Il Quotidiano in Classe 08 2013-14

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IL QUOTIDIANO IN CLASSE

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© Copyright 2013by Osservatorio Permanente Giovani-Editoripubblicato da La Nuova Italia, RCS Scuola S.p.A., Milano

Coordinamento editoriale: Paolo MazzoniRealizzazione dei testi alle pagine IX, 63, 79: Gabriela Jacomella

Realizzazione: C.D.&V., Firenzeprogetto grafico e copertina: Marco Capacciolifotocomposizione e impaginazione: C.D.&V., FirenzeEditing: Isabella Benfante

Stampa: Tipografia Contini, Sesto Fiorentino (Firenze)

L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori vuole ringraziare l’Associazione Progetto Città, il Corriere della Sera, La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino e Il Sole 24 Ore per aver creduto per primi in una sfida dagli alti significati civili e sociali.Per il prezioso sostegno si ringraziano le testate: l’Adige, L’Arena, Bresciaoggi, La Gazzetta dello Sport, Gazzetta di Parma, Il Gazzettino, Il Giornale di Vicenza, Il Tempo, La Stampa, L’Osservatore Romano, L’Unione Sarda.

Si ringraziano per i contributi portati alla presente pubblicazione:

Peter Kann

per la Parte IAldo Cazzullo Anna Maria Di Falco Marco Imarisio Gianluigi Sommariva Luciano Fontana Corrado Peligra Fiorenza Sarzanini Giulio Tosone Emilio Giannelli Piero Cattaneo Gabriele Canè Michele Aglieri

per la Parte IIPaolo Giacomin Massimo Esposti Marco Bardazzi Annalisa Ferrari

per la Parte IIIIntesa Sanpaolo eni Telecom Italia FederalimentareRaiEnelUniCredit Focus Fondazione Sicilia La Gazzetta dello SportL’Osservatore Romano Regione ToscanaMaria Vezzoli Carlo Sorrentino Antonella Curioni

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IL QUOTIDIANO IN CLASSE

Per educare i giovani a distinguere il giornalismo di qualità dal resto dell'informazione

a cura dell’Osservatorio Permanente Giovani-Editori

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Si ringraziano per aver sostenuto il progetto “Il Quotidiano in Classe”:

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Chi siamo: l’Osservatorio Permanente Giovani-Editori si presenta IX

Le dieci regole del buon giornalismoPeter Kann 1

Parte IPresentare e approfondire le diverse forme di scrittura giornalistica 5

L’intervista Aldo Cazzullo 7Scheda L’intervistaAnna Maria Di Falco 11Il reportage Marco Imarisio 17Scheda Il reportage Gianluigi Sommariva 22L’editoriale Luciano Fontana 27Scheda L’editoriale Corrado Peligra 31L’inchiesta Fiorenza Sarzanini 35

Indice

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Scheda L’inchiesta Giulio Tosone 39La vignettaEmilio Giannelli 43Scheda La vignettaPiero Cattaneo 45Il servizio di cronacaGabriele Canè 55Scheda Il servizio di cronacaMichele Aglieri 59

Parte IIIl web applicato alla didattica 63

Il portale www.ilquotidianoinclasse.it secondo Paolo Giacomin 65Il portale www.ilquotidianoinclasse.it secondo Massimo Esposti 68Scrivere, leggere e comunicare nell’era digitale Marco Bardazzi 70Scheda Dalla lettura del giornale di carta alla scrittura per il webAnnalisa Ferrari 75

Parte IIILe iniziative speciali e i concorsi 79

Iniziative speciali

Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliereIntesa Sanpaolo 81Giovani, energia del futuroeni 83Scheda Energia e sviluppoMaria Vezzoli 85Scuolachefarete.itTelecom Italia/ Carlo Sorrentino 91Scheda Una cultura digitale per migliorare l’efficienza della scuola nella sua organizzazione e nei suoi processiAntonella Curioni 93Educazione alimentareFederalimentare 97Educazione alla conoscenza del giornalismo televisivo, attraverso il ruolo del servizio pubblicoRai 99

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Concorsi

La libertà delle idee a confrontoEnel 101Scheda L’efficienza energetica: meglio con menoMaria Vezzoli 102Economia… Ti diamo noi una lezione!UniCredit 108FOCUScuola: redazioni di classeFocus 110La cultura dello sport: imparare, pensare, vivere SportivaMenteFondazione Sicilia e La Gazzetta dello Sport 112Valori in corso: stiamo lavorando per noiL’Osservatore Romano 114Ambient’AMO-Percorsi di educazione ambientaleRegione Toscana 116

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IX

Può esistere una democrazia senza informazione? È possibile essere cittadini attivi e consapevoli, se non si conoscono le regole del gioco di cui si è parte

integrante? Quali filtri interpretativi servono per comprendere a fondo i mec-canismi della società in cui ci muoviamo? Domande retoriche, eppure – oggi più che mai – fornire una risposta è necessario.

Viviamo nell’era dell’informazione. Le notizie ci inseguono in ogni istante della giornata, dalla TV agli schermi degli smartphones. Un bombardamento continuo, dagli effetti non sempre positivi. Troppa informazione può avere conseguenze nefaste: un’overdose di dati non elaborati, un sovrapporsi caotico di voci destinato a creare confusione più che chiarezza, noia più che interesse, frustrazione più che entusiasmo.

Per questo diventa necessario crearsi un’abitudine alla lettura, alla visione, all’analisi. I filtri non nascono dal nulla; vanno costruiti, semmai, con pazienza e determinazione. Per evitare che la spinta a diventare parte attiva della società si esaurisca anzitempo. Perché i cittadini di domani non rinuncino in partenza al loro ruolo nella costruzione del futuro.

L’obiettivo di questo libro è tutto qui. Semplice, lineare, ambizioso. Una sfida che nasce da lontano: quando, nell’estate del 2000, un gruppo di giovani decide di opporsi a quella che all’epoca pareva essere una tendenza drammatica ed irreversibile – l’emorragia costante di lettori di quotidiani –. Oltre un milio-ne in meno, tra il 1975 e il 2000. Per questo è nato l’Osservatorio Permanente Giovani-Editori: per restituire agli italiani del futuro quella libertà di scegliere, di giudicare, di partecipare che nasce soltanto in presenza di uno spirito critico e indipendente.

Chi siamo:l’Osservatorio Permanente Giovani-Editori si presenta

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X

Nell’epoca di Wikileaks, del citizen journalism, la vecchia definizione di stampa come “quarto potere” assume un significato ancor più dirompente. Come ogni potere, però, anche i media hanno bisogno di essere utilizzati e frui-ti in maniera consapevole; in caso contrario, l’enorme potenziale democratico di cui sono latori rischia di andare disperso. La lettura dei quotidiani è uno dei mezzi più incisivi nella formazione dell’opinione pubblica di un Paese. È neces-sario, quindi, che tutte le parti sociali si impegnino affinché questo strumento venga utilizzato nel migliore dei modi.

L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori ha preso il largo proprio sull’onda di questa necessità, grazie all’appello lanciato dall’associazione fioren-tina Progetto Città a tutti gli editori italiani: uniamo le nostre forze per riavvici-nare i giovani alla lettura dei quotidiani. A quell’appello risposero per primi il gruppo RCS, che stampa il Corriere della Sera, e la Poligrafici Editoriale, con le sue testate Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno. Di lì a poco, nel 2002, si unì il gruppo Sole 24 Ore. Fu grazie a loro che “Il Quotidiano in Classe” prese il via, nell’anno scolastico 2000-2001.

Nel corso degli anni, molte altre testate hanno scelto di unirsi ai primi “pionieri”: L’Adige, La Stampa, L’Unione Sarda, Il Tempo, Gazzetta di Parma, Il Gazzettino, Il Giornale di Vicenza, L’Arena, Bresciaoggi, La Gazzetta dello Sport e L’Osservatore Romano. Al loro fianco, dal 2004, anche il sistema delle Fondazioni di origine bancaria, sia a livello nazionale con l’Acri (l’associazione che riunisce Fondazioni e Casse di Risparmio) che – per 27 di loro – su base territoriale.

Un obiettivo solo, molte iniziative: da “Il Quotidiano in Classe”, che ogni settimana coinvolge studenti e professori nella lettura critica di più giornali (e il cui percorso si snoda proprio lungo le pagine di questo libro), al convegno – promosso con l’Acri – “Giovani Lettori, Nuovi Cittadini”, in cui i ragazzi han-no la possibilità di confrontarsi con i rappresentanti delle istituzioni. E ancora, l’appuntamento biennale con il convegno “Crescere tra le Righe”, i portali quotidianoinclasse.it e scuolachefarete.it, i concorsi, le iniziative speciali. Che non avrebbero nessun senso se alla base di tutto non ci fossero l’entusiasmo e la passione dei protagonisti veri di questa sfida: voi. Insegnanti, studenti. La cittadinanza del futuro nasce tra i banchi di scuola. Questo libro è un piccolo contributo per aiutarla a crescere.

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Faccio il giornalista da quasi sessanta anni, ho cominciato a lavorare gio-vanissimo per un piccolo giornale nel doposcuola, ho poi lavorato per il

giornale del mio college e per quarantacinque anni al Wall Street Journal (oggi il maggiore quotidiano in America). Ho lavorato lì come reporter, corrispon-dente all’estero, direttore, editore e infine Amministratore delegato della società capogruppo del giornale. Da quando sono andato in pensione insegno corsi di giornalismo agli studenti della Columbia University.

Il migliore incarico nella mia carriera giornalistica è stato quello di cor-rispondente all’estero in Asia per più di dieci anni. Facevo il reportage sulle guerre in Vietnam, Cambogia e Laos; nel 1971, durante la Guerra fra l’India e il Pakistan (e la nascita del Bangladesh), sono stato insignito con il premio Pulitzer per il mio servizio. Ho anche seguito altre crisi e conflitti in tutta l’Asia. Quegli incarichi a volte hanno messo a repentaglio la mia vita, ma ero giovane ed era appassionante assistere a degli eventi drammatici e raccontarli agli altri.

Non tutti i miei servizi giornalistici vertevano sulla violenza. Ho vissuto molte avventure meno pericolose in cima alle montagne del Pakistan e dell’Af-ghanistan, nelle giungle del Borneo e della Nuova Guinea e nei villaggi più poveri dell’India, in ogni modo la mia vita è sempre stata il giornalismo.

Questa lunga esperienza mi ha portato a formulare dei giudizi su quello che distingue il giornalismo di alta qualità dal resto, su cosa lo rende diverso e co-me possiamo riconoscerlo. Ecco quindi il mio decalogo di regole, dieci punti da seguire per riconoscere il giornalismo di qualità, sia nella stampa sia online.

Le dieci regole del buon giornalismodi Peter KannGiornalista e premio Pulitzer

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Primo: il giornalista sta cercando di dirci la verità? Lo sta facendo rac-cogliendo fatti e informazioni collegandoli insieme per arrivare alla verità? Fornisce le fonti da dove raccoglie le informazioni? Cita i nomi e le fonti delle dichiarazioni contenute nell’articolo? La verità, al contrario della bellezza, non è negli occhi di chi la guarda e le notizie non sono opinabili. La verità spesso è difficile da scoprire ma il compito di scovarla e trovarla spetta ai giornalisti – esaminando ognuno dei fatti, uno alla volta.

Secondo: la storia è raccontata in maniera imparziale? Il giornalista che l’ha scritta ha mostrato dei pregiudizi? E se la vicenda è molto controversa, l’articolo riporta in maniera equa le due versioni contrastanti e permette a noi lettori di giungere alle nostre conclusioni?

Terzo: il giornalismo separa le notizie dalle opinioni? Ognuna delle due cose può essere ben fatta ma sono ingredienti che non possono essere miscelati nello stesso stufato: sono due portate che non possono essere servite insieme come un piatto di carne e il dolce. E quindi la domanda da porsi è: le notizie, eque e basate sui fatti, ci vengono date separatamente e le opinioni sono etichettate appunto come opinioni? I giornali non sono sempre bravi a fare questo distin-guo, ma almeno lo fanno meglio della televisione e di Internet che in genere non tracciano nessuna linea di confine.

Quarto: noi lettori siamo trattati come la parte dell’elettorato più impor-tante del giornale? Oppure il contenuto delle notizie viene illustrato per servire interessi speciali o i secondi fini dell’editore, di un uomo politico, di un pubbli-citario o di un attivista? In questo caso non si tratta di un giornalismo onesto, ma semplicemente di propaganda.

Quinto: le notizie riportate sono originali? In altre parole, ci raccontano delle cose che non sappiamo e che probabilmente non potremo apprendere da altre fonti? Il giornalista si è dato realmente da fare oppure si è limitato a seguire il gregge dei reporter o a riscrivere un bollettino stampa già disponibile a tutti? Un giornalismo vero, prodotto da reali iniziative, è difficile da fare, ma è quello che si distingue dal resto.

Sesto: questo giornalismo ci è utile? Ha a che fare in qualche modo con la nostra vita e i nostri interessi? Ci sorprende e quindi crea nuovi interessi e allarga i nostri orizzonti? In un modo o nell’altro il giornalismo deve trattare di problemi che ci riguardano, ci deve dire cose che non sapevamo ma che vole-vamo conoscere e che possono essere importanti per noi. Deve coinvolgerci.

Settimo: le notizie dateci hanno uno scopo serio e un valore? Siamo arric-chiti e più saggi perché le abbiamo lette? È qui che io traccio la linea di demar-cazione fra il giornalismo e lo spettacolo, una forma d’arte molto diversa. Sì, è vero, parti di un giornale possono intrattenere (essere divertenti), ma questo

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non è lo scopo o il valore primario di un giornale. Il giornalismo non deve essere a tutti i costi triste e noioso, ma il suo scopo è quello di informarci e non di intrattenerci.

Ottavo: le notizie che leggiamo presentano una visione ben equilibrata degli avvenimenti nel mondo? Per la sua natura intrinseca, il giornalismo in genere tende a concentrarsi più sui problemi che sulle soluzioni, sulle brutte notizie invece che su quelle buone. Tuttavia se la maggior parte delle notizie parla di morte e distruzione, di omicidi e caos e ci fa vedere tutto nero allora stiamo ricevendo un quadro deformato della realtà. Perché quando tutto ci viene illu-strato come una crisi dopo l’altra si finisce per non prendere niente sul serio e questo è un vero problema.

Nono: il giornalista ci contestualizza i fatti che racconta? Ci fornisce una cornice storica, un po’ di precedenti o un’analisi dei fatti o delle questioni? In caso contrario, se tutto quello che leggiamo verte su fatti isolati, si tratta di un giornalismo di bassa lega. Non tutte le notizie sono completamente nuove e non dovrebbero essere presentate come tali. Il vero giornalismo di qualità deve chiarire il contesto dei fatti e degli eventi. Come e perché, come pure, cosa, dove e quando.

Decimo: il giornalismo mantiene l’attenzione abbastanza a lungo sulle no-tizie riportate? Molto del giornalismo moderno non lo fa. Salta da una crisi all’altra e raramente ritorna a parlare di una storia del giorno prima o di una settimana precedente. Nell’era che viviamo dove tutto è istantaneo – dal fast food, agli sms o alle risposte immediate di Google – il giornalismo che leggiamo riflette profondità di analisi e il tempo consacrato dal giornalista nello scrivere la storia e il tempo che noi investiamo a leggerla? Il tempo è una cosa buona non negativa; è un amico non il nostro nemico.

Ed infine la questione di chiusura: il giornale ammette i propri errori? Non semplici refusi o errori di ortografia, come per esempio una data o un nome scritto male, che sono abbastanza comuni. Mi riferisco ad errori più importanti di giudizio e di equità nel riportare le notizie. Queste ammissioni sono molto rare. Tutti commettono errori nella vita ed è qualificante poter ammettere di aver commesso un errore in maniera aperta e onesta. Questo è vero nella vita così come nel giornalismo.

Ecco come io suggerisco di riconoscere il giornalismo di qualità. Ognuno può redigere la propria lista aggiungendo altri punti, ma la cosa importante è vedere le differenze e fare dei distinguo.

Grazie all’Osservatorio Permanente Giovani-Editori milioni di studenti italiani hanno quest’opportunità. L’Osservatorio sostiene un giornalismo di qualità perché ritiene che quest’ultimo promuova una buona cittadinanza. Ed io condivido questa visione.

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Parte IPresentare e approfondire le diverse forme di scrittura giornalistica

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7Presentare e approfondire le diverse forme di scrittura giornalistica

Il motivo per cui l’intervista è un genere non molto praticato e, temo, ancor meno letto, è questo. Di solito la preoccupazione dell’intervistatore non è far emergere il pensiero dell’intervistato, scandagliarne l’animo, rivelare le cose mai dette; è mostrare la propria bravura. Il che può anche essere legittimo. Il problema è che l’intervistatore molto spesso è convinto di dimostrare la propria bravura o aggredendo l’intervista-to, maltrattandolo, mettendolo di fronte alle sue malefatte, oppure occupando spazi sconsiderati, ascoltando il suono della propria voce, prendendo comunque la scena. Si tratta, a mio modo di vedere, di un grave errore, oltre che di una mancanza di rispetto non tanto verso l’intervistato, quanto verso il lettore.

Sono convinto che il giornalista dimostri la propria bravura in tutt’altro modo. Si tratta di indurre l’intervistato a dire cose che non pensava di poter dire. Il ruolo dell’intervistatore deve essere maieutico: cavar fuori all’interlocutore il più possibile, nei colori più accesi possibili. Per questo è profondamente illiberale confondere il pensiero dell’intervistatore con quello dell’intervistato, cosa che in Italia avviene rego-larmente (ogni volta che intervistavo Francesco Cossiga, ad esempio, venivo ricoperto di contumelie). Più grosse le spara il mio intervistato, più felice sono come intervista-tore. L’importante è che a spararle grosse sia il protagonista, non il testimone. Sono patetici coloro che porgono le domande con voce agnellata e poi le scrivono come se avessero strapazzato l’interlocutore. È vero che lo faceva Oriana Fallaci; ma insomma era la Fallaci, personaggio irripetibile.

Se dovessi dare qualche consiglio ai futuri giornalisti, per prima cosa direi di ri-nunciare al registratore. Innanzitutto per la vostra tranquillità, per risparmiarvi dubbi angosciosi, tipo: «Starà andando tutto bene, la registrazione procede, ci sarà abba-stanza spazio?». Se si entra in questo tunnel, l’unico modo per togliersi il dubbio è interrompere l’intervistato per verificare, col rischio che l’interlocutore s’infastidisca, soprattutto se è qualcuno con cui non si ha confidenza (e quasi mai capita di intervi-stare persone con cui si ha confidenza).

L’intervistadi Aldo CazzulloInviato ed editorialista del Corriere della Sera

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8Presentare e approfondire le diverse forme di scrittura giornalistica

In secondo luogo, sconsiglio di utilizzare il registratore perché ha un effetto inibi-torio sull’intervistato, del tipo: «Tutto quello che dico può esser controllato, non ho scampo». A volte durante un’intervista può capitare che l’interlocutore riveli qualcosa, chiedendo però di non scriverla o di non attribuirgliela (cosa che può essere oggetto di trattativa); ma se ha un registratore sotto il naso, non lo farà mai. Il microfono, insomma, può far perdere qualche buona occasione. Certo, può anche succedere il contrario: per esempio, se si intervista un leader politico o un capitano d’industria, di frequente è uno dei suoi collaboratori a registrare l’intervista, per cautelarsi. Pazienza. In ogni caso, sempre meglio bypassare il portavoce o il capufficio stampa; spesso sono filtri inutili, che per giustificare il proprio ruolo pongono veti e ostacoli di varia natura (ci sono poi portavoce e capiufficio stampa molto bravi e molto corretti, ma non sempre è così).

C’è poi anche un’altra controindicazione, pratica, da non sottovalutare: quando registri, lavori il triplo. Sbobinare è un’operazione lunga e noiosa, e, dopo, deve ne-cessariamente esserci una limatura, più o meno importante, del testo che hai per le mani. Nessuna intervista è la trascrizione stenografica del colloquio tra il giornalista e l’intervistato, a meno che tu non abbia davanti una persona dall’intelligenza non comune, o che ha imparato a memoria quello che deve dirti. Gian Guido Vecchi, mio collega al Corriere della Sera, mi raccontò di un’intervista che fece in aereo al Cardinale Carlo Maria Martini: il colloquio durò un quarto d’ora, Vecchi trascrisse il contenuto del nastro e il risultato furono 120 righe di intervista pronta per essere pubblicata. Un caso più unico che raro. Tra sbobinare e riscrivere perdi un’intera giornata. Quindi, se fai l’intervista dalle sette di sera in poi, ti giochi la possibilità di essere messo in pagina per il giorno dopo: e le interviste dovrebbero sempre essere per il giorno dopo. Sconsiglio infatti di farle troppo in anticipo. Anche quando affronti un argomento all’apparenza staccato dall’attualità, la tua intervista finirà per risultare superata se viene pubblicata una settimana dopo.

È molto importante prendere dei buoni appunti: io cerco di scrivere tutto quello che l’interlocutore dice, non solo le parole-chiave. Utilizzo un codice di abbreviazioni e di segni convenzionali del tutto artigianale. Però, se il colloquio è interessante e non aspetto troppo a trascriverlo, quasi mai ho bisogno di riguardare il bloc-notes.

Certo, quando il tuo intervistato usa un linguaggio specialistico, il discorso cam-bia: per riportare le parole precise, gli appunti sono fondamentali. Se poi si è prepara-to un testo scritto, lo si può usare come base di partenza, ma non va mai pubblicato tipo “copia e incolla”: è mortificante per il giornalista ed è noioso per il lettore, quindi alla lunga deleterio anche per l’intervistato.

Viceversa non c’è nulla di male a far rileggere un’intervista a chi lo chiede. Certo, in genere si cerca di evitarlo, in particolare quando il personaggio in questione è noto per essere un puntiglioso rompiscatole o quando si tratta di un’intervista leggera, di puro divertimento. In tutti gli altri casi, non ho problemi a farla rileggere. Le parole appartengono a chi le dice, e quindi credo sia giusto dare all’interlocutore la possibi-lità di controllare quello che io ho riportato. L’esperienza mi ha insegnato che, se le persone sono corrette e hanno il coraggio delle loro idee, di solito non tolgono nulla, anzi: aggiungono qualcosa. Insomma, alla fine l’intervista ne guadagna.

Purtroppo c’è sempre qualcuno che ha l’ambizione che l’intervista sia scritta come un libro stampato e si mette a riscriverla. Un grave errore: l’intervista deve mantenere un piglio colloquiale. Deve essere una conversazione, non un testo pensato per lo scritto. Altrimenti diventa legnosa, un messaggio per iniziati che nessuno ha voglia di leggere. Se poi qualcuno tenta di rimangiarsi quel che ha detto, bisogna tener duro, anche se talora partono faticose trattative. In linea di massima, se si tratta di qualcosa

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9Presentare e approfondire le diverse forme di scrittura giornalistica

che io ritengo essenziale per l’intervista, insisto per tenerla, a costo di litigare (è molto raro che nel corso di un’intervista importante non ci sia almeno un momento di tensione); se mi sembra secondaria, acconsento a toglierla, magari in cambio di altre informazioni o di più dettagli su argomenti diversi. Ma in generale mi sono trovato di rado in questa situazione, o peggio di fronte a casi di scorrettezza, quando l’inter-vistato vuole stravolgere il senso di quello che ha detto.

Capita più spesso che mi venga chiesto di cambiare lo stile, richiesta che mi dà parecchio fastidio, perché cerco di rispettare il più possibile il modo di parlare della persona che intervisto. Il suo lessico, il suo linguaggio, qualche accenno dialettale. Non bisogna mai far parlare i calciatori come se fossero degli economisti. Non mi è mai capitato che qualcuno ritrattasse. Tranne in un caso, quello di Cesare Previti: si finì in tribunale, quindi preferisco non tornarci su.

La preparazione di un’intervista è fondamentale. Più che una lista di domande, suggerisco di prepararsi una scaletta di argomenti. Io inizio sempre le interviste facen-do parlare le persone di sé. La famiglia, i libri importanti per la formazione, i film che amano, la musica che ascoltano. In questo modo, ottengo due risultati: vengono sem-pre fuori dettagli interessanti, che mi aiutano a capire e dipingere meglio il personag-gio; e allo stesso tempo il mio interlocutore abbassa la guardia, allenta i freni inibitori.

Per mettere l’intervistato a proprio agio è poi fondamentale dimostrare che si ha di lui una buona conoscenza, rivolgendogli domande appropriate. Tra l’altro, spesso si tratta di persone che hanno una certa considerazione di sé stesse, oltre al timore comune di poter essere male interpretate. Quando il giornalista dà prova di avere stu-diato l’intervistato, questo si sente gratificato e si predispone positivamente (ricordo ancora la volta in cui Pietro Citati mi attaccò il telefono perché avevo dimenticato il titolo di un suo libro). Poi si può procedere esplorando i vari argomenti preventivati, ma non con domande secche. Cercare di sollecitare giudizi su altri personaggi. Può accadere che un leader politico abbia già il suo schemino pronto. In tal caso bisogna riprendere la palla il prima possibile, infilando otto, nove, dieci domande – o magari anche solo tre, ma decisive – per arricchire l’impianto che l’intervistato ha in mente.

Sono essenziali i dettagli, i nomi. A volte leggo interviste dominate dall’astrazione: concetti o considerazioni generali, spesso banali. Sono interviste inutili, peggio anco-ra: sono interviste noiose. È un errore capitale. Non bisogna mai dimenticare che non c’è storia senza personaggio, non c’è personaggio senza storia. L’intervistato va sempre ancorato alla concretezza. Date, episodi specifici. È importante pure la religione: sape-re se un personaggio è credente, e in cosa crede, interessa ai lettori.

A volte bisogna saper “aderire” all’intervistato, metterlo a suo agio. A volte è in-dispensabile un minimo di aggressività. Una cosa non esclude l’altra. Mai perdere di vista la dignità però; per se stessi ovviamente, ma anche per l’esito del proprio lavoro; l’intervistato se ne accorgerebbe e ti stimerebbe di meno. Purtroppo sono sempre di più coloro che vorrebbero amanuensi a loro disposizione. In questi casi uno si alza e se ne va.

Ovviamente bisogna distinguere tra l’intervista televisiva e quella per la carta stam-pata. La prima deve avere un certo grado di contraddittorio, persino di asprezza. È inevitabile. Certe interviste per la TV sono come un incontro di pugilato, e vengono bene proprio per questo. Diverso il discorso per la carta stampata. Qui un atteg-giamento antagonista in linea di massima è inutile, peggio: è controproducente. Il rischio è che sia l’intervistato ad andarsene, o a buttare giù il telefono. Mi è accaduto di intervistare Sandro Bondi ad Arcore, dove al tempo lavorava. Tanti colleghi che mi hanno preceduto hanno cercato di metterlo con le spalle al muro, con domande del tipo: «Era comunista, non si vergogna di starsene qua con Silvio Berlusconi?». Avrei

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potuto farlo anch’io, ma a che pro? Bondi avrebbe passato tutto il tempo in difesa, e avrei reso un pessimo servizio ai lettori. Non avrei portato a casa nulla d’interessante, tranne una figura più o meno buona per me. Al contrario, ho cercato di metterlo a suo agio, ovviamente senza scadere nella lusinga. Mi sono messo in posizione d’ascol-to. E sono riuscito a farmi dire cose che Bondi neanche immaginava di poter dire.

Si ottiene molto di più aderendo al personaggio, anziché contrastandolo. Non dico che bisogna essere disonesti, né sconfinare nella piaggeria, ma è utile manifestare una certa empatia al proprio intervistato. Serve anche per fargli dire esagerazioni, iperboli, persino sciocchezze (a volte sono utili anche quelle).

Le interviste più interessanti, per un giornalista politico, sono quelle che fai per la prima e, probabilmente, ultima volta in vita tua: quindi con un’attrice o uno scrittore. In tal caso l’intervista sarà ampia, un po’ riepilogativa della storia del personaggio. Lo fai parlare di sé, del suo passato, della sua storia. Ti prepari parecchio sulla sua biogra-fia e prevedi almeno un’ora o due di conversazione.

Il discorso cambia quando lo stesso giornalista intervista un leader politico con cui ha già realizzato varie interviste, e che quasi sicuramente intervisterà ancora. In questo caso, non può ripercorrere ogni volta la vita dell’interlocutore. Anche se una colori-tura più personale, qualche dettaglio o aneddoto privato sono sempre utili, aiutano a dare un’anima e un corpo all’intervista. Può bastare anche un solo episodio: qualcosa sui figli, i genitori, la fidanzata. Nel complesso, però, questo secondo tipo d’intervista sarà più breve, mirata, legata ad una specifica questione: e su questo deve concentrarsi la preparazione del giornalista.

Le interviste più difficili sono quelle agli sportivi. Il giornalismo sportivo è da sempre una branca d’eccellenza in Italia, da Gianni Brera in poi. Ma i colleghi che lavorano in questo campo – in particolare quelli che vanno in video – rischiano di diventare reggi-microfono. Basta guardare una qualsiasi intervista dallo spogliatoio: al calciatore di turno non vengono rivolte delle vere domande, bensì delle suppliche per invitarlo a parlare: «Ma come ha giocato bene la squadra, ma che bella reazione d’orgoglio». Appena il giornalista azzarda un accenno critico, giocatori e allenatori s’infuriano, e magari lo piantano in asso. Sono abituati male. Come del resto chi lavora nel mondo dello spettacolo. A lungo andare, poi, è controproducente per lo stesso personaggio, perché quel tipo di intervista, senza vere domande, interessa poco i lettori. Tanto vale che si rifugino su Twitter, così si fanno le domande e si danno le risposte. O certe marchette terrificanti ai padroni dell’economia.

Il terreno è devastato, ma il giornalista deve cercare di mantenere la propria dignità professionale, rivolgendo tutte le domande che un lettore può trovare interessanti, evitando però di fare scappare l’interlocutore. Un equilibrio difficile, fatto di tatto e diplomazia: ci sarà sempre qualcuno che tentata di metterti i piedi in testa, come gli addetti stampa, che smussano, filtrano, pongono i paletti – «questa domanda non si può fare» – o magari pretendono di riscrivere l’intervista. Simili atteggiamenti vanno sempre arginati, con umiltà, ma anche con fermezza. E – lo dico con un sorriso – scavalcando l’addetto stampa. Ad esempio i cardinali non ne hanno bisogno; e credo che le interviste rilasciate da uomini come Angelo Scola e Camillo Ruini abbiano lasciato il segno.

10Presentare e approfondire le diverse forme di scrittura giornalistica

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11Presentare e approfondire le diverse forme di scrittura giornalistica

Scheda

L’intervistadi Anna Maria Di FalcoDirigente Liceo Statale “G. Turrisi Colonna“ di Catania

Fonte: Viviana Mazza, Siria, il massacro degli innocenti. In un video la denuncia dell’orrore (Corriere della sera, 27 maggio 2012)

La guerra civile La strageSiria, il massacro degli innocenti. In un video la denuncia dell’ orroreLe forze deL regiMe uccidono quasi cento persone: 32 i baMbini

La parola «tregua» risuona oggi più vuota dopo il massacro di Hula, dopo le immagini diffuse su Youtube di piccoli cadaveri insanguinati e mutilati distesi sui pavimenti, avvolti in tappeti dai dise-gni geometrici o coperti da lenzuola bianche. quelle immagini non possono essere verificate, ma le nazioni unite confermano e condannano «la strage di uomini, donne e bambini» avvenuta venerdì notte nella cittadina siriana situata 20 chilometri a nord di Homs. La tregua concordata un mese fa con l’onu sia dal governo siriano che dai ribelli armati era già stata violata. per questo, proprio l’altro ieri, poche ore prima del massacro, il segretario generale delle nazioni unite ban Ki-moon aveva accusato per l’ennesima volta ambo le parti e un terzo atto-re, «i gruppi terroristici». Ma ban Ki-moon aveva additato soprattutto il regime per «gli inaccettabili livelli di violenza e di abusi». Mai però nell’ultimo mese si era arrivati ad accertare oltre 90 vittime in una volta, tra cui 32 bambini sotto i 10 anni, che è la stima delle vittime fatta a Hula dall’onu. alcuni attivisti dell’opposizione parlano di bombardamenti sulla città, altri raccontano che gli sha-biha, gli sgherri in borghese del regime, avrebbero attaccato «intere famiglie». il governo invece accusa i terroristi di «massacrare il popolo siriano e di sfruttarlo nel bazar mediatico per bloccare il piano onu e impedire una soluzione politica alla crisi». il capo dei caschi blu robert Mood ha implicitamente chiamato in causa l’esercito siriano: a Hula vi sono i segni «dell’ uso di artiglieria e di proiettili di carri armati», ha detto, pur aggiungendo che «le circostanze che hanno portato a queste tragiche morti sono ancora poco chiare». «chiunque abbia iniziato, risposto e contribuito a questo atto deplorevole di violenza dovrebbe essere chiamato a risponderne», ha affermato Mood. al massacro sono seguite proteste in molte città, dai sobborghi di damasco ad aleppo – repres-se, secondo gli attivisti. nella capitale, lo scrittore Khaled Khalifa, autore dell’ Elogio dell’odio (bompiani) ha detto di essere stato malmenato da agenti di sicurezza, riportando una frattura alla mano sinistra, mentre partecipava al funerale di un amico morto in circostanze poco chiare in città. si è creata una situazione «che la comunità internazionale non può più accettare», ha detto il ministro degli esteri italiano giulio terzi, dopo il massacro di Hula; con il collega francese Laurent fabius ha chiesto «l’immediata applicazione» del piano di pace dell’onu e ha auspicato un nuovo incontro del gruppo dei paesi «amici della siria». il segretario di stato americano Hillary clinton ha condannato «le atrocità» e ha assicurato che gli stati uniti lavoreranno con i loro alleati per aumentare la pressione su assad e i suoi «amici». il consiglio nazionale siriano, il principale raggruppamento dell’opposizione all’estero (che ha appena perso il suo leader a causa di divisioni interne) e la Lega araba invocano un intervento urgente del consiglio di sicurezza dell’onu (dove russia e cina hanno finora appoggiato damasco), una richiesta ribadita anche dalla gran bretagna («serve una risposta internazionale forte»). Ma mentre i caschi blu disarmati lentamente arrivano a 250 avvicinandosi al totale di 300, ed è attesa a damasco una nuova visita dell inviato dell’ onu Kofi annan, cresce la frustrazione degli oppositori. i ribelli armati dell’esercito siriano libero giurano che manderanno «al diavolo» la tregua se l’onu non interverrà immediatamente per porre fine alle violenze e chiedono ai «paesi amici» di lanciare «raid aerei» contro le forze del presidente bashar al assad. e l’osservatorio siriano dei

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diritti umani con sede a Londra accusa la comunità internazionale, col suo silenzio, di complicità nelle uccisioni del regime. Le testimonianzesecondo altri le vittime sarebbero morte nei bombardamenti: «i miliziani sono entrati casa per casa e hanno sparato alla testa agli abitanti».«i morti accertati sono 96, tra cui 32 bambini. in questo momento stiamo preparando i funerali di 76 persone. i loro corpi sono allineati nella moschea, sono già stati compiuti i riti religiosi e, tra poco, si svolgerà il corteo funebre». ahmed qassem risponde al telefonino alle 5 del pomeriggio, il giorno dopo il massacro di Hula. si definisce un attivista politico del comitato di coordinamento locale e un ex insegnante («le scuole ormai sono chiuse»). È un punto di riferimento per gli attivisti dell’opposizione all’estero, e usa un numero saudita, per non essere rintracciato dalle autorità. parla nella quiete dopo il massacro, calata sulla città di 120 mila abitanti, a nord di Homs.La strage di Hula è avvenuta nella notte tra venerdì e sabato, racconta: le vittime sarebbero morte sotto i bombardamenti. «L’esercito ha cominciato il cannoneggiamento della città alle 8 di sera, ed è durato fino a mezzanotte. un bombardamento incessante, compiuto con i carri armati e con le batterie lanciamissili. un inferno di fuoco: cadeva un obice al minuto. i colpi arrivavano da quattro angoli della periferia della città. in origine Hula era composta da quattro villaggi, che attualmente rappresentano i quattro quartieri: teeba e tall dhau, a sud, sono quelli presi di mira». il racconto di qassem non può essere verificato direttamente dal Corriere della Sera, ma rispecchia più o meno per numero di vittime e per la denuncia dell’intervento di artiglieria e carri armati le dichiarazioni degli osservatori dell’onu. Mentre il regime attribuisce le morti ai terroristi.qassem spiega che tutto sarebbe iniziato dopo la preghiera del venerdì, a mezzogiorno, nel quar-tiere di tall dhau, il cui nome poetico («collina della luce») resterà legato alla memoria dell’orrore dei corpi straziati di tanti bambini. dopo la preghiera erano iniziate le proteste antiregime. «Le forze di sicurezza che presidiavano le strade hanno sparato con armi automatiche leggere – racconta qassem – : c’è stato un primo martire e una decina di feriti, alcuni gravi, alla testa e al petto. a questo punto sono intervenute le brigate combattenti (i ribelli armati, ndr), e si sono svolti scontri pesanti, durati fino alle 5 del pomeriggio, con dieci morti tra la popolazione e cinque o sei tra le forze di sicurezza. in seguito alle loro perdite, gli uomini del regime si sono ritirati da due dei quattro posti di blocco nella città». completato il ritiro, col calare della sera, sarebbero iniziati i bombardamenti su Hula.se qassem ritiene che i bambini e le loro famiglie siano stati uccisi nei bombardamenti, c’è anche un’altra storia che circola a Hula, che non può essere verificata. «al mattino, si sono diffuse voci su possibili incursioni di shabiha (sgherri del regime, ndr) dai villaggi alauiti circostanti », dice l’attivista. Voci che avrebbero portato «gli abitanti, già terrorizzati dai bombardamenti, a fuggire da tall dhau verso il centro della città, cercando ospitalità nelle case di altra gente comune». per un altro dissidente, spesso citato dalla cnn e dalla bbc, che si fa chiamare abo emad, invece sono molto più che voci: dice via skype che la gente di Hula gli ha riferito che il massacro sarebbe stato commesso «dagli alauiti insieme alle forze di sicurezza». «sono entrati nella case e hanno ucciso gli abitanti pugnalandoli e sparandogli alla testa».gli alauiti sono una minoranza sciita cui appartiene anche il presidente bashar assad, mentre Hula è una città in prevalenza sunnita. il generale robert Mood, capo degli osservatori onu, ha dichiarato ieri che le circostanze del massacro non sono chiare, ma ha ribadito il rischio di una guerra civile. La loro presenza però non ha rincuorato qassem. «gli osservatori sono giunti verso le 11.30-12 – racconta –. Hanno fatto un giro tra le macerie e hanno visitato la moschea dove ci sono i corpi delle vittime. sono stati lì appena 5 minuti. il loro atteggiamento è di distacco. Ho parlato con uno di loro, di nazionalità giordana: mi ha detto che non possono rimanere in città, perché il governo non li autorizza, e che loro sono venuti per testimoniare e documentare la situazione, per riferirne. ci hanno raccomandato di svolgere la cerimonia funebre in fretta, di non trasformarla in una nuova protesta. gli ho chiesto di documentare i morti con delle foto e con dei video, per dare forza al suo rapporto, ma ha rifiutato».

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3 Caratteristiche dell’intervista

L’intervista è una forma di comunicazione molto antica, che affonda le sue radici nel mondo greco classico, che utilizzava la forma dialogica per divulgare concetti filosofici altrimenti di difficile comprensione. I dialoghi filosofici, infatti, sono stati per Platone uno strumento efficace di divulgazione del pensiero di Socrate, suo mae-stro. In campo giornalistico l’intervista da decenni continua a riscuotere successo non solo perché è un genere frequentemente legato all’attualità, ma anche perché veicola l’informazione in forma agile e dinamica e in tal modo riesce a catturare l’attenzione anche di chi legge distrattamente.

L’intervista giornalistica, televisiva, radiofonica consente ai lettori di dialogare, at-traverso un mediatore, con persone che suscitano interesse, in quanto noti per qual-che ragione politica, culturale, artistica, economica. Attraverso l’intervista, nell’alter-narsi di domande e risposte, i lettori possono avere notizie e informazioni dirette che spesso risultano più interessanti che nella comunicazione trasmessa in forma discorsi-va. L’intervista, infatti, pur tenendo in primo piano l’intervistatore e l’intervistato, in realtà ha come protagonista il suo destinatario, il pubblico, che rappresenta la ragione stessa della sua nascita e affermazione.

Nell’intervista giornalistica, della quale qui ci occupiamo, attraverso l’incalzare delle domande e delle risposte e l’assenza della sistematicità tipica della struttura di-scorsiva, ai lettori è consentito di leggere il testo anche a spezzoni, e solo nelle parti che interessano.

Questa è forse la ragione che spinge in particolare coloro che non sono addentro alle tecniche giornalistiche, a ritenere che questa tipologia testuale possa costituire una scrittura immediata e di facile costruzione.

In realtà non è così. Se lo scopo dell’intervista è quello di informare o di appro-fondire argomenti e tematiche di attualità, di cronaca, di cultura, di economia o di politica, è chiaro come il giornalista intervistatore debba mettere in atto tutte le sue competenze per offrire ai lettori un prodotto di qualità in termini di focalizzazione, di chiarezza e di verità circa gli aspetti più importanti dell’informazione. I lettori, infatti, possono ricevere l’informazione solo tramite le lenti delle domande del gior-nalista e delle risposte dell’intervistato.

3 Presentazione dell’intervista alla classe

L’intervista di Viviana Mazza, che denuncia l’orrore del massacro di innocenti in Siria da parte delle forze del regime, può essere proposta a studenti di una scuola secondaria di secondo grado, che ipotizziamo abbiano concluso il primo biennio e siano giunti al primo anno del secondo triennio, quindi circa a metà del loro percorso quinquennale, nella cui classe la lettura del quotidiano costituisca una delle modalità di apprendimento della programmazione annuale.

La scelta è caduta sull’intervista della giornalista sia per l’argomento che viene trattato, purtroppo di scottante attualità, sia perché ha il pregio di informare i lettori coinvolgendoli emotivamente, facendo quasi rivivere gli orrori di una guerra che col-pisce contemporaneamente vittime e carnefici.

Gli studenti non sono certo digiuni dei problemi e degli orrori delle guerre, ma di essi hanno una visione “storica”, conoscono la guerra attraverso le pagine dei libri di storia, i filmati o le versioni della produzione cinematografica e, pertanto, non riescono a emozionarsi e a comprendere fino in fondo il dolore, il carico di morte, la negazione dei valori e le ingiustizie che inevitabilmente ogni guerra trascina con sé.

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L’intervista dà modo ai lettori di ricevere le informazioni e le notizie attraverso la viva voce dei protagonisti e di cogliere, quindi, la portata dei significati più profondi. La strage di Hula, che ha visto decine «di piccoli cadaveri insanguinati e mutilati distesi sui pavimenti, avvolti in tappeti dai disegni geometrici o coperti da lenzuola bianche», può costituire un buon punto di partenza per far capire ai giovani innanzi-tutto che la guerra non è mai un fatto che riguarda soltanto chi ne è coinvolto ma è un problema che riguarda tutti per le inevitabili implicazioni internazionali, e soprat-tutto per riflettere sui motivi di questo conflitto che da oltre due anni vede gli scontri tra le forze governative e quelle dell’opposizione, che hanno causato la morte di oltre 100.000 persone, molte delle quali donne e bambini.

L’intervista non racconta i fatti, in quanto ampiamente noti, né intende ragionare sulla complessità delle cause che hanno portato a una guerra civile che ha implicazioni di natura religiosa, dovute alla rivalità secolare tra sciiti e sunniti, ma vuole tenere de-sta l’attenzione dei lettori sulle atrocità che avvengono giorno dopo giorno in questa terra martoriata senza possibilità di scampo: «Sono entrati nella case e hanno ucciso gli abitanti pugnalandoli e sparandogli alla testa», dice un dissidente intervistato via Skype. L’intervista mette in evidenza anche le difficoltà di avere una visione reale e veritiera della situazione, attraverso le parole degli intervistati, che fanno emergere opinioni e punti di vista differenti.

Prendendo spunto dall’analisi di questa intervista, la classe potrebbe affrontare il problema dell’origine della crisi siriana, che mette in luce a livello internaziona-le anche i problemi di natura politica e religiosa che attraversano questa area del Mediterraneo. Gli alunni potrebbero mettere a confronto anche altri articoli e ser-vizi giornalistici che trattano questa tematica, avviare un dibattito ed esprimere il loro punto di vista, specificandone di volta in volta le ragioni. Sarebbe interessante, inoltre, attraverso una analisi dei diversi testi esaminati, rilevare le diverse posizioni assunte dagli autori e riflettere sul rapporto esistente tra modalità di comunicazione e informazione.

3 L’intervista e le interviste: tipologie a confronto

L’intervista scritta è una tipologia di scrittura giornalistica che può avere diverse va-rianti, in riferimento alle modalità di scrittura, allo scopo e ai destinatari.

Secondo le modalità di scrittura, l’intervista può essere diretta e indiretta.L’intervista è diretta quando le domande e le risposte si susseguono alternativa-

mente e sono precedute spesso da una breve introduzione sulla tematica e da una presentazione dell’intervistato. Le domande sono stampate in corsivo, o in grassetto, e le risposte sono virgolettate, in modo da consentire al lettore di individuare imme-diatamente domande e risposte.

L’intervista è indiretta se il giornalista non formula domande dirette ma fa cono-scere il pensiero dell’intervistato ponendolo tra virgolette. In genere questa modalità di scrittura viene utilizzata quando l’articolo coinvolge più personaggi oppure quando il giornalista vuole commentare i fatti, analizzare una tematica, lasciare il campo aper-to a diversi punti di vista o, semplicemente, quando non ha a disposizione un numero di domande e di risposte tali da strutturare una intervista in forma diretta.

L’intervista può avere lo scopo di informare, chiedere pareri, fare un sondaggio, ascoltare le opinioni di massa o curvarle secondo una direzione voluta. In quest’ulti-mo caso non è difficile che l’informazione degeneri e si allontani dalla verità.

In riferimento al problema o alla tematica che tratta, l’intervista può essere politi-ca, culturale, sportiva, di cronaca, di intrattenimento, di opinione.

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Nella didattica appaiono molto interessanti ai fini dell’apprendimento e della me-tacognizione le interviste impossibili. Attraverso la finzione di interviste a personaggi del passato o a personaggi fantastici l’intervistatore discute e analizza tematiche di carattere culturale, sociale, politico, etico, religioso, pone interrogativi, esplora strade alternative e tenta possibili soluzioni. Una intervista immaginaria dà la possibilità agli studenti di far rivivere il pensiero di un filosofo, un poeta, uno scrittore o uno scienziato del passato, di sentirlo “vivo” attraverso le domande che essi stessi pongo-no e le risposte che essi stessi si danno, che consentono loro di riflettere sui saperi da un punto di vista dinamico, interlocutorio, fortemente motivante e coinvolgente. Al giornalista l’intervista immaginaria offre la possibilità di esprimere la sua opinione servendosi di una terza persona, che, pur dichiaratamente non reale, sembra possedere una connotazione concreta e reale.

3 Consegne operative agli studenti

La lettura dell’intervista può essere anche una occasione per far riflettere la classe sulle caratteristiche di questa tipologia di scrittura e per illustrare come preparala e strutturarla.

Se in ambito didattico il docente si propone di fare acquisire alla classe compe-tenze nella comunicazione scritta e orale, anche per questa tipologia può indicare agli studenti la regola di base, che è quella di avere chiaro, innanzitutto, qual è lo scopo per cui si scrive o si parla, quali informazioni si intendono acquisire e comunicare, quali aspetti si vogliono focalizzare rispetto ad altri, quanto tempo/spazio si ha a disposizione.

Il docente, pertanto, dopo avere chiarito alla classe che l’intervista condivide con le altre tipologie di scrittura giornalistica la compresenza della funzione informativa e argomentativa, aiuta gli alunni a preparare una scaletta di lavoro che metta a fuoco la peculiarità di questa tipologia ed eviti il rischio di banalizzazioni, di perdite di tempo e di cattiva informazione. Infatti una qualità di questa tipologia di scrittura è quella di organizzare il testo in maniera che la tematica trattata si dipani in modo raziona-le, chiaro ed esauriente. Quindi, dopo avere individuato, con la guida del docente, attraverso un dibattito in classe, il tipo di intervista da fare, gli alunni procedono alla strutturazione della scaletta tenendo presenti:• lo scopo dell’intervista;• la tipologia di intervista, diretta o indiretta;• le informazioni che si vogliono acquisire e comunicare;• la tipologia dei destinatari;• il tempo/spazio a disposizione.

La scaletta di lavoro serve a confrontare via via lo svolgimento dell’intervista con il progetto iniziale e a rilevare con immediatezza, alla fine, se essa ha raggiunto lo scopo che si era prefisso.

L’intervista può essere preceduta da una breve introduzione, che serve a illustrare la problematica, o ad approfondirla, se essa è nota, a presentare il soggetto o i soggetti dell’intervista, a chiarirne lo scopo, e può concludersi con un commento finale che può essere utile a sintetizzare le informazioni date e a fornire alcune considerazioni personali.

Tra le molteplici consegne operative possibili, il docente può invitare gli alunni a strutturare una intervista diretta o indiretta su una tematica di attualità o di studio, seguendo i suggerimenti indicati. Potrebbe risultare utile anche far esercitare la classe sulle diverse funzioni comunicative legate ai diversi modelli di scrittura e proporre

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la stesura di una tematica o di un argomento secondo la tipologia dell’intervista, del saggio breve, della relazione e così via, evidenziando le caratteristiche formali tipiche di ogni modello di scrittura.

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Nel 1994 ci fu una alluvione in Piemonte. All’epoca lavoravo per un quoti-diano milanese del pomeriggio (che usciva in edicola intorno alle quattordici, come oggi credo faccia solo Le Monde in Francia), si chiamava La Notte e aveva davanti a sé ancora pochi mesi di vita, anche se all’epoca nessuno poteva saper-lo. La tragedia appena avvenuta mi colpì due volte. La prima come giornalista, meglio, aspirante giornalista – all’epoca ero a tutti gli effetti un abusivo che in redazione cercava di fare un po’ di tutto –, e la seconda perché le mie origini sono piemontesi, e molti dei luoghi colpiti dalla tragedia erano quelli della mia infanzia.

Fu per quello che alle cinque del mattino bussai alla porta del direttore Massimo Donelli. Credo fosse la prima volta che osavo tanto. Ero piuttosto timido, da giovane, e in parte lo sono ancora. Comunque, presi il coraggio a due mani e gli chiesi di mandarmi in Piemonte, a raccontare di quella gente, di quel territorio devastato. La risposta fu carica di quell’ironia corrosiva che ancora oggi sopravvive nei giornali. E anche di qualche verità, come avrei scoperto in seguito. «Ecco un altro che vuol fare il grande reportage, come gli inviati di cui mi parli sempre. Naturalmente, senza passare dal via». Seguì l’e-lenco di 3-4 nomi dei giornalisti dei quali, non mi vergogno a dirlo, ritagliavo gli articoli, per lo più, appunto, reportage.

Insomma, venni respinto con prediche, e sfottò, allargati al vicedirettore di turno, convocato per apprendere che il giovane abusivo voleva fare “il pittore”. Passata qualche ora, durante la quale meditai più volte la tortura e l’omicidio del Direttore per l’umiliazione alla quale mi aveva sottoposto, una volta chiu-so il giornale, Massimo uscì dall’ufficio e si avvicinò alla mia scrivania. «Vedi

Intervista a Gian Antonio StellaEditorialista del Corriere della Sera

Il reportagedi Marco ImarisioInviato del Corriere della Sera

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Marco – mi disse – prima devi imparare tutto. A scrivere un pezzo di cronaca normale, a titolarlo bene, a capire di cosa ha bisogno chi sta dentro da chi scrive da fuori come l’inviato. Devi capire la macchina e il suo funzionamento. Dopo, ma solo dopo aver acquisito questi contrappesi, potrai provare a scrivere da inviato. Una casella alla volta».

Io non lo sapevo, ma è andata proprio così. Anni dopo ho capito che quella era stata una lezione necessaria. Che quei contrappesi servono a non anteporre la propria ansia di scrittura alle sacre esigenze di chi ti legge, il quale ha bisogno di capire cosa è successo, di riceverne l’impatto emotivo, di trovare nelle tue righe l’enormità o la sottigliezza di quel che è accaduto. Anche scrivere bene significa rendere un servizio, ma solo se non si cade nel solipsismo, nella cita-zione continua, nello sfoggio di erudizione. Altra lezione, appresa più tardi da Giampaolo Tucci, attuale caporedattore centrale al Corriere della Sera. Leggendo un mio reportage (mi è stato chiesto di scrivere di questo, ma tendo sempre a usare la parola con un certo pudore), si soffermò su un aggettivo. «Perché hai scritto “intonsi”?» fu la domanda alla quale allegai una risposta imbarazzata, sentendomi stupido come si può sentire uno che è stato appena colto in fallo nel tentativo, fatale, di mostrare al mondo la propria erudizione. «Se scrivi “intonso” ti capiscono in 100, se scrivi “intatto” è uguale e ti capiscono tutti». Messaggio ricevuto.

Chiedo scusa per questo inizio che sembra una divagazione. Ma la verità è che, di tutte le specialità giornalistiche, il reportage è quella con le regole meno scritte, la più eterea, e proprio per questo, forse, anche una delle più complica-te, perché trovare la giusta miscela non è facile, e lo scivolone nel melodram-matico, nell’autoreferenziale, è sempre in agguato. Esaurita questa premessa, a mio avviso importante, ci sono alcune regole, o meglio accorgimenti, che è meglio seguire nel momento in cui ci si accinge a scrivere di un luogo, di una comunità, di singole persone. Nel momento in cui si tenta di raccontare un mondo, piccolo o grande che sia non importa. Perché questo, in fondo, signifi-ca scrivere un reportage. Fissiamone 5, per comodità, e cominciamo.

Sapere le cose. Ovvero, studiare, sempre e comunque. Tra i tanti falsi miti che girano in questo mestiere, ce n’è uno che ha fatto danni peggio della grandine. Ed è quello che “si scrive meglio di luoghi e situazioni che non si conoscono”, declinato anche come “Non ti sei mai occupato di questa cosa? Perfetto, così la racconti meglio perché hai la mente sgombra”. Sono pietose bugie. Nel mio piccolo, ho trascorso notti insonni a leggere di luoghi che avrei visitato la mat-tina dopo. Che fossero le ragioni delle paludi al confine di Iraq e Iran, o le zone montuose della Basilicata, ho sempre cercato di non andare in un posto senza saperne nulla. Il cosiddetto background serve, sempre e comunque. Negli ultimi 10 anni ho scelto di occuparmi quasi esclusivamente di Italia. Per questo, ho accumulato sugli scaffali di casa mia decine e decine di saggi sul Nord-Est, sul Nord-Ovest, sul Sud, su Napoli, su Palermo eccetera. Come lettore, alterno il piacere, ovvero un romanzo, al dovere, ovvero un saggio, giornalistico o meno, su determinati aspetti delle tante questioni italiane aperte. Quando non sono in

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trasferta, mi dedico in maniera compulsiva alla lettura di siti e quotidiani locali. Sono una risorsa unica, non solo come fonte di storie, anche se spesso accade, ma soprattutto perché attraverso la loro lettura si acquisiscono informazioni, dettagli impressi in testa, che prima o poi, quando scatterà la chiamata, po-tranno venire buoni. In sintesi, si tratta di studiare, di esercitare e di tenere in allenamento la curiosità, lo spirito di osservazione, e anche la memoria. Perché poi, quando si è sul posto, viene tutto utile, sempre.

La piccola storia. E comunque, poi si arriva a destinazione. E devi cominciare a scrivere. Con tutta la voglia di dare la massima importanza al luogo che stia-mo raccontando, di elevarlo a metafora assoluta. Il rischio è di partire con l’as-sunto, con quello che si vuole dimostrare. “Lo Tsunami ha messo in ginocchio un intero continente”. Magari è anche vero, ma eccolo, il rischio della seriosità, ben diversa dalla serietà. A mio parere è sempre meglio cominciare da un det-taglio, da una cosa piccola. Una caporedattrice che oggi purtroppo non c’è più, si chiamava Manuela Righini, quando mi chiamava per concordare l’articolo cominciava la conversazione con una domanda, che adoravo. «Marco, dimmi qual è la cosa che ti ha colpito di più». Gliela dicevo, e poi da lì si cominciava a parlare, e a scrivere. Sul taccuino devono finire quanti più dettagli possibile. Specialmente oggi, che i grandi avvenimenti sono coperti da televisioni, imma-gini e social media, che viviamo in una diretta perpetua. Quel che il reportage può dare in più è il non filmabile. È l’atmosfera che si respira in quel posto, la sfumatura, la sensazione e il dettaglio. È la piccola storia o la piccola cosa dalla quale bisogna sempre cominciare l’articolo. Ennesima citazione (ma d’altron-de questo è un mestiere che si impara tenendo le orecchie porte, diventando spugne che assorbono consigli e parole), questa volta, di un mio ex Direttore, Paolo Mieli. Una volta, in riunione, se la prese con il consueto resoconto della serie “Italia divisa in due dal maltempo”. Se proprio dobbiamo farlo, disse, rac-contatemi una singola storia. Non “Italia flagellata dalla pioggia”, ma la storia dell’autista che a causa della pioggia è sbandato uscendo di strada.

Sul posto. Abbiamo appena detto che il dettaglio paga sempre. Ovviamente, non deve essere di colore puro, ininfluente a quel che vogliamo raccontare o rappresentare. Bisogna scegliere. E per farlo, non c’è che un modo. Esserci. Che non significa soltanto essere presenti in un posto ma entrare in quel che si vuole raccontare. Essere il più vicino possibile alle operazioni di soccorso, cercare di vedere la scena della tragedia, ritornarci, guardarsi intorno, parlare con le per-sone. Sembra una banalità, ma di questi tempi non lo è. Significa anche emo-zionarsi per quel che si sta guardando, provare sensazioni. Un altro falso mito prevede la figura del giornalista cinico e duro di cuore, perché ne ha viste tante. È una stupidata. Non bisogna vergognarsi delle proprie emozioni, perché solo provandole saremo poi capaci di trasmetterle. I cinici non emozionano, questo è sicuro. Naturalmente c’è un prezzo da pagare. Per anni ho sognato le imma-gini dei bambini thailandesi che venivano ripescati dalle pozze di fango create dallo tsunami. Il reportage è il genere giornalistico più antico, ma le moderne

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tecnologie non hanno intaccato la ricetta per farlo. Ecco, restando sui luoghi comuni, il vecchio cliché dell’inviato che deve consumare le suole ha ancora una sua attualità. A titolo personale, “sento” che un reportage in presa diretta mi può venire bene quando mi siedo a scrivere e capisco a) di essere fisicamente stanco b) ho la sensazione che mi sia sufficiente trascrivere il taccuino sul computer per avere un articolo che funziona. A quel punto posso sperare di aver lavorato bene.

Il trasmettitore. Adesso tocca parlare di noi, di chi scrive il reportage. Il giorna-lismo moderno ormai non conosce più dogmi, tutto è possibile. Tuttavia, ho una certa riluttanza, anche adesso mi viene difficile, a scrivere in prima persona. “Tu” che scrivi devi sempre stare un passo indietro. Non devi essere in prima fila, ma nella seconda sì, per poter guardare meglio. Detto questo, cado, e me ne scuso, nell’autocitazione, a fini esemplificativi.

«Questo fagotto avvolto in una giacca dei vigili del fuoco che passa di mano in mano era una bambina che si chiamava Janissa. Bernardo Sanfilippo lo pe-sca dall’acqua nera con una mano, appoggiandosi alla ringhiera, sperando che sia una bambola. Lui è una guardia penitenziaria, stava portando un detenuto al Pronto soccorso quando ha saputo. Sta scavando a mani nude, si è buttato qui dentro per cercare sua moglie Angela, e ancora non sa che anche lei è in questo sottoscala diventato pozzo, una tomba d’acqua che ha inghiottito sei esseri umani, a cento metri dal centro di Genova. La guarda, non sa cosa fare. Comincia a cullarla, la tiene tra le braccia, “svegliati belin, svegliati ti prego”. Un pompiere gliela prende con delicatezza, e intanto piange, la copre con il suo giaccone, ma non sa a chi darla, Janissa viene deposta sul marciapiede dall’altro lato della strada. Ha la faccia gonfia di chi è morto annegato, indossava una felpa rosa di Hello Kitty, tra un mese avrebbe compiuto il suo primo anno di vita. Sono le 14.45 di un venerdì assurdo, il cielo sopra Genova è un mantello nero, questa maledetta pioggia non smette mai di cadere e si impasta alle lacri-me di tutti noi che assistiamo impotenti a queste operazioni di soccorso, che fin dall’inizio appaiono vane. Tempo niente e speranza zero, solo disperazione e un lento allinearsi di corpi senza vita sul selciato coperto di fango, all’inizio non ci sono neppure le lenzuola bianche per ricoprire questi poveri resti. Alla fine ne contiamo sei, tutte donne. Sei mamme e mogli, figlie e sorelle, che tornavano a casa, che stavano con i loro bambini, che erano andate a prenderli a scuola, per proteggerli dal temporale».

È l’attacco dell’articolo che scrissi il 4 novembre 2011 in seguito all’alluvione di Genova. Sui pezzi di cronaca, se segui quanto abbiamo detto finora, non hai mai molto tempo a disposizione. A tamburo battente, dicono i capiredattori. Corri nel posto più vicino e scrivi al volo. Certe volte viene bene, altre meno. Ho preso questo incipit, che contiene anche imperfezioni e ripetizioni, come esempio, di un episodio di cronaca che mi aveva molto colpito. Si vede, mi dis-sero colleghi ed amici. Ecco, è questo che andrebbe fatto sempre. Far vedere che ci sei, che sei con gli altri. Che assorbi le loro emozioni e le trasmetti. Noi inviati non siamo altro che questo. Nell’era del tutto già visto e ruminato dalle televisio-ni, possiamo sopravvivere soltanto se riusciamo a far intuire l’inguardabile, l’ine-

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sprimibile. Se riproduciamo quel che non si vede, l’impalpabile di ogni storia. Il dolore, la gioia, la sofferenza, la desolazione. Nel caso di cui sopra, io c’ero. A un certo punto vedrete due verbi in prima persona plurale. Assistiamo impotenti, e piangiamo. È vero, è andata così. I pompieri stavano tirando fuori dal fango – dopo un banale temporale, in un sottoscala, in un palazzo nel centro di una delle più grandi città d’Italia... – il corpo di quella povera bambina. E cosa si poteva fare, se non guardare, e piangere, per quei soccorsi senza speranza, per quelle ricerche che mai avrebbero avuto un buon esito? Racconta quel che è successo, cerca di spiegarlo. Soprattutto, restituisci nei tuoi articoli le emozioni che provi. Noi inviati non siamo protagonisti. Siamo solo degli strumenti. Siamo dei tra-smettitori. Non è una grande definizione, lo so. Ma non ne trovo una migliore di questa. Le onde che riproduciamo sono quelle proibite alle televisioni, agli altri mezzi di comunicazione. Dobbiamo avere antenne sensibili, una sensibilità quasi animalesca. Dobbiamo avere rispetto dell’essere umano, cercare di capirne il dramma, o l’assurdità di quel che sta vivendo in quel particolare momento. Riempirci di quelle sensazioni. E poi cercare di riprodurle nei nostri articoli.

L’imbuto. Eccoci giunti alla fine. All’ultimo punto, che dovrebbe riassume-re tutto quello di cui abbiamo parlato finora. Piccolo è bello, ma può anche stufare. Ho messo in guardia dalla voglia di mostrare la propria erudizione e la propria visione del mondo, ma questo non significa minimalismo, accontentarsi del dettaglio. Il reportage deve aprire gli occhi, deve mostrare cose che non si sanno. Cominciare dai dettagli non significa rimanervi attaccato. È un consiglio, un piccolo suggerimento di tecnica. Proviamo a pensare a un imbuto, anzi a due imbuti uniti per la base. Prendiamo un esempio a caso delle vergogne italiane, un reportage sulle carceri. Si sceglie una situazione, un singolo penitenziario, ad esempio. Dal becco dell’imbuto filtra la storia minima, il particolare che deve aguzzare l’attenzione. Ma poi, dopo, si può allargare, ci si può affidare a quelle informazioni che abbiamo accumulato studiando, leggendo carte, scarpinando. Ci si può allargare e mentre ci avviamo nel mezzo del nostro racconto, là do-ve la base si fa più larga, possiamo passare dal particolare al quadro d’insieme, alla situazione generale delle nostre carceri. Possiamo parlarne, magari sempre accompagnando facce e storie a cifre e dati tecnici. Abbiamo scavallato la parte centrale. Adesso la base, ovvero l’attenzione di chi legge, si restringe nuovamen-te, è ormai uno spiraglio. Torniamo a dove siamo partiti. Ci ricolleghiamo allo spunto di partenza, che magari abbiamo lasciato in sospeso. Lasciamo capire perché abbiamo scelto proprio quel dettaglio, quella storia minima. Dobbiamo far capire perché si tratta di una storia esemplare. Una parte per il tutto.

Alla fine non si tratta che di questo: offrire uno sguardo diverso al lettore, fargli aprire gli occhi su realtà che non conosce, o che magari credeva soltanto di conoscere. È la bellezza del reportage, dove, come abbiamo detto, non ci sono regole prestabilite, e quindi si rischia sempre di sbagliare, dove si è peren-nemente alla ricerca delle giusta miscela, e della giusta distanza. Ma davvero, quando si riesce a trovarle, a combinare bene gli elementi, ci si avvicina molto all’essenza di questo mestiere, al suo significato più profondo.

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Scheda

Il reportagedi Gianluigi SommarivaEx docente Istituto “Cesaris” di Casalpusterlengo

Fonte: davide frattini, Sacchi di sabbia e Bmw in fila ai caffè. La tragica “normalità” di Damasco (Corriere della sera, 2 giugno 2013)

Così si vive nella capitale siriana sottoposta all’assedio delle milizie ribelli

i muri massicci ricoperti di marmo e vapore non bastano a smorzare il rimbombo delle esplosioni. L’hammam più antico di damasco è vuoto nel giorno in cui dovrebbe essere stracolmo, il venerdì della preghiera. i primi tre clienti entrano a metà pomeriggio, il calore del bagno turco spreme fuori il sudore e la paura. il locale compie mille e ventotto anni, il vecchio bassam Kebbab lo ha ereditato dalla famiglia e si ostina a tenerlo in funzione anche se ha dovuto ridurre i massaggiatori da venti a quattro. ogni sera alle 8 sprangano il portoncino in ferro battuto, non ha più senso rimanere aperti fino a mezzanotte, quando per le strade della città Vecchia girano solo le milizie del regime a ispezionare i vicoli e darsi il cambio ai posti di blocco. dalla moschea degli omayyadi escono una ventina di sostenitori di bashar assad, innalzano le foto del presidente: è ritratto in mimetica e occhiali dalle lenti verde scuro, modello aviatore come li portava il padre Hafez. il gruppo scan-disce «La siria vincerà», è scortato dai militari con il kalashnikov e dagli agenti in borghese che coordinano il mini-corteo attraverso le ricetrasmittenti. gli stessi uomini con i baffi bruni due anni fa davano la caccia ai manifestanti che chiedevano le riforme e protestavano contro gli abusi del clan al potere: da allora la rivolta è diventata una guerra e la guerra è arrivata nella capitale. L’ultimo check-point prima del fronte è una fila di sacchi di sabbia appoggiati a una barriera di cemento. non è stato costruito per controllare chi passa ma per tenere lontani. invece delle mostrine il sol-dato tiene appuntata sulla divisa la spilla con la scritta e il cuore rosso «io amo bashar». indica il fumo alla fine del vialone: tra i palazzi di Jobar sono asserragliate le forze dell’opposizione. a pochi metri da qui sul prato dello stadio abbasyeen stanno accampati i militari della quarta divisione, che assieme alla guardia repubblicana deve proteggere la capitale e respingere le offensive. i ribelli premono da nordest, dalla campagna diventata quartieri periferici diventati condomini agganciati a damasco: Jobar, zablatani, al Mleha vengono bersagliati dall’artiglieria. i rivoltosi rispondono con i colpi di mortaio e mirano a Jaramana, una zona rimasta per ora fedele ad assad dove i drusi sono la maggioranza. i civili restano in mezzo: la famiglia di abu george ha diviso il giardino di casa in settori sicuri e quadranti a portata dei cecchini. da qualche mese le truppe scelte sono affianca-te dalle milizie della forza di difesa nazionale. sessantamila tra uomini e donne, celebrati dalla propaganda come i guerriglieri che stanno portando la vittoria. La loro caserma sta tra le colline sassose di dummar, vengono addestrati in quella che è chiamata la nuova damasco a difendere la vecchia. L’opposizione accusa il regime di aver regolarizzato e messo in divisa le squadracce paramilitari, di aver legalizzato le atrocità degli shabiha. «La forza di difesa è volontaria - risponde Wael Mahmoud, leader locale del baath, il partito di stato che da quasi mezzo secolo domina il paese -. gli stessi padri e figli che hanno organizzato i comitati popolari per pattugliare le vie del quartiere: stiamo provando a trasformarli in soldati». il loro comandante ha spiegato da Latakia a robert fisk dell’independent che i miliziani combattono anche in prima linea, al loro intervento ven-gono attribuite le avanzate di queste settimane: hanno l’ordine di installarsi nelle zone «liberate», a damasco, aleppo o nella provincia di Homs. eppure Mahmoud sembra considerarli poco più che vigili con un mitra: «passare la giornata ai posti di blocco, fermare le persone, picchiarle se neces-sario. non fa per me». il regime a dummar è solido, Mahmoud è alauita come gli assad, ha due farmacie e il sostegno degli abitanti («di tutte le etnie, qui non facciamo distinzioni, siamo siriani»). La popolarità sbandierata non lo ha protetto da un attentato due mesi fa, quando il negozio di un amico è saltato in aria poco dopo che se ne erano andati. accusa i fondamentalisti di Jabat al nusra

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(«hanno cellule dormienti ovunque») e ritiene l’esercito siriano Libero responsabile dei rapimenti che nell’ultimo anno spaventano la città: «sequestri che durano pochi giorni per strappare qualche migliaio di dollari. in questo modo a dummar sono state portate via cinquanta persone». i soldati di guardia stanno distesi su un tappeto, il fuoco riscalda il tè e le braci per bruciare il tabacco nel narghilè. il permesso consegnato dal ministero dell’informazione ai giornalisti per girare in città non basta a superare la curva: da lì il monte qassiun domina i quartieri della battaglia, ci sono le postazioni dell’artiglieria, le caserme ed è considerata l’ultima trincea di assad. al tramonto le esplosioni non si interrompono, la scarpata scende verso le case bianche di Mazzeh, colpito tre settimane fa da sei proiettili di mortaio sparati all’alba dai ribelli. «Mi hanno distrutto l’auto», racconta Mohammed. un diploma da manager del turismo, 23 anni, adesso che di turisti non ce ne sono progetta di organizzare feste a bordo piscina. «quest’estate affitto le ville dei privati o le sale degli alberghi rimasti vuoti». i clienti-invitati sono gli stessi ragazzi e ragazze seduti nei costosi caffè di Malki, le bmw posteggiate in seconda fila e il terrore lasciato in garage. in questi venticinque mesi di guerra i quasi due milioni di abitanti della capitale sono cresciuti con l’arrivo dei rifugiati. Le statistiche misurano l’agonia di una nazione: oltre 4 milioni di siriani sono diventati profughi interni, hanno dovuto abbandonare le loro case senza riuscire a scappare al di là di un confine (con la giordania, la turchia, il Libano o l’iraq). Le nazioni unite danno da mangiare (razioni di farina e riso) a 2 milioni e mezzo di persone, un decimo della popolazione. La contabilità della morte calcola oltre novantamila vittime. Khaled Mahjoub riaccende il sigaro, tutto tabacco siriano, una fumata organica, ambientalista come i progetti della sua società che disegna abitazioni eco-sostenibili. L’uomo d’affari ha studiato al liceo francese di damasco con basil, il fratello maggiore di assad: l’erede designato dalla dinastia, non fosse morto in un incidente d’auto. sunnita come la maggioranza, fa parte dell’élite laica, dice di voler «salvare il sistema siria, il mosaico di religioni e culture». investe in energie rinnovabili per contrastare «il dominio dei petrodollari, che permettono ai beduini di finanziare l’estremismo wahabita, pagano i fanatici stranieri per cercare di distruggere questo paese». tra gli anni ottanta e novanta è venuto spesso in italia, contratti con le fabbrichette tra Varese e il Lago di como. senza ironia paragona il fallimento di molte piccole e medie imprese alla tragedia siriana: «Mi provoca dolore».

3 Caratteristiche dei reportage

Tra i generi giornalistici, il reportage rappresenta indubbiamente una delle forme di scrittura più difficili, sia per chi lo coltiva, sia per il lettore. Ponendosi infatti all’incro-cio di tipologie testuali quali la cronaca, il diario, il racconto di viaggio, la descrizione letteraria, il servizio fotografico, presuppone, in chi scrive, oltre a una conoscenza molto dettagliata della situazione presentata, una capacità di sintesi e una misura comunicativa che non si improvvisano; in chi legge, un’informazione non schematica e il gusto dell’approfondimento. Con il reportage il giornalismo torna alle sua radici “itineranti” ed esprime la sua vocazione più profonda, ossia quella di offrire ai lettori una testimonianza oculare degli eventi, che si traduce nell’indagare e descrivere i fatti da vicino, sul campo e “in presa diretta”. Con tutti i rischi, naturalmente, che questo comporta: si pensi ai reporter di guerra, che purtroppo hanno pagato (e ogni giorno rischiano di pagare) anche con la vita la passione per la verità.

Se dunque il reportage non si accontenta certo delle “verità ufficiali” e trasmette, per così dire, l’anima della notizia, diventando specchio di una realtà difficilmente ac-costabile, al tempo stesso presuppone che il lettore sia al corrente almeno dei caratteri più generali di tale realtà. Ci deve essere perciò un’informazione di base, frutto a sua volta di una continuità di lettura di articoli comparsi sui giornali in merito alla situa-zione descritta. Il reportage, insieme all’inchiesta, suggerisce, in questo senso, più di altri generi giornalistici, l’idea della durata degli eventi, ossia il loro carattere non epi-sodico, i loro riflessi sulla quotidianità della vita, che si trascina giorno dopo giorno.

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Anche il servizio del reporter Davide Frattini non fa eccezione e rinvia, come un ipertesto, a vari aspetti della crisi siriana, oggetto di attenzione dei media ormai da parecchi mesi. Il lavoro didattico che qui si propone non può che partire, quindi, da un’informazione minimale sulla guerra civile in atto in Siria e sulle sue ripercussioni a livello mondiale. La natura stessa dell’argomento fa sì che possa essere più adatto ad una classe quinta della scuola secondaria di secondo grado, nel contesto di un programma di storia che, nell’ultima parte del suo svolgimento, dia adeguato spazio ai principali problemi internazionali del mondo d’oggi.

3 La crisi siriana e i molteplici interessi in gioco

La crisi siriana, di cui, per il momento, non si intravede una soluzione, è un esempio della complessità del mondo attuale e in particolare della situazione in cui si trova l’area medio-orientale. Qui interessi politici, dinastici, economici (in primis il petro-lio), strategici, militari, religiosi (sciiti contro sunniti), nazionalismi, tensioni sociali, ingiustizie e aspirazioni libertarie, forme di colonialismo vecchio e nuovo, formano una miscela esplosiva che può essere innescata da un momento all’altro con con-seguenze destabilizzanti per i fragili equilibri della regione. Solo schematicamente, infatti, anche lo scontro in Siria può essere ridotto ad un conflitto tra i sostenitori del regime antidemocratico di Bashar al-Assad (succeduto al padre Hafiz a partire dal 2000) e la Coalizione nazionale delle forze di opposizione (insorte nel 2011), che sembrerebbe quasi proseguire, sia pure su un piano militare, il vento delle primavere arabe. In realtà le cose sono più complicate, sia perché eterogenei sono i componenti di entrambi gli schieramenti in conflitto, sia perché assai diversi sono i fini perseguiti nell’ambito delle stesse coalizioni. Gli interessi contrastanti di USA (favorevoli alla caduta del regime attuale) e Russia (storica alleata della Siria) sono complicati dalle aspirazioni particolari dei loro alleati: Turchia, Paesi del Golfo, Francia, Inghilterra, Italia, da una parte; Cina, Iran, Hezbollah libanesi, dall’altra.

Anche in Europa, le posizioni sull’atteggiamento da tenere nei confronti della crisi siriana sono tutt’altro che univoche, con la Francia e l’Inghilterra, da un lato, favorevoli alla fine dell’embargo della vendita di armi al Paese e a rifornire quindi militarmente l’opposizione, e dall’altro, l’Austria, la Finlandia, l’Irlanda e la Svezia contrarie ad un impegno diretto, ritenuto ancor più pericoloso e destabilizzante.

Una cosa, però, è certa: a fare le spese di questa guerra sono le popolazioni civili, decimate e martoriate da crudeltà ed efferatezze di ogni genere. Si tratta di decine di migliaia di morti (oltre 90.000, si dice nell’articolo), tra cui un gran numero di donne e bambini, e di milioni di rifugiati. Un dramma di proporzioni sempre più vaste, che rischia di assuefare l’opinione pubblica internazionale e diventare, come afferma il titolo dell’articolo, una «tragica “normalità”».

3 Il reportage del Corriere della Sera

Il reportage presenta riferimenti in parte spiegati nel box centrale che riporta le zone calde di Damasco e la galassia dei ribelli: resta da chiarire, però, chi sono i drusi, gli shabiha, gli alauniti, cos’è l’estremismo wahabita. Rispondere a queste domande è importante per una piena comprensione del testo, che nello stesso titolo evidenzia la tragedia di una città dilaniata dal contrasto tra una situazione di stato d’assedio («sacchi di sabbia») e un irrinunciabile bisogno di vita e di normalità non “disperata” («BMW in fila ai caffè»). La grande foto che compare nella parte alta della pagina dà già la misura della drammaticità della situazione: l’agente di sicurezza del regime

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siriano diventa immediatamente l’emblema di un potere messo alle corde. Questa impressione è rafforzata dall’articolo e dalla foto della pagina precedente, che riporta gli scontri in Turchia.

Un secondo approccio utile al testo può consistere nell’evidenziare, oltre al “colo-re” del pezzo (caratteristica essenziale dello stile del reportage), i riferimenti alla guerra in atto in Siria, di cui sono ricordate le origini, gli sviluppi, alcuni protagonisti, la spaventosa contabilità di morti e rifugiati. È importante anche rilevare che ogni ri-mando più generale alla guerra non è giustapposto dall’esterno (come una specie di didascalia), ma si collega alla descrizione della situazione surreale di Damasco, vero nucleo di tutto il reportage. Ecco allora che i miliziani e gli agenti in borghese del regime, che il giornalista coglie mentre escono dalla moschea degli Omayyadi, sono «Gli stessi uomini con i baffi bruni che due anni fa davano la caccia ai manifestanti che chiedevano le riforme…». Morti e rifugiati non sono semplici dati statistici, ma si inseriscono nell’agonia di una città cresciuta a dismisura in seguito alla guerra e di un’intera nazione. Funzionale ad esprimere attraverso immagini e riferimenti concreti la situazione di Damasco è anche la circolarità del testo, che si apre e si chiude con immagini di desolazione: l’hammam vuoto proprio nel giorno in cui il bagno turco dovrebbe essere più affollato per la preghiera del venerdì e il fallimento/chiusura di molte piccole e medie imprese italiane, accostato, nelle parole di Khaled Mahjoub, alla chiusura/fallimento del suo Paese.

Un ruolo centrale nell’esame del reportage è poi l’analisi dei punti di vista: del gior-nalista e dei personaggi citati. Appare evidente che l’autore, secondo i dettami stilistici del reportage, non interviene in prima persona a descrivere e commentare i fatti, ma cerca di defilarsi, quasi di scomparire nella narrazione. Ciò non significa ovviamente che la sua sia una posizione di distaccata neutralità: al contrario, dal reportage emerge chiaramente la sua solidarietà per il dramma umano che sta vivendo la popolazione siriana. Vi sono poi i punti di vista degli altri personaggi, tutti in qualche modo legati al regime di Assad, mentre la voce dell’opposizione è riportata, sia nel testo sia nella didascalia che accompagna la foto, in riferimento alla formazione di squadracce para-militari da parte del vacillante governo.

3 Altri percorsi didattici

• Il genere reportage, a ben vedere, presenta non pochi punti di contatto con la narrazione di stampo veristico: scomparsa del narratore, presentazioni dei fatti “in presa diretta”… Può essere interessante, perciò, far lavorare i ragazzi su una no-vella verghiana come Libertà (riferita ai fatti di Bronte del 1860), che in un certo senso può essere accostata al reportage, e individuare le modifiche da apportare per avvicinarla maggiormente a questo genere giornalistico (ad esempio, mediante il passaggio dei tempi verbali dal passato al presente). L’intento, ovviamente, non è quello di rovinare un capolavoro della nostra letteratura, ma di evidenziare gli effetti prodotti dai cambiamenti linguistici.

• La complessità del reportage e dei suoi riferimenti rende proficua anche la trasfor-mazione del testo del giornalista Davide Frattini in un “ipertesto”, individuando le “parole calde” bisognose di spiegazione e approfondimento e corredando le finestre da esse aperte con testi, commenti, immagini, video.

• Utilissima può essere anche la scrittura di un’introduzione al reportage, da aggior-nare periodicamente in base all’evolversi della situazione.

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• La lettura di qualche famoso reportage (gli esempi non mancano certo: da Kapuscinsky a Montanelli, a Mo, ecc.) consentirebbe certo di approfondire le caratteristiche, formali e contenutistiche, di questo genere giornalistico e di ap-prezzarne maggiormente le finalità informative.

• Sempre utile il confronto tra questo e altri reportage dedicati alla crisi siriana, og-getto di attenzione da parte di tutte le grandi testate giornalistiche e televisive.

• Inevitabile e quasi doveroso anche l’approfondimento della vicenda, riportata in fondo alla pagina, di Domenico Quirico, l’inviato del quotidiano La Stampa, per il cui rilascio le figlie lanciarono un drammatico appello.

• Un lavoro di approfondimento particolare potrebbe essere infine intitolato: Dare la vita per la Siria? Il riferimento, ovviamente, è alla morte di Giuliano Ibrahim Delnevo, studente genovese di vent’anni, convertitosi all’Islam e caduto in batta-glia mentre combatteva a fianco dei ribelli. Si tratta di un caso umano che certo ha suscitato viva impressione in molti giovani. Discuterne in classe, valutare criti-camente i motivi e i limiti di una scelta pagata comunque a caro prezzo può essere un modo non superficiale di riflettere sulla tragedia siriana. Il discorso dovrebbe poi allargarsi storicamente: il fascino della libertà è contagioso anche per chi non è direttamente coinvolto negli eventi, e vicende simili di giovani e uomini morti per la causa altrui si ripresentano con una certa regolarità. Gli studenti, con l’aiuto dell’insegnante, non faranno fatica a individuare, nel programma del corso di sto-ria e letteratura del Novecento, qualche esempio in proposito (basti pensare alla mobilitazione internazionale suscitata dalla guerra civile spagnola, cui si dà voce nel romanzo Per chi suona la campana di Ernest Hemingway) e potranno appro-fondire le loro conoscenze anche mediante i quotidiani dell’epoca.

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L’editorialedi Luciano FontanaCondirettore del Corriere della Sera

L’editoriale è una forma molto particolare di commento. In passato aveva una sua sacralità. In alto a sinistra, due colonne sotto la testata. Senza firma per se-gnalare che quell’articolo esprimeva l’opinione del giornale su un fatto politico (nella maggioranza dei casi) ma anche su un avvenimento internazionale o economico-sociale. Lo scriveva quasi sempre il direttore o veniva affidato a un commentatore di sua fiducia. Con la rivoluzione dello stile grafico delle prime pagine e con la nascita di forme diverse di commento anche l’editoriale è cam-biato. Intanto è un genere che ha una larga diffusione nei quotidiani italiani ma è raramente utilizzato in quelli anglosassoni. Anche nel nostro Paese sono pochi i giornali che pubblicano regolarmente editoriali nella forma grafica clas-sica. Alcuni lo fanno sporadicamente, altri (come La Repubblica) preferiscono commenti con un breve testo in prima pagina riservandosi qualche eccezione: gli editoriali del direttore e l’appuntamento domenicale con l’intervento del fondatore Eugenio Scalfari, che esprime la sua opinione su più argomenti di rilievo dell’agenda politica ed economica. Troviamo invece quasi sempre l’edi-toriale nelle pubblicazioni più marcatamente politiche (Il Giornale, Libero, Il Fatto quotidiano, L’Unità) che utilizzano il commento d’apertura come stru-mento di battaglia e di mobilitazione dei propri lettori.

Il Corriere della Sera, nonostante i forti cambiamenti che hanno caratteriz-zato la sua prima pagina, ha deciso di conservare questo elemento della tradi-zione giornalistica, sottoponendola a forti innovazioni. La vecchia distinzione tra editoriale e articolo di fondo non firmato è completamente caduta. Tutti gli editoriali o articoli di fondo (ormai i due termini vengono usati in maniera indifferente) sono firmati. Non li scrive solo il direttore, o un esponente della

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direzione, ma c’è un’ampia platea di giornalisti, collaboratori illustri ed esperti che ha l’incarico di farlo. Esprimono l’opinione del giornale ma hanno anche libertà di critica per alimentare il dibattito e l’elaborazione di nuove idee.

Normalmente si dice che l’editoriale può non rispettare la regola delle cinque W (chi, dove, quando, perché, cosa) che caratterizza, nella tradizione anglosas-sone, un buon articolo di cronaca. Il commento d’apertura del giornale può par-tire dal presupposto che il lettore conosca gli elementi fondamentali del fatto su cui si esprime un’opinione. Questa idea dell’articolo di fondo come palestra per pochi competenti è stata travolta da editorialisti che hanno fatto della chiarezza la loro stella polare. Basta ricordare Indro Montanelli. «È riuscito a sfatare, dichiarando guerra al politichese – racconta Gustavo Selva –, la convinzione di molti secondo i quali scrivere oscuro è sinonimo di scrivere profondo. La sua chiarezza era esemplare, una testimonianza di rispetto per i lettori che, anche se di limitata cultura, hanno il diritto di capire».

Lo stile di Montanelli, ma anche quello di Enzo Biagi, ha fortunatamente funzionato come buon esempio. Gli editoriali possono anche avere uno svol-gimento che non è di una semplicità fulminante. L’articolo di uno storico o di un filosofo che riflette sulle cause della fine della Prima Repubblica conterrà riferimenti certamente più complessi di quelli che troveremo in un commento sul divieto di fumo o sulle nuove regole del codice della strada. Ma anche nel primo caso chiarezza, semplicità, spiegazione degli episodi a cui ci si riferisce sono elementi indispensabili: solo così si rende un commento davvero impor-tante e accessibile per tutti i lettori interessati all’argomento.

L’editoriale per molti direttori assumeva i contorni di un vero e proprio rito. Nelle redazioni è rimasto famoso il comportamento di Giovanni Spadolini, alla guida del Corriere della Sera negli anni caldi della contestazione studentesca del 1968. «Spadolini si rinserrava in una stanza isolata da cui usciva – il racconto è ancora di Selva – con un fascio di fogli riempiti con la sua scrittura larga e svolazzante. Poi chiamava a raccolta i collaboratori più stretti e cominciava a leggere, interrompendosi ad ogni frase per sollecitare il consenso degli ascolta-tori. Finita la lettura chiamava il proto (il tecnico responsabile che in una tipo-grafia cura in particolare la composizione) e gli affidava il pezzo. Certo era una personalità molto consapevole delle sue doti. Ma i suoi editoriali, nonostante il lungo tempo passato, ancora si leggono con interesse e dimostrano la coerenza e la lucida intelligenza di un uomo di grande cultura».

Comportamenti e stili di lavoro oggi, nell’era del web, sono completamente diversi. Il numero degli editorialisti si è ampliato, anche perché sta cambiando la natura stessa dei giornali stampati: sempre più orientati a fornire commenti, analisi, punti di vista e approfondimenti. Ciò che non può mai mutare è la for-mula di scrittura di un buon editoriale: intanto – come sosteneva un altro diret-tore del Corriere della Sera, Alberto Cavallari – non bisogna mai sedersi davanti al computer per scrivere un commento se non si ha “un’idea forte”. Altrimenti il prodotto risulterà fumoso, noioso e alla fine inutile, spazio sprecato.

Altre indicazioni utili le possiamo trarre da un piccolo breviario di Giuliano Zincone, eccellente polemista che lavorò al Corriere della Sera: l’opinionista

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deve sempre offrire una merce non banale, non deve mai assecondare la ten-denza a sentirsi dire quello che già si sa. Coltivare il dubbio è una condizione necessaria. In secondo luogo, il commentatore deve comunicare con chiarezza quello che vuole dire. Mai mettersi su un piano di superiorità rispetto al lettore, non facendogli capire aspetti essenziali del proprio ragionamento. In terzo luo-go deve dimostrare di essere sincero, cioè non sottomesso a una fazione, a un padrone, a un pregiudizio. «Il lettore deve sapere che l’opinionista può anche sbagliare – diceva Zincone – ma i suoi errori non possono dipendere da inter-venti estranei alla sua libera coscienza». Un editoriale può nascere in un giornale dagli spunti e dalle occasioni più diverse. Normalmente la riunione del mattino con la direzione, i capi settore e gli inviati di redazione è il momento in cui si discute delle notizie del giorno, delle inchieste e degli approfondimenti. Un confronto in cui il giornale decide anche quali sono i temi su cui vale la pena di intervenire in sede di commento. Accade anche spesso che sia un collaboratore a proporre il tema oppure che un’idea colta al volo in una conversazione di corridoio si trasformi in un editoriale. Il giornalista (o lo storico, il politologo, l’economista collaboratore del quotidiano) che si siede davanti al computer ha già discusso con il direttore o con un membro della direzione sullo spunto di partenza dell’articolo e dell’opinione da sostenere. Naturalmente ha anche già pensato con chiarezza al messaggio da trasmettere e ha raccolto i dati di fatto che diano forza e autorevolezza allo svolgimento (devono essere puntuali e non contestabili; non c’è nulla di peggio di un’opinione fondata su presupposti sbagliati).

La scaletta è così un ottimo punto di partenza per un articolo in cui la chia-rezza, la linearità dell’argomentazione e delle conclusioni diano al lettore qual-cosa che arricchirà il suo bagaglio di conoscenze e di opinioni. L’editoriale ave-va in passato la funzione di stimolare il dibattito pubblico, soprattutto in politi-ca. Qualche volta provocava scossoni e poteva persino mettere in crisi i governi. Oggi il dialogo con i lettori, e non solo con gli interlocutori politici, economici e istituzionali, ha nuove strade, spesso istantanee, da percorrere. Non sono pochi gli editorialisti che accanto alla firma scrivono il proprio indirizzo di posta elettronica o il proprio account su Twitter. I siti web dei grandi giornali rilanciano gli editoriali aprendo immediatamente il dibattito con i lettori: pos-sono arrivare apprezzamenti ma anche commenti feroci a cui si deve sempre rispondere per spiegare la propria posizione. L’articolo di fondo perde così, ed è un bene, quel suo tratto di discorso ex cathedra per immergersi nel mondo vivo del confronto stimolato dai social media. C’è, infine, un tipo molto particolare di editoriale di cui vale la pena parlare: quello con cui un direttore apre il suo periodo di guida del giornale e quello con cui si congeda dai lettori al termine della sua esperienza. L’editoriale d’insediamento è, secondo il docente di semi-otica Ugo Volli, una «forma di scrittura strana, a volte perfino buffa da leggere, nella sua pretesa di un contatto diretto ed amichevole con quella creatura elusi-va ed estremamente variabile che è il lettore dei giornali». Normalmente un di-rettore vi afferma la difesa della continuità dei valori della testata che si appresta a dirigere (indipendenza, imparzialità, completezza dell’informazione), cerca di

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esporre l’orientamento politico-culturale, illustra gli elementi essenziali del suo piano editoriale in rapporto alla sfida con i concorrenti.

L’editoriale di chiusura può avere invece uno svolgimento molto diverso, a seconda delle cause che hanno portato alla conclusione del periodo di direzio-ne. Qualche volta, se la fine è determinata dalla rottura tra il Direttore e l’edi-tore, è molto polemico. Per chi ne ha voglia è davvero interessante la lettura degli articoli di fondo con cui Indro Montanelli iniziò il 25 giugno 1974 la sua direzione al Giornale (il quotidiano da lui fondato dopo le dimissioni dal Corriere della Sera) e con cui, venti anni dopo, diede il suo addio. Nel primo, insieme ad alcune notazioni curiose (l’incasso dei necrologi sarebbe stato de-voluto a opere assistenziali e caritatevoli) e all’illustrazione delle caratteristiche del giornale (poche pagine per risparmiare, pochi privilegi per i giornalisti, no al sensazionalismo e allo scandalismo per ricreare «un costume giornalistico di serietà e rigore»), ci si rivolgeva al lettore con una chiusa fulminante, come era nello stile di Montanelli: «Non abbiamo messaggi da lanciare. Una cosa sola vogliamo: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi, noi te lo offriamo».

Un avvio schietto ma un addio ancora più schietto e amaro, vent’anni dopo. La rottura con il suo editore, Silvio Berlusconi, diventato nel frattempo leader politico con la fondazione di Forza Italia. Scrive Montanelli nel suo saluto finale ai lettori: «Non avevo scelta: o rassegnarmi a diventare il megafono di Berlusconi o andarmene. Me ne vado». Un’alternativa secca che dovrebbe va-lere sempre per chi, scrivendo editoriali, ha il potere di influenzare una parte importante dell’opinione pubblica. Mai scrivere per conto di qualcuno: di un leader politico, sia esso di destra o di sinistra, di un potere di qualsiasi natura, economico o corporativo. Perlomeno provarci.

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Scheda

L’editorialedi Corrado PeligraDocente di Letteratura italiana

Fonte: Michele ainis, Un’ossessione trasversale (Corriere della Sera, 27 giugno 2013)

i partiti e La caccia aL neMico internoUn’ossessione trasversale

in un memorabile saggio del 1927, carl schmitt individuò le categorie fondamentali della politica nella coppia amico-nemico. come nell’estetica il bello si profila in opposizione al brutto, come nella morale il buono s’oppone al cattivo, così in politica ogni identità si forgia in contrasto all’identità dell’altro, dello straniero. e lo straniero è il tuo nemico, lo specchio che ti restituisce l’immagine rovesciata di te stesso. da qui il cemento dei popoli in armi non meno che dei partiti in piazza, da qui la rissa permanente fra destra e sinistra, che ha scandito i vent’anni del bipolarismo all’italiana. Ma dov’è, qui e oggi, il nemico? quali sembianze assume, mentre i vecchi antagonisti siedono l’uno accanto all’altro sui banchi del governo?Fateci caso: negli ultimi mesi i partiti sono diventati afoni. L’assenza d’un nemico da combattere ne ha sfibrato il corpo, ne ha disseccato le energie, al pari dei guerrieri spartani reduci da mille battaglie, che poi tornati in patria morivano di malinconia. Vale per la maggioranza, vale - singolar-mente - pure per l’opposizione. dove il Movimento 5 stelle è avvolto in una spirale autodistruttiva, che sommerge ogni progetto. La Lega nord ha abbandonato roma per rincantucciarsi nei propri territori, peraltro ormai scarsamente popolati dai suoi stessi elettori. e l’opposizione di sel non è convinta, dunque non è nemmeno convincente. del resto mettersi in trincea sarebbe un’impresa complicata, per un partito che si è presentato alle elezioni insieme alla principale forza di governo, e che esprime pur sempre la presidenza della camera.Nel silenzio dei partiti, un’unica voce risuona nei palazzi: quella del potere esecutivo. s’ascoltano dichiarazioni del premier, annunci dei ministri, promesse di decreti. È la rivincita delle istituzioni sulle segreterie politiche, che le avevano così a lungo sequestrate. Ma è anche il presagio d’uno stato amministrativo, dove la gestione prevale sulla progettazione. e dove non c’è spazio per la politica, e non c’è nemmeno posto per i partiti politici. Loro lo sanno, o almeno ne avvertono confusamente il pericolo letale. sicché reagiscono nell’unico modo che conoscono: cercandosi un nemico. e trovandolo, se non all’esterno, dentro le proprie fila. ora la vitalità residua dei partiti si scarica su un nuovo bersaglio: il nemico interno. Le prove? Scelta civica fa notizia solo per le baruffe quotidiane fra i suoi troppi colonnelli. nella Lega il nemico è diventato bossi, che ne era stato il fondatore. il Movimento 5 stelle ha già perso 6 parlamentari: un’espulsione al giorno toglie il medico di torno. nel pd renzi è vissuto come una minaccia, non come una risorsa. nel pdl i falchi incrociano gli artigli con le colombe, ma la senten-za costituzionale sul processo Mediaset, e a seguire quella di Milano sul caso ruby, hanno offerto all’unità del partito il suo antico nemico: il potere giudiziario. tutto sommato berlusconi dovrebbe ringraziare i magistrati.C’è un che di claustrofobico in questo diffuso atteggiamento. c’è un disturbo paranoide nel con-cepire il tuo compagno come un sabotatore o un traditore. Ma non è forse il morbo di cui soffriamo tutti? L’anno scorso abbiamo contato 124 casi di femminicidio, per lo più fra le mura domestiche. sono volatili gli affetti, i sodalizi culturali, i rapporti di lavoro. perché abbiamo smarrito ogni fiducia, in noi stessi prima che negli altri. e disgraziatamente la politica non ci aiuta con l’esempio.

Quei pomeriggi vuoti dei giovani bulli e violentiLa Mancata educazione aL sentiMento È La causa di ragazzi in baLia di spazzatura e soLitudine

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3 Caratteristiche dell’editoriale

L’articolo che proponiamo rientra a pieno titolo nella tipologia giornalistica dell’edito-riale, in genere collocato ad apertura di giornale in prima pagina a sinistra, e caratte-rizzato dalla centralità delle opinioni di chi scrive e da un andamento argomentativo, ove l’autore, in genere il Direttore o un opinionista di spicco, sostiene il suo punto di vista su un argomento di particolare rilievo dell’attualità politica, economica, sociale. Per tali motivi Indro Montanelli considerava l’editoriale una sorta di “tazzina di caffè” per l’intelletto, come una mattutina sveglia per le riflessioni del lettore e i confronti di idee.

La posizione in prima pagina, e dunque il suo contenuto di rilevante implicazione riflessiva (sia per l’ampiezza o la trasversalità dell’argomento, sia per la sua urgenza) distingue l’editoriale da ulteriori articoli di opinione, contenuti nelle pagine interne del giornale e specificamente rivolti ai vari settori, dalla politica interna agli esteri all’economia allo sport alla cultura e a quant’altro.

L’editoriale, come del resto qualsiasi altra tipologia di scrittura giornalistica, ha subito nel tempo rilevanti trasformazioni, che ne hanno modificato in certi casi la collocazione e in altri casi, più sostanzialmente, la finalità. Possiamo sommariamente indicare come trasformazione diffusa e di maggiore rilievo dell’editoriale il passaggio da una funzione di definizione della linea politica e ideologica (talvolta culturale) del giornale a una funzione di dibattito, erede in qualche modo della grande tradizione saggistica, ove l’editorialista interviene a titolo più personale nel corrente confronto politico e ideologico, in genere con lo scopo di offrire al lettore spiegazioni e punti di riflessioni inediti riguardo a eventi e fenomeni di spicco.

Si spiega facilmente tale mutamento: almeno fino ai primi quattro decenni del se-condo dopoguerra la politica, ma pure le dottrine economiche così come la cultura, è stata caratterizzata da una forte polarizzazione di tendenze, con punte che, come sap-piamo, si sono spinte negli anni Settanta a radicalismi non di rado violenti di destra come di sinistra. In tali condizioni i giornali, anche se non di precisa coloritura parti-tica, non potevano non esprimere un punto di vista condiviso, che si caratterizzava, in linea di massima, nella compattezza redazionale e, per quanto riguarda gli editoriali, in un punto di vista che rappresentava appunto il generale orientamento del giornale.

Ai nostri giorni, con l’indebolimento ideologico dei partiti politici, i giornali han-no perlopiù rinunciato a un preciso orientamento politico generale, riacquistando tuttavia una funzione civile di demistificazione dei meccanismi del potere e di analisi delle posizioni e delle condotte sia dei singoli politici che dei partiti, non escludendo, in tutto ciò, anche il comportamento della nazione, dell’elettorato, e l’analisi delle scelte che mutano e prevalgono nell’opinione pubblica. Era ovvio che soprattutto l’editoriale si facesse carico di tali nuove funzioni.

Nel nostro caso l’autore, Michele Ainis, interviene sull’ormai annosa questione della crisi e dei mutamenti della politica facendo illuminante breccia sugli ultimissimi assestamenti che ne hanno mutato funzioni, rapporti, soprattutto il gioco di alleanze e opposizioni e la dialettica interna.

Per molti aspetti, quali soprattutto l’originalità del punto di vista e il valore ar-gomentativo del seppure breve e semplice articolo, il testo si presenta come un breve saggio (o “saggio breve”, per dirla in termini scolastici) di politica, suscettibile di ulteriori ampliamenti e riferimenti. In quanto tale, come vedremo anche più in là, può ben costituire un modello di riferimento per le prove scolastiche di scrittura ad andamento argomentativo (appunto quel “saggio breve” con cui si cimentano gli alunni delle secondarie di secondo grado fino allo stesso esame di Stato conclusivo).

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3 L’articolo

L’articolo proposto rientra pienamente, e non solo per la sua collocazione, nella tipologia dell’editoriale così come l’abbiamo definita nelle sue più recenti accezioni. L’opinione, anzi la “tesi” (per esprimerci in termini di didattica della scrittura), è direttamente dichiarata dall’autore: «negli ultimi mesi i partiti sono diventati afoni. L’assenza d’un nemico da combattere ne ha sfibrato il corpo, ne ha disseccato le ener-gie (…)». Tale asserzione d’altronde, come in buona parte dei testi argomentativi, trova la sua validità, e in un certo senso la sua “morale”, in un principio di fondo, pro-posto come condivisibile alla comunità del lettori e altrettanto chiaramente espresso in premessa, attraverso la citazione di Carl Schmitt: «in politica ogni identità si forgia in contrasto all’identità dell’altro, dello straniero. E lo straniero è il tuo nemico, lo specchio che ti restituisce l’immagine rovesciata di te stesso». Dunque senza conflitti la politica si indebolisce, fino a ridursi a semplice gestione amministrativa, e i contra-sti, se ci sono, trovano la strada, deteriore e ulteriormente indebolente, delle baruffe interne ai partiti stessi.

Il testo è apprezzabile, oltre che per la logica stringente, anche per le qualità comu-nicative. Inizia con una illuminata e peraltro imprevedibile citazione da Carl Schmitt, filosofo parecchio in auge alcuni decenni or sono ma adesso pressoché dimenticato (“attacco con citazione”, dunque: lo proponiamo agli alunni come un buon rimedio alle difficoltà della pagina bianca) e si avvale di soluzioni retoriche (similitudini e me-tafore, soprattutto, e qualche paradosso) non prive di qualità letteraria, seppur sempre precise nei concetti: «E lo straniero è il tuo nemico, lo specchio che ti restituisce l’im-magine rovesciata di te stesso (…)»; «L’assenza d’un nemico da combattere ne ha sfi-brato il corpo, ne ha disseccato le energie, al pari dei guerrieri spartani reduci da mille battaglie, che poi tornati in patria morivano di malinconia»; «E dove non c’è spazio per la politica, e non c’è nemmeno posto per i partiti politici. Loro lo sanno, o almeno ne avvertono confusamente il pericolo letale. Sicché reagiscono nell’unico modo che co-noscono: cercandosi un nemico. E trovandolo, se non all’esterno, dentro le proprie fila. Ora la vitalità residua dei partiti si scarica su un nuovo bersaglio: il nemico interno».

L’articolo si chiude infine con un suggestivo spostamento dalla politica ai fenome-ni sociali (altro spunto di soluzione per un altro punto critico degli elaborati studen-teschi, la “conclusione”: evitare le conclusioni tautologiche, allargare verso ulteriori orizzonti di significato): come l’avversione si sta sempre più manifestando dentro più che fuori i partiti politici, così nella comune realtà si rischia di odiare il proprio compagno, il proprio familiare, il proprio collega.

3 L’attività didattica: leggere per scrivere

L’articolo proposto, assieme ad articoli di similare tipologia, entro una sorta di corpus di testi giornalistici appositamente predisposto dall’insegnante o, meglio, costruito in classe attraverso una disamina dei quotidiani a disposizione, può costituire un efficace stru-mento di lettura nonché un buon modello di scrittura, secondo gli obiettivi del “saper leggere” e “saper comunicare” in forma scritta, peraltro considerevolmente richiamati sia dalle attuali Indicazioni nazionali e Linee guida ministeriali sia da tutti i documenti eu-ropei per l’educazione e la formazione linguistica e comunicativa. L’argomento di livello riflessivo piuttosto complesso, tuttavia, suggerisce una destinazione ad alunni di secondo biennio o di quinto anno della secondaria di secondo grado.

Nell’ambito della programmazione annuale di Italiano l’attività di lettura di gior-nali quotidiani e di scrittura attraverso modelli giornalistici può essere agevolmente

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collocata entro un’unità didattica (in particolare finalizzata, nel caso della tipologia dell’editoriale e dell’articolo di opinione in genere, alla scrittura di testi argomentativi), all’interno di un modulo a carattere laboratoriale ove le abilità di lettura e di scrittura vengono sviluppate soprattutto attraverso le esercitazioni e la produzione. Suggeriamo al proposito una attività coordinata di lettura-scrittura, ove l’analisi dei testi giornali-stici possa servire a individuare procedure di scrittura in qualche modo “riutilizzabili” da parte degli studenti nella loro produzione scritta.

È il caso, per esempio, dell’“attacco” nell’articolo proposto: gli studenti possono senz’altro fare in qualche modo propria la soluzione adottata da Ainis, con esordio un po’ “alla lontana” (utilissimo per suscitare la curiosità del lettore) e citazione da una celebre personalità.

È il caso, ancora, dello sviluppo preciso e decisamente stringente, nella sua brevità, dell’argomentazione che caratterizza il testo che abbiamo proposto. È il caso, infine, della conclusione, che giustamente esclude ripetizioni e confronta politica e compor-tamenti sociali, riuscendo in tal modo a offrire al lettore ulteriori spunti di riflessione.

3 L’attività didattica: dalla storia all’attualità

L’articolo di Ainis, soprattutto se letto e analizzato assieme ad articoli di tematica simile, si presta pure ad essere collocato entro un’unità didattica di Storia e/o di Cittadinanza e Costituzione, finalizzata alla conoscenza e alla problematizzazione dei conflitti politici. Gioverà senz’altro allo scopo una prospettiva che dal passato e dalla storia (peraltro accennata dall’articolo di Ainis: si vedano i riferimenti al «cemento dei popoli in armi non meno che dei partiti in piazza» e, più recentemente, alla «rissa per-manente fra destra e sinistra, che ha scandito i vent’anni del bipolarismo all’italiana») proceda verso la cronaca e l’attualità.

Il nostro articolo può comunque anche uscire fuori da una didattica prettamen-te disciplinare, e prestarsi a una prospettiva trasversale, che tocchi aspetti storici e politici, ma anche sociali (si prestano particolarmente allo scopo le considerazioni finali, in particolare su fenomeni quale soprattutto il femminicidio). Tale approccio si può rivelare d’altronde particolarmente opportuno se la scuola decide di riservare uno spazio estemporaneo ad una attività di lettura giornalistica come quella proposta dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori, escludendo dunque particolari pre-giudiziali didattiche e fidando sull’interesse che di volta in volta può emergere negli alunni dalla varietà tipologica e/o di contenuto degli articoli.

Se l’articolo vuole comunque essere utilizzato più (o anche) nel suo contenuto gioverà predisporre un sistema di dibattito, preferibilmente distribuendo opportunamente gli alun-ni in gruppi di lettura e di approfondimento, sì che il testo giornalistico possa essere una ba-se (o uno stimolo) per successivi approfondimenti e confronti. Sarà poi cura dell’insegnante, in questo caso, elaborare o fare elaborare agli alunni una sintesi, preferibilmente in forma scritta, che possa servire alla pubblicazione e alla condivisione dell’esperienza.

3 Approfondimenti

Di Michele Ainis, sulla stessa problematica dei meccanismi del potere politico, si possono leggere, tra gli altri

• Statomatto.L’Italiachenonfunziona, Garzanti, Milano 2007; • Privilegium.L’Italiadivoratadallelobby,Rizzoli, Milano 2012; • Romanzonazionale.L’Italiaegliingannidellapolitica, Dalai, Milano 2013.

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L’inchiestadi Fiorenza SarzaniniInviato del Corriere della Sera

Il giornalismo d’inchiesta

Quando si parla di giornalismo d’inchiesta, spesso ci si confonde con il giorna-lismo di cronaca giudiziaria. Si tratta in realtà di due modi diversi di raccontare quanto accade. Anche se poi, come vedremo, si tratta spesso delle due facce di una stessa medaglia perché si riesce davvero ad analizzare e approfondire i fatti soltanto quando si aggiunge una verifica molto più personale a quanto viene proposto dalle fonti, anche. La vera essenza del mestiere dovrebbe essere questa: la capacità di non limitarsi a fornire il resoconto di un episodio, andando inve-ce a scavare per cercare eventuali punti oscuri di una storia. E quindi esaminare sempre quegli aspetti, anche marginali, che possono nascondere la verità.

Il giornalismo d’inchiesta vero e proprio può partire da un episodio specifico, oppure può essere l’approfondimento di un fenomeno. Poniamo ad esempio che ci siano dubbi sulla messa in commercio di un farmaco. Si può decidere di fare un’inchiesta sui motivi che hanno convinto le autorità a concedere l’au-torizzazione. A questo punto bisognerebbe innanzitutto scoprire quali sono le controindicazioni rispetto all’assunzione del medicinale e gli eventuali rischi per la salute. Per farlo bisogna intervistare esperti favorevoli e contrari, verifica-re l’esistenza di casi di decesso o comunque di danni permanenti tra i pazienti, scoprire che cosa è successo negli altri Paesi che hanno deciso per il blocco (esplorando le ragioni) e quelli che invece sono stati favorevoli alla vendita (cercando anche in questo caso di sapere quali procedure sono state adottate).

Fondamentale in questo tipo di lavoro è avere la mente sgombra da pregiu-dizi, quindi ascoltare tutti senza diventare tifosi di una tesi o del suo contrario.

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L’obiettivo, quando si svolge un’inchiesta del genere, è infatti fornire il massimo delle informazioni possibili su un argomento poco conosciuto in modo che il lettore possa avere tutti gli elementi a disposizione per formarsi una propria opinione. Si può anche esprimere il proprio parere, fornire alcune indicazioni sulla bontà o meno della scelta, ma per essere credibili bisogna farlo dopo aver esaminato davvero ogni aspetto della questione.

Spesso questi tipi di articoli vengono corredati da interviste oppure da ta-belle che possano aiutare ad avere un’idea dell’argomento che viene trattato. È molto importante raccogliere dati aggiornati e indicativi del fenomeno. Le per-sone che vengono intervistate devono invece avere una competenza nel settore o comunque conoscere perfettamente la materia di cui si tratta. Possono anche essere coinvolte nella vicenda, ma devono comunque essere credibili.

Giornalismo d’inchiesta è anche l’approfondimento di un’indagine svolta dalla magistratura e spesso può addirittura diventare una “controindagine” che serve a mettere in luce i punti rimasti oscuri nella ricerca della verità oppure a far emergere una ricostruzione alternativa. Un esempio può essere quanto acca-duto qualche anno fa riguardo al caso diventato noto come «l’asilo di Rignano Flaminio».

Le verifiche affidate ai carabinieri cominciarono dopo la presentazione di una denuncia da parte di alcuni genitori di bimbi che avevano dai 3 ai 5 anni e raccontavano di abusi compiuti dalle maestre in un casale della campagna romana. Oltre alle tre insegnanti venivano accusati il marito di una di loro e il benzinaio del paese, un giovane extracomunitario diventato subito l’“uomo nero”, che avrebbero seviziato i bimbi e li avrebbero obbligati ad assistere e partecipare a giochi sessuali.

Per supportare questi loro racconti, i genitori consegnarono agli investiga-tori alcuni video che avevano girato nelle settimane precedenti. Veri e propri interrogatori ai quali avevano sottoposto i loro figli. Una prova ritenuta schiac-ciante dal magistrato titolare del fascicolo e soprattutto dal giudice che accolse la richiesta di arresto per le maestre e per i loro presunti complici. È in questo momento, cioè quando le carte processuali sono state svelate, che da parte di alcuni giornali è cominciato un lavoro di approfondimento che si è appunto trasformato in una controinchiesta. Anche perché uno dei difensori degli inda-gati parlò apertamente di «psicosi collettiva» e dunque valeva la pena di provare ad andare oltre quel che era emerso fino a quel momento.

Il primo punto oscuro riguardava proprio il video con i bimbi. Appariva evi-dente come i genitori, evidentemente convinti che i propri figli avessero subito soprusi, esercitassero nei loro confronti una sorta di pressione psicologica per far dire loro che le maestre erano «cattive». Molto dubbio è anche il compor-tamento degli adulti. Prima di presentarsi dai carabinieri, alcune coppie ave-vano infatti avuto degli incontri durante i quali si erano confrontati sullo stato d’animo dei propri bimbi, giungendo alla conclusione che ci fosse qualcosa di strano nei loro comportamenti, fino ad avere la certezza che qualcuno ne avesse abusato. Ma proprio questi confronti preventivi rendevano meno genuini i racconti dei minori. Inizialmente si era infatti creduto alla bontà di quanto ve-

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niva denunciato proprio perché persone diverse elencavano uguali circostanze, invece la realtà era che le coincidenze erano tali solo perché gli adulti avevano parlato tra loro di quanto sarebbe accaduto ai bambini.

Ma il vero punto debole di tutta la ricostruzione dell’accusa era il ruolo dei protagonisti e in particolare del benzinaio. Le verifiche effettuate per ordine del Magistrato avevano infatti consentito di accertare che agli atti processuali non c’era alcun elemento per dimostrare una relazione tra le maestre e il giovane extracomunitario, né tra quest’ultimo e il marito dell’insegnate ritenuto par-tecipe della combriccola. Anzi, l’esame dei tabulati telefonici aveva smentito qualsiasi tipo di contatto tanto che alla fine il giudice era stato costretto a far uscire subito dall’inchiesta il ragazzo, ammettendo che c’era stato un errore. Il primo di una lunga serie che avrebbe poi lentamente minato l’intero impianto dell’accusa.

Quello di Rignano è soltanto un esempio per dimostrare come si dovrebbe procedere seriamente nel mestiere di giornalista. I passi da compiere sono sem-plici ma necessari: approfondire sempre i fatti non fermandosi di fronte alla ricostruzione ufficiale; porre e porsi domande su ogni aspetto della vicenda; ascoltare tutte le fonti, anche quelle che appaiono poco utili perché anche il mi-nimo dettaglio può contribuire a dare una visione diversa di ciò che è accaduto.

Il giornalismo giudiziario

Proprio questo tipo di approccio può essere utile nel giornalismo giudiziario, che invece ha l’obiettivo di raccontare le inchieste oppure i processi e dunque si basa sul lavoro svolto prima dagli investigatori e poi dai magistrati. La cro-naca pura, che però non deve mai prescindere da una valutazione obiettiva di quanto accade. Per questo è molto importante, al di là del rapporto diretto con le fonti, poter esaminare gli atti processuali e dunque formarsi una propria opinione sull’inchiesta o poi sull’eventuale dibattimento.

Il lavoro del cronista giudiziario, a differenza di quanto accade per il lavoro d’inchiesta, si basa sostanzialmente sul resoconto degli accertamenti svolti da altri.

Per avere un’idea di come si svolge praticamente l’attività possiamo prendere ad esempio l’inchiesta sugli appalti per i Grandi Eventi condotta dalla procura di Firenze sulla base delle indagine svolte dai carabinieri del Ros. Intercettando alcune conversazioni tra imprenditori e tecnici impegnati in alcuni lavori pub-blici, gli investigatori avevano raccolto elementi su tangenti pagate da alcune ditte per aggiudicarsi le “commesse” legate a tutti gli eventi gestiti dalla pre-sidenza del Consiglio. Si decise così di mettere sotto controllo i telefoni di funzionari pubblici che gestivano le procedure di assegnazione.

Quando sono stati eseguiti gli arresti di alti funzionari dello Stato e impren-ditori, i giornalisti hanno potuto visionare gli atti dell’inchiesta. E si è così sco-perto quale fosse il retroscena degli affari più remunerativi conclusi nel nostro Paese negli ultimi cinque anni. O forse molto di più.

Per un giornalista che si è occupato di cronaca giudiziaria, l’attenta lettu-

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ra del fascicolo processuale è fondamentale per fornire un’informazione ap-profondita e obiettiva. Soltanto una perfetta conoscenza dei fatti consente di spiegare al lettore che cosa è accaduto, le eventuali distorsioni rispetto alle nor-me vigenti, i possibili abusi. Bisogna essere inattaccabili per essere credibili. È molto importante che la cronaca sia svincolata dal commento. È fondamentale raccontare in maniera chiara – talvolta anche didascalica – le procedure illecite utilizzate dagli indagati.

Per questo diventa indispensabile la “distanza” dalla fonte. Vuol dire che non si deve aver paura di criticare quanto è stato fatto, purché si basi su elemen-ti concreti e non su posizioni ideologiche. Per avere notizie buone e soprattutto “in esclusiva”, il cronista deve creare un rapporto di fiducia con la fonte. Un legame forte che però non può e non deve influenzare mai la capacità di esse-re obiettivi. Anche perché è questo l’unico strumento che dà autorevolezza al giornalista. E, particolare che può sembrare scontato e invece è sempre meglio tenere perfettamente presente, mai una notizia deve essere ottenuta grazie a una contropartita economica o di altro tipo.

Può naturalmente capitare di fare degli errori. Bisogna avere l’onestà di am-metterlo e di riparare.

Seguire la cronaca giudiziaria porta ad essere molto invasivi nella vita delle persone. Ci sono limiti che non devono comunque essere mai superati. Non solo. È possibile avere notizie che non sono pubblicabili. L’esempio classico riguarda i sequestri di persona. Di fronte alla salvaguardia della vita degli ostag-gi, il giornalista si deve fermare. Se ci sono dettagli che possono creare pericoli per chi si trova in stato di prigionia, è bene attendere prima di renderli noti. Proprio come dovrebbe accadere quando si racconta la caccia a pericolosi cri-minali.

Non è facile conciliare il dovere di informare dei giornalisti con il diritto di essere informati dei cittadini. Ma non bisogna mai perdere di vista quei principi etici che dovrebbero guidare la vita di ognuno di noi e che dovrebbero portare ogni giornalista a non mettere mai a rischio l’esistenza degli altri.

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Scheda

L’inchiestadi Giulio TosoneFormatore, MediaEducator

Fonte: giusi fasano, Caldo e macchie, viaggio sul treno a bassa velocità (Corriere della sera, 5 luglio 2013)

trasporti una coppia di neWYorKesi si LaMenta percHé Mancano Le prese eLettricHe. i pendoLari: ogni anno perdiaMo 5 giorni di Vita aspettando i conVogLiCaldo e macchie, viaggio sul treno a bassa velocitàiL genoVa-MiLano contestato daL sindaco doria: «più Lento di trenta anni fa»

il capotreno domenico chilà, guarda l’orologio nervosamente. «aspetta qualcuno?» chiede quando sono le 14.05. davanti alla risposta sfoggia un sorriso: «ah, giornalista... partiamo in orario, lo scri-va». L’intercity 669 Milano-genova-La spezia promette bene. niente ritardo. che si sia sbagliato il sindaco genovese Marco doria nel dire che la situazione della linea ferroviaria Milano-genova è «inaccettabile»? che abbia esagerato nel parlare di «decadimento del servizio» per «quantità, qualità e puntualità dei treni?». Ha detto questo e molto di più, ieri mattina, in un’intervista alla tele-visione locale primocanale. Ha raccontato della «sporcizia delle carrozze» e di «un servizio più lento di quello offerto trent’anni fa», ha immaginato le difficoltà davanti alla «tappa strategica dell’expo 2015» e ha promesso: «da ora in poi mi occuperò di più di questo problema». una questione che conosce bene anche perché sua moglie, docente alla cattolica di Milano, è una pendolare della linea.il capotreno chilà dice che «sì, capita che qualche lamentela ci sia, soprattutto con la pulizia. il fatto è che questi treni sono vecchi». sospiro. «comunque è annotato tutto qui dentro». e mostra il «libro di bordo», ogni pagina qualcosa che non va. sotto l’elenco «irregolarità contestata» ci puoi trovare dall’aria condizionata alle luci, dai sedili ai lavandini, dal riscaldamento ai tappeti, dal finestrino ai filtri dell’aria. per ciascuna delle voci va specificato se è mancante, difettoso, se non si apre, non si chiude, se è sporco e così via. appunti buoni per l’ufficio manutenzioni. che però, a giudicare dalle condizioni del treno, non intervengono con grande frequenza.in prima classe l’aria condizionata funziona, ma in compenso le poltrone degli scompartimenti sono sporch e (per usare un eufemismo) e la parte in moquette del pavimento è una coltivazione di macchie di ogni genere. due carrozze e si passa in seconda dove, tanto per cominciare, non c’è traccia di aria condizionata. «Ma sì che c’è, venga a sentire», il signor chilà mette la mano sui bocchettoni dei finestrini. in ef-fetti arriva aria fresca, ma il risultato non cambia: fa caldissimo.Manuela Mussi è una viaggiatrice diretta a La spezia. «io ho vissuto in africa e non era così sporco da nessuna parte» attacca. «Mi sono fatta tre carrozze per trovare un bagno funzionante, i sedili qui davanti sono sfondati e che non mi vengano a dire che lo sono da oggi».poco più avanti una coppia di newyorkesi in vacanza entra nella discussione per chiedere al capotreno dove denunciare un bagaglio smarrito, come mai i treni regionali non si possono prenotare online e perché non ci sono prese elettriche in seconda classe? Lui allarga le braccia sconsolato e riempie fogli del suo libro di bordo. È arrivata l’ora di controllare lo stato delle toilette: nelle otto carrozze (due bagni ciascuna) se ne salvano tre-quattro al massimo. il resto è, nella migliore delle ipotesi, inguardabile. però alla fine l’intercity arriva in orario. a differenza di quel che succede normalmente per i regionali come quello in partenza da genova ieri alle 17.43: arrivato 30 minuti dopo. enrico pallavicini, leader del comitato dei pendolari genova-Milano, ha fatto i calcoli: «ogni anno un pendolare di questa linea perde cinque giorni di vita aspettando treni in ritardo». il libro dei sogni? «potenziare la linea e ridurre la percorrenza a un’ora». non che ai vertici di trenitalia non conoscano il problema: «gli intercity e i regionali sono a contratto di servizio» spiegano. «accordi fra noi e il ministero oppure la regione che decidono i dettagli, dalla vetustà del treno, al numero di carrozze». L’usura e la pulizia però no: «quelli sono a carico nostro».

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3 Caratteristiche dell’inchiesta e suo utilizzo in classe

La prima domanda che potrebbe venire in mente sfogliando un qualsiasi quotidiano è: «ma dove sono finite le inchieste?» Raramente, infatti, viene esplicitamente uti-lizzata questa categoria per definire gli articoli. Ne è un esempio anche quello che abbiamo scelto come supporto a questa scheda: si trova nella sezione “cronache” e l’occhiello, per aiutarci a incasellare subito il pezzo, riporta come “parola chiave” la dicitura “trasporti”. Se però ci fermiamo a leggere con attenzione l’articolo ci accor-giamo che ha tutte le caratteristiche di una inchiesta: c’è un problema che qualcuno ha fatto emergere, c’è un giornalista che si mette in moto e non solo recupera le fonti ma prova sulla sua pelle la situazione problematica per raccontarla e farla venire a galla nella consapevolezza comune. L’inchiesta allora non è sparita, forse viaggia sem-plicemente sotto traccia come un fiume carsico, ricomparendo qua e là tra le pagine dei quotidiani.

A prima vista potrebbe, in questo caso, trattarsi di una inchiesta non particolar-mente rilevante: non ci sono scandali milionari (in euro), non si svelano retroscena di personaggi di grande notorietà. Eppure, dal nostro punto di vista, non è questo il criterio più utile per la scelta del pezzo su cui lavorare con gli studenti. Anzi, può esse-re che inchieste che toccano grandi temi non si rivelino particolarmente utili perché l’attenzione è distratta da elementi poco rilevanti per l’azione didattica o perché ri-chiedono competenze molto specifiche per orientarsi e comprendere bene l’argomen-to. Pensiamo alle grandi inchieste sugli scandali finanziari che spesso riportano una serie di termini e di meccanismi molto specialistici che non tutti gli studenti (forse in alcuni casi nemmeno noi che dobbiamo accompagnarli) riescono a comprendere e che non necessariamente devono rientrare nelle priorità per il loro percorso scolastico. Mentre in questo caso si tratta di un tema che probabilmente non è lontano dalla loro vita quotidiana: tutti loro (anche chi non prende il treno tutti i giorni per andare a scuola) hanno provato il disagio di viaggiare su treni come quelli descritti nell’articolo e, in ogni caso, l’articolo non richiede particolari competenze per la sua piena com-prensione. Così come non deve preoccuparci il fatto che il pezzo in questione sembra essere apparentemente centrato su una realtà geografica molto particolare (Genova e il suo collegamento ferroviario con Milano), perché in realtà tratta, prendendo spun-to da una situazione locale, un tema che potrebbe essere uno spaccato della vita in qualsiasi zona d’Italia. Quindi il pezzo bene si presta a un lavoro in classe con diverse tipologie di studenti (dalla prima alla quinta e di diversi tipi di istituto o indirizzo).

3 Contenuti e struttura dell’articolo

Se proviamo a smontare l’articolo possiamo ritrovare una sequenza di parti ben preci-se. C’è un antefatto che scatena l’azione del giornalista: il sindaco di Genova che nei giorni precedenti ha definito «inaccettabili» i collegamenti ferroviari tra la sua città e Milano, arrivando a parlare di «decadimento del servizio». La giornalista per prima cosa ci introduce al viaggio vero e proprio, presentandoci la situazione nella stazione di partenza e il capotreno (interfaccia tra utenti e servizio). Si passa poi ad esplorare la situazione oggettiva delle condizioni del treno. Viene lasciato infine spazio alle storie di chi utilizza quel mezzo di trasporto e a chi (il rappresentante del comitato pendo-lari) “difende” gli interessi di chi fruisce di un servizio pubblico. Da notare la chiosa finale con due battute di “virgolettato” delle dichiarazioni dei vertici di Trenitalia che arrivano ad ammettere, tra le colpe altrui, cosa è realmente sotto la loro responsabilità.

Notiamo anche alcune particolarità. Intanto nell’occhiello, probabilmente per ri-

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spettare gli spazi del giornale viene scritto un numero in cifre (cosa che a scuola in un tema non sarebbe stato assolutamente ammissibile). Questo ci permette di ragionare con i ragazzi su come non solo i generi letterari ma anche il mezzo di comunicazione influenzino (più di quanto immaginiamo) le regole della scrittura.

Sempre l’occhiello ci propone due prospettive diverse: chi si lamenta che mancano le prese elettriche e chi si lamenta dei ritardi cronici. Questo è un modo per rende-re subito la complessità del tema che si dovrà affrontare, perché l’ampio spettro di fruitori del servizio pone problemi e priorità diverse. Se andiamo a vedere la pagina originale del quotidiano troviamo anche tre foto di corredo. Se facciamo attenzione alla foto principale vediamo che riporta i tabelloni della stazione di Genova (lo capia-mo dalle scritte in piccolo che segnalano le fermate intermedie verso la destinazione) e vediamo che è esattamente lo stesso treno che viene citato verso la fine dell’articolo «quello in partenza da Genova ieri alle 17.43: arrivato 30 minuti dopo» segno che le foto (almeno quella principale) sono state scattate appositamente per l’articolo e non pescate da un repertorio esistente. Anche questi piccoli dettagli, “letti” (perché anche una immagine è un “testo” che dobbiamo imparare a decodificare) insieme agli studenti, aiutano a sviluppare senso critico e a capire quanto possa essere interessante e “robusto” un pezzo di giornalismo (indipendentemente dalla potenza mediatica dell’argomento).

Ultima nota, interessante anche qui per un possibile esercizio da fare coi ragazzi, è confrontare il titolo dell’edizione cartacea con quello dell’edizione digitale. L’occhiello si semplifica (Trasporti - I pendolari: ogni anno perdiamo 5 giorni di vita aspettando i convogli) perdendo uno dei due temi. Il titolo si ristruttura specificando la tratta fer-roviaria a cui ci si riferisce (Genova-Milano tra caldo e macchie sporcizia Viaggio sul treno a bassa velocità), meccanismo comprensibile se pensiamo allo spezzettamento e alla diversa modalità di fruizione degli articoli online. E infine il sottotitolo si amplia (Il sindaco Doria: «Più lento di trenta anni fa». In seconda classe: «Tre carrozze per trovare un bagno funzionante»).

3 Prospettive operative per la didattica

Sicuramente il primo passo, nonostante la relativa semplicità del tema, è sempre quel-lo di verificare l’effettiva comprensione di tutti i termini della questione. In questo caso, per esempio, è importante che tutti i ragazzi siano arrivati a contestualizzare gli aspetti geografici (si parla di pendolari Genova-Milano, ma non è scontato che tutti i ragazzi abbiano idea di che distanze siano in gioco e di quali tempi di spostamento si stia parlando). Ci sono comunque alcuni termini specifici. Basti pensare al «libro di bordo»: quanti di noi hanno idea della sua presenza a bordo del treno e del fatto che questo strumento raccoglie e conserva tutte le rimostranze dei passeggeri. Si par-la più volte di «intercity» e di «regionali». In alcuni casi potrà essere superfluo, ma fermarsi a riflettere su questi termini aiuta i ragazzi ad abituarsi non a saltare da una parola all’altra cercando di raggiungere in fretta la fine della frase, quanto a fermarsi e verificare di aver capito, di sapere esattamente di cosa si tratta quando trovano una parola particolare (soprattutto quelle che si usano spesso ma di cui poi si scopre di non sapere esattamente cosa vogliono dire).

In questo caso, vista la particolarità del tema, potrebbe essere interessante provare a fare una ricostruzione storica per verificare l’affermazione del sindaco, riportata nel sottotitolo, secondo cui il treno è più lento di trenta anni fa. Esercizio interessante (indipendentemente dal tipo di programma che si affronta con quella classe in quel momento, essendo un esercizio di metodo) perché chiede non solo di cercare dati

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storici ma anche di contestualizzarli: la velocità di percorrenza di una tratta intesa non come valore assoluto ma confrontata con la velocità di spostamento degli altri mezzi di trasporto normalmente disponibili in quel momento, così come il costo di un servizio per avere senso deve essere paragonato al costo medio della vita (o a un parametro che lo rappresenti).

Con un articolo di questo tipo ci stiamo muovendo evidentemente nell’ambito dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione, in particolare tenendo presente la modalità indicata come approccio trasversale. Due aspetti di questa inchiesta po-trebbero porre ulteriori stimoli in tale senso: la scelta del mezzo (treno) e lo stato di degrado descritto. Il primo, ripensando alla sottolineatura rispetto ai temi della sensi-bilità ambientale, ci può portare a ragionare coi ragazzi su che impatto (positivo) ha l’utilizzo del treno (il retro dei biglietti offre già indicazioni in tale senso confrontando il consumo di CO2 di un viaggio in treno e con altri mezzi di trasporto) fino ad arri-vare a ragionare con loro su cosa si dovrebbe fare per incentivarne l’uso (la domanda che, quasi sicuramente, arriveremo a farci è: un treno quasi costantemente in ritardo invoglia all’uso?). Il secondo, ci può portare a evidenziare un non detto dell’articolo: se i sedili sono sfondati e i bagni sono sporchi non è colpa del treno che si auto-sporca o auto-distrugge, ci deve essere anche qualcuno che ha agito in modo non adatto. Oltre a una possibile carenza di manutenzione o di pulizia, la lettura e il ragionamento su questo articolo (e altri simili) può portarci a ragionare sui temi del vivere civile, del rispetto delle regole (segno del rispetto che si vuole avere per gli altri).

Può essere utile a questo punto cercare altri tipi di articoli simili. Dicevamo che raramente questo tipo di articolo viene etichettato come inchiesta, anzi, questa indi-cazione potrebbe essere fuorviante (è più facile che compaia su un articolo di cronaca che riporta gli esiti di una inchiesta della magistratura). Potrebbe essere interessante allora proporre ai ragazzi di cercare sul quotidiano altri articoli che, per le loro carat-teristiche, possano essere riuniti sotto questa categoria e di confrontarli tra di loro per verificare, stanti alcuni elementi comuni, i margini di variabilità di questo tipo di articolo.

E infine, seguendo un crescendo di complessità, può essere proposto, soprattutto per gli studenti degli ultimi anni, un esercizio di produzione, ben sapendo che si tratta, per questo tipo di articolo, di una attività molto delicata. In questo caso si tratterebbe, infatti, non solo di scrivere su un argomento che i ragazzi conoscono con lo stile dell’inchiesta, ma di provare a realizzare una vera e propria inchiesta. Cercare un problema (meglio se piccolo e legato alla realtà territoriale) che si ritiene meriti di essere conosciuto da tutti, provare a raccogliere informazioni e presentarle sotto forma di inchiesta giornalistica.

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Da ormai diversi anni moltissimi quotidiani pubblicano sulla prima pagina una vignetta di satira politica. Il Corriere della Sera, al quale collaboro fin dal 1991, la pubblica addirittura ogni giorno.

L’inserimento della vignetta satirica nei quotidiani italiani è relativamente recente. Fu La Repubblica nell’anno 1976, nel suo primo numero, a prevedere nella pagina n°6 dedicata ai “commenti” uno spazio per la vignetta satirica di Giorgio Forattini (qualche volta sostituito da Massimo Bucchi o da Franco Bevilacqua). Fu un successo e altri quotidiani seguirono presto l’esempio. In anni successivi la vignetta ha trovato ospitalità addirittura nella prima pagina.

Le caratteristiche e le peculiarità che deve avere una vignetta come forma di scrittura giornalistica sono senz’altro in primo luogo la sintesi e la immeditata percepibilità da parte del lettore del messaggio che questa vuol dare.

La vignetta non può e non deve essere una semplice illustrazione di un av-venimento ma deve esprime un’idea, una critica ironica. Naturalmente per ottenere questo risultato le cose possono variare sia in ordine all’impaginazione, sia in ordine ai personaggi rappresentati.

Se la vignetta è a corredo di un articolo con una titolazione appropriata è logico che la percepibilità da parte del lettore del messaggio satirico è alquanto facilitata, altrimenti occorre dare un titolo alla vignetta e la battuta messa in bocca ai personaggi rappresentati deve rendere evidente l’avvenimento politico al quale si intende fare riferimento.

La vignetta può avere come protagonisti personaggi anonimi o noti per-sonaggi politici (messi in caricatura). In questo secondo caso è ovvio che la riconoscibilità del soggetto, con esasperazione dei tratti somatici, è essenziale

La vignettadi Emilio GiannelliVignettista del Corriere della Sera

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per il successo della vignetta.Per quanto riguarda il mio lavoro voglio precisare che personalmente non

amo la battuta volgare e preferisco la puntura di spillo alla decapitazione con colpo di accetta. C’è poi da dire che la vignetta deve essere un’espressione li-bera e trasgressiva, non obbligatoriamente rispettosa della linea del giornale sul quale viene pubblicata, ma deve avere una voce critica che, giovandosi del palcoscenico e dell’ironia, può far intendere cose anche più pungenti rispetto ad un articolo.

Guai se diviene però una gratuita diffamazione, non sarebbe più satira.

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Scheda

La vignettadi Piero CattaneoDirigente Scolastico della scuola secondaria di primo grado “Griffini” di Casalpusterlengo

1 La scelta della vignettaLa vignetta in prima pagina è ormai prassi diffusa su quasi tutti i quotidiani; il ricorso alle vignette è comune anche a molti settimanali e/o inserti degli stessi quotidiani.

La vignetta racchiude in un’immagine, in alcune parole, in pochi tratti la sintesi, l’idea chiave, il punto critico di un evento, di un discorso, di un momento particolare della vita quotidiana di un Paese o di un’istituzione o di un personaggio pubblico.

Una vignetta può sostituire un articolo o un editoriale o un commento per cattu-rare l’attenzione del lettore del quotidiano o può indurre il lettore stesso ad appro-fondire il “contenuto” della vignetta posta accanto ad un articolo o ad altro “pezzo” del giornale.

Le due vignette scelte per questo lavoro riguardano due situazioni particolari (pub-blicate sabato 6 luglio 2013)

La scelta delle due vignette è dettata dal “momento” storico-politico attuale che ve-de un Governo detto delle “larghe intese” impegnato a ridurre i costi della “politica” e dall’altro a ridurre le imposte e le tasse a carico dei cittadini.

La scelta è caduta su due vignette di Emilio Giannelli, che da parecchi anni disegna la vignetta collocata in prima pagina del Corriere della Sera.

Ciò che normalmente colpisce delle sue vignette è la “genialità” dell’intuizione che sta alla base del disegno, del gioco di parole, dell’atteggiamento dei personaggi ritratti, del titolo stesso talora posto in alto alla vignetta o come commento sintetico della rappresentazione.

Ci sono lettori che, aprendo il quotidiano, cercano immediatamente la vignetta per cogliere il “dato” in evidenza della giornata e poi leggono e si documentano in merito a quanto rappresentato in sintesi dal vignettista.

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2 Che cos’è la vignetta? Qual è la sua funzione? Quali sono le sue caratteristiche?La vignetta è un riquadro ben delimitato e collocato sul quotidiano (può essere sulla prima pagina o su una pagina interna) contenente una singola scena. La collocazione e la dimensione della vignetta non sono indifferenti rispetto all’obiettivo che si vuol raggiungere.

Nel caso del Corriere della Sera e della vignetta quotidiana di Giannelli, la dimen-sione del riquadro è sempre uguale, il nome dell’autore è evidenziato in un bordo rosso (che fa contrasto con il bianco e nero della pagina e con gli eventuali colori della “foto del giorno” o di qualche annuncio pubblicitario posti sempre sulla stessa pagina). Questi elementi rappresentano una scelta stilistica e narrativa ben precisa.

All’interno dello stesso quotidiano vengono riportate talora vignette con più scene, dando dinamismo alla narrazione che ovviamente risulta più movimentata. Anche Giannelli spesso ricorre, nel riquadro classico della vignetta, ad una articolazione dello spazio stesso in tanti riquadri più piccoli per dare movimento all’idea rappresentata.

In questi casi la successione dei riquadri interni e delle scene di una striscia crea un fe-nomeno percettivo ed analogo a quello del montaggio cinematografico ed effettivamente la funzione delle vignette è simile a quella delle inquadrature. Ad esempio: ci sono dei primi piani, o delle scene “frontali”. Ne è un esempio la vignetta pubblicata dal Corriere della Sera il 27 giugno 2013, dove il Premier Enrico Letta e il Vice-Premier Angelino Alfano “mandano in rete” le due “promesse elettorali”: il lavoro (Letta); le tasse (Alfano).

L’ironia soffusa nella vignetta è determinata sia dalla rappresentazione fisica dei due politici, sia dai titoli (Due gol; I bomber), sia dal particolare delle scritte sui due palloni finiti in rete (pubblicata sul Corriere della Sera del 27 giugno 2013).

Altre vignette presentano particolari che evocano le inquadrature cinematografi-che: ad esempio la distribuzione delle figure rappresentate nello spazio destinato alla vignetta (con o senza titolo o didascalia).

Ad esempio: a proposito del caso “Snowden”, Giannelli ha pubblicato il 2 luglio 2013 la vignetta sopra riportata, evidenziando nel riquadro destinato alle “stelle” degli Stati della bandiera USA l’immagine ripetuta dell’orecchio (il “grande fratello” – lo scandalo delle intercettazioni in Cina e in Europa).

Altri accorgimenti potrebbero essere utilizzati con l’uso della prospettiva: se è dal basso (in genere l’effetto è sovrastante, l’immagine incombe su chi guarda) piuttosto che dall’alto (dove si ottiene l’effetto contrario, di predominanza di chi guarda rispet-to al soggetto raffigurato/ripreso).

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Anche le luci e i colori possono contribuire a creare un’ambientazione più o meno drammatica o caricaturale in base allo stile e alla tecnica scelta.

Ne è un esempio la vignetta di Giannelli posta qui a fianco pubblicata sul Corriere della Sera il 5 luglio 2013 a proposito del “golpe” militare in Egitto.

Anche la dimensione “colloquiale” può entrare nella vignetta: ne sono esempi il colloquio a due fra il Premier Letta e il capogruppo del PDL alla Camera dei Deputati, Renato Brunetta, pubblicata sul Corriere della Sera del 29 luglio 2013,

ma anche la vignetta di Sergio Staino pubblicata in una pagina interna del Corriere della Sera del 19 giugno 2013.

Ci sono pure forme di “soliloquio” dove i personaggi “parlano, riflettono” a voce

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alta”. Un esempio è la vignetta di Giannelli del 1 luglio 2013 sulle considerazioni personali del Premier Enrico Letta sulla sua “propensione” al rinvio con l’efficace gioco di parole: Letta – Slitta.

Altrettanto efficace la vignetta di Mauro Biani sul manager Marchionne a propo-sito dei “tempi” di lavoro pubblicata su Style - magazine del Corriere della Sera del giugno 2013.

Quelle rappresentate sono tutte vignette umoristiche o di satira politica, in cui, co-me si è detto, ciascuna si risolve in una singola inquadratura (la vignetta appunto!) in

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sé conclusa e finita. All’interno del riquadro si trovano uno o più personaggi (e/o figu-re evocatrici) con le loro battute brevi e fulminanti. La storia della vignetta politica in particolare sui quotidiani ha annoverato autori che hanno acquisito notevole fama, da Forattini a Giannelli, da Staino a Vauro, da Ellekappa a Altan, da Agnese a Bucchi.

Molti di loro hanno raccolto le loro vignette più famose o ritenute particolarmente significative in volume o in raccolte che spesso sono diventate strenne natalizie o co-munque “regali” per intrattenere amici con momenti di sano umorismo.

Di sano umorismo.Non si può ignorare che molte vignette satiriche puntano anche su fatti, eventi,

persone, legate al mondo della religione cattolica. Le figure del Papa e di alcuni alti esponenti del clero sono spesso “rappresentate” in vignette.

Di recente le dimissioni di Papa Ratzinger e l’ascesa al Soglio pontificio di Papa Francesco sono state “riprese” in alcune vignette sui quotidiani (sul Corriere della Sera del 14 marzo e del 5 luglio 2013).

Le tre vignette scelte fra quelle dedicate da Giannelli alle “vicende” che hanno riguardato il Vaticano e il Papa, seguono tre momenti significativi dell’ancor breve pontificato di Papa Francesco, che l’ironia e l’umorismo utilizzati da Giannelli con-tribuiscono a rendere particolarmente “vicino” al popolo dei lettori, in quanto la vignetta non cade mai nello sfottò (la presa in giro bonaria) né nella comicità (che sarebbe oltremodo irriverente e fuori luogo).

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3 Presentazione alla classe della “vignetta” quale modalità comunicativa

L’intenzione è di proporre “la vignetta” come forma e strumento comunicativo agli allievi di una classe quinta, per il peso che la “vignetta” assume nei confronti dell’ana-lisi socio-politica del Paese. Gli allievi delle quinte classi (dai licei agli istituti tecnici e professionali), affrontando temi legati alla storia contemporanea (letteratura, cinema, scoperte scientifiche, mezzi di comunicazione, evoluzione tecnologica, sport, ecc.), esaminano in particolare il momento storico e politico attuale, comprensivo del XX e del primo decennio del XXI secolo.

Un arco temporale che è stato caratterizzato da eventi tragici: le due guerre mon-diali, il periodo della dittatura (il ventennio fascista), il consolidamento dell’istituzio-ne repubblicana dopo la caduta della monarchia, la ripresa economico-industriale del dopoguerra, il boom economico, il terrorismo e le stragi degli anni ’70 e ’80, fino ad arrivare all’avvento della seconda Repubblica, alla crisi dei partiti e a quella relativa alla grave situazione economico-finanziaria che sta minando non solo il nostro Paese ma l’intera Unione europea. Quindi eventi e fatti gravi e importanti, ma che non sono mai stati ignorati o dimenticati dalla satira politica, anche nei momenti più drammatici. La “vignetta” politica ha sempre avuto il ruolo (tranne nei momenti della dittatura e solo sugli organi ufficiali della stampa di regime) di segnalare, sottolineare, richiamare l’attenzione del lettore di quotidiani e/o di altri mezzi di stampa (riviste, settimanali, periodici in genere, ecc.) sugli elementi cruciali delle questioni più urgen-ti nel campo della politica.

Ora la presentazione in classe può essere articolata e prevista in varie forme e/o modalità; non esiste, come per le altre tipologie di articoli, un’unica modalità anche se la vignetta, come si è potuto verificare, ha suoi requisiti che la caratterizzano e la distinguono dalle altre forme di articoli di giornale.

A - L’approccio metodologicoLa scelta della “vignetta politica” richiede quindi un approccio metodologico che tenga conto della classe, dell’indirizzo di studio, del percorso pregresso nel campo della comunicazione e nello studio delle “vicende politiche” del Paese. Con l’espres-sione “vicende politiche” si intende far riferimento alla vita delle istituzioni della Repubblica, dal Presidente al Governo, dalla Magistratura al Parlamento e alle azioni pubbliche dei loro rappresentanti e dei soggetti che sono stati eletti e/o nominati nelle varie cariche istituzionali.

Di solito gli studenti sono più attenti e interessati a fatti di cronaca, di rilevanza internazionale e/o nazionale, agli eventi sportivi, alle proposte di nuove tecnologie nel campo della comunicazione interpersonale (iPad; iPhone; smartphone; le app, i social network, ecc.), per questo è utile, da parte dei docenti, capire e conoscere i percorsi formativi realizzati con la classe in anni precedenti, le conoscenze e le “pratiche” dif-fuse in materia di lettura dei quotidiani e in particolare del commento alla “vignetta” di satira politica. Forse è più facile riscontrare negli studenti delle prime classi di scuo-la secondaria superiore l’esperienza di “vedere” le vignette riferite a personaggi dello sport o dello spettacolo, a eventi “più leggeri” capaci di far sorridere per l’arguzia delle battute o per la scena rappresentata.

In una classe quinta è necessario aiutare gli allievi a fare “un passo avanti”, ad allargare l’orizzonte delle vignette satiriche su questioni e su vicende più complesse e delicate, con lo scopo di stimolarli a riflettere e a ragionare su argomenti e/o problemi che richiedano un approfondimento.

Spetta all’insegnante (o agli insegnanti) aiutare gli allievi a “capire” la vignetta,

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a cogliere le allusioni e le implicazioni con elementi (fatti, persone, situazioni) non rappresentati nella scena. Oppure il docente può “provocare” gli studenti a “reagire” alla vignetta per sollecitarne il parere, la propria opinione, la condivisione o meno del contenuto e dello stile utilizzato dall’autore.

È noto che molti dei quotidiani nazionali o agenzie specializzate del settore hanno attivato sulla rete internet dei “servizi” per la raccolta di pareri e opinioni sulle “vignet-te” e sugli articoli pubblicati in una determinata giornata.

Ci sono siti sulla Rete che raccolgono le vignette pubblicate da un autore e/o da più autori in un determinato periodo di tempo, su un solo quotidiano o su più quo-tidiani.

Questo servizio di audit permette di cogliere sulla rete le opinioni e i pareri in merito alla vignetta e agli articoli che affrontano la problematica e/o la vicenda politica cui la vignetta fa riferimento.

Prendiamone una ad esempio che ha avuto sulla rete un’eco incredibile: la vignetta di Giannelli pubblicata in prima pagina dal Corriere della Sera del 23 giugno 2013 che rappresenta il premier Letta come il “Fiscobolo” nell’atto del lancio del disco.

B - Le fasi del lavoro con la classe Scelta della vignetta

In questo caso, fatto con intenti puramente esemplificativi, l’insegnante sceglie la vignetta di satira politica. In altri casi la scelta può essere delegata alla classe che dovrà ovviamente organizzarsi per scegliere tra quelle pubblicate dai quotidiani che la classe riceve per la partecipazione al progetto “Il Quotidiano in Classe”. Nulla vieta che gli allievi arricchiscano le vignette disponibili con altre ritagliate o comunque pubblicate da altri quotidiani o periodici.

E con quali criteri si può aiutare una classe a scegliere la vignetta o le vignette che saranno esaminate dagli allievi?

I criteri possono essere diversi. Ne ricordiamo qualcuno:• l’efficacia della scena rappresentata (idea fulminante);• il coinvolgimento degli allievi per la “forza ironica” della scena;• la capacità di “sintesi” dell’autore nel far comprendere al lettore la “questione”

posta in vari articoli del quotidiano;• gli stimoli offerti dalla vignetta agli studenti per ricerche e/o approfondimenti suc-

cessivi della questione affrontata in chiave ironica, leggera, ma che fa intravvedere un elevato tasso di complessità e di rilevanza politica;

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• lo “stile” di rappresentazione dei personaggi (fisionomia; aspetti caricaturali; enfasi di alcuni aspetti fisici e/o di atteggiamento; modi di dire; segni caratteristici che facilitano il riconoscimento del o dei personaggi rappresentati; ecc.);

• la ripresa in chiave “evolutiva” di vignette pubblicate in precedenza e che “accom-pagnano” l’evolversi degli eventi e/o lo sviluppo di carriere dei personaggi consi-derati;

• …

Nel caso specifico Il Fiscobolo è la geniale intuizione di Giannelli nel ritrarre il pre-mier Letta nell’atto (immortalato dalla statua originale del Discobolo) del lancio del “Fisco” in quanto “politicamente” impegnato ad allontanare l’abolizione dell’IMU dalla scadenza imposta dal PDL entro il 30 giugno 2013.

Altro elemento “geniale” la battuta dei visitatori-turisti che, ai piedi della statua, commentano amaramente che il lancio (da loro atteso e auspicato per la riduzione delle tasse e imposte) sembra imminente ma che in realtà è fermo da 450 anni avanti Cristo.

C - Approfondimenti: Il Fiscobolo ovvero La questione fiscoLa vignetta si presta a parecchi approfondimenti che l’insegnante o gli allievi stessi possono individuare e decidere di approfondire.

Ne presentiamo alcuni.Gli allievi di una quinta classe necessariamente si sono occupati o si occupano (o

comunque ne sentono parlare) di PIL, di Debito Pubblico, di IMU, di ICI, di tasse e di imposte.

Quindi l’argomento da approfondire è rappresentato proprio dalla questione fiscale, dalla pressione del fisco in Italia in comparazione con altri Stati europei. Interessanti possono risultare al riguardo le scelte e le decisioni spesso contraddittorie tra le varie compagini governative, che si sono succedute in Italia negli ultimi 20-25 anni, in materia fiscale.

Altrettanto interessante per gli allievi può risultare l’intervento degli organismi europei sul sistema fiscale italiano, sulla tenuta dei conti pubblici, sulla stabilità del debito pubblico al di sotto del 3% del PIL.

Un secondo approfondimento potrebbe essere proposto agli allievi in materia di tasse e di imposte con riferimento a loro stessi, al loro status di studenti, alle loro famiglie, agli importi della tassazione statale, regionale e locale sul reddito e sul patri-monio familiare.

Sempre in questo ambito può risultare interessante aiutare gli allievi a cogliere il rapporto che esiste o dovrebbe esistere tra le tasse e le imposte pagate, direttamente o indirettamente, e i servizi di cui possono usufruire.

Un terzo approfondimento può essere proposto dai docenti in chiave storica. Ad esempio si può prendere in considerazione il periodo dal 1861 al 2011 (i primi 150 anni dell’Unità d’Italia) e studiare l’evoluzione dal sistema di imposizione fiscale e di tassazione, senza ignorare ciò che è avvenuto negli ultimi 2 anni (2012-2013).

Infine la vignetta potrebbe stimolare gli allievi a chiedersi chi è la persona/l’atleta che viene rappresentato con la Statua del Discobolo, chi l’ha scolpita, a quale periodo risale, dove si trova ora la statua, se esistono più copie, dove eventualmente si trovano, quali materiali sono stati usati, ecc. Quindi un approfondimento culturale su uno dei “simboli” più noti a livello internazionale.

Sarà interessante inoltre per gli allievi della quinta classe cogliere la condivisione, le analogie, le differenze dei pareri e delle opinioni degli autori dei vari articoli riportati

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sul quotidiano e soprattutto confrontate con le loro stesse idee e con quelle dei loro docenti. Il confronto tra idee differenti è fortemente educativo proprio perché aiuta le persone al rispetto delle idee altrui e a mettere in discussione le proprie.

D - ProduzioneL’analisi e la discussione sulla vignetta presa in esame e sulle altre poste a corredo del presente lavoro possono risultare utili per far realizzare una vignetta agli allievi della classe sullo stesso tema o su un tema analogo proposto eventualmente da loro. In que-sto caso la consegna può essere unica per tutta la classe oppure si possono prevedere gruppi di lavoro sullo stesso tema o su temi complementari.

La scelta dello stile comunicativo e grafico della vignetta è lasciata all’autonomia decisionale del gruppo. I riferimenti agli stili comunicativi di vari “vignettisti” permette agli allievi di arricchire il loro orizzonte di conoscenze in materia di vignette e di provare ad usare stili e modalità comunicative differenti pur ricorrendo alla “vignetta”.

E - Confronto tra vignette di autori diversi su contenuti comuniSi tratta di un esercizio utile per approfondire i vari stili comunicativi usati dai vignet-tisti, ma il confronto può stimolare una discussione sulle idee e sulle sottolineature degli autori sulla stessa notizia o questione oggetto della vignetta.

F - Possibili commenti, riflessioni ed elaborazioni degli allieviUna delle modalità più efficaci per coinvolgere gli allievi è chiedere loro di elaborare e produrre “vignette”. Il docente o i docenti impegnati nel progetto “Il Quotidiano in Classe” potrebbero ricorrere alla tecnica del “compito di realtà” per far comprendere, attraverso il fare, la volontà e l’efficacia delle nuove forme di comunicazione.

Il docente e/o i docenti potrebbero chiedere alla classe intera, o ai gruppi in cui la classe può essere suddivisa, di elaborare e/o produrre “vignette” su argomenti e/o tematiche affrontate in classe oppure su fatti e/o eventi della vita scolastica, o su fatti di cronaca e/o di attualità da inserire sul giornale scolastico, o per partecipare ad un concorso interno alla scuola o ad un concorso promosso a livello nazionale e/o territoriale.

In questo caso il gruppo di lavoro centrato sul compito di realtà diventa la risorsa su cui far leva per elaborare la vignetta sulla base delle intenzioni, delle riflessioni e dei contributi specifici dei singoli membri del gruppo.

Il compito di realtà potrebbe riferirsi poi alla consegna di una sola “vignetta” alla redazione del giornale scolastico. In questo caso diventa importante la scelta della “vi-gnetta” da segnalare: la classe può diventare il comitato di valutazione con il compito di selezionare la “vignetta” per il giornale scolastico.

La discussione e il confronto sono momenti interessanti per cogliere i punti di vista, le osservazioni critiche, le valutazioni espresse dai membri del Comitato e so-prattutto esaminare i “pesi” dati dai membri del Comitato ai vari aspetti caratteriz-zanti la “vignetta” scelta: lo stile comunicativo dell’autore, il contenuto figurativo, il contenuto espresso nella/e battuta/e o nel commento inserito dall’autore; l’originalità dell’idea, il ricorso a figure evocatrici, ecc.

La consegna del compito di realtà potrebbe ad esempio, vincolare la “vignetta” ad uno o più articoli che trattano lo stesso argomento con approcci e punti di vista differenti.

In questo caso la “vignetta” diventa sintesi di ipotesi formulate da vari autori.

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G -Valutazione dell’esperienzaLa valutazione dell’esperienza è fondamentale nel processo di apprendimento degli allievi in quanto permette loro di “valorizzare” quanto è ritenuto, dal loro punto di vista, significativo.

Tale valutazione può riferirsi al percorso di ricerca, elaborazione e produzione della vignetta (o delle vignette) e/o al “prodotto” o “esito” ottenuto. Sono ovviamente due valutazioni differenti perché l’oggetto da valutare è differente (il percorso; il risultato ). In ogni caso, è un’operazione valida e indispensabile in un processo formativo teso a far acquisire un metodo di lavoro, modalità e mezzi di comunicazione, la produzione di un “risultato” con requisiti formali definiti anteriormente all’esperienza che si sta valutando.

Sarà importante gestire e coordinare il momento valutativo che si può articolare in più momenti e che comunque termina con la formulazione di un apprezzamento del prodotto ottenuto e del modo con cui il gruppo ha lavorato.

H - Eventuali note e riflessioni sull’esperienza proposta da parte del formatore/docenteAl termine dell’elaborazione e della produzione della vignetta, i docenti esprimono a loro volta il proprio parere e la propria opinione circa l’esperienza fatta.

Un’esperienza significativa che può essere valutata secondo criteri di efficacia e di efficienza.

La prima riguarda la validità dell’esperienza formativa ai fini dell’apprendimento delle tecniche di base, degli stili comunicativi, degli elementi costitutivi dell’articolo “vignetta”, una particolare forma e modalità comunicativa che, se efficace, ha un grande potenziale nella comunicazione sui mass-media (es. quotidiani).

La seconda riguarda l’organizzazione e la gestione dell’esperienza nel confronto tra le risorse impegnate (energie, tempi, mezzi, persone, materiali, ecc.) e i risultati otte-nuti tanto in termini di “prodotto” (la vignetta) quanto di esiti formativi (conoscenze, competenze, abilità, ecc.).

Ogni esperienza formativa richiede un momento di valutazione ex ante, in iti-nere ed ex post. Non sempre tutto questo avviene, ma sarebbe una buona prassi da diffondere per le molte implicazioni che la valutazione ha tanto sulle persone che partecipano all’iniziativa quanto sul miglioramento delle situazioni in cui promuovere formazione.

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55Presentare e approfondire le diverse forme di scrittura giornalistica

Il servizio di cronacaGabriele CanèDirettore de La Nazione

I requisiti fondamentali

Cambiano i tempi. Si rivoluzionano gli strumenti, le tecnologie. Ma, come direbbero i vecchi del mestiere, una notizia è sempre una notizia. Un’ovvietà, detta così. Che tanto ovvia non è, visto che un’evoluzione, in questo caso ne-gativa, ha fatto spesso perdere di vista i connotati fondanti della notizia. Il suo Dna. E quando si parla di notizia, ci si riferisce al modo di porla, di presentarla, di “stenderla” su un giornale, su un sito, o di raccontarla alla radio o alla TV.

Eppure, quei connotati sono sempre gli stessi. LE CINQUE “W” per dirla all’inglese: Who («Chi»), What («Cosa»), When («Quando»), Where («Dove»), Why («Perché»). Se una notizia non è presentata con questi connotati, se non contiene questi elementi, vuol dire che in quell’elaborato qualcosa è andato storto. Anzi zoppo. Qualcosa manca, come un piede a una tavola per farla stare diritta. Intendiamoci. Se cinque persone guardano lo stesso fatto, ne escono cinque racconti diversi. Da un grande evento politico, letto nelle chiavi più diverse, a un “banale” incidente stradale. Anche se le auto erano le stesse, i guidatori pure, il luogo e il momento i medesimi. Questo per ricordare che l’oggettività non è di questo mondo, cioè del giornalismo, perché a scrivere o a raccontare un evento non sono degli oggetti inanimati, ma dei soggetti, degli esseri umani ognuno con la propria ottica, con il proprio modo di concepire e vedere le cose. Anche un incidente stradale, appunto.

«L’obiettività dei fatti è una finzione – afferma perentorio Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica e guru del giornalismo italiano –. Gli avvenimenti sono letti dai giornalisti secondo il loro punto di vista, ossia sulla base dell’in-

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terpretazione che loro ne danno». «L’obiettività è cosa diversa rispetto ad un irraggiungibile distacco da ciò che si racconta – aggiunge Scalfari –. Essa con-siste semplicemente nel rendere esplicito il punto di vista da cui ciascuno dei professionisti dell’informazione guarda gli avvenimenti».

Per questo, a maggior ragione, il criterio delle cinque W costituisce la con-dizione necessaria e in genere sufficiente perché un servizio di cronaca risponda ai requisiti della serietà e della correttezza. Una sorta di ancoraggio, di minimo comune denominatore. Chi, Cosa, Quando e Dove sono insomma i pilastri oggettivi attorno a cui può anche essere tollerata la soggettività. Che trova nel Perché il suo elemento più fluido, personale, che attiene anche alla visione dell’estensore al di là dei quattro pilastri precedenti.

Le cinque W, dunque, ma non sparse a casaccio nel servizio giornalistico. Perché non basta che ci siano, ma devono anche essere contenute nella parte iniziale dell’articolo, il cosiddetto incipit, o lead. È questo uno dei capisaldi, talvolta disattesi, di un corretto servizio di cronaca: fornire immediatamente al lettore o all’ascoltatore gli elementi imprescindibili del fatto che viene raccon-tato. Cosa è accaduto, quando e dove, chi ne è stato protagonista, e per quali motivi ciò è successo. L’esempio dell’incidente: «Pauroso incidente ieri sulla via Aurelia: la vettura x condotta dal signor y, è uscita di strada al chilometro z; pare che il guidatore, che ha riportato gravi ferite, abbia perso il controllo della vettura sull’asfalto viscido per la pioggia». Non sarà una pagina di grande letteratura. Non sarà ciò che desidera scrivere un giovane che si avvicina alla professione e che ha dato buona prova di sé nei temi di italiano a scuola, e dunque presume di poter dare libero sfogo ai propri talenti. Ma questa è una notizia ed è come, più o meno, deve essere scritta o raccontata. Infatti, quando ciò non accade, certi elementi chiave finiscono in fondo all’elaborato e rischia-no di sparire completamente se capita che per ragioni di spazio il “pezzo” venga tagliato proprio in fondo, disattendendo così spesso anche il titolo che li aveva anticipati.

La prima peculiarità di un corretto servizio di cronaca è dunque la rispon-denza alle cinque W, nelle prime righe dell’articolo. Gli elementi contenuti nel lead saranno poi ovviamente sviluppati e dettagliati nelle righe successive a seconda degli spazi concessi. Per un lancio di agenzia o una notizia in Internet saranno più che sufficienti. Per un articolo più diffuso su un giornale, quoti-diano o periodico, andranno ovviamente arricchiti con dettagli, testimonianze, ulteriori informazioni utili alla comprensione dell’avvenimento.

Perché il servizio di cronaca sia effettivamente corretto, occorre che risponda ad un altro dei requisiti fondamentali del buon giornalismo: i fatti separati dalle opinioni.

Terreno molto scivoloso, questo. Terreno ambiguo, in cui l’abilità, la ma-lizia, anche la malafede del cronista fanno sì che all’interno di un servizio di cronaca, in cui cioè è raccontato un fatto, vengano inseriti giudizi, valutazioni personali. Nella stampa attuale è una miscela impropria che spesso ritrovate, essendo invalsa soprattutto nell’ultimo ventennio la “moda” dei giornali par-tito. Cosa ben diversa dai giornali organi di partito, e dunque perfettamente

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identificabili come appartenenza, e ovviamente giustificabili nel loro mischiare fatti e opinioni. I giornali partito sono altra cosa. Si tratta di organi di informa-zione “indipendenti” che si connotano per una evidente militanza in uno degli schieramenti politici. Giornali che nella titolazione e nei contenuti dei servizi propongono volutamente un mix tra fatto e opinione, al punto, soprattutto nei titoli, da far emergere quasi esclusivamente la seconda. Un titolo tipo La truffa dell’Imu, o Le bugie del Cavaliere, non segnalano il merito di una vicenda, ma esprimono un giudizio su un avvenimento di cui a volte si stenta persino a riconoscere i connotati.

Questi esempi non segnalano necessariamente una tipologia di cattivo gior-nalismo. Segnalano un modo di fare cronaca diverso da quello ritenuto gene-ralmente e storicamente più corretto: i fatti, appunto, separati dalle opinioni. Uno slogan e un impegno professionale che in Italia diventarono una sorta di marchio di fabbrica impresso da Lamberto Sechi (1922-2011) nella sua dire-zione del settimanale Panorama. Questo “slogan” compariva addirittura nel sottotitolo di Panorama per volontà di Sechi, proprio per dare immediatamen-te al lettore un’idea dell’indirizzo professionale della testata. Un imprinting, una scuola, un’eredità del giornalismo anglosassone e che ha prodotto “allievi” che hanno dato lustro al giornalismo italiano come Giulio Anselmi, Corrado Augias, Claudio Rinaldi, Carlo Rossella, Barbara Palombelli, Carlo Rognoni, Giampiero Mughini, Fiamma Nirenstein, Claudio Sabelli Fioretti e altri, addi-rittura lo scrittore Stefano Benni. Quella che Sechi trasformò in una bandiera, non era però un bagaglio esclusivo della sua professionalità e di quel giornale. Possiamo dire che fino ad un’epoca più recente costituiva un pilastro comune della professione giornalistica. Se permettete un ricordo personale, un altro grande maestro del giornalismo italiano, forse il più grande, Indro Montanelli, al sottoscritto ebbe modo un giorno di rivolgere il seguente appunto. «Che ci fa questo inciso nel tuo pezzo di cronaca? Che roba è? Una tua opinione? Se è così, toglila. E ricordati che io ti ho chiesto un pezzo di cronaca. Quando vorrò un commento, te lo chiedo». Una grande lezione, severa, che non ho mai di-menticato. E che è bene tenere sempre presente.

Dalla fonte alla pagina

Del resto, la “piramide decisionale” di un giornale, con al vertice il monarca quasi incostituzionale, il direttore responsabile, ha anche e soprattutto sul flusso e sulla stesura di un servizio di cronaca una rilevanza assoluta. La notizia, insom-ma, dalla sua nascita alla messa in pagina, ha un percorso lineare e consolidato che in questa sede è bene ricordare e che possiamo così riassumere.

• La notizia nasce e si materializza dal dispaccio di agenzia, dalle ricerche su Internet, oppure (e meglio) dall’autonoma iniziativa del giornalista che ne entra in possesso attraverso i cosiddetti giri di cronaca (Questura, Carabinieri, Parlamento, Borsa, Soprintendenze, Tribunali ecc.).

• Il redattore o il cronista riferiscono la notizia al responsabile del servizio cui

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appartengono (Cronaca, Politica, Sport, Spettacoli, Economia ecc.) per una valutazione più complessiva. Il caposervizio, infatti, dispone, attraverso le agenzie o i report di tutti i redattori del settore, del quadro complessivo delle informazioni della giornata attinenti al servizio di competenza. Il caposer-vizio conosce inoltre una variabile non certo indipendente nella confezione di un giornale: gli spazi disponibili in relazione al carico pubblicitario. Spazi che variano ogni giorno, seppur con cadenze abbastanza regolari e cono-sciute (carico massiccio di inserzioni pubblicitarie nel fine settimana, carico minore nei primi giorni) e che dipendono da foliazioni (numero e cadenza delle pagine) come quelle attuali dei giornali, molto meno rigide e dunque molto più elastiche di quelle di qualche lustro fa.

• Il caposervizio, a sua volta, in occasione dei breefing che almeno due volte al giorno riuniscono capiservizio e capiredattori del giornale, riferisce le notizie principali del proprio settore e le confronta con quelle degli altri settori. Spesso, infatti, notizie di settori diversi si intersecano e si integrano (Politica con Economia, Costume con Spettacoli, etc.), richiedendo prima un coor-dinamento, e quindi un “travaso” in un unico settore.

• Stabilita la collocazione, viene anche definita la dimensione dell’articolo,

cioè quanto il redattore o il cronista dovranno scrivere di quella notizia che verrà poi titolata (in genere da un altro giornalista) e inserita nella pagina di competenza disegnata dal caposervizio in collaborazione con l’ufficio grafico e sottoposta all’approvazione dei capiredattori, le figure professionali che coordinano l’attività di più servizi.

• Nel frattempo il giornale ha preso la cadenza decisa dai capiredattori e dalla

direzione, fino alla confezione della prima pagina, vetrina di tutto il gior-nale, nella quale confluiranno le notizie ritenute più importanti, con titoli evidenti, oppure con richiami minori. Tra queste vi potrà essere la notizia raccolta dal nostro redattore o dal cronista di cui abbiamo parlato all’inizio, e che dunque, percorsi tutti i gradini della piramide, potrà venirsi a trovare al vertice della medesima, cioè nella prima pagina, voluta e approvata in ultima istanza esclusivamente dal direttore. Così, insomma, nasce e si colloca su un media storico come il giornale quo-

tidiano, un servizio di cronaca. Ma gli stessi meccanismi sono applicabili a qua-lunque media. Senza dimenticare, regole a parte, il comune denominatore di ogni elaborato: il rispetto e la ricerca del buon italiano.

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Scheda

Il servizio di cronacadi Michele AglieriAssegnista di ricerca in pedagogia all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Fonte: redazione on line di Milano, Writer a processo per associazione a delinquere, presteranno assistenza ad anziani e disabili (Corriere della Sera, 6 giugno 2013)

graffiti: udienza preLiMinare per 4 gioVaniWrIter a proCeSSo per aSSoCIazIoNe a deLINQUere, preSteraNNo aSSISteNza a aNzIaNI e dISabILIUno DEgLI ImpUtatI: «Ho SBagLIato, InSEgnErò agLI anzIanI a DISEgnarE

risarciranno il comune prestando assistenza agli anziani o ai disabili seguiti dai servizi sociali i quattro giovani tra i 20 e i 24 anni imputati per associazione per delinquere finalizzata all’im-brattamento per aver ricoperto, tra la fine del 2010 e il novembre dell’anno successivo, muri e monumenti soprattutto con i loro «tag». È quanto stabilito davanti al gup alessandra clemente che ha rinviato il procedimento al prossimo 27 settembre per consentire ai legali dei ragazzi di mettere a punto un piano di risarcimento tramite lavori socialmente utili con il settore servizi sociali di palazzo Marino.L’UdIeNza - davanti al giudice sono comparsi due dei quattro ragazzi per i quali la procura ha chiesto il processo con un’accusa per le difese «troppo severa». i legali di un paio di «graffittari» inoltre hanno sollevato una questione di competenza in quanto, a loro avviso, il reato è stato com-messo dai loro assistiti a cavallo tra i 17 e i 18 anni e dunque gli atti vano trasferiti al tribunale dei Minori.La peNa - «Ho sbagliato e ora per un senso di dovere, per bilanciare il mio errore pagherò: assi-sterò anziani o disabili, e magari insegnerò loro anche a disegnare e dipingere.» sono le parole di uno dei 4 writer imputati per associazioni per delinquere. il ragazzo, 22 anni, occhialini con mon-tatura nera e scarpe da tennis, ha raccontato che fin da bambino amava disegnare, di avere fatto per qualche tempo il grafico pubblicitario, e ora di essere disoccupato. sto cercando lavoro - ha spiegato -. faccio parte di quella schiera di giovani che sono a spasso».

3 Il genere

La cronaca è – potremmo dire – il linguaggio elettivo dei quotidiani: il motivo per cui acquistiamo ogni giorno una copia di giornale è la volontà di essere costantemente aggiornati su ciò che accade nella nostra e in altre città. Se, quindi, le pagine di un quotidiano raggruppano un certo numero di notizie come “cronaca” (locale, naziona-le, estera), in senso lato l’intera lettura dello stesso relaziona le persone con gli eventi e i temi del giorno. Istituzionalmente, sotto questa tipologia di articolo consideriamo quelle notizie che, insieme ad altre, pur non facendo parte di altri grandi contenitori (la politica, lo sport, gli spettacoli, ecc.), sono di interesse per i cittadini.

Come tutti gli altri testi del giornale, gli articoli di cronaca formano il lettore dan-dogli elementi di conoscenza della realtà, questioni da dibattere e su cui confrontarsi, giudizi di valore (qualche volta impliciti, qualche volta espressi apertamente dal gior-nalista) che entrano a far parte del nostro mondo, e con i quali ciascuno di noi può negoziare.

Nel tempo, il linguaggio della cronaca è cambiato notevolmente: le immagini, un tempo pressoché inesistenti, sono passate dal bianco e nero al colore (con la possibili-

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tà, per le redazioni, di giocare anche con il fotoritocco o di fare largo uso di immagini di repertorio soltanto evocative di un certo evento); l’attenzione dei giornalisti si spo-sta sempre più su testi che raccontino delle storie interessanti (i titoli, per esempio, spesso richiamano il linguaggio filmico o letterario); si focalizza l’attenzione su una logica di “traino” per cui una notizia non ha valore in sé, ma in relazione al suo colle-garsi ad altre similari che hanno destato l’interesse dell’opinione pubblica (è il motivo per cui, in seguito, per esempio, a un grave incidente ferroviario vediamo fioccare per alcune settimane articoli sulla cattiva gestione delle ferrovie); si tenga anche presente che oggi il giornalismo fa molto uso di contributi video o fotografici dei cittadini (ormai armati a tutto punto di macchine digitali e cellulari!).

Tutto questo è, da un lato, un segnale di maggiore ricchezza dell’informazione, dall’altro deve fare alzare i toni del senso critico da parte del lettore, il quale dovrà sempre valutare attentamente la qualità dell’informazione, la sua capacità di “dire il vero”, la portata, anche in senso quantitativo, del piano dei giudizi rispetto a quello informativo in senso stretto, senza dimenticare che anche la cronaca è scritta da qual-cuno, con le sue idee, le sue competenze e i suoi inevitabili interessi. E senza dimen-ticare anche che se venire sempre aggiornati sulla cronaca è importante, essa diventa sterile e finanche pericolosa se la sua lettura non viene accompagnata dalla saggezza di ciascuno di noi.

3 L’articolo1

Il movimento del writing ha origine nel Bronx negli anni Settanta, ed è nato dal de-siderio di giovani provenienti dai quartieri poveri di portare in giro il proprio nome e la propria storia, di raccontarsi (il campo di azione prediletto erano i vagoni della metropolitana per la loro possibilità di transitare nelle altre zone della città). Si tratta-va dunque di un linguaggio espressivo a cui faceva da sfondo una volontà di riscatto e di emancipazione attraverso la scrittura e l’arte. Oggi il fenomeno, diventato inter-nazionale, in parte strumentalizzato e divenuto una moda, incrocia delicate questioni legali e viene spesso proposto dai giornali nella sua accezione criminale, dando luogo a una diffusa lettura di condanna. Senza voler giustificare chi compie atti illegali, uno sguardo più attento potrebbe svelarne la grande complessità e potrebbe far maturare un maggiore senso critico nei cittadini.

L’articolo utilizzato come stimolo, uscito nel giugno 2013, tratta quindi un tema di cui sentiamo parlare frequentemente: le questioni etiche, estetiche e legali connesse al diffuso fenomeno dei writer, rei di “imbrattare” le città (in questo caso Milano). Si presta sicuramente per un lavoro educativo nella scuola, poiché intercetta un tema che i giovani conoscono, di cui vedono ogni giorno tracce per la strada, su cui ciascu-no può avere una propria idea. Si tratta anche di un argomento che mette a confronto i diversi vissuti e valori degli adulti e degli adolescenti (più giudicanti i primi, più immersi nell’esperienza e in quel tipo di cultura i secondi). Può venire proposto a tutte le classi della scuola secondaria di secondo grado, con le dovute attenzioni per le differenti fasi di maturazione dei ragazzi. Infine, un articolo di questo genere può costituire la base di partenza di un progetto interdisciplinare: dall’italiano e dalle lin-gue (discorso valido per qualsiasi articolo), alla storia (il movimento dei writer ha una precisa origine culturale e una sua evoluzione), alle materie artistiche (il writing è un

1 Un ringraziamento a Davide Fant, formatore che mi ha permesso di riflettere sul tema del writing e della cultura Hip hop in generale, e a Giulia Corno per la segnalazione dell’articolo preso in analisi.

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fenomeno e un linguaggio espressivo), alla psicologia (i writer comunicano e mettono in gioco la propria identità), al diritto (esistono delle leggi in materia), per arrivare – naturalmente – al “contenitore” di Cittadinanza e Costituzione, i cui aspetti legali e civili potrebbero fare da sfondo all’esperienza.

3 Possibili attività didattiche

L’insegnante (o un gruppo di insegnanti) potrebbe progettare un percorso educativo che intercetti i temi del programma. Risulta essenziale, prima di tutto, un appro-fondimento personale dell’argomento. Proponiamo di seguito una rosa di attività didattiche praticabili.

Analisi. Come ogni articolo, possiamo analizzarlo nei suoi elementi giornalistici (titolo, sottotitolo, occhiello, lead o attacco, corpo dell’articolo, che presenta al suo interno anche il linguaggio dell’intervista), per coglierne gli elementi di scrittura e di coerenza fra le sue varie parti. Entrando nel merito del contenuto, ci si potrebbe chiedere quanti e quali punti di vista siano stati presi in considerazione (in questo caso quello del giudice e di uno dei ragazzi pentiti) e quale connotazione sia stata data al fenomeno writing (l’articolo mostra un epilogo tutto sommato positivo della vicenda ed emerge un messaggio di speranza; interessante è il fatto che non gioca, come tanti altri esempi, sulla condanna perentoria del fenomeno: il ragazzo intervi-stato si rende conto di avere un talento – il disegno – che può mettere a disposizione degli altri).

Comparazione. Quanto i quotidiani parlano del fenomeno del writing (per la sua frequenza il tema si presta a una ricerca quantitativa, basata sulla numerosità di arti-coli e di parole-chiave, o su una lettura in profondità di un certo numero di articoli)? Ci sono periodi di maggiore frequenza del tema? Quali parole o giudizi vengono maggiormente utilizzati? Vi sono differenze significative tra una testata e l’altra nel modo in cui il tema viene trattato? Analizzando alcune testate estere, vi è una maggio-re o minore frequenza di trattazione dell’argomento? E quali sono i giudizi ricorrenti?

A queste domande potrebbe rispondere un lavoro di gruppo.

Ricerca. Accompagnati metodologicamente dagli insegnanti, i ragazzi potrebbero svolgere una ricerca sul tema del writing, servendosi di fonti bibliografiche o elet-troniche, al fine di recuperare gli elementi storici, culturali e legali del fenomeno. Potrebbero altresì intervistare testimoni significativi della cultura writer e delle forze dell’ordine, oltre che cittadini (interessante potrebbe essere indagare le differenti vi-sioni del mondo adulto e di quello adolescenziale). Infine, potrebbero analizzare le questioni legali inerenti al fenomeno.

Discussione. Il tema, sicuramente accattivante e motivante per un adolescente, po-trebbe dare luogo a una discussione in classe, vissuta nel dialogo e non in un clima censorio (spesso è questo l’atteggiamento che gli adulti mostrano dinanzi a certi argo-menti, con il rischio che si chiudano i canali comunicativi). Come i ragazzi vivono la lettura di notizie di questo genere? Qualche componente della classe ha esperienze di writing? Che cosa pensano quando vedono un loro coetaneo “imbrattare” un muro? È giusto o sbagliato recarsi nella notte in un deposito della metropolitana per “firma-re” le carrozze dei treni? Perché qualcuno lo fa? Esiste qualche spazio in cui la passione

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artistica e il racconto di sé attraverso le “tag” (le firme dei writer) non è illegale? Dove? Quali proposte?

Produzione. A valle di una o di tutte le attività precedenti, gli studenti potrebbero produrre un articolo o un reportage che racconti gli esiti delle loro ricerche e delle loro riflessioni, con uno sguardo “meta” sul giornalismo (per raccontare che cosa hanno scoperto rispetto alle rappresentazioni ricorrenti sui giornali) oppure con l’obiettivo di esporre in maniera spregiudicata ma attenta il loro punto di vista su un fenomeno di cui tutti parlano e su cui ciascuno ha una propria idea. Il reportage potrebbe anche essere pubblicato sul giornalino scolastico, presentato ai genitori o alla cittadinanza. In linea generale, la produzione di classe risulta “zoppa” quando rimane un esercizio chiuso nelle mura della classe; appare, al contrario, estremamente motivante per gli studenti quando assume il senso del “potere e dovere comunicare qualcosa agli altri”, adeguando il linguaggio e lo strumento a un target di riferimento, per prendere parola e maturare competenze in situazioni reali e non artificiali.

Un’altra proposta di situazione laboratoriale e di produzione potrebbe venire dall’insegnante di materie artistiche, a partire dall’idea di permettere ai ragazzi una rappresentazione e comunicazione di sé attraverso una “firma” o una figura che rap-presenti la propria immagine, il proprio vissuto o il proprio mondo. L’esposizione potrebbe avvenire in un luogo privato o pubblico, previa autorizzazione. Le firme, invece che dipinte sui muri, potrebbero venire disegnate su cartelloni staccabili.

3 Come valutare?

Trattandosi di attività curricolari non previste dai programmi ministeriali, esperienze di questo tipo possono risultare utili all’insegnante che voglia conoscere meglio gli studenti e apprezzarne meglio le competenze e gli stili comunicativi e di apprendi-mento. Attraverso i possibili numerosi momenti di dialogo e conversazione, l’inse-gnante potrebbe anche farsi un’idea di quanto appreso dai ragazzi e del gradimento provocato dall’iniziativa. Rispetto alle varie materie di insegnamento, crediamo che, attraverso un lavoro che porti in classe l’attualità e il mondo dei giovani, ciascun do-cente possa avvicinare i ragazzi allo studio della propria materia.

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Parte IIIl web applicato alla didattica

I quotidiani “sono roba per vecchi”. La carta è noiosa, costosa, sorpassata. Il presente è interattivo, rapido, flessibile. Il futuro non ha spazio per i giornali.

La Rete “non è una cosa seria”. Le notizie online sono parziali, non affidabili, dispersive. Il presente ha bisogno di stabilità, di riflessione. Il futuro è di chi sa prendersi tempo.

Aristotele e Platone, guelfi e ghibellini, russi e americani. Ma chi l’ha detto che si debba per forza scegliere? Nel mondo dell’informazione, ogni medium è latore di un messaggio (o piuttosto, per rispolverare le teorie di Marshall McLuhan, il medium è il messaggio – ma questa è un’altra storia…). In una realtà intrecciata di eventi, dati, analisi e notizie, un aut-aut tra due media così diversi tra loro come la carta stampata e la Rete non solo è inutile: è contropro-ducente e dannoso.

Partendo anche da queste considerazioni, da due anni, l’Osservatorio Permanente Giovani-Editori ha scelto di dare al progetto “Il Quotidiano in Classe” una nuova dimensione digitale, quella del portale www.ilquotianoin-classe.it che è l’evoluzione naturale dell’iniziativa cartacea.

Web e carta sono sempre più integrati: ogni anno con “Il Quotidiano in Classe” più di 2 milioni di studenti ricevono a scuola le copie di più quotidiani e leggendole, sotto la guida degli insegnanti, danno vita a lezioni improntate all’insegna del confronto e del dibattito sui principali fatti di attualità, che però restano tra le mura della classe.

Con ilquotidianoinclasse.it si ha l’occasione di andare oltre il confine della propria aula e ciascuno studente può liberare la propria opinione confrontan-dola con quella di altri coetanei.

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64Il web applicato alla didattica

Se la dimensione cartacea consente ai ragazzi di maturare una propria lettura degli eventi, quella web fornisce loro l’opportunità di esprimere queste idee in assoluta libertà. Un megafono virtuale per quella parte di Paese che troppo spesso non ha modo di far sentire la propria voce: i giovani.

Gli studenti di oggi fanno a pieno titolo parte della generazione dei “nativi digitali”: ovvio che per loro sia più immediato e intuitivo surfare a caccia di in-formazioni sulle onde di Internet, scivolando da una corrente all’altra, immer-gendosi in apnea alla ricerca di perle nascoste, lo sguardo rifratto e moltiplicato dai mille tesori degli abissi. Una nuotata che può trasformarsi in una fantastica avventura, con incontri inaspettati e interazioni infinite.

Ma l’immersione nel blu della Rete può rivelarsi una trappola per chi non sa fermarsi, riflettere, scegliere, valutare. Sott’acqua – i subacquei lo sanno be-ne – è facile perdere l’orientamento, confondere il sopra e il sotto, giocare a nascondino con mostri immaginari nascosti tra i coralli. Serve una bussola, un compagno di viaggio esperto ed affidabile.

Ed è qui che la carta continua a giocare un ruolo fondamentale nella costru-zione di uno spirito critico. La capacità di approfondimento e di analisi che i quotidiani sanno offrire, il diverso livello di concentrazione, la modalità di let-tura più ragionata: se Internet è il tuffo nei flutti sempre in movimento dell’in-formazione, la carta stampata è la barca d’appoggio, necessaria per recuperare le forze quando il fiato sembra mancare, quando il mondo sembra capovolgersi, quando è necessario dare un ordine alle cose.

Un unico progetto, “Il Quotidiano in Classe”, che per essere sempre più vicino a studenti e docenti si è dotato di due dimensioni: carta e Rete, che sono complementari e ugualmente necessarie per avvicinare i giovani all’informazio-ne di qualità.

Un nuovo anno e un progetto più articolato tutto da esplorare e da vivere, un’opportunità da sfruttare fino in fondo.

Nelle pagine che seguono troverete le prime “istruzioni per l’uso”, un breve manuale da sfogliare prima di tuffarsi nel blu.

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65Titolo corrente

65Il web applicato alla didattica

Cari docenti, Marshall McLuhan aveva ragione a sostenere che «il mezzo è il messaggio»,

ma tutti quelli che sono andati a ripetere a pappagallo la sintesi di un concetto complesso, hanno avuto torto perché il mezzo senza messaggio è come una TV spenta, un tablet senza connessione Internet o un PC senza allacciamento alla rete elettrica. In parole povere: se non hai niente da dire non c’è mezzo di comunicazione che tenga. E da qui vorrei partire per il primo consiglio che mi sento di dare a chi, come voi, affronta le sfide de “Il Quotidiano in Classe” e si appresta ad accompagnare sul web i propri allievi.

Primo consiglio: scrivere

Non abbiate paura. So che è naturale non ritenersi all’altezza di fronte a ragazzi che sul web ne sanno molto più di voi e di me. Mi basta guardare mia figlia che a 5 anni e mezzo non sa leggere e scrivere ma sfreccia sull’iPad, per capire che su quel terreno non ci sarà mai gara. Ma io non devo aiutarla a navigare, io devo insegnarle a vivere. Insegnate ai vostri ragazzi che scrive-re in italiano non è un difetto, anche sul web, e sarete a metà dell’opera. I post – gli interventi sul blog – mica devono vincere il premio Pulitzer, devono far riflettere e sono un mezzo per comunicare un pensiero o un’emozione. Concentratevi sul messaggio, lasciate a loro il clic. Troppo semplice? La vera sfida, se la vorrete cogliere, sarà spiegare e insegnare come si scrive per Internet. Come si costruisce un racconto multimediale. Nei giornali dovrebbe più o meno funzionare così: il giornale online dà la notizia, foto e video danno le

Il portale www.ilquotidianoinclasse.itsecondo Paolo Giacomin Vice Direttore Quotidiano nazionale

e Quotidiano.net

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immagini, la carta approfondisce. I social network danno la notizia e condivi-dono i commenti. Provate a costruire un racconto semplice in questo modo, mettiamo sia Cappuccetto Rosso.

Per esempio: Tweet e Ultim’ora su un giornale online: Cappuccetto Rosso è vivoPrimo post sul giornale online: Ucciso il lupo cattivo, aperta la pancia. Salvi

nonna e Cappuccetto Rosso.Online: video di Cappuccetto il giorno prima della scomparsa.Ecc. ecc.

Secondo consiglio: leggere

Così come esiste un modo per scrivere per il web che non prescinde dalle regole del buon italiano e della buona scrittura, esiste anche un modo per leggere e capire ciò che si trova in Rete. I cosiddetti nativi digitali e, più in generale, tutti i ragazzi, oggi sono prigionieri della sindrome della comunità chiusa. È umano cercare conferme alla bontà dei propri pensieri e ignorare ciò che disturba le nostre convinzioni. Internet, però, con la sua mole di informazioni può am-plificare questo fenomeno fino a punti paradossali: nella vita reale è normale imbattersi in esperienze che ci costringano a metterci in discussione, tutto que-sto sul web è evitabile per periodi anche lunghissimi. Provate con i ragazzi ad analizzare le discussioni a commento di un articolo o di un blog. Raramente troverete qualcuno che cambia idea per quello che ha scritto un altro. Più pro-babilmente troverete insulti e dileggi. Insegnate ai ragazzi che tutto ciò non ha senso e che discutere è diverso dal litigare. E che il bello della Rete è l’apertura al mondo, non la chiusura del proprio cervello.

Terzo consiglio: documentarsi

In Rete c’è di tutto, ma non tutto quello che c’è in Rete è vero. Controllo di fonti diverse e utilizzo di mezzi diversi per verificare le informazioni (sì, anche la vecchia cara enciclopedia pure in formato digitale) restano la base della conoscenza e del (raro) buon giornalismo. Sfruttate Internet anche per un altro aspetto straordinario: mostrate ai ragazzi personaggi storici, documentari, canzoni e mode di altri tempi (anche solo di vent’anni fa). Sfruttate l’effetto se-rendipity, l’approdo casuale a qualcosa che non conoscevamo ma che scopria-mo piacerci, e porterete a loro un altro modo di usare il web, di conoscere la storia e i costumi dei popoli, di investigare le sfide delle intelligenze. Volete un esempio? Quest’anno in un video postato sul portale www.ilquotidianoinclas-se.it ho proposto un filmato trovato su youtube nel quale Pier Paolo Pasolini intervistava Ezra Pound. Il primo chiedeva al secondo di dare un consiglio ai giovani. “Siate curiosi” fu la risposta. L’ho sfruttato per domandare ai ragazzi cosa fosse per loro la curiosità. Beh, qualcuno mi ha chiesto chi fossero quei due poeti… E partendo da qui ce ne sarebbe da raccontare per un intero anno didattico.

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Quarto consiglio: l’etica

Il web non è cattivo o buono. Replica il mondo reale, le stesse dinamiche, ma tutto accade molto più velocemente e senza barriere sociali all’accesso: tutti possono parlare con tutti. Insegnate ai ragazzi che una Rete è fatta di nodi, ma anche di buchi. Insegnate loro come non cadervi dentro.

Quinto consiglio: quotidiano, web e informazione

“Il Quotidiano in Classe” è un’esperienza di formazione civile straordinaria. Senza retorica. Insegnate ai ragazzi come si leggono i giornali, sotto qualun-que forma, cercate di capire come è costruita una notizia o un servizio web. Confrontate le fonti, studiate la gerarchia che i professionisti dell’informazione danno ai fatti del mondo e troverete un passepartout per fare entrare la didat-tica attraverso le pagine di un giornale. Vi faccio un esempio: alcuni anni fa partecipai a un corso di formazione per insegnanti organizzato dall’Osservato-rio Permanente Giovani-Editori. I professori erano tutti insegnanti di materie scientifiche e lamentavano in coro l’assenza della scienza e degli articoli scien-tifici nelle pagine generaliste dei giornali, la scarsa competenza degli autori, il relegare certe materie alle cosiddette sezioni speciali, inserti culturali e via dicendo. Tutto (quasi) vero. E mi permisi una provocazione, questa: scusatemi, state sbagliando rotta. Un quotidiano non sarà mai una rivista scientifica, tocca a voi prendere spunto da un fatto di cronaca, un accadimento economico, una storia d’amore per raccontare la scienza. Questo vi può dare un giornale, anche questo vi deve poter dare l’informazione: un molo per salpare verso altri orizzonti, sull’altra sponda del Mediterraneo o sulla stazione spaziale. Volete un esempio? Prendete un pezzo a vostra scelta sull’euro e sull’Europa. Prendete la monetina italiana da un euro, la nostra è la più bella. Su un lato ci sono le stelline dell’Europa unita: contatele e raccontate il millennio di guerre che ci sono state tra i Paesi che rappresentano. Sull’altro lato c’è l’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, il nostro Rinascimento… Credo possa bastare, ma se siete anche appassionati di tecnologia potete spiegare i sistemi di incisione delle ban-conote, le raffinatezze contro le contraffazioni dagli ologrammi alla calligrafia.

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L’impatto delle nuove tecnologie sul modo di comunicare ha rotto in pochi anni schemi consolidati, ma sonnacchiosi nel proprio perimetro che racchiu-deva sia linguaggi diretti per un pubblico ritenuto più popolare sia più alti per quello considerato culturalmente elitario. Non ho mai creduto – sto parlando del giornalismo – che un articolo debba creare una frustrazione al lettore che non lo comprende appieno. Semmai imporrebbe una bella riflessione per chi l’ha scritto: mentre realizzava il testo stava pensando o no che la finalità è quella proprio di capire per far capire?

Il “nostro” portale www.ilquotidianoinclasse.it sintetizza la potenzialità dei nuovi modi di comunicare attraverso la multimedialità che, se sicuramente è un acceleratore di battito cardiaco perché impone aggiornamenti continui con il timore di non essere mai in linea (anzi online…), dall’altra rappresenta una straordinaria sfida che attraversa tutte le generazioni, compresa quella degli insegnanti.

In questi anni di collaborazione con l’Osservatorio Permanente Giovani-Editori, ho imparato tanto dai ragazzi e dai professori che li hanno seguiti. È stato come avere sempre a disposizione migliaia di cronisti pronti a reagire agli stimoli degli argomenti settimanali, che però vanno ancora più aiutati in questo cammino diretto verso il futuro. Ecco allora per i miei colleghi capiredattori-professori cinque regole che vogliono essere solo una piattaforma di riflessione.

1) Scrivere su un blog significa che il proprio lavoro potrà essere visto da tutti. Prima di realizzare un testo, discutete su come impostarlo e come valoriz-zarlo in modo multimediale.

2) La cura del testo è quindi importante, attenzione a refusi e grammatica.

Il portale www.ilquotidianoinclasse.itsecondo Massimo Esposti Redattore Capo Il Sole 24 Ore

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Meglio rivederlo con più occhi, coinvolgendo e responsabilizzando i ragazzi della redazione.

3) Non aver paura, se non piace, di rifarlo. Un buon risultato vale del tempo speso in più.

4) È certamente impegnativo utilizzare immagini e video: chiedete ai ragazzi di sfruttare i telefonini perché non servono film d’autore, ma contano i conte-nuti e la cura nel realizzarli.

5) Sembra una banalità, però alla fine, prima di inviare il lavoro, fate una pausa e riguardate il tutto a mente fredda domandovi: se non l’avessimo realiz-zato noi che giudizio daremmo? E siate critici senza timori.

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È tradizione del sistema universitario americano invitare una personalità, alla fine dell’anno accademico, a tenere un discorso “d’ispirazione” ai giovani ne-olaureati. Il commencement speech, come si chiama questo tipo d’intervento, è una sorta di piccolo genere letterario che unisce presidenti degli Stati Uniti e scrittori, scienziati e grandi manager, diplomatici e campioni dello sport. Se ci fosse una classifica dei più popolari tra questi discorsi, per una curiosa coincidenza i due destinati a occupare il primo e secondo posto risulterebbero entrambi pronunciati nel 2005, a distanza di soli venti giorni l’uno dall’altro.

A scriverli sono stati due personaggi scomparsi pochi anni dopo, Steve Jobs e David Foster Wallace. Tra i tanti spunti interessanti che riuscirono a offrire nei loro discorsi sorprendenti e fuori dagli schemi, Jobs e Foster Wallace ci hanno lasciato anche alcune importanti “istruzioni per l’uso” per cercare di capire co-me stanno cambiando la scrittura e l’arte di raccontare la realtà nell’era digitale.

Dell’intervento del fondatore della Apple di fronte ai neolaureati della Stanford University è rimasto celebre soprattutto il finale: quell’invito a vivere la vita all’insegna del motto «stayhungry,stayfoolish», che ha ispirato riflessioni di ogni genere sull’intensità e lo spirito con cui intraprendere ogni momento dell’avventura umana. Un altro passaggio importante però era il racconto della passione per la calligrafia e la tipografia che il giovane Steve scoprì di avere se-guendo un corso universitario. L’amore nato tra Jobs e l’arte di creare caratteri di scrittura accattivanti e belli è ciò che ha permesso al mondo – anni dopo – di trovarsi tra le mani il design perfetto e la cura dei particolari che caratterizzano i computer Mac e gli iPhone e iPad che hanno invaso il mondo. La lezione di Steve Jobs è che anche nell’era digitale la bellezza resta una bussola fon-

Scrivere, leggere e comunicare nell’era digitaledi Marco BardazziCaporedattore Centrale-Digital Editor a La Stam pa

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damentale per orientarsi, senza restare sommersi da innovazioni non sempre all’insegna della qualità.

La narrazione della realtà sarà sempre più un mix in cui la parola scritta si troverà a essere integrata con immagini: video, foto, grafiche interattive, vi-sualizzazioni di dati, mappe. Sarà necessario il gusto del bello testimoniato da Steve Jobs, per riuscire a comunicare con tutti questi strumenti a disposizione senza scadere nel caos.

Il mondo del giornalismo, da questo punto di vista, è un laboratorio inte-ressante per sperimentare nuove soluzioni. All’inizio del 2013, per esempio, il New York Times ha pubblicato sul giornale e sulle proprie piattaforme digitali un vasto reportage, Snow Fall, che ha segnato un momento di svolta per la narrazione giornalistica. Una vicenda che in passato sarebbe stata raccontata con un articolo tradizionale, accompagnato magari da un video, è diventata un’esperienza multimediale di straordinaria ricchezza. Il quotidiano americano ha ricostruito le fasi e le conseguenze di una valanga che ha investito un grup-po di sciatori, utilizzando modalità innovative per integrare audio, foto, video e mappe 3D animate con il testo della narrazione, in modo da permettere al lettore di trovarsi “immerso” nella storia senza avere l’impressione di saltare da un medium all’altro durante il racconto.

La differenza tra Snow Fall e un normale reportage giornalistico ricorda quel-la che c’era nel 2007 tra un comune telefono cellulare e l’iPhone, presentato quell’anno da Steve Jobs. Con il suo design unico, lo schermo touch e le varie applicazioni, quell’oggetto segnò immediatamente una rottura con il passato: cominciava qualcosa di nuovo, all’insegna anche di un’estetica che Jobs cercava fin dai tempi in cui rimase affascinato da caratteri di scrittura, stili e soluzioni grafiche.

Riassumendo quindi la lezione del fondatore di Apple per i nostri tempi: la Rete ha introdotto una serie di innovazioni che cambiano radicalmente il nostro storytelling, occorre utilizzarle in maniera integrata, con un’attenzione particolare anche all’estetica, senza lasciarsi spaventare da una narrazione mul-timediale.

Passiamo quindi alla seconda lezione che ci arriva dai due discorsi della pri-mavera 2005. Se Steve Jobs ci offre una traccia per capire come cambia la narrazione nell’era del web, lo scrittore David Foster Wallace ci aiuta invece a comprendere cosa sia questo nuovo mondo digitale che ci è dato da abitare.

Il suo discorso del 2005 ai neolaureati del Kenyon College, in Ohio, co-minciò in modo a dir poco sorprendente. «Ci sono due pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: “Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?” I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: “Che cavolo è l’acqua?”».

La storia serviva a Foster Wallace come punto di partenza per far capire ai ragazzi, che lo ascoltavano con in mano un diploma, quanto poco ancora sapessero del mondo in cui erano “immersi”. Ed è un ottimo spunto anche per confrontarsi in modo consapevole con l’era digitale. Il web oggi è l’acqua. Non uno strumento. È un ambiente in cui siamo tutti immersi, anche chi non

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vi naviga. Per essere raccontato, va vissuto. È un luogo e richiede per questo di essere affrontato con la categoria dell’esperienza.

Per capire come cambia la modalità di leggere e scrivere al tempo della Rete, va quindi superato il dualismo tra il cosiddetto mondo reale e il mondo di Internet. Va archiviata la definizione di “popolo del web”, come se fosse una strana tribù diversa dal popolo degli autobus, della metro, delle code in auto e della spesa al supermercato. Diversa, cioè, dalla gente “reale”.

La sfida non è usare la Rete, ma vivere bene nell’era della Rete. Il web ci rende liberi?, è il titolo dell’ultimo libro dell’editorialista de La Stampa Gianni Riotta (Einaudi). E la risposta che dà l’autore, dopo aver ripercorso secoli d’in-novazione tecnologica, è che ci renderà liberi nella misura in cui lo popoleremo e lo vivremo da uomini liberi. Il web siamo noi: se è buono o cattivo, dipende da cosa ci mettiamo dentro.

Una volta sgomberato il campo dagli equivoci del dualismo dell’era digi-tale, divenuti consapevoli che siamo tutti immersi nella stessa acqua, occorre un nuovo passaggio. Foster Wallace metteva in guardia i neolaureati sul fatto che non sapessero ancora bene cosa fosse l’acqua, la vita in cui sguazzavano. Soprattutto la vita ordinaria, banale e quotidiana. Nel suo discorso, descrive-va una coda alla cassa di un supermercato a tarda sera, le facce stanche dopo una giornata di lavoro, le lentezze irritanti, i tic, il fastidio del vicino che parla al cellulare a voce troppo alta, la cassiera scortese. E invitava a guardare oltre l’apparenza, a cercare di capire le storie di ciascun protagonista di quella scena. Non fermarsi all’istinto, ma essere educati a uno sguardo diverso sulla realtà.

Un ottimo esempio per introdurre un ambito particolare del web, cioè dell’acqua in cui siamo immersi: i social network. La pluralità delle voci e delle storie del mondo oggi emerge in tutta la sua varietà su Facebook, Twitter, Instagram, YouTube e sulle altre piattaforme social. Capire come cambia il nostro modo di narrare la realtà, richiede di fare i conti con questi strumenti di condivisione e di creazione di comunità.

La Rete è sempre stata, fin dagli inizi, un gigantesco luogo di chiacchiere. I militari e gli accademici che misero a punto la prima versione di quello che sarebbe diventato Internet, si lasciarono ben presto conquistare da una in par-ticolare tra le sue opzioni: la posta elettronica. Il successo del web fu agli inizi soprattutto il successo dell’email, perché permetteva di venire incontro all’esi-genza radicata negli uomini di comunicare con i loro simili. Accade spesso nella storia dell’umanità che la gente, con le proprie passioni, cambi radicalmente l’utilizzo di un’invenzione. Agli inizi dell’epoca del telefono, le compagnie che lo gestivano pensavano di poterlo usare a senso unico, per far ascoltare musica e messaggi pubblicitari agli utenti. Ma chi lo usava voleva comunicare, non stare fermo in silenzio con un ricevitore all’orecchio.

Il web ha moltiplicato enormemente le opzioni a disposizione di questa vocazione dell’umanità all’interazione e alla comunicazione, e i social media ne sono l’esempio più evidente. Lo studente di Harvard Mark Zuckerberg ha capito prima e meglio di altri questo nuovo scenario, diventando miliardario prima dei 30 anni con il suo Facebook.

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Raccontare la realtà in modo social non è una novità dell’era digitale, come conferma una predisposizione in questo senso anche di molta letteratura. Chi sfoglia Il 42° Parallelo di John Dos Passos, tradotto da Cesare Pavese, vi trova una narrazione interrotta da spezzoni di messaggi provenienti da vari media, che sembrano antenati di Twitter. Sorprendente, per un romanzo del 1930. Nel 1944 George Orwell si lamentava della formalità dell’inglese scritto, au-spicando che arrivasse il predominio di uno stile di scrittura ispirato alla lingua parlata, «ricca di slang, piena quando è possibile di abbreviazioni». Avrebbe probabilmente apprezzato le comunicazioni odierne degli adolescenti sulla piattaforma di messaggistica WhatsApp.

Nello scenario spesso caotico dei social media si nasconde la vita ordinaria e banale di oggi, quella che Foster Wallace invitava ad andare a cercare in coda al supermercato. Occorre farci i conti, anche perché è qui che sta cambiando ancora una volta il modo in cui il mondo comunica. È qui che s’inventa il ritmo e lo stile della narrazione globale. Non è un caso che su Twitter pos-sa capitare di incrociare, in mezzo alla gente comune, un messaggio scritto in Californiano dallo scrittore Bret Easton Ellis e vederlo commentato pochi istanti dopo in Italia dal suo collega Edoardo Nesi. A pescare brandelli di vita quotidiana su Twitter ci sono autori come Roberto Cotroneo o Alessandro D’Avenia, Giovanni Veronesi o Roberto Saviano. In libreria arrivano volumi che risentono, nel linguaggio e nei contenuti, di esperienze vissute in ambito social. Una realtà che però costringe chi la abbraccia a rinunciare in buona parte a rendite di posizione. Calarsi nel mare dei social media significa sottoporsi al loro giudizio impietoso ed essere disposti a interagire, non solo a dispensare saggezza e buona scrittura a senso unico. Stiamo uscendo dall’era del broadcast, un’epoca fortemente connotata dalla TV nella quale giornalisti, scrittori, poli-tici e altri personaggi con una qualche fama potevano permettersi di mandare messaggi unidirezionali, senza avere la necessità di rispondere. Stiamo entrando nel mondo dello sharing, dove contano parole-chiave come comunità, condi-visione, conversazione e contaminazione (tutte curiosamente unite, in italiano, dalla lettera “c” iniziale).

In questo nuovo ecosistema, il vero rischio è il caos. Il fiorire di narrative di ogni genere rende difficile tenere un filo del discorso. La frammentazione sfida la nostra capacità di concentrazione, ci rende lettori distratti, più propensi a prendere spunti e slogan qua e là che non ad analizzare a fondo i temi. Servono guide e ancoraggi sicuri per permettere l’emergere di un giudizio personale ben informato.

Ancora una volta, il giornalismo praticato nelle redazioni “tradizionali” si presenta come un interessante laboratorio dove coniugare esperienza e creati-vità. I contributi che può offrire di fronte alla frammentazione del momento, sono sostanzialmente tre: un metodo ben sperimentato per affrontare e narrare la realtà; dei testimoni esperti capaci di descriverla e interpretarla; una sostan-ziale credibilità basata anche sulla storia di testate con oltre un secolo di vita, si chiamino New York Times o La Stampa.

È in ambienti di lavoro come questi (e nei loro analoghi nelle altre profes-

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sioni) che si può solidamente perseguire quella passione per il bello e quella cura per i dettagli che Steve Jobs richiamava nel suo discorso a Stanford. Sono testimoni esperti coloro capaci di spiegare ai pesci di Foster Wallace “cos’è l’acqua”. E di farlo partendo non da una tecnica da apprendere, bensì da espe-rienze vissute.

I risultati dipenderanno da quanto saremo capaci di renderci conto delle caratteristiche del nuovo elemento nel quale siamo immersi in quest’era digi-tale. Del resto, come sosteneva Francis Scott Fitzgerald molti decenni prima di Foster Wallace, «scrivere bene è sempre nuotare sott’acqua e trattenere il fiato».

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Scheda

Dalla lettura del giornale di carta alla scrittura per il web di Annalisa FerrariDocente di materie letterarie nella scuola secondaria di primo grado “Griffini” di Casalpusterlengo

3 Premessa

La consultazione dei quotidiani italiani per uno studente è un’attività ancora poco praticata a livello spontaneo. In effetti, anche per un adulto, è un’attività complessa: implica il riconoscimento delle modalità linguistiche e sintattiche che caratterizzano lo stile espressivo adottato dalla nostra stampa nonché la familiarità con le più comu-ni strategie retoriche che guidano la stesura di un testo giornalistico. Comprendere pienamente un articolo significa individuarne il messaggio esplicito e implicito, e avere consapevolezza degli artifici retorici messi in atto dall’autore per informare o “suggerire” una certa interpretazione dei fatti.

Tutto questo, per un lettore non abituale, è respingente1.Si sarebbe portati a credere che il salto dal cartaceo al quotidiano online potrebbe

essere la soluzione per aumentare il livello di lettura presso il pubblico giovanile. Eppure, in un rapporto dedicato2, l’Ocse rileva che, anche se Internet è la fonte

principale di informazioni per i giovani dai 16 ai 24 anni, questi non sono certo i principali lettori: leggono di più infatti nella fascia 25-34 anni. Tuttavia, secondo gli analisti dell’Ocse, anche per questa fascia di età si tratta di un tipo di lettura piutto-sto irregolare, spesso superficiale, meno approfondita rispetto a quella dei quotidiani.

Per superare questa impasse, prevediamo un percorso che miri a favorire una familiarità con le principali testate italiane non solo cartacee ma su web, a sviluppare le competenze linguistiche ed interpretative necessarie a cogliere funzione e obiettivi di un articolo giornalistico, a offrire un’occasione di contatto con una scrittura (per il web) usata in modo corretto e consapevole.

3 Percorso didattico

Per effettuare questo tipo di percorso progettuale è necessario che in classe siano disponibili almeno un computer, una connessione Internet, una LIM; gli alunni devono poter disporre anche a casa di una efficace connessione a Internet3. Si devo-no considerare come prerequisiti accertati le conoscenze e le competenze sull’analisi

1 Vedi i dati di lettura aggiornati su Audipress (http://www.audipress.it/).2 Il rapporto (The evolution of News and the Internet: www.oecd.org/internet/ieconomy/45559596.pdf) considera l’evoluzione dell’informazione ai tempi di Internet.3 Cose, queste, che, nonostante l’opinione generale, non sono affatto scontate in Italia, come rileva, ad esempio, Luca Dello Iacovo in un articolo dell'autunno scorso sul Sole24ore (http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2012-10-04/ocse-come-internet-economy-173140.shtml). Stesse difficoltà per le scuole (http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/piano_scuola_digitale), nonostante le comunica-zioni del Ministero relative al piano nazionale per la digitalizzazione della scuola, e come rilevato dell'ulti-mo rapporto Ocse sulla fallimentare strategia italiana per l’ingresso del digitale nelle scuole (http://www.key4biz.it/files/000218/00021896.pdf).

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del quotidiano cartaceo4, che il docente, seguendo la metodologia della didattica trasmissiva, ricorda all’inizio con l’aiuto della LIM, presentando alcuni esempi. Con il progredire dell’attività, verrà via via applicata la strategia dell’apprendistato cogni-tivo, per acquisire competenze specifiche.

A - Finalità: • sviluppo delle competenze socioculturali necessarie alla comprensione della realtà

sociale del nostro Paese attraverso la lettura dei quotidiani cartacei e online. Obiettivi: • lettura: capire articoli e resoconti su problemi d’attualità in cui gli autori sostengo-

no punti di vista specifici;• produzionescritta: capire e applicare le corrette procedure di scrittura per il web,

per organizzare notizie o servizi giornalistici ed esporre il proprio punto di vista riguardo a un problema;

• interazioneweb: applicare le modalità di interazione con siti web collaborativi; essere in grado di “postare” varie tipologie di interventi su blog, social network e portali dedicati.

B - Fasi di lavoro:• fase a)• obiettivo specifico: individuare nell’homepage di quotidiani online gli elementi

strutturali caratteristici;• prestazioni: individuare e replicare la “piramide invertita5” e gli effetti di usability

(microcontent con titoli, sottotitoli, occhielli, sommari6), il valore dei titoli slegati dal contesto, la densità di informatività, il registro informale o finto-conversazio-nale (specificità della scrittura online, tendenza oralizzante7);

• metodologia: il docente legge alcuni articoli, individua le informazioni e la strut-tura del testo (modeling); guida poi gli alunni nella ricerca su altri articoli, dirige l’attenzione su alcuni elementi, passando tra i banchi, od organizzando l’attività in

4 A mero titolo di esempio: analisi della prima pagina, tipologie di articoli, struttura dell’articolo, linguaggi settoriali, forestierismi, neologismi, e così via.5 “Piramide invertita” è la metafora utilizzata per spiegare la disposizione e l’organizzazione ottimale delle informazioni all’interno di un testo: l’idea è che il punto di partenza, l’incipit dell’articolo per intenderci, deve contenere le informazioni principali e sostanziali in modo che il lettore sia in grado di identificare nel giro di pochissime righe i punti salienti della notizia e capire subito se gli interessa o meno. Il “triangolo” di questa piramide è rivolto con la punta verso il basso a indicare che le informazioni fornite nel prosieguo dell’articolo si fanno sempre meno rilevanti, avendo più funzione di approfondimento che non di informa-tività. L’osservazione viene da J. Nielsen, WebUsability, Apogeo, 2000, e una sua rielaborazione grafica sta in L. Carrada, Il mestiere di scrivere, Apogeo, 2007, p.73.6 La collocazione e la sinteticità dei titoli consentono all’utente di evitare la funzione scrolling per cogliere la rilevanza della notizia. Sempre secondo il già citato Nielsen «Microcontentneedstobepearlsofclarity:youget40-60characterstoexplainyourmacrocontent.Unlessthetitleorsubjectmakeitabsolutelyclearwhatthepage or email is about, users will never open it», in J. Nielsen, Microcontent, How to write headlines, page titles and subject lines, reperibile in rete (www.useit.com.alertbox/980906.html). 7 È frequente l’uso di un vocabolario semplice, di abbreviazioni, la mancanza di pronomi e articoli. Tutto ciò, nel linguaggio della rete, non rappresenta un limite, una mancanza di espressività o di strutture, bensì la sua peculiarità: Maynor, già vent’anni fa, parlava di un vero e proprio “e-style” per riferirsi a tutte quelle “dimenticanze” che rendono la lingua della rete vagamente trascurata, poco ricercata, molto approssima-tiva (Thelanguageofelectronicmail:WrittenSpeech?, in Montgomery e Little, Centennial Usage Studies, University of Alabama, 1994).

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modo cooperativo, fornendo feedback positivi o negativi e pianificando i cambia-menti (coaching).

• fase b)• obiettivo specifico: individuare gli adattamenti della sintassi alla comunicazione

digitale;• prestazioni: confrontare un testo di cronaca prodotto dagli studenti con un testo

analogo di quotidiano online; ricavare dal confronto la corretta struttura sintatti-ca: riduzione dell’ipotassi, predominanza del periodo mono-proposizionale, largo impiego del punto fermo, uso della congiunzione “e” come valore coordinante e testuale; uso della congiunzione “ma” come valore testuale, limitativo e non avversativo, con funzione di coesione e raccordo tra i vari elementi dell’articolo; suddivisione dei paragrafi con titoletti autonomi sulla stessa riga dello stesso para-grafo, che scandisce gli argomenti e focalizza parole-chiave;

• metodologia: gli studenti verbalizzano l’esperienza compiuta (articolazione) e con-frontano la loro performance con quella dei compagni e dell’insegnante; si preve-dano anche domande del tipo metacognitivo: che cosa hai imparato?, come hai imparato? (riflessione).

• fase c)• obiettivo specifico: individuare nella scrittura online la presenza o meno di feno-

meni di sintassi marcata: dislocazione8, anacoluto, posposizione del soggetto al predicato;

• prestazioni: individuare in un articolo online, indicato dall’insegnante e inserito in una pagina LIM, i fenomeni sopra elencati; riprendere l’articolo prodotto dagli studenti nella fase b), e far loro inserire i fenomeni sopra indicati;

• metodologia: ripresa del modeling e del coaching per l’individuazione dei fenomeni; osservazione e guida degli studenti durante l’esecuzione del compito, e interventi solo se necessari (il docente sta alle spalle degli allievi: fase di scaffolding). Possibilità di una prima registrazione dei risultati dal punto di vista formativo.

• fase d)• obiettivo specifico: individuare nella scrittura online la presenza o meno dei se-

guenti fenomeni: uso della punteggiatura (nei titoli9 e negli articoli), assenza pres-soché totale di pronomi soggetto10, largo impiego di pronomi relativi o pronomi “neutri”;

• prestazioni: confrontare la stessa notizia su quotidiano cartaceo e online; individua-re gli elementi sopracitati; evidenziare le ricorrenze cartaceo/online e le eventuali differenze;

• metodologia: proiezione su LIM dei due articoli; il docente inizia l’azione di al-lontanamento (fading) proponendo un’attività in gruppi con il compito di appro-fondire uno o più degli elementi citati, per gruppo; l’insegnante interviene solo

8 In presenza di una frase segmentata, la dislocazione consiste nello spostamento (a destra o a sinistra) del dato, e relativa anticipazione o ripresa pronominale: la dislocazione a sinistra è un mezzo per mettere in evidenza una parte dell’enunciato, generalmente il complemento oggetto.9 Come nel cartaceo, il titolo largamente più diffuso è certamente quello composto da due segmenti (verba-le e nominale), usato da Corriere.it o Stampa.it, mentre altri quotidiani online (Il Sole 24 Ore o La Gazzetta dello Sport) fanno ricorso anche alla variante che prevede l’uso dei due punti e l’inserimento di una battuta di discorso diretto. D’altra parte, è sempre più diffusa, anche per ragioni grafiche e di gestione dello spazio nella pagina web, la tendenza a omettere un segno interpuntorio tra due segmenti collocati su due righe.10 La frammentazione del testo e la lettura parziale degli articoli richiede infatti la ripetizione del soggetto o la sua esplicitazione attraverso perifrasi o sinonimi.

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78Titolo corrente

78Il web applicato alla didattica

per fornire qualche suggerimento o per proporre modalità di approccio diverse e, ovviamente, per valutare i progressi degli studenti.

• fase e) (verifica di lettura e comprensione)• obiettivo specifico: individuare in un articolo gli elementi caratteristici della scrit-

tura online;• prestazioni: evidenziare (sulla LIM) con colori diversi, gli elementi tipici della sin-

tassi della scrittura web; evidenziare e collegare, ad esempio, il soggetto e i suoi sinonimi (o perifrasi, o pronomi), oppure l’anticipazione dei dettagli con il dato di fatto, la citazione di un discorso diretto con il personaggio; ricercare e inserire eventuali link di approfondimento;

• metodologia: la stessa della fase precedente.• fase f) (verifica di produzione e interattività)• obiettivo specifico: postare interventi individuali o di gruppo sul portale www.

ilquotidianoinclasse.it;• prestazioni: produrre un post o commento sui temi proposti dai blog; scegliere

titolo, eventuali foto e didascalie relative; all’interno della classe, attraverso uno scambio tra gli studenti, verificare nei testi scritti dai compagni (con una scheda di controllo) la presenza degli elementi costitutivi della scrittura online; pubblicare l’intervento con le modalità previste;

• metodologia: momento conclusivo (esplorazione): lo studente viene sollecitato a eseguire una consegna, applicando tutte le procedure in modo autonomo e utiliz-zando percorsi diversi. La situazione “problematica” viene creata nel contesto di realtà de “Il Quotidiano in Classe”, col fine di sviluppare il processo decisionale e di rendere gli studenti “protagonisti competenti” di tutto il processo di compren-sione-produzione.

È evidente che, in questo percorso, l’insegnante deve superare il ruolo tradizionale di guida e orientamento per trasformare una pratica solamente imitativa (apprende-re dagli altri) in una metodologia cognitiva che metta in atto competenze basate sul problem solving e sulla metacognizione: apprendere per mezzo degli altri e con gli altri.

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Parte IIILe iniziative speciali e i concorsi

Solidarietà, uguaglianza, partecipazione, democrazia, rispetto reciproco. Se si dovesse stilare un elenco dei valori irrinunciabili nella formazione dei cittadini del futuro, sarebbe necessario partire da qui. Parole universali, ma dotate di un potere dirompente se applicate al nostro quotidiano: esistono mille modi per essere solidali, mille azioni tangibili per partecipare in maniera attiva alla co-struzione e al miglioramento della nostra società, mille occasioni in cui mettere in pratica uguaglianza e rispetto reciproco. La democrazia non nasce dal nulla, bensì si crea poco a poco, e ciascuno può – anzi, deve – contribuire posando il proprio piccolo, grande mattone.

Le iniziative speciali e i concorsi dell’Osservatorio Permanente Giovani-Editori vogliono essere proprio questo: un contributo concreto alla costruzione di una società matura e democratica. Un progetto di educazione alla cittadinanza multidisciplinare e multidimensionale, che stimola e sfida i ragazzi a connettere in maniera costruttiva morale e politica, diritti e doveri, giustizia e democrazia.

L’educazione alla cittadinanza – un tempo l’avremmo definita “educazione civica” – si declina lungo molteplici assi portanti, e per ciascuno di essi l’Os-servatorio ha elaborato un percorso specifico. Educazione ai valori, al rispetto dell’ambiente, alla cultura dell'informazione, all’alimentazione, alla diffusione della cultura scientifica, al confronto, al fairplay ed alla libertà di scelta, di idee, di pensiero, per finire con l’educazione all’economia reale e a quella finanziaria (aree di intervento forse mai così importanti come di questi tempi, in cui sul presente e sul futuro delle giovani generazioni incombe minaccioso lo spettro della crisi). La partecipazione civile e sociale si concretizza quindi in idee e progetti, temi e ricerche.

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In una società che sta cambiando, sottoposta com’è alle spinte centrifughe della globalizzazione, del multiculturalismo, delle nuove tecnologie, anche il ruolo dei cittadini si ritrova al centro di importanti evoluzioni e mutamenti. Le attività e azioni attraverso le quali ogni cittadino orienta il suo impegno al governo della società diventano così parte di una rete complessa e in perenne movimento. I concorsi promossi dall’Osservatorio si configurano come una sorta di “bottega artigiana” in cui gli italiani del futuro possono testare e met-tere alla prova le proprie idee; un laboratorio del domani, dove ci si confronta sui modi migliori per creare, insieme, un mondo più giusto e democratico. La competizione diventa un incentivo al mettersi in gioco, al liberare le proprie energie creative, al porsi obiettivi sempre più alti ed ambiziosi di partecipazione civile e democratica. Una sfida che vede coinvolti, al fianco dell’Osservato-rio, numerosi attori di primo piano nella nostra società, dai mass media alle Fondazioni di origine bancaria, dalle grandi aziende alle istituzioni, in una rete collaborativa tesa attraverso tutto il territorio nazionale.

Perché se è vero che la lettura dei giornali – attraverso il progetto de “Il Quotidiano in Classe” – resta lo strumento principale nella costruzione dell’I-talia del futuro, è soltanto attraverso un patto di ferro tra scuola e società che queste spinte al cambiamento possono trovare la loro giusta realizzazione nella realtà quotidiana e concreta dell’Italia di oggi, e nella progettazione di quella che verrà. Così, nel solco della cultura della responsabilità tracciato con i con-corsi, ecco collocarsi un ulteriore ventaglio di iniziative, promosse dall’Osserva-torio in collaborazione con partner e aziende dotate di responsabilità sociale. In questo caso, la componente principale non è la competizione, bensì la forma-zione. E al centro non ci sono più gli studenti, ma i loro formatori: quei docen-ti che si sono dimostrati, nel corso degli anni, l’alleato più forte e determinato nella sfida lanciata dall’Osservatorio per la formazione dei cittadini di domani. Con il supporto di una serie di materiali didattici e un’attenzione specifica al mondo del web e dell’interattività, le iniziative si collocano nell’ambito di filoni specifici: cultura finanziaria, sostenibilità ambientale, cultura digitale, educazio-ne al confronto, all'informazione e all'alimentazione. Una sfida continua, che si alimenta ogni giorno. E che, grazie al contributo fondamentale di partner esterni al mondo della scuola, esce dalle aule per spingersi sempre più addentro la vita reale del nostro Paese.

80Le iniziative speciali e i concorsi

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L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori in partnership con Intesa Sanpaolo promuove, per l’anno scolastico 2013/2014, la sesta edizione dell’iniziativa spe-ciale “Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliere”, rivolta a tutte le classi delle scuole partecipanti al progetto “Il Quotidiano in Classe”.

Questa collaborazione ha l’obiettivo di offrire agli studenti un percorso di educazione finanziaria, costruito su misura per loro e in grado di supportarli nella formazione delle competenze in tali discipline, così da renderli in grado di affrontare con consapevolezza e cognizione le scelte riguardanti il loro futuro.

Lo spirito di tale iniziativa è quello di aiutare i giovani di oggi a divenire più informati e responsabili. Nel contesto attuale l’educazione economico-finanziaria riveste un ruolo imprescindibile nel percorso verso l’educazione alla cittadinanza. Infatti, tramite l’educazione alla lettura critica i giovani possono diventare padroni della propria testa, adesso con l’educazione finanziaria hanno l’opportunità di essere padroni anche dei propri mezzi, in modo tale che grazie alla combinazione delle due educazioni si compia la piena padronanza di sé, propria dell’educazione alla cittadinanza.

Anche per questo anno scolastico è prevista la pubblicazione di uno stru-mento formativo ad hoc, rivolto ai docenti partecipanti all’iniziativa: un “Quaderno di Lavoro” realizzato da un gruppo di docenti e formatori di alto livello. Per conferire maggiore semplicità e immediatezza allo strumento di-dattico e maggiore concretezza e attinenza con il mondo dei giovani, la nuova edizione del “Quaderno di Lavoro” svilupperà un tema di grande interesse, declinato in un percorso didattico che affronta i momenti importanti della vita personale e professionale delle nuove generazioni.

Iniziativa speciale Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a sceglierePromossa in partnership con

Intesa Sanpaolo

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Le schede contenute nel “Quaderno” offriranno spunti di approfondimento e riflessione che i docenti potranno utilizzare per le loro lezioni in classe; non mancheranno inoltre stimoli e suggerimenti di percorsi pratici e simulazioni da realizzare con gli studenti.

Con la scelta di queste tematiche si è inteso toccare l’intero arco di vita dell’individuo, così da fornire uno strumento utile per formare quell’imprescin-dibile alfabetizzazione sulla cultura finanziaria, che diviene bagaglio insostitu-ibile del patrimonio culturale del cittadino consapevole, libero e responsabile.

Ad integrazione dell’offerta didattica cartacea, è prevista una giornata di formazione dedicata al corpo docente, che si terrà nel mese di gennaio 2014, alla presenza di autorevoli esperti nell’ambito economico e finanziario nazio-nale. L’ampio gradimento riscontrato durante gli appuntamenti formativi delle passate edizioni, così come l’appassionata e motivata presenza dei professori, hanno incoraggiato l’Osservatorio e Intesa Sanpaolo ad elevare ulteriormente il tenore dell’incontro formativo.

Nell’ottica di mantenere un continuo filo diretto con gli insegnati, per tutti i professori che partecipano a questa iniziativa è attivo un apposito call center con numero dedicato, al quale essi possono rivolgersi per dubbi e domande. Entro una settimana dalla data di registrazione del quesito, un esperto si occuperà infatti di fornire a ciascun insegnante la risposta adeguata o i suggerimenti utili a presentare al meglio la tematica in classe.

A completamento delle attività formative e di supporto a disposizione del docente, è importante ricordare l’elemento didattico rappresentato dalla sezio-ne dedicata a “Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliere” all’inter-no del sito www.osservatorionline.it. Nelle pagine riservate al progetto vengo-no caricati con regolarità video didattici, schede formative aggiornate e spunti di riflessione, che i docenti possono utilizzare in classe. Per valutare l’efficacia dell’iniziativa, ciascuna classe coinvolta nel progetto viene monitorata dall’isti-tuto Gfk Eurisko all’interno della ricerca nazionale che ogni hanno l’Osservato-rio svolge nell’ambito dell’iniziativa “Il Quotidiano in Classe”. L’obiettivo della ricerca è quello di analizzare nel tempo la crescita delle competenze in ambito economico e finanziario negli studenti partecipanti all’iniziativa, nonché il li-vello di accoglienza del progetto da parte dei ragazzi e degli insegnanti.

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L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori in collaborazione con eni realiz-za per l’anno scolastico 2013-2014 la nuova edizione dell’iniziativa speciale “Giovani, energia del futuro”, rivolta a tutti gli studenti delle classi partecipanti al progetto “Il Quotidiano in Classe”.

La collaborazione con eni, iniziata nell’anno scolastico 2006-2007 sotto forma di concorso, è evoluta nel tempo, caratterizzandosi sempre più per la forte componente formativa e didattica che si è trovata a ricoprire. Il concorso nacque originariamente con l’obiettivo di preparare le nuove generazioni ad un rapporto maggiormente informato e consapevole con le tematiche legate all’energia. Questa eredità è stata accolta e collocata all’interno degli incontri formativi dedicati agli insegnanti, che si sono tenuti ogni anno nell’ambito del progetto “Il Quotidiano in Classe”.

Per la prossima edizione dell’iniziativa verranno organizzati cinque incontri rivolti agli studenti con i bloggers del portale www.ilquotidianoinclasse.it. I ragazzi che parteciperanno agli incontri avranno l’opportunità di confrontarsi con i giornalisti che animano il portale e di capire fino in fondo l’importanza di farsi un’opinione informata sui fatti di attualità e di renderla pubblica tra-mite la rete. Tutto ciò coerentemente con quanto realizzato dall’Osservatorio attraverso la diffusione della buona pratica della lettura critica dell’attualità e dell’analisi di più testate a confronto. In ciascuno di questi appuntamenti un rappresentante di eni porterà il proprio saluto ai ragazzi e parlerà loro di tecno-logie e della loro applicazione anche in campo educativo.

Il connubio tra l’energia in senso materiale e la visione delle nuove genera-zioni come energie vitali per il futuro, chiarifica il legame ed il perché di questa

Iniziativa speciale Giovani, energia del futuroIn collaborazione con

eni

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84Le iniziative speciali e i concorsi

lunga collaborazione. Infatti l’iniziativa speciale nasce dal comune obiettivo di mettere al centro i giovani e le loro capacità, sottolineando la risorsa che in potenza rappresentano per il futuro del nostro Paese, anche grazie all’accresci-mento delle loro competenze in ambito energetico ed ambientale.

Per misurare l’efficacia di tale attività, i docenti e gli studenti coinvolti sa-ranno monitorati dall’istituto Gfk Eurisko all’interno della ricerca nazionale che ogni anno l’Osservatorio svolge nell’ambito del progetto “Il Quotidiano in Classe”. L’obiettivo della ricerca è quello di valutare nel tempo la crescita delle conoscenze, della cultura e della sensibilità in ambito energetico e ambientale, negli studenti partecipanti all’iniziativa, nonché il livello di gradimento del pro-getto negli studenti e negli insegnanti.

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Scheda

Energia e sviluppodi Maria VezzoliFormatore OPPI, già docente di Scienze nelle scuole secondarie superiori

3 Ieri, qui vicino

“Sono il primo di cinque, ho un fratello e tre sorelle. I miei erano contadini. Avevano una cascinanongrande,maabbastanzapernoieperinonniedueziichestavanoconnoi:10 in tutto. C’erano tre stanzette, una per i genitori e la sorellina piccola, una per noi fratelli e gli zii, una per i nonni e le sorelle. Avevamo un pezzetto di terreno per coltivare un po’ di grano, patate e verdura. La frutta no, perché a un po’ più di mille metri non veniva, a parte certe mele piccole piccole che tenevamo per l’inverno. D’estate c’erano fragole, more e lamponi nel bosco, e da bambini si faceva a botte per prenderle. Anche un po’ di funghi, ma li vendevamo ai villeggianti. Mio papà aveva preso in affitto un terreno un po’ più in basso, per coltivare il granoturco, che su da noi non veniva, per far farina da polenta. Avevamo due mucche, e quando facevano il vitello mangiavamo un po’ di carne, un po’ la mettevamo via salata, ma il grosso lo vendevamo. Tenevamo una pecora che a Pasqua faceva l’agnello che vendevamo, le galline e i conigli. Anche i conigli li vendevamo ai villeggianti, d’estate. Anche le uova, d’estate, non le mangiavamo mai, per venderle. Alla fine della quarta elementare io non volevo più andare a scuola, anche i miei compagni smettevano, perché la quinta c’era solo in un paese a cinque chilometri, ma il prete ha convinto i miei a mandarmi in quinta, con altri due ragazzi, perché, diceva, eravamo “svegli”. La mattina mi alzavo alle quattro, mangiavo un pane nel latte, poi andavo mungere e a pulire la stalla con mio padre. Poi andavo a far legna e a prendere l’acqua al torrente. L’acqua da bere la prendevamo alla fontana in paese, e andavano di solito le mie sorelle. Poi di corsa a scuola, a salti. Tornare indietro era più fatica, in salita. Mangiavamo polenta e due o tre volte alla settimana anche il formaggio, poi subito i compiti, perché non si poteva farli tardi, c’era buio e non avevamo mica la luce, solo le candele, che si consumavano e costavano. Poi andavo ancora per legna, perché il fuoco era acceso tutto il giorno, poi a lavorare nell’orto e a curare le bestie. La sera, rosario e a letto presto,sottolatrapunta:facevafreddo,d’inverno,eilfuocoscaldavasololacucina.Lemiesorellelavoravanoancoradipiù:stiravanocolferrodighisachesiscaldavasulfuoco,e facevano il bucato, al ruscello, e ogni tanto la lisciva con la cenere, una sfacchinata, due o tre giorni di lavoro, in primavera…”.

Così Vittorio1 comincia il racconto della sua vita, non di secoli fa e neanche di Paesi lontani, perché Vittorio è nato nel 1930 in un piccolo centro prealpino della Lombardia. Ma vivevano così: niente luce, niente caloriferi, niente acqua in casa, un fuoco per cucinare, e lavorare, fin da bambini, dall’alba al tramonto… Però, come afferma orgoglioso Vittorio, stavano bene, mangiavano tutti i giorni… ha persino fatto la quinta elementare!

1 Vittorio è nome di fantasia, il racconto è invece autentico e fa parte di una raccolta di storie di vita di un comune prealpino, curata dall’autrice.

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3 Oggi, non lontano

Oggi – e ciò ci lascia increduli – miliardi di persone nel mondo vivono in condizioni ben più disagiate di quelle in cui viveva Vittorio ottant’anni fa. E disagiate è una pa-rola troppo elegante: tragiche, dovremmo dire. Ad oggi oltre un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile e 30 mila ogni giorno muoiono per mancanza di acqua. A questi vanno aggiunti 2,2 milioni di morti a causa delle malattie legate alla contaminazione dell’acqua. Acqua che ai tempi dell’infanzia di Vittorio non arrivava in casa, ma, lassù nelle Prealpi, era pur sempre disponibile, e di buona qualità.

Ma del tutto inaccettabile ci appare una realtà testimoniata da dati IEA2: l’impos-sibilità, per miliardi di persone, di accedere a fonti energetiche efficienti. E quando parliamo di fonti energetiche efficienti non parliamo solo di energia elettrica, ma an-che di moderni combustibili (gas, cherosene), fondamentali per operazioni di cottura, illuminazione ecc.

Secondo i dati del 2008:1,3-1,5 miliardi di persone non hanno accesso all’energia elettrica; il 99% vive nei Paesi a basso reddito pro capite3, l’80% vive in aree rurali;

2,7 miliardi di persone si affidano per cottura e illuminazione alle cosiddette “bio-masse tradizionali”, legna e carbonella, utilizzando soprattutto la sempre “tradizio-nale” stufa a tre pietre, diffusissima in Africa. Chiamarla stufa è un po’ azzardato: un fuoco aperto, tre pietre per sostenere una pentola, efficienza bassissima, molti rischi di inquinamento locale e domestico, necessità di dedicare moltissimo tempo alla ricerca di legna da parte di donne e bambini, soprattutto nelle zone semidesertiche, e in ag-giunta deforestazione… e via di questo passo. Per non parlare dell’elevato rischio di ustioni anche letali, soprattutto per i bambini: secondo uno studio dell’OMS (2009-2010) si parla di circa 1,5 milioni di morti all’anno! E la colpevole non è solo la legna, ma anche idrocarburi di bassa efficienza, la cui combustione parziale genera sostanze gravemente dannose per la salute.

1 miliardo di persone non ha accesso a una rete elettrica stabile, il che ostacola qualsiasi attività produttiva. Se infatti per 30-50 giorni all’anno manca energia elet-trica, l’attività produttiva è ritenuta impossibile. Ma ancora più grave è l’impossi-bilità di conservazione degli alimenti, vista la mancanza di energia necessaria per la congelazione-refrigerazione del cibo, questo in luoghi in cui i bisogni primari non sempre sono facili da soddisfare.

3 Energia e sviluppo

Eppure l’accesso all’energia dovrebbe essere un diritto per tutti, perché gioca un ruolo fondamentale nel promuovere la condizione umana. Energia non solo per illuminare e scaldare, ma per gestire con equità i beni fondamentali: produrre, procurarsi, con-servare cibo e medicine, avere acqua di qualità accettabile per usi domestici, acqua

2 InternationalEnergyAgency, organizzazione internazionale intergovernativa fondata nel 1974 dall’OCSE dopo la crisi del 1973. Scopi: promuovere coordinamento tra le politiche energetiche e stabilità degli approvvigionamenti;sostenere la crescita economica, lo sviluppo sostenibile, la salvaguardia dell’ambiente e del clima.3 “Basso” secondo la classificazione ONU indica un reddito pro capite inferiore a 750 euro per tre anni consecutivi.

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per le colture agricole e acqua potabile, costruire e far funzionare scuole e ospedali, disporre di mezzi di trasporto, accedere all’informazione… E poi, cosa fondamenta-le, poter “creare reddito” facendo funzionare piccole imprese produttive, artigianali, agricole, commerciali ecc. Il legame tra energia e sviluppo economico e tra energia e sviluppo sociale è del tutto evidente dal grafico che segue:

Il grafico mostra infatti la stretta relazione tra il cosiddetto Indice di Sviluppo Umano (HDI) e l’Indice di Sviluppo Energetico (EDI).

I due indici sono rappresentati da formule matematiche, ma qui basti dire che l’indice di sviluppo umano è costruito sulla base di indicatori quali speranza di vita alla nascita, anni di scolarità, standard di vita, mentre l’indice di sviluppo energetico è basato su consumo di energia commerciale, uso di energia elettrica nelle abitazioni, uso di moderni combustibili nelle abitazioni, popolazione con accesso all’elettricità.

L’energia è dunque chiave per lo sviluppo, un diritto strumentale, cioè, al pari del cibo e dell’acqua, indispensabile per poter garantire i diritti fondamentali legati alla dignità umana.

3 Domani: gli obiettivi del millennio

L’IEA stima che nel 2030 almeno un miliardo di persone non avrà adeguato accesso all’e-nergia e che il numero di persone che non utilizzeranno combustibili moderni rimarrà pressoché invariato. L’America Latina sarà tra le zone fortunate in cui si raggiungerà un accesso pressoché universale all’energia elettrica. Analoga situazione si prevede nei Paesi asiatici: Cina e India avranno effetto trainante nella transizione verso fonti moderne di energia per gli usi domestici. La situazione più drammatica è quella dell’Africa e in par-ticolare dalla regione Sub-Sahariana. Solo il Sud Africa non rientra in questo quadro.

In relazione a ciò Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu, ha lanciato il programma SE4ALL (SustainableEnergy for all) e ha dichiarato il 2012 “Anno Internazionale dell’energia sostenibile per tutti”. Queste le parole del suo appello ai Paesi membri: «La nostra sfida è la trasformazione. Abbiamo bisogno di una rivo-luzione globale per l’energia pulita, una rivoluzione che renda l’energia disponibile e accessibile a tutti. È essenziale per rendere minimi i rischi climatici, per ridurre la povertà e migliorare la salute del Pianeta, la crescita economica, la pace e la sicurezza».

Parole chiare che sottolineano con forza come il futuro del Pianeta, la salute e gli

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assetti politici, dipendano fortemente dalla questione energetica e da una distribu-zione equa delle risorse.

Se non vi sarà almeno un aumento di 400 milioni di persone che abbiano accesso all’energia elettrica e di 1 miliardo che accedano a combustibili moderni, non potre-mo raggiungere il primo obiettivo del millennio. Di che si tratta?

Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals o MDG) sono otto obiettivi che tutti i 191 stati membri dell’ONU si sono impegnati a rag-giungere per l’anno 2015. Si tratta di una sorta di “patto” planetario fra Paesi ricchi e Paesi poveri, fondato sul reciproco impegno a fare ciò che è necessario per costruire un mondo più sicuro, più prospero e più equo per tutti.

La Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, firmata nel settembre del 2000, impegna gli Stati a: 1. Sradicare la povertà estrema e la fame2. Rendere universale l’istruzione primaria 3. Promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne 4. Ridurre la mortalità infantile 5. Migliorare la salute materna 6. Combattere l’HIV/AIDS, la malaria ed altre malattie 7. Garantire la sostenibilità ambientale 8. Sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo

Non è chi non veda che per raggiungere questi obiettivi la disponibilità di accesso all’energia è imprescindibile: non c’è scritto “energia”, nell’elenco, ma la disponibilità di energia è inequivocabilmente trasversale a tutti e otto gli obiettivi.

3 Dal dire al fare: le strategie per l’accesso all’energia

Quando si parla di accesso all’energia, si parla di quantità pro capite che possono stupire noi “grandi consumatori”: parliamo di 200-250 kwh a testa all’anno! Si tratta di far funzionare un paio di lampadine e una o due modeste prese…

La dimensione tecnica, cioè la creazione di infrastrutture e strumentazione, è certo importante, ma non basta. Oltre che dare accesso all’energia elettrica, bisogna infatti che le persone possano permettersi di pagarla: condizione fondamentale per l’accesso è quindi la cosiddetta affordability (dall’inglese to affor = “permettersi”). Essenziale in questo senso sarà prevedere tariffe agevolate.

Sarà poi fondamentale portare energia senza danni per la salute e l’ambiente. Ciò riguarda in particolare l’uso dei combustibili poco efficienti: se non si introdurranno miglioramenti significativi con la diffusione di moderni combustibili ad alta efficien-za, si calcola che nel 2030 i morti per malattie da idrocarburi incombusti saranno più di quelli per AIDS!

Per parlare di strategie per favorire l’accesso all’energia nei Paesi in via di sviluppo, dobbiamo tornare ai due punti fondamentali: accesso all’energia elettrica e accesso all’uso di combustibili moderni.

Per l’accesso all’energia elettrica le strategie sono essenzialmente: • realizzazionee/ocompletamentodellareteelettricanazionale(national grid);• generazionedistribuita,cioènonpiùgrandicentralipotenti,spessononrealizzabili

e nemmeno “collegabili” in molti Paesi, ma piccoli e diversificati sistemi di genera-zione:

• Sistemidomesticicomepannellisolarifotovoltaici,piccolisistemiidrici,paletteeoliche sulla casa, a potenza molto bassa, ma sufficienti a far funzionare la luce, un

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piccolo frigorifero;• reti integraterinnovabilichecombinanodiversefontieformedienergia:per

esempio se c’è un torrente si può realizzare una “centralina” che può produrre energia elettrica per qualche centinaio di kwh, e contemporaneamente installare pannelli solari termici per gli idrosanitari, utilizzando quindi direttamente energia termica, senza ulteriori e dispersive trasformazioni;

• smart mini grids (mini-reti intelligenti) che, partendo da diverse fonti sul territorio (sistema smart), permettono di integrare risorse e distribuire i carichi. In futuro queste mini-reti possono essere connesse creando gradualmente una rete nazionale.

Per l’accesso ai combustibili moderni le strategie sono numerose, e ne citiamo alcune essenziali:

usare gpl, favorendo la distribuzione di bombole; è chiaro che è fondamentale l’informazione su un uso corretto per evitare rischi;

favorire l’installazione di “stufe migliorate”: si tratta di stufe con camere di combu-stione chiusa, che evitano i rischi della già citata stufa a tre pietre. Ve ne è di vari tipi, ma rimane il problema della ricerca della legna, della deforestazione e di una certa difficoltà nell’apprenderne l’uso corretto;

sistemi di produzione di biogas4 su piccola scala: basta un contenitore cilindrico di plastica, entro cui accumulare gli escrementi degli animali. Il gas prodotto dalla fer-mentazione viene convogliato a un fornelletto. Si evita così di bruciare legna. Possono essere costruiti in loco e costano poco. Non tutti gli animali tuttavia producono escre-menti qualitativamente adatti alla conversione in biogas. Per un sistema domestico sono sufficienti tre mucche per famiglia. Un generatore di questo tipo non produce una pressione sufficiente per illuminazione, ma solo per la cottura… però almeno si tiene pulita la stalla… Sistemi a biogas più grossi possono servire un’intera comunità agricola. In tal caso la pressione più elevata consente l’uso per illuminazione.

Ma fra le tante strategie, come scegliere?

3 La tecnologia non è tutto

È evidente che le tecnologie scelte dovranno essere in stretta relazione con le risorse sfruttabili sul territorio e insieme rispondere adeguatamente ai bisogni locali.

Per quanto riguarda il primo punto, l’energia idroelettrica, per esempio, che pure è a elevata efficienza e a basso costo, non è pensabile in un territorio desertico. Se invece c’è disponibilità di acqua, varrà certo la pena di creare un impianto, ma anche in questo caso bisognerà prima valutare se vi sia competizione con necessità agricole di irrigazione e con i bisogni sanitari delle persone. In termini di efficienza, all’energia idroelettrica seguono “a scalare” quella da biomasse, l’energia eolica, l’energia solare. Quest’ultima è quella la cui tecnologia è più costosa e a più bassa efficienza, ma in vaste aree dei Paesi in via di sviluppo è l’unica disponibile.

È quindi importante “usare quello che c’è” e, non appena possibile, risorse diverse e tecnologie diverse integrate.

4 Il termine biogas indica una miscela di vari tipi di gas (50%-80% metano, poi diossido di carbonio, idrogeno molecolare) derivanti dalla fermentazione di residui organici provenienti da rifiuti, escrementi animali, residui vegetali, carcasse in putrescenza, fanghi di depurazione, scarti dell’agro-industria. La fer-mentazione e quindi la produzione di gas avviene ad opera di batteri anaerobi, pertanto deve svolgersi in contenitori chiusi. Anche in Italia molte aziende agricole sfruttano impianti a biogas.

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La sequenza logica delle operazioni sarà quindi: 1. analisi dei bisogni locali, 2. analisi delle risorse, 3. ottimizzazione costi/efficienza, 4. scelta delle tecnologie.

Fondamentale naturalmente la valutazione dell’impatto ambientale e sociale. Le tecnologie possono creare disagi, indurre abitudini nuove e non sempre positive, im-poverire o stravolgere l’ambiente o/e le culture locali ecc.

Per valutare l’impatto sullo sviluppo locale non si potrà quindi prescindere da un’attenta valutazione dell’impatto su tutti gli aspetti del “capitale locale”, promuo-vendo nel contempo azioni adeguate e attente:

sul capitale fisico, promuovendo un uso e una gestione migliore delle risorse pre-senti, delle infrastrutture, sia pur modeste di quel territorio, di quel paese, di quel villaggio;

sul capitale ambientale, salvaguardando le ricchezze naturali, la conservazione dell’ambiente, le specificità locali;

sul capitale economico, promuovendo una riduzione della dipendenza da com-bustibili d’importazione, migliorando la bilancia dei pagamenti, sviluppando la green economy;

sul capitale sociale, migliorando l’ambiente, i servizi e le condizioni di vita delle persone, cercando di limitare le migrazioni di massa, creando posti di lavoro;

sul capitale umano, sviluppando e valorizzando le competenze e la capacità locale di ricerca e innovazione e promuovendo un atteggiamento di partecipazione da parte di tutti alla gestione della propria comunità e delle risorse.

Scrive Roberto Ciacci: «Lo sviluppo di una società è spesso il frutto di occasioni of-ferte agli individui. In questo senso si può affermare che l’energia costituisce certamente l’occasione più importante, messa a disposizione del genere umano, capace nel tempo di favorirne lo sviluppo in tutte le sue dimensioni: economica, sociale e ambientale».

La comunità internazionale si deve far carico di promuovere l’accesso universale all’energia, così come previsto dall’IEA, entro il 2030. Ma quanto costa? Sempre secondo l’IEA servono investimenti per 970 miliardi di dollari, 50 miliardi all’anno, cifra che ci sembra impensabile, irreale… eppure Emanuela Colombo ha fatto un calcolo che ci dà un’idea più realistica: se, tenuto conto del consumo di energia dei Paesi industrializzati, si aumentasse il costo di un kwh di 5 millesimi di dollaro, in un anno avremmo proprio una disponibilità di 50 miliardi.

Un pensiero che può accompagnarci a scelte importanti.

FontiGianluca Alimonti, Ernesto Pedrocchi (a cura di): Energia sviluppo ambiente. Osservatorio per l’energia Mario Silvestri, Ed. Esculapio, 2012; vedasi in particolare il capitolo Disponibilità energetica e sviluppo, a cura di Roberto Ciacci, Emanuela Colombo, Paola Garrone.

Numerose informazioni ai sitiwww.eni.com/it www.enea.it www.sviluppoeconomico.gov www.museoenergia.it www.festivaldellenergia.it www.snam.it/it www.onuitalia.it

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91Le iniziative speciali e i concorsi

Iniziativa speciale Scuolachefarete.itPromossa in collaborazione con

Telecom Italiadi Carlo SorrentinoProfessore ordinario di Sociologia dei

processi culturali - Università degli studi

di Firenze

L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori in partnership con Telecom Italia realizza per l’anno scolastico 2013/2014 la nuova versione del portale www.scuolachefarete.it rivolto a tutti gli insegnanti italiani.

Questa collaborazione è nata nel 2010 con l’intento di offrire ai docenti l’opportunità di avvalersi di un nuovo strumento informativo e didattico che li aiuti a prepararsi per cogliere al meglio le opportunità offerte dalla realtà scolastica in continua evoluzione.

Una scuola senza confronto con il mondo circostante non è mai stata possi-bile e, ovviamente, questo confronto diventa più incisivo quando si caratterizza per la pluralità di ambienti e soggetti con i quali poter interagire.

Oggi più che mai risulta importante sfruttare la pervasiva capacità del digi-tale di aggregare e mescolare informazioni e competenze adottando tale possi-bilità di confronto nel mondo scolastico. L’apertura al digitale deve essere con-cepita e sfruttata per la sua straordinaria potenzialità di connettere competenze e punti di vista.

Ancora una volta sul portale la comunità degli insegnanti si darà appun-tamento ogni giorno, azzerando le distanze geografiche, trovando spunti di lavoro, informazioni, proposte, suggerimenti e consigli. La Rete si trasforma così in un nuovo strumento didattico e formativo, flessibile e costantemente aggiornato. Non solo: attraverso il portale, sarà possibile intraprendere insieme un rinnovato percorso di alfabetizzazione digitale, che consentirà ai docenti di avvicinarsi ancora di più alle generazioni cui si trovano a fare da guida nell’uni-verso frastagliato della conoscenza e dell’informazione.

La Rete non andrà vissuta come una strada tracciata, né tantomeno come un

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92Le iniziative speciali e i concorsi

labirinto, quanto piuttosto come un enorme repertorio di fatti, informazioni ed esperienze cui attingere per sviluppare poi propri percorsi con gli studenti.

Nel nuovo www.scuolachefarete.it saranno molti i temi e gli approcci: sarà presente una sezione denominata Spunti d’autore e contenente contributi di esperti e giornalisti, raccolti negli anni, utili punti di partenza per realizzare le-zioni in grado di preparare i ragazzi a conoscere e a comprendere la realtà che li circonda, perché la scuola possa davvero guidare il cambiamento e non subirlo.

Sempre nell’ottica di fornire ai docenti strumenti per attualizzare le proprie lezioni è pensata la sezione A lezione con il quotidiano dove sono visibili i video realizzati da me: questi contributi supportano gli insegnati nelle lezioni con “Il Quotidiano in Classe”, aiutandoli ad avvicinare i giovani all’informazione di qualità e a guidarli in una moderna lezione di educazione civica, al passo con i tempi.

I docenti hanno imparato negli anni a prendere dalle pagine dei quotidiani tracce sull’attualità per trasformarle in occasioni formative che favoriscono la crescita del senso civico e dello spirito critico dei loro studenti. Adesso sono chiamati a una nuova sfida, imposta dalla modernità: quella di utilizzare in aula strumenti digitali sfruttandone le potenzialità didattiche. Proprio per rispon-dere a questa esigenza è stata pensata la sezione Digitale e Didattica con spunti formativi e informativi ideati per mostrare le potenzialità offerte dai supporti digitali e le possibili applicazioni in campo didattico.

L’esperienza de “Il Quotidiano in Classe” è stata una fortunata anticipazione dell’approdo al digitale perché attinge dal variegato mondo dell’attualità e lo adatta alle funzioni educative, facilitando il docente nel compito di educare i ragazzi all’informazione di qualità insegnando loro a riconoscerla indipenden-temente dal supporto sul quale essa viaggi.

Considerando che non esiste formazione senza informazione, il portale per-mette ai docenti, attraverso la sezione Mondo scuola, di avere un aggiornamento quotidiano sulle news riguardanti la scuola italiana, di essere sempre al passo con i tempi e di vivere da protagonisti le sfide e le opportunità che l’attualità propone.

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93Le iniziative speciali e i concorsi

Scheda

Una cultura digitale per migliorare l’efficienza della scuola nella sua organizzazione e nei suoi processidi Antonella CurioniDocente di materie letterarie nella scuola secondaria di primo grado “Griffini”

di Casalpusterlengo

3 Autonomia scolastica e flessibilità organizzativa

Gli ultimi decenni di storia del sistema scolastico italiano si sono caratterizzati per una progressiva tendenza al decentramento di compiti e di assunzioni di responsabilità da parte delle singole scuole, nell’ottica dell’autonomia scolastica.

Il Regolamento dell’autonomia ha aperto spazi inusuali rispetto al passato: varia-zione degli orari, unità temporali dell’unità didattica, articolazione delle classi, uso delle tecnologie e modifica nei sistemi di comunicazione e di informazione verso l’interno e verso l’esterno della scuola, ecc.

La dimensione organizzativo-gestionale è molto cambiata grazie all’introduzione di sistemi tecnologici che hanno migliorato la circolazione delle informazioni e la comunicazione tra le scuole e gli Uffici Scolastici di riferimento, tra il MIUR e le singole realtà scolastiche autonome.

Tale processo di innovazione non si è ancora concluso sia per l’ampiezza del nu-mero degli istituti sia per i costi dell’intera operazione di investimento nelle strutture e attrezzature multimediali, sia per la formazione dei dirigenti e del personale docente e non docente nell’acquisizione delle conoscenze e delle competenze culturali e tecni-che per l’uso dei nuovi strumenti.

Il decentramento amministrativo collegato con l’autonomia scolastica ha richiesto negli anni uno sviluppo organizzativo-gestionale fondato essenzialmente sull’uso delle tecnologie.

Il riverbero di tale cambiamento lo si è avuto sulle persone, sui sistemi di comu-nicazione e sulle procedure che indubbiamente hanno semplificato gli approcci tra l’utente e la Pubblica Amministrazione che, dai primi anni del XXI secolo, è stata costantemente investita da interventi legislativi miranti all’introduzione delle nuove tecnologie informatiche e delle comunicazioni.

Ad esempio, il CAD (Codice dell’amministrazione digitale) traccia il quadro legi-slativo entro cui deve attuarsi la digitalizzazione dell’azione amministrativa e sancisce veri e propri diritti dei cittadini e delle imprese in materia di uso delle tecnologie nelle comunicazioni con le amministrazioni. Il D.L. del 2005 e l’aggiornamento del 20101 prevedono una serie di pagine obbligatorie per i siti web della pubblica ammi-nistrazione, comprese le scuole. Gli effetti sono dati dalle procedure della Pubblica Amministrazione sempre più digitali, interattive e in tempo reale, in grado di basarsi sulla customer satisfaction e sulla logica del “demand driver”, in cui le richieste e le esigenze dei cittadini-clienti hanno la primaria funzione di orientare il modo in cui i servizi della Pubblica Amministrazione devono essere erogati.

Il cambiamento tecnologico in corso, derivato dal CAD, richiede il prerequisito di un sistema capillare di connettività, nel tentativo di ottenere una sempre maggiore virtualizzazione e capillarità dei servizi, e un progressivo processo di dematerializza-

1 D.L. 7 marzo 2005, n. 82; D.L. 30 dicembre 2010, n. 235.

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zione documentale. Quest’ultima rappresenterà un elemento di forte cambiamento nella organizzazione e nella gestione delle attività della Pubblica Amministrazione. Cambiamento che dovrà garantire maggiore efficienza, più efficacia e soprattutto eco-nomicità, per i risparmi collegati con i processi di virtualizzazione.

Facendo riferimento alla scuola, in questi ultimi anni sono stati attivati i seguenti processi:• iscrizioni online degli alunni alle varie scuole;• comunicazione online tra scuola e famiglia attraverso l’uso del registro elettronico;• organizzazione e gestione degli scrutini intermedi e finali online;• attivazione dei siti nelle scuole per facilitare la comunicazione tra i docenti, tra

docenti e famiglie e per documentare le esperienze educative e didattiche realizzate nell’istituto (sito come memoria storica della scuola, a cui alunni, genitori, inse-gnanti, cittadini in genere, possono accedere);

• attivazioni di siti con parti o sezioni dedicate (es. per i soli docenti e dirigente scolastico) a cui si può accedere solo con una apposita procedura di registrazione e con la password personale assegnata dal webmaster del sito;

• l’uso di una modulistica posta sul sito della scuola o di modelli per lo scambio di informazioni trasmessi via mail e da compilare solo online;

• la generalizzazione del sistema SISSI e del sistema SIDI per la gestione delle in-formazioni relative all’area amministrativo-contabile e degli organici del personale docente e del personale ATA;

• la comunicazione tra il dirigente scolastico e i docenti con mail (comprese le con-vocazioni per le riunioni; la trasmissione di verbali; l’invio di schede o modelli guida per attività di progettazione, realizzazione di progetti, valutazione delle espe-rienze e degli esiti sul piano degli apprendimenti);

• la pubblicazione e la comunicazione di esiti scolastici; la compilazione di que-stionari online inviati dal MIUR, dall’Invalsi e/o da altre istituzioni in merito a questioni di politica scolastica;

• di recente sono stati introdotti la possibilità e il riconoscimento della PEC (posta elettronica certificata) e della firma digitale.

3 Controllo di gestione

Un cambiamento culturale e professionale particolarmente significativo, supportato da una dotazione tecnologica adeguata, è dato dall’introduzione del controllo di gestione in ogni istituzione scolastica autonoma. Il principio su cui si basa il controllo di ge-stione è la discrezionalità di scelta riconosciuta ai vari soggetti presenti nella scuola per accrescere la loro motivazione ad attivare meccanismi di apprendimento organizzativo.

Attraverso il monitoraggio condiviso dei risultati, gli operatori scolastici ampliano le specifiche professionalità tecnico-pedagogiche, assumono consapevolezza intorno alle strategie che la scuola sta perseguendo e sulle implicazioni anche economico-finanziarie delle scelte progettuali dell’offerta formativa.

Tutto ciò impone anche una condivisione lessicale nuova e in aggiornamento con-tinuo: il cambio del lessico professionale diventa così sia una necessità che il sintomo dei cambiamenti prodotti dall’introduzione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella scuola.

3 Lessico

Roberto Baldascino (in Voci della Scuola, Tecnodid – IX, Napoli, 2010) presen-

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ta un glossario minimo con termini che stanno entrando nel linguaggio comune. Riportiamo alcuni dei termini proposti:

AIDA – Ambiente Integrato Di Apprendimento: una sorta di programmazione integrata e dinamica dell’ambiente fisico, delle relazioni didattiche e dell’ambiente virtuale in funzione delle caratteristiche socio-emozionali e cognitivo-motivazionali degli studenti.

Digital divide: è il divario esistente tra chi ha accesso alle tecnologie dell’informa-zione e chi ne è escluso per motivi economici, sociali e generazionali. La disparità è anche nell’acquisizione di risorse o nelle capacità necessarie a partecipare alla società dell’informazione.

Immigrati digitali2: sono le generazioni non “toccate” sin dalla nascita dalla rivolu-zione digitale. Il loro modo di utilizzare la tecnologia è del tutto particolare e spesso un po’ goffo.

Nativi digitali: persone nate e cresciute con le tecnologie digitali.Edutainment: è la fusione di due parole inglesi education ed entertainment; indica

una forma di videogioco, il cui scopo è educare e divertire contemporaneamente.Multitasking: è la capacità di un sistema operativo di utilizzare più programmi

parallelamente. Dal punto di vista cognitivo è l’apparente capacità di svolgere più compiti quasi contemporaneamente.

E-learning: apprendimenti online.TIC: tecnologie informatiche di comunicazione. È l’insieme delle tecnologie che

consentono di elaborare e comunicare l’informazione attraverso mezzi digitali.LIM: lavagna interattiva multimediale.

3 Cultura digitale

Al di là della organizzazione amministrativa, ciò che affascina delle nuove tecnologie sono anche le possibilità che offrono di imparare, conoscere, sbagliare e riprovare, e il fatto di essere diventate il catalizzatore della trasformazione e dell’innovazione sociale: hanno trasformato lo spazio e le modalità con cui partecipare, confrontare e condividere idee, progetti e pensieri.

Tuttavia, “tecnologia” non è ancora cultura. Qual è dunque il vero perimetro della cultura digitale? Quali sono i suoi valori fondanti? In che modo essa può modificare, migliorando, la scuola e i suoi processi?

Cominciamo col distinguere la semplice “informatizzazione” dalla “digitalizza-zione”3 e la digitalizzazione dalla cultura digitale. In questa parte, delimiteremo la riflessione a quest’ultimo aspetto e alle sue implicazioni sui processi scolastici.

La cultura digitale, contrariamente ai primi due elementi (puramente tecnici),

2 Per l’aggiornamento di questi termini (e relativi concetti) si veda sia il punto 4 che la nota 4.3 Nel primo caso gli strumenti elettronici vengono impiegati per realizzare in modo più rapido prodotti car-tacei, ma non garantiscono alcuna reale dematerializzazione. La digitalizzazione – invece – prevede la scom-parsa del prodotto cartaceo: ciò che risiede su supporto elettronico diventa l’“originale”, di cui possono essere rilasciate, su richiesta, copie cartacee. Il processo di realizzazione di un documento digitalizzato deve pertanto garantirgli autenticità, integrità e non ripudiabilità, i tre vincoli amministrativi essenziali. Tutto ciò implica anche una considerazione degli aspetti organizzativi e pratici della questione. Che cosa verrà effettivamente acquistato? Dove sarà collocato il Pc nelle classi dagli arredi obsoleti e dalla scarsa alimen-tazione elettrica di molte scuole? Le aule saranno cablate o si userà il wireless? Chi sarà responsabile della conservazione del dispositivo, della manutenzione e della messa in sicurezza delle infrastrutture? E così via: alla dematerializzazione documentaria corrisponde il materializzarsi di numerosi e vari problemi concreti.

95Le iniziative speciali e i concorsi

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alimenta un modello di azione esportabile e basato su alcuni valori: cooperazione e trasparenza, ricerca e sviluppo, partecipazione, innovazione, etica e responsabilità. Inoltre, a monte, la cultura digitale presuppone un tipo di conoscenza non limitato alla capacità di uso delle nuove tecnologie (quella tradizionalmente affibbiata come naturale e spontanea ai cosiddetti “nativi digitali”, e come frutto di successivo ap-prendimento agli “immigrati digitali”), ma richiede una consapevolezza superiore. Alla vecchia contrapposizione nativi-immigrati, nella scuola possiamo dunque sosti-tuire una nuova classificazione, priva di contrasti generazionali: quella tra una “digital wisdom” e una “digitalstupidity”4.

Il “saggio digitale” non è dunque un semplice docente smanettone, o uno stu-dente che pratica trasgressione o intrattenimento fine a se stesso: è chi sa andare oltre la semplice dimestichezza con le strumentazioni e la grande curiosità, e accetta lo sviluppo tecnologico come fatto integrato dell’esistenza umana, come irrinunciabile potenziamento cognitivo.

Affinché questo atteggiamento incida veramente sui processi scolastici, non abbia-mo bisogno di aule piene zeppe di computer identici, in cui gli studenti impieghino ripetitivamente gli ambienti più noti e diffusi. C’è bisogno di ridisegnare nuove mo-dalità di insegnamento, capaci di comprendere come le tecnologie possano migliorare le attività didattiche e valorizzare le competenze di ogni studente.

Sarà perciò necessario prevedere:• un nuovo setting d’aula (assetto funzionale, disposizione dei banchi e delle tecno-

logie)5;• adeguate strategie didattiche6 (anche indipendentemente dall’utilizzo delle tecno-

logie!);• una condivisione dei contenuti tra docenti, e tra docenti e studenti (un Learning

ManagementSystemche metta in comune il piano dei contenuti, gli aspetti orga-nizzativi legati agli spazi e ai tempi, lo scambio di learning object7, la costruzione di e-text book con gli studenti);

• un sistema multicanale per un accesso multimodale alle informazioni;• una differente struttura organizzativa della scuola.

Proprio riguardo a quest’ultimo punto, si tenga presente che il dirigente è ormai obbligato a fare i conti con la pervasività delle tecnologie informatiche ed elettroni-che prima ancora che dal punto di vista della didattica, da quello dell’organizzazione istituzionale della scuola.

4 È stato lo stesso Marc Prensky, inventore delle due precedenti categorie, a considerarle superate dai tempi e a proporre tre nuovi profili: lo “stupido digitale”, lo “smanettone” e il “saggio digitale”. Il problema per Prensky è tendere verso la saggezza digitale e trovare il mondo di accompagnarvi tutti.5 Il nuovo setting deve favorire l’interattività, la cooperazione, e le condizioni comunicative-relazionali, attraverso ambienti polifunzionali, aule aperte, infrastrutture tecnologiche integrate: quante scuole in Italia rientrano in questa descrizione? L’OCSE, nel suo recente rapporto ReviewoftheItalianStrategyforDigitalSchools ha avvertito l’Italia che è fondamentale recuperare il gap con gli altri Paesi europei circa l’adozione e la circolazione delle tecnologia a scuola. Ad es., rispetto alla Gran Bretagna, dove il livello di diffusione tecnologico nelle classi è pari all’80%, il nostro Paese appare drammaticamente indietro di 15 anni. Non è bastato nemmeno il Piano nazionale scuola digitale, che ogni anno, a partire dalla sua istituzione (2007-2008), ha provato a incrementare – invero con un plafond di risorse davvero esigue, meno di 5 euro a studente – l’uso di internet e delle tecnologie digitali nelle scuole italiane. 6 Si potrà utilizzare la modalità trasmissiva potenziata, ad esempio, dagli strumenti della LIM, o quelle collaborativo-partecipative come il Big6, la WebQuest e l’apprendistato cognitivo (vedi, per questo ultimo caso, la struttura della scheda didattica Dalla lettura del giornale di carta alla scrittura per il web).7 In questo senso una social learning platform esemplare è Edmodo.

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Per l’anno scolastico 2013/2014 l’Osservatorio Permanente Giovani-Editori, in collaborazione con Federalimentare, realizza la prima edizione dell’iniziativa speciale sull’educazione alimentare, rivolta a tutti i docenti e agli studenti delle classi che partecipano al progetto “Il Quotidiano in Classe”.

La finalità di questa iniziativa è quella di supportare i docenti e di aiutarli nel realizzare con i propri alunni un vero e proprio percorso formativo sull’educa-zione alimentare.

Attualmente una sana e corretta alimentazione e lo svolgimento di regolare attività fisica sono temi di primaria importanza per la protezione della salute nel nostro Paese e nei Paesi industrializzati dove, già da tempo, si è evidenziato l’aumento dell’incidenza di patologie legate a stili di vita non salutari.

È dunque un dovere prestare attenzione alle tematiche della salute e della prevenzione, in particolare nelle fasce di età giovanili, fornendo strumenti utili per affrontare al meglio la sfida dell’educazione alimentare grazie al supporto dei materiali formativi realizzati appositamente per questa iniziativa e disponi-bili per le classi interessate a parteciparvi.

L’iniziativa aiuterà i ragazzi ad acquisire una maggior consapevolezza ali-mentare, a capire che non esistono cibi buoni e cibi cattivi in assoluto, ma abitudini e stili di vita più adatti di altri, favorendo quindi nei giovani un’edu-cazione alimentare più completa, che tenga conto anche della nostra identità e delle tradizioni alimentari nazionali.

La collaborazione con Federalimentare nasce per rispondere al bisogno di un’educazione ai corretti stili di vita e alla giusta alimentazione e si integra nel contesto della conoscenza dei diritti e doveri dei cittadini aiutando i giovani a

Iniziativa speciale Educazione alimentarePromosso in collaborazione con

Federalimantare

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partecipare in maniera più consapevole e positiva alla costruzione e al miglio-ramento della società.

La scuola è certo il luogo ideale nel quale promuovere questa iniziativa, per-ché è qui che le nuove generazioni devono dotarsi di basi culturali e di stru-menti per affrontare la realtà che le circonda.

L’attualità degli argomenti relativi ad alimentazione e nutrizione, sicurezza degli alimenti, obblighi nazionali e comunitari, ben si collocano nella moderna lezione di educazione civica e dunque nel progetto “Il Quotidiano in Classe”.

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L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori in collaborazione con Rai realizza per l’anno scolastico 2013/2014 la prima edizione dell’iniziativa speciale spe-rimentale sull’educazione alla conoscenza del giornalismo televisivo attraverso il ruolo del servizio pubblico, rivolta a tutti i docenti e agli studenti delle classi che partecipano al progetto “Il Quotidiano in Classe”.

La scuola oggi è chiamata a educare le giovani generazioni, ma educare non è solo didattica o solo tecnica, né solo dare regole e dire cosa è giusto o cosa non lo è, educare è rispondere alla domanda di senso che nasce dall’incontro con la realtà.

Una realtà che sembra essere sempre più complessa e sempre più difficile da conoscere, da capire, da valutare.

L’obiettivo dell’iniziativa speciale sperimentale è quello di offrire alle classi iscritte la possibilità di vivere una nuova tipologia di lezione in grado di mettere a confronto l’informazione cartacea e quella televisiva.

Infatti le classi sono invitate a utilizzare la sera il telegiornale e la mattina do-po i quotidiani, aggiungendo all’ora di lezione con i quotidiani anche un’altra autorevole fonte di informazione, il telegiornale; così da completare la lezione e il percorso di apprendimento in modo più libero e con l’utilizzo anche di un media più emozionale, la TV.

Grazie all’ampliamento dell’offerta informativa i ragazzi hanno così la pos-sibilità di confrontare modi e forme differenti di fare giornalismo: dal giorna-lismo locale a quello nazionale, dall’informazione cartacea a quella televisiva. Farli riflettere su come si fa il giornalismo in TV e come cambia rispetto a quello dei quotidiani, come si legge una notizia per immagini e come si danno

Iniziativa speciale Educazione alla conoscenza del giornalismo televisivo, attraverso il ruolo del servizio pubblicoPromossa in collaborazione con

Rai

'

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100Le iniziative speciali e i concorsi

le notizie in video.Si compie così un confronto quotidiano tra giornali e telegiornale con al

centro i giovani, reso più completo dai materiali formativi dedicati a questa attività, messi a punto per l’occasione e pensati per sostenere i docenti in questa sfida.

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101Le iniziative speciali e i concorsi

ConcorsoLa libertà delle idee a confrontoPromosso in collaborazione con

Enel

L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori ed Enel promuovono, per l’anno scolastico 2013/2014, la seconda edizione del concorso “La libertà delle idee a confronto”, teso a diffondere tra i giovani l’educazione al dialogo e al dibattito costruttivo. Il concorso è riservato agli studenti che partecipano in tutta Italia al progetto “Il Quotidiano in Classe” e a “PlayEnergy”, il progetto formativo di Enel su scienza ed energia.

Dall’avvio della collaborazione con Enel, partita nel 2007, il tema del con-fronto è sempre stato al centro della serie di incontri e concorsi didattici pro-mossi dall’Osservatorio.

L’informazione trasparente, e lo scambio di opinioni su questioni legate all’attualità e su temi tradizionalmente vicini ai giovani, come lo sport, la mu-sica, l’ambiente, la cultura così come la comunicazione, la scienza e la politica continuano ad essere il fine ultimo del concorso.

La rinnovata formula del progetto, basata sul confronto all’americana, invita gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado ad informarsi, attraverso la lettura dei quotidiani e l’acquisizione di informazioni anche grazie all’utilizzo di ulteriori strumenti didattici messi a disposizione di docenti e studenti, per riflettere e farsi portavoce di un’opinione libera e consapevole sul tema scelto. Al termine dell’approfondimento in aula, gli studenti saranno così in grado di confrontarsi sostenendo e argomentando le proprie tesi, dimostrando così di aver compreso che il dibattito è veramente costruttivo solo quando alla base ci sono preparazione e competenza.

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Scheda

L’efficienza energetica: meglio con menoMaria VezzoliFormatore OPPI, già docente di Scienze nelle scuole secondarie superiori

Meglio con meno: sembra uno slogan, ma è la sintesi del concetto di efficienza e, in particolare, si adatta assai bene al mondo dell’energia.

Da tempo in diversi campi, dalla scienza all’economia, dal mondo della scuola a quello del lavoro, si parla del concetto di efficienza come capacità di ottenere il mi-glior risultato con il minor dispendio di risorse.

Applicato al campo dell’energia, il termine “efficienza” rimanda a una produzione e a un uso consapevole e attento di questa preziosa risorsa in modo tale da soddisfare i bisogni umani e la qualità della vita, riducendo gli impatti sull’ambiente e l’intensità d’uso delle risorse.

L’efficienza energetica di un sistema (per esempio un’abitazione, un orto, un’azien-da… un intero Paese) rappresenta pertanto la capacità del sistema stesso di impiegare al meglio l’energia disponibile per soddisfare i suoi fabbisogni. Tanto minori sono i consumi relativi al soddisfacimento di un determinato fabbisogno, tanto maggiore è l’efficienza energetica del sistema che soddisfa quel fabbisogno.

Molto spesso accade però che i nostri edifici scolastici, le nostre case, gli uffici pubblici e tante altre strutture non siano un modello di efficienza energetica: si con-sumano grandi quantità di combustibili e di energia elettrica per riscaldare ambienti che spesso presentano importanti livelli di dispersione di calore, si adottano soluzioni illuminotecniche non adatte che generano inquinamento luminoso ed elettrodome-stici che consumano tanto e sono poco efficienti.

Tanta energia utilizzata in modo improprio, senza apprezzabili vantaggi, indica che il rapporto tra consumo energetico e qualità della vita che si conduce in quelle scuole, in quelle abitazioni, in quegli uffici è squilibrato. Sì, perché l’efficienza ener-getica è un rapporto, matematicamente definibile.

Viene espresso da un numero da 0 a 1 o dalla percentuale da 0% a 100%, in cui lo 0% corrisponde allo “spreco” totale di un sistema che consuma energia senza pro-durre risultato alcuno, mentre il 100% è l’efficienza ottimale, per cui tutta l’energia immessa si trasforma in risultato. Si tratta ovviamente di situazioni del tutto teoriche: ogni processo produce sempre almeno un modesto vantaggio, e d’altra parte nessun processo fisico è in grado di trasformare “tutta” l’energia senza sprechi e perdite.

3 Efficienza e risparmio

Il concetto di efficienza energetica ha preso il sopravvento, da tempo, su quello pur importante di risparmio energetico.

La crisi petrolifera del 1973, legata alla guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur, ha determinato una sensibile crescita dell’interesse nei confronti di temi come quello del risparmio energetico. Sono gli anni della prima grande crisi energetica, i Paesi Arabi riducono la produzione di petrolio e i Governi varano misure di emergenza per diminuire i consumi elettrici. Limitazioni, disagi, domeniche a piedi, negozi con ora-rio di apertura ridotto e trasmissioni televisive che terminano alle 22,45: uno scenario austero e anche un po’ triste che ormai ci sembra lontano e superato grazie anche a un importante passaggio culturale e sociale che ci ha portato ad essere, nel tempo, più

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consapevoli e attenti ai nostri consumi. Oggi non solo è importante conoscere quanta energia si sta consumando ma an-

che come la si sta usando. È infatti proprio su questo secondo aspetto che si può fare maggiormente leva per cercare di raggiungere sempre più alti livelli di efficienza.

3 Dove – come – quando si realizza l’efficienza energetica?

L’efficienza energetica è un principio sempre valido che deve regolare non solo il consumo ma l’intera filiera: dalla produzione al trasporto fino alla distribuzione alle utenze finali.

Nella complessità del sistema in cui viviamo, l’efficienza energetica dipende, in-fatti, da un numero elevato di fattori: modalità di produzione dell’energia, soluzioni innovative per trasmetterla e distribuirla senza dispersioni e in misura proporzionata alla variazione della domanda, nuovi modi di concepire e costruire le nostre città, nuovi modi di fruire dell’energia.

A - Modalità di produrre l’energia ovvero fase di generazioneL’energia elettrica si ottiene nelle centrali di produzione a partire dalla trasformazione di fonti di energia primaria rinnovabili e non rinnovabili. Fortunatamente, oggi pos-siamo contare su un mix diversificato di fonti e di conseguenza su un’offerta adeguata di energia proveniente da centrali fotovoltaiche, idroelettriche, parchi eolici, impianti termoelettrici e a biomassa.

Il progresso scientifico e tecnologico raggiunto nel settore della generazione si ma-nifesta attraverso un parco centrali sempre più efficiente e avanzato, in grado di otti-mizzare le risorse, ridurre gli sprechi e contenere le emissioni, a dimostrazione di una crescente sensibilità ambientale. Ne sono un esempio le tecnologie di cogenerazione che consentono la produzione combinata di energia elettrica e calore in uno stesso impianto. Nelle centrali termoelettriche infatti si riesce a convertire in elettricità solo una parte dell’energia: il resto si disperde nell’ambiente sotto forma di calore. La coge-nerazione permette di recuperare il calore residuo, che altrimenti andrebbe sprecato, e destinarlo a scopi civili e industriali.

C’è poi un’interessante evoluzione che riguarda proprio la fase della produzione di energia. Oggi, infatti, questa importante risorsa che ci rende possibili tante azioni quo-tidiane, può arrivare direttamente da chi la consuma. Tutto questo è possibile grazie al-la micro-generazione. Il mini-eolico, il fotovoltaico così come il mini-idro trasformano il consumatore finale di energia elettrica in potenziale produttore. Ogni cittadino può, infatti, con la semplice installazione di un impianto di micro-generazione diventare produttore di energia per fare fronte al proprio fabbisogno e a quello comune. Nel caso di produzione in eccesso, infatti, l’energia in più può essere immessa direttamente nella rete e distribuita dove la domanda è maggiore. Nasce così una nuova figura: il prosumer, cioè il consumer+producer, consumatore e produttore insieme.

B - Modalità per trasmettere e distribuire energia Questa produzione “distribuita” implica un nuovo modello di distribuzione dell’ener-gia che da unidirezionale (dal produttore al consumatore), con spreco di energia nei momenti di fabbisogno modesto e insufficienza nei momenti di maggior fabbisogno, diventa multidirezionale. Tutto questo grazie ad una rete più intelligente e flessibile, che connette produttori – consumatori – prosumer. Questo sistema complesso è il sistema delle reti intelligenti o smart grids.

Come la Rete Internet, la smart grid è in grado di rispondere tempestivamente alla

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richiesta di maggiore o minore energia di uno o più utenti, garantendo una gestione immediata e ottimale.

C - Nuovi modi di concepire e costruire le nostre città: la smart cityAll’evoluzione del sistema di distribuzione corrisponde la trasformazione della città in chiave “smart”. Anche le città infatti cambiano e diventano intelligenti e sempre più sostenibili. Gli sprechi si riducono, la mobilità è elettrica, gli spazi vengono pro-gettati secondo le esigenze di chi li abita. La smartcity è un concentrato di tecnologie: smart grids, contatori elettronici per monitorare i consumi di energia, automazione e domotica, illuminazione pubblica efficiente, integrazione di fonti rinnovabili, sistemi di stoccaggio dell’energia, dispositivi che aumentano la consapevolezza dei consumi, stazioni di ricarica elettrica per le automobili. La città cambia volto e si afferma come luogo a elevata sostenibilità ambientale, ottima vivibilità e una gestione intelligente dell’energia.

Le smart cities non sono fantascienza, ce ne sono già alcune: Malaga in Spagna e Buzios in Brasile sono ad uno stadio decisamente avanzato, mentre Genova, Bari, Barcellona sono già in fase di “programmazione”, attraverso la collaborazione di aziende energetiche, istituzioni pubbliche, università, amministrazioni locali, indu-strie e cittadini.

D - Nuovi modi di fruire e consumare energia Grazie alle nuove tecnologie quindi il consumatore può diventare prosumer: già nel 2012, in Italia, sono 140.000 le connessioni alla rete elettrica di questa nuova tipolo-gia di produttore-consumatore. Le azioni che ogni cittadino può mettere in atto per ridurre gli sprechi ed essere efficiente sono moltissime. Gli accorgimenti da seguire sono pochi e semplici a fronte, invece, di numerosi vantaggi: dal non lasciare gli apparecchi elettronici in standby, all’acquisto di elettrodomestici di classe energetica A+++, dall’adozione di dispositivi utili a monitorare l’andamento dei consumi, all’eli-minazione degli spifferi con l’isolamento di porte e finestre.

Basta guardare in Rete, o leggere le istruzioni di frigorifero, lavastoviglie, micro-onde, ecc. per aver suggerimenti minuti di risparmio nell’uso di quel determinato elettrodomestico.

• Conimodernicontatoriilcittadinopuòcontrollarel’andamentodeiconsumiinrapporto al prezzo, spostandoli nelle fasce orarie più convenienti.

• L’installazionediunacaldaiaacondensazioneodiunsistemadipompadicaloregeotermica porta a risparmiare fino al 30% sul costo per i consumi destinati a riscaldamento o refrigerazione degli ambienti.

• Perprodurreacquacaldaperusisanitari,imoderniscalda-acquaelettriciapompadi calore consentono un risparmio in bolletta fino al 70% rispetto ad uno scalda-acqua tradizionale.

• Fondamentaleperilmiglioramentodell’efficienzaenergeticalacoibentazionedipareti, tetto e solai di un immobile, che permette di utilizzare meno energia termi-ca e frigorifera.

• L’installazione di lampade fluorescenti riduce la quantità di energia necessaria per raggiungere lo stesso livello di illuminazione rispetto all’utilizzo di tradizionali

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lampadine a incandescenza. Si calcola che un massiccio ricorso a tecnologie più efficienti permetterebbe di ot-

tenere riduzioni dei consumi domestici fino al 12% già nell’anno 2020. Ricordiamo che gli edifici, e quindi anche le abitazioni private, hanno oggi una classificazione e una conseguente certificazione energetica, che ne quantifica l’efficienza. La certifica-zione energetica degli edifici è una procedura di valutazione prevista dalle direttive europee 2002/91/CE e 2006/32/CE.

3 Parlarne a scuola

La necessità di promuovere un uso dell’energia responsabile, consapevole e insieme vantaggioso dal punto di vista della qualità della vita, comporta la necessità di impa-rare e di riflettere, nei percorsi scolastici, non solo sulle fonti di energia e sul risparmio energetico, ma anche sull’efficienza energetica.

Tutti gli insegnanti sono chiamati a occuparsi dell’argomento: quelli delle materie scientifico-tecnologiche si occuperanno anche delle basi conoscitive dal punto di vista scientifico, ma tutti dovranno promuovere la riflessione finalizzata alla promozione di senso di cittadinanza, inteso come partecipazione, inclusione e corresponsabilità, senso del limite, come presa di coscienza e consapevolezza di bisogni, limiti, respon-sabilità. Il dettato ministeriale definisce non a caso tra le competenze di cittadinanza a cui va finalizzato il lavoro scolastico, e quindi l’insegnamento disciplinare, «agire in modo autonomo e responsabile», la competenza che in primis ci sembra ovvio collegare a comportamenti consapevoli ecologicamente ed economicamente nel cam-po delle scelte energetiche, ma anche «risolvere problemi» e «acquisire e interpretare l’informazione», competenze pure facilmente collegabili a un percorso sull’efficienza energetica.

Dal D.M. 139/2007• Agire in modo autonomo e responsabile: sapersi inserire in modo attivo e consapevo-

le nella vita sociale e far valere al suo interno i propri diritti e bisogni riconoscendo al contempo quelli altrui, le opportunità comuni, i limiti, le regole, le responsabi-lità.

• Risolvere problemi: affrontare situazioni problematiche costruendo e verificando ipotesi, individuando le fonti e le risorse adeguate, raccogliendo e valutando i dati, proponendo soluzioni utilizzando, secondo il tipo di problema, contenuti e metodi delle diverse discipline.

• Individuare collegamenti e relazioni: individuare e rappresentare, elaborando ar-gomentazioni coerenti, collegamenti e relazioni tra fenomeni, eventi e concetti diversi, anche appartenenti a diversi ambiti disciplinari, e lontani nello spazio e nel tempo, cogliendone la natura sistemica, individuando analogie e differenze, coerenze ed incoerenze, cause ed effetti e la loro natura probabilistica.

Per far comprendere ai ragazzi un concetto tanto fondamentale, e applicabile a diversi campi di sapere, basta fare un esempio… scolastico: se studio giorno e notte per una settimana e conquisto una valutazione eccellente, potrò parlare di efficacia del mio impegno nello studio, ma se mi organizzo in maniera intelligente, e studiando bene e con metodo raggiungo lo stesso risultato impegnando solo alcuni pomeriggi di studio, potrò dire che ho lavorato in maniera efficiente.

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3 Niente paura: i contenuti ci sono

… e anche troppi. Spesso gli insegnanti temono che un percorso fortemente tra-sversale come potrebbe esserlo un’unità di apprendimento focalizzata sull’efficienza energetica faccia “perdere” contenuti.

Il concetto di efficienza è infatti un concetto “migrante”: in economia, in fisica, in biologia… può essere validamente sottolineato e sostenuto da contenuti importanti. Già in apertura abbiamo citato un contenuto di fisica, e qui di seguito ne elenchiamo altri, senza la pretesa di essere esaurienti:• infisica,inchimicaeinmaterietecniche:generalitàsull’energia;principidella

termodinamica e l’entropia come vincolo; in un motore l’efficienza è il rapporto tra l’energia meccanica ottenuta con quel combustibile e l'energia chimica conte-nuta nel combustibile utilizzato; efficienza energetica di un sistema e calcolo della medesima.

• inbiologia:quanto“rende”lafotosintesi?Poco,interminidiefficienza: solo 1/10 dell’energia racchiusa nei fotoni rimane intrappolata nel glucosio prodotto da una cellula fotosintetica. Se poi si considera un intero organismo vegetale e tutta la luce disponibile (luce incidente totale), solo un centesimo dell’energia proveniente dal sole su un dato territorio rimane racchiusa nei tessuti della pianta. Questa modesta efficienza non è certo problematica: la fonte energetica è illimitata! Tematiche ambientali, flusso di materia ed energia nei sistemi biologici e nei sistemi fisici. Gli organismi fotosintetici fanno diminuire l’entropia.

• inmatematica:unitàdimisura,grandezzederivate,rappresentazionigrafiche.• ineconomia:l’efficienzaenergeticaèrappresentatadallacapacitàdirenderemas-

simo il profitto partendo dalle risorse a disposizione. Dipende quindi dallo sfrut-tamento ottimale delle risorse nei processi produttivi. Riguardo al personale di un’azienda, la competenza e la prontezza nell’assolvere le proprie mansioni.

• nellemateriestorico-socialiegiuridiche:panoramicastoricadeipiùimportantiregimi energetici; quali fonti energetiche e quanta efficienza ai tempi della co-struzione delle piramidi egizie? E poi via via che tipo di sviluppo hanno permes-so le diverse fonti energetiche, e con quali conseguenze, in bene e in male? E la rivoluzione industriale, le miniere di carbone, il lavoro minorile, il taylorismo e il fordismo…, interdipendenza dei diritti umani; le istituzioni come ecosistemi; problemi giuridici nella produzione, trasporto, erogazione di energia, relazioni in-ternazionali e fonti energetiche.

• ineducazionefisica:comegestirelosforzocompiutodurantel’attivitàsportiva,perottenere buoni risultati senza sfiancare l’organismo? Non abbiamo trascurato le materie linguistico-letterarie: esse si pongono in rela-

zione con diversi aspetti del problema, dalla necessità della lingua inglese per capire terminologie, per adire a informazioni approfondite e attuali reperibili in Rete, fino alla ricca produzione letteraria in italiano e in altre lingue che “racconta”, attraverso vicende umane, la storia dell’energia, dai bambini lavoratori, dall’infanzia negata di Charles Dickens alle fatiche dei “vinti” di Giovanni Verga.

E potrebbe essere un interessante stimolo per i ragazzi prendere in considerazione anche un autore poco stimato, forse un po’ ingiustamente, dal punto di vista lettera-rio, ma ben noto per la fantasia vulcanica con cui narrò le avventure di Sandokan, del Corsaro Nero e di altri stupefacenti personaggi, trasferite poi con notevole successo in sceneggiati televisivi: Emilio Salgari (1862-1911). Questo autore “per ragazzi”, in Le meraviglie del 2000, un romanzo assai poco noto ma curiosamente profetico, oggi disponibile in Rete, narra di un futuro dominato e sostenuto dall’energia elettrica.

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Macchine volanti, treni portentosi, illuminazione a giorno, navi potenti che pos-sono affrontare immani burrasche e persino alzarsi in volo, città sottomarine tanto ben illuminate e climatizzate che vi possono vivere gli uomini, vi si coltivano piante e allevano animali, tutto si muove in uno straordinario campo di energia elettri-ca che avvolge il nostro pianeta. L’energia elettrica è generata nientemeno che dal radium, straordinario elemento appena scoperto (1898) da Maria e Pierre Curie. Naturalmente all’epoca di Salgari se ne ignora la pericolosità, però non del tutto, for-se, perché i visitatori che, con una macchina del tempo, arrivano dal passato, hanno non lievi problemi di adattamento al campo energetico. Ma quest’energia elettrica che tutto muove rappresenta una non indifferente profezia.

3 Organizzarsi: si può

Naturalmente i dipartimenti disciplinari, o comunque gruppi di insegnanti per ma-teria o per asse culturale, definiranno i saperi disciplinari fondamentali e necessari alla comprensione della tematica.

Il consiglio di classe da parte sua organizzerà unità di apprendimento, condivi-dendo le finalità e le competenze di cittadinanza previste dal percorso, individuando gli snodi tra le diverse discipline coinvolte, definendo eventuali collaborazioni sul territorio (es. esperti Enel, impiantisti, ecc.), eventuali visite a centrali elettriche, mu-sei dell’energia, parchi minerari, definendo i tempi e predisponendo una verifica di competenza trasversale: un’analisi multifocale della situazione energetica del momen-to, per esempio, che comporti il contattare enti di ricerca e società di produzione-erogazione-controllo; oppure un’analisi storica del problema che porti a un confronto con la situazione attuale e le prospettive per il futuro; o la predisposizione di un glos-sario che aiuti chi non sa a capire; o, ancora, un’analisi per così dire autobiografica dei comportamenti noti (propri, raccontati nel gruppo classe) relativamente al problema dell’efficienza energetica... o magari tutte queste cose insieme, e insieme con altre che la creatività di studenti e insegnanti non mancherà di suggerire.

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ConcorsoEconomia… Ti diamo noi una lezione!Promosso in collaborazione con

UniCredit

Per l’anno scolastico 2013/2014 l’Osservatorio Permanente Giovani-Editori, in collaborazione con UniCredit, partner fin dalla prima edizione, realizza la seconda edizione del Premio “Economia… Ti diamo noi una lezione!”. Al Premio possono aderire tutte le classi delle scuole secondarie superiori che par-tecipano all’iniziativa “Il Quotidiano in Classe”.

La finalità di questo Premio è quella di avvicinare la generazione dei più giovani ai temi economici di attualità per guidarla in un approccio più con-sapevole al domani, fornendo gli strumenti più idonei per comprendere la re-altà di oggi e realizzando un percorso a partire dalla quotidianità dei ragazzi.

L’avvicinamento ai temi dell’economia reale rappresenta ormai una tap-pa irrinunciabile nel percorso verso l’educazione alla cittadinanza e questo Premio vuole avvicinare i ragazzi in maniera più diretta e dinamica ai temi economici della società attuale.

UniCredit, in linea con la sua mission di contribuire allo sviluppo delle comunità in cui opera, individua nel sostegno all’educazione dei giovani, soprattutto in ambito economico, uno dei fondamenti primari per il loro sviluppo sostenibile e duraturo. Sostenere la crescita culturale delle giovani generazioni facilita il loro ingresso e la loro integrazione nella società, ren-dendole da un lato più consapevoli e dall’altro più liberi di individuare le loro inclinazioni.

Nel corso dell’anno i ragazzi e gli insegnanti leggeranno i quotidiani fo-calizzando l’attenzione su articoli riguardanti alcune tematiche economiche per approfondirle e discuterne in classe. Dopo la lettura critica e la selezione degli articoli utili ad esaminare le principali questioni economiche, dovran-

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no preparare una lezione speciale pensata per essere rivolta agli alunni delle quarte e quinte elementari.

Gli insegnati e gli studenti che parteciperanno a questo Premio avranno a disposizione, oltre alle testate previste nell’ambito del progetto “Il Quotidiano in Classe”, anche un costante supporto didattico on line, con materiali utili per accompagnarli nella loro attività.

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L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori insieme alla rivista scientifica Focus promuove per l’anno scolastico 2013/2014 la quarta edizione del con-corso “FOCUScuola: redazioni di classe”.

Il concorso consiste nell’elaborazione, da parte delle scuole aderenti, di un piccolo giornale di classe sul modello del mensile Focus. I lavori vincitori danno vita a un inserto speciale pubblicato all’interno del numero di Focus successivo alla cerimonia di premiazione del concorso.

Il progetto è nato dal comune obiettivo di preparare le nuove generazioni ad un rapporto maggiormente informato e consapevole con le tematiche legate alla cultura scientifica e ad un utilizzo migliore degli strumenti che i giovani hanno a loro disposizione, nella consapevolezza che anche con la promozione della cultura scientifica tra le giovani generazioni, si possa contribuire alla cre-scita del nostro Paese.

L’iniziativa si propone di stimolare i ragazzi a formarsi una propria opinione sui temi scientifici: opinioni fondate sull’informazione, senza preconcetti, e che possano ampliare il loro spettro di conoscenza, in modo che siano messi nella condizione di capire, di informarsi e di muoversi con maggiore sicurezza in ambito scientifico.

Gli studenti iscritti al concorso possono utilizzare gli strumenti, i quotidiani e le copie di Focus, che ricevono direttamente a scuola, nel corso dell’anno scolastico, sotto la guida dei loro insegnanti, per dedicarsi prima ad una fase di lettura, di comprensione e documentazione, e poi di produzione, lavoran-do in gruppo, passando infine a una fase di lavoro più dinamica, all’azione, o meglio, alla “redazione”, facendo interviste, reportage, documentandosi di

ConcorsoFOCUScuola: redazioni di classePromosso in collaborazione con

Focus

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persona: un’occasione anche per allacciare e approfondire i rapporti col proprio territorio.

Il progetto punta quindi a valorizzare il lavoro creativo, e costituisce anche un percorso di apprendimento che porti a sviluppare le capacità organizzative, di scrittura, di approfondimento, di analisi e di sintesi degli studenti coinvolti. Il lavoro collettivo darà anche l’opportunità ai ragazzi di confrontarsi tra loro, li porterà a rispettare gli altri e a cercare un punto d’incontro, a mediare per trovare soluzioni, costruendo le basi per imparare l’importanza del lavoro di gruppo.

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Fondazione Sicilia

L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori in collaborazione con la Fonda-zione Sicilia e La Gazzetta dello Sport realizza, per l’anno scolastico 2013/2014, la settima edizione del concorso “La Cultura dello Sport: imparare, pensare, vivere SportivaMente”. Questa cooperazione è nata con l’intento di contribuire ad avvicinare i giovani allo sport e ai suoi valori – i valori del gioco, della com-petizione e della squadra –attraverso una visione della pratica sportiva che ne metta in luce tutte le qualità e potenzialità, da quella ludica, a quella salutistica, fino a quella sociale ed educativa.

Uno dei punti forti del concorso è il coinvolgimento attivo degli studenti, insieme ai quali si può avviare, partendo dalla costante lettura dei quotidiani, un percorso che avvicini maggiormente il mondo della scuola e l’universo gio-vanile ai valori più autentici dello sport.

Questo progetto persegue quindi l’obiettivo di diffondere tra i giovani la cultura dello sport, aspetto fondamentale della formazione, e di far maturare una nuova consapevolezza sportiva ed etica, fondata sul rispetto reciproco e delle regole, sulla convivenza civile, sull’educazione alla vita e sull’accettazione della sconfitta.

Grazie a questa iniziativa, inoltre, è possibile guardare allo sport – e a tutto ciò che a questo universo è collegato – all’interno della macro-cornice rappre-sentata dall’educazione alla cittadinanza, poiché l’educazione ai valori sportivi si coniuga perfettamente con la condivisione dei valori sociali, con la consa-pevolezza di essere cittadini e quindi appartenenti ad una comunità, in cui è

ConcorsoLa cultura dello sport: imparare, pensare, vivere SportivaMentePromosso in collaborazione con la

Fondazione Sicilia e

La Gazzetta dello Sport

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possibile vivere attraverso il rispetto delle regole della convivenza. Il concorso peraltro, come ricordato dal Presidente della Fondazione, Giovanni Puglisi, «ha l’ulteriore merito di avvicinare i ragazzi alla lettura dei quotidiani, che vengono distribuiti nelle classi di numerosi istituti superiori di diverse regioni italiane, divenendo in questo modo utili strumenti di confronto e dialogo, non soltanto sugli argomenti riguardanti lo sport, ma anche sui principali temi di attualità, italiani e internazionali. Alla funzione ludica e a quella di educazione civica, se ne aggiunge dunque una terza, legata alla possibilità di approfondire le notizie lette sui quotidiani e collegare i temi dello sport e della cultura sportiva a un quadro più generale, favorito dalla consapevolezza dei principali accadimenti dell’Italia e del mondo».

La Gazzetta dello Sport

La collaborazione con il quotidiano La Gazzetta dello Sport nell’ambito del concorso “La Cultura dello Sport: imparare, pensare, vivere SportivaMente” ha permesso all’Osservatorio Permanente Giovani-Editori di avviare una nuova operazione culturale tesa ad introdurre, coerentemente con i propri valori, un modo per fornire a studenti e docenti uno strumento in più di approfondimen-to sul tema della cultura sportiva. La sinergia con il quotidiano sportivo più importante ed autorevole in Italia consolida il rapporto con il mondo giovanile, fornendo uno strumento didattico accattivante e utile affinché i giovani pos-sano aprire una nuova finestra sul mondo, comprendendo come le regole del gioco siano vicine a quelle della vita così da rispettarle sia in campo che fuori. I giovani comprenderanno come lo sport rappresenti un aspetto di fondamentale importanza nella formazione del cittadino e uno straordinario strumento di educazione alla vita, perché aggrega, coinvolge e appassiona, sviluppa valori in-dispensabili, condivisi e universali. I ragazzi potranno, infatti, apprendere dalle manifestazioni sportive valori positivi per la vita, quali il rispetto delle regole, l’abitudine alla disciplina e alla lealtà, la collaborazione reciproca, il lavoro di squadra, nonché l’educazione alla sconfitta. Lo sport potrà quindi essere letto attraverso molteplici punti di vista, come momento di crescita, di educazione alla salute e al benessere, come desiderio e spirito di confronto e come occasio-ne di festa. In questo processo educativo i docenti svolgeranno un ruolo fon-damentale per la riqualificazione della cultura sportiva, offrendo agli studenti l’occasione di vivere uno sport in modo gioioso, manifestando in modo sano il tifo e vivendo con lealtà l’agonismo.

Ai fini del concorso, i ragazzi lavoreranno in gruppo sul tema del fairplay al fine di realizzare un calendario del fairplay formato da testi e immagini frutto della loro meditazione critica sull’argomento e sull’importanza di tenere questi valori ben presenti ogni giorno. L’informazione, la riflessione e il confronto avranno un posto importante anche nell’edizione di quest’anno, dato che i ra-gazzi dovranno lavorare in gruppo e documentarsi prima di realizzare il proprio elaborato.

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L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori in collaborazione con L’Osservatore Romano realizza, per l’anno scolastico 2013/2014, la quarta edizione del con-corso “Valori in corso: stiamo lavorando per noi”.

I due soggetti hanno voluto promuovere questo concorso per offrire la con-creta opportunità di aprire in classe un’altra finestra sul mondo attraverso la lettura di una nuova testata e di impegnarsi in un dialogo e in un confronto tra docenti e studenti. Tale processo li porterà a parlare di crescita, di valori, di responsabilità, delle difficoltà che il percorso di maturazione comporta, ma anche delle sue bellezze, aiutando così i giovani a esprimere i propri sentimenti, i timori, e quindi rassicurandoli e aprendo prospettive.

Nel momento in cui il docente deciderà di aderire a questa iniziativa, si assumerà l’impegno di “aprire” una sorta di cantiere di idee in classe, con i suoi studenti; il cantiere servirà a lavorare con i ragazzi per aiutarli nel viaggio che dovranno intraprendere per costruire il loro futuro.

Gli strumenti per il lavoro in aula, saranno le copie dei quotidiani che le classi riceveranno; per questo i docenti che si iscriveranno al concorso, in aggiunta al-le testate già previste nell’ambito del progetto “Il Quotidiano in Classe”, avran-no a disposizione gratuitamente anche un’altra testata, L’Osservatore Romano. Leggendo le copie dei vari quotidiani, gli insegnanti potranno lavorare in classe con i loro studenti e approfondire gli articoli ritenuti più interessanti.

Lo scopo del cantiere è progettare con i ragazzi il viaggio per costruire il loro futuro, alla riscoperta dei valori importanti, e l’insegnante guiderà gli studenti e li aiuterà a preparare la loro borsavalori: un contenitore virtuale che ogni studente dovrà riempire con 5 articoli letti sui quotidiani e ritenuti particolar-

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ConcorsoValori in corso: stiamo lavorando per noiPromosso in collaborazione con

L’Osservatore Romano

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mente significativi e utili per questo viaggio; i cinque articoli che ogni studente porterà con sé dovranno aiutarlo nel personale percorso formativo teso a co-struire il proprio futuro.

Preparata la borsa, ogni studente sceglierà anche il suo compagno di viaggio ideale, perché un tragitto così importante è meglio farlo in compagnia; ogni studente dovrà quindi indicare la persona che vorrebbe come accompagnatore, con la quale affrontare il proprio cammino di crescita.

Sia gli articoli che il compagno di viaggio saranno scelti in assoluta libertà da ogni ragazzo, che poi sarà chiamato a preparare il proprio documento di viaggio: un testo attraverso il quale ognuno racconterà le ragioni delle personali scelte, come e perché ha individuato quei 5 articoli/valori, perché ha voluto portare con sé quel compagno di viaggio, quali sono le ragioni che lo hanno ispirato e come pensa che i valori e il compagno lo potranno aiutare nel percorso di vita che immagina di fare.

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L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori insieme alla Regione Toscana realizza per l’anno scolastico 2013/2014 la sesta edizione del concorso “Ambient’Amo – Percorsi di educazione ambientale”, riservato alle scuole to-scane partecipanti al progetto “Il Quotidiano in Classe”. Nell’ambito del con-corso i ragazzi si potranno occupare di diversi temi inerenti l’inquinamento e la vivibilità delle proprie città, quali la gestione dei rifiuti, il traffico, la viabilità, i progetti urbanistici d’impatto ambientale. Punti di contatto possono essere trovati anche tra ambiente, salute e campo artistico, valutando la qualità della vita in Toscana in ambito culturale e le possibili attività volte alla salvaguardia dei monumenti e dei beni artistici e paesaggistici presenti sul territorio.

Le classi coinvolte dovranno osservare il territorio che si trovano ad abitare, focalizzando l’attenzione sul tema Le forme dell’acqua. Rifletteranno su come le attività umane e la stessa vita siano da sempre legate a questo elemento, ap-profondendo quanto siano importanti la tutela e la salvaguardia del patrimonio idrico.

L’Osservatorio e la Regione Toscana hanno convenuto quanto sia impor-tante, in quest’ottica, che i giovani si sentano responsabilizzati e che siano chia-mati in prima persona, attraverso la partecipazione al concorso, a lasciare un proprio messaggio, che possa essere un monito per i coetanei, per i familiari, per le generazioni più giovani, per il mondo degli adulti, per le istituzioni. Un messaggio che dimostri il personale senso di appartenenza ad una comunità e la partecipazione attiva alla vita della società civile.

ConcorsoAmbient’AMO – Percorsi di educazione ambientalePromosso in collaborazione con

Regione Toscana

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