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“Quaderni di Ricerca in Didattica (Matematica)”, n. 20, 2010. G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) Valeria Di Martino, Il ruolo della narrazione nell’insegnamento apprendimento delle frazioni con situazioni a- didattiche 1 1 Il ruolo della narrazione nell’insegnamento apprendi- mento delle frazioni con situazioni a-didattiche Valeria Di Martino Sommario La sperimentazione descritta nel seguente articolo vuole individuare la fiaba come mezzo u- tile per vivere positivamente l’approccio alla matematica, e nello specifico alle frazioni, e inco- raggiare il bambino a formulare diverse strategie risolutive relative alle situazioni a-didattiche proposte. Il presente lavoro vuole quindi esplorare i vantaggi derivanti dalla mediazione di due parti- colari strumenti didattici, quali le situazioni a-didattiche e la narrazione, anche in quelle disci- pline che “parlano” più di numeri che di parole. Partendo quindi dai riferimenti teorici di base relativi al pensiero narrativo e alla Teoria delle Situazioni Didattiche e percorrendo l’asse dell’agire attraverso la sperimentazione nel campo di diverse situazioni a-didattiche, si evidenziano le potenzialità cognitive di entrambi nell’insegnamento/apprendimento delle frazioni. Résumé L'expérimentation décrite dans l'article suivant veut déterminer le conte de fées comme moyen utile pour vivre positivement l'approche aux mathématiques, et en particulier aux frac- tions, et encourager les élèves à formuler différentes stratégies relatives aux situations a- didactiques proposées. Le travail présent veut explorer ensuite les avantages qui dérivent de la médiation de deux ins- truments didactiques, quel les situations a-didactiques et la narration, aussi dans ces disciplines qui "parlent plus que numéros que de mots". En partant donc des références théoriques de base relative à la pensée narrative et à la Théorie des Situations Didactiques et en parcourant l'axe de l'agir à travers l'expérimentation dans le champ de différentes situations a-didactiques, on souligne les potentialités cognitives des ces deux dans l'enseignement/apprentissage des fractions. Abstract The experimentation described in the following article wants to individualize the fable as useful mean to live positively the approach to the mathematics, and in the specific to the fractions, and to encourage the pupils to formulate different strategies related to the situations a-didactic pro- posed. The present job wants therefore to explore the consequential advantages from the mediation of two particular didactic tools, what the a-didactic situations and the narration, also in those disci- plines that "they speak" more than numbers that of words. Departing therefore from the theoretical references of base related to the narrative thought and to the Theory of the Didactic Situations and crossing the axle of the to act through the experi- mentation in the field of different a-didactic situations, they are underlined the cognitive poten- tialities of both in the teaching/teaching of the fractions.

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“Quaderni di Ricerca in Didattica (Matematica)”, n. 20, 2010. G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)

Valeria Di Martino, Il ruolo della narrazione nell’insegnamento apprendimento delle frazioni con situazioni a-didattiche

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Il ruolo della narrazione nell’insegnamento apprendi-

mento delle frazioni con situazioni a-didattiche

Valeria Di Martino Sommario

La sperimentazione descritta nel seguente articolo vuole individuare la fiaba come mezzo u-tile per vivere positivamente l’approccio alla matematica, e nello specifico alle frazioni, e inco-raggiare il bambino a formulare diverse strategie risolutive relative alle situazioni a-didattiche proposte.

Il presente lavoro vuole quindi esplorare i vantaggi derivanti dalla mediazione di due parti-colari strumenti didattici, quali le situazioni a-didattiche e la narrazione, anche in quelle disci-pline che “parlano” più di numeri che di parole.

Partendo quindi dai riferimenti teorici di base relativi al pensiero narrativo e alla Teoria delle Situazioni Didattiche e percorrendo l’asse dell’agire attraverso la sperimentazione nel campo di diverse situazioni a-didattiche, si evidenziano le potenzialità cognitive di entrambi nell’insegnamento/apprendimento delle frazioni. Résumé

L'expérimentation décrite dans l'article suivant veut déterminer le conte de fées comme moyen utile pour vivre positivement l'approche aux mathématiques, et en particulier aux frac-tions, et encourager les élèves à formuler différentes stratégies relatives aux situations a-didactiques proposées. Le travail présent veut explorer ensuite les avantages qui dérivent de la médiation de deux ins-truments didactiques, quel les situations a-didactiques et la narration, aussi dans ces disciplines qui "parlent plus que numéros que de mots". En partant donc des références théoriques de base relative à la pensée narrative et à la Théorie des Situations Didactiques et en parcourant l'axe de l'agir à travers l'expérimentation dans le champ de différentes situations a-didactiques, on souligne les potentialités cognitives des ces deux dans l'enseignement/apprentissage des fractions. Abstract The experimentation described in the following article wants to individualize the fable as useful mean to live positively the approach to the mathematics, and in the specific to the fractions, and to encourage the pupils to formulate different strategies related to the situations a-didactic pro-posed. The present job wants therefore to explore the consequential advantages from the mediation of two particular didactic tools, what the a-didactic situations and the narration, also in those disci-plines that "they speak" more than numbers that of words. Departing therefore from the theoretical references of base related to the narrative thought and to the Theory of the Didactic Situations and crossing the axle of the to act through the experi-mentation in the field of different a-didactic situations, they are underlined the cognitive poten-tialities of both in the teaching/teaching of the fractions.

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Introduzione

« Investigare e trovare il modo che

gli insegnanti insegnino meno e gli studenti imparino di più; che nelle scuole ci sia meno chiasso, meno nausea,

meno fatiche inutili e più raccoglimento, più diletto e più solido profitto». Comenio (1657)

Oggi si profila con sempre maggiore chiarezza l’esigenza di una messa a punto di una cultu-

ra didattica in grado di leggere in modo critico i processi di insegnamento-apprendimento e di intervenire con padronanza di mezzi e di metodi nell’impegno formativo, soprattutto, di non ve-nire meno ad una vastità di orizzonti e di prospettive non riconducibili all’immediatezza storica, ma volti alla costruzione di un’umanità e di un mondo nuovi (Laneve, 2003).

Come le altre discipline anche la matematica si propone di promuovere l'acquisizione degli atteggiamenti, delle capacità e delle conoscenze indispensabili ad ogni essere umano per affron-tare le situazioni della vita, che, in una civiltà in rapida trasformazione qual è quella nella quale viviamo, si fanno ogni giorno più problematiche. Mentre nelle civiltà statiche del passato poteva bastare l'acquisizione di ben determinati atteggiamenti ed abilità per far fronte a situazioni che restavano sempre identiche, nella civiltà attuale occorre invece poter disporre di atteggiamenti ed abilità che, come già precisavano i Programmi didattici del 1985, consentano di «pensare il futuro per prevedere, prevenire, progettare, cambiare e verificare ».

Purtroppo, però, molti sondaggi e rilevazioni condotte in ambito scolastico e non (prima fra tutte l’indagine OCSE Pisa 2003) sembrano lanciare un allarme circa la scarsa “simpatia” che il nostro Paese dimostra verso la matematica e le discipline scientifiche in generale. Segnali come questi non possono essere ignorati da chi ha il compito di accompagnare le nuove generazioni nel loro primo incontro con queste discipline. A livello di scuola primaria, infatti, si gioca il primo round di una partita importante: un’occasione insostituibile per suscitare interesse e curiosità verso la matematica; se il compito fallisce, tutto il successivo percorso scolastico dell’alunno ne sarà condizionato negativamente. Consapevole del fatto che la posta in gioco è piuttosto alta, ho provato ad avvicinare i bambini alla matematica con un approccio diverso, che mi ha permesso di smitizzare alcuni luoghi co-muni e di sconfessare certi aridi tecnicismi, facendone emergere aspetti più nuovi e coinvolgen-ti.

Le conoscenze sono state poste in modo creativo per fornire agli allievi l’opportunità di sco-prire piuttosto che di ricordare, per “giocare” con i fatti e con le idee e non solo ripeterli, per comprendere che un problema ha parecchie soluzioni e interpretazioni e che si possono eseguire itinerari diversi per arrivarci. In altri termini: ho cercato non solo di docere (spiegare), ma anche di movere (spronare, sollecitare, richiamare); ed ancora: di delectare (far provare piacere, e per-ciò porre le premesse per continuare ad apprendere), senza con questo voler passare sotto silen-zio che l’apprendere talvolta comporta sforzo, fatica e sacrificio.

È stato quindi necessario creare un contesto “autentico” entro il quale individuare una situa-zione problematica “utile”, che permettesse agli alunni di superare le difficoltà di apprendimen-to legate a una didattica lontana dai loro bisogni, dai loro interessi, e di scoprire la nuova cono-

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scenza matematica mediante una partecipazione attiva e costruttiva. Mi sono infatti chiesta co-me entrare nel mondo delle esperienze del bambino? Come creare per lui situazioni particolari, significative, interessanti, attraenti? A tale scopo ho ritenuto importante partire da considerazio-ni riguardanti il modo in cui spesso i bambini vivono il rapporto con il reale, cioè un modo “magico”, “fantastico” e contemporaneamente molto “concreto”, da cui scaturisce la fiaba og-getto della proposta didattica. Nel lavoro esposto di seguito si è tenuto conto delle componenti essenziali di uno studio finaliz-zato all’innovazione in classe, così come individuate da Arzarello e Bartolini Bussi (1998): - componente epistemologica: analisi dei contenuti, in questo caso analisi epistemologica del

concetto di frazione; - componente cognitiva: analisi dei processi di apprendimento dal punto di vista delle scienze

cognitive, e in particolare della narrazione come chiave per entrare nella realtà per strade nuo-ve, diventando il mezzo per parlare coi bambini, anche piccolissimi, di tante cose su cui un di-scorso diretto sarebbe improponibile;

- componente didattica: analisi dei processi di insegnamento-apprendimento dal punto di vista della ricerca didattica, facendo riferimento in questo caso alla Teoria delle Situazioni Didatti-che, e ricorrendo nello specifico all’uso delle situazioni a-didattiche.

Quindi dopo aver analizzato il valore formativo e pedagogico della narrazione da affiancare alla matematica e aver inserito le situazioni a-didattiche all’interno di un paradigma teorico di rife-rimento, analizzerò parte della letteratura nazionale e internazionale riguardante l’apprendimento delle frazioni. L’intento sarà quello di accostare la narrazione alle situazioni a-didattiche all’interno di un’indagine di ricerca volta a rilevare un miglioramento nell’apprendimento delle frazioni con l’apporto di queste due metodologie. Osserverò poi gli e-siti dell’attività sperimentale volgendo la mia attenzione sia all’aspetto quantitativo, sia a quello qualitativo. Alla luce di tale indagine di ricerca e dei risultati ottenuti, dedicherò l’ultima parte alle conclusioni e alle prospettive operative. 1. La narrazione

“Le fiabe servono alla matematica come la matematica serve alle fiabe. Servono alla poesia, alla musica, all’utopia, all’impegno politico:

insomma all’uomo intero, e non solo al fantasticatore.”

G. Rodari (1973)

1.1 La narrazione e l’uomo Dal punto di vista etimologico, il termine narrare deriva dalla radice gna-, che significa

“rendere noto”, mentre il suffisso -zione, deriva dal latino catione e trasmette il carattere seman-tico dell’agire, dell’azione, del gesto e di tutta la situazione relazionale. La narrazione si presen-ta come un concetto trasversale all’oralità e alla scrittura, sia le civiltà alfabetiche che quelle “il-litterate” ne hanno avuto forme più o meno sviluppate. Essa attraversa, quindi, le culture, le epoche, i luoghi, è connaturata all’uomo, non si ha testimonianza di civiltà che non hanno uti-lizzato la narrazione; si potrebbe dire che essa è nata con l’uomo, con il nascere della socialità e della relazione interumana.

La narrazione prende forma attraverso i miti, le leggende, le fiabe, i racconti, la storia, la pit-tura, i fumetti, le notizie, le conversazioni; dai racconti culturalmente condivisi ai discorsi quo-tidiani, la costruzione di storie rappresenta un modo per categorizzare l’esperienza, dando ordi-

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ne e senso alle imprevedibili vicende umane. Bisogna notare che la narrazione è stata anche lo strumento principe della costruzione e della trasmissione del sapere. F. Loytard, nel suo libro La condizione postmoderna, parla della preminenza del pensiero e della forma narrativa nella co-struzione del sapere, assegnando quindi la funzione di trasmissione e d’elaborazione delle cono-scenze alla narrazione (Lyotard, 1981).

Nelle culture passate, che si affidavano molto all’oralità, si può notare come le stesse leggi erano costituite da proverbi e massime, proposte sotto forma di vere e proprie micro-narrazioni che avevano un ruolo preminente nella vita quotidiana. Si constata invece, nella condizione post-moderna, una crisi del narrare e della capacità di scambiare esperienze, di dare una rappre-sentazione esaustiva, totalizzante e tranquillizzante della realtà, che possa “ridurre” la comples-sità nella quale ci troviamo a vivere. Calvino, in Se una notte di inverno un viaggiatore, scrive-va: «Oggi mi sembra che al mondo esistano soltanto storie che restano in sospeso e si perdono per la strada» (Calvino, 1979).

Occorre, oggi giorno, recuperare il valore del racconto. Alcune discipline quali l’epistemologia, l’antropologia, la storia, la paleontologia, la sociologia, la neuropsichiatria, la psicanalisi e la psicologia hanno provato a mettere in luce l’importanza del concetto di narra-zione non solo «per attribuire e trasmettere significati circa gli eventi umani» ma per «...dare forma al disordine delle esperienze» (Eco, 1993).

Kaneklin e Scaratti (1998) hanno ribadito il valore della narrazione come strumento indi-spensabile per la costruzione di significati e per la facilitazione dei processi di cambiamento so-ciale e organizzativo, poiché il punto di vista narrativo risulta connesso alla modalità esperite dai soggetti di attribuzione di senso agli eventi e alla realtà.

Daniel Taylor (1999) sostiene che ognuno è il prodotto delle storie che ha ascoltato, vissuto e anche di quelle che non ha vissuto; quotidianamente si racconta e ci si racconta, ed è proprio in questa relazionalità, che avviene la negoziazione del proprio sé con quello altrui, in questo sen-so la narrazione può trovare la propria validazione come strumento e soggetto nel processo for-mativo per la costruzione di significati.

Dunque non bisogna semplicemente implementare l’utilizzo nell’educazione della narrazio-ne tramite storie, romanzi, racconti, ma educare narrando, cioè occorre dare un impianto narra-tivo al percorso educativo, concepire l’educazione non solo come tempo e luogo di spiegazioni, della trasmissione del conoscere, ma anche come ascolto reciproco tra soggetti narranti la cui identità è anzitutto un’identità narrativa (Nanni, 1996).

1.2 Le ragioni di un interesse privilegiato

Voglio esaminare adesso alcune ragioni dell’interesse verso questo genere di testi che si è ri-levato di notevole importanza nella strutturazione del progetto sperimentale. Innanzitutto va se-gnalata la «precoce familiarizzazione dei bambini con il materiale narrativo, sia scritto che pre-sentato oralmente» (Pinto, 1993, p.48). Il contatto con il materiale narrativo e con i libri di storie, è un’esperienza sempre più precoce per il bambino che vive in società alfabetizzate. Fin dai primi anni di vita egli si trova immerso in un mondo di narrazioni: non solo fiabe, favole e storie più o meno canonizzate nella cultura in cui vive, ma anche fumetti, film, cartoni animati e quelle rielaborazioni di fatti quotidiani e eventi autobiografici che gli adulti gli ripropongono in forma di racconto.

La lettura di fiabe con l’adulto e l’ascolto di storie narrate rappresentano per il bambino strumenti privilegiati per lo sviluppo linguistico e per la conoscenza del mondo (Levorato, 1988). Il bambino si appropria precocemente dello “strumento narrativo” e le prime forme te-stuali comprese, prodotte e scritte dai bambini sono appunto le narrazioni. Tra le principali ra-

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gioni che motivano l’interesse privilegiato rivolto ai testi narrativi, ci sono poi i suoi stretti le-gami con l’alfabetizzazione.

Gli studi sui bambini di età prescolare hanno ampiamente sottolineato come la narrazione costituisca una strada privilegiata affinché il bambino possa entrare precocemente in contatto con la lingua scritta e ricavarne insieme piacere e competenza (Catarsi, 2001, p. 48). L’importanza dei testi narrativi non si esaurisce comunque nell’età infantile, le favole vengono col tempo sostituite da forme narrative più complesse, come il teatro, il cinema e i romanzi d’autore. La narrazione è dunque una delle esperienze più frequenti della nostra esistenza e ha un ruolo rilevante nell’espressione dell’immaginazione e dei vissuti emotivi, e nella sistematiz-zazione delle proprie conoscenze e credenze.

Bruner riconosce alla narrazione un ruolo e un’importanza fondamentali, sia a livello indivi-duale che culturale. Egli ipotizza l’esistenza di un pensiero narrativo, di una «sorta di attitudine o predisposizione a organizzare l’esperienza in forma narrativa» (Bruner, 1991/1992, p.56). Il pensiero narrativo rappresenterebbe una capacità psicologica propriamente umana, una modalità universale per organizzare l’esperienza e costruire significati condivisi (Bruner, 1988). Esso è basato sui bisogni dell’essere umano di dare forma e senso alla realtà e al proprio agire, di co-municare agli altri i significati colti nell’esperienza, di mettere in relazione passato, presente e futuro. I racconti hanno infatti una forte organizzazione temporale, una forte direzionalità; pre-sentano un intreccio che ha un inizio, uno sviluppo e una fine. “C’è un “prima” e un “dopo” e ciò che segue è connesso a ciò che precede come in una catena o in un filo” (Levorato e Nesi, 2001). È infine da sottolineare che i processi di comprensione e produzione di testi (narrativi e non) vedono coinvolte numerose abilità e funzioni: il linguaggio, la memoria, il processamento dell’informazione, gli schemi di conoscenza, la metacognizione… Si tratta quindi di un’area di indagine non chiusa e circoscritta ma ricca di interesse, proprio perché rappresenta un punto di incontro di ampi settori significativi per la comprensione delle funzioni psichiche superiori (Le-vorato, 1988, p.24).

1.3 Il valore formativo della narrazione

Oltre che per gli aspetti esaminati, il genere narrativo si caratterizza per il fatto di coinvolge-re fortemente la dimensione affettiva e motivazionale del lettore o dell’ascoltatore. La narrazio-ne non è un semplice resoconto o una lista di eventi. Di solito nelle storie è presente un “pae-saggio duplice”: lo “scenario dell’azione”, cioè gli eventi e gli accadimenti, e quello della “coscienza”, costituito dai vissuti emotivi e gli eventi mentali dei protagonisti (Bruner, 1990/1992). I due piani sono fortemente intrecciati e interconnessi.

Nella narrazione la tonalità emotiva è spesso molto forte. Il materiale narrativo innesca nu-merose emozioni: da quelle più “mentali” - come la curiosità, l’interesse, il divertimento, la su-spance - a quelle più “calde”- come la gioia, la tristezza, la paura - che nascono dal nostro coin-volgimento empatico con gli stati interiori e i punti di vista dei personaggi (Levorato, 2000).

Spesso poi la stilizzazione e la caricatura che caratterizza i personaggi, ne rende più facile il riconoscimento, dato che ne estrae e ne sottolinea i tratti più tipici e peculiari. Si tratta dunque di agenti significativi, con cui ci si può confrontare e rispecchiare, e su cui si può costruire una concezione della propria identità e soggettività.

Sono spesso presenti eventi inattesi, non ordinari, “inghippi”, problemi o conflitti che devo-no essere ricomposti o riequilibrati (Levorato, 2000). Questo “sbilanciamento”, questa proble-maticità, che è secondo Burke (citato in Bruner, 1990/1992) la ragione stessa della narrativa, mette ancora più in rilievo i vissuti soggettivi dei personaggi (più o meno esplicitati ma sempre

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presenti in sottofondo) e calamita l’attenzione del lettore. Nel sperimentazione esposta di segui-to è proprio su questi “inghippi” che è richiesta la partecipazione attiva degli studenti, che inter-venendo in un contesto di situazione a-didattica devono aiutare i personaggi a superare le critici-tà.

Nell’ambito protetto della fiaba, il bambino può quindi sperimentare, attraverso il “come se”, gli effetti di azioni e pensieri mai realizzati, senza essere sottoposto ai possibili rischi derivanti dagli errori. La fiaba è una sorta di realtà alla quale il bambino si abitua con estrema facilità e dalla quale, per via analogica, desume tutta una serie di indicazioni circa la comprensione della realtà.

Un valido processo formativo dovrebbe essere in grado di guidare i bambini verso la matura-zione di questa capacità fantastica di ricreare la realtà, utilizzandola come una preziosa risorsa, anche attraverso attività ludiche.

1.4 La narrazione nell’insegnamento/apprendimento della matematica

Sentir parlare di narrazione nell’insegnamento/apprendimento della matematica sembrerebbe piuttosto fuorviante, non soltanto per gli adulti, ma soprattutto per i bambini, i quali difficilmen-te legano la narrazione a questa disciplina, definita molto spesso ostica. Solitamente, la narra-zione è considerata prevalentemente in ambito letterario, perciò, narrare una fiaba in matematica si mostra sorprendente.

Non bisogna dimenticare, però, che il modo infantile di vivere i rapporti con il reale, fermo restando il principio del rispetto della individualità di ciascun bambino, è, in massima parte, magico. Secondo Dallari (1980), la magia infantile non rappresenta “un” aspetto del comporta-mento del bambino ma piuttosto ne costituisce l’atmosfera esistenziale. Penso quindi che rispet-to al problema di costruire «...situazioni problematiche concrete, che scaturiscano da esperienze reali del fanciullo...», così come si legge nelle Indicazioni per il Curricolo, “reale” non sia in contrapposizione con “fantastico” ma con “astratto”, cioè con l’uso di formalismi e definizioni lontani dal bambino.

Rodari (1973) afferma che la fiaba può fornire delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo, diventa il mezzo per parlare col bambino anche piccolissimo, di tante cose su cui un discorso diretto sarebbe improponibile.

La dimensione fiabesca può essere un valido strumento educativo. Attraverso la fiaba si pos-sono offrire al bambino occasioni per conoscere e controllare le sue ansie ed emozioni, per sti-molare la sua fantasia e il suo intelletto. Occasioni che diventino per lui esperienze positive, che lo rendano tranquillo rispetto a ciò che sta costruendo.

Durante la sperimentazione ho quindi proposto una serie di situazioni problematiche fanta-stiche per le risorse inesauribili che tale contesto offre.

Questa situazione problematica fantastica con la quale affrontare le frazioni e, mediante la quale, creare una situazione di apprendimento che tenga conto del soggetto che apprende, delle sue caratteristiche, delle sue paure, è una fiaba, ma con qualcosa in più, è una "fiaba interattiva":

-"fiaba" perché è un racconto fantastico -“interattiva" perché è accompagnata da schede operative, appositamente predisposte, che ri-

chiedono interventi di manipolazione, di costruzione di sagome, di completamento, oltre che ac-cese discussioni. Il racconto viene interrotto, in vari punti, da rimandi ad alcune schede o situa-zioni a-didattiche che richiedono interventi operativi da parte degli alunni. Le interruzioni fanno sì che il racconto si presti ad essere letto a puntate durante le quali l’apprendimento delle frazio-ni prende via via sempre più forma.

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2. Riferimenti epistemologici

“È innegabile che l’apprendimento delle frazioni è complesso, comunque lo si strutturi e lo

si articoli ma, come ogni nemico in una battaglia che si rispetti, la mancata sottovalutazione dell’avversario e la sua perfetta conoscenza sono armi vincenti nelle mani di chi sa sfruttare la

supremazia legata a competenza e consapevolezza”. Martha Isabel Fandino Pinilla (2005)

2.1 Il panorama internazionale delle ricerche in quest’ambito Il tema delle frazioni è uno dei capisaldi della didattica della matematica, nella scuola prima-

ria e nella scuola secondaria. Ciò spiega perché tale tema sia stato uno dei più studiati, fin dagli anni ’60. A seguito del fondamentale lavoro di Kieran su questo tema (Kieran, 1975), molte ri-cerche hanno indagato sulle difficoltà che gli alunni incontrano nello sviluppo di concetti relati-vi ai numeri razionali1. Varie ricerche hanno messo in rilievo le diverse interpretazioni che i numeri razionali e le frazioni possono presentare in differenti contesti di applicazione2. Per e-sempio le frazioni possono essere interpretate come descrizioni di una relazione parte-intero, ol-tre che come oggetti che possono essere confrontati, sommati, sottratti…. Il numero razionale può essere visto come risultato di una divisione tra due numeri interi o come rapporto, cioè co-me confronto moltiplicativo tra due quantità, ma anche come operatore, cioè come qualcosa che opera su una quantità e la cambia, come probabilità, come punto su una retta orientata…3

È stato messo in rilievo che solo attraverso lo sviluppo di interpretazioni di questo tipo per mezzo di pratiche didattiche significative, gli alunni possono costruirsi un’idea pertinente di numero razionale e, quindi, anche di frazione, e comprendere le proprietà che caratterizzano questi nuovi ogetti matematici al centro del processo di insegnamento/apprendimento.

Molti risultati però mostrano che la didattica corrente non è in grado di costruire una base di esperienze e di significati appropriati nell’uso della notazione frazionaria4.

A conferma di ciò all’uscita dalla scuola media, in un questionario proposto da Mariotti et al. (1995), gli alunni hanno risposto che tra i tipi di numero che essi conoscono ci sono anche de-cimali, frazioni, razionali, facendo così pensare che per essi scritture diverse corrispondano a numeri di tipo diverso. Ciò è stato ulteriormente confermato dalla rappresentazione dei vari si-stemi numerici mediante insiemi disgiunti.

Questa ambiguità concettuale è aggravata dal fatto che contemporaneamente si è già formato nel bambino un modello forte, rigido dei numeri naturali che, riprendendo le parole di Fishbein (1984), «...confligge duramente con le frazioni in seconda media, così come ha già fatto con i decimali alla fine della scuola elementare e all’inizio della scuola media». Questa situazione emerge chiaramente in numerose indagini. Ad esempio, i già citati Mariotti et al. (1995) eviden-ziano che, per quanto riguarda i numeri decimali, essi sono visti come due numeri naturali giu-

1 Si veda al riguardo il seguente sito del Rational Number Project http://education.umn.edu/rationalnumberproject/default.html che contiene un alto numero di pubblica-zioni realizzate da ricercatori che si sono occupati dell’argomento. 2 In questo lavoro facciamo riferimento alla seguente definizione matematica di numeri razionali e frazioni: I numeri razionali sono elementi di un campo quoziente infinito che consiste di infinite classi di equivalen-za e gli elementi delle classi di equivalenza sono frazioni (Beher e Al., 1993). 3 Questa lista di interpretazioni non ha la pretesa di essere esaustiva. 4 Per un’alta percentuale di alunni all’inizio della scuola superiore il doppio di 2/3 è 4/6.

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stapposti, tenuti separati da una virgola, e che ciò spiegherebbe errori del tipo 3,15>3,7 perché 15>7. Ciò, d’altra parte era già stato dimostrato da Brousseau nel 1981 affermando che, per i bambini della scuola primaria, i numeri decimali sono dei “naturali con la virgola”. Ancora oggi questa concezione è assai radicata e persiste, talvolta, fino all’università; essa costituisce un o-stacolo didattico piuttosto diffuso alla comprensione dei numeri reali.

Duval (1993) afferma che l’acquisizione concettuale di un oggetto matematico si basa su due sue caratteristiche “forti”:

1. l’uso di più registri di rappresentazione semiotica che è tipica del pensiero umano; 2. la creazione e lo sviluppo di sistemi semiotici nuovi che è simbolo (storico) di progresso

della conoscenza. Nel caso delle frazioni, la quantità di registri semiotici a disposizione è immensa. A gestire i

diversi registri, a scegliere i tratti distintivi del concetto da trattare, a convertire, non si impara automaticamente; questo apprendimento deve necessariamente essere il risultato di un insegna-mento esplicito nel quale l’insegnante chiama ad essere corresponsabile lo studente. L’insegnante troppo spesso sottovaluta questo aspetto e passa da un registro all’altro senza pro-blemi, perché ha già concettualizzato; ma lo studente no, egli lo segue sul piano delle rappresen-tazioni semiotiche, ma non su quello dei significati. Il rischio è enorme. L’apparente semplicità e leggibilità di certi registri, non deve far credere che lo studente se ne appropri o ne sia già pa-drone.

Ad esempio, la moltiplicazione tra due numeri naturali dà luogo ad un prodotto che è certa-mente maggiore di ciascuno dei due fattori; questa affermazione è vera in N, insieme dei numeri naturali, ma non certo in Qa, insieme dei razionali assoluti. Il modello intuitivo della moltiplica-zione in Qa, però, potrebbe coincidere con il modello che lo studente si è costruito in N, eviden-temente troppo presto; l’idea di limitare l’insegnamento della moltiplicazione al cosiddetto “schieramento” nella scuola primaria, non aiuta certo in questa impresa cognitiva; non è un ca-so che molti studenti evoluti (anche universitari) si dichiarino meravigliati di fronte al fatto che tra due operazioni: 18 x 0,25 e 18 : 0,25 la prima è quella che da il risultato minore. Essi con-servano il modello errato creatosi nella scuola elementare in base al quale “la moltiplicazione aumenta i valori”.

Didatticamente conviene lasciare immagini ancora instabili, in attesa di poter creare modelli adatti e significativi, il più possibile vicini al sapere matematico che si vuole raggiungere.

Nel caso delle frazioni, succede molto spesso che un’immagine si trasformi in modello men-tale interno troppo presto, quando ancora dovrebbe restare immagine. Ad esempio:

4 L’immagine di un’unità-tutto che viene divisa in parti uguali, intendendo questo u-guale come identità, congruenza, sovrapponibilità, marchia in modo efficace e duratura il concetto di frazione, trasformandosi in modello e pretendendo dunque di essere ri-spettata in ogni occasione. Ciò pregiudica assai presto la formazione noetica della fra-zione.

4 L’immagine di dividere un’unità-tutto in parti uguali e prenderne alcune, suggerisce semanticamente che questo “alcune” non possa essere “tutte”; il modello si forma fa-cilmente, dato che coincide con un’intuizione forte; ma pregiudica poi il passaggio all’unità come frazione n/n ed alle frazioni improprie.

4 L’uso delle figure geometriche viene visto dagli studenti come specifico e significa-tivo, mentre l’adulto le pensa causali e le vede come generiche. Per esempio il continuo e unico ricorso a rettangoli o cerchi costringe a ragionare in modo tale che l’immagine (che avrebbe dovuto essere aperta, duttile, modificabile) diventa invece persistente e stabile e si fa modello; se la frazione viene proposta su figure diverse (triangoli, trape-

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zi…) lo studente non domina più la noetica della frazione perché la situazione proposta non fa parte del suo modello.

4 Se l’unità-totalità viene insistentemente proposta stilizzata come una figura geome-trica unica, connessa, compatta, convessa, la costruzione del concetto di frazione si fa modello con questa configurazione fissa, irremovibile. Se poi si tenta di usare una unità-totalità che è formata da un insieme discreto di oggetti, il modello troppo presto forma-tosi non risponde più ai bisogni nuovi della situazione.

4 Se bisogna dividere sempre e solo n numero per un altro più piccolo e questo diventa il modello di divisione, allora, al momento di dividere 2 euro tra 4 persone, difficilmen-te allo studente sarà spontaneo operare con la frazione 2/4 o con la divisione tra numeri razionali 2:4. Questi due atteggiamenti non saranno compatibili con quel modello e lo studente cercherà alternative, come, per esempio, quella di operare solo tra centesimi 200:4, come se questa trasformazione fosse obbligatoria. Avrà sempre come risultato 50 centesimi e mai 0,5 o 0,50 euro perché questi due valori gli sembreranno innaturali (Fandino Pinilla, 2005).

2.2 Vari modi di intendere il concetto di “frazione”

A fronte di una definizione di frazione apparentemente intuitiva, si possono avere almeno una dozzina di interpretazioni del concetto di frazione: � Frazione come parte di un tutto a volte continuo e a volte discreto: Nel linguaggio mate-

matico il termine “frazione” indica le diverse parti di una grandezza ottenute dividendo quella grandezza in parti uguali. � Frazione come quoziente: È possibile vedere la frazione a/b come una divisione non ne-

cessariamente effettuata ma solo indicata: a:b; in questo caso l’interpretazione più intuitiva non è la parte/tutto, ma la seguente: abbiamo a oggetti e li dividiamo in b parti. � Frazione come rapporto: A volte la frazione indica un rapporto; l’interpretazione non si

accorda più né alla parte-tutto, né alla operazione di divisione, diventando un legame tra gran-dezze. � Frazione come operatore moltiplicativo: Molto spesso la frazione è considerata un opera-

tore moltiplicativo, anzi questo è forse uno dei suoi significati più usati nella scuola. In questo caso però solo con uno sforzo si può ammettere di aver sfruttato al definizione iniziale di fra-zione, anche se a quella ci si può comunque ricondurre. La frazione come operatore, dunque, a-gisce sui numeri puri piuttosto che sulle raccolte o sugli oggetti; è, di fatto, una nuova operazio-ne che combina la divisione e la moltiplicazione. � Frazione in probabilità: In probabilità la frazione è profondamente presente, ma non ri-

spetta più, almeno nella sua forma ingenua, la sua primitiva definizione. � Frazione nei punteggi: Le frazioni nei punteggi sono un oggetto matematico che ha pecu-

liarità proprie, intuitive, ma assai poco vicine alla definizione che era stata data all’inizio. � Frazione come numero razionale: Prima o poi, la frazione si deve trasformare, lungo il

corso di studi di un individuo, in numero razionale. In questo caso si mettono in particolare evi-denza questioni aventi a che fare con l’operatività: equivalenza fra frazioni, addizioni… Un numero razionale, infatti, non è altro che la classe di equivalenza formata da tutte quelle infinite coppie di numeri (a;b) tali che b=2xa. � Frazione come punto di una retta orientata: Spesso è richiesto di porre una frazione su una

retta numerica. Per fare ciò bisogna valutare quella frazione come se fosse un numero razionale, applicare la relazione d’ordine in Q e mettere un cerchietto nero o una tacca nella posizione ap-

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propriata e opportuna. La frazione indica in questo caso la distanza tra l’origine e il punto-frazione. � Frazione come misura: La frazione viene spesso usata come misura, specie nella sua e-

spressione di numero con la virgola. La quantità di vino nella bottiglia, la spesa per una matita sono delle misure; a volte ha senso pensarle espresse come numeri razionali, a volte anche come frazioni, ma in nessun caso occorre o conviene fare riferimento alla definizione originaria di frazione. È più spontaneo un uso diretto della misura così come viene espresso. � Frazione come percentuale: La percentuale non è altro che una frazione; ma anche in que-

sto caso ha peculiarità specifiche. � Frazione nel linguaggio quotidiano: Nel linguaggio quotidiano, infatti, colpisce l’uso che

si fa delle frazioni, non sempre in modo esplicito. Si pensi ad esempio: - alla lettura dell’orologio (sette e un quarto); - alla musica in cui le frazioni hanno un ruolo determinante, ma non sempre si comportano

come quelle in matematica; lo studente però sente nominare gli stessi nomi e dunque pensa agli stessi oggetti concettuali;

- allo sconto; se lo sconto è del 50% è intuitivo far capire che si tratta della metà. Se lo scon-to è del 25% è istruttivo far riflettere sul fatto che si tratta di un quarto. Il viceversa è più com-plicato. Se una cosa che costava 80 ora costa 100 è aumentata di ¼ cioè del 25%; se ora cala di ¼ non torna a 80, come molti credono, ma arriva a 75;

- alla pendenza delle strade; - alle ricette di cucina;

- alla medicina.

2.3 Ostacoli legati all’insegnamento/apprendimento delle frazioni Occorre innanzitutto precisare che l’ostacolo, così come qui lo si intende, è un’idea che, al

momento della formazione di un concetto, è stata efficace per affrontare dei problemi (anche so-lo cognitivi) precedenti, ma che si rivela fallimentare quando si tenta di applicarla ad un pro-blema nuovo. Visto il successo ottenuto, anzi, a maggior ragione a causa di questo, si tende a conservare l’idea già acquisita e comprovata e, nonostante il fallimento, si cerca di salvarla; ma questo fatto finisce con l’essere una barriera verso successivi apprendimenti.

Si fa solitamente una distinzione fra tre tipi di ostacoli: - di natura ontogenetica: legati all’allievo e alla sua natura; - di natura didattica: legati all’insegnante ed alle sue scelte; - di natura epistemologica: legati alla natura stessa degli argomenti della Matematica. • Tra gli apprendimenti legati alle frazioni, molti possono essere pensati come veri e propri

ostacoli ontogenetici. Per esempio, il tentativo di far costruire cognitivamente il numero razio-nale come classe di equivalenza di coppie di naturali (il secondo dei quali diverso da zero) è fal-limentare. Per costruire davvero questo concetto, bisogna avere la forza cognitiva e culturale di considerare tale classe come un solo oggetto, astraendo dai suoi componenti. Si è visto che que-sta capacità si acquisisce solo in particolari circostanze per motivi legati all’ostacolo ontogene-tico.

• Per quanto riguarda gli ostacoli didattici, tra gli apprendimenti legati alle frazioni, essi so-no in genere dovuti a scelte che compie l’insegnante nel presentare i vari elementi della didatti-ca delle frazioni, sulla base del buon senso o della tradizione. Ad esempio la scelta di introdurre registri semiotici diversi senza didattiche specifiche, come se lo studente dovesse/potesse ap-prenderne a farne uno spontaneamente. Sarebbe bene mettere in evidenza la struttura semiotica

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di ogni registro scelto, man mano che lo si sceglie, in modo esplicito. Un altro esempio è costi-tuito dall’insistenza nel voler trovare un “successivo” di una frazione o di un razionale; per cui la frazione “successiva” di 3/5 è allora 4/5 e il successivo di 0,3 è 0,4; è ovvio che si tratta di un ostacolo didattico legato al fatto che lo studente ha appreso a far uso del termine “successivo” nell’insieme N dei numeri naturali ed ha costruito il concetto che ha esteso poi a tutti i domini numerici, senza che mai si avesse un momento nel quale questa concezione venisse messa in crisi.

• Gli esempi di ostacoli epistemologici ci vengono forniti o dalla storia della Matematica o dalla vita d’aula. Concetti che nella storia hanno creato fratture, discussioni, difficoltà sono o-stacoli epistemologici; argomenti sui quali gli studenti commettono errori che sono sempre gli stessi in qualsiasi tempo e in qualsiasi Paese. Tra gli apprendimenti legati alle frazioni, molti possono essere pensati come veri e propri ostacoli epistemologici. Essi sono facilmente ricono-scibili nella storia e/o nella pratica didattica. La riduzione delle frazioni ai minimi termini è stata per molto tempo un oggetto di studio specifico nella storia; basti pensare che gli Egizi, che col-tivarono le frazioni per molti secoli, preferirono avere a che fare solo con frazioni con numera-tore unitario. Il passaggio dalle frazioni ai numeri con la virgola ha richiesto alla Matematica più di 4500 anni, nonostante fosse già disponibile (nel mondo sumero) un sistema posizionale; nel mondo indiano è nato nel VI secolo d.C. un sistema decimale corretto; ma solamente dal XV secolo si può dire che si sia fatto un uso consapevole e corretto dei numeri decimali. A scuola questo passaggio non è cognitivamente incruento, anzi lascia sul campo parecchie vittime.

Anche la gestione dello zero nelle frazioni ha creato difficoltà enormi nella storia, tanto che i matematici arabi hanno esplicitamente studiato queste situazioni.

L’idea di ostacolo conduce, quindi, a ripensare alla presenza e alla funzione dell’errore nella

pratica scolastica; seguendo D’Amore: «L’errore, dunque non è necessariamente solo frutto di ignoranza, ma potrebbe invece essere il risultato di una conoscenza precedente, una conoscenza che ha avuto successo, che ha prodotto risultati postitivi, ma che non tiene alla prova di fatti più contingenti o più generali».

2.4 Uno sguardo al futuro: il contributo delle neuroscienze

A sorpresa e a dispetto del fatto che solitamente si ritenga che le frazioni siano un concetto matematico piuttosto difficile da apprendere, un recentissimo studio pubblicato sul Journal of Neuroscience nell’aprile del 2009 mostra che, almeno nell'adulto, esse sono elaborate automati-camente, anche senza l'intervento del pensiero cosciente. A farlo sarebbero in particolare alcune regioni dell'area del solco intraparietale (IPS) e della corteccia prefrontale, due regioni che già si sapevano coinvolte nell'elaborazione dei numeri interi. Lo studio è stato condotto da Simon Jacob e Andreas Nieder dell'Università di Tübingen, in Germania, che hanno sottoposto a scansione il cervello di un gruppo di volontari mentre questi osservavano su un monitor l'apparizione, per brevissimi instanti, dell'immagine di varie frazioni.

Quando i ricercatori presentavano rapidamente e ripetutamente frazioni che equivalevano approssimativamente a 1⁄6, potevano osservare una diminuzione nell'attivazione dell'area IPS e della corteccia prefrontale, corrispondente al cosiddetto fenomeno di adattamento funzionale, che si manifesta di fronte a uno stimolo più o meno identico ripetuto molteplici volte. Successi-vamente, ai partecipanti venivano mostrate frazioni che deviavano da quel valore. Risultato: quanto più la frazione differiva da 1/6, tanto maggiore era l'attività delle cellule IPS. Ad assicu-rare i ricercatori che i partecipanti elaborassero direttamente le frazioni e non le calcolassero,

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era la rapida presentazione di ciascuna frazione unita alle piccole variazioni nel valore delle fra-zioni.

Questi risultati suggeriscono che negli adulti le frazioni attivino automaticamente l'area IPS e la corteccia prefrontale. I ricercatori hanno anche rilevato che differenti valori attivano gruppi distinti di cellule e che esse rispondono allo stesso modo sia che la frazione sia presentata in forma numerica che sotto forma di parole. Lo studio è stato ideato dopo che altre ricerche avevano suggerito la possibilità che sia i primati non umani sia i bambini piccoli potessero in qualche modo afferrare naturalmente le frazioni o almeno alcune di esse.

Come sostiene Jacob, che con il suo gruppo ora intende verificare se l'elaborazione delle fra-zioni avviene in modo analogo anche nei bambini, «Questi esperimenti cambiano il modo in cui dobbiamo pensare alle frazioni. Sicuramente i cervelli educati degli adulti rappresentano intuiti-vamente le frazioni, e questo potrebbe avere riflessi sul modo in cui si dovrebbe insegnare l'a-ritmetica e la matematica a scuola».

3. Le situazioni a-didattiche

“Non vi spiego tutto, per non privarvi del piacere di apprenderlo da soli.” Renè Descartes

3.1 La Teoria delle Situazioni Didattiche Come afferma lo stesso Brousseau (1998), «l’insegnamento dei decimali - e io aggiungerei an-che l’insegnamento delle frazioni - è un problema didattico difficile e primordiale. Da una parte il loro uso è così diffuso, così comodo e così banale che gli allievi lo riconoscono molto velo-cemente; ma è evidente, allo stesso tempo, l’insufficienza di questa concezione “meccanica”. Infatti solo la risoluzione di certe situazioni-problema può fornire una comprensione più chiara del concetto anche se queste ultime a volte sono talmente complesse da non sembrare possibile di proporle agli allievi troppo precocemente. D’altra parte, è impensabile ritardarne l’insegnamento.» È dunque naturale porsi alcune domande: quali sono i risultati degli allievi? Quali decisioni pos-sono migliorarli? Quali alternative si presentano? Come elaborare nuovi metodi? Come sce-glierne uno? Come condurlo? Comunicarlo? Quali variabili bisogna controllare? Quali situazio-ni e quali comportamenti corrispondono a un’appropriazione conveniente di un concetto? Quali sono i comportamenti errati che appaiono e il loro significato? Quali ipotesi sono in grado di spiegare i buoni e i cattivi risultati? Alla luce di ciò è necessario che la didattica prenda in carico la totalità delle interazioni dei si-stemi presenti. In questo senso la Teoria delle Situazioni Didattiche si pone come obiettivo la creazione di una teoria didattica che permetta da una parte, di capire/spiegare i fatti che avven-gono nell’insegnamento/apprendimento della matematica e d’altra parte, fornire ad insegnanti e ricercatori uno strumento per progettare e realizzare un insegnamento efficace della matematica. La Teoria delle Situazioni Didattiche si basa sul principio che imparare significhi migliorare la propria capacità di analisi o di risposta di fronte a una situazione già conosciuta o nuova.

Così la relazione che viene ad instaurarsi tra l’Allievo ed il Sapere può rappresentare «la re-lazione obiettivo finale di ogni insegnante che, al termine del suo lavoro di mediatore, sparisce per far si che l’allievo abbia un rapporto personale con il Sapere. Questo fatto rappresenta una

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sorta di paradosso dell’insegnamento: l’insegnante raggiunge il suo scopo quando esce fuori di scena» (Spagnolo, 2001).

Perché questo si realizzi è di notevole importanza che l’insegnante sia consapevole dei pro-cessi cognitivi che sono alla base del pensiero matematico degli allievi e, ponga particolare at-tenzione al modo in cui si formano i concetti nella loro mente, guardando anche alla formazione di possibili ostacoli.

È necessario dunque al fine di far superare agli allievi questi ostacoli che l’insegnante pro-getti situazioni didattiche atte a fornire loro prove attendibili sulla necessità di cambiare le loro concezioni.

Organizzare il superamento di un ostacolo consisterà nel proporre una situazione suscettibile d'evoluzione al fine di fare evolvere l'alunno secondo una dialettica conveniente. Si tratterà, non di comunicare le informazioni che si vogliono insegnare, ma di trovare una situazione nella qua-le esse sono le sole a essere soddisfacenti o ottimali, tra quelle alle quali si oppongono, per otte-nere un risultato del quale l'alunno si è fatto carico.

Questo però non basta: bisognerà anche che questa situazione permetta di primo acchito la costruzione di una prima soluzione o di un tentativo dove l'alunno investirà la sua conoscenza del momento. Se questo tentativo fallisce, la situazione deve tuttavia rinviare a una situazione nuova modificata da questo insuccesso in maniera intellegibile ma intrinseca, cioè non dipen-dente dalla maniera arbitraria delle finalità dell'Insegnante. La situazione deve permettere la ri-petizione a volontà della messa in atto di tutte le risorse dell'alunno. Essa deve auto-motivarsi con un gioco sottile di sanzioni intrinseche (Spagnolo, 2009). 3.2 Le condizioni e le fasi delle situazioni a-didattiche Nella Teoria delle Situazioni Didattiche è il gioco che deve favorire l’ingresso dell’allievo in una situazione a-didattica: è una «situazione in cui la conoscenza del soggetto si manifesta so-lamente per delle decisioni, per delle azioni regolari ed efficaci sull’ambiente» (Brousseau, 2002). È nel quadro della situazione che l’allievo può sviluppare degli apprendimenti in modo autonomo. Egli non è in attesa delle conoscenze del maestro ed è responsabile rispetto al sapere. «L’allievo sa bene che il problema è stato scelto per fargli acquisire una conoscenza nuova ma egli deve sapere anche che questa conoscenza è interamente giustificata dalla logica interna del-la situazione» (Brousseau, 1998, p.59). È necessario per questo organizzare la situazione a-didattica in modo che la migliore strategia per vincere sia la conoscenza ambita: di conseguenza l’identificazione e la padronanza delle va-riabili didattiche è una posta in gioco centrale nella concezione e nello svolgimento di una atti-vità ludica. Si possono intravedere quattro condizioni per la messa a punto di situazioni a-didattiche:

2. L’alunno può immaginare una risposta, ma questa risposta iniziale (procedura di base) non è quella che si vuole insegnare; se la risposta fosse già conosciuta, questa non sareb-be una situazione d’apprendimento. L’alunno cioè deve trovarsi in una situazione di in-certezza sulle decisioni da prendere;

3. Questa “procedura di base” deve rivelarsi immediatamente insufficiente o inefficiente perché l’alunno sia costretto a fare degli accomodamenti, delle modifiche del suo sistema di conoscenza.

4. Esiste un ambiente per la validazione, un ambiente cioè che permetta la conferma della verità o falsità di una soluzione trovata. Tale ambiente deve poter permettere delle retroa-zioni, l’ambiente a-didattico deve poter influenzare l’allievo nel senso che gli deve con-

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sentire di correggere la sua azione, di accettare o respingere un’ipotesi, di scegliere fra numerose soluzioni. Un ambiente siffatto verrà chiamato a-didattico;

5. La situazione (gioco) sia ripetibile (analisi a-priori approfondita e individuazione delle variabili didattiche). (Spagnolo, 2009).

Nella prima stesura della Teoria delle Situazioni Didattiche le fasi in cui si suddivideva la si-

tuazione a-didattiche erano: � Consegna In questa prima fase viene specificato il compito con cui gli allievi si devono confrontare.

Nella ricerca esposta di seguito la consegna è fornita dai personaggi della narrazione. Ciò ha il duplice vantaggio di motivare maggiormente gli studenti e di dare continuità al processo di ap-prendimento fornendo delle coordinate spazio-temporali. � Situazione di azione È la fase in cui l’allievo è totalmente assorbito dal compito e dalla ricerca di una soluzione,

formula ipotesi e adotta strategie rifiutando istintivamente o razionalmente le precedenti e met-tendole alla prova in nuove esperienze. Questa fase costituisce il processo mediante il quale l’allievo perviene alla costruzione di strategie, ossia apprende un metodo per poter risolvere la situazione problema in cui ha accettato di implicarsi. � Situazione di formulazione In questa fase l’allievo deve rendere noto agli altri le sue scoperte, il suo modo per risolvere

il compito, verbalizzare le sue strategie, argomentarle e difenderle. È così che l’allievo gra-dualmente si rende conto della necessità di dover elaborare un linguaggio comprensibile a tutti, poiché è mediante lo scambio comunicativo con gli altri che si giunge alla formulazione della strategia. In ogni momento di questo processo quindi il linguaggio è messo alla prova, poiché deve rivelarsi utile ed efficace e rendere possibile la comprensione sia delle azioni che dei mo-delli d’azione. � Situazione di validazione Durante questa fase alcuni allievi propongono una nuova strategia risolutiva argomentando a

suo favore, il restante gruppo che riveste il ruolo di oppositore, può accettarla, richiedere ulte-riori argomenti, oppure, contro argomentala. È dunque all’interno del gruppo, in cui gli allievi si trovano in situazione di parità, che vengono discusse sia le strategie da adottare che quelle da ri-fiutare. A volte i loro ragionamenti sono errati, accolgono teorie sbagliate, accettano prove in-sufficienti. È la situazione d’azione stessa, come succede nelle altre fasi, che porta gli allievi a scoprire l’errore, li conduce a rivedere i loro ragionamenti ed a riformulare modelli corretti. Quando le ipotesi vengono accettate da tutti diventano teoremi. Comunque non basta enunciare o formulare un’ipotesi perché essa diventi un teorema: è necessario argomentare, provare, di-mostrare. Per l’allievo quindi non si tratta solo di conoscere la matematica, ma di saperla utiliz-zare per accettare o respingere le proposizioni e ciò richiede un’attitudine alla prova e favorisce la scoperta.

In seguito la ricerca ha mostrato il ruolo essenziale dei momenti di istituzionalizzazione, e si

è aggiunta una quinta fase nella quale c’è un doppio riconoscimento: - il “riconoscimento ufficiale” del nuovo sapere da parte dell’allievo; - il “riconoscimento” da parte dell’insegnante, dell’apprendimento avvenuto. L’istituzionalizzazione è l’operazione, guidata dall’insegnante con un linguaggio alla portata

degli studenti, attraverso cui i saperi ricevono una formulazione chiara e semplice. Entrano così

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nel repertorio di “cose da sapere” e da utilizzare come strumenti matematici per affrontare situa-zioni-problema nuove.

3.3Analisi del ruolo dell’insegnante Nelle prime due fasi delle situazioni a-didattiche, il compito più importante dell’insegnante

non consiste nel controllare il contenuto e lo sviluppo delle riflessioni dei bambini: non deve in-tervenire, anche se ascolta, una proposizione interessante o una dichiarazione falsa. È la situa-zione che deve esercitare i feed-back necessari. Egli non è più - provvisoriamente - il guardiano della verità, il garante, il destinatario di tutti gli interventi dei bambini. Egli deve convincere gli alunni della sua neutralità rispetto ai loro commenti della situazione affinché essi rinuncino a trarre da lui le informazioni e gli aiuti che invece devono tirar fuori da loro stessi.

L’insegnante facilita la soluzione dei problemi subalterni, sorveglia il rispetto delle regole e delle consegne che precisa e ripete all’occasione, risolve i problemi d’organizzazione, aiuta l’evoluzione favorevole dei conflitti all’interno dei gruppi. Veglia affinché tutti partecipino e concorrino al risultato cercato. Sostiene l’allievo senza dare alcuna informazione che lo possa aiutare a risolvere la situazione problema, osserva gli avvenimenti, condivide il piacere o la de-lusione per il risultato dell’azione. Valorizza in ogni caso il tentativo, perché l’errore è inevita-bile e nello stesso tempo utile.

Nelle ultime due fasi l’insegnante è il conduttore del gioco: fa giocare ma non gioca in pri-ma persona. Cerca di avere delle formulazioni chiare, delle indicazioni precise, lascia arrivare alla loro formulazione corretta le dichiarazioni false o assurde, lascia agli altri il tempo di for-mulare i loro giudizi. Non conferma una dichiarazione corretta prima che tutti si siano dichiarati d’accordo. Incoraggia coloro che sono in minoranza a esprimere le loro riserve, chiarifica gli stessi dibattiti, dal momento che non li può risolvere.

4. Ipotesi di ricerca e strumenti metodologici utilizzati

La sperimentazione proposta di seguito vuole individuare la fiaba e le situazioni a-didattiche come mezzi utili per vivere positivamente l’approccio alla matematica, e nello specifico alle frazioni. Tramite esse, infatti, la matematica si riempie di espressioni, di emozioni che dovreb-bero aiutare l’alunno a risolvere la situazione problema in maniera corretta oltre che essere un’esperienza per rafforzare l’autostima.

4.1 Ipotesi sperimentale di ricerca

Lo scopo che mi sono proposta di raggiungere è rappresentato dalla possibilità di collegare l’apprendimento delle frazioni all'utilizzo della narrazione e delle situazioni a-didattiche nei bambini di età compresa tra gli 8 e i 10 anni.

In particolare, l’ipotesi generale posta è la seguente “SE l’apprendimento delle frazioni mi-gliora tramite l’uso combinato di narrazione e situazioni a-didattiche ALLORA questi ultimi si rivelano utili a una più adeguata comprensione dei numeri razionali”.

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4.2 Strumenti di falsificazione Per poter falsificare l’ipotesi posta, ho somministrato un questionario al campione di riferi-

mento prima e dopo la sperimentazione. Lo stesso questionario, elaborato da una collega5 del corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria, era già stato somministrato a un campione di 59 alunni delle classi quinte della scuola primaria “F. Raciti” del quartiere Borgonuovo di Pa-lermo durante l’anno scolastico 2007/2008. Quest’ultimo campione ha quindi costituito il grup-po di controllo della mia sperimentazione.

4.3 Campione di ricerca

La ricerca sperimentale è stata svolta presso la Direzione Didattica San Lorenzo di Palermo, durante l’anno scolastico 2008-2009 nel periodo compreso tra dicembre e aprile. Nei mesi tra dicembre e gennaio è stata realizzata la parte preliminare della sperimentazione. Le attività spe-rimentali, invece si sono svolte nei mesi di febbraio, marzo e aprile dopo che l'insegnante aveva richiamato i prerequisiti necessari per lo svolgimento dello stesso progetto. Esso ha visto coin-volti, rispetto alla popolazione della scuola un campione piuttosto ristretto, composto dai bam-bini frequentanti la IV A del Plesso San Pio X. Quest’ultima è formata da 18 alunni di cui 7 di sesso maschile e 11 di sesso femminile di età compresa tra gli 8 e i 10 anni. Sono presenti due bambine straniere, di cui una del Bangladesh e una della Repubblica Democratica del Congo, perfettamente inserite all’interno della classe e con una buona competenza linguistica in italia-no.

4.4 Metodologia di ricerca

La metodologia di ricerca utilizzata ha previsto l’uso combinato di: • Fiaba • Situazioni a-didattiche. Entrambi sono coerenti con il target di riferimento, le condizioni socio-culturali di prove-

nienza degli alunni e le loro capacità attentive generali. Ciò è stato possibile grazie all’osservazione partecipata delle attività didattiche sia scolastiche che extrascolastiche degli a-lunni e dei momenti di progettazione a cui ho preso parte.

4.5 Strumenti impiegati

La scelta degli strumenti mi ha consentito un’osservazione quanto più oggettiva dei fenome-ni e una loro misurazione adeguata. Essi sono: � Questionario: è stato completato individualmente da ciascun bambino. Esso è costituito

da domande pensate per far riflettere i bambini sui molteplici aspetti delle frazioni e permette di rilevare l’eventuale presenza di misconcezioni, legate a concetti presenti nella matematica sco-lastica che concernono proprio l’apprendimento delle frazioni. Esso si articola in 9 item (non di-rettamente riscontrabili in quello fornito ai bambini). Ogni item contiene vari esercizi e proble-mi aperti sulle frazioni e sui numeri decimali e prevede la motivazione delle risposte date. � Videoregistrazioni: hanno fornito innumerevoli informazioni sui processi di costruzione

delle conoscenze adottate dai bambini partecipanti alla sperimentazione durante le situazioni a-didattiche. L’esigenza della videoregistrazione è nata per ovviare alla difficoltà di annotare con-temporaneamente le congetture e le argomentazioni dei bambini. È inevitabile, infatti, che

5 Amato A., in tesi di laurea “L’insegnamento/apprendimento dei numeri razionali nella scuola primaria: alcune considerazioni sperimentali” disponibile sul sito http://math.unipa.it/grim/Tesi_FP_AAmato_08.pdf .

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all’interno di una discussione le voci si sovrappongano. Inoltre il filmato permette: di scegliere le risposte considerate rilevanti e che dovranno essere rese in forma esplicita, di monitorare una situazione in cui ogni singola osservazione può essere rappresentata simultaneamente da uno o più codici. � Analisi a-priori: essa è l’insieme delle rappresentazioni epistemologiche, delle rappresen-

tazioni storico-epistemologiche e dei comportamenti ipotizzati6. L’analisi dei comportamenti ipotizzabili, tenendo conto degli errori, ostacoli della disciplina, misconcetti e conflitti, consente di individuare quelle attività che, nel rispetto dei diversi stili cognitivi degli alunni, favoriranno l’apprendimento. Lo strumento dell’analisi a-priori, oltre a fornire la possibilità di tabulare i dati emersi dalla somministrazione dei problemi aperti, configurandosi altresì come risorsa funzio-nale ai fini valutativi, consente di poter focalizzare l’attenzione su una serie di aspetti interes-santi, il primo dei quali può essere considerato lo spazio degli eventi, ovvero l’insieme delle possibili risposte, corrette e non, che si possono ipotizzare in uno specifico contesto. Sulla base dello spazio degli eventi è possibile inoltre individuare sia il buon problema e quindi, una “si-tuazione didattica fondamentale” che permette la migliore formulazione in termini ergonomici della conoscenza, sia le variabili didattiche che permettono di favorire un cambiamento nel comportamento degli allievi (Spagnolo, 1998, pp. 258-259).

4.6 Disegno di ricerca

Il disegno di ricerca seguito si basa sul confronto tra campioni diversi in cui sono state ana-lizzate le risposte date allo stesso questionario, tabulando i dati sulla base della stessa analisi a-priori.

Al fine di evidenziare i cambiamenti apportati dalla variabile sperimentale, ossia l’utilizzo della narrazione e delle situazioni a-didattiche nell’apprendimento delle frazioni, è stato sommi-nistrato per due volte il medesimo questionario: prima dell’introduzione della variabile speri-mentale, per rilevare le competenze di partenza, e poi al termine delle attività svolte. Queste ul-time sono state pure confrontate con quelle del gruppo di controllo.

6 Per “rappresentazioni epistemologiche” si intendono le rappresentazioni dei percorsi conoscitivi riguar-danti un particolare concetto. Per “rappresentazioni storico-epistemologiche” si intendono le rappresenta-zioni dei percorsi conoscitivi (sintattici, semantici, pragmatici) riguardo un particolare concetto. Per “com-portamenti ipotizzabili” dell’allievo nei confronti della situazione/problema sono tutte le possibili strategie risolutive sia corrette che non.

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5. Il lavoro sperimentale

L’impiego della narrazione e delle situazioni a-didattiche ha il fine di sviluppare negli alunni un atteggiamento positivo verso la matematica e non fargli perdere il gusto per la scoperta e la capacità di divertirsi imparando. In questo percorso operativo, pertanto sono state pianificate, all’interno di un approccio narrativo, alcune modalità operative per condurre gli alunni ad un migliore apprendimento delle frazioni.

L’opportunità di muoversi ad ampio raggio, per stimolare gli alunni ad apprendere le frazioni e l’esigenza allo stesso tempo di ottenere dati qualitativi più accurati, poteva essere soddisfatta solo da una sperimentazione più ricca di situazioni a-didattiche che permettesse di codificare il maggior numero di indicatori semantici. Pertanto la ricerca è stata lunga, minuziosa e dettagliata in tutte le sue parti, che qui di seguito sono descritte e motivate brevemente.

Al fine di falsificare l’ipotesi generale, l’indagine sperimentale è stata articolata così articola-

ta:

Osservazione sistematica FASE

PRELIMINARE

Questionario

N

A

R

R

A

Z

I

O

N

E

Situazioni didattiche

- Falegname - Fornai - Cuochi - Giullari* - Storico*

FASE

SPERIMENTALE

Situazioni a-didattiche

- Sarti - Ingaggio - Carte in ordine - Numeri compresi - Vince il più piccolo - Tombola

Questionario FASE

CONCLUSIVA

Riflessioni metacognitive - Lettera - Diploma - Libro

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5.1 Fase preliminare Nel prendere contatto con la classe si è proceduto con un primo momento d’osservazione

delle attività didattiche per individuare la situazione di partenza dei bambini e per comprendere quali siano le conoscenze sulle frazioni già presenti in classe. Da questi incontri sono emersi al-cuni atteggiamenti (che rivelano conoscenze più o meno consce relative alle frazioni) evidenzia-ti dalle attività svolte e dalle discussioni scaturite.

Dagli incontri di osservazione sistematica si è cercato di constatare quali erano i concetti re-lativi alle frazioni posseduti dalla classe. È stato interessante anche evidenziarlo in contesti che apparentemente non rientravano nell’ambito logico-matematico, come ad esempio nella realiz-zazione di maschere di carta pesta. Nella classe, infatti, il discorso sulle frazioni è già stato av-viato partendo da una fase manipolativa-concreta: attività di taglio, di piegatura, di coloritura di fogli. I bambini avevano già lavorato, sia alla costruzione di alcune unità frazionarie come ope-ratori su grandezze continue e discrete, che con alcune frazioni con numeratore diverso dall’unità.

Successivamente si è proceduto alla somministrazione del questionario per saggiare le cono-scenze possedute rispetto ai numeri razionali.

5.2 Fase sperimentale

Conclusa la fase preliminare sono state selezionate le attività relative all’ipotesi di ricerca, al fine di sviluppare negli alunni un miglior apprendimento delle frazioni.

Partendo dall’esperienza e dagli interessi dei bambini ho cercato di realizzare un clima socia-le positivo, di conoscere e valorizzare le attitudini individuali e di utilizzare tutti i canali della comunicazione. Sono state stimolate tutte le forme di comunicazione orale ed è stata sollecitata l’assunzione di comportamenti di ascolto, sviluppando la capacità di attenzione e concentrazio-ne coinvolgendo frequentemente i bambini. Ogni argomento, infatti, è stato affrontato partendo dalla fiaba che, fungendo da filo conduttore, ha stimolato in loro la curiosità e la motivazione.

Così, lasciandosi trasportare da questo percorso magico, hanno avuto modo di approfondire altri concetti fondamentali, inseriti gradualmente in contesti significativi e diversificati. Esporrò brevemente di seguito alcune situazioni proposte nel percorso di ricerca, ognuna delle quali sarà preceduta dalla relativa parte di fiaba.7

7 Per il lavoro nella sua integrità, comprensivo anche delle analisi a priori e dei grafici dei risulta-

ti ottenuti si rimanda a http://math.unipa.it/~grim/Tesi%20_FP%20_VDi%20Martino_09.pdf .

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FORNAI

Dopo il racconto della storia, ad ogni bambino è stata fornita una scheda nella quale poteva ri-spondere agli interrogativi posti. Ogni bambino poteva inoltre servirsi di qualsiasi altro foglio o materiale per risolvere il compito. Lo scopo dell’attività è la scoperta delle frazioni equivalenti e il confronto tra frazioni con de-nominatore diverso. È stata fornita la possibilità di rappresentare in modi diversi (verbali, iconi-ci, simbolici) la situazione problematica, al fine di creare un ambiente di lavoro favorevole per la risoluzione del problema. In più, nella scheda è esplicitamente chiesto di verbalizzare le stra-tegie risolutive scelte per la soluzione dei problemi e, soprattutto nella seconda parte, di usare i simboli dell’aritmetica per rappresentarle. La maggioranza dei bambini ha adottato le strategie rappresentate schematicamente di seguito (Fig. 1 e 2). Erano stati infatti abituati a ragionare sul significato del concetto di frazione proprio suddividendo un foglio di carta in tante parti (Fig. 3).

Fig.1 Fig.2 Fig. 3

Ma il falegname non fu l’unico a trovarsi in difficoltà. La Regina, infatti, aveva deciso di prendere provvedimenti anche per quanto riguardava la sua larghezza, oserei dire “grossezza”, limitando il consumo di dolci, e delle torte, in particolare. Ma non doveva essere certo lei la sola a limitarsi! È così che volle sapere da tutti i fornai del regno quanta farina fosse utilizzata ogni giorno per il pa-ne e quanta per i dolci. I fornai, così le risposero: “SUA MAESTÀ, OGNI GIORNO, NEI FORNI DEL SUO REGNO I 3/8 DI UN SACCO DI FARINA è USATO PER IL PANE E ¼ DEL SACCO è USATO PER LE TORTE.” Ma la regina, dovete sapere, di matematica non capiva nulla, per cui, chiese al matematico-astronomo di corte: “È DI PIÙ LA FARINA USATA PER LE TORTE O QUELLA USATA PER IL PANE?” Secondo voi? Poi aggiunse, rivolta al matematico: «Scrivi loro dicendo che in ogni caso, d’ora in poi, voglio che le torte prodotte ogni giorno siano non di più della metà della metà di quelle sfornate sino ad oggi!». Il matematico, che era un uomo di scienza, con il pallino per i numeri, secondo voi come rispose?

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CUOCHI

Lo svolgimento di quest’attività ha interessato diverse competenze, quali: - eseguire semplici calcoli con numeri razionali usando me-

todi e strumenti diversi (calcolo mentale, carta e matita...); - esprimere e interpretare i risultati di misure, con

particolare riferimento agli ordini di grandezza, alla significatività delle cifre;

- realizzare formalizzazioni e possibili generalizzazioni di un procedimento risolutivo seguito, ad esempio passando dal problema considerato ad una classe di problemi;

- passare da una misura espressa in una data unità ad un'altra espressa in un suo multiplo o sottomultiplo;

- riconoscere scritture diverse (frazione, numero decimale...) dello stesso numero dando particolare rilievo alla notazione con la virgola.

I valori degli ingredienti sono stati volutamente scelti per far emergere calcoli con numeri deci-mali o con le frazioni, dando agli alunni quindi anche la possibilità di riflettere sul loro signifi-cato. SARTI

Nonostante la Regina cominciasse a prestare più attenzione alla sua linea, non cessava certo di indire feste, banchetti e gran balli in cui invitava anche i più illustri e potenti nobili dei regni vi-cini. Durante queste feste, a corte, tutti avevano un bel daffare: pulire, sistemare, addobbare, apparecchiare, CUCINARE… Poveri cuochi! La Regina non voleva fosse buttato via nulla di quanto cucinato, né poteva fare, d’altronde, un magra figura con piatti poco abbondanti. I cuochi, pertanto, erano tenuti a prepa-rare per il numero esatto dei partecipanti, che ahimè, variava in continuazione. Molti infatti, con una scusa qualsiasi, disdicevano l’invito all’ultimo minuto. Così, un bel giorno, a mezz’ora dall’inizio del banchetto dovevano ancora preparare il dolce; dalle ultime stime il numero degli invitati doveva essere 35. Mahhh sul librone delle ricette le dosi erano per 4 persone… Mamma mia, si dovevano pure mettere a fare i conti così di fretta! Aiuta tu i cuochi a individuare la giusta quantità dei singoli ingredienti per preparare un buon tiramisù!

Dovete sapere che, nel Paese delle Meraviglie, i capricci della Regina non finivano mai di sorpren-dere i suoi sudditi. Vediamo un po’ cosa si è inventata stavolta! Ebbene un bel giorno riunì i sarti del regno e dette loro queste precise parole per cucire una nuo-va bandiera, pensate un po’ dopo ben 6 secoli di storia! Quella usata fino a quel momento era troppo grande per poter essere sventolata vicino la Regina, copriva la sua “maestosa” figura. Quindi, dette ai sarti queste precise istruzioni: LA BANDIERA DEL PAESE DELLE MERAVIGLIE DEVE ESSERE RIDOTTA DI 1 / 3 PER OGNI LATO.

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Dopo il racconto della storia, la classe è stata suddivisa in 4 squadre in mo-do del tutto casuale. Ogni squadra ha avuto il nome del colore del pezzo di bandiera assegnato. Ogni squadra ha poi ridotto di un terzo ogni lato della bandiera. Un portavoce per ogni squadra ha spiegato la strategia adottata al resto della classe. Alla fine dell’attività se tutti hanno operato correttamente i pezzi combaceranno di nuovo.

GIULLARE

Dopo il racconto della storia, ad ogni bambino è stata distribuita una scheda. Ognuno ha dovuto applicare i concetti appresi sulle frazioni alle lettere che compongono alcune parole date, e sommando o sottraendo hanno ottenuto nuove parole (Es: Chi è? La prima metà di SPILLO + il primo terzo di APE). La seconda parte dell’attività ha previsto la formulazione di questi “indo-vinelli” al compagno di banco. I più belli e divertenti sono stati poi posti al gruppo classe. STORICO

Dopo il racconto della fiaba, ad ogni bambino è stata fornita una scheda nella quale è riportata la storia delle frazioni presso gli egizi e i babilonesi. È stata un’occasione per riflettere sul signi-ficato dei simboli utilizzati e sull’evoluzione che essi hanno subito. INGAGGIO

Da quanto detto sin qui, si può ben notare come nel Paese delle Meraviglie, da quando la Regina di Cuori è salita al trono, tutti cominciarono “a fare un po’ i conti” con le Frazioni. Pensate un po’, anche chi, per il mestiere che faceva, non aveva necessità di utilizzarle, cominciò a familiarizzare con esse. Ad esempio, volete sapere cosa si inventò il giullare di corte?

Cominciò a formulare degli strani indovinelli….

Falegnami, muratori, giardinieri, cuochi, sarti, giullari….tutti utilizzavano le frazioni. Ma c’era pure chi aveva un pensiero fisso: da dove spuntano fuori queste frazioni, chi è che le ha inventa-te? Infatti, nella polverosa, nonché piena di libri biblioteca del palazzo, viveva uno storico tutto intento a scartabellare documenti antichi, libri, manoscritti, rotoli di pergamena, e indovinate un po’ cosa scoprì?

Ma lo storico non era l’unico a vivere nella grande biblioteca del palazzo, con lui c’era pure un vecchio matematico-astronomo, esperto sia di numeri che di stelle. Capite bene che, col gran da fare che la regina aveva dato a tutti i suoi sudditi a impegnarsi in calcoli e ragionamenti mate-matici, molti avevano chiesto e continuavano a chiedere a lui consulenza, Regina compresa, che come abbiamo già detto non ne capiva molto di numeri e figure… In questo modo, però, il matematico-astronomo, si dedicava più ai numeri che alle stelle, la sua vera grande passione. Ed è per questo che indirizza proprio a voi, alunni della IV A della Scuola San Pio X di Palermo questa lettera con una proposta, dando personalmente a me il compito di consegnarvela.

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Dopo il racconto della storia e la lettura della lettera, i bambini, prima individualmente, hanno cominciato a ragionare sulla modalità più conveniente di pagamento, poi a seconda della scelta effettuata sono stati divisi in gruppi. Ogni gruppo aveva il compito di sostenere la sua tesi e e dimostrare la falsità delle altre. Ha vinto il gruppo che con le opportune argomentazioni è riusci-to a convincere tutti. L’attività si è rilevata una vera e propria gara di determinazione. Ha vinto chi ha portato a ter-mine sino alla fine un innumerevole quantità di operazioni con i numeri decimali! CARTE IN ORDINE

L’obiettivo principale dell’attività è il confronto e l’ordinamento dei numeri decimali, compren-dendo il valore posizionale delle cifre. A tal fine, infatti, tutti i numeri contengono solo due cifre 0 e 6.

Il matematico-astronomo è lieto di comunicarvi che siete diventati tutti suoi preziosi collabora-tori! Quindi, mettiamoci subito a lavoro, sapete bene il gran da fare che ci spetta! Ebbene oggi ci toccherà aiutare una cara amica del matematico-astronomo che si trova in diffi-coltà: la maga. Forse ancora non vi ho detto che la Regina è molto superstiziosa, e “credulona”: incantesimi, specchi, amuleti, sfere, carte…cerca in vari modi di scoprire quello che il futuro le riserverà. Si tratta di cose abbastanza riservate, è per questo che si fida solo di una vecchia maga che da più di 300 anni vive in un’ala del suo grande palazzo. La vecchia maga ha imparato, nel corso dei suo i molti anni, che è meglio non contraddire la Regina, meglio darle sempre una visione rosea del futuro. C’è una consuetudine che va avanti da molti anni: ogni settimana la Regina si fa leggere le carte. Si tratta di carte molto particolari, che hanno degli strani simboli al centro (a ben vedere sono numeri!) e che possono essere disposte in ordine crescente e decrescente. È proprio l’ordine a fare la differenza: un ordine crescente è sinonimo di prosperità, ricchezza, salute, pote-re…l’ordine decrescente, ahimè, del contrario. Capite bene, quindi, perché la povera maga dispo-neva le carte sul tavolo già rovesciate e già in ordine crescente! Con la vecchiaia e le varie malattie, però, la vista della maga si ridusse drasticamente fino a di-

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Dopo il racconto della storia, ad ogni bambino sono state distribuite 4 carte (tutti i bambini han-no avuto le stesse carte). Prima individualmente ogni bambino ha formulato ipotesi e congetture per giungere infine a una propria modalità di ordinamento. Dopo circa 10-15 minuti la classe è stata suddivisa in squadre, tante quante le diverse modalità di ordinamento formulate dai bam-bini. Ogni squadra così formata ha sostenuto le proprie ipotesi e strategie e dimostrato la falsità di quelle della altre squadre. L’attività è terminata quando tutti si sono trovati d’accordo su un

determinato ordinamento. NUMERI COMPRESI

Obiettivo principale della situazione a-didattica proposta è quello di comprendere intuitivamen-te che l’insieme dei numeri razionali è un insieme continuo e infinito. Dopo il racconto della storia e la lettura del quesito, i bambini, prima individualmente hanno cominciato a ragionare sulla modalità più conveniente di rispondere, poi a seconda della scelta effettuata sono stati divisi in gruppi. Ogni gruppo ha sostenuto la sua tesi e e dimostrato la falsi-tà delle altre. Ha vinto il gruppo che è riuscito a convincere tutti. Gli alunni hanno quindi scritto una lettera al mago per comunicargli la soluzione del quesito.

Devo comunicarvi che il matematico-astronomo è molto soddisfatto del lavoro che state svolgen-do per lui e vi manda i ringraziamenti anche a nome della Regina, che però, come sapete, è molto esigente. Ha, infatti, un nuovo pensiero fisso: riuscire a vincere il Gran Prix des Merveilles 2009. Si tratta del più prestigioso premio del Paese delle Meraviglie, per intenderci è come i vostri Premi Nobel per la scienza, come i Premi Oscar per i miglior film… Si tratta di un premio interna-zionale che negli ultimi anni è stato vinto dagli scienziati dei paesi in competizione con il Paese delle meraviglie. Non vi dico la rabbia e dispiaceri della Regina che quest’anno invece è proprio decisa a vincere! Come??? Proprio con il vostro aiuto. Ha piena fiducia in voi! Sa che ce la potete fare! Dovete risolvere due rompicapi su cui da secoli migliaia di scienziati si sono interrogati, inviandole la formulazione dei rispettivi Teoremi! Ecco il primo:

“Quanti numeri sono compresi tra 3,1 e 3,4?”

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VINCE IL PIU’ PICCOLO

La situazione a-didattica si prefigge di far comprendere le proprietà della moltiplicazione per un numero decimale minore di 1. Inizialmente è stata raccontata la storia e letto il quesito. Subito dopo gli alunni hanno giocato per gruppi di due, registrando su un foglio le proprie prove e intuizioni confrontandole con quel-le dell’altro giocatore, vinceva chi per primo trovava il fattore che permetteva di ottenere il ri-sultato più piccolo. Dopo circa 10 minuti si sono riportati alla lavagna i numeri che ogni coppia di compagni ha trovato. In base ai dati riportati alla lavagna gli allievi sono stati divisi in 3 gruppi, ognuno dei quali con un portavoce: coloro che sostenevano che bisognava moltiplicare per un numero intero; coloro che sostenevano che bisognava moltiplicare per un numero decimale maggiore di 1; coloro che sostenevano che bisognava moltiplicare per un numero decimale minore di 1. In questa fase l’obiettivo era quello di formulare e comunicare le strategie applicate e motivare la soluzione a cui si era giunti. Infine ogni squadra doveva cercare di convincere l’altra della propria scelta; ha vinto chi finalmente è riuscito a farlo col consenso di tutti gli “avversari”. TOMBOLA

Scopo della situazione a-didattica è quello di comprendere che uno stesso numero razionale può avere differenti rappresentazioni ricorrendo anche alle frazioni equivalenti, alle operazioni con le frazioni e alla corrispondenza decimale-frazioni. Dopo il racconto della breve storia, alla lavagna viene appeso il tabellone mentre ad ogni bam-bino viene distribuita una cartella e dei fagioli. La cartella riporterà alcuni dei numeri del tabel-lone, ma con rappresentazioni semiotiche differenti. La cartella di ogni bambino sarà differente da quella degli altri, ma sono comunque rapportabili a 3 livelli di difficoltà. Ad ogni bambino sarà lasciato un po’ di tempo per confrontare la propria cartella con il tabellone, e dargli quindi la possibilità di individuare le varie rappresentazioni. Dopo circa 5 minuti si procede all’estrazione. Vince chi per primo completa la sua cartella, dopo che gli altri compagni ne han-no controllato la validità.

Avevo ragione a fidarmi di voi! Ecco il secondo rompicapo: “Voglio fare una moltiplicazione con voi: io vi dico il primo fattore, è 60, voi dovete trovare il secondo fattore: può essere qualsiasi numero escluso lo zero. Ma attenzione! Il prodotto dovrà essere minore del numero che dico io. Vince chi riesce ad ottenere il prodotto più piccolo.” 60 x ? = numero più piccolo per vincere Questo quesito sta particolarmente a cuore alla Regina, immaginate….con un numero piccolo rimpicciolire un numero grande! Se riuscite a risolvere anche questo rompicapo, lei stessa ha promesso una grande festa in vostro onore.

Bene! La Regina ha mantenuto la promessa…così vi ha organizzato una bella festa! Visto che le frazioni ormai facili sono per voi, vi ha organizzato una tombola un po’ particolare!

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L’attività prevedeva la padronanza di tutti i contenuti affrontati nelle precedenti situazioni didat-tiche. I bambini si sono mostrati molto abili, in più si sono divertiti moltissimo nello svolgimen-to del compito! 4.3 Fase conclusiva

Nella fase conclusiva della sperimentazione sono state previste: - la somministrazione dello stesso questionario somministrato all’inizio, ciò ha permesso di

evidenziare un notevole aumento di conoscenze e competenze relative all’apprendimento delle frazioni;

- una riflessione metacognitiva sul percorso di apprendimento effettuata con la stesura di una lettera alla regina, protagonista della fiaba filo-conduttore del progetto;

- il compito unitario di apprendimento consistente nella realizzazione di un “libro” che riper-corre la fiaba e le attività svolte.

5. Conclusioni e problemi aperti

5.1 Punti di forza Alla luce di quanto delineato e di quanto è stato esperito nell’azione didattica durante le atti-

vità d’aula posso affermare che è stata un'esperienza significativa e gratificante sia per me che per i bambini. La ricerca ha consentito e favorito l’avvicinamento alla conoscenza in modo cri-tico e la problematizzazione della realtà al fine di una migliore comprensione della stessa. L’uso della narrazione ha consentito una scansione dei tempi permettendo di inserire la matematica in un contesto significativo storicizzato.

La curiosità, opportunamente stimolata dalla narrazione, è stata la spinta che ha favorito l’azione e, di conseguenza, l’apprendimento e il consolidamento dei concetti matematici.

L’errore è stato vissuto come elemento di riflessione e ulteriore spinta verso nuove strategie di risoluzione. Altro elemento fondante dell’attività è stata la discussione, sia nei piccoli gruppi, ossia tra i componenti delle squadre, che nel gruppo classe, tra pari e con l’insegnante, in cui gli allievi si sono impegnati a sostenere le strategie risolutive ipotizzate giustificandole e argomen-tandole.

La ricerca, inoltre, ha incrementato la motivazione, l’interesse e l’attenzione degli allievi. Ha anche migliorato la qualità del sistema scolastico, in quanto ha permesso di trovare soluzioni pedagogiche e didattiche nuove alle problematiche emergenti non perdendo di vista l’idea di una scuola come luogo di sperimentazione nella quale i bambini si mettono in gioco in prima persona e conquistano gli strumenti culturali necessari per la propria crescita.

Sulla base dei dati raccolti dal questionario iniziale e finale somministrati al gruppo speri-mentale e da quelli provenienti dal gruppo di controllo si evince (grafico 1) che vi è stato un miglioramento nell’apprendimento delle frazioni a seguito della sperimentazione che ha visto l’uso combinato di narrazione e di situazioni a-didattiche.

Prendendo avvio dall’idea che entrambe facilitano un apprendimento attivo e incentivano la comprensione, il coinvolgimento emotivo e motivazionale degli alunni, occorre dunque sfrut-tarne le potenzialità in ambito didattico, in modo da dare vita ad uno stile di insegnamen-to/apprendimento originale e creativo che consenta, sia di avvicinarsi al mondo dei bambini, sia di dare un impianto narrativo al percorso educativo (Nanni, 1996).

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5.2 Punti di debolezza Il dato emerso, però, non consente di generalizzare il risultato a causa del numero ristretto di

bambini coinvolti nella sperimentazione. Inoltre la mia presenza in classe non costante, solo due volte a settimana, non mi ha permes-

so di monitorare come avrei voluto la fase di istituzionalizzazione del sapere né le “situazioni intermedie” vale a dire gli esercizi per il consolidamento delle conoscenze acquisite tra una si-tuazione a-didattica e un’altra.

5.3 Questioni aperte

Nell’ottica del miglioramento, ritengo sia importante mettere in evidenza alcune questioni aper-te che possono fungere da ipotesi per eventuali ricerche successive. � Sarebbe stato interessante esaminare separatamente il ruolo di ciascuna variabile speri-mentale (narrazione e situazioni a-didattiche). Ciò sarebbe stato possibile inserendo uno strumento che permettesse il confronto tra la prima parte della sperimentazione, in cui era presente solo la narrazione e le attività erano strutturate nella forma di situazioni didattiche, e la seconda parte in cui invece la narrazione stessa prevedeva il coinvolgimento diretto degli allievi in situazioni a-didattiche. Purtroppo ciò non è stato possibile a causa del tempo a di-sposizione. � Altrettanto interessante sarebbe stato indagare gli effetti dell’uso della narrazione e delle situazioni a-didattiche in soggetti di culture diverse. � Oltre che indagare in che misura il piacere e il divertimento derivanti da “giocare e narra-re” la matematica possano provocare dei cambiamenti personali (psicologici, affettivi e co-gnitivi) nei confronti della matematica e non vederla più come una sorta di “buco nero”. Tutto ciò sottolinea il carattere non esaustivo della ricerca che si vuole porre semplicemente

come occasione per riflettere e approfondire aspetti teorici rilevanti, raccogliendo diverse pro-spettive che favoriscono una più ampia visione del fenomeno.

Infatti il vero “viaggio” di conoscenza che la didattica organizza è non tanto, o soltanto, di-retto a scoprire “nuovi territori”, a addizionare nuove conoscenze, né limitato a costruire mappe cognitive, quanto piuttosto inteso a stimolare le esigenze di criticità, di riflessione e di consape-volezza, e perciò a rispondere ai vari perché circa quanto si viene acquisendo, sicché gradual-

Sull’asse delle ascisse con le lettere sono indicate le diverse sezioni in cui è articolato il questionario, mentre sull’asse delle ordinate sono riportate le percentuali di risposte corrette per

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mente, le conoscenze assimilate diventino per il discente fattori essenziali della sua capacità di giudizio, che egli in seguito eserciterà nei più diversi contesti cognitivi e pratico-operativi. È il modo con cui i vari contenuti sono organizzati, appresi ed elaborati che conferisce loro un grado maggiore di livello culturale: quel modo - che con Marcel Proust potremmo dire - di usare “un occhio nuovo”, con cui (ri-)guardare quello che si sa - o forse solo si presuppone di sapere -, e quindi, con cui esaminare questioni, porsi interrogativi, insomma rivolgere domande sul e al proprio sapere. In questa prospettiva, la didattica dinamizza il sapere, lo anima: lo riscopre come generatore di altro sapere.

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