglia, anche

proponendo strumenti di lavoro efficaci e

innovativi utili alla organizzazione delle

attività.

D) Vigilanza, Controllo e Sanzioni

1. Il Comune esercita l’attività di

vigilanza e controllo, avvalendosi del

Servizio Sociale, della Polizia

Municipale, de Servizi dell’Azienda

USL, nonché di altri organi deputati alle

funzioni di vigilanza e controllo,

ciascuno per la propria competenza.

2. Qualora venga accertata l’assenza di

uno o più requisiti o il superamento del

numero di ospiti consentito, il Comune

diffida il legale rappresentante della Casa

Famiglia a provvedere al necessario

adeguamento entro il termine stabilito

nell’atto di diffida. Tale termine può

essere eccezionalmente prorogato, con

apposito motivato atto, una sola volta. Il

mancato adeguamento entro il termine

stabilito, ovvero l’accertamento di

93

comprovate gravi carenze che possano

pregiudicare la sicurezza degli ospiti,

comportano la sospensione immediata,

anche parziale, dell’attività. Con tale

provvedimento il Comune indica la

decorrenza della sospensione

dell’attività, nonché gli adempimenti da

porre in essere per permettere la ripresa.

L’attività comunque sospesa può essere

nuovamente esercitata soltanto previo

accertamento del possesso dei requisiti.

3. L’attività di vigilanza e controllo deve

essere esercitata almeno due volte, nel

corso dell’anno.

4. Nel caso in cui, durante la verifica

sorgano dubbi rispetto alla compatibilità

dello stato di salute dell’ospite con le

prestazioni erogabili all’interno della

Casa Famiglia, dovrà essere acquisito

immediatamente ovvero al massimo

entro cinque giorni, apposito parere da

un Medico Geriatra dell’Azienda USL.

Nel caso in cui il Medico Geriatra accerti

la non compatibilità dell’ospite, verrà

assegnato alla Casa Famiglia un termine

idoneo al trasferimento dell’ospite stesso,

fermo restando il potere del Comune, in

caso di comprovate gravi carenze che

possano pregiudicare la sicurezza

dell’ospite, di procedere ai sensi del

precedente comma 2.

5. In caso di mancata comunicazione

dell’avvio dell’attività, viene applicata la

sanzione di cui all’articolo 39 della legge

regionale n. 2/2003.

E) Fase Transitoria

1. Fermo restando che per le Case

Famiglia già esistenti valgono i requisiti

di civile abitazione relativi all’anno di

comunicazione di avvio dell’attività,

viene concesso un termine di 180 giorni

a tutte le Case famiglie già esistenti per

la presentazione della Scheda Tecnica e,

nel caso di società, la Dichiarazione

Antimafia di cui alla precedente lettera

B. Decorso inutilmente tale termine, il

Comune provvederà secondo quanto

previsto al precedente punto D.

94

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