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Ultimo aggiornamento: 30 gennaio 2003 Fabrizio Scottoni IL RESTAURO DELLA CERAMICA Corso base 1. Introduzione al restauro 2. La ceramica 3. Il laboratorio 4. L'attrezzatura 5. La pulitura 6. L'assemblaggio e l'incollaggio 7. La stuccatura e la ricostruzione 8. La decorazione 9. La conservazione e la documentazione

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Ultimo aggiornamento: 30 gennaio 2003

Fabrizio Scottoni

IL RESTAURO DELLA CERAMICA Corso base

1. Introduzione al restauro

2. La ceramica

3. Il laboratorio

4. L'attrezzatura

5. La pulitura

6. L'assemblaggio e l'incollaggio

7. La stuccatura e la ricostruzione

8. La decorazione

9. La conservazione e la documentazione

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1. Introduzione al restauro.

1.1. L’attività di restauro delle ceramiche di solito viene considerata un'operazione facile che

può essere svolta con buoni risultati senza una specifica preparazione. E' infatti diffusa l'idea che si tratti di una materia di serie B nell'ambito del restauro. Secondo questa idea, occorrerebbero soltanto una buona colla e un po’ di buona volontà e precisione.

La realtà è ben diversa. Le operazioni di restauro degli oggetti ceramici, a qualsiasi periodo essi appartengano, necessitano della stessa cura, cautela e preparazione di qualsiasi altro materiale. Anzi, per certi aspetti si può dire che l'infinita produzione di ceramiche che ovunque nel mondo ha accompagnato la storia dell'uomo amplifica la specificità dell'intervento del restauratore. A infinite qualità di ceramica corrispondono infinite forme e dimensioni degli oggetti ed a infinite possibilità di deterioramento dovuto a fattori chimici corrispondono infinite possibilità di mancanze, fratture, lesioni o rotture di tipo meccanico o fisico.

Per questo, nel settore in questione più che in altri, non si finisce mai di imparare, di sperimentare.

1.2. Inoltre l'approccio al restauro, anche per le ceramiche, non può prescindere dalla

conoscenza di alcuni concetti che ne stanno alla base. Questi riguardano, ed il restauratore deve sempre tenerli presente, tutti i campi della

conservazione perché tutti i materiali costituiscono testimonianza di livelli artistici, storici e culturali che fanno parte della storia e della civiltà umana.

Per questo tale patrimonio deve poter essere conservato al meglio per le generazioni future.

1.3. I principi ispiratori e universali sono descritti nella famosa "Carta del restauro", varata ad

Atene oltre 60 anni fa, che è stata fatta propria da tutto il mondo civile ed è ancora attuale. Essa esprime i seguenti concetti:

il restauro ha fini conservativi; il ripristino deve basarsi solo su elementi esistenti e non su ipotesi ricostruttive; l'anastilosi, cioè la ricomposizione di parti esistenti smembrate, deve essere svolta con

l'aggiunta eventuale di elementi neutri che rappresentino il minimo necessario per integrare la linea e assicurare le condizioni di conservazione;

gli elementi aventi un carattere artistico o storico, a qualunque epoca appartengano, devono essere conservati senza che il desiderio dell'unità stilistica e del ritorno alla primitiva forma intervengano ad escluderne alcuni a detrimento di altri;

nel caso di aggiunte che si dimostrassero necessarie per ottenere un consolidamento, o per raggiungere lo scopo di una reintegrazione parziale o totale, il criterio essenziale da seguirsi è, oltre a quello di limitare tali elementi nuovi al minimo possibile, anche quello di dare ad essi un carattere di nuda semplicità e di rispondenza allo schema costruttivo, in modo tale che mai nessun restauro eseguito possa trarre in inganno gli studiosi e rappresentare una falsificazione del documento storico;

per rinforzare ciò che è autentico di un monumento o di un reperto, possono essere utilizzati mezzi costruttivi moderni, purchè rigidamente scientifici, e per il possibile analoghi agli antichi;

negli scavi che rimettano in luce opere antiche, il lavoro deve essere eseguito con criteri scientifici e con interventi che evitino i rischi di danneggiamenti (il restauro preventivo in luogo);

come nello scavo, così nel restauro, condizione essenziale e tassativa è di realizzare una documentazione precisa che accompagni i lavori, mediante relazioni analitiche raccolte in un giornale di restauro e illustrate da disegni o fotografie, sicchè tutti gli elementi della struttura e della forma dell'oggetto, tutte le fasi di pulizia, di ricomposizione, di completamento risultino acquisite in modo permanente e sicuro.

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1.4. Fatta questa premessa teorica, che spesso sarà ripresa nella presente dispensa, è opportuno soffermarsi sulle motivazioni che spingono diverse persone a dedicarsi all'attività di restauro di qualsiasi manufatto - di legno, di ceramica, di materiale lapideo, di metallo.

Di solito si presentano tre casi: a) la ricerca di una attività professionale e interessante cui dedicarsi; b) lo stato di necessità a seguito dell'usura o della rottura di propri oggetti di pregio; c) un passatempo, un hobby che consenta di trascorrere il tempo libero in piena soddisfazione di spirito o di mente.

Di fronte a qualsiasi materiale, l'attività di restauro è costituita da una pluralità di operazioni successive, finalizzate al recupero e alla conservazione di manufatti, creati in tempi più o meno lontani e caratterizzati da un determinato valore storico, artistico o anche affettivo.

La pratica del restauro deve essere perciò svolta nel miglior modo possibile, con tecniche aggiornate, utilizzando materiali idonei già "testati". E’ anche opportuno essere in possesso di conoscenze, dati, nozioni e riferimenti relativi all’epoca, ai luoghi ed agli stili in cui quegli oggetti sono stati realizzati.

Un'attività, dunque, complessa, suscettibile di continui arricchimenti culturali e nozionistici; un'attività, in definitiva, tanto interessante quanto preziosa.

1.5. L'opera di restauro di oggetti di ceramica si è molto evoluta nel corso dei secoli ed in

particolare negli ultimi decenni, grazie al perfezionamento degli strumenti e dei composti chimici utilizzati.

In aggiunta ai concetti guida della "Carta del restauro" è opportuno fare riferimento, ad altre questioni basilari che sono venuti affermandosi:

1.5.1 La prima è quella riguardante la cosiddetta "riversibilità" del restauro.

Non di rado gli oggetti di ceramica si presentano con evidenti segni di incollaggi, stuccature, applicazione di colori, ecc. effettuati in modo grossolano e non appropriato da precedenti restauratori.

C'è da dire in proposito che, se attualmente la figura del restauratore è quella di uno specialista, non altrettanto si può dire per le epoche passate. Molto spesso era lo stesso artigiano dotato di grande manualità che creava l'oggetto al quale capitava di riparare lo stesso.

I materiali che però venivano utilizzati non erano evoluti come gli attuali. Capita molto spesso, pertanto, che la prima operazione del restauro consista nella

rimozione degli interventi praticati in passato che risultano non idonei e che deturpano, non garantiscono stabilità, alterano la forma e rendono impresentabile l'oggetto.

Bisogna così eliminare sostanze improprie, talvolta assai poco solubili. Il che richiede grande attenzione, ma soprattutto cognizioni specifiche sui materiali da

rimuovere, senza che la nuova opera di restauro possa in alcun modo danneggiare l'oggetto in quanto a composizione, dimensione ed estetica.

Bisogna anche tener presente che tutti i materiali ceramici, anche se conservati nelle migliori condizioni di luce, umidità e temperatura, come pure ogni operazione di restauro, sono soggetti a deterioramento ed usura, con processi più o meno lenti o a seguito di azioni chimiche o di eventi traumatici.

Si rende anche necessario che lo stesso restauratore abbia la possibilità di rimuovere facilmente il suo stesso lavoro, se questo risulta insoddisfacente.

In tutti questi casi e per tantissimi altri motivi deve poter essere consentita la riversibilità del restauro, che ovviamente riguarda i materiali adoperati.

1.5.2. Altra regola da tener presente, già illustrata dalla "Carta", e che riguarda principalmente la

ceramica archeologica e di scavo, ma anche quella di epoca medievale e rinascimentale, consiste nella cosiddetta individuabilità delle parti non originali e ricostruite.

Queste parti devono presentarsi integrate in modo armonico ed esteticamente pregevole con quelle autentiche che, in ogni caso, dal punto di vista quantitativo, del volume o della superficie, dovrebbero essere prevalenti.

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Del resto, un oggetto, anche se presenta parti rotte o mancanti, testimonia pur sempre e "arricchisce" in qualche modo la conoscenza delle vicende che lo hanno caratterizzato ed accompagnato nel corso dei secoli.

Un oggetto fratturato e ricostruito ha quindi un suo pregio storico ed artistico; l'opera del restauratore sarà perciò tanto più apprezzabile, quanto più l'oggetto, pur frammentato ma ricomposto a regola d'arte, manterrà intatta la testimonianza storica, le sue vicende specifiche ed il suo valore artistico.

1.6. La presente dispensa, che per forza di cose non può esaurire il vastissimo argomento del

restauro della ceramica, ha il compito di introdurre alle problematiche e l'ambizione di fornire gli strumenti concreti per affrontare gran parte degli inconvenienti che possono verificarsi.

La conoscenza delle tecniche, degli strumenti e dei materiali da utilizzare, costituisce la base necessaria di partenza per chi intende intraprendere l'attività di restauro delle ceramiche.

E' ovvio che trattandosi di operazioni manuali la quantità di ore spese nell'esercitazione, nella pratica quotidiana, sono di fondamentale importanza per migliorare, perfezionare, correggere e velocizzare il lavoro.

Quest'ultimo aspetto è di grande importanza per i restauratori di professione, perché incide in modo determinante sui tempi di produzione - che comunque non devono mai inficiare la qualità del restauro - sulla quantità di lavoro occorrente e quindi sui preventivi di spesa per il cliente committente.

Prendere "cantonate", commettere errori anche macroscopici, in sede di effettuazione di preventivi, sulla prevedibile durata del lavoro e sui costi dei materiali sono inconvenienti nei quali possono incorrere anche restauratori con una certa esperienza. E' solo la pratica che dà la possibilità di quantificare con una bassa dose di approssimazione la quantità di lavoro occorrente nei singoli specifici casi.

1.7. La presente dispensa, ad esclusivo uso di chi la riceve (per questo non può essere

divulgata in fotocopie), è il frutto di oltre venti anni di esperienza che ha consentito la messa a punto di un sistema per l'apprendimento della materia, senza fronzoli, nozioni inutili o metodiche superate.

Se, per quanto riguarda il restauro specifico delle porcellane, esistono testi ed una scuola, quella inglese, che in una certa misura "esaurisce" l'argomento e dà risposte ai problemi, non altrettanto si può dire per tutti gli altri tipi di ceramica.

Di scritto esiste molto poco oppure è molto specifico. Ciò rafforza di molto l'utilità e l'originalità della presente lavoro.

1.8. Ogni problema che si incontra nel restauro deve poter suggerire il metodo per risolverlo e

quindi, se una ulteriore regola si può dare, è quella del regolarsi attraverso un’analisi del “caso per caso”. Buon lavoro.

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2. Cos'è la ceramica

2.1. Sotto il nome “ceramica” devono essere compresi tutti i materiali cosiddetti "fittili", cioè composti di argilla - prima manipolata e poi cotta - che l'uomo ha utilizzato sin dalla preistoria, per costruire gli oggetti che oggi necessitano di restauro.

2.2. Come si sa, l'argilla o creta è una roccia di due tipi:

sedimentaria formatasi con il consolidamento del fango alluvionale (la più frequentemente utilizzata);

residuale o caolino da cui si ottiene la porcellana.

2.3. Dell'argilla si hanno infiniti tipi, a seconda della combinazione del componente base che è il silicio con altre materie.

Quando l'uomo l'ha imparata ad usare, impastare e cuocere per ottenere gli oggetti artistici o d'uso quotidiano di cui aveva bisogno, si è servito di tecniche diverse, ma anche della sua fantasia, del suo estro creativo, tramandandoci così gli oggetti che sono ora tra le nostre mani.

Se lo storico dell'arte ha il compito di collocare storicamente i manufatti e di capirne l'espressione artistica e culturale, il restauratore ha quello di riconoscere i vari tipi di ceramica, l’impasto utilizzato, gli elementi specifici che determinano l'usura ed il peggioramento delle condizioni e di essere aggiornato sulle tecniche e i materiali da utilizzare per il restauro e la conservazione nel tempo.

2.4. A prescindere dal valore storico artistico di ciascun pezzo da restaurare, è necessario per il

restauratore conoscere di che tipo di ceramica si tratti e le sue principali caratteristiche. In tutti i campi del sapere si applicano semplificazioni, schematizzazioni, vengono introdotte

categorie, che a volte appaiono arbitrarie. Ma ciò si rende necessario per meglio affrontare i problemi da un'ottica specifica. Per quanto riguarda il punto di vista del restauratore, la semplificazione operata è in

relazione alla composizione e alle qualità specifiche dell’impasto ceramico. Da questo punto di vista i tipi di ceramica più noti e diffusi, ridotti in categorie sono:

2.5.1. la ceramica detta di "Impasto".

E' un tipo di C. usata da sempre, dall'età preistorica ad oggi, per realizzare oggetti e vasellame soprattutto d'uso comune.

L'argilla adoperata non è depurata; è impastata spesso con pietra tritata, sabbia, paglia, polvere di carbone ed altri materiali per evitare il verificarsi di screpolature o fratture durante la cottura, che, come si sa, produce sempre una più o meno piccola percentuale di ritiro.

Si tratta di C. cotta a fuoco libero e, successivamente, in forni molto poco controllabili in quanto a gradazione di calore e spesso presenta delle vere e proprie “sfiammate” caratterizzate da diversità di colori, da toni e sfumature non omogenee.

Il colore prevalente può variare: si va dal bruno al nero, dal grigio al rosso all’ocra, più o meno scuri.

Non presenta quasi mai decorazioni pittoriche, anche se da un certo periodo in poi (circa XII - XI sec a.C.) vengono introdotti sistemi di graffitura e poi (IX - VIII sec a.C.) si perfezionano forme di ingobbio, steccatura e verniciatura.

C'è da aggiungere che ancora oggi viene utilizzato questo tipo di impasto un po’ grossolano;

2.5.2. la Terracotta. E' il frutto, più evoluto e perfezionato dell'"impasto", prodotto dalla cottura di argille più o

meno ricche di ossido di ferro (che determina la colorazione prevalentemente rossastra) e di carbonato di calcio (che produce la colorazione tendente al giallo ocra).

La T. è stata ed è utilizzata in tutte le epoche e da tutte le culture.

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La T. si presenta più o meno depurata e porosa e può essere realizzata al tornio o a mano libera, a colaggio o a stampo, per realizzare recipienti o oggetti plastici;

2.5.3. la Ceramica della Grecia classica. E' quella che viene prodotta nella Grecia del massimo splendore artistico. E' caratterizzata da una grande varietà di forme e dalla raffinatezza delle decorazioni

pittoriche. Si può dire che la massima espressione dell'arte ceramica nella intera storia dell’uomo è

stata raggiunta nella C. attica, corinzia, ecc, e in quella prodotta nella Magna Grecia. Il periodo d'oro è quello compreso tra il VII e il III sec a.C.. Gli stili principali di produzione (che riguardano soprattutto la decorazione) si possono

riassumere in quattro: geometrico, orientalizzante, a figure nere e a figure rosse. L’impasto ceramico è moderatamente poroso ed i colori utilizzati sono ottenuti con argille

molto depurate che subiscono processi laboriosi di lavorazione, decantazione e purificazione; i colori variano dal rosso, al nero, al rosa, al giallo, al violaceo, al bianco;

2.5.4. il Bucchero etrusco. Si tratta di diverse tipologie di vasi con impasto moderatamente poroso di colore dal grigio

scuro al nero. Si distinguono due tipi di Bucchero: quello cosiddetto leggero con spessori molto sottili (VII

- VI sec a.C.) decorato col bulino, graffito a motivi geometrici o stampigliato con bassorilievi e quello pesante (V sec a.C.) più grossolanamente lavorato.

Non ha decorazioni pittoriche; 2.5.5. la Maiolica o Faience Si chiama maiolica una terracotta smaltata e decorata - e per questo non mostra il colore

naturale della ceramica - in uso dall’VIII-X sec. in poi. L'apice artistico si ebbe nel periodo rinascimentale. E' costituita da una terracotta più o meno porosa, rivestita di smalto ed invetriata che la

rende impermeabile. Tale metodo di realizzazione di C. fu importato dall'oriente islamico, che a sua volta lo ereditò dagli antichi fenici.

In Italia le "Faience" sono di tre tipi: M. ricoperte di vernice cristallina, M. ingobbiate, M. rivestite di smalto stannifero.

Nel periodo più antico la gamma dei colori era limitata alle terre naturali ed agli ossidi metallici e questi erano: il verde ottenuto dall'ossido di rame, il bruno viola dall'ossido di manganese, il giallo dall'antimonio, l'azzurro dal cobalto, il bianco dallo zinco, il rosso dall'ossido di ferro, il nero dall'ossido ferroso, ecc;

2.5.6. la Terraglia. La T. (tenera e dura) è un tipo di ceramica leggera, utilizzata soprattutto per la produzione

di stoviglie d'uso comune, resistente e porosa a impasto bianco, ricoperta con vernice piombifera che ebbe sviluppo soprattutto nell'Inghilterra del XVIII secolo.

Le decorazioni sono ottenute attraverso lo stampaggio con decalcomanie di paesaggi, scenette, motivi floreali e cineserie;

2.5.7. il Gres. Il G. è un prodotto ceramico cotto ad alte temperature. Presenta corpo compatto, molto

resistente e non poroso. Il colore varia dal grigio al bruno scuro, raramente al biancastro. E' ottenuto cuocendo fino

alla vetrificazione un impasto di argilla di roccia sedimentaria con sabbia quarzifera; 2.5.8. la Porcellana. E' un tipo di C., diffusa in Cina sin da epoche remote, contenente feldspati e caolino ed è

ottenuta a grandi temperature. Si presenta compatta, resistente all'usura, lucente, impermeabile e assolutamente non

porosa.

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Il colore dell'impasto semi-trasparente è prevalentemente bianco, bianco crema, bianco azzurrognolo.

La decorazione, realizzata in Europa in seconda e terza cottura, è la più varia. Sono frequenti le decorazioni con oro zecchino;

2.5.9. la creta "autoindurente" o Das. E' un tipo di creta mescolata a sostanze gommose. Una volta essiccata viene dipinta a

freddo. Non può essere definita ceramica, mancando la fase della cottura. Ciò nonostante rientra tra i materiali che il restauratore di ceramiche deve provvedere a

restaurare.

2.6. Allo scopo di avere le idee ancor più chiare sui procedimenti di realizzazione degli oggetti in ceramica, si illustra di seguito, sia pure in maniera schematica, il ciclo della ceramica:

Dalla creta o argilla (colore grigio, verde, bianco, rosso) dopo avere o no applicato l'ingobbio attraverso la fase di essiccamento si ottiene il crudo secco 1)

si passa quindi alla prima cottura a grande fuoco detta anche biscottatura.

2) Sul biscotto si può fare la smaltatura (maiolica). Sullo smalto o sul biscotto si può applicare una decorazione pittorica.

3) Quindi si passa alla invetriatura E si sottopone la ceramica alla seconda cottura a grande fuoco.

4) Eventualmente si può applicare decorazione sopravernice (con colori,

oro, decalcomanie, ecc.) 5)

per cuocere quindi ad una terza cottura a piccolo fuoco. 2.7. Per quanto riguarda la definizione delle forme tipologiche di contenitori e vasi in ceramica,

va detto che queste, per la maggior parte, si rifanno ai canoni di produzione e alle definizioni della Grecia classica.

Esse sono: l'Anfora (tirrenica, ovoidale, a pannelli, panatenaica, a collo separato, nicostenica, nolana, ecc.), il Pelike, il Deinos, il Psikter, il Lebes, il Cratere (a colonnette, a calice, a volute, a campana), lo Stamnos, l'Hydria, il Kalpis, lo Oinochoe, l'Olpe, il Lekitos, la Pixis, il Kantharos, il Kiathos, lo Skyphos, la Kylix, l'Ariballos.

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3. Il laboratorio 3.1. Per restaurare al meglio oggetti ceramici sono richiesti alcuni requisiti minimi.

In questo, come in tutti gli altri settori del restauro, la pura manualità e l'arte di improvvisare soluzioni con fantasia, creatività ed inventiva hanno uno spazio molto rilevante, per risolvere, come si vedrà, problemi particolari. Il restauro delle C. consiste in una sequenza di operazioni, ognuna delle quali è caratterizzata dall'utilizzo di materiali diversi e dall'applicazione di tecniche appropriate. Per poter restaurare oggetti ceramici è necessario disporre di strumenti adatti e appropriate condizioni di lavoro.

3.2. Per raggiungere gli obiettivi prefissati, il lavoro deve essere svolto innanzitutto in un

ambiente idoneo e nelle migliori condizioni possibili. Il laboratorio o l'angolo di casa dove il restauratore di C. opera deve essere comodo, ben illuminato e con le attrezzature necessarie a portata di mano. Per questo l'ordine deve essere curato particolarmente. Ogni volta che si finisce di lavorare, bisogna dedicare del tempo alla pulizia del banco di lavoro, degli attrezzi e a sistemare ogni cosa al suo posto. Sembrano cose banali, ma è opportuno in apertura del programma, sottolineare l'importanza e l'attenzione da dedicare all'argomento "ordine" prima, durante e dopo il lavoro. Dall'ordine che si ha intorno dipendono spesso i risultati che si devono raggiungere. In quanto a ordine, pulizia e modo di lavorare, il riferimento "ideale" cui indirizzarsi potrebbe essere lo studio dei "restauratori di denti", i dentisti, anche perché con questa professione esistono sicuramente molti aspetti in comune. Il tempo dedicato al riordino è dunque da considerare parte integrante delle fasi del restauro.

3.3. Molta cura deve essere prestata alla eliminazione ed alla protezione dalla polvere. A questo proposito va detto che due fasi particolari del restauro, quella della levigatura nella quale si produce polvere, e quella della decorazione o ritocco pittorico, andrebbero svolte in locali distinti. Se però si dispone di un solo locale, particolare cura deve essere dedicata per eliminare la polvere via via formatasi. Per stipare i vari attrezzi, oggetti e materiali sono da preferirsi armadi o contenitori dalla chiusura ermetica a prova di polvere.

3.4. Il restauro di C. è un lavoro di assoluta precisione. Per questo va svolto con calma,

tranquillità e pazienza. Se si va di fretta, è preferibile rimandare ad altro momento e non cominciare affatto. Il rischio, come si vedrà più avanti, è quello di sprecare tempo ed energie in operazioni non eseguite a regola d’arte. Ciò spesso implica di dover riprendere il lavoro dall'inizio.

3.4.1. L'illuminazione deve essere adeguata.

La luce migliore in assoluto è quella del sole. Se questa purtroppo per vari motivi non la si ha o non la si può quasi mai utilizzare per via degli orari a disposizione, si deve ricorrere alla luce artificiale. La condizione ottimale di illuminazione artificiale è quella di posizionare la lampada (meglio ancora se due) a circa 40 - 50 cm dall'oggetto da restaurare, alle spalle di chi lavora. Le lampadine da preferirsi sono quelle "a luce solare", di colore azzurro, da 100 watt, perché non alterano i colori reali come invece accade se si utilizza il neon o le normali lampadine bianche o opache a resistenza che tendono ad ingiallire ed alterare i colori.

3.6. Vale la pena a questo punto spendere due parole sulla nocività specifica del lavoro del

restauratore per richiamare l'attenzione su alcune precauzioni da osservare.

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L'attività di restauro è svolta completamente a livello manuale, con scarsissimo utilizzo di utensili elettrici. Il lavoro presenta perciò rischi specifici da non sottovalutare per la tutela della propria salute. I problemi sono soprattutto per l'apparato respiratorio per via delle polveri che si respirano e dei vapori derivanti dall'uso di sostanze volatili contenute in solventi, diluenti, resine chimiche e sintetiche di cui molto spesso non si conoscono neppure i componenti ed il loro grado di nocività per via del segreto industriale. E' quindi opportuno sin dall’inizio abituarsi all'uso di maschere protettive. Queste sono di due tipi: ad azione fisica per quanto riguarda il filtraggio delle polveri (difficilmente si può disporre di un'efficace aspiratore elettrico) e ad azione anche chimica, in grado con gli appositi filtri di neutralizzare le sostanze volatili e i vapori nocivi. In certi casi poi, quando si manipolano determinati materiali, è importante l'uso di guanti sottili per prevenire forme di dermatite allergica ed eczemi.

3.7. Infine, il locale o l'angolo della casa destinato ad ospitare il lavoro di restauro, deve essere dotato di una buona ventilazione con possibilità di veloce ricambio dell'aria; non deve essere umido, né particolarmente freddo per non compromettere incollaggi, impasti, ecc.

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4. L'attrezzatura. 4.1. Il restauro della C. è svolto - si è detto - in maniera prevalentemente manuale e non

necessita di grandi e costosissime attrezzature. Oltre ad un piano di lavoro ben stabile e piuttosto alto per consentire un'osservazione orizzontale dell'oggetto da restaurare e ad una sedia che deve essere comoda, l'attrezzatura di base, il minimo indispensabile per operare consiste in:

4.2. fornellino a spirito;

torniello in ferro (più pesante è, meglio è); 2 - 3 cassette di sabbia asciutta di fiume; uno o più bisturi a lame intercambiabili; varie spatole, spatoline, mirette, stecche in metallo e legno; vasetti a chiusura ermetica di varia misura preferibilmente in vetro; bacinelle di varia misura in polurietano; pennelli di varie misure e qualità; fornellino elettrico; asciugacapelli elettrico (meglio la pistola termica); lente d'ingrandimento; calibro; compasso; trapano con relative punte.

4.3. Ogni oggetto da restaurare è diverso dall'altro. Tenuto conto che ciascun intervento presenta dei problemi particolari da risolvere, molto spesso a questa attrezzatura base è necessario aggiungere altri strumenti (dal trapanino flessibile all’aerografo), che pur non essendo indispensabili sono comunque utili e consentono maggiore precisione e un certo risparmio di tempo.

4.4. Nel lavoro si ha di solito bisogno di molta ferramenteria (pinze, pinzette, viti, spine

metalliche, seghetti, tenaglie, ecc) e persino di utensileria casalinga (bacinelle, passini, colini, imbuti, cucchiai, cinghie, elastici, ecc).

4.5. Bisogna anche naturalmente disporre di vari materiali da utilizzare (colle, stucchi, resine,

solventi, diluenti, smacchiatori, carte abrasive, rotoli di carta adesiva, ecc). Di questi materiali è comunque inutile farne elencazione a questo punto: saranno descritti momento per momento, fase per fase, secondo le necessità specifiche, che variano molto per il tipo di ceramica su cui si deve operare e per il tipo di intervento che si deve effettuare.

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5. La pulitura 5.1. L' oggetto per il quale si richiede l'intervento del restauratore si può presentare nelle

condizioni più diverse: da quello bisognoso solo di piccoli ritocchi pittorici a quello corroso e ridotto completamente in frantumi. In tutti i casi la prima operazione da compiere è quella della pulizia. Per pulizia s'intende l'eliminazione della sporcizia e di tutto ciò (depositi, incrostazioni, ecc) che non ha a che fare con le superfici originarie. La pulizia è di due tipi: ad azione chimica (ad esempio i vari solventi) e meccanica (ad esempio il bisturi).

5.1.1. Una regola generale da tenere sempre presente per la pulizia degli oggetti d'arte è quella secondo la quale si inizierà sempre con il mezzo più dolce, per terminare, se necessario, con il più brutale. Ci si dichiarerà vinti solo quando l'ultimo metodo finirà per intaccare lo smalto, il decoro e la stessa struttura originale di un pezzo.

5.2. I vecchi restauri

Un argomento molto rognoso per tutti i restauratori riguarda la pulizia di oggetti che hanno già subito restauri precedenti. In questi casi, se gli interventi precedenti non risultano soddisfacenti, è necessario il loro smontaggio e la rimozione totale delle tracce del vecchio restauro. Si tratta di rimuovere cavicchi, spine e rivette, vecchie colle, riempitivi, stucchi, smalti e vernici. A questo proposito bisogna dire che l'esperienza dimostra che una ceramica rotta tornerà difficilmente alla sua forma o stato originale se sono state già eseguite operazioni o tentativi di restauro maldestri e con sostanze non idonee.

5.2.1. Le rivette o graffette

Di frequente ci si imbatte in ceramiche nelle quali in epoche passate, per sopperire alla mancanza di colle di forte tenuta, venivano applicati dei fili metallici attraverso dei piccoli fori paralleli alla fessura per tenere assieme le parti rotte o separate. Questi venivano poi ribattuti o legati assieme; successivamente venivano stuccati i due fori. L'eliminazione di queste rivette è un'operazione che deve essere eseguita con molta delicatezza. In primo luogo si immerge l'oggetto in acqua calda (non bollente). Ciò ammorbidirà il solfato di calcio o lo stucco con il quale sono riempiti i fori e ne permetterà la rimozione con l'aiuto di un bisturi. Successivamente si utilizzeranno delle pinzette per sollevare, "aprire", tagliare e rimuovere il filo metallico. Qualora questa operazione non fosse possibile sarà necessario tagliare il filo metallico con una seghetta a ferro, badando a non intaccare gli strati superficiali di ceramica. Si procederà poi alla pulitura ed eliminazione dello stucco che spesso è costituito da solfato di calcio o gesso. Inoltre in molti casi il filo metallico, ossidando, ha macchiato la ceramica intorno ai piccoli fori. Per l'eliminazione di tale macchie si veda l'apposito ricettario al successivo cap 5.3.7. Una volta eliminate le rivette, lo stucco e le eventuali macchie si detergerà accuratamente il pezzo con acqua tiepida o con un batuffolo di ovatta imbevuto di Acetone puro.

5.2.2. Le vecchie colle.

Per togliere ogni vecchia colla (con l'aiuto del bisturi) è necessario bagnare o effettuare impacchi o spennellare ripetutamente con le seguenti sostanze:

Acetone puro per colle alla cellulosa e cianoacrilatiche (tipo Attak); Acqua calda (non bollente) per colle viniliche, di pesce e di origine animale (vecchia colla

Cervione);

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Alcool etilico a 94° (o, preferibilmente, con alcool da cucina a 95°) ed un po’ di ammoniaca per colle alla gomma lacca;

Tricloroetilene oppure il comune "sverniciatore" per resine epossidiche. 5.2.3. Scollare vecchie incollature.

Non di rado nel restauro della ceramica è necessario dover staccare parti incollate da precedenti restauratori. Queste magari sono ancora robuste, hanno resistito agli urti, ma presentano un allineamento non preciso, con denti e gradini. In questo caso bisogna procedere alla loro scollatura in quanto la presenza di una parte non perfettamente al suo posto nuoce senz'altro al nostro stesso intervento. Per la scollatura si possono utilizzare le stesse sostanze di cui al paragrafo precedente. Se queste resistono, allora è necessario adoperare la pistola termica (purchè la qualità della ceramica lo consenta). Il grande calore sviluppato sulle fratture da scollare nel 70% dei casi ammorbidisce il vecchio adesivo e consente la scollatura delle parti.

5.2.4. L'intervento successivo consiste nell'eliminazione di ogni traccia di vecchio adesivo. In

questo si potrà ricorrere anche all'ausilio meccanico, il bisturi, di cui al successivo paragrafo 5.4. Effettuata accuratamente la pulizia dei bordi è sempre opportuno risciacquare l'oggetto con acqua leggermente tiepida, oppure con Acetone puro, utilizzando spazzole di nylon più o meno dure e che non graffino.

5.3. La sporcizia e le macchie del tempo.

La sporcizia e le macchie possono avere diversissima natura e diversissimo grado di resistenza. Per questo è praticamente impossibile fornire una risposta generale al problema. In questa operazione moltissimo conterà l'esperienza. E' bene comunque dire che non è possibile rimuovere tutte le macchie e tutti i tipi di sporcizia, incrostazioni etc.: in molti casi, dopo l'intervento del restauratore, lo sporco e le macchie potranno risultare solo attenuate; in molti altri (soprattutto per le ceramiche molto porose) ci si dovrà rassegnare alla loro presenza, dato che sono pur sempre testimonianza del tempo trascorso e di autenticità del pezzo.

5.3.4. I detergenti principali.

I detergenti da preferirsi sono, nell'ordine: Acqua calda o tiepida (addizionata eventualmente con Sapone neutro (Marsiglia)), da

usarsi con un batuffolo di ovatta o di stoffa (di cotone) bianca; Acetone puro (da non confondersi con il diluente alla Nitro), da usarsi con un batuffolo di

ovatta o di stoffa bianca, oppure, nei casi più resistenti, lasciandoci il pezzo a bagno in immersione per qualche ora;

Alcool etilico denaturato a 94 gradi (ancora meglio l'alcool da cucina a 95 gradi), da usarsi con un batuffolo di ovatta, oppure, nei casi più resistenti, lasciandoci il pezzo a bagno per qualche ora.

5.3.5. Altri detergenti.

Qualora le macchie persistano e lo sporco resista, si può passare a detergenti più duri e specifici:

una parte di Candeggina e quattro parti di Acqua, fino ad arrivare ad una proporzione di 1 a 1 , da usarsi con un batuffolo di ovatta, oppure, nei casi più resistenti, lasciandoci il pezzo a bagno per qualche ora;

una parte di Soda e cinque di Acqua, da usarsi con un batuffolo di ovatta; Acqua Ossigenata a 130 volumi con qualche goccia di Ammoniaca, da usarsi con un

batuffolo di ovatta; un cucchiaio di Acido Ossalico in mezzo bicchiere d'acqua, da usarsi con un batuffolo di

ovatta.

5.3.6. Quando si adoperano tali sostanze è bene avere sempre a mente due avvertenze:

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è sempre necessario osservare e tenere sotto controllo il loro comportamento sulla ceramica da restaurare. Molto spesso infatti, in presenza di ceramiche molto rovinate, di smalti logori, di vernici e decorazioni "a freddo", di dorature, ecc., l'intervento chimico con i prodotti precedentemente descritti può produrre danni ulteriori;

dopo il loro uso è sempre bene lavare e tamponare (con Acqua tiepida o Acetone) la parte interessata per neutralizzare l'azione di dette sostanze.

5.3.7. Ricettario.

Qualora (ciò accade molto raramente) si conosca la natura delle macchie si tenga presente il seguente ricettario chimico:

Tipo di macchia o incrostazione Procedimento di pulizia

Acidi Ammoniaca o Bicarbonato di sodio quindi risciacquare a lungo

Caffè Soluzione concentrata di Sale da cucina quindi risciacquare a lungo

Catrame e derivati Ammorbidire con Olio caldo pulire con Benzolo, Xilolo quindi lavare con Acqua e Sapone

Depositi calcarei Ammorbidire con Acido Cloridrico,

finchè non cessa il bollimento quindi lavare con Acqua ed Ammoniaca (rapporto 20 a 1)

Erba Alcool intiepidito con fornellino elettrico

Quindi risciacquare

Fuliggine soluzione al 20% di Acido Tartarico

Impiastro adesivo Benzina rettificata,Benzolo, Sverniciatore

Inchiostro Glicerina, Acido Acetico o Citrico

Olii Benzina rettificata o Benzolo

Resine Alcool a 94 gradi

Ruggine soluzione di Cloruro di Zinco al 10% oppure Acido Citrico al 10% oppure Acido Cloridrico oppure soluzione al 5% di Acido Ossalico quindi sciacquare con Acqua

Sangue ammorbidire con Ammoniaca diluita poi trattare con soluz.di Ac.Ossalico 2% quindi sciacquare con Acqua.

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5.4. La pulizia meccanica. Per quanto riguarda la pulizia meccanica (quella che utilizza il bisturi) bisogna dire che in linea generale questa metodologia si integra con quella ad azione chimica. Molto spesso, è il caso di incrostazioni, vecchie stuccature, vecchie incollature, parti ricostruite malamente, queste dapprima vanno ammorbidite (per esempio con qualche goccia d'Olio Paglierino o di Vasellina nel caso di gesso) con le sostanze descritte precedentemente e poi si rimuovono con molta delicatezza e cautela con il bisturi.

5.4.1. Il bisturi da preferire è quello a lama intercambiabile, di cui esistono le più diverse forme in grado di rimuovere le incrostazioni, le precedenti stuccature e incollature, ecc, nel miglior modo possibile. Tale strumento va adoperato lentamente, con assoluta precisione (utilizzando se necessario la lente d'ingrandimento) e con cautela per non rovinare la superficie e le decorazioni dell'oggetto da restaurare. E' soprattutto l'esperienza a determinare l'ottimizzazione e la scioltezza nell'uso del bisturi.

5.4.2. Altri strumenti di pulizia.

Anche se non sono indispensabili, esistono altri strumenti utili per la pulizia. Essi sono: il trapanino con flessibile da orefice (utile anche per molte altre operazioni), microtrapani

Dremmler, Black & Deker ai quale si possono applicare vari accessori abrasivi; la microsabbiatrice adatta soprattutto per la pulizia della terracotta e delle componenti

architettoniche fittili (mattoni, "cotto", ecc). 5.5. La pulizia delle fratture

E’ la fase della pulizia che precede quella dell'incollaggio. Per questo, se una definitiva e dettagliata pulizia delle superfici esterne può essere rinviata alle successive fasi di lavorazione, non altrettanto si può dire per la pulizia delle fratture. Questa deve essere particolarmente accurata. Come ben presto ogni restauratore verificherà a sue spese, ogni anche piccolissimo frammento di materia, d'incrostazione, di vecchia colla, presente nei lati di frattura da incollare costituisce un grave impedimento alla buona riuscita del lavoro.

5.5.1. Tutto ciò che si è depositato impedisce infatti di ridurre la frattura "alla minima possibile". Per verificare la qualità di pulizia di una frattura si effettuano delle prove "a secco", di congiungimento dei due o più pezzi fratturati che bisogna assemblare. La linea di frattura deve essere la minima possibile e per far questo deve essere eliminato tutto ciò che si è depositato nelle fratture. Tale deposito può avere le cause più disparate. Dipende dall'epoca in cui si è verificata la frattura dell'oggetto. In generale si può dire che tanto più le rotture sono di vecchia data, tanto più tempo sarà necessario per rimuovere accuratamente le incrostazioni.

5.5.2. Altrettanto laborioso sarà ripulire completamente rotture malamente incollate da restauratori maldestri o improvvisati. Spesso sono le stesse persone colpevoli delle rotture che si cimentano da soli nell'incollaggio dei cocci. Costoro generalmente fanno uso di materiali non idonei che hanno acquistato dal ferramenta e solo dopo aver incollato qualche parte si rendono conto della necessità di rivolgersi a persone del mestiere.

5.5.3. Parecchie grane procurerà al restauratore e notevole perdita di tempo può essere necessaria per rimuovere i depositi di sudiciume e di sostanze grasse. Questo accade quando le fessurazioni o incrinature sono state progressive nel tempo ed hanno preceduto la rottura vera e propria della ceramica.

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5.6. Il materiale archeologico Per quanto riguarda le delicate ceramiche archeologiche, o per meglio dire quelle di scavo, c'è da dire che il trattamento di pulizia deve essere, valutando il grado di conservazione delle decorazioni, il più dolce possibile. In linea generale devono perciò essere utilizzate l'Acqua (preferibilmente Demineralizzata) o l'Acetone puro, unitamente all'uso del bisturi, attraverso il quale è possibile rimuovere buona parte delle incrostazioni di origine calcarea.

5.7.1 Per entrare più nello specifico la pulizia delle ceramiche archeologiche, che riguarda

soprattutto l'eliminazione delle incrostazioni, si presuppone la possibilità di distinguere tra carbonati, calcari, sali da solubilizzare. Per esempio una goccia di Acido Cloridrico divenendo effervescente rivela la presenza di carbonato di calcio. In conseguenza di questo semplice test è possibile sottoporre anche solo la zona interessata del reperto al trattamento più adatto. In generale risultati apprezzabili si ottengono attraverso l'immersione in Acqua Demineralizzata addizionata nella misura del 5% di Acido Acetico e del 10% di Acido Citrico. Si consiglia però sempre estrema cautela nell'uso di acidi, perché un trattamento forte con tale tipo di ingredienti può produrre danni anche gravi in reperti che non abbiano avuto un'elevata temperatura di cottura o in vasi, come ad esempio quelli figurati, in cui la trasformazione degli ossidi di ferro non è stata completata, oppure in quelli che hanno subito la verniciatura senza che la fase di essiccazione fosse compiuta del tutto.

5.7.2. Altro metodo per la rimozione delle incrostazioni tipiche della ceramica archeologica che ha dato ottimi risultati è quello dell'immersione del reperto in un bagno contenente il 10% di Esametafosfato di Sodio disciolto lentamente in Acqua Demineralizzata, oppure in una soluzione, a 30 gradi, di Acqua Demineralizzata addizionata di Acido Solforico in ragione del 10%.

5.7.3. E' opportuno ripetere ancora che tali metodologie vanno tenute sotto controllo, osservando

costantemente il comportamento della ceramica. Una volta ottenuto il risultato è obbligatorio sottoporre immediatamente il reperto ad abbondante lavaggio con Acqua o Acetone puro che tamponi e neutralizzi gli acidi.

5.8. Il consolidamento della ceramica archeologica.

A volte, quando il materiale archeologico ha stazionato per molti secoli sotto terra in particolari condizioni di umidità e acidità, può essere necessario, contestualmente ad una veloce pulizia meccanica, un consolidamento della intera ceramica perché molto fragile. Ciò deve avvenire solo quando la ceramica è perfettamente asciutta. A tal fine si deve usare il Paraloid, diluito con diluente alla Nitro dal 3 al 5%, che dovrà essere applicato una o più volte con un pennello piatto di ottima qualità.

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6. L'Assemblaggio e l'incollaggio 6.1. Sono assai rari i casi di oggetti di ceramica da restaurare che non si presentino fratturati in

due o più parti. La corretta incollatura dei "cocci" costituisce la fase centrale e più delicata dell'intero restauro. Dalla buona, mediocre o ottima qualità dell'assemblaggio dipende l'esito stesso del restauro che di conseguenza sarà buono, mediocre oppure ottimo.

6.2. Le rotture, per numero e qualità dei frammenti, derivano generalmente da un urto, da un

impatto violento, e sono in relazione: a) alla qualità dell'impasto ceramico. Nella scala di "resistenza in sé" e della durezza, le porcellane e il gres risultano notevolmente più resistenti delle terracotte e delle maioliche. Queste ultime, costituite da uno strato superficiale di smalto molto duro e, all'interno, da una ceramica più tenera, nel momento della fratturazione producono generalmente molte scheggiature in più; b) alla forma e allo spessore dell'oggetto. I piatti sono generalmente più resistenti dei vasi a forma sferica a collo stretto. Da questo punto di vista è naturale che a un maggiore spessore della ceramica corrisponde una maggiore resistenza; c) alla forza e alla violenza dell'impatto. Tanto è più violento un urto, tanto maggiori sono le fratture che si determinano. Si tenga presente inoltre che ogni oggetto ceramico ha punti particolarmente deboli e delicati (colli, manici, bordi).

6.2.1. Da tutto questo deriva che è impossibile fare una casistica generale o individuare leggi

generali in grado di standardizzare le tipologie delle rotture. Anzi, al contrario, si può dire che ogni ceramica fratturata costituisce storia a sé, con i propri problemi specifici da risolvere.

6.2.2. In ogni caso, la prima regola che il restauratore deve suggerire di praticare non appena si

sia verificata la rottura, è quella di raccogliere tutti i frammenti, anche quelli più piccoli o apparentemente insignificanti. In proposito è importante osservare una regola per la buona conservazione dei frammenti: tutti i "cocci", non appena raccolti, devono essere avvolti separatamente in pezzi di stoffa (va bene anche la carta di giornale), per evitare che, sfregando gli uni con gli altri, abbiano a produrre ulteriori schegge e fratture che peggiorano la situazione.

6.2.3. Nel caso di ceramiche di scavo è assai frequente che queste si presentino frammentate,

scheggiate, usurate non in conseguenza ad urti traumatici, ma a seguito dell'azione dell'acqua, dell'acidità e corrosività del terreno, delle radici degli alberi, del lavoro in profondità di ruspe e trattori. Tali fattori e più in generale le rotture "vecchie" e usurate costituiscono una complicazione per la ricostruzione. La conservazione ottimale di questo tipo di frammenti deve seguire un'accurata pulizia (vedi capitolo precedente) ed un eventuale consolidamento.

6.3. Le fasi precedenti all'incollaggio.

Quando si decide di procedere al restauro di una ceramica fratturata, per prima cosa è opportuno stendere sul banco di lavoro tutti i frammenti ben puliti per osservare attentamente la situazione. Se il numero dei pezzi da incollare è limitato (da 2 a 10) non è difficile individuare subito la loro collocazione.

6.3.1. Diverso è il discorso quando l'oggetto è interamente ridotto in frantumi.

In tal caso (anche se è ancora opportuno ricordare che si possono presentare i casi più disparati), ci si trova di fronte a veri e propri puzzle e trovare la giusta collocazione può costituire un autentico rompicapo che porta via parecchio tempo. Ci si potrà però aiutare con una serie di informazioni inerenti:

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la decorazione, quando esista, che costituisce senz'altro la guida migliore per accoppiare i pezzi;

le bordature, i margini, le basi, i colli; le eventuali diversità di tono di colore della ceramica e dello smalto; la direzione, quando esiste, delle tracce e delle ditate di tornitura dell'oggetto; lo spessore, non sempre omogeneo, dei cocci (alla base sono più pesanti, al collo

meno); A questo punto si ottiene una classificazione ed una prima collocazione "di massima" dei vari frammenti.

6.3.2. Successivamente si ragiona in base alla forma e alle dimensioni dei frammenti e, partendo

dal centro dell'oggetto da restaurare (piede di un vaso, base di una statua, centro di un piatto) o dal frammento più grande, si individua quale debba essere la cronologia nell'assemblaggio. In questa operazione fondamentale bisogna fare molta attenzione a che l'eventuale attaccatura di due o più pezzi non lasci sottosquadri che siano di ostacolo ed impediscano l'inserimento successivo degli altri pezzi. Per semplificare si può dire che in linea generale ogni incollatura non dovrebbe lasciare “aperti” angoli inferiori ai 90°.

6.3.3. Effettuate queste prove preliminari e verificato che non sussistano nei lati di frattura

impedimenti dovuti a vecchie colle, sporcizia, polvere, granelli di ceramica (vedi capitolo precedente), si deve procedere alla numerazione dei frammenti. A tal fine si possono numerare piccole strisce di carta adesiva con i numeri progressivi della sequenza di incollaggio. A volte si può verificare il caso di dover incollare simultaneamente 3 o più pezzi. In tal caso la numerazione sarà per esempio 1, 2, 2, 2, 2, 2, 3, 4, ecc.

6.4. Le caratteristiche delle colle.

La colla da utilizzare dipende dal tipo di impasto ceramico da restaurare e deve rispondere ad alcune esigenze:

deve avere un ottimo rapporto adesivo; deve resistere nel tempo agli effetti dinamici derivanti dagli sbalzi di temperatura,

dall'assorbimento di umidità, dalla luce; deve creare il minore spessore possibile; particolarmente nel caso di oggetti di scavo o di un certo pregio, deve poter essere

facilmente reversibile; deve essere incolore e non deve macchiare.

6.4.1. La prima "rivoluzione" in questo senso, che consentì l'eliminazione delle orribili grappe metalliche, fu l'utilizzo di colle animali (di coniglio, di tendini e soprattutto di vesciche natatorie di storione) che però difettavano per via della solubilità in acqua, nell'assorbimento di umidità, nell'ingiallimento e nello spessore notevole che inevitabilmente creavano. La continua ricerca scientifica, da 20 anni a questa parte (ed ancora in corso), ha consentito di realizzare collanti sempre più rispondenti a tali caratteristiche.

6.5. In commercio si trova una grandissima gamma di adesivi.

Di ciascuna “famiglia” o genere di adesivi, la presente dispensa ne consiglierà uno soltanto di cui è ampiamente e direttamente verificata l’efficacia, la funzionalità e la reperibilità. Le colle utilizzate sono sostanzialmente 5:

6.5.1. k60 (oppure k50 o k70)

Si tratta di un acetato di polivinile che la sperimentazione in campo archeologico (Gabinetto di restauro del Museo Naz Archeologico di Firenze) ha dimostrato essere in linea con le caratteristiche precedentemente descritte.

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In commercio si trova sotto forma di polvere bianca da sciogliersi preferibilmente a caldo (utilizzando nel caso solo il fornellino elettrico) in Alcool etilico denaturato a 94 gradi fino ad ottenere una fluidità tipo-miele. Per l'incollatura di ceramiche porose di colore bianco (le terraglie), si consiglia di sciogliere la colla in Alcool etilico bianco da Cucina a 95 gradi. Ciò è necessario perché il normale alcool etilico denaturato in commercio è colorato di rosa (per via del denaturante di Stato imposto dalla legge) e può macchiare l'impasto ceramico. K60 è una colla facilmente reversibile da utilizzarsi "a caldo". Con un pennellino piatto che non perda setole si spalma la colla su entrambi i lati di frattura da incollare non oltre i 4-5 mm dalle due estremità di ciascun bordo e si brucia la stessa utilizzando un fornellino a spirito. Quando la colla ha finito di friggere (circa 5/10 secondi) si avvicinano i pezzi e, solo quando sono ben allineati, si premono tra loro per consentire all'eccesso eventuale di colla di fuoriuscire. L’eccesso va subito rimosso con un batuffolo di cotone imbevuto e strizzato di acetone o alcool. L'operazione di assemblaggio va svolta molto velocemente, quando la colla è ancora ben calda. Il suo raffreddamento ne pregiudica infatti la tenuta. Si mantiene la medesima pressione per circa 20 secondi. Da questo punto di vista, l’esperienza ha dimostrato l’utilità di riscaldare i frammenti prima della loro adesione, per esempio ponendoli per un po’ di tempo su un termosifone. Contemporaneamente si stendono in tensione perpendicolarmente alle fratture le strisce più o meno lunghe di carta adesiva, precedentemente predisposte. Si sistemano con delicatezza i pezzi incollati nella cassetta di sabbia di fiume ben asciutta e si lasciano riposare per qualche tempo. Se, dopo aver effettuato l'incollatura, ci si accorge che la stessa non è soddisfacente, si può cercare di sistemare meglio l'incollatura dopo averla riscaldata con una pistola termica o un comune asciugacapelli. Nel caso invece di incollature non soddisfacenti che obblighino allo smontaggio delle parti, prima si ammorbidisce l'incollatura con l'Alcool, poi si riscalda con aria calda. Quindi, molto delicatamente, si opera una moderata pressione e si distaccano i pezzi che dovranno essere ripuliti dalle tracce di colla.

6.5.2. Resina Epossidica (Uhu Plus) Uhu Plus è una resina particolarmente indicata per l'incollaggio di ceramica non porosa (porcellana e gres) e può essere utilizzata anche per tutte le ceramiche porose che necessitano di un incollaggio molto forte. La casa produttrice indica in alcune centinaia di chili per Cm2 il suo grado di resistenza. Uhu Plus deve essere mescolata con l'apposito catalizzatore nella proporzione del 50%. Per evitare l'ingiallimento inevitabile di tutte le resine epossidiche (tra cui le famose Aralditi della Ciba), si aggiunge una piccola quantità di Biossido di Titanio o di bianco di Zinco. Dopo aver ben mescolato il composto lo si lascia riposare per un minuto. Quindi con l'aiuto di una spatolina si applica un sottilissimo strato dello stesso lungo un solo bordo della rottura fino a 4-5 mm dalle due estremità. A questo punto si allineano le due parti da attaccare in modo che queste si incontrino orizzontalmente. Non premere i pezzi insieme con forza fino a che non siano perfettamente allineati. Un modo per accertarsi della accuratezza della unione consiste nel far scorrere un'unghia su e giù attraverso l'unione. Se l'unghia incontra contemporaneamente tutte e due gli orli, l'unione è da ritenersi accurata; se incontra solo la superficie di un bordo si deve premere leggermente indietro quest'ultima. Dopo aver eseguito questa verifica, e solamente dopo, si devono premere con decisione i due pezzi in modo che l'eccesso di adesivo fuoriesca. L'eccesso di adesivo fuoriuscito dalle fratture ricomposte va tolto con un batuffolo di ovatta (meglio uno straccetto di cotone) imbevuto e ben strizzato di alcool. L'operazione di pulizia dell'eccesso è importante anche per consentire la "presa" sulla ceramica delle strisce di carta adesiva che altrimenti, se imbrattata di resina, non potrebbe avvenire.

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Infatti, dato che la colla è semifluida e tende a fare slittare i pezzi, è indispensabile l’ottima fissazione, internamente ed esternamente, della la carta adesiva che è posta ben in tiro trasversalmente alla frattura. A questo punto riporre le parti incollate nella solita cassetta di sabbia di fiume asciutta o comunque in qualsiasi posizione di equilibrio stabile per 24 ore. Per velocizzare il lavoro (e se l'oggetto da restaurare lo permette), si può ridurre a pochi minuti (ciascuno deve sperimentare precisamente il tempo occorrente e la distanza) l’essiccazione della resina, ponendo ad una certa distanza una lampada a 1000 Watt, che sviluppi un grande calore. In questo modo si raddoppia anche la tenuta di Uhu Plus. Successivamente si puliscono accuratamente spatoline e dita con alcool. Un metodo che si è dimostrato efficace per sopperire al problema dell'immobilizzazione dei pezzi quando si usano le resine epossidiche è quello di utilizzare dei cianoacrilati (vedi successivo 5.3.5.) che consentono una immobilizzazione istantanea. Nei lati di frattura da incollare con l'epossidico, si lasciano piccoli spazi privi di colla (in genere 2 o 3) dove si applica una puntina di cianoacrilato. Quando le parti sono bene allineate; si esercita pressione. In tal modo l'adesione ottenuta istantaneamente dal cianoacrilato garantisce l'immobilizzazione dell'incollaggio alla resina epossidica che avverrà nel giro delle 24 ore.

6.5.3. Resina Epossidica Rapida (Uhu Plus rapido)

Si tratta di una resina epossidica bicomponente dall'uso del tutto simile all'Uhu Plus (meno che il prezzo) anche se meno potente di quest’ultima e quindi particolarmente adatta per ceramiche non porose e per tutte le porcellane. Tale resina tira in 1/4 d'ora.

6.5.4. Vinavil

Si tratta di una colla molto nota, da non disdegnare nell'assemblaggio delle ceramiche porose. Stendere un leggero velo di colla in entrambi i lati da incollare, attendere un paio di minuti, quindi allineare e avvicinare le parti. Togliere subito con una garza di cotone imbevuta di acqua tiepida e strizzata l'eccesso di colla, quindi applicare le solite strisce di carta adesiva ben in tiro.

6.5.5. I Cianoacrilati (Attak)

Tali prodotti chimici, di ritenuta alta tossicità, oggi di diffusissimo uso anche in versione Gel (che ha la qualità di non colorare, ma che si conserva peggio), in generale non sono adatti per il restauro conservativo delle ceramiche. Tuttavia il crescente uso "di fatto" consiglia un qualche utilizzo come nel caso precedente. Nel caso di utilizzo dei cianoacrilati, va detto che i margini da saldare devono essere perfettamente puliti, spazzolettati e preferibilmente non essere mai stati attaccati in precedenza. Questa colla aderisce istantaneamente per cui l'attaccatura deve essere eseguita con assoluta precisione e molto velocemente. Ciò implica una abilità e sicurezza che solo con l'esperienza e la pratica si possono acquisire. Tenere in ogni caso a portata di mano dell'Acetone puro, che è in grado di sciogliere i cianoacrilati. Tale tipo di adesivi però, al di là dell'apparenza miracolosa, ha il grave inconveniente di irrigidirsi e cristallizzarsi con il tempo in conseguenza dei mutamenti di temperatura e di umidità. Ha pertanto una tenuta "provvisoria", elemento questo in contraddizione alla concezione del restauro non solo estetico, ma conservativo e duraturo. Il suo uso più frequente è dunque legato alla necessità "di appuntare", fermare e immobilizzare i pezzi (vedi 6.5.2.) in modo da consentire l'attaccatura forte della resina epossidica. Un ottimo sistema di utilizzo dei cianoacrilati, dato dalla altissima capacità di penetrazione, consiste nel dosare piccole gocce di adesivo dopo aver assemblato a secco le rotture.

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7. La stuccatura e la ricostruzione

7.1. La stuccatura semplice delle fratture o fessure. In pratica la quasi totalità delle ceramiche sottoposte a incollaggio necessitano di successivi interventi di stuccatura. Ciò in relazione al fatto che per la maggior parte delle ceramiche l'urto accidentale produce fratture o rotture (in due o più pezzi) che presentano inevitabili scalfitture o microscalfitture ai bordi, soprattutto in prossimità del punto di urto. In ultima analisi i casi di ricostruzione perfetta delle fratture che non necessiti di alcuna stuccatura sono rari e riguardano sopratutto porcellane di ottima qualità. In conseguenza di queste - sia pure minime - mancanze di materia si presenta la necessità di dovere "riempire" o chiudere le lacune, per procedere, successivamente, alla ripresa pittorica dei colori e delle decorazioni.

7.1.1. In linea generale si può dire che ogni stucco è composto da un legante (colle o

semplicemente acqua), da polveri riempitive (Gesso, Talco, Polvere di porcellana, ecc), da eventuali pigmenti coloranti (Terre o Ossidi) e da eventuali pigmenti anti-ingiallenti (bianco di Titanio, di Zinco, ecc.). Moltissimi sono gli stucchi, i riempitivi e le sostanze che si possono utilizzare, ma per esem-plificare ne indicheremo sostanzialmente due:

7.2. Lo stucco più semplice e diffuso per le ceramiche porose è costituito dal gesso alabastrino,

dal gesso scagliola fine o, meglio ancora, dal gesso bianco del dentista. Si tratta di un riempitivo a scarso ritiro e costo, di facile uso e reperibilità.

7.2.1. L'utilizzo elementare della scagliola.

In un bicchierino di plastica contenente acqua in quantità proporzionale alla lacuna da stuccare, si "affoga" il gesso aggiungendolo in piccole quantità alla volta, in modo da evitare grumi, fino a che il gesso abbia assorbito completamente l'acqua. A questo punto mescolare la mistura con un bastoncino, in modo che la mistura stessa abbia grosso modo la consistenza della panna. Lasciare riposare per qualche attimo ed il gesso è pronto all'uso. In proposito si rammenta che il suo utilizzo deve essere veloce (entro i 5/7 minuti) in quanto il gesso stesso si indurisce rapidamente e a quel punto non può più essere usato. Per questo motivo si consiglia di preparare piccole quantità di gesso per volta. Attenzione: i tempi di indurimento del gesso non devono essere confusi con quelli della sua completa essiccazione che avviene in ambiente non umido nel giro di 24 ore e dipende dalla stagione, dal grado di umidità dell’ambiente, dalla dimensione delle stuccature, ecc.

7.2.2. Quando è necessario (molto spesso si presenta questa necessità) che la stuccatura a

gesso, di colore bianco (esclusi ovviamente i casi di terraglia dura o tenera che sono anch'essi di colore bianco), sia conforme al colore dell'impasto della terracotta, della maioli-ca, (anche nel caso si preveda una successiva fase di colorazione o decorazione superficiale), è necessario preparare uno stucco di colore in tono, del tutto o in parte, in sintonia al colore dell'originale. La colorazione del gesso si ottiene con l'utilizzo di pigmenti. Si tratta delle terre o argille polverizzate: terra ocra, chiara e scura, della terra di Siena bruciata o naturale, della terra ombra di Cipro bruciata, del cocciopesto più o meno rosso, della terra nera (da utilizzare nel caso di ceramiche di impasto o di bucchero etrusco), della terra bruna, ecc. La coloritura del gesso non può essere improvvisata, non può essere effettuata "a gesso sciolto" (perchè le terre coloranti bagnate scuriscono il colore), bensì deve avvenire a secco, precedentemente all'affogatura del gesso nell'acqua. In un sacchettino di cellophane trasparente o in un vaso di vetro si versa con un cucchiaio la quantità che ad occhio e croce occorre di polvere di gesso e a questa si aggiungono piccole quantità di pigmenti colorati cercando di trovare il tono giusto di colore. E' bene in proposito effettuare preliminarmente delle prove di colore, dapprima bagnando un pizzico

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del gesso colorato (che diventerà molto più scuro) su un foglio di carta, poi favorendo con una fonte di calore, l'immediata asciugatura, che lo schiarirà. Le terre (da preferirsi per la facilità di ottenimento dei colori giusti) possono essere sostutuite dagli ossidi metallici che, a differenza delle terre, assorbono molta meno acqua e quindi non indeboliscono la consistenza del gesso, ma che sfavoriscono il controllo dei colori. Chiudere quindi ermeticamente il sacchetto, agitarlo bene finchè il colore non si sia omogeneizzato, e metterlo a confronto avvicinando il sacchetto all'oggetto da restaurare. Per sopperire al problema dell'indebolimento del gesso addizionato delle terre colorate, è buona norma aggiungere (a secco) una quantità di gesso odontoiatrico (molto duro e resistente) pari alla quantità delle terre colorate utilizzate.

7.2.3. Nel caso si desideri dare al gesso una maggiore consistenza si può sciogliere molto bene

nell'acqua una piccola quantità di Vinavil, prima di aggiungere il gesso. In questo caso si tenga presente però che la presenza di Vinavil avrà l'effetto di scurire la miscela ed è quindi quantomai opportuno effettuare preliminarmente le prove di colore.

7.2.4. Per favorire una maggiore aderenza del gesso alle pareti delle fessure da riempire, si

consiglia di inumidirle con un pennello imbevuto di acqua qualche minuto prima dell'applicazione del gesso.

7.2.5. La stuccatura (di piccole o grandi dimensioni) a gesso deve essere profonda e deve

impedire la formazione di bolle d'aria la cui presenza potrebbe minare la tenuta stessa della stuccatura. Per evitare ciò è necessario premere a fondo il gesso nelle fratture utilizzando spatole e spatoline delle giuste misure affinchè il gesso stesso si espanda nella frattura.

7.2.6. Badare che la stuccatura sia abbondante (ma senza esagerare), nel senso che è da

preferirsi togliere un eventuale eccesso di gesso che doverne aggiungere successivamente.

7.3. Lo stucco da preferirsi per la porcellana o le ceramiche non porose in genere è quello che

si ottiene utilizzando come legante la resina epossidica (Uhu Plus). Questa, come si è detto nel precedente capitolo, è un prodotto semifluido e vischioso soggetto a scivolare per la forza di gravità. Per addensare il composto è pertanto necessario aggiungere (oltre al biossido di titanio che ne impedisca l'ingiallimento) la polvere di talco o altri pigmenti bianchi come la polvere di porcellana, di caolino, il bianco argento, il bianco di zinco, la polvere finissima di marmo, ecc. E' ovvio che più si aggiungono polveri, più la consistenza dell'impasto a base di resina epossidica aumenta. La consistenza giusta dello stucco così ottenuto è quello della mollica di pane. La stuccatura va eseguita utilizzando spatole o stecche di legno da modellismo. Per impedire l'attaccatura di questo stucco alle spatole è necessario inumidirle continuamente con alcool alcool etilico a 94 gradi, che serve da antiadesivo (va bene anche l'acqua o qualsiasi altro liquido). I tempi di essiccazione dello stucco epossidico sono leggermente inferiori a quelli della colla epossidica.

7.3.1. Attendere l'essiccatura parziale della superficie stuccata che avviene nel giro di due/quattro

ore e, quando lo stesso è a "durezza cuoio", rasarne l’eccesso utilizzando bisturi o lame affilate.

7.3.2. Successivamente attendere la sua essiccatura totale (circa 12/16 ore) e carteggiare

accuratamente, utilizzando carte abrasive sempre più fini. Tra le tante carte vetrate, smeriglio e abrasive, quest’ultime sono da preferirsi, soprattutto quelle “water resistant” che usano i carrozzieri, di colore generalmente nero. In commercio esistono di varie misure. Per il restauro della ceramica si utilizzano per la sgrossatura quelle n° 120, 180, 220, 240

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per procedere con la rifinitura delle stuccature a quelle più fini n° 400, 600, 800, 1000 e 1200, finchè le superfici stuccate siano ben livellate alle originali. Le carte abrasive, che è opportuno tagliare con le forbici in tanti piccoli pezzetti (per es. 3 x 5 cm), vanno usate delicatamente con movimento circolare e talvolta con l’utilizzo di supporti che ne guidino e determinino la levigatura. Per una superficie piana si può utilizzare una tavoletta di legno. E' chiaro che il rischio da evitare con molta attenzione è quello di intaccare con la carta abrasiva le superfici originali e i decori della ceramica. La carteggiatura è ben effettuata quando con il tatto del polpastrello della mano non si sentono i minimi gradini, dislivelli e tutta la superficie interessata risulta ben levigata ed omogenea. L’osservazione con una lampada “a luce radente”, che è una prova da eseguire sempre, è in grado di evidenziare la sussistenza di eventuali piccole imperfezioni rimaste che necessitano di ulteriori piccole stuccature. Va infine detto che qualsiasi tipo di stucco si sia utilizzato, le eventuali ma frequenti seconde o terze stuccature vanno applicate con lo stesso tipo di stucco. Nel caso del gesso bisogna bagnare in precedenza con acqua la parte precedentemente già stuccata, prima di applicare il nuovo gesso.

7.4. Altro stucco, utilizzabile sia per le ceramiche porose che per le porcellane è quello a base di Colla animale e Gesso di Bologna, il tradizionale stucco utilizzato nel restauro ligneo.

Si tratta di uno stucco dall’ottima tenuta, molto adatto alla chiusura di fessure, scalfitture e piccole lacune, ed è facilmente carteggiabile. Non risulta utile in caso di riempitura di parti grandi. Lo stucco base è ottenuto dalla miscela del Gesso di Bologna, acqua tiepida e Colla animale calda. Quest’ultima (in commercio sotto forma di perline o tavolette) va sciolta in acqua ponendo un recipiente (preferibilmente metallico) a cuocere a bagnomaria almeno per un’ora.

7.4.1. Dalla quantità di Colla animale dipende la durezza dello stucco che si vuole ottenere. A

maggiore quantità di colla corrisponde maggiore durezza e resistenza dello stucco. Elemento negativo di questo stucco è il notevole suo ritiro in essiccazione che determina la necessità di procedere a nuove stuccature.

7.4.2. Se è necessario dare una colorazione allo stucco per ottenere le tonalità della terracotta, è necessario aggiungere i pigmenti, terre o ossidi, all’impasto. 7.5. Altri succhi utilizzabili nel restauro della ceramica sono:

la Polifilla, di non facile reperibilità il cui uso è molto diffuso in Inghilterra. Polvere bianca che va sciolta in acqua;

il Vic (tipo fine). Riempitivo normalmente utilizzato come riempitivo e per la rasatura delle pareti;

lo Stucco Odontoiatrico (Zinco-cemento). Riempitivo provvisorio per carie dentali; il DAS (bianco o color terracotta). Materiale adatto per ricostruzioni plastiche, ma dotato

di scarsa aderenza e compattezza.

7.6. La stuccatura con supporti. Molto spesso la stuccatura riguarda non solo le piccole fessure precedentemente incollate, ma superfici più ampie. E' il caso che si verifica quando vengono smarrite parti più o meno grandi di ceramica o quando la frantumazione conseguente ad urti produce una polverizzazione di piccolissimi frammenti impossibili da ricostruire. In questo caso è necessaria una vera e propria ricostruzione semplice della parte mancante, sia essa del bordo, del collo, della pancia o della base della ceramica. La ricostruzione semplice consiste nella creazione di un supporto in grado di allineare a livello delle parti originali per accogliere lo stucco (preferibilmente a base di gesso alabastrino oppure odontoiatrico).

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Come supporto ci si può industriare con diverse soluzioni, utilizzando la carta adesiva “da carrozziere” più o meno larga, la plastilina, le tavolette di cera per odontotecnici, ecc. Da questo punto di vista il fine giustifica l’uso di ogni mezzo, purchè quest’ultimo sia facilmente rimuovibile una volta che l’intervento di ricostruzione sia stata effettuato.

7.6.1. Stesso discorso quando c’è la necessità di ricostruire parti attraverso la realizzazione di “impronte”. E’ il caso derivante dalla presenza di parti lacunose, che bisogna ricostruire ex novo, del tutto identiche a parti esistenti.. L'impronta deve essere ottenuta dalla parte corrispondente ed integra della ceramica adattando (copiando) con molta attenzione le tavolette di cera da odontotecnico oppure di plastilina, oppure di argilla alle superfici integre. Dopo aver scaldato la lastra di cera con il calore delle mani, ed aver spolverato una piccola quantità di talco sulla superficie, che ha funzione anti-adesiva, si prende l'impronta della parte "sana" corrispondente a quella da ricostruire. Una volta raffreddata la cera si tra-sferisce l’impronta realizzata nel punto da stuccare. Si utilizza la carta adesiva per fissare bene questo stampo al posto preciso, quindi si procede alla stuccatura con gesso seguendo le istruzioni di cui ai precedenti punti 7.2. o 7.3.

7.7. Quando si devono ricostruire parti di cui non è possibile avere l'impronta, la ricostruzione si

dice complessa: al lavoro tipicamente tecnico si aggiunge una parte creativa, la necessità di "inventarlo" ex novo, di immaginarlo e studiarlo. In questo caso può essere utile sfogliare libri, pubblicazioni, enciclopedie. Si potranno presentare i casi più disparati, i più difficili o fuori dalla norma, che in questa sede è impossibile prendere in esame, considerando le infinite situazioni diverse possibili. L'importante è prendere dimestichezza con i diversi materiali, e dare spazio alla propria inventiva e creatività. Bisogna ricordare infine che ogni errore di ricostruzione compiuto è una lezione acquisita...

7.8. Necessità particolari.

Nei casi in cui le parti da ricostruire completamente dovranno essere sottoposte a diverse e forti sollecitazioni, ad esempio il manico di una pesante brocca, è opportuno e doveroso rafforzare le incollature, le stuccature e le ricostruzioni con supporti metallici e perni, preferibilmente di acciaio o ottone (perché non arrugginiscono) che dovranno risultare invisibili una volta ultimato il lavoro. Per far questo si deve utilizzare il trapano elettrico con punte diamantate da 1, 2, 3 mm. Si devono praticare dei piccoli fori perfettamente simmetrici di profondità 5 – 7 mm. E’ questo un intervento di assoluta precisione. Una tecnica per individuare il punto preciso dove fare i fori consiste nell’applicare su un lato della rottura da assemblare una piccolissima quantità di rossetto per labbra che, una volta unite a secco le due parti, lascia l’impronta di colore anche nell’altra parte. I due punti così realizzati indicano dove operare i fori. A questo punto si incastrano nei fori le barrette, i rinforzi metallici con un adesivo a forte presa (si consiglia l’Uhu Plus) e si immobilizza l’oggetto che successivamente andrà stuccato.

7.9. Ancora sul gesso e gli altri stucchi

A differenza delle resine epossidiche, il gesso e gli altri tipi di stucco indicati, è fortemente poroso. Di conseguenza dopo aver applicato la stuccatura o eseguita la ricostruzione ed averla ben levigata, in previsione della successiva fase di ritocco pittorico o decorazione, è necessario procedere ad un suo consolidamento ed impermeabilizzazione che consenta l’adesività ottimale a vernici e smalti. A tale scopo le parti in gesso dovranno essere impregnate a pennello con diverse e successive mani di una soluzione al 20/25% di colla K60 e 75/80% di alcool etilico a 94 gradi (o alcool da cucina a 95°). Si tratta di un buon consolidante che al contempo impermeabilizza il gesso e consente l’aggrappaggio di colori e vernici alla superficie stuccata.

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L’eccesso di K60 diluito deve essere successivamente tolto strofinando uno straccetto di cotone imbevuto di alcool e strizzato.

7.10. Ricostruzioni particolari

E' sempre più diffuso, nel restauro delle ceramiche archeologiche o delle maioliche medievali o rinascimentali, l'uso di effettuare ricostruzioni e stuccature "sottolivello", cioè di 0,5/1 mm più basse del livello originale della superficie della ceramica. Si tratta dei casi in cui, al contrario del restauro effettuato "per mimetizzare" o nascondere completamente le rotture, è importante valorizzarne la storia, il "vissuto" dell’oggetto, ricostruendone però l'insieme. Inoltre la stuccatura o ricostruzione "sottolivello" con tonalità di colore in sintonia all’originale consente una indubbia valorizzazione estetica.

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8. La decorazione 8.1. La "ripresa" pittorica dei colori superficiali della ceramica è l'ultima fase del restauro e,

come si è detto, dalla mediocre, buona o ottima qualità del lavoro svolto in precedenza dipende la qualità mediocre, buona o ottima delle decorazioni. Se le incollature e le stuccature non sono state eseguite perfettamente, la decorazione pittorica porterà inevitabilmente ad evidenziare ed amplificare quelle stesse imperfezioni. Viceversa, se l'incollaggio e le successive stuccature e ricostruzioni sono state ben eseguite, ci sono tutte le premesse per un'applicazione pittorica che restituisca la ceramica alla sua originale integrità estetica.

8.2. Già in precedenza, nel capitolo riguardante il concetto e la pratica di restauro, si faceva

notare come le rotture, le fratture, le lacune facciano parte della stessa storia dell'oggetto e di conseguenza il problema principale - da un punto di vista del cosiddetto restauro conservativo - consiste nel ritorno alla forma originale, all'unità, all'armonia. Si tratta del restauro del pezzo archeologico e medievale, del pezzo di alto antiquariato e di elevato valore storico artistico. Non è infatti pensabile - per esempio in un vaso greco del V sec. A.C. - una ricostruzione delle decorazioni mancanti che non si diversifichi dalle parti originali. Le lacune ci sono e devono poter essere subito individuate. Le parti originali vanno ben separate da quelle ricostruite. Contrariamente, la linea di demarcazione tra ciò che è autentico e ciò che non lo è, produce arbitrio, inganno, falsità. E' bene comunque ricordare che le nuove integrazioni siano in armonia con il contesto originale.

8.3. Questo elemento storico-culturale, da tenere sempre ben presente per le ceramiche

antiche e di valore, va però in urto con l'esigenza - ovviamente molto più diffusa - di dover procedere ad un restauro che mimetizzi o nasconda le rotture consentendo il ritorno in tutto e per tutto all’estetica originale. In altre parole, la committenza dei restauratori di ceramiche si rivolge a costoro per "riparare" l'oggetto rotto o logoro in modo "che non si veda nulla". Nel 90% dei casi, se non si lavora per musei o collezionisti, il privato "pretende" dal restauratore di ceramiche che il suo oggetto torni perfettamente integro per poter essere di nuovo esposto nella vetrina di casa come se nessun danno fosse accaduto. In questo capitolo è preso in considerazione quest'ultimo caso.

8.4. Il restauro della ceramica è concluso con la ripresa pittorica della decorazione e la smaltatura. Infinite sono le qualità di vernici in commercio che si possono utilizzare (dopo l'impermeabilizzazione delle stuccature) e le tonalità di colore che si possono realizzare. Ciascun restauratore deve dedicare parecchio tempo nello studio e sperimentazione di colori, smalti, vernici, nella loro miscelazione, fino a che non si ottengono gli obiettivi voluti. In generale bisogna dire che nel campo dell’utilizzo delle vernici non si finisce mai di imparare, perché le esigenze sono le più diversificate. La ripresa pittorica delle decorazioni, dal piccolo ritocco all’intervento su superfici più ampie, implica un’analisi preliminare del colore da realizzare, il suo tono, l’intensità, la sua corposità, la sua trasparenza, la sua brillantezza o opacità. Ad ogni genere di esigenza bisogna essere in grado di rispondere in modo adeguato e diversificato. E’ necessario inoltre tenere presente che ogni smalto, lacca, vernice tende ad ingiallire, scurire già dal momento dell’asciugatura e quindi bisogna prevedere ogni piccola modificazione di colore per determinare le soluzioni idonee. C’è infine da tenere sempre presente il problema della compatibilità reciproca dei solventi utilizzati, nitro, acqua ragia, acqua, ecc. E’ il caso in cui la ripresa pittorica avviene per velature, sovrapposizioni di colore a partire da quello di fondo.

8.5. Un capitolo a sé riguarda l'individuazione dei colori e la capacità di ciascuno di pervenire più o meno velocemente a riprodurre i colori esatti. Bisogna da questo punto di vista dire

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(non essendo questa la sede appropriata per approfondire il vastissimo argomento della teoria del colore) che:

al colore originale ci si può avvicinare fortemente; i colori più difficili da ottenere sono senz'altro la gamma infinita dei bianchi, i neri e gli ori

per il loro effetto lucido. Nel caso del colore bianco è necessario abituare l'occhio ad individuare quali siano le piccole percentuali di altri colori o di pigmenti bianchi (bianco di titanio, di zinco, argento, talco, caolino, ecc.) che consentono il raggiungimento della tonalità desiderata. Analogo discorso per il colore nero che può essere perfezionato con pigmenti di ossido nero, nero fumo, terra nera e per il color oro con pigmenti (porporina);

le parti già predisposte per essere verniciate vanno preventivamente ben pulite e sgrassate;

l'osservazione dei colori va fatta in condizioni di illuminazione ottimali (luce del sole o lampade "solari");

l'ambiente dove si usano smalti deve essere il più possibile pulito e senza polvere che si attacca facilmente sulla vernice fresca; inoltre gli oggetti appena verniciati andrebbero riposti in armadi chiusi;

sono da evitare operazioni tendenti a velocizzare artificialmente (con lampade, fonti di calore, ecc) la naturale essiccazione delle vernici che avviene a temperatura ambiente.

8.6. L'uso del pennello. 8.7. La scelta del pennello da utilizzare è di grande importanza. E’ impossibile - data la casistica

infinita - indicare consigli universali o generalizzabili.

8.8. Forma, larghezza, misura (a volte ne occorrono di finissimi) e durezza sono in relazione al lavoro che si deve eseguire e alla superficie da coprire.

8.8.1. Per il restauro delle ceramiche è da preferire l’utilizzo di pennelli di ottima qualità. La qualità

dei pennelli è in relazione alle diverse morbidezze, ma soprattutto alla capacità di contenere e rilasciare progressivamente le vernici. Si consigliano pertanto, anche se costosi, i pennelli di martora (Kolinski, ecc), di diverse misure, piatti o tondi.

8.8.2. Particolare cura deve essere prestata alla perfetta pulizia e manutenzione dei pennelli.

Questi al termine di ciascun lavoro devono essere perfettamente puliti (utilizzando lo stesso solvente con cui si è diluita la vernice), asciugati e insaponati con del sapone di Marsiglia.

8.8.3. La difficoltà nell'uso del pennello consiste nella capacità di ciascuno di impedire o ridurre

alla minima visibilità delle pennellate (soprattutto degli attacchi e stacchi di colore del pennello).

8.9. L'uso dell'aerografo.

Nel restauro della ceramica, soprattutto in quello professionale, è utile se non indispensabile l’utilizzo di un apparecchio in grado di nebulizzare le vernici: l’aerografo completo di compressore. L'utilizzo di questo strumento consente senz'altro risultati migliori rispetto al pennello per quando riguarda la verniciatura degli sfondi e delle grandi superfici.

8.9.1. Si tratta di una mini-pistola a spruzzo che evita la visione delle pennellate e offre una grande possibilità di omogeneizzare e sfumare il colore.

8.9.2. L'uso dell'aerografo (come quello delle bombolette di smalto spray) ha però l'inconveniente

di non poter essere mirato: è inevitabile andare a "colpire" indiscriminatamente con lo spruzzo parti delle decorazioni originali che non necessitano di essere sovradipinte. E' pertanto spesso necessario ed anche noioso, dopo aver usato l’A., dover togliere, dalle parti che lo necessitano, lo strato di smalto indesiderato. Si possono a tal fine utilizzare

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batuffoli di cotone imbevuti nel solvente e ben strizzati o strumenti ancora più piccoli e mirati in grado di togliere in modo mirato la vernice.

Il Delacco 8.9.3. La vernice da utilizzare con l’aerografo, deve essere diluita un 10-20% in più (ogni vernice

ha il suo diluente) rispetto a quella da pennellare. Lo spruzzo dell’aerografo deve essere indirizzato orizzontalmente in modo uniforme e per piccole quantità per volta. Da evitarsi assolutamente sono le sgocciolature di colore che compromettono l’esito dell’intero lavoro.

8.9.4. Particolare cura deve essere dedicata alla sua pulizia. Dopo l’utilizzazione a vernice non

deve avere il tempo di asciugarsi all’interno dei piccolissimi e delicati meccanismi dell’A., per non pregiudicare successivamente il suo uso ottimale. La pulizia dello dello strumento implica una certa perdita di tempo, ma è fondamentale.

8.10. Le vernici

Come detto, moltissime sono le varietà di vernici che si trovano in commercio ed in questa sede ne indicheremo solo alcune.

8.10.1. Gli smalti sintetici all’acqua ragia sono le vernici da preferirsi. Di facile reperibilità e disponibili in vaste gamme di colori, esistono di diverse qualità. Tanto migliore è la qualità degli smalti utilizzati, tanto più resistente risulterà il colore ottenuto. In questa direzione bisogna senz’altro indirizzarsi. Ottimi risultati si possono ottenere utilizzando per esempio i piccoli smalti da modellismo (marche consigliate: Humbrol, Raimbow, ecc.) disponibili in molte tonalità di colore, lucidi e opachi, e di ottima qualità. Sono diluibili in acqua ragia.

8.10.2. I trasparenti all’acqua

Buoni risultati si ottengono utilizzando delle resine all’acqua lucidi o sintetici (marche consigliate: SudWest,). La realizzazione dei colori desiderati utilizzando vernici trasparenti ad acqua implica l’aggiunta di quantità di pigmenti colorati o colori a tempera.

8.10.3. Le vernici protettive o finali Dopo aver dato alla ceramica il colore di fondo, realizzato la ripresa delle decorazioni, è necessario generalmente stendere un film protettivo, più o meno lucido, più o meno opaco, che insieme fissi e irrobustisca e protegga l’intervento pittorico eseguito e riproduca il livello di brillantezza o opacità della ceramica originale. A questo fine e solo quando i sottostanti strati di colore siano ben asciugati, si consiglia l’uso di bombolette spray (marche consigliate: Lukas, lucido, semilucido e opaco, Maimeri, lucido e opaco). L’uso delle bombolette va sempre eseguito in posizione verticale, spostando ritmicamente lo spruzzo della vernice in maniera uniforme su tutta la superficie, evitando accuratamente di produrre sgocciolature, che comprometterebbero l’esito del lavoro e obbligherebbero un lavoro di “smontaggio” dell’intero intervento pittorico.

8.11. La ripresa pittorica delle decorazioni dorate E’ frequente dover restaurare ceramiche (soprattutto porcellane) che presentano parti decorative in oro zecchino di terza cottura (vedi cap.2.5). Riprodurre parti decorate ad oro è particolarmente complesso:

perché esistono tantissime tonalità e sfumature di colore. I pigmenti d’oro (o porporina) in commercio sono: oro ricco, oro pallido, oro ducato, oro limone, oro antico, ecc. necessitano di essere addizionati tra loro fino ad ottenere le tonalità volute;

per via dell’effetto specchiante dello stesso. E’ possibile “avvicinarsi” al livello di lucentezza e brillantezza delle parti “originali”, utilizzando una soluzione di gomma lacca ed alcool a 95° (che si usa per il restauro ligneo) come vernice “legante” dei pigmenti.

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8.12. Per quanto riguarda la fase dell’intervento pittorico, bisogna inoltre tener presente che: l'effetto profondità di molte ceramiche, ad esempio le porcellane, è ottenibile

addizionando le vernici con quantità di colore neutro (trasparente); è sempre preferibile procedere per velature, cioè passare diverse "mani" di colore,

magari attenuandone l’intensità; esiste una varietà enorme di gradi di brillantezza e opacità della superficie ceramica. Gli

smalti in commercio, però, generalmente lucidi o opachi, corrispondono a gradi di lucentezza limitati e predefiniti. Fortunatamente è possibile accentuarne i caratteri. Due o più mani di una lacca lucida danno un film con maggiore lucentezza; una leggera spolveratura di polvere di talco sul trasparente neutro ancora appiccicoso produce maggiore opacità alla pellicola superficiale.

8.13. Il presente capitolo dedicato alla ripresa pittorica è per forza di cose, più di altri, limitato e

parziale. D’altra parte risulta impossibile esaurire una materia così vasta, data la quantità di prodotti e possibilità che il mercato offre. In generale si può dire che, fatti salvi i principi generali e la ricerca di un buon livello di resistenza dei vari prodotti, il fine, quello di restituire alla ceramica la sua integrità, giustifica i mezzi che possono essere usati. La sperimentazione, l’applicazione, la disponibilità a “provare”, il cimentarsi senza timore e persino gli errori, le imperfezioni, i risultati insoddisfacenti, per farne tesoro, costituiscono il pane quotidiano su cui crescere e perfezionarsi.

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9. La conservazione e la documentazione 9.1. La presente dispensa arriva al suo l'ultimo capitolo.

Della filosofia e le linee guida per chi intende dedicarsi alla materia se ne già parlato inizialmente: il restauro deve essere inteso in senso conservativo che tende, si, al recupero estetico e formale dell’oggetto, ma anche alla salvaguardia nel tempo della sua struttura. Ciò vuol dire che l'oggetto, caratterizzato dalla sua forma nello spazio, possiede un valore estetico in sè, ma, accanto, esistono valori, contenuti artistici, storici e culturali e individuali (per chi lo ha materialmente realizzato) e collettivi (per chi ne ha goduto). E’ espressione della società che lo ha espresso. Pertanto è un dovere civile adoperarsi per una sua conservazione la più duratura possibile. Tanto più per la nostra specifica storia, perché da noi il percorso di produzione della ceramica è strettamente connesso con la storia dell'arte: le tombe etrusche che ci hanno consentito di conoscere artisti come il grande Eufronio, e poi il Rinascimento italiano (che ha espresso i vari Luca Della Robbia) che costituisce, oltre all'arte greca del V sec a.C., l'apice mai più raggiunto nella storia dell'arte e nella storia dell'arte ceramica dell’intera umanità. Il restauro è dunque finalizzato alla conservazione e tutela di un bene. E anche se è difficile ipotizzare di trovarsi a restaurare un Mastro Giorgio o un Ezechias, è importante valorizzare gli oggetti in restauro sempre con responsabilità, mai con interventi “accroccati”, con sistemazioni “alla meglio”, ottenute magari persino danneggiando parti originali. Non deve essere accettabile l’idea di una committenza che si rivolge al restauratore per "riparare", "nascondere bene", "mimetizzare", mistificare le lacune. Secondo certi testi, scritti in GB, dove il restauro della ceramica coincide con il restauro della porcellana, se presi per "oro colato", la filosofia che ne emergerebbe sarebbe quella del restauratore inteso come un riparatore di rotture che a tutti i costi deve impedirne la visione.

Sarebbe ben riduttivo. 9.2. L’intervento di restauro, quando non si tratti di oggetti dozzinali, di uso comune,

palesemente senza alcun valore, prevede la necessità di documentarne le fasi. 9.2.1. La realizzazione di un “giornale di restauro” che descriva l’intervento eseguito nelle varie

fasi e le quantità di tempo occorso, consente: a) di memorizzare le singole operazioni eseguite (è importante per il restauratore stesso e

per il proprietario-committente); b) di verificare la congruità o la sotto/sopravalutazione del lavoro in termini economici (le

ore di intervento svolte). E’ cosa utile fornire di seguito un prototipo di modello:

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Meropia 84 di Fabrizio Scottoni RESTAURI ANTICHITA’

Sede: via G.B.Bodoni, 90/a – 00153 Roma Tel/fax: (06) 57.30.54.65 – Cell: 0349 66.785.99

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SCHEDA RESTAURO CERAMICA N°___________ Data acquisizione lavoro _____________ Descrizione oggetto/i ______________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________ Proprietà Sig. ______________________________________________________ Preventivo lire _____________________________________________________ Giornate lavorazione Ore/Tipo lavorazione ______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

LEGENDA: P = preventivo T = trasporto a/r PC = pulizia solventi PM = pulizia meccanica

DF = documentazione fotografica S = scollatura I = incollatura R = ricostruzione parti mancanti SS = supporti strutturali S = stuccatura G = levigatura DP = decorazione pittorica F =

finitura/protezione TOTALE ORE LAVORATE ________________ DATA CONSEGNA ______________________

Page 31: IL RESTAURO DELLA CERAMICA Corso base - Fabrizio … · Ultimo aggiornamento: 30 gennaio 2003 Fabrizio Scottoni IL RESTAURO DELLA CERAMICA Corso base 1. Introduzione al restauro 2.

9.2.2. Avere a disposizione in laboratorio una macchina fotografica (meglio se fornita di flash e

cavalletto) arricchisce la documentazione dell’intervento perché da la possibilità di descrivere visivamente tre o più fasi di lavoro. Fotografare l’oggetto prima, durante e a restauro ultimato, arricchisce ancor più l’intervento stesso ed è apprezzato dal committente. Nel settore dei beni culturali, un’immagine fotografica deve riprodurre fedelmente l’opera d’arte nelle sue caratteristiche di forma e colore. Per ottenere una buona documentazione fotografica è necessario disporre di fotocamera 35 mm con almeno 3 obiettivi intercambiabili ( un 28 mm per le riprese di soggetti di grandi dimensioni, un 50 mm. per le riprese standard e un medio tele con posizione macro di 90 – 135 mm. per le riprese di dettagli e a distanza ravvicinata. L’illuminazione riveste un ruolo fondamentale nella costruzione della composizione fotografica e nella corretta rappresentazione dei colori del soggetto. Quando si fotografa in ambienti chiusi è indispensabile usare lampade per uso fotografico (le più comuni sono le photoflood da 500 W, con portalampada a pinza Janiro, con alcuni indispensabili accessori come le alette, i filtri diffusori, gli ombrellini e gli stativi). Per ottenere una giusta riproduzione dei colori si devono scegliere le pellicole per luce artificiale o Tungsteno (Kodak Ektachrome 64 o 160 iso e fuji 64 iso per le diapositive - Kodak 100 iso per le negative colore), tarate quindi per la temperatura colore di 3200° K. Quando si fotografa in queste condizioni si deve fare attenzione che il soggetto non sia colpito da nessuna luce di tipo solare o comunque con temperatura colore diversa da quella delle lampade photoflood perchè questo provocherebbe un’ alterazione cromatica con decisa dominante bluastra. Può accadere di trovarsi a fotografare in esterni. In questo caso le pellicole da usare sono quelle definite dayligth, praticamente tutte tranne quelle sopra elencate; in ogni caso si deve optare per le pellicole di bassa/media sensibilità ( 50 e 100 iso) con caratteristiche di dettaglio e contrasto maggiore, due qualità importanti in questo genere di foto. Alto accessorio fondamentale per effettuare riprese prive dell’effetto mosso è il treppiede, robusto e con la possibilità di invertire la testa fotografica per riprendere soggetti anche in pianta. Molto importante è la costruzione del set fotografico e la scelta del fondale sul quale posizionare il soggetto. Solitamente si consigliano fondali di colori neutri (grigi , tonalità neutre di bianco o neri) e una illuminazione che favorisca l’attenuazione delle ombre.