Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

13
Marco Martini Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia. EDIZIONI ISSUU.COM

description

-A.S. 1998/99 ED A. A. 1998/99- CONVEGNO E CORSO NAZIONALE DI AGGIORNAMENTO DI STORIA PER INSEGNANTI DI ISTITUTI DI ISTRUZIONE SECONDARIA DI SECONDO GRADO SUL TEMA: “ IL SAPERE STORICO E GLI ALTRI SAPERI. ASPETTI E PROBLEMI DELLO STATUTO DISCIPLINARE DELLA STORIA “, ORGANIZZATO DAL DIPARTIMENTO DI “STORIA MODERNA E CONTEMPORANEA” DELLA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA NEI GIORNI VEN. 19 (H. 14/20), SAB. 20 (H. 9/13, H. 14/20), DOM. 21 (H. 8,30/13,30) FEBBRAIO 1999 PRESSO L’AULA MAGNA DELLA “SAPIENZA” (VIA CURTATONE E MONTANARA, PISA), AUTORIZZATO CON D.M. DELLA P.I. 2/7/98 A NORMA DELLA DIRETTIVA 305/96, ART. 7, SECONDO LE INDICAZIONI DI CUI ALL’ART. 28 DEL C.C.N.L. CIRCA L’ACCESSO AI BENEFICI ECONOMICI E DI CARRIERA. TOTALE: N° 21 (VENTUNO) ORE.

Transcript of Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

Page 1: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

Marco Martini

Il sapere storico e gli

altri saperi. Aspetti e

problemi dello statuto

disciplinare della storia.

EDIZIONI ISSUU.COM

Page 2: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia
Page 3: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

-A.S. 1998/99 ED A. A. 1998/99- CONVEGNO E CORSO NAZIONALE DI AGGIORNAMENTO DI STORIA PER INSEGNANTI DI ISTITUTI DI ISTRUZIONE SECONDARIA DI SECONDO GRADO SUL TEMA: “ IL SAPERE STORICO E GLI ALTRI SAPERI. ASPETTI E PROBLEMI DELLO

STATUTO DISCIPLINARE DELLA STORIA “, ORGANIZZATO DAL DIPARTIMENTO DI “STORIA MODERNA E CONTEMPORANEA” DELLA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELL’UNIVER SITA’ DEGLI STUDI DI PISA NEI GIORNI VEN. 19 (H. 14/20), SAB. 20 (H. 9/13, H. 14/20), DOM. 21 (H. 8,30/13,30) FEBBRAIO 1999 PRESSO L’AULA MAGNA DELLA “SAPIENZA” (VIA CURTATONE E MONTANARA, PISA), AUTORIZZATO CON D.M. DELLA P.I. 2/7/98 A NORMA DELLA DIRETTIVA 305/96, ART. 7, SECONDO LE INDICAZIONI DI CUI ALL’ART. 28 DEL C.C.N.L. CIRCA L’ACCESSO AI BENEFICI ECONOMICI E DI CARRIERA. TOTALE: N° 21 (VENTUNO) ORE CONFERENZIERI ED ARGOMENTI DEI SEMINARI DELLE GIORNATE DI STUDIO: Introduzione al Corso di Adriano Prosperi (Università di Pisa, coordinatore scientifico del Corso): “Il Duemila in prospettiva storica. L’Apocalisse futura e quelle passate”; 1)”Il ruolo del lettore e il gioco tra memoria ed invenzione nelle immagini dei poeti” (Lina Bolzoni, Scuola Normale Superiore di Pisa); 2)”Medioevo e dintorni” (G. Fioravanti); 3)”La genealogia come forma di memoria” (R. Bizzocchi); 4)”Storiografia e memoria ebraica” (Anna Foa, Università “La Sapienza” di Roma); 5)”Marx e la lettura della Rivoluzione francese” (Paolo Viola, Università di Palermo); 6)”Come nasce una visione reazionaria del passato: la Francia del secondo Ottocento” (Michele Battini, “Scuola Normale Superiore” di Pisa); 7)”La diversità spagnola: origini remote e caratteri recenti” (M. Olivari, Università di Pisa). Coordinatore organizzativo del Corso: Prof. Cosimo Forleo (docente a riposo di storia e filosofia presso il Liceo Scientifico di F. te dei Marmi). Dispense dattiloscritte a cura del Prof. Marco Martini.

-ATTI DEL CONVEGNO-

Page 4: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

2

INTRODUZIONE AL CORSO DEL PROF. ADRIANO PROSPERI, DOCENTE ORDINARIO DI “STORIA MODERNA” PRESSO LA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA, IL DUEMILA IN PROSPETTIVA STORICA: LA LETTURA DEL PRESENTE E LA MEMORIA DEL PASSATO . La storia nel corso del Novecento si è modificata ed oscilla tra apocalisse e giubileo: la storia finisce dal momento in cui termina la conflittualità tra ideologie, come testimonia il crollo del muro di Berlino. L’altra prospettiva, oltre a quella della fine, dell’apocalisse, è quella ecclesiastica del perdono, rappresentata dal giubileo, dalle celebrazioni centenarie, anche laiche, come sottolinea Dionisotti (Geografia e storia della letteratura italiana, Einaudi, Torino, 1967), come, ad esempio, il bicentenario della presa della Bastiglia nel 1989, il bicentenario della rivoluzione napoletana del 1799. Tra apocalisse e giubileo si collocano la svolta idealistica del primo Novecento, antipositivista, il totalitarismo tra le due guerre mondiali, la seconda guerra mondiale, lo sviluppo della storiografia ideologica (come quella demistificante del ’68) di sinistra e revisionista, che ha esaltato il crollo del muro di Berlino del 9 novembre 1989. Tali diversità storiografiche hanno portato alla constatazione che la “verità assoluta” non esiste, ma esistono tante “verità relative”; questo pensa lo storico che si impegna correttamente nella politica. Nella religione e nelle singole etnie si possono trovare “verità relative” diverse da quelle di tipo ideologico. Si è realizzato ciò che Marx aveva dichiarato nelle 11 Glosse a Feurbach: il mondo è stato trasformato, oggi siamo in una nuova fase di interpretazione (cfr. K. Marx: “I filosofi hanno fino ad oggi trasformato il mondo; ora si tratta di cambiarlo”). Marc Bloch, storico francese fondatore della Scuola degli “Annales”, ha insistito su questo concetto nelle sue lezioni agli studenti del liceo di Amiens nel 1914 ed ha sostenuto l’importanza della storia anche per i magistrati, che devono discernere le “varie verità” per arrivare a quella certa. Ne L’apologia della storia, scritto nel 1944, durante la resistenza antinazista, Bloch sostiene che i singoli eventi sono talvolta irrilevanti rispetto alle cause profonde di tali eventi, che vanno invece indagate: non è importante sapere chi sparò per primo, ad esempio, la fucilata che fece scoppiare la rivoluzione parigina nel febbraio 1848. Nelle lezioni del 1914 agli studenti del liceo di Amiens aveva invece sostenuto l’opposto, ossia la necessità, per lo storico, di arrivare ad una “verità assoluta” su tale episodio; tale necessità è la medesima che ha il magistrato all’atto di emanare una sentenza. De Michelis sottolinea, in qualsiasi indagine storica, l’importanza dell’analisi filologica del documento, come si può vedere nella strage della Pasqua del 1903 operata in Russia contro gli ebrei; fu una “Pasqua di sangue”, come afferma De Michelis. I documenti, delle volte, possono essere falsi come ‘fonti’, nonostante ciò possono dire il vero. Fu questo un grave esempio di antisemitismo verificatosi nella Russia dei primi anni del ‘900. Il metodo critico, in storia, è detto anche positivo, in sintonia con le pretese positivistiche di arrivare a verità certe ed inconfutabili; tali verità sono relative però solo al dettaglio, non al confronto dialettico. Esiste anche una storiografia delle rappresentazioni (cfr. C. Ginzburg, Occhiacci di legno. Nove riflessioni sulla distanza, Feltrinelli, Milano, 1998, un saggio breve, ma molto esauriente), ovvero dei miti e delle immagini che ci portiamo dal passato per procedere nel presente. Ginzburg porta l’esempio del rapporto tra ebraismo (passato) e cristianesimo (presente). Storicizzare, per gli storici delle rappresentazioni, significa fare questa operazione: affrontare il presente considerando fortemente il passato. E’ l’operazione che fa Agostino verso il mondo ebraico, considerato modello di verità a cui ispirarsi. La storiografia delle rappresentazioni studia quindi la distanza temporale, ma anche spaziale, relativa cioè all’incontro di culture diverse, i cui esiti sono ancora oggi ignoti, su un accentuarsi del razzismo o su una totale scomparsa della xenofobia stessa e sul conseguente problema della definizione dell’identità culturale di un popolo.

Page 5: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

3

La storia, didatticamente in crisi, per Prosperi, sia nelle scuole che nelle università, può rinascere solo guardando al futuro, in stretta connessione con le altre discipline, come l’economia. Bibliografia consigliata: -Carlo Ginzburg, Occhiacci di legno. Nove riflessioni sulla distanza, Feltrinelli, Milano, 1998; -Cesare G. De Michelis, Il manoscritto inesistente. I “Protocolli dei savi di Sion”: un apocrifo del XX secolo, ed. Marsilio, Venezia, 1998. 1) IL RUOLO DEL LETTORE E IL GIOCO TRA MEMORIA ED INVE NZIONE NELLE

IMMAGINI DEI POETI , PROF. SSA LENA BOLZONI , DOCENTE ORDINARIO DI “LETTERATURA ITALIANA COMPARATA” PRESSO LA “CLASSE DI LETTERE” DELLA “SCUOLA NORMALE SUPERIORE” DI PISA.

Occuparsi di letteratura varia da Paese a Paese: in Italia è data importanza alla tradizione filologica, all’analisi testuale, alla storia ed alla geografia della letteratura italiana (cfr. C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Einaudi, Torino, 1967), negli Stati Uniti lo studio della letteratura è concepito diversamente, come scomposizione in differenti punti di vista, in base alle minoranze etniche che vivono nel Paese, in Germania lo studio dei testi è finalizzato a costruire grandi teorie. La tradizione filologica italiana è sopravvissuta, quindi, allo strutturalismo. E’ importante capire il nesso tra le domande che il lettore pone al testo e lo strumento con cui ci approcciamo al testo. E’ erronea l’idea di ‘sezionare’ un testo come fosse un dato oggettivo e passivo che ci troviamo di fronte; il testo è vivo, come sostiene Machiavelli nella nota lettera a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513; Machiavelli legge i classici e dialoga con loro. La lettura è concepita quindi come dialogo. Tale concezione ha alle spalle una lunga tradizione umanistica, già viva in Petrarca, proprio per quanto concerne l’idea di lettura come incontro personale con l’opera. Ogni testo letterario dialoga con altri testi, ha in sé la memoria di altri testi, come afferma Contini nei suoi saggi su Dante e la Divina Commedia. Il dialogo tra testi di autori diversi è detto intertestualità. Il poeta Esiodo affermò che “la memoria partorisce le muse”. Un esempio di intertestualità è offerto dall’incipit dell’ Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, comparando i primi 2 versi delle edizioni del 1516 e del 1532 (prima e terza ed ultima edizione, revisionata ed ampliata di 6 canti rispetto alle precedenti due) con il 1° verso dell’ Eneide virgiliana: in questo consiste il ‘laboratorio ariostesco’, Ariosto vuole dialogare con un poeta latino del genere epico, sia pure nell’ambito della cultura umanistica e romanzesco-cavalleresca. E’ un intreccio tra genere cavalleresco (ariostesco) ed epico (virgiliano): 1516 “ Di donne e cavallier li antiqui amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto “ 1532 “ Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto ” Virgilio, Eneide, I, 1 “Arma virumque cano...” Ariosto si raffronta ai vv. 11/12 (cioè il 3° ed il 4° verso della seconsa strofa) dell’Orlando Innamorato del Boiardo e a Dante, quando biasima la decadenza di Firenze e rimpiange un’età più felice e più “cortese” (Purgatorio, XXIV°, 109/111): “ piace la guerra a l’animo più fiero, lo amor al cor gentile e delicato ” (Matteo Maria Boiardo, Orlando Innamorato, l. III°, canto V°, vv. 11/12, II str.) “ Le donne e’ cavalier, li affanni e li agi

Page 6: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

4

che ne’n vogliava amore e cortesia là dove i cuori son fatti sì malvagi “. (Dante, Purgatorio, XIV°, vv. 109/111). Tuttavia c’è una radicale differenza tra il punto di vista dantesco, che vuole rappresentare quello divino e si erge a giudice dell’umanità e quello ariostesco, che è umano e permeato di umanità, come si nota dalla seconda ottava del I° canto del ‘Furioso’: “ Dirò d’Orlando in un medesmo tratto cosa non detta in prosa mai né in rima: che per amor venne in furore e matto, d’uom che sì saggio era stimato prima; se da colei che tal quasi m’ha fatto, che’l poco ingegno ad or ad or mi lima, me ne sarà però tanto concesso, che mi basti a finir quanto ho promesso “. E’ questo un punto di vista che il lettore può avere e che supera l’analisi testuale, lo studio di metrica, retorica e parafrasi per osservare il ‘gioco di specchi’ che l’autore, nel suo laboratorio, ha costruito tra i testi che sono “dietro al testo”. L’autore sembra ‘sdoppiarsi’, nel senso che emergono più aspetti dello stesso autore. Torquato Tasso parla di Sveno, giovane principe danese che parte per Gerusalemme all’insaputa del padre, per emulare Rinaldo. L’esercito di Sveno è distrutto e Sveno muore durante il viaggio. Carlo, un soldato sopravvissuto, porterà la spada di Sveno a Rinaldo, che convive con Armida nelle isole fortunate. Nei vv. sgg. Sveno viene ritratto come incurante della paura e del timore paterno (cfr. Gerusalemme liberata, VIII, vv. 5/8 della str. VI): “ né timor di fatica o di periglio né vaghezza del regno, né pietade del vecchio genitor, sì degno affetto intepidir nel generoso petto “. Stesso concetto è presente nel canto dantesco di Ulisse: l’Ulisse di Dante va incontro alla morte come lo Sveno di Tasso (cfr. Dante, Inferno, XXVI°, vv. 95/99): “ Né dolcezza di figlio, né pietà del vecchio padre, né ‘l debito amore lo qual dovea Penelope far lieta vincer poter dentro da me l’ardore ch’i ebbi a divenir del mondo esperto, e delli vizi umani e del valore “. Ubaldo, guerriero che riporta Rinaldo a Gerusalemme nella Gerusalemme liberata, fa un viaggio verso le Americhe (XXIV, 8): Ubaldo è per Tasso Cristoforo Colombo, che scopre l’America. Il viaggio di Ubaldo è giustificato, come quello di Colombo, mentre quello di Sveno è fallimentare, perché è un viaggio animato da spirito cavalleresco, idealista, come quello di Ulisse per Dante. Tasso sa bene che l’Ulisse di Dante, morendo, non vede la montagna del Purgatorio, ma le Americhe, dallo stretto di Gibilterra, ma si consideri che Tasso, a differenza di Dante, scrive dopo la scoperta dell’America. Tuttavia Tasso, ossessionato dalla paura della Controriforma cattolica e dalle preoccupazioni religiose per la messa all’indice della sua opera, condanna Ulisse, e tale condanna ricorda quella dantesca. Nei vv. sgg. Tasso salva la figura di Sveno:

Page 7: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

5

“ Veduti Ubaldo in giovenezza e carchi vari costumi avea, vari paesi, peregrinando da i più freddi cerchi del nostro mondo a gli Etiopi accesi, e come uom che virtute e senno merchi, le favelle, l’usanze, i riti apprese “. (Gerusalemme liberata, XIV°, str. 8). Nei vv. sgg. Tasso condanna la figura di Ulisse: “ Ei passò le colonne, e per l’aperto mare spiegò dè remi il volo audace; ma non giovogli esser ne l’onde esperto, perché inghiottillo l’ocean vorace “. (Gerusalemme liberata, XV°, str. 26). Nei sgg. vv. Dante condanna il viaggio di Ulisse: “ vincer poter dentro da me l’ardore ch’i ebbi a divenir del mondo esperto “. (Inferno, XXVI°, vv. 97/98). “ ‘O frati’ dissi, ‘che per cento milia perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto picciola vigilia d’i nostri sensi ch’è del rimanente non vogliate negar l’esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza’. Li miei compagni fec’io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo “ (Inferno, XXVI°, vv. 112/125). “ poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo, quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; ché de la nova terra un turbe nacque e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’altrui piacque, infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso “. (Inferno, XXVI°, vv. 132/142). Bibliografia essenziale: -Cesare Segre, Testo letterario, interpretazione, storia, linee concettuali e categorie critiche, in Letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1985, e L’interpretazione, 1985, pp. 21 sgg.;

Page 8: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

6

-Teoria della ricezione, a c. di R. Holub, Torino, Einaudi, 1989; -Ermeneutica e critica, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1998; -La rappresentazione dell’altro nei testi del Rinascimento, a c. di S. Zatti, Lucca, Pacini Fazzi, 1998. 2) MEDIOEVO E DINTORNI , PROF. GIANFRANCO FIORAVANTI FIORAVANTI DOCENTE ORDINARIO DI “STORIA MEDIEVALE” PRESSO LA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA. Il Medioevo è stato condannato dagli umanisti, dai riformatori protestanti e dagli illuministi. Gli umanisti hanno definito come ‘barbaro’ il Medioevo sia sul piano filosofico che letterario. Il termine “Medioevo” fu usato per la prima volta all’inizio del ‘600. Per i riformatori come Lutero il Medioevo ha introdotto troppa filologia classica, greca, pagana: l’accusa dei riformatori muove quindi da motivazioni opposte rispetto a quella degli umanisti come Lorenzo Valla. Per gli illuministi il Medioevo è visto come età di tenebre in cui la ragione umana e la filosofia sono rimaste inglobate dalla cappa di ferro della teologia. In epoca romantica, nel primo ‘800, il Medioevo è stato rivalutato, perché è stata rivalutata la tradizione; il Medioevo è il momento in cui l’Europa forma la propria unità intorno all’idea centrale di cristianità, idea spezzata invece dalla Riforma protestante. Carducci rivaluta il comune medievale (cfr. “Il comune rustico”) come modello di libertà, contrapposto al Medioevo nordico, tenebroso (“congreghe di diavoli e bizzarre streghe”). Nel Romanticismo si rivalutano le arti medievali, come il gotico e Giotto; il gotico viene invece aspramente criticato dagli illuministi. La globale connotazione negativa sul Medioevo non si è però spenta, malgrado la rivalutazione romantica. Tuttavia, le stesse critiche hanno contribuito a risvegliare un generale interesse su questo periodo, per quanto concerne aspetti di cultura generale, di storia della Chiesa, della spiritualità, delle eresie, di archeologia medievale, di folclore (si pensi alle cene ed alle feste medievali). All’interno di questo arco di tempo durato mille anni ci sono ‘molti medioevi’, sia in senso diacronico, cioè cronologico (alto, secoli centrali, basso Medioevo), che sincronico, relativo cioè a differenze geografiche e ad aspetti diversi, anche se contemporanei, come, ad esempio, la cultura dei monasteri e quella universitaria. Nel XIII° secolo si verifica una netta cesura, con la rinascita economica e politica apportata dai comuni. Altra cesura netta si verifica alla fine del ‘400, con il tramonto dell’età medievale ed il successivo trapasso a quella umanistico-rinascimentale. Negli ultimi decenni del ‘900, in alcuni campi di studio sulla civiltà medievale, si è assistito ad un accrescimento valutativo e ad una conseguente scomparsa di ogni ‘pre-giudizio’ ideologico sul Medioevo, come ha sostenuto Peter Brown (La formazione dell’Europa cristiana, Laterza, Roma-Bari, 1995), relativamente ad aspetti antropologici, come il culto dei santi e la figura della donna. Il rapporto tra Medioevo e la categoria di ‘modernità’ è di continuità e di rottura al tempo stesso, anche se la condanna illuministica è troppo radicale ed erronea: la rivoluzione scientifica galileiana del ‘600 non è solo in contrasto con il Medioevo, ma trova radici nella stessa cultura medievale per quanto riguarda, ad esempio, la biologia, anche se si pone in antitesi nel campo della fisica. Il metodo ipotetico-sperimentale galileiano sovente non verificava l’esperimento, ma si limitava ad ‘immaginarlo’; nel tardo Medioevo sono numerosi gli esperimenti solo ‘immaginati’ (cfr. A. Funkenstein, Teologia ed immaginazione scientifica, Einaudi, Torino, 1996). Lo studio del Medioevo ha ‘spinto’ le ricerche verso una cultura comparativa: ad esempio, si sono scoperte le culture ebraica ed islamica. Nel Medioevo Agostino ha scritto il De vera religione, in cui ha affrontato il rapporto tra credere e sapere, rivelazione e ragione, fede e scienza, sostenendo che la vera religione coincide con la verità filosofica, razionale. Filosofia e religione, che Agostino aveva tentato di conciliare, sono state

Page 9: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

7

radicalmente separate dagli illuministi per poi essere ricollegate con Hegel nel primo ‘800, in cui la religione è considerata ‘anticamera’ dell’Assoluto. Nel postmoderno si è assistito alla duplice crisi: del razionalismo e del cristianesimo: paradossalmente potremmo considerarci contemporaneamente fuori dal Medioevo e dalla modernità. Razionalità e religiosità sono due facce della stessa medaglia. Le categorie di ‘Medioevo’ e ‘Modernità’ sono oggi quindi entrambe in crisi. Nei topoi il ‘Medioevo’ è rimasto carico di significati negativi: dire infatti che siamo nel Medioevo o definire un atteggiamento da ‘medievale’ è negativo. Possibili testi di riferimento: -R. Bragne, Il futuro dell’Occidente, Rusconi, Milano, 1998; -Peter Brown, La formazione dell’Europa cristiana, Laterza, Roma-Bari, 1995; -A. De Libera, Penser au Moyen Age, ed. du Seuil, 1991 (non esiste una traduzione italiana); -A. Funkenstein, Teologia ed immaginazione scientifica, Einaudi, Torino, 1996. 3) LA GENEALOGIA COME FORMA DI MEMORIA , PROF. R. BIZZOCCHI , DOCENTE

ORDINARIO DI “STORIA MODERNA” PRESSO LA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELL’ UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA.

L’antico legittima il moderno. Nell’età moderna si sviluppa il grande fenomeno dell’erudizione antiquaria. I libri di Numa Pompilio, il Deuteronomio, le biografie dei santi medievali vengono scoperti casualmente. In età moderna vengono scoperte molte fonti antiche, come la colonizzazione romana della Spagna con Attilio Regolo, la difesa romana dei longobardi, la storia della Lunigiana, la storia romana in età repubblicana, la conquista della Padania, l’invasione dell’imperatore Federico I° Barbarossa di Svevia nel Mugello, la famiglia d’Este a Ferrara (cfr. fotocopie allegate di fonti storiche primarie). Tra ‘500 e ‘600 si moltiplicarono questi studi eruditi e nacque la storiografia moderna, come sostiene Attilio Momigliano in Sui fondamenti della storia antica, Einaudi, Torino, 1987; grande impulso ricevono anche l’archeologia romana e medievale, con la ricerca di fonti storiche primarie scritte (documenti, manoscritti), orali (canti e leggende di guerra) e mute (armi, rovine, arredi, testimonianze storico-artistiche). Vincenzo Borghini è uno dei più insigni studiosi di archelogia romana in Toscana. Il tema delle ‘rovine’ è molto sviluppato dagli scrittori tra ‘500 e ‘600. Nel 1717 viene attestata l’origine romana della famiglia d’Este: in quell’anno viene infatti pubblicato il I° volume delle Antichità estensi. La filologia rimane un indispensabile ausilio per l’archeologia e l’erudizione. Bibliografia: -Attilio Momigliano, Sui fondamenti della storia antica, Einaudi, Torino, 1987; -E. Hobsbawm-T. Ranger, L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino, 1987; -R. Koselleck, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Marietti, Genova, 1986; -W. Kaegi, Meditazioni storiche, Laterza, Bari, 1960; -Paul Hazard, La crisi della coscienza europea Ribelli, libertini, ortodossi nella storiografia barocca, Il Saggiatore, Milano, 1968; -A. Grafton, Falsari e critici, Einaudi, Torino, 1990; -Sergio Bertelli, nella storiografia barocca, La Nuova Italia, Firenze, 1976; 4) STORIOGRAFIA E MEMORIA EBRAICA , PROF.SSA ANNA FOA , DOCENTE”

ORDINARIO DI “STORIA MODERNA” PRESSO LA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELL’UNIVERSITA’ “LA SAPIENZA” DI ROMA.

La storia degli Ebrei non è riconducibile alla storia settoriale: è la storia di una etnia minore all’interno di una maggioranza. E’ quindi storia del rapporto tra due mondi, che si influenzano a vicenda come in un ‘gioco di specchi’. Dai documenti sul ghetto di Roma si evince che gli Ebrei del ghetto convivono con i cristiani, e se ne vedono effetti anche nella vita pratica; ad esempio, la cucina romanesca è di origine ebraica. Vi sono stati anche elementi di contrasto: i funerali ebraici

Page 10: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

8

sono sovente stati accompagnati da scene di sangue, nella storia di Roma in età moderna. Nel 1492, in Spagna, gli Ebrei vengono espulsi dal Paese. L’ebreo è sensibile al problema della periodizzazione storica, anche se gli Ebrei non hanno scritto la loro storia. La storiografia ebraica inizia nell’Ottocento, al momento dell’emancipazione ebraica. Parlando della propria storia, l’ebreo tiene presenti i ricordi familiari: la memoria del passato è elemento funzionale all’inserimento degli Ebrei nella società. In particolare, sono tre gli eventi storici che l’ebreo tiene presenti: 1) la diaspora della comunità antica; 2) la tragedia della shoah, ossia dell’olocausto antisemita dei nazisti; 3) il fenomeno sionista. L’emancipazione ebraica, iniziata nell’Ottocento, è stata bloccata, in Germania, con le leggi di Norimberga nel 1933, con le quali gli Ebrei vengono espulsi dai pubblici uffici, come afferma Anna Harendt in Ebraismo e modernità (Unicopli, Milano, 1986). Esempio di antisemitismo politico fu il caso del capitano ebreo Dreyfus, ingiustamente accusato di tradimento, anche se immediatamente riabilitato dalle correnti politiche democratiche francesi della fine dell’Ottocento: tale caso si verifica contemporaneamente alla ‘Kulturkampf’ tedesca, la ‘battaglia per la civiltà’ laica inaugurata dal cancelliere Otto Von Bismarck durante l’Impero di Guglielmo I° Hoenzollern. Nel mondo degli ultraortodossi ebrei, come nel quartiere di Brookling, a New York, la diaspora (dispersione) e la shoah (olocausto) sono considerate punizioni divine. Gli ultraortodossi ebrei sono fortemente presenti in Ungheria e nell’Europa Orientale, mentre sono assenti in Italia. Per un ebreo dell’Europa dell’Est è un problema anche studiare una lingua straniera diversa dall’ebraico o dalla lingua nazionale. L’interpretazione sionista parte dal presupposto che l’antisemitismo è presente ovunque e sempre, anche se raggiunge l’apice in Ungheria e nell’ Europa Orientale. Per i sionisti la storia ebraica è la storia di continui lutti, è la storia della shoah, perché il mondo è “tutto” antisemita. E’ una concezione “lacrimosa” della storia ebraica. Il termine “shoah” viene interpretato, in questo contesto, come “sacrificio” e non come “olocausto”. La storia dell’emancipazione ebraica è la storia di una difficile integrazione all’interno della persecuzione. Sull’interpretazione della storia ebraica si intravedono tre strade: 1) la tesi che vede la storia degli Ebrei come integrazione in una comunità più ampia; 2) la tesi sionista, per cui non esiste una emancipazione, non esiste una storia degli Ebrei in una

maggioranza; 3) la tesi più recente, secondo la quale la storia degli Ebrei è vista più positivamente, come

progressiva integrazione nella società, anche se tale integrazione paga il prezzo di una perdita di identità originaria, come sta accadendo attualmente negli Stati Uniti. L’identità ebraica si è quindi frammentata. Tale tendenza, secondo Anna Foa, è una probabile direzione laica, proprio in quanto mira ad annullare l’identità religiosa di un popolo.

Indicazioni di lettura: -Yosef H. Yerushalmi Zackor, Storia ebraica e memoria ebraica, Pratiche ed., Parma, 1983; -Hannah Arendt, Ebraismo e modernità, Unicopli, Milano, 1986; -S. N. Eisenstadt, Civiltà ebraica, Donzelli, Roma, 1993; -Anna Foa, Ebrei in Europa dalla Peste Nera all’emancipazione, Roma-Bari, Laterza, 1992; -A. B. Yehoshua, Elogio della normalità, Giuntina, Firenze, 1991. 5) MARX E LA LETTURA DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE , PROF. PAOLO VIOLA , DOCENTE ORDINARIO DI “STORIA MODERNA” PRESSO LA FACOLTA’ DI “SCIENZE POLITICHE” DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO. Il problema iniziale è vedere se la Rivoluzione francese è il prodotto di una crescita sociale o di una sfera propria della politica: in proposito è rilevante il testo di Francois Furet (Marx e la Rivoluzione francese, Rizzoli, 1989). La “vulgata interpretativa marxista”, come Furet l’ha definita, parte dall’idea che la Rivoluzione francese è il prototipo della rivoluzione borghese. La rivoluzione è il prodotto di una crescita sociale: secondo questa interpretazione, di Bernard, la tesi marxista sarebbe

Page 11: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

9

figlia di una tesi liberale. E’ la tesi dei liberali come Bernard e Thiers, opposta a quella marxista di Lefebvre e Soboul. La “vulgata marxista” della Rivoluzione francese è una interpretazione comunista, che tiene conto della Rivoluzione d’ottobre. Tale interpretazione marxista vede la rivoluzione come la zona propria della politica, anche se prodotta da una crescita sociale: questa contraddizione tra sfera politica e sociale è insita in qualsiasi interpretazione marxista. La borghesia, nella Francia di fine ‘700, cresce in una società che ha due pilastri, quello dell’aristocrazia fondiaria e quello della monarchia assoluta. La borghesia ha spezzato le catene dell’aristocrazia e della monarchia, per affermarsi. Precedentemente, la borghesia aveva spezzato tali medesime catene nella rivoluzione inglese, alla fine del ‘600, secondo la tesi di Christopher Hill, che interpreta la Rivoluzione francese alla luce di quella precedente inglese. Due critiche sono state mosse alla tesi di Hill: 1)la monarchia avrebbe da sola allontanato la nobiltà; 2) la borghesia non si afferma prima della fine della Rivoluzione francese, forse si afferma solo nel 1831, nella Francia di Luigi Filippo d’Orleans (monarca costituzionale che agevola i grandi banchieri come Lafitte, Perier, Guizot) o addirittura nel Secondo Impero di Napoleone III°. Soboul (cfr. La rivoluzione francese) afferma che la società borghese sarebbe causa e conseguenza della rivoluzione francese stessa, perché il venir meno dei vincoli feudali avrebbe accelerato la costruzione della società borghese. Furet, nella prima parte della sua opera (cfr. Marx e la rivoluzione francese, Rizzoli, Milano, 1988) distingue la rivoluzione del 1789 dal giacobinismo, considerato negativamente. Tale tesi coincide con quella di G. Ferrero (cfr. Le due rivoluzioni francesi, Sugarco, Milano, 1986). Nella seconda parte della sua opera Furet cambia idea ed afferma che la vera rivoluzione è quella giacobina del 1792, non quella del 1789. E’ la rivoluzione giacobina che fonda la modernità, che attraversa tutto l’Ottocento per approdare al totalitarismo comunista del ‘900 nell’Europa Orientale (cfr. F. Furet, Il passato di un’illusione, sul crollo del “socialismo reale”). La rivoluzione del 1792 è una rivoluzione, per Furet, culturale e politica, che ribalta i valori tradizionali del tempo, quello della monarchia come ordine naturale divino. Edmund Burke, A. de Tocqueville, De Maistre, i revisionisti della Rivoluzione francese definiscono la rivoluzione del 1792 come “miracolosamente cattiva” (De Maistre). Nel passaggio tra le due rivoluzioni, del 1789 e del 1792, Furet riscopre Marx in uno studio serio (cfr. F. Furet, Marx e la rivoluzione francese, Rizzoli, Milano, 1989) su due opere di Marx (K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 e Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte): Furet sostiene che la Rivoluzione francese borghese, spaccando la società feudale, avrebbe prodotto un embrione, quello della rivoluzione proletaria, comunista. Marx non scrive direttamente sulla Rivoluzione francese della fine del ‘700, scrive invece su quella repubblicana del 1848, avvenuta durante la “primavera dei popoli”, ma nella sua analisi tiene presente la Rivoluzione della fine del Settecento: entrambe le rivoluzioni hanno, per Marx, prodotto, rispettivamente, il bonapartismo due volte: quello di Napoleone I° e quello di Napoleone III°. Il problema, ancora aperto, di interpretazione sulla Rivoluzione francese è vedere se essa ha prodotto una maggiore crescita sociale o una zona propria del politico. Bibliografia: -K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, in K. Marx - F. Engels, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, pp. 373/483, Editori Riuniti, Roma, 1979; -A. Soboul, La rivoluzione francese, a cura di G. Vettori, Newton, Milano, 1974; -F. Furet, Marx e la rivoluzione francese, Rizzoli, Milano, 1989. Sul problema della ripresa del giacobinismo con Babeuf si veda Sergio Luzzatto, L’autunno della rivoluzione, Einaudi, Torino. 6) COME NASCE UNA VISIONE REAZIONARIA DEL PASSATO: LA FRANCIA DEL

SECONDO OTTOCENTO, PROF. MICHELE BATTINI , DOCENTE ORDINARIO DI “STORIA MODERNA” PRESSO LA “CLASSE DI LETTERE” DELLA “SCUOLA NORMALE SUPERIORE” DI PISA.

Page 12: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

10

De Maistre, cattolico revisionista, nobile, ha una visione reazionaria della Rivoluzione francese, che viene rovesciata. E’ un conte filorealista (cfr. Joseph De Maistre, Considerazioni sulla Francia). Si oppone alla tesi liberale di Benjamin Constànt. Per De Maistre la storia dev’essere guidata da un ordine provvidenziale, divino. La rivoluzione, di per sé, è un momento di male e di caos, che dal caos deve fare uscire il bene: in quest’ottica anche la rivoluzione è inserita in un disegno provvidenziale divino. G. Miccoli (cfr. Tra mito della cristianità e secolarizzazione, Casale Monferrato, Marietti, 1985) sostiene che la rivoluzione è un momento della catastrofe della cristianità. De Maistre contrappone la cristianità medievale, modello perfetto, alla rivoluzione. De Maistre, in questo modo, giustifica storicamente la necessità della religione. La Francia del secondo Ottocento, quella del Secondo Impero di Napoleone III°, quella della rinascita del bonapartismo, è contrapposta, come modello, alla Francia rivoluzionaria di fine Settecento e del febbraio 1848 (cfr. Regina Pozzi, Tra storia e politica. Saggi di storia della storiografia, Napoli, Morano, 1996). La centralizzazione monarchica del potere distrugge gli esiti della rivoluzione ed è per questo vista positivamente dalla storiografia cattolica reazionaria francese della fine dell’Ottocento, come la Rivoluzione francese ha distrutto l’Antico Regime, che rinasce con il bonapartismo del secondo Ottocento. La storiografia reazionaria successiva ad Hyppolite Taine sostiene che “la rivoluzione è un blocco”, non si può analizzare, o s’accetta o si rifiuta, a differenza di A. de Tocqueville, che aveva invece ‘salvato’ la Rivoluzione francese del 1789. Bibliografia essenziale: -A. Omodeo, Un reazionario. Il conte Giuseppe De Maistre, Bari, Laterza, 1939; -A. Omodeo, Studi sull’età della Restaurazione, Torino, Einaudi, 1970; -A. O. Hirschmann, Retoriche dell’intransigenza, Bologna, Il Mulino, 1979; -G. Miccoli, Tra mito della cristianità e secolarizzazione, Casale Monferrato, Marietti, 1985; -C. Cassina, Idee, stampa e reazione nella Francia del primo Ottocento, Roma-Bari, Lacarta, 1996; -Regina Pozzi, Tra storia e politica. Saggi di storia della storiografia, Napoli, Morano, 1996; -Regina Pozzi, Hyppolite Taine. Scienze umane e politica nell’Ottocento, Venezia, Marsilio, 1993. 7) LA DIVERSITA’ SPAGNOLA: ORIGINI REMOTE E CARATTERI RECENTI , PROF.

M. OLIVARI , DOCENTE DI STORIA MODERNA PRESSO LA FACOLTA’ DI “LETTERE E FILOSOFIA” DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA.

I castigliani impararono, nel Medioevo, l’importanza del lavoro rispetto alla guerra; all’inizio del Duecento si forma una borghesia castigliana, con i commerci, ma nello stesso periodo la Castiglia si estende territorialmente verso Sud; alla fine del Trecento scoppiò una guerra civile e subentrò nuovamente la mentalità bellicista rispetto a quella commerciale. Il valore è testimoniato dalla forza. Ne seguì una triplice debolezza: culturale, politica ed economica, con l’indebolimento della borghesia, come sostiene M. Sanchez Albornoz (cfr. Espana, un enigma historico, 2 vols., Buenos Aires, 1962). Americo castro, filologo e letterato, dopo la guerra civile, diede alla Spagna insigni lavori di letteratura (cfr. La Spagna nella sua realtà storica, Firenze, 1955): constatò la fine di un’epoca felice, tra fine Duecento e fine Trecento, data dal cosiddetto “periodo delle tre religioni”, islamica al Sud, cristiana al Nord, ebraica dispersa su tutta la penisola iberica. Gli ebrei traducevano Avicenna ed Averroè; la fine di tale periodo coincise con il dominio assoluto del cattolicesimo, che approdò, nel 1480, alla tragedia del dell’istituzione del Tribunale dell’Inquisizione; è la vittoria dell’intolleranza. Nel 1492 gli Ebrei vengono espulsi dalla Spagna e cade Granada, ultima roccaforte musulmana. Tra ‘500 e ‘600 la Spagna diventa uno Stato poliziesco: la volontà è quella di cancellare l’elemento semitico dal Paese. Nel’500 si combatte contro i protestanti e nel ‘700 contro la ‘cultura dei lumi’, in nome della “Cattolicissima Spagna”. Gli studi recenti sull’Inquisizione spagnola, numerosissimi, sono caratterizzati da maggiore rigore filologico nell’esame delle fonti. In base a tali studi si è arrivati alla convinzione che gli scontri

Page 13: Il sapere storico e gli altri saperi. Aspetti e problemi dello statuto disciplinare della storia

11

dell’Inquisizione sono di carattere etnico-religioso, e non solo religioso, perché l’inquisizione tendeva a cancellare un’etnia. J. Vicens Vives (cfr. Profilo della storia della Spagna, Torino, 1966) concorda con Albornoz. Vicens Vives, pur non essendo marxista, studia Marx ed ammira Marc Bloch. Nella sua analisi parte dall’economia ed intravede il momento di crisi, anche della Corona spagnola, tra Duecento e Trecento. La stessa classe borghese entra in crisi per dar vita al latifondo, soprattutto in Andalusia. Il mercato interno viene compresso non solo in Andalusia, ma anche nella Spagna, soprattutto del Nord. Nella storia dell’Ottocento, in Spagna si affermano l’anarchismo di massa ed il regionalismo basco. Vives non ha una visione positiva dell’anarchismo, che, come il comunismo, è concepito come la penetrazione di un’ideologia straniera nel Paese. Bibliografia essenziale: -A. Castro, La Spagna nella sua realtà storica, Firenze, 1995; -M. Sanchez Albornoz, Espana, un enigma historico, 2 vols., Buenos Aires, 1962 (2); -G. Brenan, Storia della Spagna. 1874-1936. Le origini sociali della guerra civile, Torino, 1970; -J. Vicens Vives, Profilo di storia della Spagna, Torino, 1966; -P. Vilae, Storia della Spagna, Milano, 1965; -J. A. Maravall, La oposiciòn politica bajo los Austrias, Barcelona, 1976; -E. Asensio, La Espana imaginada por Americo Castro, Barcelona, 1976; -A. Garcia de Cortazar, La Epoca Medieval, Madrid, 1973 (tomo III° della “Historia de Espana Alfagnara”); -A. Dominguez Ortiz, El Antiguo Regimen: Los Reges Catolicos y los Austrias, Madrid, 1974 (tomo IV° della “Historia de Espana Alfagnara”); -M. de Unamuno, Ensagos, 2 vols., Madrid, 1951-52; -Ortega y Gasset, Espana invertebrada, Madrid, 1988.