Il rapporto tra architettura e suolo nell'opera di Sverre Fehn

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Il rapporto tra architettura e suolo nell’opera di Sverre Fehn PIETRO FRAPOLI

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Tesi di laurea triennale di Pietro Frapoli, Politecnico di Milano

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Il rapporto tra architettura e suolo nell’opera di Sverre FehnPIETRO FRAPOLI

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politecnico di milano architettura e societàscienze dell’architettura

IL RAPPORTO TRA ARCHITETTURA E SUOLO NELL’OPERA DI SVERRE FEHN

tesi di laurea triennale diPIETRO FRAPOLI 748091

RELATORE PROF. ANDREA DI FRANCO

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“La terra è l’architetto dei miei edifici; il modo in cui l’edificio è posto nel paesaggio dà al progetto la sua precisione. Il programma è dato dalla società, ma è la terra che dà una risposta.”

Sverre Fehn

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indice

04_Introduzione alla tesi

09_La genesi del pensiero architettonico e i primi progettiInterpretazione del paesaggio nordicoHvasser e la casa vacanzeMuseo per la collezione SandvigCrematorio a Larvik

21_La piattaforma come edificio: i padiglioniPadiglione norvegese per l’esposizione mondiale a BrusselPadiglione norvegese per la Biennale di Venezia

37_Le ville: una sperimentazione continuaAperture sul paesaggio: Villa Norrköping & Casa SchreinerUna linea sottile tra terra e cielo: Casa Arne Bodtker

53_Sopra e sotto l’orizzonteTerra come memoria: Museo a HamarSopra l’orizzonte: Tullinlokka SquareIl viaggio, la barca e il ponte: Museo della miniera a Røros

73_Tagli nel paesaggioUn viaggio negli abissi: Museo per la nave WasaGalleria ai confini del mondoEstensioni del paesaggio: Museo dei graffiti rupestri

89_Esperienza progettuale Studio B3 e Conclusioni

112_Bibliografia

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Durante i primi sei mesi del mio percor-so erasmus alla scuola di architettura di Oslo “AHO” ho avuto l’occasione di partecipare al laboratorio architettoni-co “Studio B3”, iniziato da Sverre Fehn negli anni ’70 e tenuto ora dall’archi-tetto e professore Per Olaf Fjeld, uno dei massimi esperti dell’opera di Fehn in quanto suo amico e per anni colla-boratore alla AHO ed collega di lavoro.

Il tema del rapporto che l’architettu-ra instaura con il suolo è sempre stato presente nei miei lavori per i laboratori di progettazione al Politecnico di Milano e ho sempre avuto la convinzione che l’architettura acquisti il suo significato particolare dal modo in cui si appog-gia, si distacca o s’inserisce nella terra.Le lezioni del professor Fjeld racconta-vano spesso questa relazione tra l’archi-tettura e il suolo, fatto che mi ha spinto a intraprendere uno studio dell’opera di Sverre Fehn. La ricerca si è rivelata sor-prendente e affascinante, in particolare scoprire come lo stesso tema del rappor-to tra architettura e terra si sviluppi du-rante la carriera di Fehn in modi differenti e attraverso una miriade di storie e di-segni che rappresentano il terreno fertile in cui nascono e crescono le sue opere.

Questo lavoro non vuole tanto descrive-re nel dettaglio ogni progetto presentato, quanto portare alla luce il principio fon-dante di ognuno di essi, quel racconto che permette a Fehn di piazzare il suo edificio in un luogo preciso tra il cielo e la terra. Nel susseguirsi dei capitoli - dopo una

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breve introduzione al contesto in cui si sviluppa il pensiero di Fehn - il tema del suolo si declinerà in forme differenti, la piattaforma che si appoggia sul terreno, la linea tra terra e cielo, il rapporto con l’o-rizzonte e il taglio nella “pelle” della terra.

Lo sviluppo di questo lavoro e la par-tecipazione alle lezioni di Per Olaf Fjeld hanno stimolato una ricerca per-sonale sulle ragioni fondanti del mio modo di fare architettura, motivo per cui presento in conclusione il lavo-ro svolto durante il semestre in Studio B3, come frutto di questa esperienza.

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LA GENESI DEL PENSIERO ARCHITETTONICO E I PRIMI PROGETTI

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INTERPRETAZIONE DEL PAESAGGIO

Per potere raccontare l’opera di Sverre Fehn è necessaria una breve introduzione al contesto culturale che determinerà la formazione del suo pensiero architettonico.La Norvegia era allora un paese povero e piuttosto isolato dall’Europa, nel quale si stava sviluppando al contempo un fervido dibattito architettonico. Ciò che influenzava la produzione architettonica del tempo era un paesaggio, quello norvegese, che non lasciava molta libertà di espressione, a causa anche di un clima assai rigido fatto di inverni lunghi e freddi.L’interpretazione del paesaggio e la lettura delle condizioni climatiche erano quindi fattori essenziali, la casa era una protezione e veniva posizionata in modo da massimizzare il potenziale del luogo. A ciò si aggiungeva un religioso rispetto per il potere della natura che questi paesi hanno sempre avuto; l’architettura era quindi semplicemente un rispondere alla natura come forza che può essere contrastata e controllata.

Arne Korsmo fu un architetto norvegese dei primi del ‘900, propagatore del movimento internazionale che Fehn avrà l’occasione di avere come maestro alla scuola di architettura, ed egli ricorda la prima lezione a cui partecipò iniziare con queste parole:

“Non sono capace di insegnare la differenza tra il bello e il brutto, e neanche posso discriminare la Renaissance a favore del Gotico. Ma quando mi trovo

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su un ponte e vedo due case, una da ogni lato come se il paesaggio si aprisse e chiudesse prima di noi, penso questo: da un lato voglio vedere fuori, dall’altro cerco protezione. Questa è l’essenza della mia architettura: un aprirsi e un chiudersi al paesaggio.” 1

Un aprirsi al paesaggio e un chiudersi a esso determinano infatti buona parte del pensiero architettonico di Fehn.

HVASSER E LA CASA VACANZE

Hvasser si trova a cento chilometri a sud di Oslo, ultimo baluardo del fiordo, e lì Fehn passerà le sue estati nella casa al mare. Il paesaggio che da lì si osserva – mare e rocce - ha influenzato in maniera decisiva la crescita del suo pensiero architettonico, contribuendo a sviluppare alcuni temi di principale importanza come l’orizzonte e la connessione tra il cielo e la terra. In quel luogo infatti Fehn trovava la privacy nella quale poter dirigere il pensiero che era dietro a progetti e lezioni. In particolare il fienile rosso rappresenta ciò in cui Fehn ha portato i concetti basilari dell’abitare al loro estremo: senza comfort né tecnologia, la vita era piuttosto primitiva. Al contrario della casa bianca che Fehn aveva a fianco del fienile, quest’ultimo disponeva di una larga finestra nella sala principale che dava una vista sulle fattorie del vicino fino all’orizzonte sul mare, lontano.

Il periodo delle vacanze era quindi un’occasione per sviluppare il cuore delle lezioni semestrali e del lavoro del suo ufficio. Tale enfasi su di una piccola

Paesaggio norvegese e foto della casa vacanze a Hvasser

1 Per Olaf Fjeld, Sverre Fehn: The Pattern of Thoughts, The Mona-celli Press, 2009, p. 15

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La casa bianca a Hvasser

Museo collezione Sandvig, Lilehammer, Norvegia: pianta e sezione

OPPOSTO Schizzo: “al mare”

e apparentemente ordinaria casa di vacanze ci fa riflettere su un altro aspetto del paesaggio Norvegese: il cambio drastico che avviene dall’ inverno all’ estate, a cui segue un altrettanto drastico cambio del modo di vivere. Molti architetti scandinavi della metà del ventesimo secolo infatti si trasferivano nelle loro tenute estive per sfruttare appieno i pochi mesi caldi e per vivere il più possibile secondo quella cultura che le loro architetture esprimono così bene.

Questa occasione di sperimentare il paesaggio in prima persona – il mare, le rocce l’orizzonte a Hvasser – formerà quindi il bagaglio culturale e mentale che Fehn utilizzerà per progetti e lezioni durante la sua carriera e la sua vita.

I PRIMI PROGETTI

Subito dopo la laurea Fehn partecipò ad alcune competizioni col compagno di studi Geir Grung, e nel 1949 vinsero il primo premio per il progetto di un museo a Lilehammer che ospitasse la collezione di artefatti norvegesi Sandvig.Questo progetto ci presenta in nuce le intenzioni di Sverre Fehn in architettura. Una struttura modulare viene progettata in relazione alla topografia del sito come una continuazione del paesaggio stesso e tutt’oggi, nonostante la costruzione non abbia seguito le intenzioni iniziali del progetto, questo aspetto rimane di fondamentale importanza.Lo spazio workshop e alcune aree adiacenti (purtroppo mai costruite) rappresentano gli spazi più interessanti, con un percorso tortuoso che segue

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la pendenza del terreno fino alla parte principale del museo. Inoltre la luce naturale entra sia da aperture nel muro che dall’alto come risultato della sezione trasversale che si ripete.Il suolo si delinea come elemento fondante dell’architettura di Fehn, anche se la relazione con esso cambierà parecchio col passare del tempo.

Il Crematorio a Larvik è un progetto del 1950 in cui Fehn intraprende alcune direzioni a livello spaziale che ritroveremo in molto del suo lavoro successivo.Il progetto è costituito da un lungo muro con una sola apertura situato sulla costa e parallelo al litorale. Il progetto mette in moto, secondo le parole di Fehn, un rapporto tra il banale e il tragico. L’apertura offre da un lato una vista sul mare e sull’orizzonte offrendo una dimensione senza scala, mentre dall’altro lato si affaccia sulla città tornando dalla stanza della natura alla banalità della città e dei vecchi edifici.In questo progetto troviamo in primis il tema del muro che divide e che mette in moto

OPPOSTO Crematorio, Larvik, Norvegia: modello in argilla

Crematorio, Larvik, Norvegia: pianta e viste del modello

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profonde interazioni spaziali, e a livello figurativo il tema del taglio nel paesaggio.Il progetto del crematorio per la sua semplicità ci porta a parlare dell’esperienza che nel 1951 Fehn fece in Marocco dove ebbe l’occasione di studiare l’architettura vernacolare. Rimarrà molto affascinato dall’esperienza provata ai confini del paese con il deserto, per cui farà una lezione alla sua classe proprio su questo.

“È nel deserto, nell’area di confine tra Marocco e Sahara, che uno raggiunge l’interminabile, un posto senza dimensione. Qui la quantità di materia, tra una persona e il cielo, non è niente di più che la propria ombra, la luce e la sabbia. (…)In questo paesaggio il pozzo è il punto più preciso. Il pozzo e l’umido costruiscono giù dentro la sabbia. È solo l’ombra che dà al muro una storia.” 2

OPPOSTO Schizzo: “La casa nel deserto con un vaso d’argilla. Questa deve essere la semplicità”

Marocco: Il deserto

2 Per Olaf Fjeld, op. cIt., p. 42

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OPPOSTO Schizzo: Marocco, 1951

Il modo di vivere e le abitudini di Fehn si traducono in un’architettura primordiale che fa ricorso a un vocabolario altrettanto basilare, supportato inoltre da miriadi di storie, brevi racconti e schizzi attraverso cui esplora i concetti alla base del suo lavoro.

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19LA GENESI DEL PENSIERO ARCHITETTONICO E I PRIMI PROGETTI

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LA PIATTAFORMA COME EDIFICIO : I PADIGLIONI

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LA PIATTAFORMA COME EDIFICIO: I PADIGLIONI

“Fino a dove la direzione della storia ar-chitettonica spetta alla struttura dell’e-dificio? Quanto dovrebbe decidere? Dovrei forse esporre solo porzioni della mia immagine di stanza? Quanto di que-sta stanza dovrei nascondere e quanto dovrei mostrare a chi sta fuori? L’intero racconto architettonico si gioca in un’or-chestra di struttura, e la luce del giorno è quel materiale che ne rafforza la trama.” 3

Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni 60 Fehn si aggiudicherà il primo premio per due importantissime competizioni. La prima per il Padiglione Norvegese per l’E-sposizione Mondiale a Brussel (1956-58), la seconda per il Padiglione dei Paesi del Nord alla Biennale di Venezia (1958-62).Questi due progetti rappresentano for-se l’apice del successo a livello inter-nazionale della sua carriera architet-tonica; progettò entrambi i padiglioni da solo in un periodo in cui l’ottimismo per la ricostruzione della Norvegia post-bellica non compensava un’eco-nomia ancora povera prima della sco-perta del petrolio nel Mare del Nord.

Entrambi i progetti hanno alcuni aspetti in comune, ed in particolare il rapporto che gli edifici intraprendono col suolo è messo in luce da uno schizzo del 1980 in cui Fehn ci propone la piattaforma come edificio.

Schizzo: 3 marzo 1980, “La piattaforma. Questo è già un edificio. Piattaforma per esposizione. La piattaforma protegge gli oggetti dalle pareti scorrevoli.”

OPPOSTO Fasi di costruzione del padiglione di Brussel Ombra degli oggetti in esposizione

3 Per Olaf Fjeld, op.cit., p. 64

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PADIGLIONE NORVEGESE PER L’E-SPOSIZIONE MONDIALE A BRUSSEL

Il padiglione di Brussel è il risultato di estrema raffinatezza e precisione nell’u-so dei materiali e di un layout tanto sem-plice quanto funzionale. L’edificio è “in-castrato” nel terreno, chiuso lungo tre lati e funziona da filtro per luce e aria. Colonne in plexiglas e una copertura traslucida conferiscono a luci e ombre molteplici gradazioni, qualità essenziale per la mostra degli oggetti. L’interesse di Fehn era inoltre quello di sperimenta-re come un uso minimo di materiali po-tesse dare allo spazio una precisa iden-tità. A tenere insieme la costruzione di 37mq vi erano infatti solo 48 bulloni; le travi in legno lamellare che stavano so-pra i muri di cemento erano di legname Norvegese mentre la copertura semi-trasparente era in Co-Coon, una resina epossidica spruzzata sopra fili di nylon.

Ciò che più interessa la nostra tesi è il rapporto che il padiglio-ne intraprende con il contesto.Esso è composto da tre zone princi-pali che indagano il rapporto tra ma-teria e luce in modi differenti. Abbiamo una stanza opaca, una traslucida e una in diretto contatto col cielo; que-ste stanze sono messe in comunica-zione tra loro attraverso larghe porte che scorrono tra le travi di legno ge-nerando numerose possibilità spaziali.Il padiglione è inoltre influenzato dal la-voro di Mies e Wright: l’edificio è infat-ti incastrato nel terreno e allo stesso tempo fluttua su di una piattaforma che lo stacca dal suolo quel tanto che ba-

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Padiglione di Brussel : vista dall’esterno e dall’interno

OPPOSTO : Sezioni e facciata di ingresso

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Padiglione di Brussel: pianta

OPPOSTO Padiglione di Brussel: viste interne

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sta per separare ciò che è fuori da ciò che sta dentro, in una dimensione mai manichea nella divisione degli spazi. La soglia d’ingresso è, infatti, incerta, come incerta ovvero non assoluta né precisa, è la divisione tra una stanza e l’altra operata dalle porte scorrevoli.

PADIGLIONE NORDICO ALLA BIENNA-LE DI VENEZIA

Il padiglione di Venezia intraprende col suolo un rapporto simile a quello di Brus-sel. La semplice e classica pianta – libera da strutture interne – era stata posizio-nata accuratamente non tanto nel sito quanto sul sito: pezzi di tetto vennero in-fatti tagliati per far spazio alle preesisten-za naturali. Il lotto assegnato al padiglione aveva una grande presenza di alberi che Fehn tenne in gran considerazione poi-ché, a sua detta, ogni albero a Venezia è prezioso. Uno in particolare era stato posto a un angolo del lotto e le autorità avevano deciso di rimuoverlo, ma Fehn lo integrò invece nella struttura principale.

La scelta di costruire il pavimento in ar-desia nera norvegese era atta ad astrarlo dal sito di costruzione, in modo da non disegnare un preciso limite tra esterno e interno e allo stesso tempo non permet-tere alla piattaforma di fluttuare sul suolo. Sfortunatamente nel 1980 l’ardesia viene sostituita con un pavimento in marmo.Non vi si trova una precisa gerarchia tra natura, persone e gli oggetti mes-si in mostra: qualsiasi oggetto venis-se portato in quello spazio era coin-volto nella situazione architettonica.

Schizzo, 1993: “La colonna porta via il cielo. La chioma dell’albero fa sparire il cielo.”

OPPOSTO Padiglione di Venezia, L’albero abbracciato dalla struttura dell’edificio

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Padiglione di Venezia: planimetria con padiglioni Americano e Danese

OPPOSTO Padiglione di Venezia, sezione e pianta

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35PIATTAFORMA COME EDIFICIO : I PADIGLIONI

OPPOSTO : Padiglione di Venezia: scala piramidale

Per quanto riguarda la copertura troviamo delle sottili travi di cemento che formano una struttura a due livelli e portano la luce naturale nell’edificio. Gli alberi dal terreno crescono e si aprono al cielo passando attraverso la griglia. Sopra di essa vi è una copertura trasparente in fibra di vetro.I visitatori sono portati all’interno di uno spazio dominato da una luce e un silenzio nordici che contrastano nettamente con la luce brillante e il contesto veneziano.

I padiglioni di Fehn ci raccontano l’in-contro della struttura con la terra: in un dialogo che non vede vinti né vincitori la costruzione si pone sul lotto senza an-nientarlo, ma valorizzandone gli aspetti caratteristici di preesistenza e formazione.A Brussel la piattaforma si fa portatrice dell’edificio che si incastra delicatamen-te nel terreno, mentre a Venezia il pavi-mento in ardesia instaura un rapporto di inclusione-esclusione col paesaggio, valorizzando il contrasto tra l’architettu-ra del Nord e l’ambiente mediterraneo.

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LE VILLE : UNA SPERIMENTAZIONE CONTINUA

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LA SCALA UMANA

Tra gli anni ’60 e ’70 Sverre Fehn ha oc-casione di progettare numerose ville su commissioni private, che rappresentano il terreno fertile su cui Fehn sperimenta molti dei concetti alla base dei suoi più im-portanti progetti futuri. Di frequente veni-va assorto dal progetto di una villa, tanto quanto sarebbe stato in progetti di sca-la e importanza di gran lunga maggiori.

Era solito dire che “uno non controlla lo spazio architettonico fin quando non at-tacca la scala umana” 1 e senza dubbio Fehn aveva possibilità di sperimentare e lavorare a questa scala nel progetto di alcune delle sue ville per famiglia singola.

Ogni progetto è caratterizzato da un uso sobrio dello spazio e dei mate-riali, tipico dell’architettura scandina-va, e ruota intorno ai temi di acqua e fuoco, da cui ricava tutte le decisioni spaziali. Acqua come fonte primaria di sopravvivenza e fuoco come prote-zione e fonte di luce nelle ore notturne. Da questi simboli ricava delle precise configurazioni spaziali andando al cuo-re di ogni attività, cercando di man-tenere una consapevolezza di come uno usa le cose, l’acqua e il fuoco.

“La tragedia arriva quando uno inizia ad abitare con luce istantanea da tut-te le parti. Legato al focolare vi era un rituale cui apparteneva un certo aspet-to di tipo temporale. Ora non ci si può più nascondere nell’oscurità.” 2

Schizzo: ciotola come contenitore per raccogliere l’acqua

OPPOSTO Schizzo, Villa Rotonda, 1984-85

INIZIO CAPITOLO Schizzo, La pentola per far bollire l’acqua

1 Per Olaf Fjeld, op.cit., p. 682 Per Olaf Fjeld, op.cit., p. 70

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Ogni casa ha una particolare relazione con l’esterno che gli è vicino, in parti-colare se pensiamo all’estrema diffe-renza, nel modo di abitare nordico, che vi è fra periodo invernale ed estivo. Di-verso è infatti fare un’apertura nel muro o aprire delle porte scorrevoli (Schrei-ner House) e addirittura un angolo del-la casa come nella Villa Norrköping.

APERTURE SUL PAESAGGIO: VILLA NORRKÖPING & SCHREINER HOUSE

Villa Norrköping e Casa Schreiner risal-gono agli inizi degli anni ’60 e ci interes-sano per il rapporto che intrattengono col contesto a loro subito adiacente.Fehn inizia a scrivere una serie di sto-rie incentrate su conversazioni fanta-stiche con Palladio; una di queste ben spiega il problema che sta alla base della costruzione di queste due ville.

“Sverre Fehn: L’interno è uno spettaco-lo teatrale con la luce. Le porte scorre-voli che portano l’oscurità cambiano la pianta da nove a una stanza. In que-sta casa incontrai Palladio. Era stanco.Palladio: Tu metti tutte le stanze dei ser-vizi, come i bagni e la cucina, nel cen-tro della casa…Io vi ho fatto una grande stanza là, e tu sai bene che le cupole con la luce da sopra erano senza ve-tro in quel periodo. Disegnai la stanza come un’ovazione alla natura. Può esse-re riempita con pioggia, caldo e freddo.Sverre Fehn: E le quattro direzioni?Palladio: Ah certo! Sai (e comincio a diventare piccolo piccolo) in quel pe-riodo avevamo perso l’orizzonte. Si fer-

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mò per un attimo. Tu hai aperto gli an-goli…sei vicino al perdere la terra.” 3

Il problema alla base di queste ville è un problema di orizzonte: che cosa guarda-no? A cosa sono rivolte le mura della casa?

Villa Norrköping ha una pianta a croce greca con al centro i servizi principali le-gati alle attività di acqua e fuoco, quin-di cucina, bagni e camino, e tutto ruota intorno a luce e oscurità. Il centro della casa è il punto oscuro che è compen-sato dalla luce che entra attraverso le aperture agli angoli. Le porte scorrevoli interne alla pianta rappresentano un’altra caratteristica fondamentale per la quali-tà spaziale della villa. Attraverso di esse Fehn disegna uno spazio dalle moltepli-ci possibilità che raggiunge la massima funzionalità operando insieme agli angoli apribili della casa. Tutto ciò persegue il disegno dei cosiddetti spazi interstiziali che non appartengono né a un esterno né ad un interno, spazi che assumo-no caratteristiche differenti col passare delle stagioni, ma sempre atti a intrat-tenere un rapporto visivo col contesto.

Casa Schreiner, cui Fehn si riferisce spesso come il suo omaggio al Giappo-ne, è compatta e allo stesso tempo aper-ta. La facciata rivolta alla strada è per lo più un muro chiuso, mentre la facciata opposta, composta da porte scorrevoli in vetro, si apre al giardino e alla foresta adiacente. Il cuore della casa è occupato ancora una volta da cucina e focolare.Ciò che più colpisce nella visita di que-sta abitazione è l’apparente neutralità del suo instaurarsi nel contesto quando

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Villa Norrkoping: viste dell’interno e sezione dell’angolo di vetro

3 Per Olaf Fjeld, op.cit., p. 80

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Villa Norrkopping: vista dall’esterno, cucina al centro della casa, vista del modello della struttura

OPPOSTO: Villa Norrkopping, sezioni e pianta

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Casa Schreiner: vista dal giardino sul retro e vista dell’interno

OPPOSTO: Casa Schreiner

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uno vi arriva dalla strada. È necessario infatti attraversarla o aggirarla attraver-so il portico esterno per capire l’atten-zione profonda e rispettosa con cui essa si approccia a ciò che la circonda.

UNA LINEA SOTTILE TRA TERRA E CIELO: CASA ARNE BØDTKER

Casa Arne Bødtker – altrimenti chia-mata casa zigzag – viene costruita tra il 1961 e il 1965. Non ricevette una grande attenzione all’epoca, ma pre-senta alcuni punti di notevole inte-resse che esploreremo brevemente.Dall’esterno appare piuttosto ordinaria, ma la sua complessità spaziale inter-na è sorprendente. In pianta è un pa-rallelogramma e al centro vi sono tre murature a “V” che mettono in moto una sequenza di spazi interni ed ester-ni per tutti e due i piani dell’abitazione.

Il rapporto che la casa instaura con la ripida collina in cui si trova è ben spie-gato dalle parole dello stesso Fehn.

“La casa Arne Bødtker è come una sotti-le linea disegnata tra terra e cielo. Il falco la usa come posatoio e sta al sicuro.” 4

Casa Arne Bodtker: vista della muratura a V interna

OPPOSTO Casa Schreiner, pianta e vista notturna

4 Per Olaf Fjeld, op.cit., p. 89

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49LE VILLE : UNA SPERIMENTAZIONE CONTINUA

Casa Arne Bodtker: pianta e vista del modello

OPPOSTO: Cas Arne Bodtker

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OPPOSTO: Casa Arne Bodtker, vista dalla casa sul panorama

L’abitazione abbraccia la collina e il passaggio dall’edificio alla disce-sa è oscuro e privato, quasi caver-noso; la facciata frontale guarda le cime degli alberi e il fiordo di Oslo.Il tema della caverna e dell’orizzon-te sono presenti in parte in que-sta casa, ma saranno esplorati più a fondo solo in opere successive.

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51LE VILLE : UNA SPERIMENTAZIONE CONTINUA

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SOPRA E SOTTO L’ORIZZONTE

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Museo a Hamar prima del restauro di Fehn

OPPOSTO: Museo a Hamar, viste interne

INIZIO CAPITOLO: Schizzo,”Il sogno di stare tra cielo e terra”, 1982

pag 52,53: Struttura in legno, rampa tra esterno e interno

SOPRA E SOTTO L’ORIZZONTE

“Tutto quello che costruiamo si scontra in qualche modo con il suolo, per questo motivo l’orizzonte diventa un aspetto importante dell’architettura.” 1

Durante tutta la sua carriera, ma in particolare nei progetti più recenti, Fehn è ispirato dal ruolo che la terra, il cielo e l’orizzonte giocano nella genesi del progetto architettonico.Questi temi non sono solo storie, metafore di un viaggio che l’architetto compie per giungere alla coscienza di ciò che fa, ma rappresentano il materiale concreto di cui la sua architettura si nutre. Per dirlo con le sue parole: “Il momento in cui la costruzione incontra la terra, essa dà sostanza alle sue dimensioni. La costruzione è quella forza che occupa la natura e procura la stanza per un viaggio architettonico.” 2

La stanza di cui parla è la stessa che abbiamo visto nelle conversazioni immaginarie con Palladio. L’architetto del Rinascimento infatti – secondo il pensiero di Fehn – ha cambiato il concetto di orizzonte, che è in qualche modo andato perduto. La sua Villa non ha orientamento, è un labirinto chiuso in sé stesso e nel momento in cui l’orizzonte è perduto, il desiderio che si ha è quello di ristabilirlo. Per questo motivo l’architetto fehniano si fa chirurgo che attraverso tagli nella terra (non come semplice pelle ma come profonda struttura che contiene le tracce di tutte le cose viventi) ristabilisce l’orizzonte e la stanza che mette in comunicazione

1,2,3,4 Per Olaf Fjeld, op.cit., p. 108-110

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55SOPRA E SOTTO L’ORIZZONTE

terra e cielo, passato e presente.

“La forma più semplice di architettura è la coltivazione della superficie della terra, fare una piattaforma. A questo punto l’orizzonte diventa l’unica direzione che si ha, e nel momento in cui il dialogo tra terra e cielo è stabilito uno può incominciare a considerarla una stanza. Una volta che la stanza esiste e un oggetto vi è posto dentro, tutte le decisioni spettano all’orizzonte”

Non si tratta quindi solo di stabilire la stanza, ma di capire “dove la singola ombra di ogni oggetto è proiettata” per capire dove tra la terra e il cielo quell’oggetto deve abitare. Per capire ciò si torna all’orizzonte, in quanto “nel momento in cui all’oggetto è offerto il suo orizzonte, esso trova di conseguenza la sua ombra”. 4

TERRA COME MEMORIA: MUSEO PER LA CONTEA DI HEDMARK AD HAMAR

Quando Fehn inizia la progettazione del Museo ad Hamar, l’orizzonte fisico ed altri orizzonti astratti sono diventati veri e propri strumenti per esplorare concetti spaziali.Nel 1967, il maniero – risalente alla fine del XII secolo - di un vescovo di Hamar versava in condizioni pessime, tale che la città decise che avrebbe dovuto essere demolito se non avesse ricevuto immediate ristrutturazioni.Il programma fu quello di farne un museo per la contea; il museo avrebbe dovuto essere freddo così da risparmiare sui costi di riscaldamento.

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Fehn decide di preservare le rovine del maniero, lasciare intoccato il “lavoro” che il tempo ha operato sulla materia, e attraverso rampe esterne e interne lasciare il terreno intoccato o disponibile per ricerche archeologiche.In questo senso vi è una certa somiglianza programmatica col Padiglione Veneziano: anch’esso infatti rispetta le precedenze storiche (in quel caso naturali) del sito.

“Dove tra terra e cielo devo porre le persone?” 5 era una domanda fondamentale che ruotava attorno alla progettazione dell’edificio. A ogni livello storico del museo Fehn associa un’astrazione dell’orizzonte, così da creare una sorta di paesaggio interno al museo che ha come unico punto fermo il suolo stesso.

Lo spazio espositivo del museo è definito da due file di colonne che percorrono tutta la lunghezza dell’edificio e si estendono giù fino al fiume. Le mura portanti originarie rimangono parte essenziale della struttura e fogli di vetro vengono attaccati all’esterno di essi ove fosse richiesto un tamponamento di facciate andate in rovina.

“Per me, la storia di questo edificio, tutti i segni nel terreno che non dovrebbero essere toccati, erano ciò che andava valorizzato, ed è stato questo pensiero che ha dato vita alle rampe e al ponte.” 6

Risulta chiaro come l’intento di Fehn non sia quello di ricostruire o restaurare un’epoca ormai passata; 5 Per Olaf Fjeld, op.cit., p.110

6 Per Olaf Fjeld, op.cit., p.116

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Museo a Hamar: pianta, sezione, prospetto OPPOSTO: Museo a Hamar, rampa che porta all’auditorium e apertura tra le rovine

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Museo ad Hamar: rampa, le rovine dell’edificio prima della ristrutturazione

OPPOSTO Museo ad Hamar, vista sull’esterno

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OPPOSTO: Museo a Hamar, percorso che porta all’entrata

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il Museo a Hamar continua infatti la sua, ora rallentata, disintegrazione e la storia viene preservata non come informazione, ma come memoria.

“Fehn porta ad essere, attraverso una struttura fisica, una costruzione mentale di terra e cielo. I ponti e le rampe mettono in campo nuovi orizzonti, e per questo egli è capace di porre i visitatori in un particolare luogo tra cielo e terra.” 7

[Per Olaf Fjeld]

UN VIAGGIO SOPRA L’ORIZZONTE: TULLINLOKKA SQUARE

Nel 1972 Fehn partecipa a una competizione per il progetto di una piazza nella città di Oslo. Nonostante Fehn non abbia vinto e il lotto rimanga tuttora un mero parcheggio, il suo progetto stabilì gli standard per ogni altro progetto di concorsi successivi.Egli disegnò la piazza come una sorta di contenitore per varie attività culturali. Attraverso una struttura leggera, per certi versi simile a una tenda, enfatizzò il contrasto con i pesanti edifici che vi erano intorno. In pianta è una griglia e gli spazi si organizzano liberi entro di essa. La copertura è composta da cupole, che avrebbero dovuto essere rivestite da piastrelle di ceramica blu; ogni cupola è supportata da quattro colonne.

Fehn continua il lavoro iniziato al Museo di Hamar, inserendo nella composizione una serie di rampe che collegano le strade a tre edifici pubblici che stanno attorno al lotto.7 Per Olaf Fjeld, op.cit., p.116

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65SOPRA E SOTTO L’ORIZZONTE

Usando le sue stesse parole, la piazza rappresenta chiaramente un viaggio al di sopra dell’orizzonte. Le strutture leggere a tenda e le rampe che si innalzano verso gli edifici preesistenti fanno sì che il progetto si stacchi dal suolo e appartenga a un qualche luogo al di sopra dell’orizzonte fisico.

Tullinlokka Square: vista del modello

OPPOSTO Schizzo, 1992, “La scoperta dell’oggetto” Museo ad Hamar: foto dell’interno

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Tullinlokka Square: viste del modello

OPPOSTO: Tullinlokka Square, piante, sezioni e prospetti

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IL VIAGGIO, LA BARCA E IL PONTE: MUSEO DELLE MINIERE DI RORØS

Nel 1979 Fehn disegna il progetto di un museo per le Miniere di Rorøs che non verrà mai realizzato, anche se in esso troviamo la convergenza di alcuni dei fondamentali temi architettonici dell’autore. Secondo le parole dell’architetto, “l’edificio mima le linee diagonali di un disegno in prospettiva del piano stradale. I temi eterni del viaggio, della barca e del ponte, i primi impulsi in relazione a una linea retta, erano divenuti spazi veri e propri in questo progetto. Nel movimento animale e umano, non c’è linea retta, ma una volta che sollevi l’edificio dal suolo la linea retta compare nello stesso modo in cui una ruota segna una linea retta sul terreno, un percorso dritto. La struttura dell’edificio include quella di una barca. Guardando fuori, uno vede la cascata e la pila di scorie [della mineraria n.d.r.]. La cascata scorre libera sotto di te. In un certo senso, le mie discussioni architettoniche convergono in questo progetto.” 8

L’edificio rivela una certa relazione tra luce e struttura che contribuiscono a disegnare uno spazio unitario. Non vi è niente da aggiungere o togliere né strutture secondarie o bisogno di mura di supporto. La struttura in sé stessa genera la sequenza spaziale, connettendo gli altipiani alla città mineraria, e regola l’esposizione museale attraverso il muro diagonale che percorre tutto l’edificio. Esso contribuisce inoltre a generare una notevole varietà di luce: quella che entra 8 Per Olaf Fjeld, op.cit., p.131

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69SOPRA E SOTTO L’ORIZZONTE

Museo delle Miniere di Roros: viste modello

OPPOSTO: Museo delle Miniere di Roros, planimetria

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Museo delle Miniere di Roros: schizzo e modello della struttura

OPPOSTO: Museo delle Miniere di Roros, sezioni e prospetti

dalla copertura si mescola infatti ai riflessi luminosi dovuti alle scorie minerarie.Questa singola struttura contribuisce ad un’espressione spaziale cui la luce conferisce un’identità; essa mette in comunicazione i due orizzonti della miniera e del paesaggio circostante.

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71SOPRA E SOTTO L’ORIZZONTE

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TAGLI NEL PAESAGGIO

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LA STORIA DEL TAGLIO

“La maschera e il taglio sono connes-si. La terra è la maschera degli og-getti perduti; il taglio scopre i loro na-scondigli. Il taglio non ha intenzioni, né espressioni se non come limite tra la luce e l’oscurità. È nelle sottili apertu-re tra queste due situazioni che Fehn trova la sua più forte espressione.” 1

[Per Olaf Fjeld]

L’invenzione di storie e immagini me-taforiche continua ad aiutare Fehn a scoprire il cuore di ogni proget-to, a esplorarne i concetti basilari. La relazione tra il cielo e la terra, che in una sorta di antagonismo si piegano alla mediazione dell’orizzonte, è stata parte fondante del suo approccio all’architet-tura e “tra le varie immagini che ha usa-to per queste discussioni vi era quella del taglio nella superficie della terra, che permette al cielo di entrare nel luogo oscuro sotto il suolo, e così facendo ri-vela i segreti della terra.” [Per Olaf Fjeld]

In questo modo il taglio nella pelle della terra rivela la divisione tra sopra e sotto il livello del suolo, disegnando quella stan-za che mette in relazione il cielo e la terra.

“L’architetto si fa chirurgo che taglia e apre la terra e non ha paura di strappare la vela [della barca] che ha mosso l’orizzon-te e ha difeso l’illimitato. Può disegnare luoghi sotterranei, che diventano la nuo-va via per viaggiare nel passato, in quan-to l’orizzonte affronta un nuovo viaggio.” 2 1 Per Olaf Fjeld, op.cit., p.230

2 Per Olaf Fjeld, op.cit., p.108

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75TAGLI NEL PAESAGGIO

Schizzi: “La vita si assopisce. Vita dopo la morte. L’unione nell’oscurita’”; sezioni

MUSEO PER LA NAVE WASA

Il progetto per il concorso del 1982 per il Museo della Nave Wasa è una dichia-razione di cosa Fehn intenda per taglio.

Utilizzando un vecchio e ormai asciutto banco di attracco per bar-che, riporta una vecchia nave del 17 secolo, recuperata nel 1961, alla sua po-sizione originaria sotto il livello del mare.La domanda critica è se la barca ora ap-partenga al mondo sopra o sotto il livello del mare: Fehn sceglie la luce cupa e la quiete che si trovano sotto la superficie.La nave Wasa mantiene il suo orizzonte costante ed è il visitatore che intrapren-de il viaggio, entrando con la luce al li-vello dell’albero maestro e scendendo giù fino alla barca sul fondo del mare.Il relitto ormai non ha più il potere di muovere l’orizzonte [ricordiamo che Fehn svilupperà numerose storie riguar-danti la barca che ha il potere di muo-vere l’orizzonte e cambiare la prospet-tiva] ma il taglio congela un momento di quel viaggio che la nave ha conclu-so e che è continuato dai visitatori.

GALLERIA AI CONFINI DEL MONDO

Nel 1988 viene chiesto a Fehn di proget-tare una galleria all’estremità di un’isola nel fiordo di Oslo. Per molti anni aveva già esplorato quest’area, data la vici-nanza della sua casa vacanze a Hvas-ser, sia a piedi che in barca e canoa. Il paesaggio del mare e delle rocce che lì si trovano era sempre stato lo sfon-do dei suoi disegni, schizzi e acquerelli.

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Museo per la nave Wasa: planimetria

OPPOSTO: Schizzo, Museo per la nave Wasa

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Il sito, una penisola di nuda roc-cia che guarda verso sud, che era chiamato World’s End, era forma-to da due massi di granito levigato dal mare. Tra di loro vi è una fessura in cui Fehn piazzerà la sua architettura.Il contrasto tra le due dimensioni, na-turale e artefatta, è forte ed i contorni delle rocce rafforzano e danno vigore a quelli dell’architettura. Ancora una vol-ta la luce svolge un ruolo fondamen-tale, contribuendo a dare una precisa identità spaziale alla costruzione. Essa fa da mediatrice tra i due livelli e, in particolare, la vecchia luce della crepa è trasformata nella luce della galleria. Sotto questo punto di vista trovia-mo alcune somiglianze col proget-to del Museo a Hamar, infatti anche lì la luce delle rovine è trasformata in quella della struttura aggiunta.Il posizionamento della galleria in-tensifica lo spazio tra la stanza del-la natura e la stanza dell’architettura.

ESTENSIONE DEL PAESAGGIO: MU-SEO PER I GRAFFITI SULLA ROCCIA

Il progetto per la competizione del 1993 per un Museo per i Graffiti sulla Roccia a Borge è un’estensione del paesaggio, un taglio nel paesaggio che, come un libro, apre una stanza affilata tra il cielo e la terra.Un tetto a falde si alza dal livello del suolo fino ad una piattaforma panora-mica in copertura; la parte aperta del libro è di vetro e si affaccia sulla collina e sui graffiti risalenti all’età del bronzo.

Lo spazio interno è un risultato diretto di questo taglio e le colonne piramida-

Galleria World’s End, Tjome, Norvegia: vista del sito, planimetria pianta e sezioni

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Schizzo: “Paesaggio calmo, le dolci linee orizzontali”

Graffito rupestre al Museo di Roros

OPPOSTO Galleria World’s End, Tjome, Norvegia: piante

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Museo dei Graffiti sulla Roccia, Borge, Norvegia: pianta

OPPOSTO Viste del modello verso la facciata di vetro e verso l’entrata

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83TAGLI NEL PAESAGGIO

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Museo dei Graffiti sulla Roccia, Borge, Norvegia: prospetti e sezione

Schizzo: Vista interna del museo a Borge

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85TAGLI NEL PAESAGGIO

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li - contribuendo inoltre a generare una luce sommessa - tengono aperta la fe-rita tra le due superfici (il tetto e il suo-lo). Fehn considera queste moli come tronchi di legno cavi che non possono essere separati dalla terra, allo stesso modo in cui i graffiti non possono es-sere separati dalla superficie rocciosa.

“I graffiti sulla roccia non hanno orizzon-te; essi sono nello spazio. La tela è la terra stessa. Il sole, la luna, e i simboli nel cielo sono graffiati sulla superficie; fi-gure grandi o piccole sono posizionate in un’immagine dell’universo. I simboli sono su nient’altro che la superficie della terra. E allora, quale può essere il conte-nuto di un museo sui graffiti rupestri?” 3

3 Per Olaf Fjeld, op.cit., p.250

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Graffito sulla roccia, Museo a Borge

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89ESPERIENZA PROGETTUALE STUDIO B3 E CONCLUSIONI

ESPERIENZA PROGETTUALE STUDIO B3 CONCLUSIONI

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ESPERIENZA PROGETTUALE

È da qualche anno che Studio B3 ha intrapreso una ricerca sullo spazio ar-chitettonico dove il rapporto tra Natura e Cultura rappresenta una motivazione decisiva, in ogni semestre sono sta-ti introdotti temi differenti ma connes-si fra loro, come ispirazione a ciascuno studente per una specifica investiga-zione spaziale. Negli ultimi sei mesi la sfida vergeva sul seguente tema: vi-vere e abitare – La Nuova Collettività. Per collettivo s’intende una “costru-zione sociale” che stimoli una relazio-ne cosciente tra persone e spazio e un’architettura che proponga allo stes-so tempo una precisa relazione con i fenomeni naturali che la circondano.

La mia personale investigazione spa-ziale parte da un’indagine sulle pos-sibilità che lo spazio distributivo ha di generare da sé un costrutto ar-chitettonico, e le relazioni che que-sto può intraprendere con il terreno.

I FASELa prima fase del lavoro presenta una serie di modelli che indagano questo tema at-traverso un’architettura modulare basata sulla forma del quadrato. Il vuoto che tro-viamo al centro di questo modello genera uno spazio nel sottosuolo che si apre e chiude alle funzioni che si trovano ai lati e definisce la distribuzione degli ambienti.

II FASEIn una fase successiva lo schema mo-dulare è andato semplificandosi e mi

I Fase: modelli di studio

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91ESPERIENZA PROGETTUALE STUDIO B3 E CONCLUSIONI

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sono confrontato con un contesto na-turale che entra nell’architettura e ne definisce le forme da dentro, la distribu-zione infatti è ricavata nello spazio inter-medio tra le funzioni e la natura stessa.Le funzioni principali si comportano come barche che fluttuano sulla su-perficie della terra e sono messe in re-lazione tra loro da questi spazi inter-medi che sono generati dalla natura stessa, la quale s’insinua nella materia e definisce il carattere dell’architettura.Un’analisi interessante riguarda inoltre come la percezione di quello spazio cambi in relazione a differenti condizioni di luce. Le varie stanze fungono, infatti, da lanter-ne luminose che guidano il percorso del visitatore attraverso gli spazi intermedi.

II Fase: Il vuoto centrale distribuisce gli ambienti

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III FASENei modelli successivi, il costrutto archi-tettonico si declina come una piattafor-ma spaziale, distaccandosi dalla forte direzionalità che i modelli precedenti pos-sedevano. L’edificio è costituito da due livelli: la piattaforma e le funzioni poste sopra di essa. Il disegno modulare della piattaforma è più semplice e chiaro, ed insieme alle cinque coperture a padiglio-ne contribuisce a definire la distribuzione degli spazi in relazione ad un contesto che in questa fase è ancora incerto. La piat-taforma potrebbe essere infatti interrata o semplicemente appoggiata sul suolo.Ciò che interessa maggiormente di que-sta fase è il rapporto tra ciò che sta sopra e ciò che sta sotto, articolato attraverso una serie di pieni e vuoti che generano una diversità spaziale capace di dare un carattere al luogo e portano luce al piano terra. Inoltre è introdotto il tema della cor-nice, data da strutture di setti verticali che inquadrano il paesaggio e suggeriscono ai visitatori un modo di vivere lo spazio.

IV FASENel passaggio alla fase successiva e ul-tima, il progetto mantiene l’impostazione di base, con i due livelli, i pieni e i vuo-ti e le cinque coperture, ma si chiarisce la relazione che l’architettura intrattiene con il suolo. L’edificio s’inserisce nel ter-reno scosceso, vi si incastra come una pietra. In questo modo il suolo stesso contribuisce a definire la forma del primo livello e a definire quindi gli spazi distribu-tivi, gli ingressi e le aperture sul contesto.Il primo piano copre il dislivello del terreno e si offre come piattaforma da cui osser-vare il paesaggio, che è inquadrato dai

II Fase: in-between spaces e vista notturna, le lanterne

OPPOSTO II Fase: vista notturna

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setti verticali, questa volta posti tutti nella stessa direzione per enfatizzare la vista.

III Fase: schizzo di una sezione, modelli preliminari di studio e mod-ello conclusivo

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99ESPERIENZA PROGETTUALE STUDIO B3 E CONCLUSIONI

IV Fase: pianta del basamento, prospetto e sezione

OPPOSTO III Fase: vista del modello

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IV Fase: pianta primo piano e sezione trasversale

PAGG 99-104 IV Fase: viste del modello in gesso

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CONCLUSIONI

Lo studio dell’opera di Fehn e la parte-cipazione al laboratorio Studio B3 han-no costituito un’esperienza nuova e inaspettata. L’analisi dei suoi progetti ha costituito un’occasione per approfondire un tema che da sempre mi affascina e di cui ho scoperto molteplici declinazioni. In un modo o nell’altro la gravità porta la materia in una sola direzione, ed essa ac-quista significato dal contatto col suolo e dal modo con cui con esso si relaziona. In Fehn ho trovato un maestro, non tan-to per il meraviglioso risultato della sua architettura, quanto per l’approccio che mi ha insegnato verso il fare architettura.

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107ESPERIENZA PROGETTUALE STUDIO B3 E CONCLUSIONI

Un approccio alla progettazione che na-sce sempre da un pensiero e una fede che permea la vita intera ed è genera-to dalle circostanze in cui la persona si trova a vivere. In questo modo l’archi-tettura non è semplice gioco di forma, ma prende vita da ciò che siamo noi.Il laboratorio è stato inoltre l’occasione per vagliare e approfondire le scoper-te che facevo durante il mio lavoro e per intraprendere una ricerca persona-le sui temi fondanti della mia poetica.

Esposizione degli elaborati e costruzione del modello in gesso

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109ESPERIENZA PROGETTUALE STUDIO B3 E CONCLUSIONI

Esposizione degli elaborati per la settimana “AHO WORKS”

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Testi originali tradotti dall’inglese dall’autore della tesi

IN COPERTINA Sverre Fehn: Schizzo di un interno per il Museo per la Nave Wasa

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Bibliografia

libri

Fjeld, Per Olaf Sverre Fehn - The pattern of thoughts, The Monacelli Press, 2009

Sverre Fehn – The thought of construction, Rizzoli New York, 1983

Flora, N., Giardiello, P., Guadalupi, R., Postiglione, G., Raffone, S. Sverre Fehn – Architetto del paese dalle ombre lunghe, Fratelli Fiorentino, 1993

Norberg-Schulz, Christian, Postiglione, Gennaro Sverre Fehn: Opera completa, Electa, 1997

riviste

The norwegian review of architecture, Arkitektur N 2009, “Sverre Fehn - Projects and reflections”

A+U Architecture and Urbanism, 1999 : 01 No 340, “Sverre Fehn – Above and Below the Horizon”

Byggekunst – The norwegian review of architecture, 1997 N. 2, “Sverre Fehn prosjekter 1993-96”

Domus, Milano Dicembre, 1963 Marzo, 1965 Dicembre, 1969 Ottobre, 1975 Luglio-Agosto, 1991

Casabella, Rivista internazionale di architettura, Milano Aprile 4-15, 1994 Gennaio, 1996

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