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1 IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO E L’ISTRUTTORIA SOMMARIO 1 – Il responsabile del procedimento come figura organizzatoria funzionale alla semplificazione amministrativa 2 – Il “responsabile” regista del procedimento 3 – Le innovazioni disposte con la l. n. 15/2005 4 – Segue: le singole innovazioni 5 – Operatività del principio partecipativo anche nei procedimenti ad istanza di parte 6 – L’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento nell’art. 7 novellato 7 – Le comunicazioni 8 – Recettizietà dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari 9 – Centralità dell’istruttoria 10 – Vincolo della motivazione del provvedimento amministrativo alle risultanze dell’istruttoria 11 – L’obbligo di motivazione dopo la l. n. 15/2005 12 – Tempestività dell’azione amministrativa e danno da ritardo 13 – La generalità dei principi della l. n. 241/90 riformata e dell’istituto del responsabile del procedimento

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IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO E L’ISTRUTTORIA

SOMMARIO

1 – Il responsabile del procedimento come figura organizzatoria funzionale alla semplificazione amministrativa

2 – Il “responsabile” regista del procedimento 3 – Le innovazioni disposte con la l. n. 15/2005 4 – Segue: le singole innovazioni 5 – Operatività del principio partecipativo anche nei procedimenti ad istanza

di parte 6 – L’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento nell’art. 7 novellato 7 – Le comunicazioni 8 – Recettizietà dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei

destinatari 9 – Centralità dell’istruttoria 10 – Vincolo della motivazione del provvedimento amministrativo alle

risultanze dell’istruttoria 11 – L’obbligo di motivazione dopo la l. n. 15/2005 12 – Tempestività dell’azione amministrativa e danno da ritardo 13 – La generalità dei principi della l. n. 241/90 riformata e dell’istituto del

responsabile del procedimento

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I – Il “responsabile” come figura organizzatoria funzionale alla

semplificazione amministrativa.

L’art. 4 della l. n. 241/90 fa obbligo alle pubbliche amministrazioni di

individuare l’unità organizzativa responsabile del procedimento.

L’individuazione è di natura preventiva ed astratta ed implica una

riorganizzazione strutturale tale da indurre all’affermazione che <<la l.

241 spiega irrimediabilmente influenza sull’assetto organizzatorio della

pubblica amministrazione, tanto da far pensare a tale legge, con quel

tanto di velleitarietà che non può guastare, come l’unico tentativo

riuscito, a livello normativo di riforma amministrativa, nei tempi

recenti>> (1).

La Relazione della Commissione Cassese ha identificato la ratio della

disposizione di principio dettata con l’art. 4 nell’esigenza di

<<individuazione di un’autorità che funga da guida per il

procedimento[…]gestisca le connessioni tra le fasi[…]dialogando da un

lato con i soggetti privati e dall’altro con gli uffici e organi coinvolti

nell’iter>> (2).

_____________________________________________________________________

(1) Patroni Griffi, La l. 7 agosto 1990 n. 241 a due anni dall’entrata in vigore. Termini e responsabile del procedimento; partecipazione procedimentale, in. Foro it.1993, III, c. 66.

(2) In Foro it. 1992, III, c. 146.

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Con l’introduzione nell’ordinamento amministrativo dell’istituto del

responsabile del procedimento il legislatore ha dato un volto alla pubblica

amministrazione (3) ed ha individuato un polo certo di riferimento per il

privato che non può più smarrirsi nell’indistinto amministrativo. Come

osservò il Consiglio di Stato nel parere sul d.d.l. la finalità perseguita dal

legislatore è quella di <<offrire al cittadino interessato un preciso

interlocutore con cui dialogare nel corso del procedimento>> e, d’altro

canto, di <<rendere concreta la responsabilità dei pubblici funzionari,

evitando che questa sfumi nell’ambito dell’apparato o si nasconda dietro

l’autorità di vertice>> (4).

Il responsabile del procedimento entifica, a livello di riorganizzazione

della P.A., le esigenze di semplificazione e di efficienza alle quali la

legge generale sul procedimento si ispira, che segna un’evidente frattura

con il sistema antecedente caratterizzato dalla frammentazione delle

competenze e dall’inesistenza di una guida unitaria della sequenza

procedimentale. Con esso trova attuazione il principio del miglioramento

dei rapporti tra P.A. e privati <<rendendone maggiormente efficace e

partecipata l’azione, giacchè consente agli interessati, attraverso

l’instaurazione del contraddittorio, di partecipare al procedimento sin

dal primo atto dell’istruttoria>> (5). _____________________________________________________________________

(3) Mor, La legge sul procedimento amministrativo nel sistema delle fonti del diritto, in L’Amministrazione it. 1991, p. 903. Come è stato rimarcato da Corso, L’attività amministrativa, Torino 1999, p. 94 con la l. 241 sono state rimosse <<l’impersonalità e l’anonimato dell’amministrazione e l’alienazione del privato che in essa si vede coinvolto>>. Per la giurisprudenza vedasi TAR Friuli-Venezia Giulia, 5 giugno 1995, n. 540 che rimarca la finalità ispiratrice della riforma realizzata con gli artt. 4 e ss. della l. 241 di far conoscere ai destinatari dell’azione amministrativa un interlocutore cui rivolgersi o un soggetto da chiamare a rispondere in caso di lesione delle proprie ragioni, con l’ulteriore previsione che, in difetto di designazione del responsabile del procedimento, ne tiene le veci il dirigente dell’unità organizzativa, facilmente individuabile. (4) Ad. Gen. par. 17 febbraio 1987, n. 7/87. (5) Scarciglia, Responsabile del procedimento in AA.VV., Atti e procedimenti amministrativi a cura di Gardini, Scarciglia, Tubertini, Zanasi, Rimini 1997, p. 41.

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Mancava, prima della l. n. 241, un soggetto che si facesse carico di

portare la sequenza procedimentale al traguardo provvedimentale.

Mancava un soggetto che fosse <<portatore del ruolo che nel processo

civile è affidato al giudice istruttore>> (6). Mancava una figura

organizzatoria funzionale alla semplificazione procedimentale.

La semplificazione voluta dagli artt. 4 e ss. della l. 241 è stata condivisa e

assecondata dalla giurisprudenza e dalla legislazione regionale. Entrambe

hanno sottolineato la necessità che per ogni procedimento sia individuata

un’unica unità organizzativa al fine di rimuovere oggettivamente la

preesistente frammentazione delle competenze e gli inevitabili ritardi ed

inefficienze che ne derivano.

Il Cons. St. ha rimarcato in proposito la necessità che nei regolamenti di

esecuzione degli artt. 2 e 4 l. 241 emerga con chiarezza l’individuazione

per ogni procedimento di una sola unità organizzativa responsabile

dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale e

dell’adozione dell’atto finale (7).

La legge Reg. Sardegna 22.8.1990, n. 40 all’art. 8, comma 3, ha disposto

che <<Per la realizzazione di particolari procedimenti […] che

coinvolgono più uffici o più branche dell’Amministrazione, la Giunta

Regionale […] determina con propria motivata deliberazione – sulla

base del principio della competenza prevalente – la branca

dell’Amministrazione e lo specifico settore responsabile della predetta

realizzazione>>.

_____________________________________________________________________

(6) Così Corso-Teresi, Procedimento Amministrativo e Accesso ai Documenti, Rimini, 1991, p. 80, che ascrivono a siffatta lacuna, unitamente alla mancata fissazione di termini di conclusione del procedimento, il rilievo di <<causa fondamentale dei tempi lunghi dell’azione amministrativa o, più spesso, del mancato compimento dell’azione stessa>>. (7)Cons. St. Ad. Gen. 23 febbraio 1995, n. 19.

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La legislazione successiva, per l’effetto normogenetico delle disposizioni

di principio recate dalla l. n. 241 (effetto dovuto alla sua immediata

contiguità alla Costituzione), ha adottato soluzioni organizzative ispirate

all’unificazione della responsabilità del procedimento, com’è dimostrato

dalla legge Merloni sulle opere e sui lavori pubblici

(l. n. 109/94) che all’art. 7 ha disposto che le amministrazioni

aggiudicatici provvedono alla nomina di un responsabile unico del

procedimento di attuazione di ogni singolo intervento previsto dal

programma triennale dei lavori pubblici, per le fasi della progettazione,

dell’affidamento e dell’esecuzione (8).

___________________________________________________________________________ (8)Con l’unica eccezione degli appalti dell’Amministrazione della Difesa, tenuto conto della struttura gerarchica dei suoi uffici tecnici, sicchè al posto di un unico responsabile del procedimento è possibile avere tre responsabili, rispettivamente della fase di progettazione, della fase di affidamento e della fase di esecuzione dell’intervento.

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II – Il “responsabile” regista del procedimento.

Al responsabile del procedimento, dunque, sono imputate <<l’esatta

scansione dei momenti procedurali e, al limite, le conseguenze di

eventuali ritardi od omissioni>>.

Al suo ruolo <<propulsivo e tutorio>> (9) si ricollegano rilevanti poteri

organizzativi e direttivi della sequenza procedimentale.

L’art. 6 l. 241 inizia (lett. a) con l’attribuire al responsabile del

procedimento il potere-dovere di valutare, ai fini istruttori, le condizioni

di ammissibilità e i requisiti di legittimazione nonchè i presupposti

rilevanti per l’emanazione del provvedimento. Si tratta di verificare la

sussistenza di tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari all’adozione

dell’atto finale; al contrario, nel caso di loro assenza, avrà luogo

l’interruzione della sequenza procedimentale che sfocerà, comunque, in

un atto espresso (art. 2) e motivato (art. 3), avendo, comunque,

l’interessato diritto alla risposta (10).

____________________________________________________________________

(9) Così Alessandrini, Commento all’art. 4 l. 241 in AA.VV., Il procedimento amministrativo, Padova 1996, p. 41.

(10) Giurisprudenza pacifica. Di recente vedasi TAR Catania, sez. II, n. 24/2004 secondo cui <<è fatto obbligo all’amministrazione provvedere sulle istanze dei privati che non appaiano manifestamente infondate>>. Conforme TAR Lecce, n. 1523/2002.

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Di seguito (lett. b) l’art. 6 attribuisce al responsabile del procedimento il

compito di accertare d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti

necessari, adottando ogni misura necessaria all’adeguato e sollecito

svolgimento dell’istruttoria. Questa disposizione, sulla quale si tornerà in

seguito approfondendo le innovazioni introdotte con la l. n. 15/2005, va

coordinata con quella di cui all’art. 18, secondo comma, secondo cui

qualora l’interessato dichiari che fatti, stati e qualità sono attestati in

documenti già in possesso della stessa amministrazione procedente o di

altra pubblica amministrazione, il responsabile del procedimento

<<provvede d’ufficio all’acquisizione dei documenti stessi o di copia di

essi>>. Ne deriva un capovolgimento dell’antecedente assetto circa la

distribuzione dell’onere della prova tra privato e amministrazione alla

quale vengono trasferiti adempimenti istruttori che prima gravavano sul

privato, attenuandosi il formalismo prima dominante nella maggior parte

dei procedimenti quanto alle <<condizioni di ammissibilità, ai

presupposti, stati e qualità>> (11). Nella prospettiva di attenuare il

formalismo e di migliorare i rapporti tra privati e P.A. è stato pure

previsto che il responsabile può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la

rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire

accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali. Il

responsabile del procedimento deve collaborare con il privato ponendolo

in condizione di rimuovere difetti, irregolarità, incompletezze,

impedimenti presenti nell’istanza da lui presentata, che, se non eliminati

o corretti, renderebbero l’iniziativa inefficace in quanto priva del

requisito della legittimazione o delle condizioni di ammissibilità (12)

_____________________________________________________________________

(11) Così Corso, Il responsabile del procedimento amministrativo, in AA.VV., Il procedimento amministrativo fra riforma legislativa e trasformazioni dell’Amministrazione a cura di Trimarchi, Milano 1990, p. 72. (12) Per il principio di leale collaborazione cui si ispira la disciplina della materia cfr. TRGA Trentino Alto Adige, sez. Trento, 20 novembre 1995, n. 315; idem 7 marzo 1995, n. 79.

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La norma aveva suscitato notevoli aspettative. In uno dei primi,

autorevoli commenti era stata prevista una coerente svolta

giurisprudenziale che facesse giustizia del formalismo sovrastante le

procedure concorsuali (13).Sennonché la giurisprudenza, esasperando il

dogma della par condicio, ha sterilizzato gli effetti innovativi della

riforma negando la possibilità di sanare – per regola generale – errori ed

omissioni documentali, segnatamente nei procedimenti concorsuali (14),

ammettendo solo la regolarizzazione formale e fiscale dei documenti

prodotti (15). _____________________________________________________________________

(13) Corso-Teresi, op. cit., p. 83, che così osservavano: <<E’ nota la giurisprudenza in materia di concorsi a pubblico impiego o di contratti ad evidenza pubblica. L’amministrazione può chiedere la regolarizzazione della documentazione, ma non può sollecitare l’integrazione di dichiarazioni carenti….Riteniamo che la previsione da parte dell’art. 6 di un così ampio potere di accertamento d’ufficio in capo al responsabile – potere che si estende alla richiesta di rettifica di dichiarazioni erronee o incomplete – imponga una revisione di quell’indirizzo giurisprudenziale. Non dimentichiamo che i principi desumibili dalla l. 241 sono qualificati dall’art. 29 come principi generali dell’ordinamento giuridico: ed è alla stregua di essi che andrebbero giudicate (ed eventualmente modificate) le enunciazioni giurisprudenziali configgenti. A ciò va aggiunto che il rigorismo manifestato sul punto dalla giurisprudenza amministrativa tradisce un favor per l’amministrazione e una indifferenza per le ragioni del cittadino che mal si conciliano non solo con le regole dell’art. 6 ma con lo spirito complessivo della l. 241. Né tale rigorismo trova giustificazione nella par condicio fra i candidati o fra i concorrenti, cui la giurisprudenza suole spesso appellarsi; par condicio che verrebbe pregiudicata se una domanda (o una documentazione) irregolare o incompleta venisse mantenuta in lizza anziché essere esclusa. La par condicio è rispettata se la disponibilità dell’amministrazione a consentire la regolarizzazione o la integrazione (della domanda o della documentazione) è manifestata nella stessa misura e in modo imparziale nei confronti di tutti i concorrenti, anche se poi ad avvalersene saranno soltanto coloro che siano incorsi in quella incompletezza o irregolarità>>.

(14) Per la critica a questo orientamento vedasi Alessandrini, op. cit., p. 42. Per la giurisprudenza cfr. Cons. St., sez. V, 22 giugno 2004 n. 4360 secondo cui <<In tema di contratti della Pubblica Amministrazione il responsabile del procedimento non può chiedere la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee prevista dall’art. 6, comma 1, lett. b) L. 7 agosto 1990 n. 241, perché ciò comporterebbe l’alterazione del principio di parità delle condizioni tra i partecipanti alla gara>>.

(15) Per l’affermazione che l’art. 6, lett.b) l. n. 241 è applicabile anche ai procedimenti di gare di appalto per l’aggiudicazione di contratti della p.a. a condizione, per la tutela della par condicio dei concorrenti, che non vi siano modificazioni del contenuto dei documenti cfr. Cons. St., sez. IV, 3 aprile 2001, n. 1927. Conforme Cons. St., 22 giugno 2004, n. 4345 che rimarca la distinzione tra regolarizzazione e integrazione documentale la prima soltanto possibile (e doverosa da parte della P.A.) a norma dell’art. 6 l. n. 241, osservando che:<<Il delicato bilanciamento tra il dovere dell’amministrazione di provvedere alla regolarizzazione dei documenti presentati dai candidati e il principio della par condicio tra i partecipanti ad una selezione concorsuale va ricercato nella distinzione del concetto della regolarizzazione da quello di integrazione documentale, tenendo presente che quest’ultima non è mai consentita risolvendosi in un effettivo vulnus del principio di parità di trattamento, a

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Inoltre (lett. c) l’articolo in commento attribuisce al responsabile del

procedimento la facoltà di proporre l’indizione della conferenza di servizi

o, avendone la competenza, di convocarla direttamente, attivando questo

efficacissimo strumento di semplificazione essenziale per imprimere

speditezza all’azione amministrativa.

Sul responsabile incombe (lett. d) la cura delle comunicazioni,

pubblicazioni e notificazioni previste da leggi e da regolamenti e

l’attuazione delle garanzie partecipative mediante la comunicazione

dell’avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il

provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed ai soggetti,

diversi dai diretti destinatari del provvedimento finale, dal quale possano

ricavare pregiudizi che siano individuati o facilmente individuabili.

Il responsabile, con la comunicazione dell’avvio dell’iter procedimentale,

assume un ruolo incisivo nel sistema introdotto dalla l. 241 di

<<democraticità delle decisioni>> contribuendo, in concreto, al

superamento della <<prassi della definizione unilaterale del pubblico

interesse>> (16).

Infine (lett. e) al responsabile è attribuito il compito, a conclusione

dell’istruttoria, di trasmettere gli atti all’organo competente ai fini

dell’emanazione del provvedimento finale (salvo che non ne abbia egli

medesimo la competenza). ____________________________________________________________________

differenza della regolarizzazione (che attiene a circostanze o elementi estrinseci al contenuto della documentazione) alla quale è sempre tenuta l’amministrazione in virtù del principio generale oggi ricavabile dall’art. 6, comma 1 lett. b) L. 7 agosto 19990 n. 241, ma già in precedenza affermato costantemente dalla giurisprudenza amministrativa con riguardo ai concorsi pubblici>>. (16) Cons. St. Ad. Pl. 15 settembre 1999, n. 14 in Foro it. 1999, III, c. 529. In dottrina vedasi Gardini, Comunicazione di avvio, in AA.VV., Atti e procedimenti amministrativi cit., p. 51 che ben mette in evidenza che l’obbligo di comunicazione procedimentale rappresenta <<un’innovazione assoluta dell’agire pubblico, in cui si sostanzia un rapporto più paritario e democratico tra amministrazione e cittadino>>; con essa si rende possibile lo svolgimento in forma partecipata della funzione pubblica <<fenomeno del tutto impensabile sulla base del diritto previgente>>.

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III – Le innovazioni disposte con la l. n. 15/2005.

La recente riforma della l. 241 disposta con la l. 11 febbraio 2005, n. 15

ha inciso in modo rilevante sul ruolo e sulle funzioni del responsabile del

procedimento.

Le innovazioni, piuttosto che sull’”istituto” del responsabile (artt. 4-6)

incidono sul “sistema” all’interno del quale egli è chiamato ad operare.

Un sistema che la novella legislativa ha modificato in più punti e per più

versi, in certi casi con rilevanti effetti innovativi.

In tale prospettiva va considerata, anzitutto, la riscrittura dell’art. 1,

primo comma l. 241. La riformulazione di tale disposto incide

sull’istituto del responsabile del procedimento sotto un duplice profilo,

aggiungendo ai criteri di economicità ed efficacia, presenti nell’originaria

disposizione, quelli di trasparenza e di pubblicità e introducendo il

richiamo ai <<principi dell’ordinamento comunitario>>.

Sotto il primo profilo il novellato art. 1, primo comma, nell’ufficializzare

la definizione corrente della l. 241, universalmente nota come legge sulla

trasparenza, rimarca ed accentua le garanzie di conoscibilità e

controllabilità dell’azione amministrativa..

Sotto il secondo profilo, richiamando i principi dell’ordinamento

comunitario, pone in primo piano le garanzie partecipative, di accesso, di

motivazione, del termine ragionevole di conclusione del procedimento

previste dall’art. II-101 della Costituzione Europea.

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Così disponendo la riformata legge generale sul procedimento rende atto

della circostanza della profonda evoluzione nell’ordinamento interno in

conformità dei principi Costituzionali della Comunità Europea (17).

Si tratta di principi che investono direttamente l’istituto del responsabile

del procedimento.

Sul piano sistematico l’arricchimento dell’originaria formula dell’art. 1

può essere collegato alla clausola recata dall’art. 20, ottavo comma legge

Bassanini 1, n. 59, 15 marzo 1997 che ha espressamente previsto,

nell’ambito del processo di semplificazione, la soppressione dei

procedimenti contrastanti <<con i principi generali dell’ordinamento

giuridico nazionale o comunitario>>. Dal quadro sistematico delineato

deriva che i principi dell’ordinamento comunitario vengono a pieno titolo

recepiti nell’ordinamento amministrativo interno, con sicura applicabilità

nei procedimenti di competenza degli organi nazionali (18).

In questa prospettiva assumono particolare rilievo i principi di

proporzionalità e di legittimo affidamento (legitimate expectation),

fissato dalla Corte di Giustizia attraverso ormai consolidata

giurisprudenza.

_____________________________________________________________________

(17) Per l’affermazione che lo Stato di oggi non è più quello descritto dalla nostra Costituzione <<ma quello delineatosi dopo il 1990 a seguito del progressivo affermarsi nell’ordinamento nazionale dei principi costituzionali europei>> cfr. Merusi, La certezza dell’azione amministrativa fra tempo e spazio in AA.VV., Tempo, Spazio e Certezza dell’azione amministrativa, Milano 2003, p. 24. (18) Con circolare del Dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 29 aprile 2004 è stato rimarcato l’obbligo, incombente non solo sul Giudice nazionale ma su tutti gli organi dello Stato, di disapplicare le norme di diritto interno contrastanti con il diritto comunitario.

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Il primo rileva soprattutto sul piano della garanzia delle posizioni dei

privati nei confronti dell’intervento pubblico che non può essere

invasivo, ma può legittimamente esplicarsi nei limiti della necessità,

adeguatezza, proporzionalità in senso stretto. Il secondo rileva in

particolare nei procedimenti di autotutela, come tendenziale prevalenza

delle esigenze di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici su

quella di legalità formale.

Ne risulta rafforzato l’affidamento del terzo a dispetto dell’orientamento

giurisprudenziale interno che, nonostante il riconoscimento della generale

portata del principio <<notoriamente non circoscritto al campo civile>>

(19), in più di un caso non ha fatto seguire a tale constatazione coerenti

applicazioni.

Dirette estrinsecazioni del principio dell’affidamento sono le norme poste

con l’art. 21 quinquies che, nel disciplinare la revoca dei provvedimenti

amministrativi, ha istituito per regola generale l’obbligo dell’indennizzo

e con l’art. 21 sexies che limita il recesso dai contratti da parte della P.A.

ai soli casi nei quali la fonte legislativa o quella contrattuale lo preveda.

Con l’innesto dei principi dell’ordinamento comunitario il procedimento

amministrativo e il ruolo che in seno ad esso il responsabile è chiamato a

svolgere si confermano all’insegna di un’accentuata trasparenza, del

potenziamento delle garanzie partecipative, della creazione dei

presupposti per l’evoluzione dell’affidamento da una condizione di

valore virtuale a quella di valore effettivo, di una più forte e diffusa

vincolatezza del principio di proporzionalità. ____________________________________________________________________

(19)Cons. St, sez. VI, 12.5.1990, n. 523. L’originario testo del d.d.l. prevedeva l’espresso richiamo ai principi di proporzionalità e di tutela dell’affidamento. La loro scomparsa dal testo della legge può verosimilmente spiegarsi in relazione al richiamo in blocco dei principi del diritto europeo dei quali, appunto, fanno parte i suddetti due principi.

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In particolare l’affievolimento dell’autoritarietà dell’Amministrazione e

l’instaurazione di rapporti tendenzialmente paritetici, bilateralmente

strutturati, amplia la portata del principio di affidamento. Si pensi al

preannuncio (motivato) di rigetto della domanda del privato (art. 10 bis),

che ingenera un autolimite per l’amministrazione a non sacrificare oltre

la misura rappresentata all’interessato i suoi interessi.

Come è stato giustamente osservato l’instaurazione di rapporti quasi

bilaterali fa sì che ciò che ingenera l’affidamento sono proprio <<il

comportamento e le determinazioni procedimentali prodromiche all’atto

di cui si lamenta la illegittimità, quello che per i rapporti tra privati è il

comportamento negoziale>> (20).

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(20) Police, La predeterminazione delle decisioni amministrative, Napoli 1997, p. 71 ss.

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IV – Segue: le singole innovazioni.

La prima innovazione è quella prevista dall’art. 6, comma 1, lett. e)

riformulato con l’aggiunta della seguente clausola: <<L’organo

competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal

responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze

dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non

indicandone la motivazione nel provvedimento finale>>.

Fatta salva la possibilità da parte del dirigente di disattendere la

“proposta” del responsabile del procedimento, assumendo un

provvedimento di contenuto opposto o comunque diverso da quello

progettato dal responsabile stesso, la novellata lett. e) pone il vincolo

della motivazione giustificativa della divergenza.

La nuova norma è coerente con la disposizione di principio fissata

dall’art. 3 che, nel definire la “struttura” della motivazione

identificandola nella indicazione dei presupposti di fatto e di diritto, ne ha

espressamente disposto il vincolo alle risultanze dell’istruttoria. Un

vincolo che, secondo la nuova formulazione della lett. e), può essere

superato alla condizione che il dirigente che non intenda fare propria

l’indicazione motivazionale del responsabile del procedimento esterni le

ragioni del discostamento dalle risultanze dell’istruttoria eseguita dal

responsabile del procedimento.

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La precisazione presente nel cit. art. 6, comma 1, lett. e), pur potendosi

ritenere superflua, in quanto reiterativa della regola posta dall’art. 3 circa

il vincolo di coerenza fra istruttoria e provvedimento finale, ha non di

meno la sua utilità, contribuendo a ribadire il ruolo di <<guida del

procedimento>> che la l. 241, sia nella originaria formulazione che in

quella novellata, assegna al responsabile (21).

La norma è posta a presidio dell’assetto di interessi configurato con

l’apporto partecipativo del privato e, quindi, del progetto di

provvedimento dal quale l’atto definitivo può discostarsi solo con idonea

motivazione esternativa dell’iter logico seguito dal dirigente nel

discostarsi dalla “proposta” del responsabile del procedimento (22).

Dalla novella non è esatto inferire che nella mens legis il responsabile del

procedimento debba essere persona diversa dal dirigente dell’unità

organizzativa competente (23). Il termine <<ove>>, col quale la lett. e)

introduce l’ipotesi che non sia il responsabile del procedimento ad

adottare l’atto finale, fa comprendere che le due figure possono essere

coincidenti (24).

___________________________________________________________ (21) Così Di Nitto, Il Termine, il Responsabile, la Partecipazione, la D.I.A. e l’ambito di applicazione della legge, in Giorn. Dir. Amm. 2005, p. 500, secondo cui l’esplicito divieto di discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria <<valorizza l’attività che da lui stesso è compiuta e coordinata, riconoscendogli la titolarità del potere di condizionare l’assetto degli interessi coinvolti dal procedimento di cui si assume la responsabilità>>. Cfr. pure Toschi, Maggiori poteri al responsabile del procedimento in Guida al Diritto, “Sole 24 Ore” n. 10, 12 marzo 2005, p. 61, che evidenzia l’accresciuta autonomia e responsabilizzazione del responsabile del procedimento che si vede attribuita <<una considerevole valenza esterna alla propria attività>>. (22) Per l’affermazione che <<in virtù della disciplina positiva contenuta nella 241 l’atto di iniziativa si palesa non soltanto come semplice momento di fissazione di interessi e fatti rilevanti per l’azione amministrativa, ma anche come una proposta di decisione>>. Cfr. Zito, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Milano 1996, p. 82 ss. (23)Così Olivieri, Riforma amministrativa per pochi, in “Italia Oggi” 29 gennaio 2005. (24) In tal senso cfr. Biondi-Moscara-Ricciardi, La riforma del procedimento amministrativo, Rimini 2005, p. 34.

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16

La seconda innovazione riguarda la riformulazione dell’art. 8 con

l’aggiunta nel secondo comma della lett. c-bis a norma della quale il

contenuto della comunicazione di avvio del procedimento si arricchisce

della indicazione della data di conclusione dell’iter procedimentale e dei

rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione.

Le innovazioni sono due: la fissazione del termine finale del

procedimento e l’indicazione dei rimedi utili a rimuovere la eventuale

inerzia.

La norma, nel suo complesso, ampliando l’onus clare loquendi, già posto

a carico dell’amministrazione con la prescrizione dell’art. 3 ult. comma,

secondo il quale l’atto deve essere corredato della clausola indicante i

termini nei quali è consentito ricorrere e i rimedi giustiziali, si ispira

evidentemente all’esigenza di miglioramento dei rapporti tra privato e

P.A., vincolando in modo più stringente il responsabile del procedimento,

in forza della sua stessa dichiarazione, all’obbligo di provvedere entro

termini predeterminati.

In particolare la comunicazione del termine nel quale deve concludersi il

procedimento, se coincidente col termine finale indicato dall’art. 2, è

ricognitiva dell’obbligo temporale che l’amministrazione è tenuta a

rispettare. Se dovesse non coincidere con l’anzidetto termine, venendo

indicata una durata ridotta dell’iter procedimentale, ne deriverebbe un

autovincolo temporale, la cui trasgressione potrebbe determinare il

presupposto del danno da ritardo, che il terzo abbia eventualmente subito

in dipendenza della violazione di siffatta clausola e dell’affidamento su

essa riposto.

L’indicazione dei rimedi sperimentabili contro l’inerzia è obbligo che

estende la portata del principio di leale collaborazione tra

Amministrazione e privato cui si ispira la disciplina dettata sotto i capi II

e III della l. n. 241.

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La terza innovazione ha ad oggetto la non obbligatorietà per il

responsabile del procedimento dell’obbligo della comunicazione di avvio

del procedimento nel caso nel quale <<l’amministrazione dimostri in

giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere

diverso da quello in concreto adottato>> (su cui amplius par. VI), con

ciò mostrando il riformatore della l. n. 241 di aderire all’indirizzo

sostanzialistico emerso nella giurisprudenza, mostratasi più volte incline

a privilegiare le esigenze di semplicità e speditezza su quelle garantistico-

partecipative nel caso di attività vincolata.

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18

V – Operatività del principio partecipativo anche nei procedimenti

ad istanza di parte.

In particolare la l. n. 15/2005 ha esteso il confronto partecipativo dai

procedimenti d’ufficio ai procedimenti ad istanza di parte, assicurando

una più estesa portata al principio del giusto procedimento.

Il contraddittorio viene garantito, oltre che nei procedimenti d’ufficio, nei

procedimenti ad istanza di parte, essendo previsto dall’art. 10 bis

l’obbligo che grava sul responsabile del procedimento di comunicare i

motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del privato.

Si tratta di un nuovo obbligo di comunicazione che si risolve in un

preannuncio di rigetto dell’istanza, funzionale all’attivazione del

contraddittorio e, quindi, alla tutela anticipata del privato nel

procedimento, prima del processo. Nella Relazione della 1^

Commissione permanente Affari Costituzionali del 6 novembre 2003, p.

5 il fine perseguito è stato identificato nello <<introdurre un istituto

procedimentale attraverso il quale ci si propone di limitare il contenzioso

tra cittadino e pubblica amministrazione mediante la previsione di un

ulteriore canale di comunicazione tra le parti precedente la decisione

finale>>. E’ trasparente l’intentio del riformatore di istituire un ulteriore

fattore (rispetto a quello a suo tempo introdotto con gli artt. 7, 8 e 10) di

deflazione del contenzioso, estendendo il contraddittorio e potenziando la

funzione del procedimento di strumento (ed occasione) di tutela

anticipata rispetto al processo. L’innovazione è funzionale

all’imparzialità dell’amministrazione che <<non la pone neutra tra due

litiganti, ma essa è, come si suol dire, parte imparziale ovvero tale da

poter prendere la decisione finale sulla base del principio del

contraddittorio>> (25).

___________________________________________________________ (25) Benvenuti, Disegno dell’Amministrazione italiana. Linee positive e prospettive, Padova 1996, p. 239.

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Nei primi commenti alla novella è stata posta l’enfasi sulla

<<discontinuità nel modo in cui fin qui le amministrazioni sono state

solite rapportarsi con i privati>> e sull’obbligo posto per

l’amministrazione e i privati <<ad un dialogo reale>> (26), che si apre

sul <<progetto di provvedimento>> (27).

L’esonero dall’obbligo ha luogo solamente nei due casi espressamente

previsti, costituiti dalle procedure concorsuali e dai procedimenti in

materia previdenziale e assicurativa, a ragione, in quest’ultimo caso,

dell’elevato numero di istanze (28) e a ragione, nel primo caso, della

compresenza di un numero non determinabile di interessati donde la non

conciliabilità della tutela del singolo con il rispetto della par condicio tra

i concorrenti che presidia le procedure esecutive (29).

Nel silenzio della legge si deve ritenere che in analogia con l’art. 8 il

preavviso di rigetto non possa non avere il contenuto minimo necessario

a garantire il contraddittorio cui è finalizzato e, quindi, oltre ai motivi

ostativi all’accoglimento della domanda, l’ufficio al quale presentare le

eventuali osservazioni e documenti ed il nuovo termine di definizione del

procedimento (30). _____________________________________________________________________

(26) Biondi-Moscara-Ricciardi, La riforma del procedimento amministrativo, Rimini 2005, p. 42 ss.. E’ stato pure osservato che: <<l’interessato, il quale non necessariamente è in possesso di un bagaglio di conoscenze giuridiche idoneo a consentirgli di essere autonomamente in grado di confrontarsi con l’Autorità procedente e, spesso, di fronteggiarla adeguatamente, ha necessità di ricevere l’atto con il quale si comunica l’avvio del procedimento, anche quando quest’ultimo sia stato avviato per effetto di una sua iniziativa, non solo e non tanto per avere contezza che l’amministrazione ha in corso una istruttoria che lo riguarda, quanto piuttosto perché quell’atto (di comunicazione dell’avvio del procedimento) contiene informazioni che assumono un rilievo importante per la tutela della sua posizione di partecipante all’istruttoria stessa>> (così Toschi op. loc. cit.). (27) Così La Barbera, op. cit., p. 73 che definisce con tale sintesi verbale <<la prefigurazione di una ipotesi di decisione che, attraverso il procedimento, contribuisce a dare concretezza ai principi propri del processo conoscitivo, valutativo e decisionale>> (28) La relazione della Commissione Affari Costituzionali alla l. n. 15/2005 vi fa esplicito riferimento con riguardo alla materia previdenziale. (29) Così Toschi, op. cit. (30) Di Nitto, Il termine, il responsabile, la partecipazione, la D.I.A. e l’ambito di applicazione della legge, cit., p. 502 s..

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Il privato ha diritto a conoscere <<i motivi>> che sorreggono il preavviso

di rigetto della sua istanza e, quindi, l’indicazione delle carenze

documentali e/o gli eventuali pareri negativi resi da altre amministrazioni

e/o le osservazioni contrarie dei controinteressati (31).

L’onus clare loquendi posto dal legislatore con l’art. 10 bis è speculare

alla garanzia partecipativa del privato: il suo adeguato assolvimento

garantisce il contraddittorio e, in forza di esso, assicura effettiva tutela

nel procedimento (anticipata rispetto al processo). A tali esigenze si

ispirava il testo originario della l. n. 241 predisposto dalla Commissione

Nigro secondo cui la comunicazione di avvio del procedimento doveva

dare indicazione dei fatti giustificativi della determinazione di procedere

o di orientarsi negativamente in ordine alla richiesta dell’interessato.

L’innovazione raccoglie e fa proprie le critiche emerse nella dottrina

relative alla esigenza di prevedibilità e trasparenza dei processi

decisionali pubblici, che può restare pienamente soddisfatta solo

attraverso la conoscenza del progetto di provvedimento allestito

dall’amministrazione (32).

Dell’eventuale, mancato accoglimento delle osservazioni dell’istante <<è

data ragione nella motivazione del provvedimento finale>>.

La norma si inquadra nel “sistema” delineato dalla disposizione di

principio dettata con l’art. 3, che pone il vincolo di coerenza tra

motivazione e risultanze istruttorie.

_____________________________________________________________________

(31) Così Biondi-Moscara-Ricciardi, op. cit. p. 44, secondo i quali l’Amministrazione ha l’obbligo di <<spiegare i motivi>> della decisione negativa che si intende adottare. (32) Sul punto cfr. Police, op. cit., p. 148, secondo il quale <<Per incidere sul processo decisionale, infatti, è necessaria la conoscenza delle ipotesi di base che la stessa Amministrazione ha assunto nel dare inizio al procedimento […] si tratta di una condizione fondamentale perché le posizioni delle parti acquistino un’effettiva rilevanza nel processo del decidere e la partecipazione non si risolva in una mera riassicurazione simbolica>>.

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21

L’apporto controdeduttivo del privato, nel quale si concretizza il suo

apporto partecipativo, arricchisce il materiale istruttorio, offrendo al

responsabile del procedimento elementi ulteriori di giudizio che esso, nei

limiti della loro pertinenza all’oggetto del procedimento, ha il dovere di

valutare (33). Nel caso nel quale la decisione finale coincida col

preannuncio di rigetto della domanda nonostante le controdeduzioni

dell’interessato, questi ha il diritto di conoscere le ragioni del mancato

accoglimento della propria istanza che devono essere congruamente

esternate a corredo motivazionale del provvedimento reiettivo.

Alla partecipazione del privato al procedimento è collegata la vicenda

interruttiva del termine prevista dallo stesso art. 10 bis (34). ____________________________________________________________________

(33) In uno dei primi commenti della novella si è parlato di un <<surplus istruttorio>> che si aggiunge a quello descritto nei capi II e III della l. n. 241 e che si attiva in presenza del preavviso di rigetto della domanda dell’interessato e della sua “reazione” al preavviso stesso con la produzione di memorie e documenti nel termine di 10 giorni, da ritenere perentorio (così Toschi, op. cit.). (34) Con infelice formulazione l’art. 10 bis prevede che la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza <<interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni…>>. L’evento interruttivo, coincidente col preavviso di rigetto, apre ex novo il termine di procedimento, con la conseguenza segnalata nei primi commenti, che la durata del procedimento può arrivare fino al raddoppio. Se ne è inferito che, in luogo di interruzione del termine, si tratti piuttosto di sospensione del termine nel senso che la norma <<si limita dunque ad impedire, nei 10 giorni disponibili al privato per controdedurre, l’ulteriore decorso del termine conclusivo del procedimento e dopo i quali questo riprende a decorrere non da capo, ma da lì dove si era fermato, quindi sommandosi la parte già trascorsa con quella che rimaneva>> Così Biondi-Moscara-Ricciardi, op. cit., p. 45 e ss. che richiamano a livello sistematico rispettivamente l’art. 2943, comma 3 c.c., che ricollega l’interruzione a un evento che si consuma istantaneamente, e l’art. 2942 che ricollega la sospensione alla verificazione di circostanze aventi una durata più o meno lunga, com’è nel caso concreto nel quale ci si trova non in presenza di un fatto istantaneo, ma in presenza di una circostanza temporale di 10 giorni durante i quali vi è <<una moratoria del procedimento>>. Questi AA. propongono una lettura della norma basata sulla differenziazione della ipotesi in cui il destinatario del preavviso di rigetto esercita il diritto partecipativo controdeducendo con memorie e documenti dalla ipotesi in cui ometta il contraddittorio. Nel primo caso soltanto dovrebbe avere luogo l’effetto interruttivo, laddove nel secondo caso (preavviso cui non consegua la difesa controdeduttiva dell’interessato) si sarebbe in presenza di vicenda che, non corrispondendo a un fatto nuovo, costituirebbe soltanto causa di sospensione del termine. L’ipotesi esegetica, se pur coerente col quadro sistematico, incontra, però, l’ostacolo di ben difficile superamento costituito dalla lettera della legge, secondo cui la comunicazione del preavviso di rigetto <<interrompe i termini per concludere il procedimento>>, senza distinzione di sorta. Per giunta la norma precisa che i termini <<iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine (di dieci giorni per la presentazione delle osservazioni)>>. Anche per questa seconda

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La riforma introdotta con l’art. 10 bis è stata resa oggetto di critiche e

riserve fondate sull’allungamento dei tempi e sull’appesantimento del

procedimento (35).

Il miglioramento del livello di partecipazione avrebbe comportato, come

effetto collaterale, la costituzione di <<uno strumento dilatorio nelle

mani delle amministrazioni, le quali potrebbero utilizzarlo al fine di

rimandare l’adozione delle proprie decisioni, incidendo negativamente

sulla posizione dei soggetti interessati>> (36). L’osservazione, giusta di

per sé, scema di importanza in una prospettiva sistematica, nella quale

l’art. 10 bis dev’essere coordinato con l’art. 6, lett. b) istituente l’obbligo

per il responsabile del procedimento di adottare tutte le misure necessarie

<<per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria>>.

Grava, dunque, sul responsabile del procedimento curare ed assicurare la

sintesi equilibrata tra le esigenze di garanzia del privato sottostanti l’art.

10 bis e quelle di speditezza del procedimento sottostanti l’art. 1, 2°

comma l. n. 241 che fa divieto di appesantire il procedimento.

Va, d’altra parte, considerato che, già nei primi commenti alla novella, è

affiorato l’orientamento restrittivo della portata dell’art. 10 bis, sulla

quale inciderebbe con effetti limitativi l’art. 21 octies (37).

__________________________________________________________ ipotesi il legislatore ha previsto che il termine inizia di nuovo a decorrere e non ha previsto che il termine riprende a decorrere. Di certo la norma è scarsamente coerente con i principi di certezza del tempo, di speditezza e di semplicità dell’attività amministrativa che la l. n. 241 ha eretto a principi generali dell’ordinamento giuridico. (35) Cerulli Irelli, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90 – VI parte in www.giustamm.it. (36) Di Nitto, Il termine, il responsabile, la partecipazione, la d.i.a. e l’ambito di applicazione della legge, cit., p. 505. (37) Secondo Di Nitto, op. cit., p. 502 si può ritenere che in applicazione dell’art. 21 octies sia legittima l’omissione della comunicazione ex art. 10 bis quando per la natura vincolata del provvedimento sia palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Ed invero, nonostante la diversità dei due istituti, <<analoghe sembrano essere le considerazioni che hanno legittimato le esclusioni e, quindi, analoghe sembrano essere le conclusioni che possono raggiungersi>>.

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VI – L’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento nell’art. 7

novellato.

La l. n. 15/2005, nel riformulare la disciplina della comunicazione di

avvio del procedimento, sottrae all’annullamento il provvedimento non

preceduto dalla comunicazione stessa <<qualora l’amministrazione

dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe

potuto essere diverso da quello in concreto attuato>>.

La norma (codificando un diffuso orientamento giurisprudenziale che ha

privilegiato la sostanza sulla forma e la sintesi equilibrata tra garanzie

partecipative, semplificazione e speditezza procedimentale) rende, in

sostanza, facoltativa la comunicazione ex art. 7 nei casi di attività

vincolata.

Spetta al responsabile del procedimento la delicata decisione sulla

sussistenza o meno dell’obbligo dell’avviso in relazione alla natura del

procedimento, vincolato ovvero discrezionale. Se sussistono spazi di

discrezionalità l’avviso è doveroso e indefettibile, in quanto diretto a

consentire il confronto partecipativo del privato, assecondando

l’emersione di alternative decisorie. Al contrario, non sussistendo

alternatività di scelte, essendo state queste già eseguite dalla legge di cui

in concreto l’attività amministrativa sia meramente esecutiva, il

responsabile del procedimento potrà astenersi dall’avviso, ma in tal caso

l’Amministrazione, in sede processuale, è chiamata, invertendosi l’onere

della prova, a rendere la dimostrazione della vincolatezza del suo

operare.

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A tal fine è necessario, naturalmente, che l’Amministrazione si

costituisca in giudizio e soddisfi in concreto il suddetto onere probatorio,

essendo altrimenti inevitabile la sanzione annullatoria (38).

In un primo commento alla novella l’art. 21 octies è stato interpretato

come norma che introduce una nuova ipotesi di irregolarità, nel senso di

anormalità consistente in una difformità dallo schema normativo di

minima rilevanza, tale da non provocare l’invalidità del provvedimento,

non risultando leso l’interesse pubblico (39).

In questa prospettiva l’omessa comunicazione dell’avvio del

procedimento in caso di attività vincolata sarebbe omogenea all’omessa

comunicazione dei rimedi giustiziali e dei termini della loro utile

attivazione prevista dall’ult. comma dell’art. 3, cui la giurisprudenza ha

costantemente negato efficacia invalidante del provvedimento che ne sia

manchevole (40), con la sola conseguenza della responsabilità

disciplinare del responsabile del procedimento colpevole dell’omissione

(in disparte l’ipotizzabilità dell’errore scusabile e della conseguente

rimessione in termini per ricorrere o nella sede giurisdizionale ovvero in

quella straordinaria).

____________________________________________________________________

(38) La prima decisione in materia – a quel che consta – è quella adottata dal TAR Abruzzo 26 aprile 2005, n. 211 di annullamento di un’ordinanza di demolizione sul presupposto che il Comune, che non aveva fatto precedere il provvedimento dalla comunicazione di avvio del procedimento, non si è costituito in giudizio omettendo di dare la prova che il provvedimento stesso non avrebbe potuto avere un diverso contenuto (“Italia Oggi” 24 maggio 2005). (39) Così Biondi-Moscara-Ricciardi, op. cit., p. 113. (40) Cfr., tra le più recenti decisioni, TAR Toscana, sez. I, n. 269, 25 gennaio 2005, in Foro Amm. 2005, p. 73 secondo cui:<<La mancata indicazione dell’autorità cui eventualmente ricorrere in calce ad un provvedimento della p.a. è causa di mera irregolarità e non di invalidità dello stesso>>.

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La norma è il derivato di indirizzi giurisprudenziali orientati a favore

della “teorica del risultato” (41) piuttosto che del giusformalismo e

dell’influsso della legge tedesca (§ 46 L.P.A.) che esclude l’annullamento

dell’atto amministrativo emanato in violazione delle norme di forma e di

procedura quando risulti evidente che la violazione non abbia influito

sulla decisione del merito (42).

Si deve ritenere tuttavia che la l. n. 15/2005, pur privilegiando

un’impostazione sostanzialistica, non arrivi al punto di smantellare il

sistema delle garanzie formali e procedimentali approntato dalla l. n. 241,

riducendo le relative norme al rango di disposizioni programmatiche,

anche perché lo svilimento della normativa sul procedimento avrebbe

determinato la rinuncia al principio di legalità la cui enunciazione tra i

principi regolatori dell’attività amministrativa, contenuta nell’art. 1,

primo comma l. n. 241, la novella ha invece conservato, offrendo

implicito supporto all’orientamento dottrinario che, in coerenza con la

precettività del principio stesso, ne esige comunque il rispetto (43).

__________________________________________________________ (41) Parla di <<carattere superfluo della violazione procedurale per la sua indifferenza sul contenuto dispositivo del provvedimento>> Cerulli Irelli, Considerazioni in tema di sanatoria dei vizi formali, in Vizi Formali, Procedimento e Processo Amministrativo (a cura di Parisio), Milano 2004, p. 117. (42) Riserve sul rischio che la giustizia amministrativa degeneri a <<officina di riparazione>> degli errori dell’amministrazione conseguentemente alle ampie possibilità di sanatoria e al ruolo assolutamente dominante del Giudice amministrativo sono espresse da Becker, La sanatoria dei vizi formali del procedimento amministrativo tedesco in Vizi Formali, Procedimento e Processo Amministrativo, cit., p. 22. (43) Per l’affermazione che il principio di legalità postula che l’interesse pubblico sia soddisfatto <<nel rispetto delle competenze, delle forme e dei limiti indicati dalla legge: sicchè, quando questi non siano osservati, il provvedimento rimane invalido (ed è esposto ad annullamento) anche se ha in concreto tutelato l’interesse pubblico>> cfr. Corso, voce Validità (diritto amministrativo) Enc. Dir. Giuffrè, Milano 1993, vol. XLVI, p. 95. Dubbi sull’opportunità di una “consacrazione normativa” dell’indirizzo sostanzialistico prevalente nella giurisprudenza, nel senso che tale scelta del legislatore mal si concilia col principio di legalità, sono stati rappresentati da Freni, Osservatorio giurisprudenziale sulla legge 10 febbraio 2005 n. 15 in Foro amm. 2005, p. XLIII, dove è riportata la seguente citazione:<< Ed a chi ripetendo vecchie accuse, dicesse che così curiamo troppo il sistema, l’architettura, la forma del diritto, trascurandone la sostanza e che, per conseguenza, facciamo un po’ lavoro da poeti, noi potremmo rispondere che, in una disciplina dommatica, sistema, architettura e forma son troppo importanti cose e che, del resto, anche poesia è diritto>> [S.Romano, Il diritto costituzionale e le altre scienze giuridiche, in Archivio di Diritto Pubblico, Roma, 1903, ora in Scritti Minori, Milano, 1950, Vol. I, pp. 245 ss]>>.

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Che la novella non abbia inteso rimuovere le garanzie partecipative è

dimostrato dalla circostanza che, se da un canto l’art. 21 octies ha

specificato che l’omessa comunicazione dell’avvio di procedimento non

è causa di invalidità ove l’Amministrazione provi che il contenuto del

provvedimento non poteva che essere quello che in concreto ha avuto

(44), l’art. 10 bis ha, d’altro canto, esteso la partecipazione proprio a quei

procedimenti nei quali, secondo la giurisprudenza, ne era meno avvertita

la necessità, quali quelli a iniziativa del privato, essendo in re ipsa la

consapevolezza che il procedimento è in essere (45).

___________________________________________________________ (44) Parla di <<carattere superfluo della violazione procedurale per la sua indifferenza sul contenuto dispositivo del provvedimento>> Cerulli Irelli, Considerazioni in tema di sanatoria dei vizi formali, cit., loc.ult. cit.. (45) Vedasi, inter multis, TAR Sicilia, Palermo 31.5.2001, n. 798, in TAR 2001, I, p. 2591 che rimarca la superfluità dell’avviso per il fatto che il destinatario del provvedimento finale del procedimento iniziato su suo impulso <<è certamente a conoscenza del relativo procedimento e pertanto ben può parteciparvi indipendentemente da ogni comunicazione>>.

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VII – Le comunicazioni. La novella ha accentuato gli obblighi di comunicazione del

“responsabile”. L’avviso di avvio del procedimento, previsto dall’art. 7, è

ora obbligatorio anche per i procedimenti a iniziativa di parte. A norma

dell’art. 8, secondo comma, c-ter) in ordine a essi occorre comunicare, tra

l’altro, la data di presentazione della relativa istanza. In questo la l. n.

15/2005, che per le restanti innovazioni ha tenuto generalmente conto

degli orientamenti giurisprudenziali codificandone i principi, ha preso le

distanze dalla giurisprudenza decisamente incline a limitare

l’obbligatorietà dell’avviso ai soli procedimenti di ufficio (46).

Già si è detto dell’obbligo di comunicazione dei motivi ostativi

all’accoglimento dell’istanza, dell’obbligo di comunicazione della data di

conclusione del procedimento e dell’obbligo di comunicazione dei rimedi

esperibili contro l’inerzia dell’amministrazione.

Le innovazioni introdotte dalla novella rendono il responsabile del

procedimento protagonista di un flusso di relazioni comunicative che

coinvolge ormai la generalità dei procedimenti e le rispettive fasi, da

quella dell’avvio, oggetto ormai di generalizzata partecipazione, a quella

conclusiva, avendo l’art. 21 bis condizionato l’efficacia delle decisioni

limitative della sfera giuridica dei terzi alla loro comunicazione ai

destinatari, codificando un risalente indirizzo dottrinario (47) cui era,

peraltro, mancata l’adesione della giurisprudenza.. ___________________________________________________________________________ (46) Cfr., inter plurimis, Cons. St., sez. V, 24 novembre 1997, n. 1366. (47) Virga, Il procedimento amministrativo, Milano 1972, p. 295 secondo cui <<debbono considerarsi recettizi per natura quei provvedimenti di carattere costitutivo, che creano nei confronti del destinatario un obbligo positivo o negativo, ovvero ne estinguono o limitano poteri, diritti o facoltà>>.

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Istituzionalizzando il dialogo tra amministrazione e privati in forma più

completa e diffusa rispetto all’originaria formulazione, la riforma della l.

n. 241 ha conformato l’essenza del procedimento alla stregua di una

relazione di tipo comunicativo a struttura dialogica.

Nel caso nel quale – a norma dell’art. 8 – per il numero dei destinatari

non sia possibile la comunicazione personale o risulti particolarmente

gravosa il responsabile del procedimento ricorre a <<forme di pubblicità

idonee>> stabilite volta per volta. La (necessaria) genericità della

clausola comporta il ricorso ai principi generali ai fini della

determinazione del criterio e questi sono quelli di economicità, di

efficacia e di ragionevolezza (48).

__________________________________________________________ (48) Ha precisato il Consiglio di Stato, sez. IV, 1 ottobre 2004, n. 6383 che:<<In tema di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, l’art. 8 comma 3 L. 7 agosto 1990 n. 241 – che, quando per il numero elevato di destinatari l’avviso personale non sia possibile o risulti particolarmente gravoso, consente il ricorso a forme di pubblicità alternative rispetto alla comunicazione individuale – va interpretato in coerenza coi principi di economicità e di efficacia enunciati nel comma 1 dell’art. 1 stessa legge e col principio di buon andamento e di ragionevolezza dell’azione amministrativa, espresso dall’art. 97 Cost.>>.

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VIII - Recettizietà dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica

dei destinatari

L’art. 21 bis ha posto la regola generale della recettizietà dei

provvedimenti a effetti sacrificatori. Essi restano privi di efficacia fino a

quando non siano notificati o comunicati ai destinatari. Solo quelli aventi

natura cautelare e carattere di urgenza sono immediatamente efficaci.

Tutti gli altri, come va ribadito, non sono efficaci fino al momento della

notifica o della comunicazione, fatta salva la presenza nel provvedimento

di una <<motivata clausola di immediata efficacia>>, peraltro non

ammessa per i provvedimenti sanzionatori.

Già dai primi commenti emerge <<un importante rafforzamento del

profilo della trasparenza dell’azione amministrativa e degli istituti di

difesa del cittadino destinatario di un provvedimento limitativo della sua

sfera giuridica>> (49).

La proclamata recettizietà dei provvedimenti limitativi della sfera

giuridica dei privati – con la quale il riformatore della l. n. 241 ha preso

partito, tra la dottrina che pressocchè unanimemente l’affermava come

regola generale e la giurisprudenza orientata in senso contrario,

decisamente a favore della prima – comporta rilevanti conseguenze

pratiche sia per chi ha la responsabilità di istruire il procedimento che per

chi ha la responsabilità di provvedere e di comunicare il procedimento,

stante che la recettizietà dell’atto impone che non solo la fase

dell’adozione ma anche quella della comunicazione siano racchiuse nel

contenitore temporale prescritto dall’art. 2 l. n. 241.

___________________________________________________________ (49) Biondi-Moscara-Ricciardi, op. cit., p.101.

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Dovrà essere, pertanto, riveduto l’orientamento giurisprudenziale in

materia di provvedimenti sanzionatori incline a separare le due fasi sul

presupposto che il termine finale di procedimento costituisca un limite

invalicabile solo per l’adozione del provvedimento, consumandosi con lo

spirare del termine il potere che nell’atto stesso si materializza, laddove

la comunicazione, riguardando l’esternazione dell’atto, esulerebbe dal

limite temporale anzidetto, con l’assenza di alcun effetto sul piano della

validità (50).

___________________________________________________________ (50) L’affermazione che quando è previsto un termine perentorio di conclusione di un procedimento nel caso di atti recettizi il suddetto termine coincide con la comunicazione del provvedimento costituisce jus receptum. La riconosciuta recettizietà dei provvedimenti limitativi della sfera dei destinatari dovrebbe, pertanto, avere significativi riflessi sulla considerazione della tempestività dei provvedimenti sanzionatori e sulla perenzione del procedimento disciplinare, occorrendo che la sanzione venga non solo adottata ma anche notificata o comunicata nel termine decadenziale.

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IX – Centralità dell’istruttoria.

Nonostante che la novella abbia arricchito la l. n. 241 della disciplina dei

vizi del provvedimento e delle cause di invalidità, il nucleo centrale della

legge rimane la disciplina del procedimento e dell’istruttoria.

La centralità dell’istruttoria riposa sullo stretto collegamento tra

l’accertamento dei presupposti, di fatto e di diritto, e la decisione.

Costituisce jus receptum l’affermazione che sull’amministrazione

incombe l’obbligo di accertamento dei presupposti stessi <<preliminare

all’emanazione di ogni atto amministrativo>>: obbligo che comporta lo

svolgimento delle indagini preventive occorrenti all’individuazione delle

condizioni e dei presupposti fissati dalle norme giuridiche per l’esercizio

del potere (51).

L’unica eccezione di esonero dall’obbligo di istruttoria è costituita dalla

rinnovazione dell’atto annullato per il solo difetto di motivazione, che

può avere luogo indipendentemente dal suo rifacimento. Ciò, tuttavia,

non è vero in assoluto. Può accadere che successivamente

all’annullamento mutino i presupposti e le condizioni rispetto a quelli

esistenti in origine, donde la rinnovazione dell’istruttoria con l’apporto

partecipativo dell’interessato (e degli eventuali controinteressati) e il

connesso obbligo del responsabile del procedimento di tener conto delle

memorie e dei documenti che siano stati prodotti col solo limite della loro

pertinenza all’oggetto del procedimento. _____________________________________________________________________

(51) Giurisprudenza risalente: cfr. Cons. St., sez. IV, 3.5.1960, n. 398 in Foro Amm. 1960, I, p. 441. L’importanza dell’istruttoria è stata rimarcata in dottrina con l’osservazione che <<senza una adeguata azione conoscitiva e valutativa del fatto [….], l’autorità amministrativa non sarebbe in grado di usare della discrezionalità che la legge le ha conferito (se agire, come agire) e neppure, nel caso di attività vincolata, di verificare l’esistenza di quei presupposti per i quali deve agire>> (Così Bortolotti, Attività preparatoria e funzione amministrativa, Milano 1984, p. 62).

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L’ampiezza dell’obbligo è correlata alla natura del potere esercitato. Se il

potere è vincolato, l’istruttoria è limitata alla verifica delle condizioni di

legge, se il potere è discrezionale, svolgendosi il processo decisionale

secondo schemi di maggiore complessità, in quanto occorre ponderare a

raffronto gli interessi coinvolti ai fini della loro sintesi ordinatoria,

l’istruttoria sarà proporzionata alla complessità e all’articolazione del

processo decisionale medesimo e sarà aperta all’apporto partecipativo dei

privati. E’ risalente l’affermazione che l’istruttoria non può mai

considerarsi <<meramente di parte perché deve rispondere a quei

principi di obiettività dai quali non può mai discostarsi la P.A.>> (52).

Il principio che regola l’attività istruttoria e che emerge sia dagli

orientamenti giurisprudenziali che dalla disposizione di principio di cui

all’art. 6, l. n. 241/90 è quello inquisitorio (53), in forza del quale il

responsabile del procedimento è chiamato ad esercitare il più ampio

potere di iniziativa ai fini degli accertamenti strumentali all’acquisizione

e all’integrazione del materiale istruttorio occorrente per l’emanazione

del provvedimento finale.

Il responsabile del procedimento è tenuto al doveroso accertamento dei

presupposti dell’atto amministrativo indipendentemente dalla circostanza

che questi coincidano o meno con quelli rappresentati dai terzi. Non

esistono preclusioni ai suoi poteri istruttori. Può assumere l’iniziativa di

compiere tutti gli accertamenti diretti a correggere e a rettificare eventuali

errori presenti nelle istanze dei privati, nonché a richiedere loro

integrazioni documentali, dovendo il provvedimento essere assunto sulla

base di presupposti rigorosamente riscontrati.

___________________________________________________________ (52) Cons. St., sez. IV, 13 dicembre 1957, n. 1185 in Foro Amm. 1958, I, p. 323. (53) Per il riconoscimento al principio inquisitorio della natura di principio generale dell’ordinamento cfr. TAR Lazio, sez. I, 20 dicembre 1986, n. 2334 in Foro Amm. 1987, p. 1531.

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Il responsabile può avvalersi anche dell’opera di altri organi

amministrativi in presenza di verifiche istruttorie di particolare

complessità e tecnicismo, con gli unici limiti della coerenza con le

esigenze istruttorie, originantisi dal divieto di appesantire il

procedimento; divieto posto, per esigenze di speditezza e di semplicità

dell’attività amministrativa, dall’art. 1, secondo comma l. n. 241.

La riforma della l. n. 241 disposta con la l. n. 15/2005, nel riscriverne

l’art. 22, ha previsto espressamente al 5° comma che l’acquisizione di

documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici <<si informa al

principio di leale cooperazione istituzionale>>.

Il responsabile del procedimento ha il potere-dovere di acquisire il

maggior numero possibile di dati e di elementi di giudizio, al fine di

attingere la “verità reale”.

Com’è stato giustamente osservato le regole che disciplinano l’istruttoria

procedimentale <<vanno lette alla luce del principio di fondo:

l’istruttoria deve tendere alla completezza>> (54).

Simmetrico al potere-dovere del responsabile è il diritto-potere

riconosciuto al privato di fornire all’amministrazione un progetto (o se si

vuole una proposta) di provvedimento o, a norma dell’art. 11, una

proposta di accordo (55).

___________________________________________________________ (54) La Barbera, La previsione degli effetti. Rilevanza giuridica del progetto di provvedimento, Torino s.d., p. 47. (55) Come osserva La Barbera, op. cit., p. 84 la comunicazione del progetto di procedimento è strumentale alla formulazione di altri progetti di provvedimento <<che, proprio in quanto tali, devono essere valutati dall’amministrazione>>.

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In tale prospettiva ne dev’essere rimarcato il potere-dovere di acquisire

all’istruttoria tutti gli elementi frutto dell’apporto collaborativo del

privato, secondo lo schema dell’istruttoria partecipata garantita dall’art. 7

della l. 241 (56).

Si può dire al riguardo che, fermo restando il principio di informalità

dell’istruttoria (correlato al principio inquisitorio che la sovrasta), donde

il carattere atipico ed informale dell’attività preparatoria dell’atto finale,

non di meno nei procedimenti discrezionali, nei quali il confronto

partecipativo è garantito con la (doverosa) comunicazione di avvio del

procedimento e con l’obbligo di valutare memorie e documenti prodotti

dal privato, l’istruttoria si svolge all’interno (e nel rispetto) di uno

schema normativamente determinato, tanto che l’omessa comunicazione

o l’omessa considerazione del materiale istruttorio fornito dal suddetto

ridondano a violazione del principio generale di tipicità del

procedimento. Lo schema procedimentale seguito, estraneandone il

privato, non corrisponde a quello delineato negli artt. 7 e 10 l. 241, ma ne

diverge e vi contrasta. La tipicità procedimentale, in questi casi, fa da

limite all’informalità che caratterizza l’istruttoria.

__________________________________________________________ (56) Secondo Cons. St., sez. V, 4 maggio 2004, n. 2725, in Mass. Cons. St. 2004, p. 325 <<La circostanza che gli artt. 15 T.U. 24 luglio 1992 n. 358 e 16 D.lgs. 17 marzo 1995 n. 157 consentono alle Pubbliche Amministrazioni di invitare le imprese concorrenti a una gara d’appalto a completare o fornire i chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni da esse prestati, rappresenta concreta applicazione e completamento del criterio del giusto procedimento introdotto dall’art. 7 L. 7 agosto 1990, n. 241, criterio la cui violazione ben può essere riconosciuta sintomatica di un comportamento dell’Amministrazione che, in luogo di valutare l’esistenza delle effettive condizioni di osservanza delle prescrizioni del bando di gara, ritenga di fermarsi al contenuto estrinseco e formale del documento senza valutare la possibilità di ammettere la ricorrente alla gara, in ossequio alla regola di maggior concorrenzialità>>

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Il responsabile deve procedere alla valutazione dei fatti costituenti il

presupposto del provvedimento e all’individuazione e alla ponderazione a

raffronto degli interessi sulla base della quale procederà alla elaborazione

del contenuto della determinazione provvedimentale. Di tale attività

rende dimostrazione la motivazione.

E’ risalente l’affermazione che il puro e semplice riferimento agli “esibiti

documenti” non implica e, quindi, di per sé, non dimostra l’avvenuta,

effettiva valutazione degli elementi acquisiti (57).

E’ necessario che si dia conto dell’apprezzamento compiuto dei fatti e

circostanze emersi dall’istruttoria e di tale apprezzamento il giudice

amministrativo controllerà la correttezza, sotto il profilo del rigore logico

e della coerenza con i dati acquisiti.

L’art. 3 l. 241 offre le basi di diritto positivo per questo giudizio di

coerenza, vincolando la motivazione alle risultanze dell’istruttoria. Con

ciò non si vuol negare la libertà di apprezzamento del materiale

istruttorio. Si vuole dire che questa, per non trasmodare in arbitrio, deve

esercitarsi nel rispetto dei criteri di coerenza e di consequenzialità.

___________________________________________________________ (57) Cons. St., sez. IV, 29 maggio 1973, n. 607, in Foro Amm. 1973, I, 2, p. 414.

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La patologia dell’istruttoria si manifesta nell’erroneità del presupposto,

percependosi come esistenti o inesistenti fatti che dagli atti risultano,

rispettivamente, insussistenti o sussistenti, o comunque attribuendo ai

fatti e circostanze assunti a presupposto del provvedimento una

considerazione diversa dalla loro realtà.

Assume rilievo anche la violazione dell’autovincolo istruttorio.

Se l’amministrazione si sia autodeterminata alla scelta e alla fissazione di

determinati criteri e modalità, questi la vincolano nell’espletamento

dell’istruttoria, salva la possibilità di derogarvi con idonea motivazione

che ne giustifichi e ne spieghi nel caso concreto l’abbandono.

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X - Vincolo della motivazione del provvedimento amministrativo alle

risultanze dell’istruttoria

L’esigenza dell’esternazione dei presupposti accertati nell’istruttoria sui

quali si fonda il provvedimento costituisce uno specifico aspetto della

generale problematica della motivazione a proposito della quale la

disposizione di principio posta con l’art. 3 l. n. 241 pone un rapporto di

stretta connessione tra risultanze istruttorie e corredo motivazionale

dell’atto. Si tratta, indubbiamente, della più rilevante prescrizione

contenuta nell’art. 3. Di essa – come è stato osservato - <<la

giurisprudenza può avvalersi al fine della ricomposizione dell’intera

sequenza logico-sostanziale del procedimento amministrativo e, quindi,

della ricostruzione dei passaggi essenziali del ragionamento compiuto

dall’autorità per pervenire alla decisione finale>> (58).

Ed invero il Consiglio di Stato ha più volte rimarcato il ruolo della

motivazione quale strumento di verifica della completezza e adeguatezza

dell’istruttoria sottostante le scelte provvedimentali (59). Ne consegue

che più complessa e “ricca” di elementi è l’istruttoria più ampia

dev’essere la motivazione (60).

__________________________________________________________ (58) Serra, Contributo ad uno studio sulla istruttoria del procedimento amministrativo, Milano 1991, p. 149. Cfr. pure Minetti, La motivazione dell’atto amministrativo, Matelica 2003, p. 84 secondo cui <<la motivazione contiene il risultato, la somma, di quanto avvenuto in fase istruttoria>>; nonché Zuballi-Savoia, La motivazione dell’atto amministrativo, Milano 1999, p. 59, secondo cui l’istruttoria <<deve trovare riscontro nella motivazione dell’atto>>. (59) Inter plurimis Cons. St., sez. IV, 3 aprile 1979, n. 230 in Cons. St. 1979, I, p. 467. (60) TAR Campania, sez. I, 21 marzo 1984, n. 208, in Foro Amm. 1984, I, p. 2186 secondo cui quanti più sono gli elementi di cui si impone la valutazione tanto più la motivazione deve essere estesa, al punto da comprenderli tutti.

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La novella, nel prescrivere all’art. 6, primo comma, lett. e) che l’organo

competente all’adozione del provvedimento finale, se diverso dal

responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze

dell’istruttoria da questi condotta se non indicandone la motivazione nel

provvedimento finale, ha reso ulteriormente stringente il vincolo che lega

il suo corredo motivazionale all’esito dell’istruttoria.

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XI – L’obbligo di motivazione dopo la l. n. 15/2005

La novella ha lasciato integra la disposizione di principio dettata dall’art.

3 l. 241 circa l’obbligo generalizzato di motivazione e la sua struttura, ma

all’art. 21 octies, sotto l’epigrafe “Annullabilità del provvedimento”, al

comma 2, ha precisato che <<Non è annullabile il provvedimento

adottato in violazione di norme [….] sulla forma degli atti, qualora, per

la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto

dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto

adottato>>.

La giurisprudenza aveva da tempo affermato, in coerenza col principio di

semplicità, che per gli atti vincolati, contraddistinti dalla assenza di

libertà di apprezzamento e di scelta, fosse sufficiente la mera

“giustificazione” del provvedimento e cioè l’indicazione dei presupposti

di fatto e delle ragioni giuridiche, indipendentemente dalla motivazione

in senso stretto e cioè dalla esternazione dell’iter logico seguito per

addivenire dalla ricognizione dei detti presupposti all’atto conclusivo.

La novella trae ispirazione da questo orientamento giurisprudenziale

favorevole alla sterilizzazione dell’effetto invalidante dei vizi formali e

potrebbe essere intesa nel senso che l’omessa motivazione dell’atto

vincolato, in quanto costituente difetto formale, non assurge al livello di

condizione di annullabilità (61).

___________________________________________________________ (61) Le prime pronunce dei TAR hanno applicato indiscriminatamente l’esenzione. Vedasi in proposito TAR Abruzzo-Pescara, 14 aprile 2005, n. 185, in Foro Amm. 2005, n. 1, XLI, che ha escluso l’annullabilità per difetto di motivazione del diniego di permesso di costruire <<qualora dall’esame degli atti di causa sia palese il fatto che l’Amministrazione non avrebbe potuto assentire il richiesto permesso in quanto la destinazione che si vorrebbe attribuire al manufatto da realizzare non è compatibile con le destinazioni previste nella zona dallo strumento urbanistico>>. Idem 14 aprile 2005, n. 174.

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La corretta esegesi della innovazione non consente peraltro di teorizzare

fondatamente l’“esenzione” a priori, generalizzata e assoluta,

dall’obbligo di motivazione negli atti vincolati. La norma dev’essere

comunque coordinata con il principio generale posto con l’art. 3

sull’obbligatorietà della motivazione che la novella ha lasciato inalterato,

non introducendovi distinzione alcuna tra provvedimenti discrezionali e

atti vincolati. Senza dire della possibilità che l’atto abbia contenuto in

parte vincolato (ad es. nell’an) e in parte discrezionale (ad es. circa il

quomodo), donde la sussistenza comunque dell’obbligo di motivazione

relativamente alle parti non vincolate.

La “giustificazione” dell’atto vincolato è da ritenere – per principio – un

obbligo ancora sussistente e funzionale al dovere di rendiconto della

verifica compiuta sui fatti e sulle circostanze emersi nell’istruttoria e

della rispondenza del caso concreto all’ipotesi astratta (62). Soltanto che,

in presenza di un atto vincolato, l’omessa “giustificazione” ridonda come

causa di “irregolarità” piuttosto che come causa di invalidità dell’atto, al

pari di quel che accade nell’ipotesi, pure prevista dall’art. 21 octies di

omessa comunicazione di avvio del procedimento, una volta che

l’amministrazione dimostra che comunque il contenuto del

provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato.

___________________________________________________________ (62) Secondo qualificata dottrina, Zuballi-Savoia, La motivazione dell’atto amministrativo, Milano 1999, p. 47, anche nell’attività vincolata, pur non avendo l’amministrazione nessuna scelta, <<essa deve pur sempre individuare il fatto, accertare che esso si inquadra nella previsione della norma…>>. Conforme Minetti, op. cit., p. 74, secondo cui gli atti vincolati <<non sono affatto esclusi dall’obbligo motivazionale, solo viene ridotto al minimo>>; nonché Scarciglia, La motivazione dell’atto amministrativo, Milano 1999, p. 299, secondo cui nel caso di provvedimento vincolato comunque la congruità della motivazione esige la presenza della <<giustificazione fattuale>> dell’atto, in disparte la <<giustificazione procedurale>> e la <<giustificazione di opportunità>> necessarie per i provvedimenti discrezionali.

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Irregolarità ammessa a sanatoria in base al criterio del “raggiungimento

dello scopo” che la norma in commento ha fatto proprio estendendolo ad

entrambe le ipotesi considerate.

In definitiva l’art. 21 octies non introduce una vera e propria eccezione

alla regola della invalidità dell’atto non conforme allo schema legislativo

e quindi violativo della legge, ma ne ammette la sanatoria nel processo,

dove l’amministrazione è chiamata ad accollarsi l’onere (all’assolvimento

del quale la sanatoria è subordinata) della dimostrazione, quanto alla

prima ipotesi, della natura vincolata dell’atto e, quanto alla seconda

ipotesi, dell’inesistenza di alternative decisionali.

La novella, sempre nel capo IV bis, precisamente all’art. 21 septies, ha

previsto che <<E’ nullo il provvedimento che manca degli elementi

essenziali>>. Sarebbe semplicistico escludere l’applicabilità della norma

in tutti i casi di vizio della motivazione sul presupposto che la

motivazione è elemento formale e, come tale, inessenziale, donde

l’annullabilità e non la nullità dell’atto di essa carente.

Sennonchè una tale opzione ermeneutica si scontra con la dottrina

tradizionale incline a considerare la “forma” del provvedimento come suo

elemento essenziale (63).

___________________________________________________________ (63) Virga, Diritto amministrativo, vol. II, Milano 1992, p. 42 ss. che identifica gli elementi essenziali del provvedimento nell’agente, nella volontà, nell’oggetto, nella forma. Per l’affermazione che la motivazione è forma essenziale del provvedimento, parte della sua ontologia, tant’è che l’atto che ne è privo <<non è un provvedimento amministrativo>> cfr. Italia, Commento all’art. 3 l. n. 241/90 in AA.VV. Procedimento Amministrativo e Diritto di Accesso ai documenti, Milano 1995, p. 68. Secondo Cavallo, Provvedimenti e atti amministrativi in Trattato di Diritto Amministrativo a cura di Caianiello, vol. III, Padova 1993, p. 60 s. la motivazione costituisce <<il nucleo centrale in cui si articola la forma>>. Per l’affermazione che <<il difetto di motivazione non è un vizio meramente formale>> vedasi TAR Milano, sez. III, 11 ottobre 2004, n. 5521 in Foro amm. 2004, p. 2828. Nella stessa decisione viene pure rimarcato che: <<Al di là, infatti, della sua qualificazione in termini di violazione di legge, in forza dell’art. 3 l. n. 241 del 1990, la carenza di motivazione inficia il provvedimento che ne è affetto nella sua intima sostanza>>.

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Senza dire che l’atto incongruamente motivato e di conseguenza

perplesso nella misura in cui non consente, in quanto tale, di cogliere la

volontà in esso manifestata, non può non essere esposto alla sanzione

della nullità.

Nelle cornici normative definite dalla riforma l’obbligo di motivazione

che incombe sul responsabile del procedimento si conforma con

molteplici configurazioni ed aspetti.

Il responsabile deve accompagnare il preannuncio di rigetto della

domanda con la motivazione giustificativa del progetto di provvedimento

negativo ai sensi dell’art. 10 bis, tenendo poi conto dell’apporto

partecipativo dell’interessato ai fini di definire il corredo motivazionale

del provvedimento finale anche in base al materiale istruttorio (memorie

e/o documenti) da esso forniti.

Il responsabile deve motivare la generalità degli atti da lui medesimo

adottati o predisporre la motivazione degli atti che saranno adottati

dall’organo competente all’adozione del provvedimento finale. Anche

per gli atti vincolati è obbligatoria la motivazione nella forma ridotta

della “giustificazione” (indicazione dei presupposti accertati

nell’istruttoria), pena la difformità dallo schema normativo, peraltro

sanabile.

La motivazione deve essere in grado di manifestare la volontà

dell’amministrazione. Se incongrua e perplessa al punto da non

consentirne la ricostruzione l’atto è nullo.

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XII – Tempestività dell’azione amministrativa e “danno da ritardo”

Il responsabile del procedimento – come va ribadito – ha il potere-

dovere, ai sensi dell’art. 6 l. n. 241, di assumere tutte le iniziative e di

adottare tutte le misure occorrenti ad assicurare speditezza e tempestività

all’azione amministrativa.

D’altra parte il privato ha una pretesa tutelata alla conclusione del

procedimento (sia esso d’ufficio che ad iniziativa di parte) nel rispetto del

termine finale disciplinato dall’art. 2.

Il trasmodare dell’attività dal termine conclusivo del procedimento e

l’assunzione tardiva del provvedimento finale danno la stura a

responsabilità che, a molteplice titolo (penale, disciplinare,

amministrativa), incombono sul responsabile dell’istruttoria e dell’organo

che adotta il provvedimento conclusivo (ove le due funzioni non

convergano nello stesso soggetto).

Sul danno da ritardo, a seguito di recente ordinanza della IV sezione del

Consiglio di Stato (64), è stata coinvolta l’Adunanza Plenaria che si

dovrà pronunciare, oltre che sulla spettanza della giurisdizione al Giudice

amministrativo, che secondo la sezione rimettente sarebbe il corollario

del mancato esercizio di poteri autoritativi nei termini di legge (65), sulla

risarcibilità del danno stesso di per sé considerato, indipendentemente

dalla <<spettanza del bene della vita>> oggetto della potestà

amministrativa.

___________________________________________________________ (64) Ord. 7 marzo 2005, n. 875 in Giornale di dir. amm. 2005, p. 542. (65) L’ord. cit. osserva in proposito che non sarebbe ragionevole devolvere a giudici diversi la controversia relativa alla legittimità del provvedimento e la controversia relativa al ritardo nel provvedere e alla connessa responsabilità.

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L’”invito” che la IV sezione ha rivolto all’Adunanza Plenaria è di sancire

la responsabilità del danno da ritardo come effetto della violazione

dell’interesse procedimentale alla tempestività della definizione del

procedimento.

E’ auspicabile che l’Adunanza Plenaria faccia proprio questo indirizzo

che appare il più confacente al diritto comunitario e alla prospettiva di

evoluzione del diritto interno in conformità dei suoi principi richiamati

dall’art. 1, primo comma l. n. 241 novellata, tra i quali il principio

dell’affidamento e il principio di conclusione del procedimento entro un

termine certo.

Il privato vanta un legittimo affidamento alla conclusione del

procedimento nel rispetto del termine fissato dall’art. 2 l. n. 241. Si tratta

di un termine cogente per entrambe le parti: per l’amministrazione che

non può pretendere di superarlo, per il privato che non può pretendere un

anticipato provvedimento.

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La l. n. 241, art. 2, garantisce la certezza del tempo nei rapporti

amministrativi, avendo sottratto all’amministrazione il dominio sul tempo

della propria azione (66). Su tale certezza temporale (obiettiva) il privato

che entra in contatto con l’amministrazione costruisce la sua certezza

temporale (soggettiva). Il suo affidamento si radica nel dovere posto

dall’art. 2 anzidetto con la forza di un principio generale

dell’ordinamento amministrativo (67) e merita tutela risarcitoria

autonoma, costituendo la tempestività dell’azione amministrativa esso

stesso un <<bene della vita>> che l’amministrazione, non più struttura di

potere ma piuttosto struttura di servizi, è tenuta a rispettare.

___________________________________________________________ (66) Con fine ironia Merusi scrive che <<In principio il quando era discrezionale>>, op. cit., p. 20 e che <<L’antica discrezionalità nel quando che caratterizzava, salvo rare eccezioni derogatoriamente imposte dalla legge, l’attività della Pubblica Amministrazione viene sovvertita>>. (67) Il Consiglio di Stato, Ad. Gen. par. 21 novembre 1991, n. 141 ha rimarcato che la certezza del tempo nei rapporti amministrativi è divenuta, per effetto della l. n. 241/90, <<valore ordinamentale fondamentale>>.

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XIII – La generalità dei principi della l. n. 241 riformata e

dell’istituto del responsabile del procedimento

La l. n. 15/2005 ha novellato l’art. 29 della l. n. 241/90 per adeguarlo al

mutato quadro costituzionale successivo alle modifiche del tit. V della

Costituzione, così come ha riscritto l’art. 1 della l. stessa per

armonizzarlo col diritto comunitario.

La formulazione attuale dell’art. 29 è basata sulla distinzione tra

l’amministrazione statale e quelle regionali e locali. Per la prima la l. n.

241 si applica nella totalità delle disposizioni, per le altre nei principi

posti a presidio <<delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione

amministrativa>>.

Nonostante sia alquanto oscura e indeterminata la disposizione si presta

non di meno ad essere intesa come sostanzialmente confermativa

dell’originaria disciplina che qualificava le disposizioni di principio nelle

quali si articolava la l. n. 241 come principi generali dell’ordinamento

giuridico vincolanti sia le regioni a statuto ordinario che quelle a statuto

speciale, queste ultime tenute ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle

<<norme fondamentali contenute nella legge medesima>>.

Depone in tal senso la immediata contiguità (se non l’identità) della più

parte delle norme da essa dettate con i principi costituzionali e con i

principi dell’ordinamento europeo, in quanto tali idonee a vincolare il

legislatore regionale ai sensi dell’art. 117, comma 1 Cost.. Così è, ad es.,

per il principio del contraddittorio (o principio del giusto procedimento)

che ha base nell’art. 97 Cost. e per il principio della conclusione del

procedimento entro un termine certo, che si pone in rapporto di stretta

coerenza con l’art. II-101 della Costituzione Europea, che consacra il

diritto della persona alla conclusione del procedimento che la riguarda

entro un termine ragionevole.

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Inoltre, le materie disciplinate dalla l. n. 241 rientrano per lo più tra

quelle considerate dall’art. 117, comma 2, lett. m) o tra quelle di cui alla

lett. l) come tali appartenenti alla potestà legislativa esclusiva dello Stato

(determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti

civili e sociali) con ridotti margini di intervento per la legge regionale e

gli statuti degli enti locali che potranno incidere sulle materie di cui alla

lett. m) con disposizioni migliorative e non certo riduttive.

E questo vale, oltre che per la materia dell’accesso ai documenti

amministrativi, per quelle della partecipazione al procedimento e della

semplificazione amministrativa, per le quali resta affidata alla

legislazione regionale e all’autonomia statutaria e regolamentare degli

enti locali unicamente la potestà di fissare ulteriori livelli di tutela (68).

Si può dire in conclusione che, dal momento che il novellato art. 29 non

introduce per quanto anzidetto rilevanti modificazioni rispetto al testo

originario, l’ambito normativo all’interno del quale restano definito

l’istituto del responsabile del procedimento e regolata l’istruttoria

procedimentale è, in sostanza, quello fissato con l’originaria disciplina

della l. n. 241 integrata e modificata dalla l. n. 15/2005; disciplina che

conserva, in forza della immediata contiguità al dettato costituzionale e

alla stretta coerenza con i principi del diritto europeo, piena e universale

vigenza, applicandosi alla generalità dei procedimenti amministrativi

dello Stato, delle Regioni, degli enti locali.

___________________________________________________________ (68) Così Cerulli Irelli, op. cit.. In senso conforme Di Nitto, op. cit., p. 505 che esclude su queste basi l’esistenza di uno spazio di regolamentazione del procedimento amministrativo diversa da regione a regione e da comune a comune. Cfr. pure Mattarella, Il provvedimento amministrativo, Il Giornale dir. amm. 2005, p. 472 che argomentando dalla riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato della materia della giustizia amministrativa, perviene all’affermazione che in questo quadro è difficile ritenere che le leggi regionali possano modificare il principio per cui l’invalidità del provvedimento lo rende di regola annullabile e non nullo <<perché ciò significherebbe stravolgere il sistema di tutela giurisdizionale nei confronti dei provvedimenti amministrativi>>.

Francesco Castiello