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67 Nel luglio del 1892 esce in Venosa, per i torchi della tipo- grafia di Ambrogio Cogliati, il «Quinto Orazio Flacco» 1 . La testata porta come sottotitolo “Periodico di letteratura, scienza, storia, arti e mestieri, agricoltura, cronaca e notizie politiche”, ed esce tre volte al mese; un numero costa 5 centesimi, l’abbonamento a domicilio 2 lire. Il giornale, tranne rare eccezioni, si presenta a quattro facciate, di quattro colonne, con un formato più o meno pari a cm. 35,5 x 42. La prima pagina è generalmente occupata dall’articolo di fondo che, a seconda delle situazioni politiche contingenti, riguarda questioni locali, nazionali o estere. La se- conda pagina è occupata dalle corrispondenze che affrontano questioni locali e municipali da Potenza, Melfi, Lavello, e da molti altri comuni della Basilicata e di altre regioni vicine. In terza vi è la rubrica Cronaca che si occupa dei fatti della città di Venosa: risse, furti, ferimenti, incendi, ecc.. In quarta, insieme alla pubblicità, compare la continuazione della cronaca, e poi sonetti, poemetti, varie. Viene lasciato ampio spazio alle lettere aperte, ai dibattiti tra cittadini o gruppi di essi; non mancano gli spazi per le critiche, i suggerimenti, le denunce da parte del giornale e degli stessi cit- tadini verso le autorità pubbliche. Non di rado compaiono firme prestigiose quali Fortunato, Bovio, Tangorra e altri. Il proprietario del giornale e della tipografia che lo stampa, nonché primo gerente responsabile, è un personaggio eclettico: tipografo, editore, scrittore, drammaturgo. Anche il periodico venosino sembra, almeno nei primi anni, alquanto eclettico, anzi “strabico”. Il Quinto Orazio Flacco (1892 - 1910) Michele Finizio 1. Tommaso Pedio data al 1891 la nascita del periodico. Si veda, T. PEDIO, La Basilicata negli ulti- mi cento anni, Venosa, Editrice Appia 2, 1994, p. 27.

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Nel luglio del 1892 esce in Venosa, per i torchi della tipo-grafia di Ambrogio Cogliati, il «Quinto Orazio Flacco»1. La testataporta come sottotitolo “Periodico di letteratura, scienza, storia,arti e mestieri, agricoltura, cronaca e notizie politiche”, ed escetre volte al mese; un numero costa 5 centesimi, l’abbonamento adomicilio 2 lire. Il giornale, tranne rare eccezioni, si presenta aquattro facciate, di quattro colonne, con un formato più o menopari a cm. 35,5 x 42. La prima pagina è generalmente occupatadall’articolo di fondo che, a seconda delle situazioni politichecontingenti, riguarda questioni locali, nazionali o estere. La se-conda pagina è occupata dalle corrispondenze che affrontanoquestioni locali e municipali da Potenza, Melfi, Lavello, e damolti altri comuni della Basilicata e di altre regioni vicine. Interza vi è la rubrica Cronaca che si occupa dei fatti della città diVenosa: risse, furti, ferimenti, incendi, ecc.. In quarta, insiemealla pubblicità, compare la continuazione della cronaca, e poisonetti, poemetti, varie.

Viene lasciato ampio spazio alle lettere aperte, ai dibattiti tracittadini o gruppi di essi; non mancano gli spazi per le critiche,i suggerimenti, le denunce da parte del giornale e degli stessi cit-tadini verso le autorità pubbliche. Non di rado compaiono firmeprestigiose quali Fortunato, Bovio, Tangorra e altri. Il proprietariodel giornale e della tipografia che lo stampa, nonché primo gerenteresponsabile, è un personaggio eclettico: tipografo, editore, scrittore,drammaturgo. Anche il periodico venosino sembra, almeno nei primianni, alquanto eclettico, anzi “strabico”.

Il Quinto Orazio Flacco (1892 - 1910)Michele Finizio

1. Tommaso Pedio data al 1891 la nascita del periodico. Si veda, T. PEDIO, La Basilicata negli ulti-mi cento anni, Venosa, Editrice Appia 2, 1994, p. 27.

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Con un occhio guarda alla cosiddetta imparzialità del giornale(spazio al contraddittorio), con l’altro osserva e sta bene attento alledinamiche del potere politico. In ogni caso rimane fedele, quasisempre, alle proprie convinzioni etiche e politiche. Antisocialista,ma attento ai bisogni e alle legittime aspirazioni dei ceti popolari;clericale, ma moderato e pronto a segnalare il prete che non fa ilsuo dovere; patriottico, ma critico severo della politica coloniale;attento ai progressi della società, ma fustigatore dei costumi e delleidee non in linea con la morale cattolica. Attento guardiano dellecose amministrative, ritiene che il suo mandato sia quello “di loda-re o di biasimare secondo che si fa bene o male”2. E’ un giornale chetallona gli abbonati quando non pagano, minaccia di pubblicare inomi degli inadempienti e passa a vie di fatto: “Gli individui sotto-notati, non avendo pagato il prezzo di abbonamento a questo perio-dico, saranno d’ora innanzi pubblicati in tutti i numeri, fino a chenon avranno soddisfatta l’amministrazione. Segue elenco3. Il«Quinto Orazio Flacco» appoggia l’amministrazione comunale, manon le risparmia critiche, suggerimenti, sollecitazioni. Fa notare chenella città non si può dare un passo senza correre il pericolo di esse-re morsicati dai molti cani vaganti e chiede l’intervento del sindaco4.E il sindaco non tarda ad intervenire. Sul numero 122 del 25 aprile1896 (a. IV), quindici giorni dopo la segnalazione, il giornale fasapere che: “Giustamente preoccupata l’amministrazione comunaleha emesso l’ordine di accalappiare, multando i proprietari, tutti queicani che d’ora innanzi vagassero per le strade senza museruola osenza essere tenuti al guinzaglio. Questo è quanto da noi si deside-rava e ne va data lode all’on. Amministrazione, in particolar modoall’Ill.mo Sig. Sindaco”. Una strada è mantenuta male? Il giornale nonsi attarda a farlo rilevare: “La strada che mena da S. Rocco a S. Mariaè diventata impraticabile. Pare impossibile che, invece del breccia-me minuto, il quale si assimila molto facilmente alla terra, si buttino

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2. Quinto Orazio Flacco, anno V, n. 131, 31 ottobre 1896.3. Idem, anno IV, n. 111, 31 dicembre 1895.4. Idem, anno IV, n. 121, 10 aprile 1896.

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7. Il “Quinto Orazio Flacco” (a. XVI, n.424).

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giù all’impazzata dei ciottoli grossissimi, perché rimangono a testi-monio della cattiva sorveglianza onde le autorità superiori badanoalla manutenzione delle strade”5. Al periodico non sfugge niente,tantomeno il cattivo funzionamento dell’orologio pubblico: “Perqualche giorno esso ha funzionato male, malissimo, tanto chequalche maestro ha dovuto, qualche volta, uscire di casa alla mat-tina una mezz’ora prima dell’orario. Preghiamo il Sig. Sindaco diprovvedere a che quella macchina, già abbastanza sconquassata,venga rimpiazzata da una nuova, la quale indichi l’ora vera allapopolazione (…)”6. E ancora, per la pulizia e l’illuminazione: “Tuttie due questi servizi pubblici, specialmente il primo, sono assai tra-scurati. Abbiamo ricevute molte lagnanze in proposito: ne faccia-mo una girata al sig. Sindaco, perché vi ponga riparo7”. Il «QuintoOrazio Flacco» è quindi, un punto di riferimento per i cittadini, unostrumento di dibattito, ma anche di denuncia. Le pagine del gior-nale sono il luogo in cui si affrontano in modo civile anche le que-stioni personali: per chiarire equivoci, per rispondere ad eventualicalunnie, per precisare fatti e circostanze che talvolta mettono in seriopericolo l’onore e la reputazione delle persone coinvolte: “Sig.Direttore, la prego pubblicare in una parte del suo accreditatoperiodico l’annessa dichiarazione che mi giunge dal Sig. GagliardiAvv. Michele Pretore di Forenza, in riparazione parziale del dannoarrecato, per l’accusa infondata rivoltami per la dispersione di unanello (…).” Segue la dichiarazione8. E ancora: “Signor Direttore,come parente non voglio rivolgermi alla giustizia, ma per nonlasciare del tutto impunito il fatto indecoroso, mi avvalgo dellapubblicità del Quinto Orazio Flacco. In casa di mio suocero, men-tre si stava bevendo un bicchiere di vino, entrò Rocco D’Andretta,si ricominciò a stare allegri, quando questi incominciò a dire qual-che parola a me allusiva, io risposi, ad un tratto mio cognato mi

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5. Idem, anno III, n. 89, 20 aprile 1895.6. Idem, anno IV, n. 115, 11 febbraio 1896.7. Ibidem.8. Idem, anno II, n. 61, 1 giugno 1894.

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diede uno schiaffo e coadiuvato dagli altri mi cacciarono di casa.Ecco i parenti della giornata. Al pubblico il giudizio del modo villanocome mi trattarono”9. A volerlo definire un giornalucolo di provinciaesclusivamente avviluppato nelle lotte intestine tra opposte fazioni,si rischia di esagerare fin troppo. Certo, non è estraneo alle lotteelettorali, anzi, se da un lato ne determina gli esiti, dall’altro nesubisce pesantemente le influenze. Ma è un foglio che contri-buisce a scrivere la storia della Basilicata dall’ultimo ministeroCrispi al decennio giolittiano; è un giornale che tiene testa condignità ai periodici più accreditati in Basilicata e nel Mezzo-giorno: nel 1902 avrà il primato dell’età su tutte le altre testatedella provincia, nel 1906 sarà il più anziano e il più diffusoperiodico della Basilicata. Vivrà fino al 1910 dopo aver supera-to, nel 1908, le duemila copie di tiratura. Il «Quinto Orazio Flacco»nasce su iniziativa del sacerdote Emanuele Virgilio, con il chiarointento di contrastare la propaganda socialista nella provincia.

“O si è cattolici o socialisti e non si può essere cattolici senzaessere antisocialisti”: questa la sintesi del documento conclusivo del1° Congresso cattolico regionale tenuto a Salerno nell’aprile del 190110.Il periodico venosino anticipa i tempi e pare essere fin dalla nascitafedele a questo “avvertimento”. Il socialismo è ormai una forza concui bisogna fare i conti, e il timore ch’esso provoca favorisce il ritornodi Crispi alla guida di quello che sarà il suo ultimo ministero11.

Nel socialismo italiano confluiscono anime diverse: quella dellagiustizia sociale di Garibaldi, il repubblicanesimo mazziniano, l’anar-chismo, il marxismo di Labriola, a cui bisogna aggiungere il “ribellis-mo” spontaneo dei contadini che crea disordini per la penisola damolto prima che qualche dottrina ne giustificasse i motivi e le azioni12.

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9. Idem, anno III, n. 80, 6 gennaio 1895.10. T. PEDIO, op. cit., p. 33.11. D. ADORNI, Francesco Crispi. Un progetto di governo, Leo S. Olschki Editore, Firenze, 1999.12. D. MAC SMITH, Storia d’Italia (1861-1968), Laterza, Bari, 1969.

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I contadini sono potenzialmente la classe più rivoluzionaria dellasocietà italiana, soprattutto nelle province meridionali dove cova, ea tratti brucia, la rabbia della miseria e della fame di questo sonoconsapevoli gli uomini del «Quinto Orazio Flacco»; “I socialisticonoscono la società borghese ch’essi combattono meglio dei capi-talisti che la difendono. E poiché questi ultimi non giungono a com-prendere la vera essenza del capitalismo, ecco ch’essi non possonoafferrare quella del socialismo. E non potranno prevalere neanche inavvenire per questo: che la società borghese non ammetterà mai cheil segreto del socialismo sta appunto nel capitalismo. È nel capitalismoche si difendono le radici della sua forza; è esso la fonte perenne, acui il socialismo attinge gli umori vitali”13. Dalla profonda disparitàtra chi ha i mezzi per vivere agiatamente e chi non ha il pane persfamarsi “risulta quella massa di antagonismi economici, sociali epolitici, che agiscono e si manifestano sotto le forme più svariate eche sono i veri agitatori, i quali turbano la pace sociale, o i quali,per dir meglio, impediscono che questa si avveri. È una sciocchez-za e null’altro incolpare il socialismo di averli creati, inaugurandocosì la guerra sociale. Il terreno, su cui questi antagonismi di classecrescono e crescendo si rafforzano, è la grande miseria, le impostetroppo gravose, che volere o no, cadono sempre su le classi deilavoratori (…). Si provveda e si provveda in tempo, se no, il socialismoprevaricherà, e quando si vorrà mettere un argine non ci sarà piùtempo”14. Nella loro ostilità contro il nuovo Stato borghese, questicontadini trovano piuttosto un alleato nella Chiesa, anziché negliintellettuali socialisti i quali si rivolgono a loro ancora in minimaparte. Il periodico venosino ha carte da giocare in questa situazione. Daun lato denuncia le condizioni di miseria in cui vive la maggioranzadella popolazione meridionale, dall’altro condanna e combatte senzaprender fiato il materialismo capitalistico, l’ateismo dei socialisti, lacorsa agli armamenti, gli sperperi, il mancato rispetto dei diritti

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13. Quinto Orazio Flacco, anno II, n. 60, 18 maggio 1894.14. Ibidem.

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costituzionali: si fa, in sostanza, portavoce di quella inquietudinesociale che caratterizza l’ultimo quinquennio del secolo XIX. “La col-lettività dei lavoratori giace nella estrema miseria, obbligata a lavo-rare continuamente, senza una giusta ed equa contribuzione, senza lasperanza di porre in risparmio un solo centesimo (…). Dalla falangedi tanti miserabili, sprovvisti di ogni mezzo finanziario, abbruttitidalla sferza d’inumani sfruttatori, corrotti dal materialismo invadente,che in essi ha distrutto ogni principio di religione e di morale,poiché è impossibile educare l’animo dei teneri bambini, le cuifacoltà intellettuali sono sciupate dalle necessarie occupazioni mate-riali per procacciarsi il quotidiano sostentamento (…). Si spendonoogni anno dei milioni per l’esercito, questa piovra che tutto assor-bisce per la chimerica tutela e la grandezza della nazione. L’altaburocrazia, coll’immensità degli adepti, mangia buona parte deltesoro (…) si spendono milioni per le campagne elettorali; insom-ma la continua sottrazione di somme dal pubblico erario costituiscelo eterno sbilancio, che immiserisce lo Stato mercè la imposizione dinuove tasse e balzelli (…). Affratelliamoci senza distinzione diclasse, procurando ai più miseri i mezzi pel miglioramento progres-sivo di ogni famiglia, su cui la grande società è costituita (…)15. Ilgiornale si muove agevolmente e con disinvoltura nel solco dellaRerum Novarum, sa quando è importante non lasciare al diavolotutti i buoni argomenti. Qualcuno è convinto che sono i clericali,più che i socialisti, ad incitare alla lotta di classe16. Con il governodel marchese di Rudinì, il problema delle agitazioni sociali si fapiù urgente, ma anche più difficile da affrontarsi. Nel 1897 il«Quinto Orazio Flacco» subisce il suo primo sequestro a causa diun articolo di fondo apparso sul n. 173 (a. VI) del 20 ottobre intitolato“Il sentimento nazionale”. L ’autore i ronizza sul le circolar iemanate dal governo contro i clericali, nell’ultima si parladi oltraggio e di offesa al sentimento nazionale.

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15. Idem, anno III, n. 80, 6 gennaio 1895.16. D. MAC SMITH, op. cit., p. 256.

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Questo sentimento nazionale, per il periodico venosino, non esi-ste, è scomparso, rappresenta solo una frase banale e vuota di senso(…). Davvero curioso questo sentimento nazionale! (…).L’espressione è imponente (…) ma per essere stata sfruttata sover-chio essa ora sa del banale, e, se non accende di santa indignazio-ne, non può non far contrarre le labbra ad un sarcastico sorriso (…).Se lo si vuol riporre nella potenza militare diplomatica, nonavremmo, invero, dove trovarlo (…). Se codesto sent imentopoi è r iposto nel l ’amministrazione della giustizia, o il caso quidiventa più serio, se non più doloroso! (…). Guai se vuolsi ricerca-re il sentimento nazionale nella pubblica moralità! (…). È addirittu-ra follia poi voler cercare il sentimento nazionale nelle industrie onelle ricchezze della nostra Italia (…). Che dire poi se volessimo unpò considerare qual conto hanno del sentimento nazionale quel-li che stanno a capo ed al governo della nazione? (…); baste-rebbe vederli nell’abuso inverecondo che fanno delle leggi e dellepubbliche libertà per tristemente considerare in quanto basso loco ècaduta l’Italia nostra (…)17”. Intanto si susseguono i tumulti, fino aitragici fatti di Milano. I moti milanesi vengono attribuiti, sulla basedi indizi molto discutibili, ad una congiura socialista. Turati vienecondannato a dodici anni di carcere, per una semplice imputazionedi propaganda socialista. Camere del lavoro, banche contadine eassociazioni filantropiche vengono sciolte, insieme a circa tremilaenti ed organizzazioni cattoliche. Il giornale milanese «Osservatorecattolico» viene soppresso e il suo direttore rinviato a giudiziodavanti a un tribunale militare18. Il «Quinto Orazio Flacco» già nelnovembre 1897 ha preso posizione circa le cause dei tumulti. Se laprende con i giornali che colgono l’occasione per fare la solita poli-tica partigiana, la guerra al di Rudinì, a Branca, a Luzzati; criticacoloro che per coprire il disavanzo trovano la via più facile: aumen-to delle imposte, qualche altra tassa e al pareggio si arriva, la patria

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17. Quinto Orazio Flacco, anno VI, n. 173, 20 ottobre 1897.18. D. MAC SMITH, op. cit., p. 288.

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è salva! Ma i problemi del paese sono ben altri. Per il periodicovenosino, nessuno comprende che l’avvenire della nazione nonconsiste nel solo pareggio del bilancio. La grandezza di uno statodipende dalla capacità che esso ha di dare impulso alle sue poten-zialità economiche e produttive. Ma in Italia, secondo il giornale,tutte quelle industrie che potrebbero produrre e che sarebbero fontedi ricchezza sono immiserite ed il più delle volte spente da balzellie da altri oneri. L’agricoltura, anziché essere incoraggiata e agevola-ta, viene trascurata, anzi è soggetta a pesanti tasse erariali e comu-nali; i terreni sono male coltivati, quando non rimangono incolti,perché l’emigrazione è continua ed i contadini, quando non cerca-no altrove un avvenire, diventano irrequieti e danno vita a tumulti19.Sulle sommosse che agitano la maggior parte delle province, il gior-nale prende una posizione estremamente moderata, e in chiave anti-socialista: “Una setta di sobillatori e di agitatori di popoli, che di ognicalamità sociale si fanno arma per la loro infame propaganda, hasconvolto le menti delle masse inconsapevoli ed incoscienti e,nascondendo se stessa, le ha spinte a quella brutalità che ebberoun’eco dolorosa in tutti quanti hanno sentimento d’Italiani e dipatrioti. Le utili riforme, secondo noi, non si hanno a domandare aigovernanti con la forza: le ribellioni, le sommosse e le rivolte nonhanno mai approdato ad alcun che di bene; perché fomentate dalvizio nel male, di cui le conseguenze gravissime più che sui veri col-pevoli, ricadranno un giorno sul capo innocente di poveri illusi(…)”20. Il periodico non solo evita di citare i fatti di Milano, ma igno-ra completamente le agitazioni che in Basilicata hanno anticipatoquel tragico epilogo, pur riferendo sui moti pugliesi. È evidente iltimore di vedere avanzare il socialismo in casa propria. Eppure, inBasilicata le agitazioni ci sono e fanno notizia. Ma il nostro giornaleè “convinto” del contrario. In un articolo apparso tra le colonne dellarubrica “cronaca”, in quarta pagina, con il titolo “Una meritata lode”,

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19. Quinto Orazio Flacco, anno VI, n. 176, 30 novembre 1897. 20. Idem, anno VI, n. 190, 22 maggio 1898.

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i lettori vengono informati che: “Il popolo lucano anche questa voltaha saputo mantenersi all’altezza del suo glorioso passato! Non unmotto, non il più che nemmeno disordine si è verificato in questigiorni nella nostra provincia. Sentiamo il dovere di tributare un sin-cero elogio alle Autorità cittadine (…) che hanno saputo escogitareogni mezzo atto a garantire l’ordine e la tranquillità. Infatti qui aVenosa, con la permanenza del plotone dell’81° Fanteria, con l’ac-quisto di una considerevole quantità di grano fatto dal Municipio,collo stabilire la vendita del pane a 30 cent. il chilog., corrispon-dendo il Comune la differenza ai panettieri, con l’ordinanza emessanei dì festivi di chiudere gli spacci di vino alle ore 13, con la distri-buzione dei sussidi ai poveri (…) ogni possibi le tema d’unbenché minimo disturbo è stato scongiurato, e la calma perfettaha regnato e regna in questa pacifica cittadinanza, cui non difettamai la devozione al Re ed il rispetto delle leggi”21. Passata la paura,a distanza di alcuni mesi, il giornale riprende la sua campagna cle-rico-sociale, ritornando sulle sommosse. Si dichiara d’accordo conDe Viti de Marco che, sul «Giornale degli economisti», occupandosidelle recenti sommosse, individua le origini degli ultimi moti rivolu-zionari non nella propaganda socialista, ma nel malessere economi-co. Ancora più in sintonia con il periodico venosino è la «Die neuezeit» che, parlando della questione sociale in Italia, individua nel-l’anticlericalismo la causa di tutti i mali, quella che rovina l’Italia nonsolo moralmente, ma anche economicamente, e sostiene che la con-fisca dell’asse ecclesiastico fu un errore politico e religioso oltre cheeconomico, poiché non giovò alla società né allo Stato, ma solo apochi borghesi22.

È questo il tasto su cui batte incessantemente il giornale: nellamancanza di ideale religioso o nell’impossibilità di conciliare la reli-gione con gli ordinamenti politici sta non poca parte della causa deimali italiani: “Fuori d’Italia la classe di governo difende nello stesso

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21. Ibidem.22. Idem, anno VII, n. 195, 31 agosto 1898.

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tempo la forma sociale presente e la religione. Sono due cose chespesso si compenetrano. La religione dà uno spirito di rassegnazio-ne e di tolleranza a chi è in giù; e nello stesso tempo è una normadi bene per chi è in alto. Nei paesi dove le lotte operaie sono moltovivaci, la religione contribuisce non poco ad attutire gli attriti.Il popolo ha bisogno di credere in qualche cosa: chi non crede aduna religione dell’aldilà, ha la sua religione quaggiù. Crederà alme-no che l’ingiustizia dovrà scomparire. Chi non crede all’una cosa oall’altra è un infelice o un perverso”23. Nel circondario e a Venosasorgono circoli socialisti, le leghe di miglioramento, e per la primavolta presentano un loro candidato per il consiglio provinciale.Questo fatto, secondo il giornale che pubblica un fondo nel nume-ro 294 del 16 ottobre 1902 intitolato “L’ora presente e l’avvenire”, èil primo grido di ribellione, la prima sfida che i lavoratori, fino adora sempre sottomessi, lanciano alla classe borghese. L’autore delfondo, Sabino Acquaviva, è convinto che ormai i lavoratori hannopreso coscienza, sanno quello che vogliono e mirano non soltantoalla conquista del miglioramento economico, ma a quello dei pub-blici poteri. Il fenomeno, a parere dell’autore, è sorto in maniera sub-itanea, ma non deve lasciare indifferenti, anzi deve preoccupare.Allora occorre chiedersi cosa vogliono i lavoratori, ed è a questadomanda che bisogna rispondere. “(…) Senza preoccuparci affattodel fine ultimo dei socialisti, il collettivismo della proprietà e dei mezzidi produzione e di lavoro, utopia splendida, ma sempre utopia, il loroscopo prossimo, immediato, tangibile, è il miglioramento delle condi-zioni economiche del proletariato. Ciò affermando intendo parlaredella gran massa dei socialisti, degli umili gregari, non dei capi e degliagitatori, buona parte dei quali, se non quasi tutti, si sono fatti apo-stoli del nuovo verbo o per ambizione o per interessi personali e loca-li, e, per fini molto lontani da quello supremo del socialismo,snaturano una semplice quistione economica, in politica (…) il fineprossimo del socialismo è il miglioramento economico del proletaria-

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23. Idem, anno VII, n. 196, 17 settembre 1898.

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to con una più equa distribuzione della ricchezza, un più giusto com-penso al lavoro, conseguibile mediante abolizione di tasse, razionaleapplicazione delle medesime, ed eliminazione di tutte quelle formedi sfruttamento le quali danno al capitale un troppo facile e lautoguadagno a detrimento della mano di opera. Messa così nei suoi veritermini la quistione, (…) è evidente che non occorra essere sociali-sta per riconoscere quanto sia giusto ciò che essi chiedono, e comeil più arrabbiato retrogrado, sol che sia uomo di cuore e di intellet-to possa, oggi, accettare buona parte del loro programma (…).

I popoli, (…) reclamano ad alta voce e dai governi e dalle clas-si agiate una vita migliore, corrispondente ai tempi nuovi. Volersiostinare a non ascoltare questa voce vuol dire correre al baratro: otrasformarsi o perire, ecco il dilemma”24. L’autore si dice convintoche in nessuna altra parte del mondo civile, come in Italia, il socia-lismo ha trovato un terreno così favorevole al suo sviluppo. In Italiala sperequazione della ricchezza è più profonda che altrove, il siste-ma tributario più vessatorio, la vita pubblica più inquinata di pre-potenze, ingiustizie, corruzione, ruberie. È ovvio perciò, che gli ita-liani, appena risorti a vita politica e conosciuta la libertà dopo secolidi servitù, non sanno fare uso della libertà. Però, aggiunge: “Io, anzi,sono convinto ed affermo, e non credo ingannarmi, che tutti dob-biamo essere grati al socialismo, perché richiamando da una parte egoverno e classi dirigenti all’osservanza dei loro doveri, e dando dal-l’altra un’educazione politica alle masse, varrà a stabilire l’ordinemorale nella vita pubblica, ad estirpare le disuguaglianze, le anghe-rie, le forme di sfruttamento che ancora rimangono del medio evo,ad eliminare il conflitto tra capitale e lavoro (…). Perché temere l’or-ganizzazione dei lavoratori? (…). Il socialismo in Italia, l’ho già dettopiù sopra, non è quistione politica che per i soli capi, per gli agita-tori (…): per gli altri, e cioè per tutta la gran massa dei sofferenti edei derelitti, è quistione puramente, semplicemente economica. (…)Ma continui un governo liberale nella via delle sagge riforme, si per-

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24. Idem, anno XI, n. 294, 16 ottobre 1902.

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suadano le classi agiate a non negare al proletariato quella giustiziache le spetta e lo spettro del Socialismo diliguerà e la nostra formadi reggimento politico non avrà nulla da temere”25.

Se non fosse per le conclusioni, che ristabiliscono un certo equi-librio moderato, il contenuto dell’articolo sarebbe apparso tropporivoluzionario per un giornale che di fatto, pur non negando spazioai pensieri più vari, è clericale e antisocialista. Ma lo scritto ha co-munque destato perplessità e timori, tant’è che in coda alla colonnaappare una nota con la quale la redazione informa che l’articolo èstato pubblicato per deferenza allo scrittore e per l’importanza del-l’argomento e che, in ogni caso, si riserva di esprimere un giudizio:giudizio che non compare sui numeri successivi del giornale. Il veronodo, per i cattolici della Rerum Novarum, è quello della moralitàdella vita pubblica e della lotta alla miseria. Sull’argomento il gior-nale venosino spende decine di colonne, poiché è questo il terrenosul quale, ritiene, si possa davvero contrastare il socialismo. In tuttoil circondario, il «Quinto Orazio Flacco» è l’unico giornale di peso acui si appoggiano gli antisocialisti e con cui questi si difendono dagliattacchi de «Il lavoratore» di Melfi. A livello locale lo scontro prendeun’altra piega. Il socialismo, più spesso, è il velo dietro il quale sinascondono gli interessi di un ceto piccolo e medio borghese diassalto; l’antisocialismo è il velo che cela altri interessi di altrettantisignori imparentati, o amici, con il clero locale. Qui la battaglia si faaspra e meno nobile: non vi è contrasto ideologico, ma di interessi.In ogni caso, il giornale venosino, pur mantenendo fede ai suoi prin-cipi cattolici e antisocialisti, pur rimanendo sempre un solido avam-posto a difesa degli interessi clericali, conduce battaglie molto popo-lari (la quotizzazione26 delle terre demaniali, la costruzione delle stra-de, la creazione della cassa rurale) e di civiltà (il miglioramento dellanettezza urbana e dell’igiene, raccolta di fondi per i diseredati,migliori condizioni di vita per gli ospiti dell’orfanotrofio).

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25. Ibidem.26. Quotizzazione è il termine usato dal giornale, ma anche dagli autori che si occupano di questevicende, per indicare le operazioni di divisione in quote dei demani comunali e di assegnazionedelle stesse, tramite procedure codificate, a determinate categorie di contadini. Si trattava diproprietà incamerate dalla soppressione degli ex corpi feudali ed ecclesiastici.

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Il problema del Mezzogiorno è sì legato alle condizioni eco-nomiche e di miseria, ma ciò che più preoccupa il giornale sono glieffetti che queste condizioni provocano nel popolo: l’abbrutimentodei costumi, gli istinti feroci, l’incoraggiamento del vizio27.

Certo è che la situazione delle province meridionali non lasciascampo alla retorica, e un giornale locale più di ogni altro discorsoriesce meglio a descrivere le condizioni di questo territorio. “Lanostra regione, a torto trascurata ne’ suoi interessi, sia poi l’indiffe-renza dei grandi proprietari, che deturpano la loro esistenza nell’o-zio lascivo delle grandi città, sia per le estranie brame de’ capitalisti,che rivolgono altrove le loro ingordigie, sia, infine, per l’incuria e l’i-nerzia ingrata de’ governanti, nella nostra regione, ripeto, l’uomo ela terra stanno in rapporto pressoché indiretti; l’uno non conoscel’altra, e la feracità di questa viene continuamente ed insistentemen-te smentita dalle amare espressioni di sconforto di quello; che nellacrisi terribile, imperversante intorno a lui, vede non in sé, non nel-l’abbandono delle terre incoltivate, ma semplicemente nell’organi-smo della società, e nella vessazione fiscale, elevata a sistema, lacausa prima della sua miseria e della sua rovina”28. Così scriveVincenzo Plastino in un lungo saggio critico “Su le condizioni pre-senti e l’avvenire agricolo della Basilicata” pubblicato sul periodicovenosino del 31 dicembre 1899. Plastino insisterà molto sulla neces-sità dell’istruzione e dell’educazione senza le quali non vi può esse-re riscatto della Basilicata e sviluppo del Mezzogiorno. Non vi èmiseria strutturale, non vi è un’agricoltura povera per natura: è per-ché si lavora senza fede, per l’incuria degli agricoltori che si abban-donano alla speranza del tempo e della spontanea offerta del terre-no, che l’agricoltura versa in condizioni miserevoli. Soprattutto, lacausa sta nel mancato utilizzo delle scienze agrarie, nella carenza diistruzione. Questo è il pensiero di Vincenzo Plastino, compaesanodi Giustino Fortunato. Un pensiero molto lontano da quello che èstato definito il “mito fortunatiano” della miseria del Mezzogiorno.

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27. Quinto Orazio Flacco, anno XI, n. 259, 30 novembre 1900.28. Idem, anno VIII, n. 227, 31 dicembre 1899.

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Dopo l’Unità, i ricchi proprietari terrieri temono due cosesoprattutto: la questione demaniale e l’imposizione fiscale. E l’impo-sta dovuta dai proprietari si desume dalla rendita della terra: altarendita, alta imposta. Perciò bisogna lasciar credere che le loro terrerendono pochissimo, anzi nulla. E Giustino Fortunato si fa sosteni-tore di questa tesi: le terre rendono poco per la natura del suolo, perl’instabilità del clima, per la malaria: non si può pretendere più ditanto dai proprietari. Occorre quindi promuovere i lavori pubblici,poiché l’agricoltura, per cause naturali, è già spremuta29. Questa tesi,accettata dal governo, causerà molti danni al Mezzogiorno. Il gover-no usa la tesi fortunatiana per giustificare il suo disinteresse verso iproblemi delle province meridionali. Sembra strano, ma è vero: ungiornale clerico-moderato, quale il «Quinto Orazio Flacco», affrontala questione su basi opposte alle tesi di Fortunato, anzi si pone inun solco di analisi e di proposta molto avanzato. Il Fortunato è con-trario alla quotizzazione delle terre demaniali, il periodico venosinoconduce una battaglia per la quotizzazione. Per Giustino Fortunatol’unica soluzione per sollevare le popolazioni lucane dalle miserecondizioni in cui sono costrette a vivere è l’emigrazione, per il gior-nale l’emigrazione è una piaga da sconfiggere. “Se voi vi decidetead emigrare con tutta la famiglia per sempre e a farvi americano, iocredo che laggiù potreste sperare di lasciare agiati, i vostri figliuo-li…E’ così ingrata la vita italiana, è così dura la nostra patria per isuoi figli!”30. Così si rivolge Giustino Fortunato, nell’ottobre del 1885,ad un maestro elementare del suo paese. Così, invece, scrive ilperiodico venosino in un articolo di fondo intitolato “l’emigrazione”:“Io non ho presente la statistica degli emigrati della nostra città, manoto con rincrescimento che la cifra deve essere abbastanza alta(…). Lo stesso, e ci fa pena rilevarlo, succede nelle città vicine (…).Quali le cause di tutto ciò? Esse sono non poche (…). Quello che cirincresce è che il governo, mentre costituisce una commissione per

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29. T. PEDIO, op. cit., pp. 16 s.30. Idem, p. 17.

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studiare le ragioni che hanno portato una diminuzione dell’entratedel giuoco del lotto, tralascia lo studio degli argomenti più necessa-ri e più imperiosi. Domando io, era davvero utile chiamare a Romauna schiera di Commendatori per indagare le ragioni per cui ilpopolo italiano non giuoca più al lotto? Ma, buon Dio, queste sonocose che le sanno anche gli idioti. Non si giuoca perché la miseriaè invadente e minaccia di gettare in precipizio tutti indistintamente(…). Il nostro contadino, spera di trovare altrove la terra dell’oro.Poveretto come s’inganna!”31. Nelle Americhe, secondo il giornale, icontadini partono con la lusinga di fare fortuna, ma trovano una vitadi fame e di stenti. Ancora Vincenzo Plastino, nel suo saggio critico,individua una delle vere piaghe della miseria lucana: l’individuali-smo, l’egoismo, che noi oggi possiamo definire “familismoamorale”. Quello spirito di individualismo spiccato, che è propriodel carattere delle nostre popolazioni che “le rende così renitenti,così ribelli al principio di associazione, che riescono inutili o per lomeno poco efficaci, i consorzi, che qua e là tentano di stabilirvisi, diqualunque genere essi siano”32. Non è l’apatia che assopisce l’uomo“ma un senso vivo ed innato di egoismo, che lo rende sospettosode’ propri simili, geloso delle sue prerogative e de’ suoi interessi, cuicrede tutti vorrebbero attentare. E ancora: (…) Se, come abbiamofatto notare, lo spirito di associazione non è nell’animo del popolomeridionale, gli uomini di buona volontà e di sano intelletto, vi deb-bono saggiamente provvedere”33. Altro che richieste di opere pub-bliche e di sussidi. Il periodico venosino affronta la questione dauna prospettiva molto più moderna ed avanzata della scuola meridio-nalista fortunatiana. E non risparmia, nell’analisi critica, i proprietariterrieri, che sono bravi solo a conoscere la produttività delle terredalla rendita che ne ricavano, e si occupano soltanto della possibi-lità di conciliare le esigenze dei contratti agrari con quelle di un oziodispendioso. Si ritirano nelle città e lasciano che altri, i loro fedeli

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31. Quinto Orazio Flacco, anno V, n. 133, 23 agosto 1896.32. Idem, anno VIII, n. 223, 16 gennaio 1900.33. Ibidem.

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amministratori, si scaglino con la loro avidità corruttrice di sfruttato-ri contro la miseria paziente dei poveri contadini. Sulla necessità dicooperare e di associarsi, di fare ciò che da sé si può fare, il gior-nale insiste molto. Le denunce del giornale per attirare l’interessedelle pubbliche autorità sui problemi della Basilicata, sono insisten-ti, ogni occasione è buona, anche l’arrivo dell’inverno: “Ed ogniinverno che ci s’accosti, è una terribile minaccia per il povero pro-prietario e per ogni onesto cittadino, nelle deserte nostre contrade:dappertutto visi sparuti e contratti dalla fame, mani scarne che vi sitendono con insistenza petulante e spesso pretenzioni occulte edostilità palesi a mano armata. (…): entriamo, sia pure per un momen-to, nella dimora di un nostro contadino, in uno di quei luridi abitu-ri, senz’aria e senza luce: ecco, in questo ambiente putrido e malsa-no egli vive e s’agita, in quest’aria appestata dal puzzo del maiale e dialtri bestiami, che convivono nel medesimo tugurio, tra quattro muraaffumicate e nere; con un giaciglio, i cui panni non sentono l’acquache una volta l’anno, se pure; con una panca usa ad ogni ufficio;con uno scanno, cui manca un piede; (…) e con la miseria continuache non gli permette mai nella pentola degli eterni legumi, un pezzodi carne”34. E’ un quadro chiaro e molto realista. E’ vero, quando arri-va l’inverno è peggio che andar di notte. Nel febbraio del 1901, aVenosa, una abbondante nevicata fa precipitare la situazione. Il«Quinto Orazio Flacco» parla di uno spettacolo umiliante: un eserci-to di mendicanti prende d’assalto le strade cittadine, per chiedereelemosina. Il Comune delibera d’urgenza lo stanziamento di1.500 lire per soccorrere, mediante la distribuzione di pane,tutti coloro che sono rimasti privi di qualsiasi mezzo di sussistenza.Si costituisce una commissione di cittadini che, oltre a curare ladistribuzione dei soccorsi, promuove una raccolta di fondi per farfronte alle esigenze più immediate. Nel frattempo il Sindaco faappello al governo e all’on. Fortunato, ai venosini residenti fuoricittà, chiedendo il loro concorso. Il governo manda 600 lire, l’on.

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34. Idem, anno IX, n. 249, 30 novembre 1900.

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Fortunato 100 lire, in tutto vengono raccolte 3.000 lire che vengonousate per l’acquisto di pane. Non sembra vero, ma per far fronte aduna nevicata c’è bisogno di una colletta, alla quale lo Stato parteci-pa alla pari degli altri cittadini. Il giornale venosino approfittadella circostanza per scagliarsi contro il governo e la politicadi spesa e fiscale: “Ebbene, innanzi a questo spettacolo universaledi disagio e di miseria, credete che vi sia uno solo del Governod’Italia che vi pensi e vi porti un aiuto efficace? Oibò, quella gentelì, ha troppe serie brighe a contendersi un ministero qualunque! e nonpuò pensare a tanta miseria! Lo Zanardelli, è vero, pare che si sia unpochino commosso ed ha radunato i suoi colleghi a consiglio.Ebbene, sapete voi, quale pratico risultato ha avuto l’alta adunan-za?…Il Ministro Morin della Marina piange amare lagrime per le con-dizioni in cui versano gli operai di Napoli; ma queste mentite lacrimefurono un capzioso esordio, poiché egli finì per assicurarsi l’aiuto deicolleghi a votare alla Camera i 35 milioni per le spese militari straor-dinarie, promettendo poscia lavoro agli operai di Napoli!…(…). IlGiolitti si commosse proprio per le nostre regioni, e propose l’eroicoprovvedimento di 35.000 lire di elemosina!…E sì che i contribuentipossono rallegrarsi, pagheranno, è vero, 35 milioni di spese straordi-narie, ma hanno avuti il sollievo di quella eroica elemosina!…35. Laquestione lucana suscita ormai vivo interesse nella pubblica opinio-ne. Nell’agosto del 1902 si diffonde la notizia che Zanardelli avrebbevisitato la Basilicata. “Sia ben venuto tra noi” - scrive il giornale veno-sino - “le nostre popolazioni vivono ancora nella più umiliante schiavi-tù, nella più vergognosa ignoranza, nel più selvaggio abbrutimento.Soggette a padroni vecchi e nuovi, a padroni d’ogni specie che leopprimono in ogni modo; (…) La scuola non esiste ancora presso dinoi. Nel concetto dei più essa non è il primo, il più alto ufficio delcomune (…) Non esiste la scuola; e dove c’è, è guardata con viso arci-gno, è avvilita, isolata confinata in luridi tuguri, non curata da nessu-no, avversata dai nemici della istruzione (…). E non vi essendo la

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35. Idem, anno IX, n. 255, 38 febbraio 1901.

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scuola, non vi è nemmeno la fonte delle risorse economiche; l’agri-coltura, l’industria, le arti”36. Dal 15 al 30 settembre 1902 la Basilicatasi accorge finalmente che il governo mostra di prendere sul serio lesue condizioni. Zanardelli è a Venosa il 26 settembre. Il periodicovenosino dedica ampio spazio a questa visita, riporta il resocontocompleto della giornata, gli spostamenti, i brindisi, le persone con lequali il presidente si ferma a colloquio. Questo “viaggio dello Stato”in Basilicata suscita molte speranze, ma anche dubbi. Il «QuintoOrazio Flacco» non è convinto che il problema del Mezzogiorno siaseriamente entrato nella coscienza nazionale, anche se, ammette,passi avanti se ne sono fatti. Nemmeno esprime ottimismo sul fattoche qualcosa, subito, comincerà a muoversi. Non si fida, assiste aldibattito tra i vari Sonnino e Balenano, teme che tutti i discorsi, gliimpegni assunti, siano parte del gioco finalizzato ai tornaconti elet-torali. E non sbaglia. Nel marzo del 1904 viene varata la legge spe-ciale sulla Basilicata che solo dopo alcuni anni comincerà a produrrei primi, deboli, segnali di cambiamento. Ma il giornale, seguirà sem-pre con interesse gli sviluppi della legge, e non mancherà di denun-ciarne abusi e anomalie. Come nel maggio del 1908 quando, rilevan-do un articolo da «Italia reale» di Torino, denuncia una calata da Norda Sud di schiere di braccianti che “armate di badili, di vanghe, dizappe, di picconi, le schiere organizzate nelle pianure emiliane tra-verseranno diversi valichi dell’Appennino e poi spingendosi perl’Abruzzo entreranno nella Basilicata. Che cosa vi andranno a fare? Ilavori delle bonifiche secondo quanto fu promesso nella cosiddettalegge di favore di Zanardelli per la Basilicata. Ma non vi sono mano-vali e terrazzieri in quella regione? Si, vi sono; ma certi noti fratellihanno pensato che, essendo stata scoperta dal bresciano Zanardellila Basilicata, la quale prima non era conosciuta che dal fisco, spettadi pien diritto a loro lo sfruttamento delle leggi da lui proposte”37.

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36. Idem, anno XI, n. 291, 30 agosto 1902.37. Idem, anno XVI, n. 423, 7 maggio 1908.

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L’occasione serve, anche, per fare propaganda politica antisocia-lista e antirepubblicana. Infatti, l’articolo prosegue: “Tra gli emilianie romagnoli è il fior fiore dei mazziniani e dei socialisti; essi hannogià saputo imporsi per anni ed anni al Governo reclamando lavoridi bonifica nella loro regione, ancorché non fossero di assolutanecessità né di generale utilità”38.

Il «Quinto Orazio Flacco» è diventato, nel tempo di un lustro, ungiornale di respiro regionale. Il 31 ottobre 1896 diventa “periodicodella Basilicata”.

Può contare su abbonati sparsi per la penisola, su corrisponden-ti da ogni parte della regione e da altre città del Paese. Sa di far partedi quella schiera di giornali cattolici che svolgono una funzione alservizio della Chiesa. Non può, quindi, limitarsi alle questionimunicipali: deve guardare oltre. I temi ricorrenti in prima pagina,tranne che nei periodi di contese elettorali, riguardano questioni d’in-teresse generale; l’insegnamento religioso nella scuola, la funzionedella famiglia, la politica nazionale, il socialismo e l’anticlericalismo,la politica estera e coloniale, l’emigrazione, la questione morale. Ilgiornale, naturalmente, è molto interessato ai problemi della scuolae dell’istruzione. Guarda al modello tedesco di educazione nazio-nale, spinge per l’insegnamento religioso, attacca il modello laico, ese la prende con i socialisti e con i repubblicani, considerati i veriavversari in questo delicato campo di battaglia. Nel programmarepubblicano, scritto dall’on. Bovio nel 1897, si fa esplicito riferi-mento alle pubbliche libertà, alla libertà di stampa, alla scuo-la laica, quali strumenti di radicale riforma della società italiana.Il «Quinto Orazio Flacco» con un fondo apparso sul numero del 20maggio 1897, si dice d’accordo sulle questioni riguardanti le pub-bliche libertà, non crede ad una funzione rigeneratrice della stampache, difficilmente si potrà liberare dalla faziosità e dagli altri vizi, eattacca la scuola laica che non potrà mai distruggere l’egoismoradice di ogni male.

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38. Ibidem.

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“L’altro mezzo di salute sarebbe la scuola laica, quanto dire, atea!(…); ma tanto per toccare con mano i frutti che produce una taleeducazione, riporto alcuni appunti statistici. (…) In Inghilterra ilmigliore regolamento delle scuole diede frutti salutari. Dal 1870 al1894 la media dei giovani processati si restrinse dai 14000 a 5000. InFrancia, invece le leggi della istruzione obbligatoria, gratuita e laica,coincidono con un crescimento enorme di criminalità nei minorenni.

A Parigi, dice il Fouillèe, sopra 100 bambini processati, appena 2vengono da scuole religiose. I repubblicani, adunque, con la stam-pa libera e con la scuola laica, giammai potranno distruggere l’egois-mo”39. L’insegnamento della religione nelle scuole del regno è l’o-biettivo della Chiesa e, quindi, del periodico venosino. Non si trattasolo di una questione religiosa, probabilmente la soluzione del pro-blema è di vitale importanza per il basso clero che non naviga inbuone acque: “L’insegnamento religioso deve essere dato dal mini-stro del culto”40. Il giornale nel luglio del 1897 riferisce sulla discus-sione che la Camera ha dedicato all’argomento. Critica il comporta-mento del marchese di Rudinì e del ministro della Pubblica IstruzioneGianturco i quali, a parere del periodico, non hanno il coraggio dirisolvere seriamente e nella maniera giusta la questione. Plaude, inve-ce, all’on. Momenti il quale affronta il problema spogliandolo da pre-concetti politici e dimostrando che l’insegnamento della religionenon mette in discussione “Roma intangibile” e l’Unità della patria41.Ma il giornale non si limita a riferire, a discutere, ad affrontare dibat-titi, esso agisce, milita. Nell’ottobre del 1897 promuove una petizio-ne popolare per l’insegnamento della dottrina cristiana (cattolica)nelle scuole della città. La petizione è rivolta al sindaco e ai consi-glieri comunali: “Ma dobbiamo purtroppo confessare con rammaricoche nulla finora si è fatto perché nelle scuole venisse insegnata ainostri figliuoli un’educazione conforme ai principi religiosi, nei quali

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39. Idem, anno V, n. 158, 20 maggio 1897.40. Idem, anno V, n. 163, 10 luglio 1897. 41. Ibidem.

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vogliamo assolutamente essi vengano istruiti. (…). Sentiamo il sacrodovere di gridare che non vengano ai nostri bimbi rubati nelle scuo-le quei sentimenti di purezza, che la mamma è venuto loro educan-do fra un bacio e l’altro nel cuore: è nostro dovere di pretendere, chequel sentimento venga nelle scuole fecondato, coltivato (…). Non èpoi da impensierirsi per tale insegnamento: si rivolgano al nostroVescovo, si mettano d’accordo con esso (…). E’ questa la nostravolontà che voi non potete né dovete disprezzare!”42.

Seguono centinaia di firme. Molti ecclesiastici, col passare deltempo, si convincono sempre più che la politica di non collabo-razione seguita dalla Chiesa dal 1870 in poi non ha ottenuto alcunrisultato, anzi ha solo arrecato danni ai conservatori. La collabo-razione, nei primi anni del nuovo secolo, è ormai necessaria. Sisente il bisogno di un ingresso dei cattolici in parlamento persostenere le posizioni della Chiesa sul matrimonio e l’istruzione pub-blica, soprattutto quando circolano voci su eventuali progetti dilegge per il divorzio43. Nel febbraio del 1902 il Re, già accusato diateismo, annuncia un altro dei progetti di legge di Zanardelli per ildivorzio. Il «Quinto Orazio Flacco» già nel gennaio dello stesso anno,aveva preso posizione: “Gravissimo è l’errore della maggior partedei divorzisti, di far discendere i rapporti della famiglia a livello deirapporti contrattuali. (…). La famiglia in sé è la più eccellente delle isti-tuzioni, è il più fecondo connubio dell’individuo con l’umanità. (…). Sein ossequio al principio della libertà e degli interessi individuali si dessea tutti la piena facoltà di dissolvere i rapporti della famiglia, nederiverebbe il più grande e pericoloso sovvertimento morale e sociale”44.

Anche sulle leggi liberticide del di Rudinì, e poi del Pelloux, il gior-nale prende posizione, scagliandosi contro la politica governativa econtro le modifiche dello Statuto. “(…) Curioso questo Governod’Italia, per calmare l’ammalato ha trovato uno specifico davveroinsuperabile (…) il rimedio è facile. Mettiamo a questo gran malato

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42. Ibidem.43. D. MAC SMITH, op. cit., p. 336.44. Quinto Orazio Flacco, anno X, n. 277, 31 gennaio 1902.

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che è l’Italia, mettiamole il bavaglio!…Le leggi sulla stampa il mera-viglioso specifico!…Bisogna soffrire e zittire, ché così si staràbene!”45. Il giornale venosino non risparmia inchiostro per questabattaglia, anche perché con i nuovi provvedimenti i vescovi e i par-roci beneficiati possono essere privati dei benefici temporali perragioni che il periodico definisce “puramente politiche”. Il giornaledefinirà Pelloux, “il poco valoroso generale”46.

Il «Quinto Orazio Flacco» conduce sin dall’inizio una assiduacampagna contro la guerra, la corsa agli armamenti e di denunciadelle condizione degli emigrati.

Il fenomeno migratorio verso il Brasile viene definito “la trattadei bianchi”. In un fondo del maggio 1901, che richiama uno scrit-to di Giorgio Molli, il giornale cerca di convincere gli italiani a nonfarsi troppe facili illusioni: “(…) il disagio del viaggio è passeggero,ben altro attende l’emigrante dopo lo sbarco, e la serie dei suoi malisi aggraverà finché logoro, esausto, finirà come una bestia da lavo-ro che non costa nulla, ed il suo cadavere sarà buttato in un carnaio,senza bara, senza preci e magari, in un lembo di bosco, neppure interra consacrata!”47. Ancora sull’emigrazione in Brasile, qualche annodopo, scrive: “(…) sono a migliaia quelli che emigrano senza spe-ranza di ritorno! Essi seguono stoltamente un chimerico miraggio,senza sapere nulla dell’ignoto cui vanno incontro, fuori che inco-scienti, senza volontà, spinti da una forza misteriosa, attratti da quel-la strana terra (…). Molti sono imbevuti di false idee leggendariesulle ricchezze delle Americhe, la incredibile fertilità della terra, maciò risulta assolutamente un assurdo. È ben vero che nell’altra parted’America, e più specialmente negli Stati Uniti, l’operaio viene retri-buito con più larga misura, ma è pur vero che colà bisogna lottarecon maggiori difficoltà”48.

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45. Idem, anno VII, n. 206, 14 febbraio 1899.46. Idem, anno VII, n. 214, 16 giugno 1899.47. Idem, anno IX, n. 261, 31 maggio 1901.48. Idem, anno XIII, n. 341, 30 settembre 1904.

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Il fermento sociale che agita i ceti subalterni preoccupa seria-mente grossi e piccoli borghesi; per liberarsi degli “oziosi” e dei“vagabondi” che frequentano le leghe contadine e vengono ritenutipericolosi per l’ordine pubblico, costoro vengono sollecitati ad arruo-larsi con i volontari destinati in Africa. I contadini lucani, però riman-gono generalmente indifferenti a tali richiami, né si lasciano sugge-stionare dal successo riportato dal colonnello Arimondi ad Agordatnel dicembre del 189349. E il periodico venosino non può che appro-vare questa reticenza dei contadini ad imbarcarsi per l’Africa.

Il giornale è contrario alla campagna coloniale nel continentenero. “Ma questa monomania, questa febbre di invasione e d’in-grandimento dei nostri possedimenti in Africa, formeranno la nostraruina. Intanto certo è che su le alture africane noi gettiamo milioniche sono spremuti a gran forza dalle vene del nostro popolo. Oraqual è il frutto, quale almeno quello che se ne spera, di tanti milio-ni? (…). Però vi è la speranza di mettere a coltivazione il vasto suolodell’Eritrea. Questa speranza e questa coltivazione sono un’ironia.Perché non coltivare questa fertilissima Italia che in varie regioni èpiù squallida del deserto africano?”50. E ancora, nell’agosto del 1895il giornale insiste e fa rilevare come sia sbagliata questa mania diespansione. Mania che assorbe denaro e risorse da un lato, e richie-de inasprimenti fiscali a danno della nostra agricoltura dall’altro51.“Come è possibile ottenere un pareggio con simili enormi spese! Edancora ottenendolo è possibile continuare una vita così? Abbiamobisogno di economie per avere un avanzo onde poter pagare l’e-norme debito che ci gravita sugli omeri, se no dove s’andrà a finire?Quegli uomini che ci governano, da noi furono eletti, epperciò bat-tiamoci il petto esclamando: «Mea culpa, mea culpa!»52.

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49. T.PEDIO, op. cit., p. 22.50. Quinto Orazio Flacco, anno III, n. 89, 20 aprile 1895.51. Idem, anno IV, n. 99, 14 agosto 1895.52. Ibidem.

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Ma il fronte del periodico si estende alle questioni del costume,della famiglia, delle donne. La preoccupazione è sempre la stessa:difendere la morale cattolica, i principi della Chiesa, dal progressivoavanzamento della cultura laica, libertaria, socialista. Per il giornale,l’assenza di fede nell’educazione moderna determina una cattivaorganizzazione della famiglia. Il matrimonio è, ormai, un contrattoqualunque, un vero mercimonio53. “Le fanciulle non guardano tantopel sottile, perché hanno troppa fretta di maritarsi. Una giovinettaappena giunta ai quindici anni, ha mille illusioni da appagare, centoansie che le premono il cuore, per le quali non vede altro scampoche quello del talamo, non appena un individuo qualunque lungo esecco come un palo, oppure grosso come una botte; vecchio o gio-vane, magari con una luna quintadecima in capo (…) le offre lamano di sposo, ella pronuncia subito la nota allegra del si”54.

L’eguaglianza tra i sessi è impossibile poiché “Intellettualmente ladonna, è, senza dubbio, inferiore all’uomo (…). Moralmente non sipuò negare che qualche volta la donna sia superiore all’uomo”55. Ladonna, solo se occupata nelle faccende domestiche può essere “pelmarito un tesoro, pei figli la loro fata benefica, che compresa tuttadel dovere di madre, tutto vede, vigila, prevede e a tutto provvede;e bisogna vederla tra le pareti domestiche per comprendere quantosia il suo merito”56. Non c’è da sorprendersi, quindi, se il «QuintoOrazio Flacco» se la prende con le maestre che definisce spostate eilluse: “L’istruzione femminile è uno dei fenomeni più deplorevolidella scuola in Italia, e non v’ha chi se ne preoccupi seriamente, chipensi con coscienza all’inevitabile squilibrio che si produce in tuttol’ambiente sociale (…). L’istruzione femminile non dovrebbe averealtro scopo che quello di produrre madri che sappiano insegnare aipropri figli i primi rudimenti della vita, conformemente allo spiritodei tempi, e perciò non comprendiamo questo enorme cumulo di

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53. Idem, anno IV, n. 106, 10 novembre 1895.54. Ibidem.55. Idem, anno IV, n. 113, 21 gennaio 1896.56. Idem, anno III, n. 87, 28 marzo 1895.

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maestrine (…)”57. Ma dopo qualche anno, tra le colonne del periodi-co, si ammette che “l’educazione sia dell’uomo che della donna è con-dizione necessaria di ogni popolo civile, e del pari necessaria è la loroistruzione. Perché dunque si dovrebbero contrastare alla donna queimeriti, che le possono provenire dall’amore allo studio?”58.

Ancora più tardi, il periodico si dichiara contrario al diritto divoto per le donne: “(…), non siamo noi punto favorevoli a talerivendicazione muliebre, perché, per niun verso, accettiamo il con-cetto pagano della onnipotenza dello Stato, centralizzato e centra-lizzatore, e così contrario alla missione domestica e sociale delladonna. Invero non a fare le leggi, ma a formare i legislatori ladonna è destinata dalla natura; e questa efficacia indiretta dellemadri e delle spose sulla legislazione è assai più vitale di quella chesi esercita direttamente dai figli e dai mariti”59. Sempre fermo su que-sta posizione, il periodico non nega lo spazio alle opinioni contra-rie. In un articolo apparso in prima pagina il 31 agosto 1906, intito-lato “Spunti polemici”, l’autore spiega che “Se la donna la s’inchinaai duri lavori dei campi; se la si sbalza sur una cattedra ad arringa-re pubescenti (…) oh! perché poi privarla d’un diritto: del suffragio?Sorveglierà la pentola, racconterà le fiabe al bimbo…e voterà. Nonha mica da portarsi all’urna quotidianamente. La nostra legisla-zione è venuta via via, progressivamente, riconoscendo nella donnad’oggi (…) titoli di idoneità giuridica e sociale. E nella societàmoderna essa ha saputo acquistarsi una posizione elevata, che nonsi capisce più la sua esclusione dal suffragio (…)”60. Il giornale insi-sterà molto su questi argomenti, tenendo sempre d’occhio l’evolu-zione dei tempi, consapevole dell’influenza che la stampa esercitaormai sull’opinione pubblica: “Il mondo è governato dalla pubblicaopinione, e questa dal giornalismo. Com’è certo che nella modernademocrazia rappresentativa il sentimento più diffuso determina la

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57. Idem, anno IV, n. 127, 20 giugno 1896.58. Ibidem, anno IX, n. 261, 31 maggio 1901.59. Idem, anno XVI, n. 423, 7 maggio 1908.60. Idem, anno XV, n. 387, 31 agosto 1906.

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maggioranza dominante, così è evidente che l’uno e l’altra sono inpiena balia della stampa quotidiana. Ondechè dal proverbio: dimmichi pratichi e ti dirò chi sei, a buon diritto si è formato l’altro: dimmiche leggi e ti dirò chi sei; e questo proverbio, in quanto ai giornali,vale più dell’antico, perché l’efficacia e il dominio morale ch’eserci-ta sull’animo del lettore il foglio giornaliero, è ben maggiore dellafrequente conversazione; nella quale, tra le altre cose, si parla indue, spesso a casaccio o per contraddirsi; laddove nella lettura delgiornale, questo parla sempre e a lungo e con la tendenza costan-te di conquistare interamente il suo cliente e di trasfondergli il suosentimento, mentre l’altro tace, ascolta, riceve e si nutre di ciò chegli viene continuamente somministrato. Vero è che non tutti si lascia-no prendere all’amo di ciò che leggono; ma il numero di costoro èassai ristretto perciocché tale indipendenza di giudizio suppone unaformazione mentale, una sodezza di criterio e una cultura, che sonben di pochi.

I più, le vaste moltitudini della borghesia e del popolo, almenonove decimi della somma dei lettori, presto si arrendono alla sug-gestione affascinatrice, lenta, costante tutta intima e personale delgiornale che leggono”61.

Su questa prospettiva di attiva sentinella dei mutamenti politicisociali ed economici, il periodico aperto, come abbiamo visto, aicontributi di quelli non allineati alla sua linea editoriale, termina lepubblicazioni nell’autunno del 1910.

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61. Idem, anno XVI, n. 416, 1 gennaio 1908.

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