Il quadrato logico A-E-I-O · Web viewI trattati di filosofia morale e politica: l'Etica...

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UNITA’4 ARISTOTELE (384-322 a. C.) CAPITOLO 1 Filosofia e scienza 296 1. Il tempo storico di Aristotele 296 Aristotele visse nel IV secolo a.C. E’ l’epoca: 1) della definitiva crisi della polis, 2) della conquista macedone della Grecia, 3) del venir meno della passione politica (così importante per Platone) 4) dell’aumento dell’interesse per temi conoscitivi ed etici. 2. La vita 296 Aristotele nacque nel 384/383 a.C. a Stagira. Il padre di Aristotele, Nicomaco, era un medico e fu al servizio del re Aminta di Macedonia (padre di Filippo il Macedone). I rapporti col maestro A diciotto anni, Aristotele, ad Atene ed entrò nell'Accademia platonica. Fu allievo di Platone per ben vent'anni, fino alla morte di Platone. I primi insegnamenti Nell'Accademia, Aristotele conobbe i più noti scienziati di allora. Nei vent'anni passati all'Accademia Aristotele acquisì i princìpi della filosofia platonica e li sottopose a stringenti critiche, tentando di piegarli in nuove direzioni. Alla morte di Platone (347 a.C.), Aristotele non si sentì di rimanere nell'Accademia, se ne andò da Atene e si recò in Asia Minore. La formazione di Alessandro Con il 343/342 a.C. inizia un nuovo periodo nella vita di Aristotele. Filippo il Macedone lo chiama a corte e gli affida l'educazione del figlio Alessandro, cioè di quel personaggio destinato a rivoluzionare la storia greca, e che allora aveva tredici anni. Purtroppo sappiamo pochissimo dei rapporti che si stabilirono tra i due eccezionali personaggi. Alla corte macedone Aristotele restò forse fino a quando Alessandro salì al trono, cioè fin verso il 336 a.C. Il ritorno ad Atene e la fondazione del Liceo Nel 335/334 a.C. Aristotele tornò ad Atene e fondò una scuola in alcuni edifici vicino ad un tempietto sacro ad Apollo Licio, donde venne il nome di "Liceo" dato alla Scuola. Poiché Aristotele

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UNITA’4 ARISTOTELE (384-322 a. C.)

CAPITOLO 1 Filosofia e scienza 296

1. Il tempo storico di Aristotele 296

Aristotele visse nel IV secolo a.C.

E’ l’epoca:

1) della definitiva crisi della polis,

2) della conquista macedone della Grecia,

3) del venir meno della passione politica (così importante per Platone)

4) dell’aumento dell’interesse per temi conoscitivi ed etici.

2. La vita 296

Aristotele nacque nel 384/383 a.C. a Stagira. Il padre di Aristotele, Nicomaco, era un medico e fu al servizio del re Aminta di Macedonia (padre di Filippo il Macedone).

I rapporti col maestro

A diciotto anni, Aristotele, ad Atene ed entrò nell'Accademia platonica. Fu allievo di Platone per ben vent'anni, fino alla morte di Platone.

I primi insegnamenti

Nell'Accademia, Aristotele conobbe i più noti scienziati di allora.

Nei vent'anni passati all'Accademia Aristotele acquisì i princìpi della filosofia platonica e li sottopose a stringenti critiche, tentando di piegarli in nuove direzioni.

Alla morte di Platone (347 a.C.), Aristotele non si sentì di rimanere nell'Accademia, se ne andò da Atene e si recò in Asia Minore.

La formazione di Alessandro

Con il 343/342 a.C. inizia un nuovo periodo nella vita di Aristotele. Filippo il Macedone lo chiama a corte e gli affida l'educazione del figlio Alessandro, cioè di quel personaggio destinato a rivoluzionare la storia greca, e che allora aveva tredici anni. Purtroppo sappiamo pochissimo dei rapporti che si stabilirono tra i due eccezionali personaggi.

Alla corte macedone Aristotele restò forse fino a quando Alessandro salì al trono, cioè fin verso il 336 a.C.

Il ritorno ad Atene e la fondazione del Liceo

Nel 335/334 a.C. Aristotele tornò ad Atene e fondò una scuola in alcuni edifici vicino ad un tempietto sacro ad Apollo Licio, donde venne il nome di "Liceo" dato alla Scuola. Poiché Aristotele impartiva i suoi insegnamenti passeggiando nel giardino della Scuola essa fu detta anche "Peripato" (dal greco peripatós = passeggiata), e "Peripatetici" furono detti i suoi seguaci.

Furono questi gli anni più fecondi nella produzione di Aristotele: gli anni che videro il completamento e la grande sistemazione dei trattati filosofici e scientifici che ci sono pervenuti.

La fuga a Calcide

Nel 323 a.C., morto Alessandro, ci fu in Atene una forte reazione antimacedone, nella quale fu coinvolto anche Aristotele, reo di essere stato maestro del sovrano.

Per sfuggire ai nemici, si ritirò a Calcide dove morì nel 322 a.C.

3. Il problema degli scritti 297

La conoscenza del pensiero di Aristotele dipende, in larga misura, dalla particolarità dei suoi scritti e dal modo in cui ci sono pervenuti.

A noi sono giunti soprattutto gli scritti di scuola, ossia i suoi appunti e il materiale da lui usato per le sue lezioni (scritti esoterici o acromatici), e non gli scritti composti per la pubblicazione (scritti essoterici), di cui ci sono pervenuti solo dei frammenti

Le opere acromatiche (destinate all’insegnamento) 298

Ci è pervenuto il grosso delle opere di scuola, che trattano tutta la problematica filosofica e alcune branche delle scienze naturali.

Tra le opere di contenuto filosofico sono comprese:

1) L’Organon che è il titolo con cui è stato designato l'insieme dei trattati di logica (Categorie, De interpretatione, Analitici primi, Analitici secondi, Topici, Confutazioni sofistiche)

2) Le opere di filosofia naturale: la Fisica, in particolare, e inoltre il Cielo, La generazione e la corruzione, la Meteorologia.

3) Le opere di psicologia costituite dal Trattato sull'anima e da un gruppo di scritti minori.

4) L'opera più famosa è costituita dai quattordici libri della Metafisica.

5) I trattati di filosofia morale e politica: l'Etica Nicomachea, la Grande Etica, l'Etica Eudemia e, in particolare, la Politica.

6) Opere di carattere estetico: la Poetica, in particolare, e la Retorica.

Fra le opere riguardanti le scienze naturali vanno ricordate la Storia degli animali, Le parti degli animali, Il moto degli animali, La generazione degli animali.

4. Il distacco da Platone e l’enciclopedia del sapere 299

Le diverse concezione del sapere e della realtà 299

I diverse metodi e interessi dei due filosofi 301

L’enciclopedia delle scienze in Aristotele 300

Aristotele si differenzia da Platone per quattro aspetti principali:

1) l'abbandono della componente mistico-religioso-escatologica che era presente nella filosofia platonica

2) lo scarso interesse per le scienze matematiche e invece la viva attenzione per le scienze naturali ed empiriche

3) il metodo sistematico al posto di quello dialettico-dialogico.

4) per Platone la filosofia ha una finalità politica, per Aristotele la filosofia mira alla conoscenza disinteressata del reale

Inoltre nel corso del IV sec. a. C. il sapere tende a differenziarsi in scienze molteplici e Aristotele attribuisce alla filosofia, che per lui è innanzitutto la metafisica, il ruolo di unificatrice e organizzatrice delle varie scienze.

Le analogie tra Platone e Aristotele 301

Comunque sia Platone che Aristotele sviluppano, al di là delle differenze indicate, due visioni globali del mondo che presentano notevoli punti di contatto.

LA METAFISICA ARISTOTELICA

CAPITOLO 2 Le strutture della realtà e del pensiero 302

1. La metafisica 302

Il quadro delle scienze 302 Schema p.302

Aristotele distingue tra gruppi di scienze: le scienze teoretiche, quelle pratiche e quelle poietiche o produttive

1) le scienze teoretiche studiano il necessario, seguono un metodo dimostrativo, hanno come scopo la conoscenza disinteressata (cercano il sapere per il sapere) sono: metafisica, fisica (in cui è incorporata anche la psicologia) e matematica;

2) le scienze pratiche studiano il possibile, seguono un metodo non dimostrativo (valido “per lo più”), hanno come scopo l’orientamento nell’agire (usano il sapere ai fini della perfezione morale) sono: etica e politica;

3) le scienze poietiche, studiano il possibile, seguono un metodo non dimostrativo (valido “per lo più”), hanno come scopo la produzione di opere e la manipolazione di oggetti sono: le arti belle e le tecniche.

Alle scienze va aggiunta la logica: la scienza che studia le varie modalità di ragionamento, essa è, per Aristotele, lo strumento di cui si avvalgono tutte le scienze

Il concetto di metafisica 303

Origine significato del termine

Aristotele la chiama filosofia prima. Andronico di Rodi (I sec. d. C.) ordinando le opere di Aristotele pose i libri di filosofia prima dopo quelli di fisica (metà ta physikà)

Le quattro definizioni aristoteliche p.303

La metafisica è la principale delle scienze teoretiche, le quali, a loro volta, sono le scienze più elevate. Alla metafisica, dunque, spetta una sorta di primato assoluto. Aristotele ne dà quattro definizioni:

1) la scienza che indaga le cause e i princìpi supremi (e in questo senso si può chiamare eziologia);

2) la scienza che indaga l'essere in quanto essere (e quindi può chiamarsi ontologia);

3) la scienza che indaga la sostanza (e per questo si può chiamare usiologia, dato che in greco sostanza si dice ousia);

4) la scienza che indaga Dio e la sostanza soprasensibile (e quindi Aristotele la chiama espressamente teologia).

Schema a p. 303

I significati dell'essere e la sostanza 304

Le categorie e la sostanza

I molteplici aspetti dell’essere

Nell'indagine intorno all'essere Aristotele riprende la tematica dibattuta dagli Eleati e la risolve, confutando la tesi dell'univocità dell'essere (ossia la tesi secondo cui esiste un solo tipo di essere in senso assoluto, che si oppone al non-essere in senso assoluto).

La tesi aristotelica è che l'essere ha molteplici significati, a vari livelli, che si riducono ai seguenti quattro:

a) l'essere per sé (secondo la sostanza e le categorie); es: Socrate è un uomo

b) l'essere come atto e potenza; es: Socrate (a tre anni) è un uomo in potenza e un bambino in atto

c) l'essere come accidente; es: Socrate è alto (anche se fosse basso sarebbe sempre lui)

d) l'essere come vero e il non-essere come falso; es: il teorema di Pitagora è vero

Le categorie

Le categorie sono denominazioni generalissime che ogni essere non può fare a meno di avere

Le categorie rappresentano il gruppo principale dei significati dell'essere e costituiscono le originarie "divisioni dell'essere", o, come anche Aristotele dice, i supremi "generi dell'essere".

Aristotele ha elaborato una tavola che prevede dieci categorie:

1) Sostanza o essenza (Socrate è un uomo)

2) Qualità

3) Quantità

4) Relazione

5) Azione o agire

6) Passione o subire

7) Dove o luogo

8) Quando o tempo

9) Avere

10) Giacere

Secondo Aristotele nessun essere può esistere senza essere qualcosa (sostanza) e senza avere delle qualità, una quantità, relazione con altri, senza agire e subire, senza essere in un luogo e in un tempo.

Dal punto di vista ontologico le categorie sono i generi supremi, da un punto di vista logico le categorie sono i predicati fondamentali, cioè le cose che di un essere si possono pensare e, quindi, dire

Le ultime due categorie appaiono più problematiche.

La sostanza come categoria fondamentale

Le categorie fanno capo tutte quante alla prima, ossia alla sostanza, e la presuppongono (e in effetti non c'è qualità se non della sostanza; e così dicasi per la quantità e per tutte le altre categorie). È quindi evidente che lo studio della sostanza è fondamentale per la metafisica.

La sostanza è la categoria fondamentale perché le altre la presuppongono: qualità, quantità ecc. son sempre qualità o quantità di qualcosa: questo “qualche cosa” è la sostanza. L’essere ha una molteplicità di significati uniti tra loro da un comune riferimento alla sostanza

Il principio di non contraddizione e la sostanza

Le scienze procedono eliminando dalle cose gli aspetti diversi da quelli che esse prendono in considerazione; ad es: la matematica considera solo la quantità e le forme geometriche. Questo avviene attraverso l’enunciazione di assiomi cioè dei principi generali che definiscono l’oggetto specifico di quella particolare scienza.

L’assioma fondamentale della filosofia

La filosofia deve ridurre i molteplici significati della parola “essere” a un significato unico fondamentale e considerare le cose non dal punto di vista della quantità, qualità ecc. ma deve considerare l’essere in quanto essere, deve quindi formulare un assioma fondamentale che è il principio di non contraddizione

Aristotele formula il principio di non-contraddizione in due modi:

1. “ E’ impossibile che la stessa cosa insieme inerisca (sia inerente, riguardi) e non inerisca alla medesima cosa e secondo il medesimo rispetto”.

Questa formula esprime l’impossibilità logica di affermare e negare nello stesso tempo lo stesso predicato rispetto ad uno stesso soggetto.

Ad es. non si può affermare contemporaneamente che l’uomo è un animale razionale e che l’uomo non è un animale razionale: una delle due affermazioni è necessariamente falsa e l’altra necessariamente vera.

2. “E’ impossibile che la stessa cosa sia e insieme non sia” (Metafisica IV, 4)

La questa formula esprime l’impossibilità ontologica che un determinato essere sia e contemporaneamente non sia quello che è.

Ad es. Se l’uomo è un animale razionale, a ogni uomo bisogna riconoscere la natura di essere razionale, e se si nega che sia tale si nega anche che sia uomo.

La sostanza come oggetto della metafisica

“Ciò che da tempo, e anche ora, e sempre abbiamo cercato, ciò che sempre sarà un problema per noi. Che cos’è l’essere? Significa questo: che cos’è la sostanza?” (Metafisica, VII, 1)

Il problema fondamentale della metafisica sarà per Aristotele quello di determinare le caratteristiche della sostanza.

La sostanza 306

Che cos'è la sostanza in generale? Aristotele formulò anche in questo caso, così come per l'essere, una risposta plurima:

La sostanza come ente individuale concreto e autonomo

1) Per sostanza Aristotele intende l’individuo concreto che funge da soggetto reale di proprietà e da soggetto logico di predicati. La sostanza è “questo qui” (tode ti), è un ente autonomo.

Il sinolo di materia e forma

2) Per sostanza Aristotele intende anche il sinolo, un’unione indissolubile di materia e forma

Per illustrare il rapporto fra la materia e la forma, Aristotele ricorre all'esempio della statua di bronzo. Nella statua di bronzo è facile distinguere la materia (per esempio il bronzo) dalla forma (per esempio il dio Ermes).

Per forma Aristotele non intende l’aspetto esterno di una cosa ma la sua natura propria ossia la struttura che la rende quella che è. Una statua può rappresentare esseri diversi, essere fatta di materiali diversi ma non per questo cessa di essere una statua.

I due significati di sostanza

Nel sinolo la forma è l’elemento attivo che “dà forma” alla materia, la materia è l’elemento passivo che viene “formato”. Si può dire che la forma è per Aristotele ciò che fa sì che un individuo sia quello che è cioè la sua essenza. Ciò spiega perché Aristotele chiami “sostanza” non solo il sinolo ma anche, e soprattutto, la forma.

Sostanza e accidente

Mentre la sostanza, o forma o essenza, è ciò che un essere non può fare a meno di avere per essere se stesso, l’accidente è ciò che un essere può avere o non avere senza cessare di essere quello che è. L’accidente esprime una caratteristica casuale o accidentale di una sostanza.

Ad es. un cavallo non può fare a meno di avere la “forma” (in senso aristotelico) di un cavallo, il colore bianco o nero del suo mantello, è per Aristotele un accidente: l’essere bianco o nero non lo fa cessare di essere un cavallo.

Schema p. 307

Le quattro cause 307

Aristotele afferma che la conoscenza e la scienza consistono nel rendersi conto della causa delle cose.

Materia, forma, causa efficiente e causa finale

Nella sua ricerca delle cause Aristotele individua quattro tipi di cause:

1) causa materiale è la materia, ciò di cui una cosa è fatta. Ad es. il bronzo è la causa materiale della statua

2) causa formale è la forma cioè l’essenza Ad es. l’essere razionale è la causa formale dell’uomo

3) causa efficiente è ciò che origina qualcosa, che da inizio a un mutamento o che pone fine ad esso. Ad es. il seme è al causa efficiente della pianta

4) causa finale lo scopo al quale una cosa tende Ad es. il divenire adulto è il fine del bambino.

Nei processi naturali per Aristotele la causa formale quella efficiente e quella finale coincidono ad es la pianta è insieme forma, la causa efficiente e quella finale della trasformazione del seme

Nei processi artificiali le quattro cause possono essere distinte Ad es. nella statua sono diverse la causa fiale

La critica alle idee platoniche 308

La dottrina delle cause costituisce anche una critica alla teoria platonica delle idee; in particolare su due punti:

1. Il principio delle cose risiede nelle loro forme immanenti: le idee platoniche risiedono nell’iperuranio e le cose sono loro copie, le forme aristoteliche risiedono nelle cose stesse

2. Le idee sono inutili “doppioni”: le idee platoniche complicano invece di semplificare, le idee platoniche vanno moltiplicate all’infinito per spiegare gli individui (Socrate) oltre il genere (uomo).

La dottrina del divenire

Il problema del divenire

Ai tempi di Aristotele il problema del divenire continuava a essere una delle questioni più controverse tra i filosofi.

Che il divenire esista è un fatto: come aveva insegnato la scuola eraclitea, nell’universo tutto muta.

Come il divenire debba essere pensato è invece un problema: Parmenide aveva sostenuto che il divenire è qualcosa di logicamente impensabile, poiché implica un passaggio dall’essere al non essere, comportando quindi l’esistenza del nulla.

La soluzione di Aristotele

Aristotele ribatte che il divenire sarebbe irrazionale solo se, come sostenevano gli eleati, esso consistesse nel passaggio dal non essere all’essere e viceversa. Egli ritiene invece che il divenire non implichi alcun passaggio dal non essere all’essere, e viceversa, ma semplicemente un passaggio da un certo tipo di essere a un certo altro tipo di essere. Aristotele ritiene dunque che l’unica realtà sia l’essere e che il divenire sia soltanto una modalità dell’essere.

Potenza e atto

Per pensare adeguatamente la realtà del divenire, Aristotele elabora i concetti di “potenza” e “atto”. Per “potenza” egli intende la possibilità, da parte della materia, di assumere una determinata forma. Per “atto” intende la realizzazione di tale capacità.

Ad esempio, il pulcino è la gallina in potenza, come la gallina è il pulcino in atto. La potenza sta dunque alla materia come l’atto sta alla forma. Infatti la materia, per definizione, è la possibilità di assumere forme diverse, mentre la forma, per definizione, è la realtà in atto di tali possibilità.

Materia, e forma

Il punto di partenza del divenire è quindi la materia come pura potenza, di una certa forma, mentre il punto di arrivo e l’assunzione di tale forma. L’atto e chiamato anche “entelechia” (entelécheia), che in greco significa “realizzazione”; o “perfezione attuata”. In sintesi, i principi che scandiscono il divenire sono: materia, e forma, o, il che e lo stesso, potenza e atto (che costituiscono un altro dei significati fondamentali dell’essere).

Il primato dell’atto sulla potenza

Aristotele ritiene che l’atto possegga una priorità gnoseologica, cronologica e ontologica nei confronti della potenza.

Infatti la conoscenza della potenza presuppone la conoscenza dell’atto di cui essa è potenza. L’atto viene temporalmente prima della potenza, giacché è vero, ad es., che il seme (potenza) è prima della pianta, ma è anche vero che il seme non può essere derivato se non da una pianta già in atto.

Tutto ciò equivale a dire che l’atto è ontologicamente superiore alla potenza in quanto costituisce la causa, il senso e il fine della potenza.

La necessità come modalità fondamentale dell’essere

Ma se il potenziale è la predeterminazione, dell’attuale, esso, più che un’autentica possibilità, esprime in fondo una necessità.

Ad es. dalle uova di aquila nascerà necessariamente un’aquila, come da quelle di serpente si svilupperà per forza un serpente.

La potenza aristotelica è dunque una possibilità a senso unico di conseguenza per Aristotele è la necessità a costituire la modalità fondamentale dell’essere.

La “catena” del divenire

Materia e forma, potenza e atto danno dunque ragione del divenire. Il movimento presuppone anche le altre due cause: la causa efficiente, che da inizio al divenire, e la causa finale, che e il fine del divenire.

Spesso ciò punto di arrivo di un movimento (forma), diventa ossia punto di partenza di un movimento ulteriore (materia). Perciò una stessa cosa può essere considerata sia materia (potenza), sia forma (atto), a seconda del punto di vista da cui la si osserva (ad esempio, il pulcino è potenza rispetto alla gallina, ma atto rispetto all’uovo).

Gli estremi della “catena” del divenire

Questa catena, secondo Aristotele, presuppone due termini estremi:

Da un lato una materia pura, una “materia prima” che sia pura potenza, dall’altro lato, una forma pura, o atto puro.

La materia prima come pura potenza

La materia prima aristotelica non si deve confondere con ciò che noi comunemente chiamiamo “materia”: ad esempio, il fuoco, l’acqua, il bronzo ecc. non sono pura materia, perché hanno già in sé, in atto, una serie di determinazioni grazie alle quali noi li distinguiamo l’uno dall’altro. La materia prima è piuttosto quel “qualcosa” che “può” divenire fuoco, acqua, bronzo ecc. La materia prima aristotelica è la materia-madre di cui aveva già parlato Platone nel Timeo.

Essendo la materia prima assolutamente indeterminata, è una pura nozione teorica, un concetto-limite che noi ammettiamo come base di ogni divenire, ma che non si può né conoscere, né constatare di fatto, poiché ciò che esiste nel mondo è sempre materia formata.

La forma pura o atto puro

Dall’altro lato, il divenire dell’universo presuppone, al polo opposto della catena degli esseri, una forma pura, o atto puro, cioè una perfezione completamente realizzata. Questa forma pura costituisce la sostanza più alta dell’universo, la sostanza immobile.

La concezione aristotelica di Dio 310

Metafisica, teologia e ontologia

Aristotele ha definito la metafisica sia come scienza che studia l’essere (ontologia) sia come scienza che studia Dio (teologia) è questo comporta una contraddizione in quanto Dio non si può considerare tutto l’essere.

Si può tuttavia affermare che la contraddizione è solo apparente se si considera che la teologia di Aristotele è il coronamento della sua ontologia.

La dimostrazione dell’esistenza di Dio

La prova del movimento

Aristotele definisce il movimento come la possibilità di assumere nuove condizioni o forme.

Per Aristotele tutto ciò che è mosso è mosso da altro.

Nella sequenza dei movimenti non è possibile risalire all’infinito deve quindi esistere qualcosa che muove senza essere mosso.

Questo essere assolutamente immobile che muove è Dio: Aristotele lo chiama, infatti, motore immobile o causa incausata del movimento.

Gli attributi di Dio

Attraverso ragionamenti analoghi Aristotele giunge a definire gli attributi di Dio:

1) Motore immobile o primo motore

2) Causa incausata essendo causa di tutto non può avere una causa

3) Forma pura, cioè sostanza incorporea,: perché la materia è potenza (può cambiare) e Dio essendo immobile non può cambiare quindi non può avere materia.

4) Atto puro: perché il divenire, il cambiamento, è passaggio dalla potenza all’atto e Dio non potendo cambiare non può mai essere potenza

5) Causa finale: non è causa efficiente perché non dà l’impulso iniziale ma è causa finale come oggetto d’amore

Riassumendo: Dio è atto puro, sostanza incorporea, forma pura, essere eterno, causa finale del mondo è un’entità perfetta e totalmente compiuta questi attributi saranno quelli attribuiti a Dio dalla filosofia scolastica tomistica (di Tommaso D’Aquino) medievale che assumerà, nel ‘200, il pensiero aristotelico come sua base (cfr. Dante).

Dio come pensiero di pensiero

Essendo Dio un’entità perfetta e totalmente compiuta, a questa perfezione massima non può che appartenere il genere di vita più alto ed e eccellente. La vita migliore è quella dell’intelligenza, alla quale l’uomo si solleva solo per brevi periodi, mentre Dio la vive continuamente, pensa continuamente. Ma Dio non può che pensare la perfezione cioè se stesso quindi è pensiero di pensiero.

L’ordine dell’universo come sforzo della materia verso Dio

L’universo è, per Aristotele, è un continuo passaggio dalla potenza all’atto, continuo sforzo della materia per prendere forma, continuo movimento di perfezionamento. In questo senso il divenire dell’universo è il continuo sforzo della materia verso Dio.

Monoteismo e politeismo di Aristotele

Quanto detto spingerebbe a pensare che Aristotele fosse assolutamente monoteista e in effetti nella metafisica si dimostra tale.

Nella fisica però sostiene che i movimenti dei cieli sono eterni e continui quindi afferma che anche i cieli sono eterni come Dio.

In Aristotele convivono quindi monoteismo (il primo motore immobile) e politeismo (i motori dei cieli che sono eterni)

Il politeismo rimane una caratteristica di fondo del mondo greco.

LA LOGICA ARISTOTELICA

2. La logica p. 313

Che cos’è la logica

La logica è la forma comune a tutte le scienze e descrive le modalità del ragionamento, Aristotele la chiama analitica, e studia gli elementi costitutivi del ragionamento.

L’Organon

La logica costituisce l’argomento dell’Organon (strumento), ha funzione propedeutica e tutte le altre scienze si avvalgono di essa.

Il problema del rapporto tra logica e metafisica

Logica e metafisica 313

La logica ha preceduto la metafisica o viceversa? In Aristotele le ricerche logiche e quelle metafisiche hanno proceduto parallelamente.

La “precedenza” della metafisica rispetto alla logica

Chiedersi che rapporto c’è tra logica e metafisica equivale a chiedersi che rapporto c’è tra il nostro pensiero e la realtà.

Per Aristotele tale rapporto è di necessità: il nostro pensiero è lo “specchio” della realtà (realismo gnoseologico), in questo senso la metafisica sta in una posizione di superiorità ideale rispetto alla logica.

I contenuti dell’Organon

I concetti 314

L’Organon tratta di oggetti che vanno dal semplice al complesso

1) Logica dei concetti (libro “Categorie”)

2) Logica delle proposizioni (libro “Sull’interpretazione)

3) Logica del ragionamento (libri “Analitici primi” e “Analitici secondi”

La classificazione dei concetti per generi e specie

I concetti sono gli elementi base del pensiero.

I concetti possono essere disposti in una scala costituita da una serie di rapporti tra genere e specie.

Specie è il contenuto di un concetto più universale: il genere

Genere è il contenente di un concetto meno universale: la specie.

Ad. Es. Il concetto di felino è specie rispetto a quello di animale e genere rispetto a quello di gatto. Infatti il concetto di felino è contenuto in quello di animale e contenente di quello di gatto. A sua volta il concetto di gatto è specie rispetto al concetto di felino e genere rispetto al concetto di siamese e così via

Comprensione ed e stensione dei concetti

Rispetto al genere la specie comprende più caratteristiche (è più comprensivo, più preciso) e si estende a meno esseri (è meno esteso).

Si può dire che comprensione ed estensione stanno tra di loro in un rapporto inversamente proporzionale e viceversa.

Comprensione = insieme delle note o qualità caratteristiche di un concetto

Estensione = numero degli individui cui fa riferimento un concetto

Ad. Es. Il concetto di gatto ha maggiore comprensione di quello di animale (“gatto” è un concetto più preciso di “animale”) ma ha minore estensione (“animale” è un concetto meno preciso di “gatto” ma fa riferimento a più individui).

La sostanza prima e le sostanze seconde

Scendendo nella scala dei generi e delle specie si arriva all’individuo (il gatto Tom) che ha la massima comprensione (è il massimo della precisione) e la minima estensione (fa riferimento infatti a un solo essere).

Aristotele definisce l’individuo “sostanza prima” e “sostanze seconde” i generi e le specie

La sostanza prima (l’individuo) può essere usata in una proposizione solo come soggetto, mentre le sostanze seconde possono essere usate anche come predicati.

Ad Es. Tom può essere usato solo come soggetto; gatto, felino ecc. possono essere usati anche come predicati

Al vertice della scala dei generi e delle specie Aristotele pone quelli che chiama i generi sommi che presentano il massimo estensione e il minimo di comprensione e corrispondono alle dieci categorie, viste nella metafisica, che , da un punto di vista logico, sono i modi generalissimi con cui l’essere si predica delle cose.

Ad. Es. Di Tom noi possiamo dire che è un gatto o un felino (sostanza), che è nero o bello (qualità), che è grande (quantità), che è qui (luogo), ora (tempo) ecc.

Le proposizioni 315

Le proposizioni sono fatte di concetti legati tra di loro

Ad Es: Il gatto è un animale

La logica delle proposizioni non studia tutte le frasi ma solo quelle apofantiche, cioè solo le asserzioni: le sole frasi che possono essere vere o false.

Le proposizioni 315

Gli enunciati apofantici

La logica delle proposizioni prende in considerazione solo le asserzioni (gli enunciati apofantici). Ossia quelle frasi che possono essere dichiarate vere o false (le frasi che in filosofia saranno, in seguito, chiamate “giudizi”).

Non prende in considerazione altri tipi di frasi (esclamazioni, preghiere, invocazioni, ordini ecc.) che non possono essere dichiarate o meno vere o false.

I vari tipi di proposizione

Le proposizioni si possono classificare da due punti di vista

1) affermative o negative (differenza qualitativa)

Es.: Tom mangia. Tom non mangia

2) universali, particolari o singolari (differenza quantitativa)

Tutti i gatti sono felini

Alcuni gatti sono grigi

Tom è nero

Aristotele ha analizzato le universali e particolari affermative e negative

Ci possono essere quattro possibilità:

1. universali affermative es. tutti gli uomini sono bianchi

2. universali negative es. nessun uomo è bianco

3. particolari affermative es. alcuni uomini sono bianchi

4. particolari negative es. alcuni uomini non sono bianchi

Il quadrato logico A-E-I-O

I possibili rapporti tra i quattro tipi di proposizioni sono stati descritti dai logici medievali mediante quello che essi chiamarono il quadrato degli opposti:

Le lettere poste ai quattro vertici del quadrato stanno ad indicare le quattro possibilità (universali affermative, universali negative, particolari affermative, particolari negative) e sono dedotte da verbi latini:

A dalla prima vocale di “adfirmo”

E dalla prima vocale di “nego”

I dalla seconda vocale di “adfirmo”

O dalla seconda vocale di “nego”

Proposizioni contrarie, contraddittorie e sub-contrarie e rapporti di verità e falsità tra le proposizioniDal punto di vista dei rapporti tra le proposizioni possono esistere quattro tipi di rapporti:

1) due proposizioni possono essere contrarie

2) due proposizioni possono essere contraddittorie

3) due proposizioni possono essere sub-contrarie

4) due proposizioni possono essere sub-alterne

Proposizioni contrarie

Presentano un rapporto di OPPOSIZIONE tra una universale affermativa e una universale negativa.

Le proposizioni contrarie possono essere entrambe false ma non entrambe vere

Es. tutti gli uomini sono bianchi - nessun uomo è bianco

Proposizioni contraddittorie

Presentano un rapporto di OPPOSIZIONE tra una universale affermativa e una particolare negativa oppure tra una universale negativa e una particolare affermativa

Le proposizioni contraddittorie devono essere necessariamente una vera e l’altra falsa

Es. tutti gli uomini sono bianchi - alcuni uomini non sono bianchi

OPPURE

nessun uomo è bianco - alcuni uomini sono bianchi

La contradditorietà è la forma più forte, più radicale di opposizione

Proposizioni sub-contrarie

Presentano un rapporto di OPPOSIZIONE tra una particolare affermativa e una particolare negativa

Le proposizioni sub-contrarie possono essere entrambe vere ma non entrambe false

Es. alcuni uomini sono bianchi - alcuni uomini non sono bianchi

Proposizioni sub-alterne

Presentano un rapporto di NON OPPOSIZIONE tra una universale affermativa e una particolare affermativa oppure tra una universale negativa e una particolare negativa

Le caso delle proposizioni sub-alterne dalla verità dell’universale si inferisce (si deduce) la verità della particolare ma dalla verità della particolare non si inferisce (non si deduce) la verità della universale.

Es. tutti gli uomini sono bianchi e alcuni uomini sono bianchi

OPPURE

nessun uomo è bianco e alcuni uomini non sono bianchi

I modi della predicazione

I modi in cui può avvenire la predicazione, cioè l’attribuzione di un predicato ad un soggetto sono tre:

1) asserzione: es. un triangolo è isoscele

2) possibilità: es. un triangolo è possibile che sia isoscele

3) necessità: es. un triangolo è necessario che sia isoscele

Verità e falsità

Finora abbiamo esaminato gli aspetti formali delle asserzioni non la loro verità o meno. Alcuni esempi fatti sono manifestamente non corrispondenti alla realtà (ad es. non è vera l’ultima affermazione).

Su verità e falsità Aristotele afferma che:

1 - i concetti presi isolatamente non possono essere definiti ne veri ne falsi

2 - la verità è nel pensiero

3 - la misura della verità è l’essere

1 - i concetti presi isolatamente non possono essere definiti ne veri ne falsi: può essere vera o falsa solo la loro combinazione (cioè una asserzione in cui vengono collegati due concetti uno che fa da soggetto e uno da predicato)

2 - la verità è nel pensiero, di cui il discorso è la manifestazione, che per Aristotele è proprio la nostra capacità di connettere due concetti come soggetto e predicato

3 - la misura della verità è l’essere: il che significa che noi pensiamo, o diciamo, il vero quando connettiamo disgiungiamo nel nostro pensiero (e nel nostro discorso) due “cose” che sono congiunte o disgiunte nella realtà. Al contrario noi pensiamo, o diciamo, il falso quando connettiamo disgiungiamo nel nostro pensiero (e nel nostro discorso) due “cose” che non sono congiunte o disgiunte nella realtà.

Linguaggio pensiero ed essere

Tra linguaggio, pensiero ed essere per Aristotele esistono quindi una serie di rimandi necessari: il pensiero e il discorso per essere veri devono corrispondere alla realtà.

Il nostro pensiero, se rispettiamo le regole della logica, è lo specchio fedele della realtà

Il sillogismo

Il ragionamento

Aristotele, negli Analitici primi, analizza le strutture e i modi del ragionamento. Secondo Aristotele quando noi affermiamo o neghiamo qualcosa di qualcos’altro, cioè formuliamo giudizi, non ragioniamo ancora. Noi ragioniamo quando passiamo da proposizioni, a proposizioni che abbiano fra di loro determinati nessi che siano in certo senso le une cause di altre, le une antecedenti le altre conseguenti. Non c’è ragionamento, se non c’è questo nesso, questa consequenzialità.

La struttura del sillogismo

Il “sillogismo” è precisamente il ragionamento per eccellenza:

"un discorso [un ragionamento] in cui poste talune cose [le premesse] segue necessariamente qualcos’altro [la conclusione] per il semplice fatto che quelle sono state poste.”

(Analitici primi, I, 1, 24b, 18 ss.)

Facciamo subito un esempio per analizzarlo insieme:

Ogni animale è mortale

Ogni uomo è animale

Ogni uomo è mortale

Premessa maggiore Ogni animale è mortale

(termine medio) (termine o estremo maggiore)

Premessa minore Ogni uomo è animale

(termine o estremo minore) (termine medio)

Conclusione Ogni uomo è mortale

(termine o estremo minore) (termine o estremo maggiore)

I termini del sillogismo

Il sillogismo è composto di tre proposizioni, due (la premessa maggiore e la premessa minore) sono le antecedenti e la terza (la conclusione) è la conseguente.

Ci sono inoltre tre termini o elementi:

1) il maggiore, che ha l’estensione maggiore e compare come predicato nella prima premessa;

2) il minore che ha l’estensione minore e compare come soggetto nella seconda premessa;

3) il medio, che ha estensione media e si trova in entrambe le premesse, una volta come soggetto e l’altra come predicato.

Il maggiore (o “estremo” maggiore) e il minore (o “estremo” minore) compaiono anche nella conclusione, come soggetto (il minore) e come predicato (il maggiore).

Il termine medio funge da elemento connettivo tra gli altri due, perché il termine medio (animale) da un lato è incluso nel termine maggiore (mortale) e dall’altro include il termine minore (uomo) perché la caratteristica espressa dal termine maggiore (la mortalità), appartenendo al termine medio, apparterrà per forza anche al termine minore.

La formalizzazione del sillogismo

Il sillogismo può venir espresso anche mediante una formalizzazione di tipo simbolico, di cui Aristotele ha dato un esempio, costruendo una sorta di “algebra del discorso”, che si svilupperà con la logica simbolica contemporanea.

Sostituendo i termini del sillogismo con dei simboli tratti dall’alfabeto e indicanti rispettivamente il termine maggiore, medio e minore (in questo caso, A = mortale, B = animale, C = uomo), si potrà generalizzare il sillogismo sopra citato nei seguenti modi:

Se A inerisce a ogni B, e se B inerisce a ogni C, allora è necessario che A inerisca a ogni C.

Oppure:

Ogni B è A, ogni C è B ogni C è A.

Le “figure” del sillogismo

In base alla posizione occupata dal termine medio, Aristotele distingue varie “figure” di sillogismo.

Nella prima figura (rappresentata nel nostro esempio) il termine medio è soggetto della premessa maggiore e predicato della minore.

Nella seconda figura il termine medio è predicato di entrambe le premesse.

Nella terza figura il termine medio è soggetto di entrambe le premesse.

A queste figure, che sono quelle fondamentali distinte da Aristotele, se ne può aggiungere una quarta, nella quale il termine medio (inversamente a quanto succede nella prima figura) è predicato della maggiore e soggetto della minore.

Formalizzando il le varie figure con le lettere dell’alfabeto si ottiene:

1. se ... B è C e ... A è B, allora ... A è C

2. se ... C è B e ... A è B, allora ... A è C

3. se ... B è C e ... B è A, allora ... A è C

4. se ... C è B e ... B è A, allora ... A è C

Il problema delle premesse

Un sillogismo corretto può non essere vero

Negli Analitici primi Aristotele studia la struttura del sillogismo da un punto di vista puramente “formale”. Ma la validità di un sillogismo non si identifica con la sua verità, in quanto un sillogismo, pur essendo logicamente corretto, può partire da premesse false (ovvero non corrispondenti alla realtà) e quindi condurre a conclusioni , false.

Ad es. Ogni animale è immortale

Ogni uomo e animale

Ogni uomo e immortale

Il sillogismo è formalmente valido, rispetta pienamente la forma del sillogismo di prima figura (B è A, C è B, C è A), è però materialmente falso, perché sono false la premessa maggiore e la conclusione.

Il sillogismo scientifico

Negli Analitici secondi Aristotele si sofferma sul sillogismo, oltre che corretto, altresì vero, ossia sul cosiddetto sillogismo “scientifico”, o dimostrativo, che parte da

“premesse vere, prime, immediate, più note della conclusione, anteriori a essa e cause di essa” (Analitici secondi, 2, 71b, 20-25).

e quindi giunge a conclusioni vere accrescendo la nostra conoscenza.

Il problema principale diventa quindi quello di scoprire come possiamo formulare delle premesse vere.

Gli assiomi generali

Per Aristotele per formulare premesse vere per i sillogismi è necessario, innanzitutto, accettare come validi i cosiddetti “assiomi”: le proposizioni intuitivamente vere che risultano comuni a più scienze (come il principio “se da due oggetti uguali si sottraggono parti uguali, i resti sono uguali”) oppure a tutte le scienze come:

1) il principio di non-contraddizione

gli altri due principi (che solo in seguito saranno esplicitamente codificati ed elevati al rango di principi fondamentali del pensiero):

2) il principio di identità, secondo cui ogni cosa e uguale a se stessa (A = A)

3) il principio del terzo escluso, secondo cui tra due opposti contraddittori non c’è via di mezzo (A è B o non-B).

I principi propri

Accanto a questi principi logici generalissimi ogni scienza particolare dovrà procedere alla definizione del proprio oggetto specifico e dei propri concetti.

Ad es.

La geometria è la scienza che si occupa delle forme nel piano e nello spazio e delle loro mutue relazioni.

Definizioni di angolo, figura geometrica, triangolo ecc.

Le definizioni: genere prossimo e differenza specifica

Le definizioni si conseguono predicando di un concetto (ad esempio di “uomo”) il suo genere prossimo (ad esempio “animale”) e la sua differenza specifica (ad esempio “ragionevole”). E’ chiaro che se la definizione di uomo come animale non è valida il sillogismo dell’esempio giunge conclusioni errate.

La definizione presuppone sempre un genere prossimo o superiore entro cui possa rientrare un determinato concetto, quindi le categorie, in quanto generi sommi, sono per Aristotele indefinibili come quella nozione trans-generica e trans-specifica per eccellenza che e il concetto di “essere”.

Il procedimento induttivo e i suoi limiti

Il problema delle premesse si concretizza in quello delle definizioni, ma come si otterranno le definizioni?

Aristotele sembra rispondere ricorrendo all’induzione, ossia a quel procedimento grazie al quale osservando dei casi particolari si ricava una affermazione di valore universale.

Ad es. Vedendo morire alcuni animali ricavo l’affermazione: Ogni animale è mortale

Ma l’induzione è priva di autentico valore dimostrativo: per essere “perfetta” essa dovrebbe infatti contemplare tutti i casi possibili; l’induzione non riesce ad attingere l’universale, ma soltanto il cosiddetto “universale per lo più” ossia un tipo di universale di cui non si può mai essere completamente sicuri.

L’intuizione intellettiva

Ma allora da dove derivano le definizioni che fungono da premesse di base per i sillogismi dimostrativi o scientifici?

Secondo Aristotele, che rifiuta l’idea di un passaggio all’infinito, esse derivano dalla medesima facoltà da cui derivano gli assiomi, ossia dall’intelletto (noús) e dal suo specifico potere di intuizione razionale:

 

il principio della dimostrazione non è una dimostrazione di conseguenza, neppure il principio della scienza risulterà una scienza. Ed allora, se oltre alla scienza non possediamo alcun altro genere di conoscenza verace, l’intuizione dovrà essere il principio della scienza. Così [...] l’intuizione risulterà il principio del principio [...].

(Analitici secondi, 19, 100b, 5-17)

“Come Platone, anche Aristotele credeva che noi otteniamo ogni conoscenza, in ultima analisi, da un’apprensione intuitiva delle essenze delle cose” (K. Popper).

Intuizione e induzione

L’intuizione intellettiva non può prescindere dall’esperienza, in quanto si forma gradualmente, attraverso l’esercizio e l’osservazione dei casi particolari (induzione).

Ma l’esperienza e l’induzione, nei confronti dell’intelletto, hanno un valore sussidiario, o preparatorio, ma non sostitutivo, in quanto rappresentano il mezzo lo stimolo che mette in moto l’intuizione: in alcune circostanze e sufficiente l’osservazione anche di un caso solo per carpire l’essenza. Normalmente è comunque l’esperienza di più casi che permette all’intelletto di cogliere l’universale.

Ad es. Dopo aver osservato in più occasioni che gli animali muoiono (universale “per lo più”), si può arrivare a comprendere, per intuizione intellettiva, che la mortalità è componente essenziale dell’animalità (universale “del sempre”) e procedere quindi alla formulazione di una definizione (del tipo “tutti gli animali sono mortali”) che può fungere da premessa maggiore di un sillogismo scientifico.

La scienza come sapere delle essenze

Per Aristotele la scienza si configura come un sapere delle essenze fondato su di un atto di intuizione intellettuale che opera a contatto con l ’esperienza. Tale sapere, che coincide con la conoscenza della causa o del perché ultimo e necessario degli oggetti (cioè con la conoscenza della sostanza), fa tutt’uno con la dimostrazione, intesa appunto come l’esplicitazione ragionata e conseguente, tramite la macchina del sillogismo, della sostanza e delle sue proprietà.

La dialettica

La dialettica, per Aristotele, si distingue dalla scienza per i suoi principi: i principi della scienza sono necessari, cioè assolutamente veri, mentre i principi della dialettica sono probabili, cioè “sembrano accettabili a tutti o ai più i ai competenti; e tra questi o ai più o a quelli più noti ed illustri”.

La “debolezza” della dialettica

A differenza di Platone, che vedeva nella dialettica la scienza più alta, propria del filosofo che mette in discussione i principi di tutte le altre scienze, Aristotele scorge nella dialettica soltanto un ragionamento debole, cioè un ragionamento che non arriva a concludere necessariamente, perché parte da premesse che sono solo probabili.  

Il mondo e l’anima

LA FISICA E LA PSICOLOGIA DI ARISTOTELE

1. La fisica

La fisica è, secondo Aristotele, la seconda scienza teoretica: essa viene subito dopo la filosofia prima, o metafisica, l’oggetto proprio della fisica è l’essere in movimento.

L’oggetto della fisica aristotelica

Le sostanze in movimento, che sono percepibili con i sensi, costituiscono l’oggetto della fisica. La fisica di Aristotele è, quindi, essenzialmente una teoria del movimento, all’interno della quale il filosofo distingue e classifica le sostanze fisiche proprio a partire dalla natura del loro movimento.

I tipi fondamentali di movimento

Aristotele ammette quattro tipi fondamentali di movimento:

· il movimento sostanziale, cioè la generazione e la corruzione;

· il movimento qualitativo, cioè il mutamento o l’alterazione;

· il movimento quantitativo, cioè l’aumento e la diminuzione;

· il movimento locale, cioè il movimento propriamente detto.

Soltanto il movimento locale, cioè il cambiamento di luogo, è il movimento fondamentale. Ad esso tutti gli altri si riducono: l’aumento e la diminuzione sono dovuti all’afflusso o all’allontanamento d’una certa materia; il mutamento, la generazione e la corruzione suppongono il riunirsi o il separarsi, di determinati elementi.

I tipi di movimento locale

Il movimento locale è di tre specie:

· movimento circolare intorno al centro del mondo;

· movimento dal centro del mondo verso l’alto;

· movimento dall’alto verso il centro del mondo

Il movimento dal centro del mondo verso l’alto e quello dall’alto verso il centro del mondo sono reciprocamente opposti possono appartenere alle sostanze terrestri, che saranno dunque soggette al mutamento, alla generazione e alla corruzione.

Infatti gli elementi costitutivi delle sostanze terrestri (aria, acqua, terra, fuoco) possono muoversi sia dall’alto verso il basso sia dal basso verso l’alto, provocando con questi spostamenti la nascita, il mutamento e la morte delle sostanze composte.

Il movimento circolare

Il movimento circolare, invece, non ha contrari, quindi le sostanze che si muovono solo circolarmente sono di necessità immutabili, ingenerabili e incorruttibili.

L’unico elemento che si muove con moto circolare è l’etere, che compone i corpi celesti, i quali sono quindi immutabili, ingenerabili e incorruttibili.

L’opinione secondo cui i corpi celesti sono formati da un elemento diverso rispetto agli elementi che compongono il resto dell’universo, e che perciò non sono soggetti alla vicenda di nascita morte e mutamento, durerà a lungo nella cultura occidentale e sarà abbandonata solo nel XV secolo, con Niccolò Cusano.

I luoghi naturali

Moti violenti e moti naturali

Per spiegare, i movimenti dall’alto, in basso e dal basso in alto, propri dei quattro elementi che compongono le cose terrestri, o sublunari, acqua, aria, terra e fuoco, Aristotele ricorre alla teoria dei luoghi naturali.

Secondo questa teoria ognuno dei quattro elementi elencati ha nell’universo un proprio luogo naturale: se una parte di essi viene allontanata dal suo luogo naturale (il che non può avvenire se non con un moto “violento” cioè contrario alla situazione naturale dell’elemento), essa tende a ritornarvi con un moto naturale.

I luoghi naturali dei quattro elementi

I luoghi naturali dei quattro elementi sono determinati dal loro rispettivo peso.

Al centro del mondo c’è l’elemento più pesante, la terra; intorno alla terra ci sono le sfere degli altri elementi, ordinati secondo il loro peso decrescente: acqua, aria e fuoco.

Il fuoco costituisce la sfera estrema dell’universo sublunare; al di sopra di esso c’è la prima sfera eterea, o celeste: quella della luna.

Aristotele era stato portato a questa teoria da esperienze assai semplici: la pietra immersa nell’acqua affonda, cioè tende a situarsi al di sotto dell’acqua; una bolla d’aria rotta nell’acqua sale alla superficie dell’acqua, sicché l’aria tende a disporsi al di sopra dell’acqua; il fuoco fiammeggia sempre verso l’alto, cioè tende a congiungersi alla sua sfera, che è al di sopra dell’aria.

Perfezione e finitezza dell’universo

Gli attributi dell’universo

L’universo fisico, che comprende i cieli formati dall’etere e il mondo sublunare costituito dai quattro elementi, è, secondo Aristotele, perfetto, unico, finito ed eterno.

La perfezione del mondo è dimostrata da Aristotele ricorrendo alla teoria pitagorica della perfezione del numero 3: il mondo, possedendo tutte e tre le dimensioni possibili (altezza, larghezza e profondità), è perfetto perché non manca di nulla.

Se il mondo è perfetto è anche finito. Infinito significa infatti, per Aristotele, incompiuto: è infinito ciò che manca di qualche cosa, quindi ciò a cui può essere sempre aggiunto qua1cosa di nuovo. Il mondo invece non manca di nulla: esso è dunque finito.

Nessuna cosa reale può essere infinita: ogni cosa esiste in uno spazio, e ogni spazio ha un centro, un basso, un alto e un limite estremo. Ma nell’infinito non possono esistere né un centro, né un alto, né un basso, né un limite.

Quindi nessuna realtà fisica è realmente infinita, e la sfera delle stelle fisse segna i limiti dell’universo; al di là dei quali non c’è spazio. Questo significa che nessun volume determinato può essere maggiore del volume di questa sfera e che nessuna linea può protrarsi al di la del suo diametro. Da ciò deriva che non possono esistere altri mondi oltre il nostro.

Lo spazio e il tempo

La negazione del vuoto

In natura non può esistere neppure lo spazio vuoto. Infatti lo spazio non è concepibile come realtà a sé stante, indipendente dai corpi. Il luogo è sempre luogo-di qualcosa ed è come la superficie che delimita un corpo.

Questa teoria dello spazio porta a negare non solo il vuoto intracosmico, cioè il vuoto tra oggetto e oggetto, ma anche il vuoto extracosmico, ossia il vuoto che “ospiterebbe” l’universo.

Per Aristotele se ha senso chiedere dove si trovi un oggetto, non ha senso chiedere dove si trovi il mondo. In altre parole, tutte le cose sono nello spazio, ma non l’universo: quest’ultimo, infatti, non è contenuto in alcunché, poiché è ciò che tutto contiene (questa dottrina che può sembrare astrusa, presenta in realtà alcune somiglianze con il modello di universo proposto da Einstein).

Il tempo come misura del divenire

Per quanto riguarda il tempo, Aristotele afferma che esso si definisce solo in relazione al concetto di divenire, poiché in un ipotetico universo di realtà immutabili la dimensione temporale non esisterebbe. Aristotele osserva tuttavia che il tempo, in senso stretto, non è il mutamento delle cose, bensì la misura del loro divenire “secondo; il prima e il poi” e, siccome ogni misura presuppone una mente misurante capace di contare, la mente si configura come la condizione imprescindibile del tempo.

Alcuni studiosi tendono a interpretare questa posizione come se in esso Aristotele avesse anticipato le teorie soggettivistiche del tempo, cioè le dottrine che riducono il tempo a un fatto puramente mentale. In realtà nella prospettiva aristotelica il tempo è qualcosa che, pur trovando la propria formulazione nell’anima, trova al tempo stesso la propria condizione oggettiva fuori dell’anima.

L’eternità del mondo

In quanto totalità perfetta e finita il mondo è eterno, ciò significa che esso non ha avuto principio e non avrà fine.

All’eternità del mondo è congiunta l’eternità di tutti gli aspetti fondamentali e di tutte le forme sostanziali che lo costituiscono: sono eterne le specie animali, e in particolare la specie umana, la quale secondo Aristotele può subire alterne vicende nella sua storia sulla terra, ma è imperitura e ingenerata.

La Fisica nella storia della scienza

L’importanza storico-culturale della Fisica aristotelica è notevole. Da essa emerge infatti un’immagine globale del mondo che influenzerà per secoli la scienza occidentale.

La vittoria di Aristotele e il trionfo della sua “mentalità” presentano tuttavia un prezzo, pagato nella storia dalla cultura scientifica:

· la sconfitta dell’atomismo democriteo, cioè del maggior sistema scientifico greco;

· il ritardo della nascita della scienza;

La contrapposizione tra Aristotele e Democrito

La contrapposizione tra Democrito e Aristotele riguarda alcuni punti essenziali della fisica.

· Democrito crede nel movimento degli atomi nel vuoto Aristotele nega che esista il vuoto.

· Democrito crede che il movimento sia una proprietà strutturale della materia; Aristotele lo fa dipendere da qualcosa che esiste fuori della materia.

· Democrito ritiene che cielo e terra siano costituiti dalla stessa materia, proponendo quindi l’idea di un cosmo unitario e omogeneo; Aristotele, rifacendosi ai pitagorici e a Platone, torna alla bipartizione gerarchica tra mondo celeste e mondo sublunare, immaginandoli costituiti di sostanze diverse, infrangendo così quell’unità dell’universo che la fisica moderna dovrà di nuovo ricostruire.

· Democrito crede in un universo costituito da una molteplicità di mondi; Aristotele crede in un universo limitato a un solo mondo.

· Democrito cerca di ridurre le differenze qualitative dei fenomeni a differenze quantitative, ponendo le basi per una matematizzazione della fisica; Aristotele sviluppa una una fisica qualitativa, che elimina la possibilità di un’applicazione della matematica alla fisica (e su questo punto Aristotele compie un grave passo indietro anche rispetto a Platone).

Tutte queste differenze derivano dalla maggior diversità metodologico-filosofica dei due autori: Democrito si propone di spiegare il mondo mediante le sole cause naturali e meccaniche, mentre Aristotele fa ricorso alle cause finali una delle caratteristiche-chiave della propria indagine fisica, che poggia sul principio secondo cui “la natura non fa niente senza scopo”.

La distanza tra Aristotele e al scienza moderna

Come si può notare da questi esempi, alcuni dei grandi motivi che distanziano Aristotele da Democrito sono gli stessi che separano Aristotele dalla scienza moderna, la quale infatti, riprendendo e sviluppando molte intuizioni democritee, dovrà ingaggiare contro Aristotele, o meglio contro i suoi dogmatici seguaci, una lotta secolare.

2 Psicologia e gnoseologia

L’anima e le sue funzioni

La psicologia è per Aristotele una parte della fisica; essa studia l’anima che è oggetto della fisica in quanto forma “incorporata” nella materia: la matematica studia invece le forme astratte, o separate dalla materia.

L’anima come forma del corpo

L’anima è una sostanza che informa e vivifica un corpo. Essa è “l’entelécheia di un corpo che ha la vita in potenza”, forma che fa sì che il corpo, vita in potenza, risulti vita in atto. Come ogni strumento ha una propria funzione, che è l’attività dello strumento stesso (la funzione della scure, ad esempio, è di tagliare): il corpo, in quanto strumento, ha come funzione quella di vivere e di pensare, e l’atto di questa funzione e appunto l’anima.

Il rifiuto dei modelli naturalistico e orfico-pitagorico

Questa concezione dell’anima implica il rifiuto dei due principali modelli con cui i filosofi precedenti avevano tentato di spiegare l’anima.

· Il modello naturalistico-materialistico: l’anima come una sorta di “materia sottile”; ad esempio Democrito

· Il modello orfico-pitagorico: l’anima come una sostanza a sé stante; ad esempio Platone

· Contro i materialisti Aristotele fa valere l’idea dell’anima come principio o struttura formale

· Contro gli orfico-pitagorici sottolinea la connessione anima-corpo. Pur non riducendosi a corpo, secondo Aristotele l`anima opera soltanto a contatto con il corpo.

Le funzioni dell’anima

Aristotele distingue tre funzioni fondamentali dell’anima:

· la funzione vegetativa: la possibilità di nutrirsi e riprodursi, propria di tutti gli esseri viventi, a cominciare dalle piante;

· la funzione sensitiva: la possibilità di sentire (la sensibilità) e di muoversi, propria degli animali e dell’uomo;

· la funzione intellettiva: la possibilità di ragionare propria dell’uomo.

Le funzioni più elevate possono far le veci delle funzioni inferiori, ma non viceversa; così nell’uomo l’anima intellettiva compie anche quelle funzioni che negli animali sono svolte dall’anima sensitiva e nelle piante da quella vegetativa.

La teoria della conoscenza: sensibilità, immaginazione e intelletto

Il senso comune

Per quanto riguarda la teoria della conoscenza, Aristotele parte dalla sensibilità affermando che oltre ai cinque sensi, ognuno dei quali fornisce particolari sensazioni, (colori, suoni, sapori ecc.), c’è un senso comune che ha una duplice funzione:

· costituire la coscienza della sensazione, cioè di “sentire di sentire” funzione ché non può appartenere ad alcun senso particolare;

· percepire le determinazioni sensibili comuni a più sensi, come il movimento, la quiete, la figura, la grandezza, il numero e l’unità. 

Sensazione e oggetti sensibili

La sensazione in atto coincide per Aristotele, con l’oggetto sensibile: ad esempio, l’udire un suono coincide con il suono stesso.

In tal senso si può dire che, se non ci fossero i sensi, non ci sarebbero gli oggetti sensibili (se non ci fosse la vista, non ci sarebbero i colori).

Però non ci sarebbero in atto, ma ci sarebbero in potenza, perché essi coincidono con la sensibilità solo nell’atto di questa.

L’immaginazione e le immagini generali

Dal senso si distingue l’immaginazione: la facoltà di produrre, evocare o combinare immagini indipendentemente dagli oggetti cui esse si riferiscono.

L’immaginazione è prodotta dalla sensibilità (l’immagine è una sorta di traccia, o memoria, lasciata nell’anima dalla sensazione), ma si distingue strutturalmente da essa per la sua autonomia nei confronti degli oggetti esterni.

L’immaginazione ha anche la possibilità di fondere insieme le diverse immagini di oggetti affini in un’unica immagine generale: ad esempio, partendo dalle immagini particolari dei vari uomini l’immaginazione costruisce un’immagine generale di uomo in cui sono conservati i tratti degli uomini abitualmente percepiti: Eliminando ciò che vi è di peculiare in ciascuna immagine prticolare, l’immagine generale rappresenta quindi una sorta di presupposto antecedente sensibile del concetto universale.

L’intelletto e i concetti universali

Tuttavia l’universale sarebbe destinato a non venire mai alla luce, se non intervenisse l’intelletto. L’intelletto, lavorando sui dati offerti dalla sensibilità e dall’immaginazione (Aristotele è un convinto anti-innatista), riesce a enucleare, con un processo di astrazione, la forma, o sostanza intelligibile, delle cose, ossia riesce a costruire i concetti universali su cui si basa tutta la nostra conoscenza.