Il senso della caritativa I. Innanzitutto la natura nostra ci dà l’esigenza di interessarci degli...

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IL SENSO DELLA CARITATIVA SCOPO CONSEGUENZE DIRETTIVE

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IL SENSODELLA CARITATIVA

SCOPO • CONSEGUENZE • DIRETTIVE

Ristampa dall’edizione del 1961

IL SENSODELLA CARITATIVA

SCOPO • CONSEGUENZE • DIRETTIVE

In copertina: Masolino, San Pietro. La guarigione dello zoppo. Cappella Brancacci, Firenze.

© 2018 Fraternità di Comunione e Liberazione,Via De Notaris, 50 - 20128 Milano.

Impaginazione: G&C

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A quasi sessant’anni dalla prima edizio-ne - apparsa a Milano nel 1961 a cura diGioventù Studentesca -, questo breve scrittoconserva intatto il suo valore di richiamo dicontenuto e di metodo.

Nel ristamparlo, non è stata apportataalcuna correzione, salvo che nei riferi-menti a luoghi particolari, che sono statiomessi, e nei termini «raggio», «incarica-to», «Gs», che sono stati sostituiti con«assemblea», «responsabile», «Cl», ecc.

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I.

Innanzitutto la natura nostra ci dàl’esigenza di interessarci degli altri.

Quando c’è qualcosa di bello in noi, noici sentiamo spinti a comunicarlo agli altri.Quando si vedono altri che stanno peggiodi noi, ci sentiamo spinti ad aiutarli inqualcosa di nostro. Tale esigenza è tal-mente originale, talmente naturale, che èin noi prima ancora che ne siamo coscien-ti e noi la chiamiamo giustamente leggedell’esistenza.

Noi andiamo in «caritativa» per soddi-sfare questa esigenza.

SCOPO

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II.

Quanto più noi viviamo questa esigenzae questo dovere, tanto più realizziamo noistessi; comunicare agli altri ci dà propriol’esperienza di completare noi stessi.Tanto è vero che, se non riusciamo a dare,ci sentiamo diminuiti.

Interessarci degli altri, comunicarci aglialtri, ci fa compiere il supremo, anzi unico,dovere della vita, che è realizzare noi stes-si, compiere noi stessi.

Noi andiamo in «caritativa» per impara-re a compiere questo dovere.

Scopo

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III.

Ma Cristo ci ha fatto capire il perchéprofondo di tutto ciò svelandoci la leggeultima dell’essere e della vita: la carità. Lalegge suprema, cioè, del nostro essere ècondividere l’essere degli altri, è metterein comune se stessi.

Solo Gesù Cristo ci dice tutto questo,perché Egli sa cos’è ogni cosa, che cos’èDio da cui nasciamo, che cos’è l’Essere.

Tutta la parola «carità» riesco a spiegar-mela quando penso che il Figlio di Dio,amandoci, non ci ha mandato le sue ric-chezze come avrebbe potuto fare, rivolu-zionando la nostra situazione, ma si èfatto misero come noi, ha «condiviso» lanostra nullità.

Noi andiamo in «caritativa» per impara-re a vivere come Cristo.

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I.

La carità è legge dell’essere e vieneprima di ogni simpatia e di ogni commo-zione. Perciò il fare per gli altri è nudo epuò essere privo di entusiasmo. Potrebbebenissimo non esserci nessun risultatocosiddetto «concreto» - per noi l’unicoatteggiamento «concreto» è l’attenzionealla persona, la considerazione della per-sona, cioè l’amore.

Tutto il resto può venire di conseguenza:come Gesù che dopo fece i miracoli esfamò la gente.

Due punti di partenza non chiari per lanostra apertura agli altri noi dobbiamonotare:

1. Sovvenire ai bisogni altrui.

È un punto di partenza ancora incomple-to! Qual è il bisogno altrui?

CONSEGUENZE

Conseguenze

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Questa impostazione è ambigua, dipen-de da cosa noi crediamo che sia il bisognoaltrui: e se ciò che io porto non è vera-mente quello di cui essi hanno bisogno?Ciò di cui hanno veramente bisogno nonlo so io, non lo misuro io, non ce l’ho io.È una misura che non possiedo io: è unamisura che sta in Dio. Perciò le «leggi» ele «giustizie» possono schiacciare, sedimenticassero o pretendessero sostituirlo,l’unico «concreto» che ci sia: la persona,e l’amore alla persona.

2. L’amicizia.

Anche cominciare puntando sull’amicizia,con tutta l’ambiguità che ci può comportare,è incompleto.

L’amicizia è una corrispondenza che si puòtrovare o no, un avvenimento non essenzialeper la nostra azione di oggi, anche se essen-ziale per il nostro destino finale.

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II.

L’andare agli altri liberamente, il condi-videre un po’ della loro vita e il mettere incomune un po’ della nostra, ci fa scoprireuna cosa sublime e misteriosa (si capiscefacendo!).

È la scoperta del fatto che proprio per-ché li amiamo, non siamo noi a farli con-tenti; e che neppure la più perfetta società,l’organismo legalmente più saldo e avve-duto, la ricchezza più ingente, la salutepiù di ferro, la bellezza più pura, la civiltàpiù educata li potrà mai fare contenti.

È un Altro che li può fare contenti. Chi èla ragione di tutto? Chi ha fatto tutto? Dio.

Allora Gesù non rimane più soltantocolui che mi annuncia la parola più vera,che mi spiega la legge della mia realtà, nonè più la luce della mia mente soltanto: ioscopro che Cristo è il senso della mia vita.

Conseguenze

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È bellissima la testimonianza di chi hasperimentato questo valore: «Io continuoad andare in caritativa perché tutta la miae la loro sofferenza hanno un senso».

Sperando in Cristo, tutto ha un senso:Cristo.

Questo scopro, finalmente, nell’ambitodove vado in «caritativa», proprio attra-verso l’impotenza finale del mio amore:ed è l’esperienza in cui l’intelligenzaaffonda nella saggezza, nella cultura vera.

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III.

Ma Cristo è presente adesso: non «èstato», non «è nato», ma «c’è», «nasce»oggi: è la Chiesa. La Chiesa è Cristo, pre-sente adesso, come Lui ha voluto.

E la Chiesa è la comunità di noi, propriodi noi, poveri e attaccati a Lui.

Perciò la speranza ci sostiene; Dio stes-so è tra noi, è presente tra noi.

Uno di noi, in una discussione ha detto:«Continuo ad andare a…, perché ci sietevoi». È verissimo: proprio il senso delnostro essere insieme, della comunitàecclesiale, ci fa tirare avanti oggi fra glihandicappati, negli ospizi, con chiunque èbisognoso e, domani, nella fabbrica, nellacittà, in Europa, nel Mondo che è cosìgrande e Lo aspetta.

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Riferirsi continuamente al movimento,altrimenti è più grande il pericolo di smar-rire la ricerca dell’idea profonda che cisostiene nel fare per gli altri; e più grandeè il pericolo di scoraggiamenti, stanchezzao infedeltà.

La fedeltà nel fidarsi delle indicazioni delmovimento e di coloro che ne sono i respon-sabili è il primo merito e avrà il suo frutto.

Le direttive che, al riguardo, Comunionee Liberazione dà sono tre:

1. Sapere perché.

Finché non sapremo bene, con chiarezza esemplicità, il perché ultimo, lo scopo delnostro fare, fino allora non bisognerà maistare quieti. Il nostro scopo è tirar fuori daquel che facciamo il senso, l’idea per laquale esclusivamente potremo riuscire aessere fedeli, quando non saremo più entu-siasti o non provassimo più gusto.

DIRETTIVE

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Occorrerà quindi dialogare nelle nostreassemblee, a gruppetti, con i responsabilidella comunità, con le persone più maturee vive. Soprattutto revisionarsi ogni tantoattraverso contatti «centrali».

2. Fare per comprendere.

Per capire non basta sapere, occorre fare,con quel coraggio della libertà, che è aderi-re all’essere che si vede, cioè alla verità.

Se la legge dell’esistenza è mettere incomune se stessi, noi dovremmo condivi-dere tutto, ogni istante.

Questa è la maturità suprema, che sichiama umanità o santità. Per educarci aquesto ideale, l’esserci costretti dalle cir-costanze (il «dovere» nel senso solito)serve molto più difficoltosamente.

È il piccolo tempo libero che mi educa; ciòche dà l’esatta misura della mia disponibilità

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agli altri è l’uso di quel tempo che è solo mio, incui posso fare «ciò che ho voglia». Ci formia-mo così una mentalità, un modo quasi istintivodi concepire la vita tutta come un condividere.Il piccolo tempo libero redime tutto ilresto. E, adagio adagio, andando in «cari-tativa» si incomincia a capire di più ilcompagno di banco, il papà e la mamma,il collega di lavoro.

È soprattutto l’età della giovinezza ilmomento unico in cui possiamo con agi-lità, almeno normalmente, assimilare que-sta mentalità. Ed è solo cominciando afare, a donare del tempo libero come inte-grale gesto di libertà, che la carità cristia-na diventerà mentalità, convinzione,dimensione permanente.

È da notare che a noi non interessa tantola molteplicità delle attività, la quantitàdel tempo libero che si dedica. A noi inte-ressa che nella nostra vita e nella nostracoscienza si affermi il principio del condi-videre attraverso almeno qualche gesto,anche minimo, purché sia sistematicamen-

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te messo in preventivo e realizzato. Perquesto basterebbe, come inizio, anche unavolta al mese. Anche per quanto riguardala periodicità dell’impegno è bene consul-tare chi nella comunità può correttamenteconsigliarci.

3. Ordine.

È il tempo libero che dobbiamo impe-gnare (e il più a fondo possibile). Dupliceè il limite che mantiene nell’ordine lagenialità del tempo libero:

a) Non ledere lo studio (o il lavoro).

b) Non venir meno alla discrezione infamiglia.

Anche qui sarà il personale dialogo conl’autorità familiare e con l’autorità nelmovimento che ti aiuterà a raggiungere uncriterio per definire il tuo tempo libero.