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IL PUNTO Le notizie di LiberaUscita Giugno 2012 - n° 96 LE LETTERE DI AUGIAS 2452 - Il terremoto per cause “soprannaturali” 2453 - La Chiesa e le regole dello Stato 2454 - I gay italiani tra Cassano e i cattolici 2455 - Il futuro dell’uomo tra religione e scienza 2456 - Aborto, l’obiezione tra coscienza e convenienza 2457 - Il diritto all’aborto e l’ideologia dei medici 2458 - Cosa impongono laicità e razionalità 2459 - L’uomo e i limiti della scienza MATRIMONIO E UNIONI CIVILI 2460 – Pisapia: unioni civili, avanti comunque – di Oriana Liso 2461 - “Famiglia cristiana”? per noi, più semplicemente famiglie 2462 - Le famiglie cambiano – di Serena Noceti 2463 - La laicità di Pisapia e la teocrazia di Ratzinger – di Maria Mantello 2464 - Bersani: legge sulle coppie gay – di Maria Teresa Meli 2465 - Sì alle coppie di fatto, no all’ipocrisia PDL - di Federico Orlando 2466 - Crescete e moltiplicatevi: il matrimonio cattolico – di Walter Peruzzi 2467 - Se l’amore finito ha bisogno di tempi brevi – di Michela Marzano ABORTO E OBIEZIONE DI (IN)COSCIENZA 2468 - Aborto: campagna nazionale contro l’obiezione di coscienza 2469 - L’obiezione di coscienza - di Vittoria Tola e Grazia Dell'Oste 2470 - LAIGA denuncia lo stato attuale della ginecologia in italia 2471 - La legge 194 è costituzionale - la Consulta respinge il ricorso 2472 - La violenza dei medici obiettori - di Giancarlo Nobile 2473 - «Brava» ad Emma Bonino – di Federico Orlando TESTAMENTO BIOLOGICO E FINE VITA 2474 - Congresso dei medici internisti: non legiferare sul fine vita 2475 - Il sindaco Alemanno boicotta i referendum - di Paolo Boccacci 2476 - La morte opportuna - di Nicoletta Tiliacos UNA CHIESA DA RIFORMARE 2477 - Il clero non può più contare sul gentil sesso - di Emanuela Susmel 2478 - Non c’è una Chiesa senza Chiesa - di Carlo Sini 2479 - Riformare la Chiesa - libro di Pablo Richard 2480 - Quel che resta dei cattolici: libro di Marco Marzano - di Nadia Urbinati 2481 - La bibbia non sbaglia mai? di Walter Peruzzi 2482 - Chiesa, la sfida degli atei deboli - di Franco Garelli 2483 - I populisti che arruolano Dio - di Marco Ventura PD: EPPUR SI MUOVE… 2484 - Diritti e persone, il documento del PD – di Maria Zegarelli 2485 - Il PD, i diritti civili e la necessità di mediare- di Pierluigi Battista

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IL PUNTOLe notizie di LiberaUscita

Giugno 2012 - n° 96LE LETTERE DI AUGIAS

2452 - Il terremoto per cause “soprannaturali”2453 - La Chiesa e le regole dello Stato 2454 - I gay italiani tra Cassano e i cattolici2455 - Il futuro dell’uomo tra religione e scienza 2456 - Aborto, l’obiezione tra coscienza e convenienza2457 - Il diritto all’aborto e l’ideologia dei medici 2458 - Cosa impongono laicità e razionalità2459 - L’uomo e i limiti della scienza

MATRIMONIO E UNIONI CIVILI2460 – Pisapia: unioni civili, avanti comunque – di Oriana Liso 2461 - “Famiglia cristiana”? per noi, più semplicemente famiglie2462 - Le famiglie cambiano – di Serena Noceti 2463 - La laicità di Pisapia e la teocrazia di Ratzinger – di Maria Mantello2464 - Bersani: legge sulle coppie gay – di Maria Teresa Meli 2465 - Sì alle coppie di fatto, no all’ipocrisia PDL - di Federico Orlando 2466 - Crescete e moltiplicatevi: il matrimonio cattolico – di Walter Peruzzi2467 - Se l’amore finito ha bisogno di tempi brevi – di Michela Marzano

ABORTO E OBIEZIONE DI (IN)COSCIENZA2468 - Aborto: campagna nazionale contro l’obiezione di coscienza2469 - L’obiezione di coscienza - di Vittoria Tola e Grazia Dell'Oste2470 - LAIGA denuncia lo stato attuale della ginecologia in italia 2471 - La legge 194 è costituzionale - la Consulta respinge il ricorso2472 - La violenza dei medici obiettori - di Giancarlo Nobile2473 - «Brava» ad Emma Bonino – di Federico Orlando

TESTAMENTO BIOLOGICO E FINE VITA2474 - Congresso dei medici internisti: non legiferare sul fine vita2475 - Il sindaco Alemanno boicotta i referendum - di Paolo Boccacci2476 - La morte opportuna - di Nicoletta Tiliacos

UNA CHIESA DA RIFORMARE2477 - Il clero non può più contare sul gentil sesso - di Emanuela Susmel2478 - Non c’è una Chiesa senza Chiesa - di Carlo Sini2479 - Riformare la Chiesa - libro di Pablo Richard2480 - Quel che resta dei cattolici: libro di Marco Marzano - di Nadia Urbinati2481 - La bibbia non sbaglia mai? di Walter Peruzzi 2482 - Chiesa, la sfida degli atei deboli - di Franco Garelli 2483 - I populisti che arruolano Dio - di Marco Ventura

PD: EPPUR SI MUOVE…2484 - Diritti e persone, il documento del PD – di Maria Zegarelli2485 - Il PD, i diritti civili e la necessità di mediare- di Pierluigi Battista2486 - Niente nozze gay nel programma PD – di Rosy Bindi2487 - Etica e diritti, i meriti del comitato Bindi - di Aldo Schiavone2488 - PD: un nuovo modo di considerare i diritti – di Mimmo Lucà

DALL’ESTERO2489 - Svizzera: italiano sceglie il suicidio assistito - di Pino Stoppon2490 - Le donne turche a difesa della legge sull’aborto - di Alberto Tetta 2491 - Inghilterra: la chiesa minaccia lo scisma dallo stato inglese2492 - Il British Medical Journal invita i medici inglesi alla neutralità2493 - Spagna: Zapatero riappare e sfida un cardinale - di Andrea Nicastro

DAL TERRITORIO2494 - Il registro dei T.B.a San Lazzaro di Savena – di Massimiliano Cané2495 - Il registro dei biotestamenti a Torino - di Graziella Sturaro

PER SORRIDERE…2496 - Le vignette di Ellekappa - terremoti politici2497 - Le vignette di Held - il Vaticano campione olimpionico2498 - Le vignette di Staino – se penso alla Grecia…

2452 - IL TERREMOTO PER CAUSE “SOPRANNATURALI” - DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di martedì 5 giugno 2012

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Caro Augias, dopo il terribile terremoto che nel 1755 distrusse Lisbona provocando più di sessantamilamorti, Voltaire scrisse il Poème sur le désastre de Lisbonne, nel quale confutò la posizione ottimistica di Leìbniz sulla teodicea negando la sostenibilità di una giustizia divina.L'uomo è in balia della natura e dio assiste indifferente alle sventure umane. Leopardi, decenni dopo, assunse una posizione ancora più radicale. Il dibattito, dunque, è antico, ma i suoi termini sono attuali o dovrebbero esserlo per i credenti nell'autore di un disegno intelligente. Invece, anche in occasione dell'ultimo terremoto, il silenzio sotto il profilo filosofico e teologico è stato, che io sappia, totale. Certamente una responsabilità umana c'è stata, visto il collasso di tanti capannoni stupidamente costruiti che hanno causato la morte di esseri umani, ma il terremoto è o non è un evento naturale? Un terremoto non è Auschwitz, non è una frana devastante dovuta all'incuria umana di un paesaggio, un credente non mi venga a dire che è un castigo divino! Marcello Savini – (lì[email protected])Risponde Corrado AugiasPer la verità c'è anche chi ha detto di peggio. Roberto De Mattei, messo dalla signora Brichetto in Moratti a fare il vicepresidente del Cnr, quando ci fu il terremoto in Giappone disse che questi eventi «Sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio». De Mattei citava come fonte uno scritto di monsignor Mazzella, arcivescovo di Rossano Calabro, che così s'era espresso commentando il terremoto di Messina del 1908. La fede, come si vede, non sempre illumina. La questione della Teodicea, cioè il modo in cui la divinità amministri la giustizia, è antica come ricorda il signor Savini. Durante il terre-maremoto di Lisbona alcuni bambini che s'erano rifugiati nella cattedrale implorando misericordia, vennero schiacciati dal crollo di alcune statue. Pochi giorni fa don Ivan Mattini, parroco di Rovereto nella Bassa modenese, che era riuscito a mettersi in salvo, è voluto rientrare nella chiesa per portare al sicuro anche una statua della Madonna. Un crollo improvviso l'ha ucciso.Alla domanda da dove provenga il male nel mondo, questa specie di male che s'abbatte su creature innocenti, nessuno ha mai dato una risposta ragionevole. Abbiamo una serie di formulazioni confuse o le farneticazioni dei fanatici. Il filosofo Hans Jonas ha ipotizzato (dopo Auschwitz) che un'eventuale divinità o non è onnipotente o non è infinitamente buona. Le due qualità attribuite al dio non possono coesistere come vorrebbe il detto «Non si muove foglia che Dio non voglia» che in circostanze come quelle di Lisbona o di Rovereto diventa addirittura blasfemo. C'è ovviamente una terza possibilità e cioè che Dio, ammesso che esista, semplicemente non si curi di noi.

2453 - LA CHIESA E LE REGOLE DELLO STATO - DI CORRADO AUGIASda: la Repubblica di giovedì 7 giugno 2012 Caro Augias, lo Stato è un po' bambino, ed è giusto che il Papa gli ricordi tante volte che "è chiamato a riconoscere l'identità propria della famiglia, fondata sul matrimonio e aperta alla vita», e che "è a servizio e a tutela della persona a cominciare dal diritto alla vita, di cui non può mai essere consentita la deliberata soppressione». Ma non c'è speranza che un giorno dica ad esempio, che lo Stato deve impedire che i ricchi diventino sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri? Oppure, non so, che lo Stato si adoperi con tutti i mezzi per impedire che le donne siano maltrattate e uccise dagli uomini? Avrà letto la notizia di quell'imbecille che ha ucciso prima una giovane donna davanti alle sue bambine e solo dopo si è tirato un colpo in testa? Oppure la preoccupazione del Papa è solo per la vita degli embrioni, e per le coppie sposate e aperte alla vita?

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Veronica Tussi - veronica. tussi@tiscalLit Risponde Corrado AugiasDa più parti, anche all'interno del mondo cattolico, la politica del Papa viene criticata per questa sua ossessiva concentrazione sui temi cosiddetti etici. È come se tutta l'azione che la Chiesa di Roma ritiene meritevole d'attenzione fosse quella riferita all'inizio e alla fine della vita. Quello che c'è in mezzo, le ingiustizie, le violenze, la criminalità, l'orrore di una società centrata solo sul denaro sembra contare molto meno. Che senso ha dire che l'aborto non si può praticare mai? Nessun senso, intanto perché ci sono circostanze in cui è bene che venga fatto per esempio per salvare la madre o impedire una nascita mostruosa. Comunque il papa sa (ma lo saprà?) che abolire l'aborto fatto secondo una legge giudiziosa quale la nostra significa riaprire le macellerie gestite dalle mammane con i ferri da calza. L'aborto, il divorzio, la procreazione assistita non si possono eliminare, possono solo essere spostati altrove, in un altro paese, rendendoli più cari o meno sicuri o tutt'e due le cose. La verità è che il papa preme sulla "cattolicissima Italia" perché sa, questo lo sa, che è uno dei pochi paesi rimasti dove i suoi moniti vengono accolti addirittura nella legislazione estendendoli in tal modo anche a chi cattolico non è. Non potrebbe certo dire le stesse cose in Francia, tanto meno nella sua Germania. Mi ha scritto il signor Arturo Martinoli: «Mi rendo conto che un Papa deve fare il suo lavoro stimolando i Cattolici a seguire le leggi della loro Chiesa. I laici come me non hanno nulla in contrario, molti però sono favorevoli all'aborto, al divorzio, alle coppie gay e non possono accettare quel messaggio. D'altronde i cattolici non sono tenuti ad abortire e possono morire tra lancinanti dolori, ma perché dei non cattolici dovrebbero seguire le loro regole trasformate in leggi del nostro Stato?».

2454 - I GAY ITALIANI TRA CASSANO E I CATTOLICI - DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di giovedì 14 giugno 2012Caro Augias, quando ho scoperto di essere omosessuale, nel 1993, quelli come me erano ancora profondamente discriminati. Se ripenso alla mia vita credo che il dramma non sia stato scoprire la mia omosessualità ma rendermi conto che-sarebbe stato sinonimo di solitudine, non solo dal mondo che ti circonda ma anche dalle istituzioni. Sei un diverso, sarai solo. Ti tratteranno facendotelo silenziosamente pesare e tu dovrai lottare il doppio per dimostrare se e quanto vali. Lo dico con amarezza; tuttora, se mi guardo intorno, gli omosessuali che fingono di non esserlo perché le porte della società non si chiudano sono migliaia. Vite intrise di amarezza, ipocrisia e bigottismo. Oggi leggo che noi non siamo ancora una priorità, per le nostre vite e le nostre richieste c’è tempo, possiamo aspettare. Per quanto si possa cercare di spiegare che essere gay non è una scelta ma una condizione, ci sarà sempre qualcuno che punterà il dito, ignorando i sentimenti, non rispettando l’essere umano e i suoi valori, perché anche gli omosessuali hanno valori e sentimenti, ma condannandoli per la loro condizione. Ma forse, come dice un ragazzotto che tira calci al pallone, i problemi dei “froci” riguardano davvero solo i”froci”. Non me la prendo troppo con lui perché vedo che anche altri, molto più attrezzati culturalmente, la pensano in fondo allo stesso modo.Francesco Cardillo - [email protected] Corrado AugiasII signor Cardillo ha ragione nel non volersela troppo prendere con Cassano. Molti di questi giovanotti del pallone hanno buoni piedi ma pochissima testa. Giorni fa c’era stata la frase di Buffon sui soldi, martedì quella di Cassano sui “froci”. Li si deve scusare non perché poi si affrettano loro stessi a scusarsi ma perché sono giovani che sanno poco aldilà di ciò che materialmente vedono e toccano nei brevi anni della loro carriera. Chissà se qualcuno non cominci davvero a diventare adulto quando smette di giocare e si guarda

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finalmente intorno e capisce com’è fatta la vita fuori dalle partite, i soldi, le donne, le macchine, i tifosi. Più preoccupante, anche perché con maggiori conseguenze pratiche, la reazione del mondo cattolico. Giorni fa aveva anticipato l’aria che tira Formigoni; temendo di essere messo da parte dalle gerarchie dopo quello che ha combinato, ha tentato di riprendere centralità attaccando i gay, un terreno sicuro. Poi è arrivata l’uscita di Bersani sulle unioni stabili tra omosessuali e il fronte s’è aperto. Il cattolico Fioroni ha minacciato addirittura di far concorrenza al segretario del partito, il giornale dei vescovi ha tuonato. Ingenuamente pensavo che la celebre battuta che costò a Buttiglione il posto di commissario europeo appartenesse ormai al passato. Invece la Chiesa si arrocca ancora sui “froci”. Con quel che succede nel mondo fa molta impressione.

2455 - IL FUTURO DELL’UOMO TRA RELIGIONE E SCIENZA - DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di sabato 16 giugno 2012Gentile Corrado Augias, Vito Mancuso ha scritto che “il futuro dell’uomo non è solo nella scienza” in opposizione a Veronesi il quale però non credo che pensi questo, si è solo espresso con entusiasmo sui risultati della tecnologia. La scienza si propone di capire i meccanismi dei fenomeni naturali e cerca di organizzarli secondo razionalità, con teorie che sottopone a verifiche e aggiornamenti. Questo metodo è negato alla teologia, che invece ha da tempo acquisito una verità definitiva. Alla scienza si può fare un diverso appunto: non considerare sempre le priorità nell’investire le risorse, in particolare quelle destinate alla conoscenza pura. Ad esempio, conoscere meglio la stella Fomalhaut, a 25 anni luce dalla Terra che richiede la costruzione di un osservatorio a 5000m di altitudine in Cile. Francamente sembra meno urgente dei provvedimenti per impedire che un miliardo di esseri umani rimanga senza cibo. Sembra altrettanto urgente che chi si occupa di religione denunci, prima delle carenze future della scienza, la superstizione mercantile che ancora affligge Lourdes, Fatima, Medjugorje.Franco AjmarRisponde Corrado AugiasLa discussione innescata dal doppio intervento di Umberto Veronesi e di Vito Mancuso sulla scienza è del più grande interesse. Dei rapporti tra religione e società si discute da prima ancora del cristianesimo. Il sofista Crizia, in un suo dramma, accenna la teoria che gli dèi furono inventati per impedire agli uomini di delinquere. Machiavelli giudica la paura delle pene eterne più efficace delle leggi per mantenere i buoni costumi. La religione però è anche la principale fonte di speranze e di consolazione al contrario della razionalità che, diceva Chateaubriand, “non ha mai asciugato una sola lacrima”. Mancuso ha ragione a dire che non si vive di sola scienza e credo che anche Veronesi sarebbe d’accordo. Mancuso semmai esagera quando tira dalla sua Einstein ricordando la frase “la scienza senza religione è zoppa, la religione senzascienza è cieca”. Parole che non mi pare rispecchino ciò che Einstein ha detto altrove. Per esempio parlando della religione ebraica come di un insieme di leggende infantili. Non mi pare che oggi ci sia nessuno che vuol rimuovere il sacro dal mondo, né sarebbe possibile. Si dovrebbe invece cercare di tenere separato il sacro dalla vita civile. Il Discorso della Montagna, sublime per ispirazione, sarebbe un disastro se trasformato in articoli del codice. La scienza non può assoggettarsi al dogma o perde il suo carattere di scienza; la religione invece si fonda sul dogma o non è più religione. La spiritualità vera rifugge dall’imposizione forzata, domanda silenzio e concentrazione, sicuramente non ama la politica e i soldi. Con Mancuso di questo abbiamo discusso a lungo; sono cose che sa e che condivide.

2456 - ABORTO, L’OBIEZIONE TRA COSCIENZA E CONVENIENZA - DI C. AUGIAS

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da: la Repubblica di giovedì 21 giugno 2012 Caro Augias, di fronte al dilagare del fenomeno mi chiedo se tutti questi medici siano davvero obiettori di coscienza, o non obiettori per convenienza. Credo che la domanda sia lecita. Da un comunicato della Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l'applicazione della legge 194/78 (Laiga) del 14 giugno, apprendo che a 34 anni dall'entrata in vigore della legge sull'aborto l'obiezione di coscienza tra i medici è cresciuta, e che in alcune zone della Penisola la percentuale degli obiettori raggiunge l'80 per cento. Se è un problema di coscienza, infatti, come si spiega che questa coscienziosa coscienza sia più diffusa in Molise, in Campania, in Sicilia, e in Basilicata dove la percentuale tocca addirittura l'85 per cento? I medici delle regioni del Nord sono meno coscienziosi dei medici delle regioni del Sud? E ì medici inglesi, francesi, tedeschi, sono meno coscienziosi dei medici italiani? Coscienza o convenienza? I motivi della presenza di tanti medici obiettori nel nostro Paese saranno diversi, però credo che uno dei principali sia analogo a quello che spinse Pilato a lavarsi le mani davanti alla folla. Attilio Doni - [email protected] Risponde Corrado AugiasNon so se il paragone con Pilato sia giusto anche perché quel gesto famoso è in realtà meno semplice di quanto non appaia. Si obietta all'intervento abortivo per molte diverse ragioni, compresa quella di un'autentica contrarietà di tipo religioso. Ma poiché la percentuale degli "obiettori" supera largamente quella dei cattolici praticanti secondo i sondaggi, intervengono anche ragioni di tipo diverso. Una delle più frequenti, mi ha spiegato un primario ginecologo, è che l'aborto, dal punto di vista della tecnica chirurgica, è un intervento semplice e ripetitivo, dà poche soddisfazioni e rischia di confinare a lungo chi lo attua in una posizione defilata. Interviene poi, secondo la stessa fonte, la volontà di non esporsi soprattutto in certe realtà dove prevalgono posizioni conservatrici; qui è la politica ad avere un suo peso stilla scelta dell' obiezione. Del resto alcuni esponenti dell'oltranzismo cattolico sono arrivati ad invocare il diritto all'obiezione di coscienza "non solo per coloro che sono impegnati a vario titolo nelle strutture ospedaliere, ma anche per i farmacisti". Le conseguenze di questi atteggiamenti possono diventare drammatiche. A Messina è stato chiesto il rinvio a giudizio per un medico di guardia del reparto di Ostetricia e ginecologia del Policlinico che si era rifiutato di assistere una donna per un aborto terapeutico dovuto a gravi malformazioni del feto. Al momento delle contrazioni, nessuno l'aveva soccorsa perché erano tutti obiettori. La poveretta ha dovuto abortire da sola nel bagno della sua stanza in ospedale. Così impara, e capisce in che Paese vive.

2457- IL DIRITTO ALL’ABORTO E L’IDEOLOGIA DEI MEDICI – DI CORRADO AUGIASda: la Repubblica di martedì 26 giugno 2012 Caro Sig. Augias, ho letto la lettera del sig. Doni su aborto e obiezione di coscienza. Rispetto le opinioni di tutti, però chiedo: ma la coscienza di cui si parla tanto non dovrebbe essere quella delle donne che si apprestano a fare un intervento così importante? Credo che nessuna vada ad abortire a cuor leggero, i dubbi sono tanti, i rimorsi possono perseguitarti per tutta la vita. Io credo che ogni donna abbia "obiettato" (mi passi il termine) con la propria coscienza più e più volte. Quanti precetti del Giuramento di Ippocrate vengono messi in atto dai medici antiabortisti? A mio parere costoro dovrebbero esercitare il diritto di obiezione sulla loro coscienza, su quello che vorrebbero fare a loro stessi, non su quello che le donne in difficoltà gli chiedono, esercitando un diritto sancito dalla legge. Uno stato laico non può negare assistenza alle donne che vogliono abortire. Un ospedale non può avere nel suo organico solo medici obiettori, lo stesso diritto all'assistenza che si

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dà alle donne che fanno figli bisogna darlo anche a quelle che non vogliono/possono/ devono farne. Nicoletta Santi - [email protected] Risponde Corrado Augias L a lotta contro l'aborto regolamentato da una legge equa ha molte intenzioni nascoste comprese alcune in malafede. Ciò che si vuole affermare è una posizione di principio: queste cose in Italia non si possono fare. Come fu per la legge sulla procreazione assistita. Anche allora ciò che si voleva era confermare il monopolio su concepimenti e nascite. Le conseguenze pratiche della legge, i drammi che avrebbe provocato, le maggiori spese, la disparità tra cittadini abbienti e meno abbienti,l'umiliazione di dover andare in Turchia per fare un'operazione proibita in Italia, tutto questo contava zero rispetto all'affermazione ostinata, ideologica, del principio. Si giunse a violare platealmente la legge elettorale pur di garantire il risultato. Vale lo stesso per l'aborto. Nessuno di questi oltranzisti si chiede che cosa succederebbe nella vita di migliaia di donne ove mai la legge sull'aborto venisse abolita o anche solo intaccata. Tutti fingono di aver dimenticato qual era la situazione prima della legge. I pullman che partivano dalla Liguria, destinazione Nizza o Cannes. Questo nel migliore dei casi. Nel peggiore il tavolo della mammana e il ferro da calza, la possibile perforazione dell'utero, i pericoli connessi, soprattutto il senso di vergogna. Ecco forse è qui il vero nodo del problema. Per ogni donna, come scrive la signora Santi, l'aborto è un dramma. Il dolore resta ma ciò che la legge ha tolto è la vergogna. Non ci si vergogna più di convivere liberamente, di divorziare, di abortire quando sia necessario. Per alcuni fanatici è questo l'aspetto che giudicano insopportabile.

2458 - COSA IMPONGONO LAICITA’ E RAZIONALITA’ – DI CORRADO AUGIASda: la Repubblica di venerdì 29 giugno 2012 Caro Augias, da una vita cerco di capire la differenza trai concetti di laicità e laicismo. La lettera della signora Nicoletta Santi, con relativa sua risposta (“Il diritto all’aborto e l’ideologia dei medici”), mi ha aperto gli occhi. Laicità è capacità di discutere razionalmente, laicismo è pre-convinzione di essere nel giusto. Nessuna discussione possibile: l’aborto è un diritto, il medico che non accetta di praticarlo un oscurantista che offende le donne. E se le dicessi che ho conosciuto, di persona, una donna che ha tranquillamente scelto di abortire 7 (sette) volte? Anche questo è un diritto, a cui nessuno può permettersi di obiettare? La questione è troppo complessa, delicata, seria per liquidarla con poche parole di comodo. Abortire non è di per sé un diritto come votare, o risiedere dove si vuole, o avere la libertà di esprimere il proprio pensiero. E qualcosa di enormemente più complicato. Ed è proprio questo che il laicismo, diventando a sua volta “pensiero religioso”, dimentica.Ludovico Pratolini — MilanoRisponde Corrado AugiasLaicità è capacità di discutere razionalmente, scrive il signor Pratolini. È una buona definizione,usiamola. Per discutere razionalmente, metterei subito da parte la donna che ha abortito “tranquillamente” sette volte. Si tratta di una patologia (forse mentale) che fa caso a sé, tirarla in ballo significa offendere tutte le altre donne che abortiscono “dolorosamente” perché non possono fare altrimenti. Come del resto la legge italiana prevede: casi gravi, gravi impossibilità, con una ratio di fondo che vuole impedire proprio abusi del genere. Dovremmo sapere dove e come quella donna ha potuto con tale tranquillità abortire per sette volte, tali i limiti posti alla possibilità di farlo data anche l’esclusione esplicita di usare l’aborto come “mezzo di controllo delle nascite”. Discutiamo razionalmente perché è alla razionalità che la legge si affida: la vita della madre, le gravi malformazioni del feto, una violenza carnale subita. Nella famosa 194 c’è

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anche l’articolo 14 che detta: “Il medico che esegue l’interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite”. Laicità (e razionalità) impongono di parlare anche di questo. Non si può, in base a “principi non negoziabili”, tentare da una parte di impedire l’aborto, anche quando necessario, e dall’altra ostacolare la diffusione di mezzi anticoncezionali per esempio ostacolando la vendita di nuovi prodotti o indebolendo la rete dei consultori.. Anche questa è una “preconvinzione di essere nel giusto”. Quanto ai medici obiettori, nessuno nega che ce ne siano spinti da sincere motivazioni religiose, ma se non vogliamo essere ipocriti sappiamo che largamente intervengono anche motivazioni meno nobili. Suvvia, siamo “razionali”.

2459 - L’UOMO E I LIMITI DELLA SCIENZA - DI CORRADO AUGIASda: la Repubblica di mercoledì 27 giugno 2012 Caro Augias, ho letto con interesse gli interventi di Veronesi e di Mancuso sul dibattito scienza-religione. Ho trovato però che siano stati mescolati temi importanti con altri non dello stesso livello. Importante dire che il sacro non è possibile rimuoverlo poiché non si vive di sola scienza. Non di uguale livello sostenere, come lei ha fatto, che il metodo della razionalità sia negato alla teologia, o che gli dèi siano stati inventati per incutere timore, e che la religione sia superstizione. Se si accetta la scienza con tutti i suoi limiti ed errori, perché non accettare anche le contraddizioni della religione? La teoria comtiana che prefigura un arretramento della religione a seguito dell'avanzare della scienza, suggestiona ancora molti, ma l'intellettuale serio e onesto sa che non è vera. Io credo che più cresce la scienza, più la religione cresce. Allo stesso modo quando la religione resta se stessa, anche la scienza ne beneficia. Bisogna evitare le due certezze dove tutto è bianco o nero. Sergio Benetti docente di religione - Dueville (VI) - [email protected] Corrado AugiasLa discussione si è sviluppata con numerose lettere di opinioni anche molto diverse. Il signor Augusto Rebaldi ritiene per esempio che la fiducia di Veronesi nella scienza e nella tecnologia sia pienamente giustificata dai risultati. Basta pensare, precisa: «All'aumento della durata nella vita media, alle vittorie contro molte malattie, ai record conseguiti negli sport, impensabili fino a pochi anni addietro». Secondo il signor Giorgio Castriota ai due termini scienza e religione si dovrebbe aggiungerne un terzo: la 'visione antropologica': «In mezzo ai due poli" ottimistici" sia pure molto diversi di Veronesi e Mancuso, forse converrebbe ragionare un pochino anche sui meccanismi intrinseci alla nostra antropologia ed evoluzione, poco considerati nei dibattiti ufficiali». Molti ritengono (compreso chi scrive) che tra scienza e religione siano numerosi i punti di attrito a partire dal connotato di fondo che già nel II secolo l'apologeta Tertulliano riassumeva nello slogan "Credo quia absurdum".- Credo proprio perché questo o quell'aspetto della fede risultano incomprensibili secondo logica. In questo aspetto così affascinante della fede sta anche - la sua inconciliabilità con la scienza. La scienza può essere 'falsificata' cioè dimostrata erronea perché si fonda su elementi precisi e verificati, cioè dimostrabili. Nessuno potrà mai dimostrare che i dogmi delle religioni sono inverosimili perché è proprio l'inverosimiglianza il loro connotato essenziale e lì risiede la loro attrattiva, per chi ne sente il bisogno. Voltaire pensava che: «Al termine di quasi tutti i capitoli che trattano di metafisica dovremmo porre le lettere 'N.' e 'L.': non liquet, non è chiaro».

2460 - PISAPIA: UNIONI CIVILI, AVANTI COMUNQUE - DI ORIANA LISO da: www.milano.repubblica.it di sabato 1 giugno 2012

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Si era detto: se ne parlerà dopo la visita del Papa a Milano, e sarà portato nell’aula del consiglio comunale dopo la discussione — che si annuncia tempestosa — sul bilancio. Ma il registro delle coppie di fatto è uno di quei temi che salta tutte le file e che provoca prese di posizione diametralmente opposte anche all’interno della stessa maggioranza arancione. Ai suoi il sindaco Pisapia lo ha detto chiaro, due giorni fa: «Il registro sarà realtà entro l’anno, se non lo farà il Consiglio me ne occuperò io». Per venerdì prossimo, poi, il Comune ha concesso la sala Alessi al Padova Pride Village per la presentazione della raccolta firme per la prima proposta di legge di iniziativa popolare per il riconoscimento delle coppie di fatto: in sala, o collegati, Anna Paola Concia (Pd), Gennaro Migliore (Sel), Luciana Littizzetto, Vladimir Luxuria, Nichi Vendola e probabilmente lo stesso sindaco. È nella maggioranza — anzi, nel primo partito della sua maggioranza — che non tutti la pensano come Pisapia. Si asterranno o voteranno contro la delibera due consiglieri del Pd. Andrea Fanzago spiega: «Per non essere una finzione o una bandiera ideologica il registro deve essere deliberato dal Parlamento: così a cosa serve? Credo sia ardito chiamare con lo stesso nome cose diverse, e il termine famiglia indicato dalla Costituzione ha un suo profilo ben preciso». Perplessità simili anche per un altro consigliere cattolico del Pd, Marco Cormio: «Non ne capisco l’utilità, nelle scelte che stiamo facendo come amministrazione non c’è alcuna preclusione ai servizi anche per le coppie non sposate». Fa un appello, Cormio, «a rispettare chi come me la pensa diversamente» e sposta a dopo l’estate la discussione.Un rinvio che cozza con la richiesta di fare presto avanzata da altre anime del Pd e dagli altri partiti di maggioranza. «Ha fatto bene Pisapia a porre il problema dell’urgenza del registro — spiega il consigliere socialista dei Democratici, Roberto Biscardini — non è importante chi decide ma l’importante è farlo in fretta, e non è irriverente ricordare, oggi che arriva il Papa, che ci sono altri tipi di famiglie e di coppie». Accanto a lui Marilisa D’Amico, sempre del Pd, che legge quello del sindaco come «un invito a fare presto, è quello per cui ci siamo impegnati e che vogliamo», poi Anita Sonego della Sinistra per Pisapia, e Patrizia Quartieri, capogruppo di Sel, che assicura: «La delibera dovrà specificare che il registro è aperto a tutte le coppie. Sono soprattutto quelle omosessuali a non poter scegliere se sposarsi o no».È favorevole, ma non la considera “il” tema di cui discutere immediatamente, la capogruppo pd Carmela Rozza. Che assicura: non ci sarà obbligo di voto (anche senza i due consiglieri la delibera passerebbe, e nell’opposizione i laici potrebbero votare a favore) e aggiunge che «se non dovessimo avere la maggioranza ci penserà il sindaco, ma penso che il Consiglio debba cimentarsi su un tema così importante e che tocca il diritto delle coppie, soprattutto omosessuali, di esistere come realtà familiari. Ne parleremo entro l’anno ma evitiamo alzate di scudi ideologiche».

2461 . “FAMIGLIA CRISTIANA”? PER NOI, PIU’ SEMPLICEMENTE FAMIGLIEda: www.criticaliberale.it di lunedì 4 giugno 2012 Alla vigilia del VII Incontro Mondiale delle Famiglie, che si svolge dal 30 maggio al 3 giugno, le Chiese protestanti storiche di Milano (Battista, Metodista e Valdese) rivolgono un saluto alla comunità cattolica che si incontrerà nella nostra città e l’augurio che questi siano giorni positivi di riflessione, di festa e di incontro fraterno.Nello stesso tempo desiderano rivolgere ai cittadini alcuni pensieri che spieghino il punto di vista dei cristiani protestanti sul tema della e delle famiglie.1. La famiglia è un’istituzione umana e non divina. Ha subìto nel corso del tempo e all’interno delle società umane delle trasformazioni che oggi ci portano a prendere atto che dobbiamo coniugare sempre al plurale la sua definizione e descrizione: parlare cioè di famiglie, di tanti tipi di famiglie e non di una sola, quella tradizionale. In una realtà fatta di

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luci e ombre, nelle famiglie – e dunque in ogni aggregazione di tipo familiare – oltre a relazioni e significati positivi vi sono anche tensioni, ma tutte le forme di famiglia sono preziose quando affermano e vivono nell'amore responsabile una reciproca solidarietà e fedeltà tra i suoi componenti. Le varie forme di famiglie e di unioni possono trovare nelle chiese un riconoscimento. Ma questo riconoscimento lo devono avere soprattutto da parte delle istituzioni e della società civile: un riconoscimento giuridico che dia diritti e riconosca doveri alle varie forme di unione – anche dello stesso sesso - estendendo loro quanto già contenuto nella nostra Costituzione e ribadito anche recentemente in sede europea.2. Noi cristiani protestanti (battisti, metodisti, valdesi) privilegiamo una fede personale, che si esprime anche pubblicamente, sia nella comunità dei credenti che nella testimonianza nella città e nella società, con tutto il carico che ogni scelta comporta in termini di responsabilità individuale, di doveri e diritti che devono essere riconosciuti ad ogni persona. Ma dobbiamo anche dire che la fede è "comunitaria": proprio nella dimensione della fede ci vengono donati nuovi fratelli e nuove sorelle. Gesù dice che questa è la sua famiglia. E questa famiglia comprende tutti e tutte, anche le persone che, magari, avrebbero voluto una famiglia e non sono riusciti a realizzarla, quelli che hanno fatto delle esperienze di vita tremende proprio nella famiglia biologica, e che nella famiglia di Dio hanno trovato delle relazioni che sostengono e orientano.3. Pur rispettando le posizioni che la sostengono, noi cristiani protestanti non condividiamo la nozione di “sacralità del matrimonio e della famiglia” e l’esasperazione che se ne fa nello spazio mediatico e pubblico, tanto meno tutto ciò che si vuole far discendere da questa affermazione. Non ci sono oggi particolari necessità di fare della famiglia un luogo privilegiato del discorso e della prassi cristiana. Piuttosto sottolineiamo la possibilità di vivere in modo cristiano la coppia e la famiglia: la coppia è una realtà della buona Creazione di Dio, che diviene con il matrimonio civile un’istituzione della società, ma che i credenti vivono come un dono e come una sfida benedetta. Il matrimonio per noi protestanti non è un sacramento, ma un’espressione particolare dell’amore del prossimo e dell’alleanza di grazia che lega i credenti al loro Signore. Anche nel caso di matrimoni interconfessionali e interreligiosi.4. In questo quadro, riteniamo anche che non si possa penalizzare chi si trova nella condizione di separato/a o divorziato/a. O chi, dopo il divorzio si vuole risposare. O chi non vive in coppia o in una famiglia nucleare. O anche coloro che hanno formato una coppia dello stesso sesso. In questa campo le comunità cristiane possono avere un ruolo di accompagnamento, vicinanza e solidarietà nei momenti difficili o nella gioia, ma sempre rispettando le scelte personali, lasciando libertà e dunque non penalizzando o condannando. Ogni ambito della vita affettiva e relazionale è un luogo importante in cui vivere la propria vocazione nel discepolato di Colui che non sacralizza i nostri progetti di vita, ma li relativizza e li benedice, nella prospettiva del regno di Dio che trasforma e redime la nostra umanità.Le Chiese Evangeliche Battista, Metodista e Valdese di Milano

2462 - LE FAMIGLIE CAMBIANO - DI SERENA NOCETI da: l’Unità di lunedì 4 maggio 2012«Lavoro e festa» sono l’angolo prospettico sotto il quale è stato avvicinato il delicato tema della famiglia nell’incontro mondiale appena conclusosi a Milano. La prospettiva adottata intercetta con intelligenza preoccupazioni vitali per ogni nucleo familiare, raccoglie nella fatica post-moderna di armonizzare i «tempi del vivere» i difficili equilibri tra la sfera del personale e le esigenze del sociale e ricolloca così là dove si gioca chiaramente la relazione tra scelte individuali e struttura sociale la questione che il magistero cattolico da alcuni decenni considera centrale: il riconoscimento della famiglia quale struttura basilare della società.

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La preoccupazione per la tenuta del tessuto sociale in Occidente e il richiamo a ripartire da questa «cellula base» per vivere relazioni, appartenenza, dinamiche culturali sono emersi con chiarezza dalle parole del Papa, insieme all’appello a una politica che formuli criteri per ripensare welfare, sistema economico, mercato del lavoro in modo da salvaguardare l’istituto familiare che sperimenta fragilità sempre più evidenti e insieme rappresenta, in questo tempo di crisi, uno dei luoghi di «tenuta» sociale ed economica più rilevanti.Un tale richiamo al «fare famiglia» sotto questa prospettiva di lavoro e tempi di vita risuona indubbiamente utile proprio nello scenario italiano, segnato da una «cultura della famiglia» che rimane diffusa e radicata ma che è particolarmente debole sul piano legislativo proprio in ordine alle politiche per le famiglie. Allo stesso tempo non si può non rilevare che proprio il «dossier famiglia» fa percepire la difficoltà che la Chiesa cattolica e il suo magistero hanno nell’interpretare i cambiamenti sociali avvenuti nell’ultimo secolo.Le trasformazioni nella relazione di coppia e nei ruoli familiari, la priorità riconosciuta al codice affettivo rispetto alla regolazione oggettiva dell’impegno, il superamento di logiche di autorità e lo spazio dato alle dinamiche comunicative, il riconoscimento della soggettualità dei bambini e la crisi della maschilità, il pluralismo di modelli familiari presenti, hanno inciso profondamente sulla strutturazione delle famiglie: «fare famiglia» si dà secondo nuove forme e nuovi significati.Al di sotto della parziale recezione di queste prospettive da parte del magistero sono individuabili due questioni nodali non ancora adeguatamente tematizzate nell’immaginario cattolico: la soggettualità libera delle donne (non riducibile mai al solo «sponsale-materno») e l’autonomia di pensiero e di scelta dell’adulto. La parola della Chiesa appare oggi poco significativa proprio perché non capace di intercettare il ridefinirsi dell’umano intorno a queste due prospettive del moderno: stigmatizza così comportamenti individuali secondo un codice non più condiviso, perpetua stereotipi di genere, si arrocca nel ripetere un già esperito, perché non si fa interpellare fino in fondo dal cambiamento delle relazioni affettive e dalla ri-collocazione della famiglia nell’insieme delle dinamiche sociali.Proprio perché appaiono essenziali gli appelli al valore della persona, l’attenzione alle relazioni primarie davanti all’anonimato crescente, il richiamo al ruolo proprio della famiglia per l’educare e per il passaggio tra generazioni, la Chiesa in Italia non può pensare di imboccare la sola via di un’influenza politica della gerarchia per modifiche sul piano legislativo. Rischia di risultare inadeguata al futuro la posizione di chi sottovaluti la trasformazione avvenuta e lo sviluppo di una pluralità di modelli familiari e pretenda di pensare la famiglia intorno a una sola «forma» (per molti ormai anacronistica), in una società che in ogni caso non si sviluppa più per adeguamento a procedure standardizzate o a modelli predeterminati socialmente.Per la società italiana come per la Chiesa la sfida rimane quella di apprendere dalla famiglia di oggi la sua logica più rilevante: abitare il quotidiano creando di volta in volta, con laboriose negoziazioni comunicative e per via di mediazione, gli spazi e i tempi del «con-vivere».(*) Teologa

2463 - LA LAICITA’ DI PISAPIA E LA TEOCRAZIA DI RATZINGER – DI M. MANTELLOda:http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-laicita-di-pisapia-e-la-teocrazia-di-ratzingerUn discorso da rappresentante di un paese democratico, laico e plurale, quello che il sindaco Pisapia ha rivolto a papa Ratzinger in visita a Milano per il “VII incontro mondiale delle famiglie”.Un discorso che sarebbe da considerare normale, se purtroppo non fossimo abituati a inchini e inginocchiamenti vari di ministri, parlamentari, amministratori locali, di fronte a papi e cardinali.Pisapia, che ha accolto il papa il 1 giugno a Piazza Duomo, ha portato col suo discorso il saluto di tutti i milanesi. Non c’era formalismo in quel “tutti”, visto che al primo posto il

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sindaco ha messo l’appartenenza nella cittadinanza che include nella pariteticità e reciprocità del riconoscimento della singolarità e quindi della differenza. «Sono le diversità – ha detto Pisapia – che definiscono i nostri tempi. Diversità di cultura, di credo; di benessere e di possibilità di vita. Diversità di razze, di colori, di speranze. La diversità non può e non deve essere motivo di scontro. Può e deve essere fonte di aggregazione, di ricchezza, di unità. E, comunque, a tutte e a tutti deve essere garantita parità di diritti». Non ha fatto altro che riaffermare il supremo principio della laicità dello Stato. Un principio costituzionale che è al di sopra di tutti, fondativo del patto costituzionale stesso perché garanzia della civile convivenza democratica. Il che significa che non c’è benessere individuale e sociale senza libertà di scelta per caratterizzare la propria vita tra le diverse possibilità di definizione individuale. Un riconoscimento reciproco che diventa formidabile fattore di aggregazione sociale, perché è nella parità di accesso ai diritti che si realizza la pienezza della cittadinanza. Per questa costruzione di democrazia reale occorre impegno, dialogo. E soprattutto volontà di porre tra parentesi i propri assoluti. È necessario – continua Pisapia nel suo discorso di benvenuto a Benedetto XVI – «cercare di abbattere barriere, di essere aperti al contributo di tutti al di là delle bandiere e al di sopra delle etichette. Io penso che bisogna gettare dei ponti. Non alzare dei muri».E da laico parla di famiglia come sede degli affetti: «Famiglia significa amore, rispetto, solidarietà. E significa scelta, scelta di condividere un pezzo di strada. La famiglia è, in piccolo, la nostra società».La scelta di vivere insieme. Una scelta affettiva. Una scelta di essere coppia. E il riconoscimento delle coppie di fatto è attualmente l’urgente richiesta della società civile. Da Milano, come in tante altre città d’Italia, sta partendo un’offensiva formidabile per veder riconosciuto questo diritto.Il papa lo sa e per questo forse ha voluto che proprio Milano ospitasse questo VII incontro mondiale delle famiglie. Ma per riaffermare l’idea di famiglia tradizionale: dell’unione di uomo e di una donna nel vincolo matrimoniale. Una famiglia cattolica, base della società cattolica.Il pontefice lancia ponti cattolici. Nel suo discorso, glorificazione dell’ortodossia, non a caso esalta s. Carlo Borromeo «plasmatore della coscienza e del costume del popolo» proprio e «soprattutto con l’applicazione ampia, tenace e rigorosa delle riforme tridentine». Quelle che il papa chiama “riforme” sono i dettami del Concilio di Trento, con il suo famigerato “Indice dei libri proibiti”, la cui pubblicazione si deve proprio a Carlo Borromeo, che cura anche il primo Catechismo e la Professio fidei Tridentinae, sintesi ad uso delle parrocchie perché chierici e fedeli fossero educati nell’unico credo: «Riconosco la Santa cattolica apostolica Chiesa di Roma, madre e maestra di tutte le chiese, e prometto e giuro sincera obbedienza al Romano Pontefice, successore del beato Pietro, principe degli apostoli e vicario di Gesù Cristo». Questo credo resta invariato nella chiesa curiale e Ratzinger lo rilancia: «Dove c’è Pietro, là c’è la Chiesa – dice il papa a piazza Duomo, citando il patrono di Milano s. Ambrogio – In Pietro c’è il fondamento della Chiesa e il magistero della disciplina».E chiarisce: «La Chiesa ambrosiana, custodendo le prerogative del suo rito e le espressioni proprie dell’unica fede, è chiamata a vivere in pienezza la cattolicità della Chiesa una, a testimoniarla e a contribuire ad arricchirla. Il profondo senso ecclesiale e il sincero affetto di comunione con il Successore di Pietro, fanno parte della ricchezza e dell’identità della vostra Chiesa». Nessuna storicizzazione, nessuna secolarizzazione, ma un’unica verità, un’unica fede, un’unica chiesa, un’unica morale.

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Anche la famiglia allora deve essere “normocostituita” – come ripeterà ai raduni milanesi –, normalizzata al catechismo. E poiché di questo modello di mariana famiglia la donna è custode, il papa nel discorso in piazza Duomo porta ad esempio «santa Gianna Beretta Molla, sposa e madre, donna impegnata nell’ambito ecclesiale e civile».Gianna Beretta, coniugata Molla, è stata proclamata santa da papa Wojtyla il 16 maggio 2004. A febbraio di quello stesso anno era stata varata la legge 40, trampolino di lancio per minare la 194. Questa donna, madre di 4 figli, era morta nel 1962 perché, come disse papa Wojtyla, «fino al sacrificio estremo mantenne eroicamente fede all’impegno assunto il giorno del matrimonio». Ovvero mettere al mondo figli anche a costo della sua vita. Forse il nome di Gianna Beretta Molla sarà pure scivolato sulle migliaia di “sacre famiglie” chiamate a raccolta da tutto il mondo a Milano, ma non è certo ignoto a quegli integralisti cattolici che insieme a formazioni neofasciste e neonaziste hanno marciato su Roma il 13 maggio scorso contro la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza . E che a madrina di quella marcia hanno chiamato Gianna Emanuela Molla, la figlia nata da quel «sacrificio estremo» della madre che aveva tenuto «eroicamente fede all’impegno assunto il giorno del matrimonio». Indisponibilità della vita, sacra famiglia, sacra educazione. Niente di nuovo neppure stavolta sotto il sole un po’ annebbiato di Milano. E se il Sindaco Pisapia, anche rispetto a Cristo, propone la strada della laicizzazione per costruire un ponte di comunicazione: «Credo che il messaggio rivoluzionario di Cristo si sposi oggi ancora più facilmente con il messaggio di chi vuole ridurre le differenze, alleviare la miseria, portare nel mondo la giustizia. Con umiltà, che è il modo in cui intendo questa mia missione laica…»; le parole del papa quel ponte lo sbarrano: «la fede in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, vivente in mezzo a noi, deve animare tutto il tessuto della vita, personale e comunitaria, pubblica e privata, privata e pubblica, così da consentire uno stabile e autentico “ben essere”». Insomma al Sindaco che proponeva costruzione di ponti nella ricerca individuale di “benessere” risultato di scelte individuali tra diverse “possibilità” di esserci, il pontefice massimo il suo ponte universale lo vuole tutto disposto nell’ortodossia della fede pontificale, dove le leggi divine (o meglio del papa) devono “ben essere” le leggi umane. Unica possibilità di esistere nell’omologazione all’idea di Bene prefissata. Totalità dell’essere, nell’unico “essere” considerato bene. Per fede.Altro che dialogo! Ancora una volta la teocrazia è servita.(5 giugno 2012)

2464 - BERSANI: LEGGE SULLE COPPIE GAY - DI MARIA TERESA MELI da: il Corriere di domenica 10 giugn0 2012«Basta con il far west, serve una legge per le unioni civili»: Pier Luigi Bersani invia il suo messaggio al Gay Pride nazionale di Bologna, scegliendo di rompere gli indugi e di usare quelle parole chiare che finora non aveva mai pronunciato.L'altro giorno la mossa a sorpresa sulle primarie, ora questa uscita sugli omosessuali: il segretario sembra aver innestato la quarta. Ed effettivamente è così. Con i compagni di partito il leader non ha nascosto la propria insofferenza nei confronti di come viene dipinto il Pd: «Fanno la nostra caricatura, descrivendoci come un partito fermo, immobile. Adesso basta, è il tempo di muoverci e di prendere delle iniziative». Detto, fatto. Bersani ha parlato con due importanti esponenti Pd del mondo gay, Aurelio Mancuso, presidente di Equality, e Andrea Benedino, e dopo essersi consultato con loro ha mandato quel messaggio: «Non è accettabile che in Italia non si sia ancora introdotta una legge che faccia uscire dal far west le convivenze stabili tra omosessuali, conferendo loro dignità sociale e presidio giuridico».

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Per Bersani è anche «intollerabile che questo Parlamento non sia riuscito a varare una legge contro l'omofobia e la transfobia: sarà anche su questi temi — sottolinea il segretario del Pd — tra cui mi permetto di aggiungere il divorzio breve, l'introduzione del diritto di cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia e il testamento biologico, che nei mesi che verranno di qui alle prossime elezioni politiche, si giocherà la nostra capacità di parlare al Paese».Come era ovvio, le parole di Bersani hanno suscitato un dibattito dentro e fuori il Pd. Scontati i «no» dei pdl Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello, che approfittano dell'occasione per seminare zizzania tra Casini e Bersani. E altrettanto ovvio anche il «no» dell'Udc Rocco Buttiglione. Ma è all'interno del partito che il segretario rischia di trovare le resistenze maggiori. Come dimostrano le critiche che gli rivolge Beppe Fioroni: «Io faccio mie le parole che Benedetto XVI ha pronunciato nel corso di un incontro con un milione di persone a Milano: la politica non prometta cose che non può mantenere. E oggi con le famiglie che non riescono ad andare avanti, con la povertà e la disoccupazione, il nostro programma deve essere quello di tentare di risolvere la crisi. Sbagliare i tempi in politica è come fare cose sbagliate». Per un Fioroni che prende le distanze dal segretario, c'è una Paola Concia entusiasta: «Ottimo Bersani, andiamo avanti così». Del resto, la deputata del Pd e Aurelio Mancuso sono tra coloro che più si stanno muovendo per ottenere che il Partito democratico imbocchi la strada dei diritti civili. Possibilmente, senza tornare indietro.E Matteo Renzi? Qual è la posizione del più importante competitor di Bersani? Il sindaco di Firenze spiega di essere favorevole alle unioni civili per i gay: «Del resto, questa richiesta era già nei cento punti della Leopolda. Purtroppo per Bersani, la campagna elettorale non sarà su quello». Ma quella per le primarie sì. Almeno questo è quello che teme il cattolicissimo Fioroni e che al contrario sperano Mancuso e Concia.

2465–SI’ ALLE COPPIE DI FATTO, NO ALL’IPOCRISIA PDL-DI FEDERICO ORLANDO da: Europa di mercoledì 13 giugno 2012Cara Europa, vorrei dire a Bersani, tramite le vostre pagine, il mio “grazie” di uomo “libero e liberale” per aver imboccato senza reticenze la via dei diritti civili, che non potrà non qualificare, nel ventunesimo secolo, la democrazia riformista contrapposta all’oscurantismo dei conservatori che negano l’eguaglianza. Io non sono gay, ho una famiglia “tradizionale”, ne sono contentissimo e mi auguro che essa resti sempre il fondamento maggioritario della nostra società: dal quale, come da un tronco sano, partano i rami delle differenze, anche radicali, ma tutte riconosciute e garantite dalla tolleranza e dalla legge comune.Nicola Capano – SalernoRisponde Federico OrlandoCaro avvocato, molti colleghi ed io pensiamo come lei e abbiamo sostenuto, al tempo di Prodi, la battaglia di Rosy Bindi e di altri “cattolici adulti” a favore dei Dico o unioni civili per le coppie di fatto: eterosessuali o omosessuali maschili e femminili. Volevano essere i Pacs francesi, tradotti in italiano con nome diverso. E sostenemmo anche il tentativo, ancor meno fortunato, del secondo e meno rimpianto governo del professore. In un momento in cui sono prevalenti le preoccupazioni economiche, Bersani ha detto al gay pride di Bologna che bisogna far uscire i diritti civili dal far west.Su coloro che li invocano, la crisi economica incide ancor più spietatamente che su tutti noi, perché colpisce persone appunto prive di tutele giuridiche. Credo che su questo aspetto del problema potrebbe convenire anche l’ex ministro Fioroni. L’area dei diritti civili comprende, oltre al riconoscimento delle coppie, la lotta all’omofobia e alla transfobia, il divorzio breve, il testamento biologico, il diritto di cittadinanza per i figli di immigrati nati in

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Italia, e – vorrei aggiungere – una politica di prevenzione educativa e di repressione giudiziaria della violenza alle donne, omicidi (femminicidi) familiari, edizione Duemila del famigerato “delitto d’onore” che per secoli sporcò la cultura e la giustizia italiane. Che tutto ciò comporti la fiera opposizione dei Lupi, dei Quagliariello, dei Giovanardi (non parlo di Buttiglione, che è un filosofo di ben altra e alta cultura cattolica), non meraviglia.Mi spiace invece che anche il nostro senatore D’Ubaldo pensi che il riconoscimento di diverse forme d’unione banalizzi quella che tutti riconosciamo come “il” matrimonio. Rispettiamo il diritto dei cattolici a chiedere che parole come famiglia e matrimonio siano riservate alla tradizione. Su questo punto ho trovato sempre un interlocutore convinto nel più intelligente rappresentante dei gay in parlamento, l’onorevole Grillini: nei suoi atti legislativi, non chiedeva “matrimoni” ma “unioni” per i suoi compagni. Del resto, alla stessa opinione dei cattolici, noi laici arriviamo con la nostra cultura civile e giuridica, che ben prima del diritto canonico diede del matrimonio, nel Digesto, le definizioni di Modestino, Ulpiano e altri geni pagani (che non sono solo monumenti davanti alla Cassazione per passanti ignari): Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae, consortium omnis vitae (…) et quasi seminarium rei publicae. Altro che remedium concupiscentiae e contorcimenti agostiniani o peggio. Quel quasi seminarium rei publicae spiega anche perché lo stato liberale, pur prevalentemente divorzista, trattò la materia con estrema cautela (e non la risolse). Solo lo stato democratico la risolse, per via legislativa (Fortuna e Baslini) e referendaria (Pannella). Oggi bisogna estendere ad altri cittadini e cittadine, tutt’ora di serie B, i diritti che le culture liberali radicali e socialiste hanno conquistato definitivamente agli italiani. È in uscita da Longanesi un importante saggio di Giulio Giorello, Il tradimento in politica, in amore e altrove, dove il matrimonio è definito fatto «politico» per eccellenza: nel senso che interessa la polis tutta, anche coi suoi modi di organizzarlo: nuptiae, pax, unione civile, unione di fatto, ecc. L’importante non è la differenza di denominazione ma l’uguaglianza degli effetti. Che fra l’altro, ma lo dico come opinione e auspicio personali, ci darebbero anche la normalità dei comportamenti pubblici di tutti i cittadini, senza costringerne alcuni a sindacalismi folkloristici come i gay pride.

2466-CRESCETE E MOLTIPLICATEVI: IL MATRIMONIO CATTOLICO - DI W. PERUZZIda: www.cronachelaiche.it di venerdì 16 giugno 2012Dal pessimismo che caratterizza la morale sessuale cattolica, cioè dalla sua concezione del piacere sessuale come concupiscenza, frutto del peccato e tendente al peccato, deriva una visione negativa anche del matrimonio. Esso, secondo Tertulliano, «si fonda sullo stesso atto proprio del meretricio» e per Pier Damiani, un grande predicatore del IX secolo, è una «sozzura» tale che Pietro poté purificarsene solo con il martirio.Il fine del matrimonioNei primi secoli cristiani si assegnavano alle nozze due scopi: fare figli e, come aveva detto Paolo, servire da rimedio alla concupiscenza. Secondo Giovanni Crisostomo, anzi, «dopo che la terra, il mare e tutte le regioni abitabili furono popolate» (La verginità), il matrimonio continuò a essere necessario solo per quest’ultimo scopo.Ma già con Agostino la Chiesa modificò tale posizione, che giustificava anche un rapporto sessuale non finalizzato alla riproduzione, indicando in quest’ultima il fine di gran lunga principale. Secondo Agostino la concupiscenza è in qualche misura scusabile («peccato veniale» lo definirà Innocenzo III) se «viene rivolta all’onesto scopo di propagare la prole».Nel Catechismo romano (1566), l’uso del matrimonio come rimedio alla libidine è consentito, purché non si abbiano rapporti sessuali «esclusivamente per voluttà», cioè dissociati dal fine riproduttivo. Nella Casti connubii (1930) Pio XI ribadisce che «l’atto coniugale per sua natura è ordinato a generare la prole». E il Decreto del S. Uffizio del 29 marzo 1944, approvato da Pio XII, respinge l’opinione di quanti «negano che il fine

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primario del matrimonio è la generazione e l’educazione della prole, o insegnano che i fini secondari … sono ugualmente principali ed indipendenti». L’impossibilità di «disgiungere» i due fini (soddisfacimento sessuale e generazione) è stata riconfermata dal Concilio Vaticano II e dal Catechismo del 1992.Sacro, uno, indissolubileAlla centralità della procreazione ed educazione dei figli si accompagna, nella concezione cattolica del matrimonio, l’idea che debba essere unico e indissolubile. La Chiesa, in altre parole, rappresenta il modello di famiglia storicamente sviluppatosi in Occidente come il modello di famiglia “eterno” e unico istituito da Dio stesso all’atto della creazione. Le attribuisce quindi anche un carattere “sacro”, che è «di spettanza della Chiesa» (Leone XIII) e deve essere consacrato da essa.Da un lato tale dottrina sembra fondarsi sulla rivelazione, cioè discendere dalle parole del Genesi, 2, 22-24 («Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una sola carne») e valere solo per chi crede ad esse. D’altra parte, però, Pio IX ha definito il vincolo del matrimonio «indissolubile per diritto di natura» e la Chiesa pretende quindi di imporlo anche agli stati laici, opponendosi al divorzio e tanto più ad altre forme di famiglie eterosessuali o – Dio ne scampi! – omosessuali. Nel febbraio 1994 Giovanni Paolo II si è pronunciato anche contro la risoluzione del Parlamento Europeo a favore delle unioni di fatto affermando che «Il Parlamento ha conferito indebitamente un valore istituzionale a comportamenti devianti, non conformi al piano di Dio».In altre parole la Chiesa, secondo una mai superata vocazione teocratica, afferma che la sua morale familiare «ripropone una verità evidenziata dalla retta ragione» (Ratzinger, Congregazione per la fede, 2003) e che come tale deve essere imposta a tutti i cittadini. Di qui, in Italia, la prolungata battaglia contro il divorzio, vinta dalle forze laiche solo col referendum del 1974, e la campagna – ancora in corso – contro le unioni di fatto omo ed etero.

2467 - SE L’AMORE FINITO HA BISOGNO DI TEMPI BREVI - DI MICHELA MARZANO da: la Repubblica di martedì 19 giugno 2012 “E vissero per sempre felici e contenti!”. Nelle fiabe, dopo mille peripezie, tutto finisce bene. “Lui” e “lei” si incontrano, si sposano, hanno tanti bambini e si vogliono bene per sempre. Nelle fiabe appunto. Dove l’amore è perfetto perché “lui” o “lei” sono capaci di darci tutto quello che vogliamo, corrispondono alle nostre aspettative, non ci deludono, non ci tradiscono, non cambiano… Peccato che nella vita le cose siano molto più complicate. E che quel “per sempre” si scontri spesso contro il muro della realtà. Una realtà fatta di incomprensioni e di tradimenti. Di cambiamenti e di sconfitte. Perché “lui” non è capace di ascoltarci e di capirci, torna a casa sempre più tardi, è nervoso e sfuggente. Perché “lei” assomiglia sempre di più a sua madre, non ha nessuna fiducia in se stessa, si occupa solo dei bambini… E allora, dopo un po’, ognuno vive separatamente. Oppure si litiga per qualunque cosa e la vita comune diventa un inferno.Non perché uno dei due sia “colpevole”. Non perché si prenda il matrimonio alla leggera. Non perché nel mondo contemporaneo non esistano più valori. Solo e banalmente perché la vita è così. È complicata e difficile. E poi si cambia. Ognuno di noi cresce, matura, si trasforma. E talvolta non ce la fa proprio più a continuare a vivere con la stessa persona. Anche se quando ci si era sposati si era sinceri. Anche se la volontà di costruire una famiglia insieme c’era tutta. Allora perché non separarsi e non divorziare? Perché trascinarsi e rovinare tutto, anche i ricordi più belli della vita in comune?Dopo l’introduzione nel 1970 del divorzio nell’ordinamento giuridico italiano e il referendum del 1974, anche in Italia è possibile sciogliere giuridicamente il vincolo matrimoniale. Oggi, con la proposta di un “divorzio breve” si tratta solo di rendere le procedure più flessibili e meno complicate. Un passo ulteriore, ma necessario, per tutti coloro che si trovano ad

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affrontare questo momento di lacerazione, come accade già nella maggior parte dei paesi europei. Perché nonostante tutto, non si divorzia mai a cuor leggero. Esattamente come non ci si separa facilmente. Che si tratti di una separazione o di un divorzio, è sempre un momento di rottura. E non è certo la presenza o l’assenza di ostacoli giuridici che determinano o meno la fine di una storia d’amore. Talvolta l’amore è finito da tempo, e il divorzio è solo un atto formale. Talvolta anche dopo il divorzio, alcune persone non riescono a fare il lutto della perdita dell’altro e continuano a non separarsene psicologicamente.Divorziare significa prendere atto che la vita in comune non è più possibile. Significa “perdere” una persona che si è amata, e che forse si ama ancora. Significa lasciarsi alle spalle quel progetto di vita in cui si era creduto e per il quale ci era sicuramente battuti a lungo. E quindi anche “perdonarsi” e “perdonare” per quella storia ormai finita, che niente e nessuno può far continuare. Anche quando sarebbe meglio, spesso per motivi materiali, restare insieme. Oppure anche per i figli, come si sente dire ancora oggi. Come se per i figli fosse meglio assistere alle scenate tra i genitori, oppure all’indifferenza reciproca che talvolta si installa in una coppia e che spegne, poco a poco, ogni passione.Separazione e divorzio fanno parte della vita. È così. Perché accade che le cose finiscano. E non sono certo le regole che impongono anni di separazione prima di chiedere un divorzio che possono funzionare come un deterrente. Al contrario. Aspettare anni prima di poter presentare una richiesta di divorzio rischia di rendere i rapporti tra i due coniugi ancora più tesi, e di inasprirne talmente le polemiche che, prima o poi, uno dei due rischia di crollare. Certo, non tratta di introdurre una procedura lampo, come nel 1792 in Francia, quando bastava che il marito andasse in comune e chiedesse il divorzio per ottenerlo. Si tratta solo di permettere a due persone che non vogliono (o non possono) più restare insieme di mettere fine al proprio matrimonio in tempi ragionevoli. Senza per questo immaginare che il divorzio sia semplice. Non lo è mai, anche quando è “breve”. Anche se permette di prendere atto da un punto di vista giuridico della fine di una storia, prima di cominciarne una nuova. Perché l’amore, anche se tra due persone non c’è più, dura per sempre. E anche se, a differenza delle fiabe, non è perfetto, è pur sempre il motore della vita. Anche quando cambia forma. Anche quando si rivolge ad un’altra persona.

2468 - ABORTO: CAMPAGNA NAZIONALE CONTRO L’OBIEZIONE DI COSCIENZAda: notiziario Aduc n. 23Ad illustrare l’iniziativa è la Consulta di Bioetica onlus, che il 6 giugno ha lanciato in tutta Italia la Campagna contro l'obiezione di coscienza “Il buon medico non obietta. Rispetta la scelta della donna di interrompere la gravidanza'”. Nel 1997 - riferisce l'associazione – “era obiettore il 60% dei ginecologi e il 50% degli anestesisti. Nel 2009 il numero dei ginecologi obiettori è passato al 71% e quello degli anestesisti ha superato il 50%. Oggi i medici obiettori sono più dell'80% e il loro numero è destinato ad aumentare perché nei prossimi anni i camici bianchi non obiettori andranno in pensione. Il tentativo di conciliare l'autonomia del paziente con quella del medico è fallito: dobbiamo scegliere se vogliamo tutelare l'autonomia del professionista sanitario e quindi, del ginecologo, dell'anestesista e dell'ostetrica oppure schierarci dalla parte delle donne e della loro battaglia in difesa della libertà e i diritti minacciati".La Campagna ha due obiettivi: "da una parte, incoraggiare un dibattito pubblico sulla legittimità del diritto all'obiezione di coscienza a più di trent'anni dall'approvazione della legge sull'interruzione di gravidanza e, dall'altra, rendere chiaro che il buon medico non è quello che non pratica le interruzioni di gravidanze ma quello che sta vicino alla donna e non la lascia sola in un momento difficile".

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In contemporanea con il lancio della Campagna in programma a Firenze, sia la Consulta che altre associazioni hanno promosso incontri in molte città. Il calendario degli incontri e delle iniziative è visibile sul sito consultadibioetica.org.Commento. Il 6 giugno si è tenuto a Roma, alla Festa di Sinistra Ecologia Libertà delle Terme di Caracalla, un incontro sul tema “Il buon medico non obietta” indetto dalla Consulta laica romana e dall’UAAR. Al dibattito, aperto da Gabriella Magnano della Consulta romana e coordinato da Cinzia Sciuto di Micromega, sono intervenuti Raffaele Carcano, Segretario nazionale UAAR; Mario Di Carlo, Coordinatore della Consulta romana; Chiara Lalli, autrice del libro “C’è chi dice no”; Anna Pompili, dell’associazione LAIGA e Andrea Moscatello, ginecologo. Nell’occasione il sottoscritto, intervenuto a nome di LiberaUscita, nel condividere tutte le ragioni che hanno indotto la Consulta di bioetica a indire la campagna nazionale contro l’obiezione di coscienza, ha ribadito la tesi – più volte espressa – che il principio costituzionale della laicità dello Stato, dalla cui mancata applicazione pratica discendono le attuali difficoltà verso l’affermazione del diritto alla autodeterminazione della persona non soltanto per quanto concerne l’inizio della vita (aborto e fecondazione eterologa) ma anche il corso della vita (unioni civili) e la fine di essa (testamento biologico, commiato civile), deve essere sostenuto da un grande Comitato Laico Nazionale, formato dalle persone più stimate e conosciute a livello nazionale e internazionale, in grado di rappresentare i milioni di italiani laici, credenti e non credenti, e le loro innumerevoli associazioni, in modo da controbilanciare l’attuale enorme potere mediatico della Chiesa cattolica romana e di influire sul risultato delle prossime elezioni elettorale basate sul sistema maggioritario. Non si tratta di costituire un nuovo partito, ma di dimostrare a quelli esistenti – e che esisteranno – che i laici voteranno per coloro che sosterranno le loro ragioni.(Giampietro Sestini)

2469 - L’OBIEZIONE DI COSCIENZA - DI VITTORIA TOLA E GRAZIA DELL'OSTE (*)da: www.italialaica.it di giovedì 7 giugno 2012L‘obiezione di coscienza nella Legge 194 è “astensione facoltativa da prestazioni di lavoro” diritto quindi della persona e non della struttura. Abbiamo sempre sostenuto che l’autodeterminazione delle donne trova di fronte a sé pubbliche responsabilità in una singolare forma di espropriazione e irresponsabilità, dove ciò che è intimo e personale viene sottratto alla sfera individuale e ciò che è pubblico viene scaricato in ambito privato.Abbiamo detto che noi sappiamo di avere dei diritti. Loro fingono di non avere dei doveri.Per legge le strutture sanitarie hanno l’obbligo di garantire gli interventi di interruzione di gravidanza, siano essi volontari o terapeutici. Ai singoli, siano essi medici, infermieri o ausiliari è garantito di potersi avvalere della “astensione facoltativa da prestazioni di lavoro” denominata obiezione di coscienza.Dal momento che quanto è un diritto del singolo non è diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, questa ha, anzi, l’obbligo di garantire la erogazione delle prestazioni sanitarie per quanto riguarda sia la Legge 194 che la Legge 40.Bisogna chiamare i comportamenti con il loro nome e dunque togliere “l’aura di santità” a chi si astiene per un proprio interesse da una attività professionale prevista da una Legge dello Stato a favore di altri. Bisogna chiedersi quanto costa alla comunità questa astensione generalizzata in tutti gli enti ospedalieri italiani da Bolzano a Siracusa. Bisogna proporre di individuare “lavori socialmente utili”, come per i disoccupati, per i ginecologi, gli infermieri, gli ausiliari, e tutti coloro che vengono remunerati con denari pubblici per poi astenersi dallo svolgere un pubblico servizio.Chiediamo il rispetto di un diritto e il ripristino della legalità. Pretendiamo la fine dello spreco di risorse pubbliche che sottrae efficacia ed efficienza a chi chiede interventi sanitari e nel contempo arricchisce chi non lavora e a cui nessuno ha

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mai chiesto di adoperarsi, nel tempo del non lavoro, ad altre attività o lavori di pubblico interesse. Occorre uscire dal rapporto medico-paziente e rimanere nel rapporto tra paziente e struttura sanitaria dopo di che il problema della astensione dalle prestazioni di lavoro, così come delle ferie, dei permessi, della malattia dei dipendenti, ecc. rimane un problema della struttura sanitaria che deve adoperarsi per risolverlo. Questo può avvenire anche attraverso la assunzione di personale non obiettore, che tale rimanga, al fine di garantire il servizio previsto nella struttura medesima.L’art. 9 della Legge 194 è esplicito al riguardo: “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono in ogni caso tenuti ad assicurare l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza”. Tutto il predetto articolo di legge dispone espressamente che “la Regione ne controlla e garantisce la attuazione anche attraverso la mobilità del personale”. Riteniamo dunque, in tema di interlocutori e di obiettivi, di poter assumere come nostro compito il chiedere conto sia alla singola struttura che alla Regione di “controllare e garantire la attuazione anche attraverso la mobilità del personale”. Sarà anche questa azione, politica e giuridica, un modo di riaffermare i diritti partendo dai doveri, restituendo alla funzione pubblica la propria responsabilità e alle donne la sovranità sul proprio corpo e la propria vita.(*) UDI - Unione Donne in Italia

2470 - LAIGA DENUNCIA LO STATO ATTUALE DELLA GINECOLOGIA IN ITALIA da: www.cronachelaiche .it di venerdì 15 giugno 2012 Il 14 giugno, presso l’ordine dei Medici di Roma si è svolta una Conferenza Stampa a cura di LAIGA (Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l’Applicazione della legge 194).In un clima di attacco su più fronti alla legge 194 e in generale al diritto alla piena salute riproduttiva, che mette in campo l’uso strumentale dell’obiezione di coscienza, la presentazione in Parlamento di mozioni “bipartisan” che considerano prevalente e non bilanciabile il diritto all’obiezione di coscienza del medico, fino ad iniziative quali quella del Giudice Tutelare di Spoleto che interroga la Corte Costituzionale sulla liceità della legge, i ginecologi di LAIGA hanno deciso di denunciare l’estrema gravità della situazione attuale, sia per le donne che decidono di interrompere una gravidanza indesiderata, sia per gli operatori che le assistono in questa scelta.Nella conferenza stampa sono stati resi noti i risultati di un attento monitoraggio dello stato di attuazione della legge nella Regione Lazio, emblematico della drammaticità della situazione in cui versa la gran parte delle Regioni italiane. È così emerso che la situazione reale è ben più grave di quanto riportato nella relazione annuale presentata in Parlamento dal Ministro della Salute:1. Nel Lazio in 10 strutture pubbliche su 31 (esclusi gli ospedali religiosi e le cliniche accreditate) non si eseguono interruzioni di gravidanza. Tra queste, 2 sono strutture universitarie (il Policlinico di Tor Vergata e l’Azienda Ospedaliera S. Andrea), che dunque disattendono anche il compito della formazione dei nuovi ginecologi, sancito dall’art.15 della legge 194.2. Nel Lazio ha posto obiezione di coscienza il 91,3% dei ginecologi ospedalieri. Se per gli aborti del I trimestre si può fare in parte fronte alla situazione ricorrendo a medici convenzionati esterni o a medici gettonati, così non è per gli aborti terapeutici, sui quali quel 91,3% pesa come piombo. Con il ricorso a medici convenzionati esterni e medici “a gettone” l’obiezione scende all’84%, dato comunque più grave dell’80,2% riferito dal ministro, che non considera nella sua relazione il fatto che una parte dei non obiettori in realtà non esegue IVG.

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3. In 3 Province su 5 (Frosinone, Rieti, Viterbo) non è possibile eseguire aborti terapeutici, che costringe le donne alla triste migrazione verso i pochi centri della capitale, sempre più congestionati, o all’estero. Gli stessi centri romani che assorbono anche la gran parte delle IVG entro il 90° giorno provenienti dal resto della Regione4. La drammaticità della situazione va considerata anche in rapporto al dato dell’età media dei medici non obiettori, molti dei quali sono alla soglia della pensione e non verranno rimpiazzati da nuovi ginecologi, per la totale assenza di formazione professionale, sia sul piano pratico che scientifico.Considerata la gravità e la insostenibilità della situazione attuale, LAIGA:1. Chiede di poter incontrare in tempi brevissimi i rappresentanti della Regione Lazio,anche in considerazione dell’emergenza estate che vedrà molti degli ospedali che attualmente forniscono il servizio ridurre la propria attività2. Comunica di stare studiando la possibilità di agire legalmente nei confronti delle direzioni sanitarie delle strutture inadempienti;3. Chiede che tutte le strutture, nell’obiettivo di assicurare tempi certi e di accorciare i tempi di attesa, applichino l’alternativa dell’aborto medico4. Chiede che Università e Regioni si impegnino per la formazione dei giovani ginecologi e per l’aggiornamento di tutto il personale sanitario. Si impegna in tal senso a fornire le proprie competenze, promuovendo corsi ed incontri.

2471 - LA LEGGE 194 È COSTITUZIONALE - LA CONSULTA RESPINGE IL RICORSOda: www.repubblica.it di mercoledì 20 giugno 2012 La Corte costituzionale ha oggi dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 4 della legge n. 194 sull'aborto, sollevata dal Giudice Tutelare del Tribunale di Spoleto. Una nuova conferma per la norma che dal 1978 consente e disciplina in Italia l'interruzione volontaria di gravidanza.La 194 era arrivata di fronte alla Corte in seguito alla richiesta di una ragazza minorenne di Spoleto di ricorrere all'aborto senza informare i suoi genitori. Il giudice aveva ritenuto che la norma violasse, in particolare, gli articoli 2 e 32 della Costituzione, rispettivamente sui diritti inviolabili dell'uomo e sulla tutela alla salute, e citava a sostegno della sua tesi una sentenza della Corte di Giustizia Ue sul tema dell'embrione umano.La sentenza non è stata preceduta da udienza pubblica: i giudici si sono direttamente riuniti in Camera di Consiglio per discutere, anche perché nessuna parte si era costituita e in questo caso il regolamento della Corte prevede che si possa andare subito a pronunciamento. A difesa della legge in vigore è intervenuto l'avvocato dello Stato, Maria Gabriella Mancia.Ora bisognerà attendere le motivazioni della sentenza scritte dal giudice Mario Rosario Morelli (lo stesso che nel novembre 2008 disse sì all'interruzione dell'alimentazione per Eluana Englaro). Intanto la sentenza viene già accolta con sollievo da quanti e quante - soprattutto sul web - si erano mobilitati per scongiurare uno snaturamento della legge. La settimana scorsa, infatti, un gruppo di blogger e associazioni femministe aveva lanciato una battaglia a sostegno della norma, sotto l'hashtag #Save194. Le stesse che oggi hanno manifestato con striscioni e volantini fuori dal palazzo della Consulta, in attesa della decisione.Soddisfatti anche Oliviero Diliberto, segretario nazionale del Pdci, Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista, e Livia Turco, del Gruppo Pd alla Camera: "Si dimostra ancora una volta - ha dichiarato la deputata - che l'impianto della legge 194 è inattaccabile perché basata su un giusto equilibrio fra la scelta e la salute della donna e la tutela della vita". A cui si aggiungono anche il governatore della Puglia Nichi Vendola e la deputata democratica Anna Paola Concia.

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La sentenza, però, ha trovato anche pareri contrari. Alfredo Mantovano, coordinatore politico dei circoli 'Nuova Italia', ha accusato la Corte di prendere decisioni pilatesche sui temi dettati dell'Ue. "Quella di oggi - ha detto - è stata una occasione persa per la Consulta; per chi ritiene che la vita sia il fondamento del vivere civile è uno sprone in più per proseguire una fondamentale battaglia culturale e di aiuto sociale".Si fa sempre più difficile quindi il percorso delle sei proposte di legge per un intervento sulla 194, depositate da Luca Volontè, Giampiero D'Alia e Rocco Buttiglione dell'Udc, e da Emerenzio Barbieri e Renato Farina del Pdl. Le modifiche prevederebbero un contributo mensile per le donne che rinunciano ad abortire, una commissione parlamentare sul funzionamento dei consultori, il reato di procurato aborto, la ventesima settimana come limite per poter interrompere la gravidanza e il divieto di ricorrervi nel caso in cui il feto presenti delle patologie curabili. Contro corrente invece la proposta della radicale Farina Coscioni, che chiede invece più libertà per la donna di gestire la gravidanza, dai 14 anni in su, e contraccezione totalmente accessibile per le minorenni.

2472 - LA VIOLENZA DEI MEDICI OBIETTORI - DI GIANCARLO NOBILEda: www.cronachelaiche.it di lunedì 18 giugno 2012Poche settimane fa una chiassosa e colorata marcia di protesta si è svolta a Roma, vi erano radunate tutte le associazioni cattoliche, vi erano i gruppi della destra più oltranziste e fasciste, vi erano i partiti che hanno in uggia la nostra Costituzione, vi erano prelati benedicenti e semplici pretini con suorine, vi erano anche gli allegri ragazzotti scout, vi era anche il sindaco di Roma Alemanno, fino a poco tempo fa famoso manganellatore fascista. Questa allegra combriccola vuole che si abolisca una legge dello Stato italiano, la 194, che regolarizza l’interruzione volontaria delle gravidanze.Ma coloro che si battono contro la 194 cosa vogliono? Vogliono che si ritorni alle “mammane”, che con intrugli pestilenziali e con i ferri delle calze facevano abortire le donne povere, e vogliono far arricchire i medici che per soldi, tantissimi soldi, praticavano gli aborti clandestini per la gente ricca prima dell’entrata in vigore della legge.Occorre premettere che in Italia non vi è alcuna legge a favore dell’aborto ma vi è una legge che regolamenta questa dolorosa esperienza delle donne prima di tutto, un legge che vuole che vi siano i consultori per aiutare le donne in questo traumatico passaggio. Tutto questo è stato fortemente combattuto e viene combattuto dal mondo cattolico e para cattolico come le formazioni della destra anticostituzionale, si vuole tornare a come era prima, nel paradiso della ‘violenza’ verso le donne, la donna desogettivizzata, priva di dignità nel suo essere persona, nel suo essere pensiero, nel suo essere cittadina. Si vuol tornare alla donna ancella della chiesa che ascolta le sante parole ed accetta tutte le prescrizioni comportamentali dell’esegesi cattolica.Questo universo che si batte contro la 194 è lo stesso che ha bloccato le grandi riforme laiche, dunque di una democrazia compiuta, che si sono susseguite negli anni 70 del secolo scorso, come quelle degli asilo nido e del tempo pieno nelle scuole, dell’apertura dei manicomi, del divorzio breve e via elencando. Tutte riforme che toglievano penetrazione ideologica e denaro per il Vaticano. Tutte riforme che avrebbero portato l’Italia a primeggiare socialmente. L’opposizione a queste, a volte svolta aperta ma molte altre esercitata subdolamente penetrando nei meandri del sistema, le ha rese vane, inapplicabili, inutilizzabili.La legge che regolamenta l’interruzione volontaria della gravidanza è sempre stata una di quelle riforme democratiche più contrastate e la più ipocritamente resa inefficace con l’invenzione degli obiettori di coscienza tra i medici e tra i paramedici. Le conseguenze, terribili, sono perfettamente descritte nel libro di Laura Fiore “Abortire tra gli obiettori” (edizione Tempesta): l’autrice ha vissuto in pieno il viaggio negli inferi degli obiettori, è essa stessa la protagonista dei fatti narrati con lucida consapevolezza.

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Il libro è una minuziosa cronaca della sua esperienza, un diario scandito da ipocrisia, menefreghismo, leggi posticce; il tutto senza tenere in nessun conto la volontà di chi, con sofferenza, ha deciso di abortire.Laura Fiore si trova a viaggiare in un labirinto che si dipana continuo e potenzialmente infinito scoprendone artifici e meccanismi che rimandano non a uomini che dovrebbero liberare dall’angoscia e dal dolore sia fisico e psichico i cittadini, ma addetti a far sì che il labirinto si chiuda e serri come una maledizione divina chi si trova nella legittima, almeno per la sua coscienza e per la legge, condizione di dover interrompere una gravidanza. Un viaggio nell’orrore e negli errori voluti per farti sentire in colpa e maledire la tua consapevole volontà. Laura Fiore grida no a questa orribile, meschina, ipocrita macchinazione; si senta pienamente cittadina e dunque pienamente responsabile delle sue scelte“Abortire tra gli obiettori” diviene il paradigma di quest’Italia decadente che rincorre forsennatamente il passato e precipita nell’irrilevanza storica, economica e sociale. Chi legge il libro, dopo il fremito per la flessibile brutalità descritta, rimane con un brivido di rabbia e una domanda pressante: “è possibile che ciò che è descritto compiutamente accada oggi in Italia?” Sì, accade ed accade spesso, ed è tempo di fermare questa vergognosa prassi.Il libro è correlato da articoli, riflessioni, analisi sulla legge utilissime per comprendere sino in fondo il valore democratico della 194. Vi è alla fine una intervista al professor Carlo Flamigni che con intelligenza delinea gli spazi e i limiti di questa legge e costringe a una riflessione forte chi è medico ma ha scelto di essere obiettore. Alla domanda se si possono costringere i medici obiettori a praticare l’aborto egli risponde. «No, ma si può costringerli ad andare a fare un altro mestiere. Io non metterei mai un medico Testimone di Geova a fare trasfusioni, e lui non lo chiederebbe mai».

2473 - «BRAVA» AD EMMA BONINO – DI FEDERICO ORLANDOda: Europa di venerdì 22 giugno 2012Cara Europa, ho saputo che Emma Bonino, votando sì all'arresto di Lusi, ha tuttavia osservato: «Ho pena a veder trasformata quest'aula in un'aula di tribunale, non è questo il nostro ruolo». A tali parole, una voce dal sen fuggita (del presidente Schifani, a microfoni ancora aperti) dice «brava». Lo dico anch'io, perché più i poteri sono separati meglio è per noi cittadini. Credo, spero. Ma aggiungo un secondo e più sentito «brava» a Emma Bonino, non so se condiviso anche da Schifani e dal suo partito di sepolcri imbiancati: brava per le dichiarazioni della stessa Bonino a favore della Corte costituzionale, che ha rigettato l'ennesimo tentativo barbaro di colpire la legge 194 sui consultori e sul diritto all'aborto legale, che ha ridato certezza di libertà e di vita a noi donne candidate al macello da medici senza scrupoli e leggi criminogene, dalle quali ci siamo liberati grazie alle battaglie radicali-liberalisocialiste degli anni Settanta. E.B., ROMA Risponde Federico Orlando

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Cara E.B., se ci fosse spazio per qualche battuta scherzosa in tanto accumularsi di drammi (oggi saranno a Roma i rappresentanti delle "grandi potenze" europee, e a me sembra un consulto), direi che le iniziali con le quali si firma sono le stesse di Emma Bovary. e chi sa quanti sepolcri imbiancati, leggendo questo suo «brava» a Emma Bonino (E.B. anche lei) ci faranno le loro considerazioni sacrestane. Comunque mi unisco al suo «brava», posto che quello di Schifani mi lascia un po' perplesso: infatti il voto del parlamento su un suo membro inquisito non è un giudizio sulla stravaganza di una giurisdizione parlamentare, chiamiamola così; ma un giudizio garantista a favore del parlamentare inquisito, dovendo la camera o il senato limitarsi a dire se esiste o no un sospetto persecutorio nell'iniziativa del giudice. Del resto l'immunità parlamentare nacque non per coprire ladrocini e prevaricazioni, ma per impedire al potere esecutivo e giudiziario di chiudere la bocca alle libere opinioni dei parlamentari. La nostra Costituzione dice: <<1 membri del parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni». In altre parole, è protetta la "funzione". Ogni altra attività di chi la esercita è soggetta alla legge penale e civile, valevole per tutti i cittadini. E del resto sarebbe stato inimmaginabile il "sì" della Bonino, esponente numero uno insieme a Pannella del partito che ha più di ogni altro contribuito a rendere concrete e non solo teoriche le garanzie e, con esse, i diritti civili. Dunque, "Due volte brava" a Emma Bonino: la seconda, per aver applaudito la decisione della Corte costituzionale in difesa della legge sull'aborto ed avere al tempo stesso denunciato e condannato i sanfedisti dai voluminosi conti correnti, che, in camice bianco da medico, infermiere, farmacista, barelliere, ecc. violano la legge dello stato rendendo impossibile o difficilissimo il diritto all'aborto legale. E i procuratori zitti e buoni, visto che non c'è da azzannare partiti o istituzioni. E tollerano direttori di ospedali che non denunciano alle procure la pratica dell'obiezione di coscienza praticata, ricorda Emma, per diventare primari, fare carriera e, magari, rifornire di donne i cucchiai d'oro. Come vede, cara E.B., non le sto dicendo se l'aborto legale è bene o male (per me è un grandissimo bene, avendo conosciuto la barbarie della regola precedente). Le dico invece, da cittadino e da liberale, che contro i sabotatori difendo la legge dello stato, uguale per la popolana senza un euro e per la signora con hotel e clinica all'estero, per la studentessa e per la donna adulta alle prese con le complicazioni della vita, che la loro natura rende più complicate. Ribelliamoci, donne e uomini. Via dagli ospedali pubblici medici, infermieri, direttori sanitari che obiettano non per cultura o fede, ma delinquono rubando ai cittadini i loro diritti di legge, la legge nella quale non credono perché sono nemici della cittadinanza e dello stato. Cominciamo, come dice Emma Bonino, a passare noi al contrattacco. Non in nome dell'aborto, ma della legge.

2474 - CONGRESSO DEI MEDICI INTERNISTI: NON LEGIFERARE SUL FINE VITAda: Corriere Medico di giovedì 31 maggio 2012Servono più Hospice non oncologici. L'appello arriva dai medici internisti a conclusione del XVII Congresso Nazionale FADOI organizzato dal 5 all'8 maggio 2012 al Pala Congressi della Riviera a Rimini. Un congresso che è stato anche motore di importante dibattito sul fine-vita. PARTIAMO DAGLI HOSPICE. La stragrande maggioranza di quelli presenti in Italia ha una connotazione oncologica che rende molto complessa la possibilità di ricovero di pazienti affetti da altre patologie. «II numero di pazienti affetti da malattie croniche degenerative in fase terminale - spiega Antonino Mazzone presidente della Fondazione Fadoi e direttore di Dipartimento area medica, ospedale civile di Legnano - è ormai superiore a quello dei malati con patologie neoplastiche. Nel contempo è mutato profondamente il nostro assetto sociale: fino a qualche anno fa i malati erano accuditi in casa dai loro familiari, ma ora questo supporto si è ridotto pesantemente e l'ospedale è

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diventato inevitabilmente l'unico punto di riferimento. Dobbiamo considerare questi cambiamenti epidemiologici e sociali e fargli corrispondere un cambiamento culturale e organizzativo. Occorrono quindi più Hospice non oncologici per accogliere in maniera appropriata i malati consentendo così ai reparti ospedalieri di concentrare i loro sforzi nella cura degli acuti».SUL FINE VITA, il messaggio del congresso è che non occorrono leggi, ma scelte concertate tra medico e paziente. «Nella gestione del paziente terminale - spiega Mazzone entrano in campo molteplici implicazioni, di carattere etico, religioso, culturale, ambientale. Implicazioni legate alla specifica patologia trattata e al vissuto del paziente. La scelta terapeutica migliore non può quindi essere decisa da un giudice, ma deve essere il frutto di una concertazione tra medico, infermieri e familiari. Questo evita incomprensioni e anche problemi di carattere legale e assicurativo». Concorda il magistrato Giuseppe Battarino: «Credo non sia fondamentale la ricerca di nuove regole legislative formalizzate. È invece indispensabile che il medico recuperi la specificità della propria funzione dal punto di vista deontologico con l'idea di ricercare insieme al paziente ciò che è bene. Questo significa utilizzare il consenso informato non come un fatto burocratico, ma come una strategia condivisa di persuasione e comunicazione. L'approccio è sancito dalla Corte di Cassazione: davanti ad una vicenda estrema non è il giudice a decidere ma il medico in solidarietà concreta con il paziente e con le persone di riferimento, nell'attuazione del suo bene». Commento. Nel riportare qui sopra uno stralcio dell'articolo pubblicato sul Corriere Medico di giovedì 31 maggio sul Congresso del FADOI (Federazione Associazioni Dirigenti Medici Ospedalieri Internisti), dobbiamo rilevare dalle interviste pubblicate che né il dr. Mazzone né il magistrato Bettarino hanno affrontato i veri nodi del fine vita. Infatti la “concertazione” fra sanitari e familiari del paziente è ammissibile soltanto qualora il paziente sia incapace di intendere e di volere e non si sia anticipatamente espresso in merito: negli altri casi la decisione spetta al paziente senza necessità di “concertazione”, come ha stabilito la Corte di Cassazione sul ricorso Englaro. Né i dichiaranti hanno affrontato il problema di cosa fare quando la “concertazione” non dovesse produrre una soluzione condivisa dalle parti. Anzi, le parole del magistrato "non è il giudice a decidere ma il medico in solidarietà concreta con il paziente…" lasciano intendere che la volontà del medico possa prevalere su quella del paziente, addirittura anche nel caso che egli sia capace di intendere e di volere. Come facciano poi medico e magistrato a sostenere le loro tesi, contrarie all'art. 32 della Costituzione, e contestualmente dichiarare che non occorre legiferare sul fine vita è un mistero: semmai siamo noi, che ci battiamo per l’autodeterminazione, a preferire l’attuale legislazione all'infame proposta del Governo Berlusconi ancora giacente in Parlamento. (LiberaUscita).

2475 - IL SINDACO ALEMANNO BOICOTTA I REFERENDUM - DI PAOLO BOCCACCIda: la Repubblica di sabato 2 giugno 2012Due memorie, inviate dal Campidoglio il 22 maggio, firmate da Alemanno. Sono arrivate sul tavolo della commissione che oggi dovrà decidere quali saranno ammessi tra gli otto referendum depositati il 3 maggio dal Comitato “Roma Si Muove”, promosso dal radicale Mario Staderini, dal Verde Angelo Bonelli e dall'ex assessore alla Cultura Umberto Croppi.E il sindaco suggerisce di non ammettere due tra i quesiti più significativi, quello sul riconoscimento delle coppie di fatto e l'altro sul registro dei testamenti biologici. Così, mentre ai referendum hanno già aderito comitati e associazioni, oltre al presidente del Wwf Stefano Leone, a Mina Welby, all'urbanista Paolo Berdini, all'ingegnere Antonio Tamburrino e tanti altri, già si apre la sfida.

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Quanto influirà il pressing di Alemanno sulla commissione composta dal Segretario generale del Campidoglio, dal presidente Achille Chiappetti e i professori Lanchester e Carnevale?Lo vedremo oggi. Ma vediamo le motivazioni della giunta. Per quanto riguarda le coppie di fatto il quesito è ritenuto inammissibile, in quanto "la Costituzione riserva alla legislazione esclusiva dello Stato la regolazione dello stato civile e dell'anagrafe". Non solo. Si dice anche che la domanda è "generica", incapace dunque di ottenere una risposta univoca che potrebbe orientare il Consiglio comunale su un'eventuale decisione che "spetterebbe tutta al Parlamento".Altro capitolo: il testamento biologico. E qui Alemanno ricorda alla Commissione che non dipende dal Consiglio regolare tale materia, dopo l'approvazione del testo unificato in Senato, modificato alla Camera e ora tornato in commissione Igiene e Sanità del Senato in sede referente.Ribatte il radicale Staderinì: «Alemanno fa finta di non vedere quanto la vicenda delle famiglie di fatto sia attuale e dibattuta da milioni di italiani. Ed è davvero ridicola la richiesta di inammissibilità considerando, ad esempio, come circa cento comuni italiani, da Torino a Napoli, hanno già inaugurato i registri e perfino due municipi romani, il X e l'XI». La decisione sull'ammissibilità degli otto referendum sarà resa pubblica lunedì. Poi scatterà la raccolta delle 50 mila firme autenticate in tre mesi, mentre il voto sarebbe previsto nel 2013, probabilmente insieme a quello delle comunali e delle politiche. Il quorum per renderlo valido è di un terzo degli elettori. I quesiti? «Ciascun referendum» spiega Staderini «rappresenta una soluzione concreta per i problemi della città: dalla mobilità sostenibile all’ambiente, dallo stop al consumo del territorio ai rifiuti, dall'accesso al mare all'erogazione dei servizi alla persona. L'obiettivo del Comitato Roma Sì Muove è di chiamare i romani a decidere lì dove la politica sino ad oggi latita».

2476 - LA MORTE OPPORTUNA - DI NICOLETTA TILIACOS da: il Foglio di sabato 2 giugno 2012Si è come scoperchiato un vulcano, da quando il cinquattottenne giornalista Michael Wolff, columnist di Vanity Fair e noto per la sua cattivissima biografia di Rupert Murdoch ("The Man Who Owns the News", uscita nel 2008) ha consegnato al New York Magazine, sotto forma di articolo,il suo urlo di rabbia e di frustrazione perché la madre ottantaseienne, malata di demenza, si ostina a non morire (il titolo di copertina è: "Mamma, ti voglio bene. Ma vorrei anche che fossi morta. E mi aspetto che lo voglia anche tu"). Le centinaia e centinaia di commenti che continuano ad arrivare sul sito della rivista alle sue sei pagine scritte con furore e spaventosa sincerità - illustrate con foto che ritraggono la signora Marguerite V. Wolff dagli anni Cinquanta a oggi - esibiscono infinite variazioni sul tema: "Bravo!", "Era ora!",fino a un macabro e liberatorio: "Scusate se non ho simpatia per quelli con i genitori che muoiono improvvisamente. Non hanno idea di quanto sono fortunati". Anche la cover story del Time uscito appena ieri ("Come morire. Che cosa ho imparato dalla morte di mamma e papà") non sembra estranea al ciclone sollevato da Wolff, che non a caso l'ha subito segnalata così su Twitter: "La storia va avanti...". Un altro baby boomer che da poco ha seppellito i genitori novantenni, il giornalista liberal Joe Klein, racconta nei dettagli gli ultimi mesi prima della dipartita dei suoi cari, pure loro affetti da demenza, a pochi mesi di distanza l'una dall'altro. Spiega tutte le cose che non farebbe più e quelle che rifarebbe, a cominciare dall'oculata scelta della clinica per la madre, che è stata la prima ad andarsene.C'è qualcosa di sorprendente in questo fiorire di memorialistica, che a volte si sarebbe tentati di catalogare come la scoperta dell'acqua calda, una specie di patetica protesta

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contro qualcuno (ma chi? gli stessi genitori?) che non ha mantenuto la promessa di eterna giovinezza e di perenne efficienza e automia. Wolff proclama dunque la necessità della "morte opportuna" di una donna, la madre, che non è affatto una malata terminale. Lui vorrebbe che lo fosse. Anzi, vorrebbe che fosse già morta, e lo vorrebbe proprio perché la ama. Parla di "a life worth ending", di una vita che merita di finire, degna di essere conclusa, per una persona che "negli ultimi diciotto mesi, non è stata in grado di camminare, parlare o affrontare le più banali esigenze" e che mostra "incapacità di trattenere ricordi a breve termine". Il giornalista racconta nei dettagli le ingenti spese per l'assistenza, i tracolli sempre più frequenti ma mai definitivi, la pena di quei giorni in cui per mezz'ora, non di più, si ferma nella stanza della madre, "la devozione e l'orrore" dei suoi tre figli ventenni quando vanno a trovare la nonna, straziante ingombro per la serenità di tutta la famiglia. Era dunque questo, il risultato della medicina dei miracoli, delle cure che promettono lunga vita ma non ti dicono "quale" vita sarà? Vuoi vedere che pensava a questo, chi ha detto che dobbiamo stare attenti ai desideri, perché potrebbero avverarsi? E poi, chi è quel pazzo che ha inventato l'augurio "cento di questi giorni"? Il racconto di Wolff parte dal colloquio con il consulente delle assicurazioni che lo vede come perfetto cliente per una polizza Ltc, "long term care". L'arma totale, o quasi, per garantirsi dai trabocchetti del destino che potrebbe toglierti l'autosufficienza. La signora Wolff, per fortuna (o purtroppo, vai a capire) alla sua polizza Ltc aveva pensato per tempo. Grazie ai 17.000 dollari al mese corrisposti dalla John Hancock, e nonostante sia necessario sollecitarli ogni volta, racconta Wolff, le viene garantita qualificata assistenza ventiquattro ore su ventiquattro. A New York, "in una di quelle nuove costruzioni squadrate che costellano l'Upper West Side, una specie di pre bara, se volete. E anche - grazie alla diligenza di mia sorella, all'assicurazione Ltc di mia madre e ai suoi risparmi, nonché al contributo mio e dei miei due fratelli - ciò che potremmo pensare come luogo ideale per chi si trova in quelle condizioni. Una camera spaziosa con una grande vetrata che, dal nono piano e dal letto di mia madre, offre una vista senza intralci sulla città. Entra la luce. Il tempo passa. Le stagioni cambiano. Di fronte al letto c'è un quadro di March Avery del '60 - una sedia Adirondack e un mare blu - della collezione messa insieme da lei con mio padre. Sotto, la tv a schermo piatto dove, con strana intensità, mia madre guarda programmi di cucina. La casa è frequentata sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro, da due turni giornalieri di devoti ausiliari". Tutto parrebbe sereno e tranquillo, fatta eccezione per ciò che Wolff interpreta come "muto rimprovero" che emergerebbe dall'apparente rassegnazione di una donna che è stata dinamica, vitale, rocciosa. La colonna della casa dopo la morte del marito per un collasso cardiaco (e qui immaginiamo Wolff mentre fa una specie di ola di sollievo), la vecchietta ancora cordiale e disponibile che, ancora poco tempo fa, a ottantaquattro anni, mentre la famiglia di Michael stava andando in pezzi per un divorzio traumatico, si era offerta di organizzare per tutti il pranzo del giorno del Ringraziamento: "Ogni cosa era in ordine quando siamo arrivati - le patate lessate e pronte per essere schiacciate in una pentola, le carote arrosto, la crema di cipolle al forno, tutto in ordine. Tranne che mia madre aveva preparato tutto una settimana prima, e ogni piatto aveva un odore allarmante". L'unica a non allarmarsi era lei, la mamma: "Non riusciva più a raccontare il tempo, né a contare, né a conservare traccia delle date". Quella donna, della quale Wolff parla con orgoglio e amore anche quando dice che la vorrebbe morta, a volte prova ancora a parlare con strani suoni gutturali, "si sforza di connettere e, incredibilmente, a volte ce la fa: 'Bel vestito', mi ha detto, di punto in bianco, pochi mesi fa, prima di ricadere all'indietro". Un personaggio di Philip Roth dice che "la vecchiaia non è una battaglia, è un massacro"? Wolff aggiunge che "la vecchiaia è un olocausto". Del quale dà i numeri, presenti e futuri,

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come fosse un bollettino di guerra e come se tutto dovesse ricadere sulle sue personali spalle: "Nel 1990, c'erano poco più di 3 milioni di americani di età superiore agli 85 anni. Ora sono quasi 6 milioni, ed entro il 2050 saranno 19 milioni, quasi il 5 per cento della popolazione". Il fatto è che "quasi nessuno, almeno apertamente, vede l'ultima, sconcertante, conseguenza involontaria" della promozione della longevità, e cioè la creazione di uno status anomalo, "lontano dalla vita come dalla morte ma che, a differenza della morte, necessita di una vasta assistenza e di risorse". E vai con il rimpianto per le uscite di scena tradizionali ("old fashion", le chiama Wolff): attacco di cuore, morte improvvisa nel sonno o per strada, una rapida malattia terminale. Certe fortune non capitano più tanto spesso, fa capire Wolff senza un filo d'ironia, perché "più a lungo si vive più tempo ci vorrà per morire, e meglio avrai vissuto, peggio potrai morire" (può essere un argomento per gli spacciatori di tabacco, zuccheri e hamburger. Al posto loro ci faremmo un pensierino). A colpire, nella lunga requisitoria di Wolff contro la vita gaglioffa e la medicina traditrice - che ti cura solo per imbalsamarti nella demenza ad libitum, per la disperazione dei tuoi cari e lo sterminio dei loro conti in banca, oltre che delle risorse della collettività - è l'ingenuità quasi patetica di certe argomentazioni. Quando scrive che i lunghi addii come quello di sua madre non sono eroici, sono "un massacro umano", passa a enumerare puntigliosamente dati di immane ovvietà: "Secondo uno studio - (l'immancabile studio, ndr) - il settanta per cento di coloro che hanno più di 80 anni hanno una disabilità cronica, e il 53 per cento di questi ha almeno una disabilità grave, mentre il 36 per cento è afflitto da disabilità cognitiva da moderata a grave". Tradotto: la malattia coincide con la longevità, e risparmia solo pochi eletti in grado di badare a se stessi o almeno di scrivere saggi di filosofia fino a cent'anni e oltre, come sogna il professor Umberto Veronesi, che punta senz'altro ai centoventi per tutti. Gli altri saranno un po' meno tonici, meno veloci, più fragili, più soggetti a smemoratezza. Ma va? Forse Wolff nemmeno lo sa, ma per quello che i biologi, soprattutto quelli evoluzionisti, chiamano il nostro "destino di specie", anche lui, con i suoi cinquantotto anni, è ormai un relitto, un sopravvissuto, un parassita. Da quel punto di vista, infatti, si considera la soglia di quarantadue-quarantaquattro anni come il limite in cui si è espresso tutto ciò che si doveva esprimere, e il resto è declino, grasso che cola. Siamo sicuri, tuttavia, che questa considerazione non piacerebbe nemmeno a Wolff, come non piace a noi. Ci convince piuttosto James Hillman, che con "La forza del carattere" (Adelphi) ha parlato della vecchiaia, anche estrema, come realizzazione di ciò che si è, come coronamento del carattere di ogni individuo. Ogni vita è storia a sé, e anche lui, dallo zio che gli ripeteva sempre le stesse cose - inizio di demenza? - aveva avuto una lezione sonora, quella volta che aveva avuto l'imprudenza di farglielo notare: "Ma io amo raccontare le cose", aveva risposto irato il vecchio signore. Altro che "disabilità cognitiva", sia pure solo "moderata". Ma Wolff sa di toccare corde sensibili, quando descrive qualcosa che per la sua classe di età, la plaga ex spensierata di coloro che hanno inventato e usato il mito della giovinezza, è un problema che può sfiorare l'impazzimento: "Ne parlano tutti i miei colleghi: è lo show dell'orrore dei nostri genitori. Visti da fuori, in ufficio, al ristorante, ai cocktail party, sembriamo tutti perfettamente sicuri e concreti. Ma in una stanza nascosta alla vista, da qualche parte, occupiamo quest'altra vita inimmaginabile". Quando un suo collega ed ex compagno di studi, figlio unico alle prese con un genitore demente, gli aveva confessato di aver pensato di ucciderlo, Wolff si era detto che la sua situazione non avrebbe mai potuto raggiungere la stessa gravità, se non altro perché ha un fratello, sia pure lontano, e una sorella (soprattutto una sorella: Wolff lo riconosce, sono le donne a farsi carico di quasi tutto nel quotidiano, in questo tipo di situazioni. Per fare

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qualche confronto: in un libro appena tradotto da Einaudi con il titolo "Il senso dell'amore", la scrittrice americana Alix Shulman parla del suo combattimento con la demenza avanzata del marito. C'è dolore, a volte disperazione, ma anche ironia e ottimismo, nonostante tutto, e felicità, perché il marito è ancora lì). Wolff, alla fine, invoca l'omicidio per la madre. Che peggiora e subisce lunghi ricoveri dopo un improvvido intervento per una antica disfunzione all'aorta (250.000 dollari di spese, a carico dell'assicurazione, "cioè di tutti voi che leggete", puntualizza Wolff). Dopo la perfetta riuscita dell'operazione, che promette ancora lunghi anni di vita per la signora Marguerite, la demenza fa passi da gigante, di pari passo con i sensi di colpa e l'insofferenza di suo figlio: perché continuare ad accettare che si paghino "miliardi e si mandino in bancarotta la nazione e le nostre anime, che tollerano la sofferenza dei nostri genitori e la nostra incapacità di aiutarli ad andare dove stanno andando"? Allora, conclude Wolff, "la mia scommessa è che, anche in America, anche con una sanità così disastrata, noi baby boomers, dopo aver visto la morte lunga e straziante dei nostri genitori, ci comporteremo diversamente per noi stessi. Troveremo sicuramente, dobbiamo trovarla, una via di uscita migliore, più economica, più rapida, più gentile". E siccome nel frattempo, "come mia madre, non posso contare su nessuno che mi metta un cuscino sulla faccia, cercherò di capire tempi e dettagli di una exit strategy fai-da-te. Come dovremmo fare tutti". Nell'operetta morale "La morte moderna", pubblicata nel 1978 dallo svedese Carl-Henning Wijkmark (tradotta da Iperborea), Wolff potrebbe trovare qualche ispirazione. Vi si immagina un comitato nazionale che proponga "il diritto sancito per legge all'assicurazione contro una vecchiaia prolungata e le inerenti sofferenze", tradotto in morte indolore e liberatrice da erogare per legge a settantacinque anni al massimo, uguali per tutti. "La sacralità del valore umano regge solo finché ci sono i mezzi" ("ma qui purtroppo abbiamo i repubblicani che ci assillano con la sacralità della vita", scrive davvero in un post una lettrice entusiasta di Wolff). E poi, "perché non parlare di controllo dell'età o controllo delle morti, se si vuole, come si parla di controllo delle nascite?". Un paio di anni fa, l'idea di eutanasia di massa dopo i settantanni l'aveva lanciata, tra il serio e il faceto, lo scrittore inglese Martin Amis in un'intervista al Sunday Times. Immaginava "una cabina a ogni angolo di strada, dove se hai l'età giusta puoi prenderti un martini e la pastiglia della buona morte". E Dino Buzzati, in "Cacciatori di vecchi", fantaracconto scritto esattamente mezzo secolo fa, descriveva un mondo in cui quarantenni considerati già decrepiti dovevano darsi alla macchia per sfuggire a bande di ragazzi, "specie di club, di compagnie, di sette, dominate da un odio selvaggio verso gli anziani, come se questi fossero responsabili delle loro scontentezze, malinconie, delusioni, infelicità, così tipiche, da che mondo è mondo, della giovinezza". E' persino troppo facile, e anche ingiusto, prendersi gioco dell'appello di Wolff, che comunque sua madre non la abbandona, anche se sostiene che i vecchi incapaci di provvedere a se stessi - ma la vecchiaia questo è - andrebbero consegnati gentilmente ai Campi Elisi senza troppi sensi di colpa. Anche il più mite Joe Klein, sul Time, suggerisce, pensando ai suoi genitori, che dovrebbero esserci "modi migliori per giocarsi il finale di partita". Ma forse è un'illusione. E' il finale, il problema. E poi, davvero i baby boomers vogliono passare alla storia come quelli che, fossero Enea a New York, butterebbero il vecchio padre Anchise nell'Hudson? E, se fossero Antigone, avvierebbero in Svizzera il protocollo Exit per Edipo, quel vecchio disabile malvissuto?

2477 - IL CLERO NON PUÒ PIÙ CONTARE SUL GENTIL SESSO - DI E. SUSMELda: www.lucidamente.com di domenica 3 giugno 2012

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Dopo il successo ottenuto con il piccolo best seller La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Armando Matteo torna con’altra analisi di un altro “distacco” dalla tradizione cattolica con il saggio La fuga delle quarantenni. Il difficile rapporto delle donne con la Chiesa (Rubbettino Edizioni, pp. 112, € 10,00). L’allontanamento progressivo dalla Chiesa da parte di una nutrita schiera di donne – giovani e non – e le relative conseguenze: è questo il tema che viene affrontato con la competenza di Matteo in qualità di sacerdote, docente di Teologia e assistente ecclesiastico nazionale della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci).In un paese fra i più maschilisti d’Europa – sostiene lo scrittore – la disaffezione cristiana delle donne è un problema più grave di quanto possa sembrare. Scrive: «Ecco il punto: la trasmissione della fede. Un compito da sempre assicurato, all’interno del panorama cattolico italiano, soprattutto dalla figura materna. È lei che appunto insieme con il latte offre pure il germe di una fede religiosa, è lei che dona insieme alle istruzioni per vivere pure quelle per credere; è nei suoi occhi, insomma, che il piccolo d’uomo non solo scopre la prima e più efficace mappa del mondo, ma pure la presenza di un Tu invisibile al quale fiduciosamente rivolgersi nel suo far proprio il mestiere di vivere».Per interi secoli, insomma, le donne hanno assunto un silenzioso ma indispensabile ruolo trainante dei figli verso la fede cristiana. Ai giorni nostri, questo rapporto privilegiato risulta incrinato e vi sono buone probabilità che non si rinsaldi facilmente. Detto tema e quello più generico dell’attuale crisi di popolarità della Chiesa sono stati trattati dal saggista anche col supporto di citazioni delle scrittrici Michela Murgia e Lorella Zanardo. Matteo ricorre inoltre al prezioso supporto statistico di autorevoli indagini sociologiche sulle abitudini religiose degli italiani, diffuse qualche anno fa a livello universitario.Frequenza nelle chiese, effettiva percezione del credo, fiducia riposta nella Chiesa, autodefinizione o meno di cattolico e grado di convinzione che essere italiani equivalga a essere cattolici: questi sono stati gli aspetti analizzati nelle ricerche. Dall’analisi dei dati citati, Matteo ricava che «anche per quanto riguarda la dimensione del credere in Dio il divario minore tra uomini e donne si registra tra chi ha un’alta istruzione ed è nato dopo il 1970». Aggiunge inoltre il saggista: «È con le donne nate dopo il 1970 che inizia quel progressivo cammino di omogeneizzazione dei comportamenti tra uomini e donne in relazione alla pratica di fede, il quale risulta poi praticamente compiuto nelle giovani donne nate dopo il 1981».Vengono analizzati i fenomeni sociologici che hanno contribuito a incrinare il rapporto fra la figura femminile e la Chiesa, soprattutto a séguito dell’emancipazione della donna. Complici di questa spaccatura sono – fra gli altri – la scarsa attenzione riservatale nella società anche religiosa e la costante irremovibilità dell’istituzione cattolica nei confronti dei principali aspetti della morale privata: esperienze omosessuali, tradimento nella vita coniugale, divorzio, convivenza anche prematrimoniale, figli nati fuori dal matrimonio. Lo scrittore risveglia con schiettezza gli animi delle figure clericali che – secondo il suo parere – dovrebbero intervenire con urgenza per assicurare anche in futuro la predominanza della religione cristiano-cattolica in Italia. Prospetta al riguardo cinque coraggiose proposte: riequilibrare l’immagine pubblica della Chiesa italiana; dare ai laici ciò che è dei laici, ovvero lavorare per un’effettiva corresponsabilità delle donne; pensare i tempi e le attese delle quarantenni; stanare i maschi dal loro ferito narcisismo; affrontare la battaglia per la vita buona dell’umano.

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2478 - NON C’È UNA CHIESA SENZA CHIESA - DI CARLO SINI (*)da: l’Unità di lunedì 4 giugno 2012 Che la visita del Papa a Milano sia stato un grande successo di portata nazionale e internazionale è un fatto. Che questo fatto si accompagni alle recenti vicissitudini interne della Chiesa costituisce un elemento di ulteriore proficua riflessione. Per esempio si tratta di comprendere la grande funzione delle istituzioni (e la Chiesa è tra le più diffuse e universali). Si ha voglia a criticare gli innumerevoli difetti che le istituzioni pubbliche ,e le grandi istituzioni storiche manifestano e hanno manifestato in ogni tempo: senza le istituzioni le idee e le fedi non si incarnano nella realtà e non ispirano grandi emozioni e il consenso partecìpatìvo delle moltitudini. Questo fatto può piacere o non piacere alla coscienza singola, ma la questione è un'altra ed è che senza una funzione ufficiale di rappresentanza non è possibile né efficace un credo religioso o un ideale politico. Si tratta insomma di un monito rivolto alle anime belle che credono davvero che sia facile voltar pagina e fare a meno di qualsivoglia gerarchia e selezione di vertice nella programmazione e amministrazione della vita pubblica. Come dire: c'è del marcio in Danimarca, c'è sempre stato, così come presumibilmente sempre ci sarà, perché l'uomo, diceva Kant è un legno storto (e i legni storti, come le gambe dei cani, non si raddrizzano); ma non possiamo fare a meno della Danimarca, cioè di un simbolo realizzato di comunione pubblica; possiamo al più farci sempre di nuovo carico della parte di male inevitabile che si deve cercare di diminuire. Si può operare fuori dell'istituzione per stimolarla e non lasciarla cadere nell'inerzia delle sue gerarchie costituite, senza però dimenticare che è comunque all'interno di essa che lo stìmolo deve trovare efficacia e modi di espressione. Una Chiesa senza Chiesa, uno Stato senza Stato è una pericolosa illusione, una visione infantile o, peggio, un discorso in mala fede per ingannare gli ingenui. Il successo del Papa a Milano fornisce, tra i molti, un ulteriore motivo di riflessione ed è che con la visione del mondo dei cattolici è indispensabile venire a un dialogo serio e sincero. I toni usati dal Papa nel ribadire le convinzioni della Chiesa relativamente alla vita civile di tutti sono stati moderati e rispettosi: è una cosa che va sottolineata e di cui essere, come laici, soddisfatti. Si tratta allora di cercare una demarcazione sempre più limpida e serena tra le funzioni della società civile e quelle della comunità religiosa. Ma bisogna aggiungere che entrambe le funzioni non devono limitarsi a demarcare il territorio di rispettiva competenza: c'è anche una funzione generosa che entrambe possono reciprocamente esercitare, per il bene reciproco e di tutti. Importante e anzi importantissimo è che, in un momento come questo, la più grande autorità spirituale del nostro Paese ricordi alla politica, a tutti i partiti e alle associazioni politiche, il dovere della dedizione, dell'altruismo, del dono di sé, della rinuncia all'egoismo tattico per la prevalente attenzione al bene comune.

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Non è meno importante che il libero pensiero dei laici ricordi, con comprensione generosa, alla Chiesa che anche la fede è un' esperienza di continuo rinnovamento e di continua avventura, che anche la. Chiesa come istituzione continua a vivere perché alimentata nel profondo dalla libertà di pensiero dei suoi migliori credenti: essi recano in ogni tempo testimonianza dello spirito, certo, ma anche e soprattutto del fatto che lo spirito soffia dove vuole, segnando il destino degli umani di tutte le religioni, di tutte le culture e di tutte le fedi. C'è una verità ecumenica in cammino, che è forse il più tipico contrassegno del destino della modernità. Anche il pensiero laico può imparare dalla esperienza millenaria della Chiesa a pensare e a guardare in grande il presente e il futuro, così come può offrire alla Chiesa la testimonianza della sua fede: nel valore imprescindibile della libertà, che è condizione prima per ogni figura e avventura della verità. (*) Filofoso

2479 - RIFORMARE LA CHIESA - LIBRO DI PABLO RICHARDda: www.adistaonline it di mercoledì 13 giugno 2012Per promuovere una riforma autentica della Chiesa, non c’è modo migliore che ricostruire la memoria del Movimento di Gesù nei primi 500 anni della sua storia: è questo il senso del libro del biblista e teologo della liberazione Pablo Richard, Memoria del movimento storico di Gesù, pubblicato in italiano nella serie dei Quaderni della Fondazione Guido Piccini (Brescia, liberedizioni, 2011, [email protected]). Nel testo, frutto di un lavoro più ampio edito dal Dei, il Departamento Ecuménico de Investigación del Costa Rica, in cui il teologo dirige, da oltre 40 anni, il Movimento Popolare della Bibbia per l’America Latina, Pablo Richard attinge alla sorgente originaria del cristianesimo come «canone, modello e strada per una riforma della Chiesa attuale», confutando la posizione tanto di chi nega la possibilità di recuperare la memoria del movimento storico di Gesù nelle sue origini quanto di chi esclude la possibilità di ricostruirla nel nostro tempo. «Se non sappiamo verso dove andiamo – scrive il teologo nell’introduzione – recuperiamo almeno la memoria del passato da cui veniamo», tanto più che è proprio per il fatto di aver perduto la memoria delle origini che la Chiesa «ha perso la capacità di affrontare attualmente una profonda riforma di se stessa», come pure di capire la straordinaria complessità del mondo post-moderno con cui è chiamata a dialogare. È dunque nel ritorno al cammino cristiano delle prime comunità che vissero e testimoniarono Gesù e il suo Vangelo (prima che il cristianesimo divenisse, con gli editti di Costantino e di Teodosio, la religione di Stato) che va cercata la soluzione al disagio di quei fedeli che – scrive Renato Piccini nella Presentazione dell’edizione italiana – «non riescono a trovare nel cristianesimo, fatto religione dogmatica e sacramentale, le risposte agli interrogativi posti non solo dal secolarismo o da una cultura laica e da una società assetata di “democrazia”, ma dalle incoerenze di una cristianità monolitica-gerarchica, chiusa a riccio in difesa di principi e tesi che sembrano imprigionare in un sistema culturale e politico il Vangelo di Gesù». È così che il lavoro di Pablo Richard, sottolinea Piccini, può offrire un valido contributo al difficile dialogo tra fede e laicità, il grande problema della compatibilità di una fede religiosa che mette al centro un Dio Assoluto «con una società laica che pone al centro l’uomo e l’umanità universale».

2480 - QUEL CHE RESTA DEI CATTOLICI: LIBRO DI M. MARZANO - DI N. URBINATIda: la Repubblica del 13 giugno 2012 Le cronache di questi giorni ci inondano di dettagli sugli intrighi del Vaticano, sulle trame delle varie cordate curiali, sulle mosse e contromosse dei singoli protagonisti delle lotte al vertice della Chiesa. La vita sotterranea di un’antica istituzione fa mostra di adattarsi

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perfettamente alle esigenze della società dello spettacolo, come quella delle corti monarchiche. Ma che cosa succede lontano dalla “chiesa legale”, nel “cattolicesimo reale”? In quello mai illuminato dai riflettori mediatici ma pur sempre l’unico davvero rilevante nella vita quotidiana di milioni di credenti? È questo l’argomento del libro di Marco Marzano appena pubblicato da Feltrinelli col titolo “Quel che resta dei cattolici”. Inchiesta sulla crisi della Chiesa in Italia. Il libro è un’inchiesta sociale, il resoconto di un viaggio durato tre anni, compiuto dall’autore in decine di parrocchie e di oratori in tutta la Penisola (ma soprattutto al Nord), a contatto diretto con tanti preti e laici impegnati nella Chiesa, e poi nelle aule di catechismo, in quelle dei corsi prematrimoniali, nelle assemblee parrocchiali, nelle corsie ospedaliere, nei seminari diocesani, ai funerali, e in altri luoghi ancora, ovunque si svolga concretamente la vita quotidiana dei cattolici italiani. Ne risulta una lettura sociologica originale dei cambiamenti in atto e una narrazione vivace e avvincente, “movimentata” dalla presenza di tanti personaggi e dal racconto di situazioni, di storie, di luoghi. Il lavoro è strutturato attorno a tre snodi centrati sugli effetti della secolarizzazione sui credenti e nell’istituzione. La secolarizzazione investe in pieno, ci dice Marzano, anche il cattolicesimo italiano nella forma di un distacco crescente della popolazione dai valori, dalle norme, dalle pratiche e dal linguaggio della tradizione cattolica. Soprattutto nelle giovani generazioni, l’allontanamento assume la forma di una frana difficile da arrestare. Sono molte le testimonianze “in presa diretta” in grado di materializzare immediatamente e in modo vivido la situazione, come il racconto di alcuni corsi di preparazione al matrimonio. Il numero dei matrimoni religiosi è in costante e rapida diminuzione a livello nazionale, e persino le coppie di sposi descritte dal sociologo, quasi tutte conviventi, sono distanti anni luce dal modello familiare proposto loro dal sacerdote che li segue nel corso. Non si rassegnano a rinunciare al loro punto di vista sull’amore, i rapporti sessuali, il divorzio, la vita di coppia; e questo loro punto di vista non coincide quasi mai con quello della dottrina ufficiale della Chiesa, che sentono estranea e lontana, in conflitto con la propria spiritualità autentica, con le loro convinzioni profonde. E fenomeni analoghi di dissociazione tra religione ufficiale e religione vissuta ritornano anche riguardo ai catechismi, ai funerali, ai reparti ospedalieri. Come ha spiegato Taylor, nel saggio L’età secolare, questo dipende dalla diffusione della “cultura dell’autenticità” e cioè dall’idea che, contro ogni conformismo, ognuno abbia il diritto/dovere di trovare una sua strada. Modificando così anche le “condizioni della credenza”. Come reagiscono le strutture portanti tradizionali della Chiesa cattolica a questa secolarizzazione?Parrocchie e clero, dice Marzano, possono svolgere ancora un ruolo importante nella vita civile e religiosa del Paese, ma a patto di riconoscere l’esaurimento definitivo del tradizionale modello monocratico centrato sulla figura solitaria del prete e di promuovere invece l’autonomia e l’iniziativa di laici finalmente divenuti adulti. È quello che già succede, in uno spirito davvero conciliare, in alcune parrocchie ben raccontate dall’autore. Sono una sorta di presidio sul territorio, dove i sacerdoti cercano di creare delle comunità, grazie anche a forme di dialogo costante con i ragazzi. Ma oltre a queste alternative, sembra esservi solo il declino.Dai racconti e dalle testimonianze degli intervistati, il clero ne esce come un ceto sociale in grande affanno, sempre più esiguo nei ranghi, parte di strutture obsolete e segregate come i seminari, in difficoltà nel mantenere alta la propria reputazione in una società secolarizzata che mette in discussione tutte le autorità tradizionali. Una società dell’autenticità nella quale, tra le altre cose, si tollera sempre più a fatica l’incoerenza del “predicare bene e razzolare male”, alla quale i preti sono costretti dall’obbligo del celibato. A tutte le difficoltà citate se ne aggiunge un’altra, comune a tutta la chiesa di base, al

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cattolicesimo delle parrocchie nel suo insieme: quella di far i conti con l’intransigenza conservatrice del pontefice e delle gerarchie romane che, amplificata quotidianamente da tutti i mezzi di informazione, spesso ostacola non poco il lavoro quotidiano dei parroci, che esige invece tolleranza e capacità di dialogo con il prossimo, anche con i tanti “lontani”.L’ultima parte del libro è dedicata a quelli che Marzano chiama i “nuovi cattolici”, ovvero i militanti di quei gruppi (i ciellini, i carismatici, i cursillos, etc.) che, dal Concilio Vaticano II in poi, si sono radicati nella Chiesa Cattolica. Marzano ha scelto di descriverne in profondità uno solo caso (il Cammino Neocatecumenale, l’organizzazione fondata dal pittore spagnolo Kiko Arguello negli anni Sessanta, nel tempo divenuta una delle più potenti ed influenti all’interno della Chiesa) mettendo in evidenze un processo di settarizzazione che risponde alle esigenze di forme nuove di autentica religiosità, ormai insoddisfatta dalle parrocchie. La diffusione del settarismo all’interno della chiesa è anche una conseguenza del rifiuto ostinato dei vertici ecclesiastici di considerare la secolarizzazione come una possibilità che potrebbe liberare il cattolicesimo di quegli orpelli che frenano la diffusione del suo messaggio religioso in un’età di secolarizzazione. Invece, dai vertici la secolarizzazione viene, spesso vanamente, combattuta e talvolta negata a tutti i costi. Persino al costo di veder trasformata l’antica Chiesa di Roma in una federazione di piccole conventicole guidate dal grande monarca romano.

2481 - LA BIBBIA NON SBAGLIA MAI? DI WALTER PERUZZI da: www.cronachelaiche.it di martedì 12 giugno 2012Secondo la Chiesa la Bibbia, in quanto ispirata da Dio, è inerrante, cioè non può mai sbagliare né in tema di fede e di morale né in campo storico o scientifico. Naturalmente nella interpretazione autentica che ne dà la Chiesa stessa, che è infallibile a sua volta…Tale posizione è stata ribadita anche dal più aperto dei concili, il Vaticano II, con la costituzione dogmatica Dei verbum (1965): «Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo» e il «modo di interpretare la Scrittura è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio».Quando a sbagliare fu GalileoFamoso l’infortunio in cui la Chiesa incorse per tener ferma questa posizione contro Galilei, il quale sosteneva che il sole sta fermo e la terra gira benché nella Bibbia Giosuè esclami «Fermati sole».Nel 1633 il Santo Ufficio, con un documento approvato da Urbano VIII, condannò come «falsa e contraria alle Sacre Scritture» la teoria copernicana che, come tutti sanno, è risultata invece vera. Doppio errore: della Bibbia, che dovrebbe essere inerrante e del papa, che dovrebbe essere infallibile. Per cavarsi d’impaccio la Chiesa insediò nel 1981, cioè dopo tre secoli (!), una Commissione per la quale «Galilei non riuscì a provare in maniera inconfutabile il doppio moto della Terra», che venne dimostrato solo 150 anni più tardi allorché «i fatti si imposero e fecero presto apparire il carattere relativo della sentenza pronunciata nel 1633» dal papa. Ma tale sentenza, secondo la  commissione «non aveva un carattere irreformabile» (!?).In conclusione a sbagliare dapprima fu Galilei, che tirò a indovinare, senza avere tutte le prove. Poi le prove arrivarono e dimostrarono che il papa aveva avuto solo relativamente ragione, cioè aveva avuto torto … Ma la sua sentenza si poteva “riformare”. No problem, quindi, per l’infallibilità…Quanto alla Bibbia si deve solo tener conto, come si affrettarono a dire i papi, fatti accorti dall’infortunio, che non è un trattato scientifico e si esprime, anche a seconda del genere letterario usato dall’autore dei singoli libri, con metafore e ”modi di dire” del tempo.La verità “assoluta” della Bibbia

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Così, col solito gioco delle tre tavolette, la Chiesa ha conciliato errori, inerranza e infallibilità senza però rinunciare a rivendicare l’inerranza della Bibbia anche in materia storica e scientifica. Pio XII, ad esempio, ha condannato il poligenismo, di cui discutono gli scienziati, perché contrasta con la Bibbia e con il dogma del peccato originale. «I fedeli», ha scritto papa Pacelli, «non possono abbracciare quell’opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti gli uomini» (Humani generis, 1950).Sempre nella stessa enciclica Pio XII ha insistito sulla verità storica della Bibbia affermando: «se qualche cosa gli antichi agiografi hanno preso da narrazioni popolari (il che può essere concesso), non bisogna mai dimenticare che hanno fatto questo con l’aiuto dell’ispirazione divina, che nella scelta e nella valutazione di quei documenti li ha premuniti da ogni errore. Quindi le narrazioni popolari inserite nelle Sacre Scritture non possono affatto essere poste sullo stesso piano delle mitologie o simili».Come l’Iliade e l’OdisseaSi tratta di posizioni ovviamente imbarazzanti per gli scienziati e per gli storici. Ma forse è ancora più imbarazzante dover ritenere “morali” massime e insegnamenti come quelli contenuti nella Bibbia, che spesso incitano all’odio, alla violenza, all’omicidio, all’omofobia, alla misoginia, al razzismo.Meglio sarebbe considerare la Bibbia per quello che essa realmente è: una delle grandi opere letterarie dell’umanità, diseguale per qualità artistica, espressione di un popolo, in una fase della sua storia. Un’opera in cui liberamente si mescolano vicende reali allegoriche fantastiche e idee filosofiche o morali anche contraddittorie fra loro. Come nell’Iliade, nell’Odissea e, con buona pace di Pio XII, in altre narrazioni «delle mitologie o simili».

2482 - CHIESA, LA SFIDA DEGLI ATEI DEBOLI - DI FRANCO GARELLI da: la Stampa di martedì 19 giugno 2012Quanto sono veritieri i dati sulla religiosità in Italia? Che valore dare alle dichiarazioni di molti italiani che ancor oggi continuano a definirsi cattolici? Perché tante persone sembrano di fatto indifferenti nei confronti della religione anche se non hanno il coraggio di definirsi atei o agnostici?Ecco alcuni interrogativi su cui ruota il dibattito pubblico sulle sorti della religione nella società avanzata, che appassiona sia gli studiosi dei fenomeni religiosi sia gli uomini di chiesa. Perché al di là delle apparenze, oltre la superficie, si coglie in ampie quote di popolazione una distanza tra le intenzioni e il vissuto religioso che pone non pochi problemi di interpretazione.Proprio questo tema è al centro della recente e interessante indagine che Massimo Introvigne e Pierluigi Zoccatelli (che dirigono il Centro Studi sulle Nuove Religioni di Torino) hanno condotto in un’area del Sud, che si presenta come un caso studio emblematico di ciò che accade non solo in quella regione ma in tutto il Paese. In effetti, i dati sulla religiosità di quell’ambiente (la Diocesi di Piazza Armerina, una delle 18 diocesi della Sicilia, che si estende tra le province di Enna e Caltanissetta) riflettono la geografia

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religiosa di molte province italiane. Ancor oggi, pur in un contesto in cui crescono le altre fedi religiose, oltre l’85% della popolazione continua a definirsi cattolica, 1/3 della gente va regolarmente in chiesa tutte le domeniche, più della metà dichiara un’elevata fiducia nella chiesa. Ovviamente il legame religioso di molti non è particolarmente costringente e rispecchia quell’individualismo del credere (o quel «fai da te» religioso) che è tipico dell’epoca attuale. Tuttavia è assai più diffusa la propensione a «pensarsi» come persone religiose che a ritenersi distanti o estranei dai valori religiosi. In effetti, gli atei o gli agnostici dichiarati sono un’esigua minoranza, circa l’8% dei casi.La novità del lavoro di Introvigne e Zoccatelli è di andar oltre questo scenario, chiedendosi quanto siano lontane dalla fede e dalla chiesa molte persone che pur continuano a mantenere un qualche legame con la religione della tradizione. In altri termini, il panorama nostrano non si compone soltanto di «atei forti», palesemente ostili o indifferenti alla religione, vuoi per ragioni ideologiche vuoi per deficit ecclesiali (oggi ingigantiti dallo scandalo dei preti pedofili). A fianco dei non credenti incalliti e di vecchio stampo, vi è la categoria molto più estesa degli «atei deboli», disinteressati o apatici nei confronti di un orizzonte di fede nonostante che alcuni di essi non siano privi di dubbi e di crucci esistenziali. Questo «ateismo pratico» (o ateismo «di fatto») sarebbe - a detta dei due autori - assai più esteso nel paese di quanto rilevato dalle statistiche, dal momento che tracce di esso si riscontrano in quella maggioranza di italiani che non spezza il legame con la religione cattolica pur standosene ai margini. Gente, dunque, «lontana» dagli ambienti ecclesiali, non ostile nei confronti della religione, ma mai coinvolta; la cui indifferenza religiosa è perlopiù legata al fardello della vita o all’eccessiva attenzione dedicata al successo personale e ai bisogni materiali. Si tratta di soggetti che spesso affermano cinicamente che denaro, amore e carriera sono obiettivi ben più importanti della religione.La grande sfida per il cattolicesimo (ma anche per altre religioni storiche) è dunque rappresentata dalle nuove forme di ateismo e di indifferenza religiosa. Ecco il messaggio del lavoro di Introvigne e Zoccatelli, a cui essi giungono anche guardando a ciò che avviene in altre nazioni europee. La quota degli atei (forti e deboli) è in sensibile diminuzione in Russia, mentre si mantiene elevata nella Repubblica Ceca e in Germania Est; ma essa risulta in aumento non soltanto nelle società europee più laiche (come la Francia) ma anche in quelle nazioni - come l’Italia - in cui la religione è interpretata da molti più come un retaggio della tradizione che come una risorsa spirituale.

2483 - I POPULISTI CHE ARRUOLANO DIO - DI MARCO VENTURA da: il Corriere di domenica 10 giugno 2012 Nella nostra età secolare, la fonte della sovranità ha smesso di essere in Dio; Dio non è più sovrano. Chi ne ha preso il posto? Il popolo. Il popolo sovrano. Nei Paesi in cui l'avvento della sovranità popolare ha coinciso con la liberaldemocrazia, il rapporto tra popolo e Dio si è riscritto in termini di libertà religiosa e di separazione tra Stato e Chiese. Per le Chiese la separazione è la miglior garanzia contro l'ingerenza statale; per gli Stati la separazione è la miglior garanzia contro l'ingerenza clericale. Alcuni Paesi, come la Francia e gli Stati Uniti, hanno introdotto la separazione chiamandola col suo nome; altri hanno teso ad essa riducendo le Chiese di Stato ad un ruolo simbolico, come nel Regno Unito e in Scandinavia, o moderando i privilegi delle Chiese forti, come in Germania e in Spagna.In un Occidente spaventato dal mondo globale, la crisi del modello laico-separatista ha coinciso con quella della liberaldemocrazia. Nuove forme di alleanza tra Dio e popolo si sono delineate. Il cambiamento di paradigma si è avvertito particolarmente nei partiti e movimenti politici che hanno costruito sul populismo la loro affermazione. Nell'ambito del progetto «Religio West», diretto dal politologo Olivier Roy, un seminario internazionale

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presso l'Istituto universitario europeo di Firenze ha indagato il fenomeno attraverso l'analisi di alcuni casi nazionali.L'affacciarsi di partiti populisti nell'Europa degli anni Ottanta fu una risposta al ridimensionamento della sovranità statuale, all'indebolimento delle nazioni, all'insicurezza delle Chiese. Alcuni leader intuirono che si apriva un nuovo spazio a chi avesse il coraggio di parlare al popolo. Il populismo, precisa il sociologo francese Jean-Louis Schlegel, non è una dottrina, ma una strategia degli attori politici in tempi di crisi. Le Pen in Francia e Haider in Austria vi ricorsero con abilità. Solleticarono le frustrazioni, ricrearono un popolo e additarono un nemico: le élite e gli immigrati. Dio rimase ai margini del populismo tra anni Ottanta e Novanta. Quando vi entrò, come nel caso della Lega, fu per rafforzare l'identità di un popolo padano tradito da una Chiesa di Roma non meno ladrona della politica romana; oppure, come in Turchia, per risvegliare una nazione islamica stanca di una laicità governativa e militare.Soltanto dopo l'attentato alle Torri gemelle, i leader populisti arruolarono Dio alla loro demagogia. Prese forma una religione del popolo fatta di identità e simboli, di valori e tradizione. Il Dio del popolo presuppone «civiltà» e «culture» contrapposte, demarca il «noi» e il «loro». Siamo cristiani perché loro sono musulmani. Siamo cristiani perché lo siamo sempre stati. Questo Dio, osserva il politologo israeliano Dani Filc, funziona perché esclude e perché include: unisce il popolo escludendo il nemico e il diverso, ma al contempo promette inclusione a chi sia disposto ad entrare nel recinto, a riconoscersi nella nazione; persino a chi non pratica, persino a chi non crede. Il Dio del popolo ha nostalgia di un passato felice, della religiosità tradizionale, di un paesaggio rurale e di una società arcaica. Odia la riforma teologica e politica, la finanza e gli intellettuali.È alle sorgenti di questo Dio che si è abbeverato l'odio dell'Europa. Pur nel contesto peculiare del «nazionalismo» padano, la parabola della Lega è significativa. Duncan McDonnell ricorda il Bossi degli anni Novanta, che inveisce contro gli scandali finanziari vaticani e rimprovera alla Chiesa di aver perso «ogni credibilità», tanto da dover riempire i seminari vuoti con preti dal Terzo Mondo. Lo studioso irlandese analizza il populismo leghista fatto di missione, sacrificio, terra promessa, riti e soprattutto di auto-assoluzione: perché la colpa non è mai mia, è sempre dell'altro. Fino alla conversione religiosa dopo le Torri gemelle. Dal 2001 la Lega accentua la propria battaglia per l'identità cristiana contro l'Europa secolarizzata e l'invasione musulmana. È forte la tensione con settori cattolici antagonisti, ma il Dio popolare leghista è astuto: «Un tempo attaccavamo i potenti, il Vaticano e la Chiesa», dichiara un militante a McDonnell, «poi i rapporti con la Chiesa sono molto migliorati» perché abbiamo criticato la Convenzione europea dei diritti umani; perché abbracciamo le radici cristiane. Il Dio leghista, secondo McDonnell, è attivamente anti-islamico e passivamente cristiano. La formula vale anche al di là dell'Italia. Per funzionare, il cristianesimo dei populisti deve ridursi ad una generica poltiglia di valori, simboli e nostalgie. Un amalgama passivo, cui costa poco aderire. È invece attivissima la retorica del nemico, anzitutto musulmano, come mostrano per l'Austria Sieglinde Rosenberger e Leila Hadj-Abdou.Per Olivier Roy il populismo lacera Chiese e religioni perché ne spezza il monopolio su Dio. Roy ha ragione, ma per molti pezzi di Chiese e di religioni, il Dio populista è l'occasione del riscatto, l'illusione di un ritorno al monopolio, la seduzione del successo, come mostrano i vescovi abbagliati da Bossi e Berlusconi. Susi Meret, politologa italiana all'Università di Aalborg, racconta come Søren Krarup, pastore protestante e deputato, abbia plasmato l'ideologia xenofoba del Partito danese del popolo, per cui l'identità, la religione e la cultura sono qualcosa che si assimila «col latte della mamma». Pantelis Kalaitzidis, dell'accademia teologica di Volos, denuncia la deriva di un'ortodossia greca sempre più nazionalista, antiecumenica ed antioccidentale. La politologa turca Mine Eder fonda il successo del partito di Erdogan, l'Akp, sul populismo egemonico dell'Islam

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nazionalista turco. Tim Peace, dell'Università di Edimburgo, racconta la lotta della Chiesa d'Inghilterra, delle altre fedi e dei gruppi interreligiosi britannici contro la demagogia del British national party e della English defence league.Schlegel nota come il cattolicesimo populista sia quello meno in sintonia con il Vaticano II, in particolare con l'ecclesiologia del popolo di Dio. In realtà, segnalano Dani Filc e Olivier Roy, il Dio populista è onnivoro e contraddittorio: opposto alla modernità, ma dalla parte dell'Occidente secolarizzato contro il sikh e il musulmano. Interessi e tattiche ricompongono gli opposti. È così nel Tea Party americano illustrato da Nadia Marzouki, nella laicità repubblicana di Marine Le Pen e ancor più nel populismo del Nord e Centro Europa, dove libertà sessuale, ateismo, tutela delle minoranze e diritti umani si tramutano in alleati della religione popolare e delle tradizioni. Lo ha mostrato lo studioso svizzero Oscar Mazzoleni, collegando il leader antiminareti elvetico Oskar Freysinger al libertario olandese Geert Wilders.Nell'età secolare il popolo non appartiene più a Dio. I populisti cercano consenso e potere rovesciando i termini: il loro Dio appartiene al popolo; vale perché serve al popolo. Li inseguono le Chiese e le religioni quando strillano «no, Dio è mio». E se invece Dio non fosse di nessuno?

2484 - DIRITTI E PERSONE, IL DOCUMENTO DEL PD – DI MARIA ZEGARELLIda: l’Unità di venerdì 15 giugno 2012Sono stati chiusi al terzo piano del Nazareno per un intero pomeriggio e la discussione che qualcuno immaginava sarebbe stata liscia come l'olio è stata invece come carta crespa. Se è vero che sui diritti civili e i temi eticamente sensibili il Pd di passi in avanti ne ha fatti, è pur vero che una vera sintesi fra le sue diverse anime è lontana.Oltre cinque ore di discussione per la Commissione Diritti presieduta da Rosy Bindi che aveva il compito di mettere a punto un documento di indirizzo da sottoporre al segretario e all'Assemblea nazionale di luglio su coppie di fatto, testamento biologico e dignità della persona. Otto pagine frutto di un lavoro andato avanti per oltre un anno, durante il quale politici, filosofi e giuristi hanno cercato - senza trovarla del tutto - la quadra. Non si tratta di norme, non si individuano strumenti, si indicano linee entro le quali muoversi in futuro. Sulle coppie di fatto il documento partendo dalla «pluralità di forme di convivenza, che svolgono una funzione importante nella realizzazione delle persone» individua nella sentenza 138/2010 della Corte costituzionale l'orizzonte: «Per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annovare anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone - nei tempi e nei modi previsti stabiliti dalla legge - il riconoscimento giuridico coni connessi diritti e doveri». Da qui l'auspicio di una regolamentazione giuridica fondata sull'articolo 2 della Costituzione. Ed è su questo passaggio che la discussione si è animata, molti dei membri - da Barbara Pollastrini a Gianni Cuperlo a Paola Concia e Ignazio Marino avrebbero voluto più coraggio. C'è chi ha osservato che il documento è per certi versi meno avanzato del contenuto della lettera di Bersani al gay-pride. «È stato un confronto positivo e che nasce dal lungo lavoro di un anno - dice Concia - . Insieme ad altri colleghi, ho chiesto di modificare il testo finale rendendolo più esplicito sui punti che riguardano le unioni tra persone dello stesso sesso. Io che come tutti sanno, parto da una posizione favorevole al matrimonio omosessuale, ho lavorato in questi mesi per costruire una proposta che riconoscesse la piena uguaglianza e il riconoscimento giuridico e sociale delle coppie e delle famiglie omosessuali. Il documento alla fine non è stato cambiato ed è stato

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consegnato al segretario del partito, con dei distinguo dato che insieme a me, altri membri della commissione non erano d'accordo sulla stesura finale. Adesso, il testo, una volta consegnato nelle mani del segretario Bersani, sarà oggetto di discussione all' interno del partito e sono sicura che ci sarà modo di migliorarlo». «È stato un lavoro importante - osserva invece Ettore Martinelli -. Siamo ben oltre i Dico e assolutamente in linea con quanto sostiene Bersani. Non c'è una sommatoria di diritti dei singoli ma la previsione di un istituto giuridico ad hoc che spetta ai gruppi parlamentari trovare per riconoscere i diritti delle coppie». «Quasi due anni di lavoro per produrre un testo elegante e dotto ma senza quei sì e quei no netti che le persone attendono dalla politica», commenta Ignazio Marino (c'è chi fa notare che ha partecipato ai lavori soltanto ieri) secondo il quale il lavoro si conclude «con un documento non condiviso che non indica un programma chiaro sui diritti». Sul testamento biologico la linea è quella del rispetto del rapporto di fiducia tra medico e paziente e della volontà individuale del paziente. Nel documento netto il no all'eutanasia, alla donazione e all'utilizzo degli embrioni umani a fini industriali.IL TESTOOggi è impossibile riflettere sul tema dei diritti personali senza tener conto del dato più dirompente che segna il nostro tempo: il vertiginoso aumento di potenza nelle mani dell’essere umano grazie alla rivoluzione tecnologica esplosa negli ultimi decenni. Oggi la nuova potenza della tecnica sta mettendo sempre più in crisi la distinzione tra «naturale» e «artificiale», consentendo alla tecnica di intervenire sugli stessi fondamenti biologici della nostra esistenza, dal momento del sorgere della vita fino ai confini con la morte. Per questo è essenziale incoraggiare, sostenere e rispettare il libero esplicarsi della scienza e dell’arte, ma al tempo stesso è del tutto evidente che tale immenso potenziale non possa essere lasciato alla nuda regolazione del mercato: se da un lato gli investimenti economici sono essenziali ai fini dello sviluppo della scienza e della tecnologia, d’altro lato la finalità della ricerca e l’utilizzo dei suoi risultati non possono essere definiti solo dall’aumento di ricchezza che essi possono produrre. (...)L’integrità della persona deve essere rispettata sia là dove essa sia in grado di esprimere autonomamente la propria volontà, sia là dove ciò non possa accadere. Occorre darsi gli strumenti, anche legislativi, affinché la persona possa esprimere, anticipatamente e con forme e modalità adeguate e consapevoli, i propri convincimenti e la propria volontà per le situazioni nelle quali potrebbe non essere più in grado di esprimerli. Ed occorre adoperarsi per estendere la tutela delle libertà personali a chi, versando in stati magari anche solo transitori di incapacità ad esprimersi, è, come soggetto debole, maggiormente esposto al rischio di manipolazione e bisognoso di protezione e di rispetto. (...)Per questo il Pd si è impegnato a combattere queste forme di violazioni della libertà personale, anche attraverso specifiche proposte, quali ad esempio quelle contro la violenza sulle donne, contro l’omofobia e la transfobia, contro la manipolazione genetica, contro le terapie e le cure non rispettose delle volontà di colui che le subisce, contro la tortura e a favore di un trattamento umano dei detenuti nelle carceri. (...)DIRITTO ALLA CURAIl Pd opera affinché il diritto alla cura debba essere garantito come esigibile da ogni persona, in ogni caso, specie da chi si trova in condizioni di povertà, materiale e relazionale, e di potenziale abbandono. Per questo afferma con convinzione la necessità che siano sempre assicurate prestazioni di cura adeguate a ciascun cittadino, in particolare agli indigenti. Ciò tra l’altro è suggerito dalla nostra Costituzione, che saggiamente all’art. 2, c. 1, considera la salute come «interesse della collettività», oltre che come «fondamentale diritto dell’individuo». Il diritto alla cura è declinabile anche come diritto ad essere sollevato dalla sofferenza con trattamenti palliativi, là dove non possa darsi altro rimedio, per ciò che la scienza e la tecnica allo stato consentono e

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nell’osservanza delle scelte della persona. È inoltre elemento coessenziale di questo diritto alla cura, e non è altro da esso in quanto connesso al diritto all’integrità personale, il diritto al rispetto delle scelte della persona, fin dove non si impongano esigenze collettive di tutela della salute. Nelle proposte del Pd, la necessità di preservare il rapporto di fiducia e l’alleanza terapeutica tra il medico ed il paziente, nel quadro delle relazioni familiari ed affettive che lo circondano, rispetta il principio per cui il convincimento libero e la volontà individuale di chi è curato non debbono subire prevaricazioni o pregiudizi; mentre va assicurato il diritto ed il dovere del medico di non impartire al paziente stesso, il quale pure solleciti o acconsenta, trattamenti finalizzati a sopprimere la vita, tenendo sempre fermo il principio che l’ultima parola sull’intrapresa dei trattamenti e sulla loro prosecuzione è di chi li sopporta.Vi sono poi violazioni dei diritti fondamentali anche nell’ambito della sfera spirituale. Anche su questo piano si registrano mancati riconoscimenti della libertà di pensiero e di religione. Ciò riguarda la sfera della libertà religiosa, della libertà scientifica e artistica, della libertà della ricerca scientifica, ma riguarda anche la sfera della formazione della pubblica opinione che si sviluppa attraverso l’accesso ad una informazione libera e plurale e di una educazione aperta e pluralistica. In questo ambito il principio fondamentale non può che essere quello del rispetto e della promozione della libertà di coscienza del singolo, che è un valore frutto anch’esso della convergenza, sia pure dialettica, delle tradizioni religiose e secolari. Il riconoscimento della libertà della coscienza pone un limite fondamentale al potere politico e ai suoi strumenti coercitivi che devono arrestarsi di fronte alla sfera interiore dell’individuo, e per ciò stesso anche di fronte alla sfera dell’arte, della cultura, della scienza. La difesa di tale diritto all’inviolabilità della coscienza, il cui esercizio non può evidentemente essere riservato al solo spazio interiore di ogni individuo, deve conciliarsi con il principio di responsabilità sociale per i comportamenti influenti su altre persone e sulla società. Per questo i riconoscimenti delle differenze di comportamento imputabili a identità o scelte anche religiose, etiche o filosofiche, anche nelle forme di obiezione di coscienza giuridicamente garantita, devono inserirsi in un regime di compatibilità con l’adempimento da parte di tutti i cittadini degli obblighi di solidarietà sociale ed il rispetto dei diritti altrui. È compito delle istituzioni pubbliche, da un lato, riconoscere la libertà di coscienza anche dei propri operatori, dall’altro, garantire a tutti i cittadini la protezione e l’assistenza di cui hanno diritto. In questa direzione il Pd ha avanzato proposte a sostegno della libertà religiosa, a difesa di una informazione libera e plurale, a sostegno della libertà di ricerca.LA FAMIGLIAVi sono infine mancati riconoscimenti e violazioni di diritti nell’ambito delle relazioni e delle organizzazioni sociali. La vita umana esiste solo (ed è pensabile solo) entro le forme della socialità. Queste forme – tra cui la famiglia è forma primaria – si costituiscono non solo sulla base delle scelte degli individui, ma anche sulla base della loro posizione e del loro rilievo sociale. La storia della famiglia testimonia questa evoluzione continua, legata al mutare delle condizioni economiche, ambientali, culturali, religiose, al cui interno un ruolo fondamentale è stato svolto dai grandi processi di emancipazione femminile. In questa evoluzione la cultura e gli ordinamenti giuridici hanno riconosciuto un’importanza crescente alla libera espressione dell’affettività personale, all’uguaglianza delle persone all’interno della famiglia e agli obblighi di solidarietà tra coniugi e tra genitori e figli. Si tratta di valori essenziali non solo alla vita personale, ma all’intera vita sociale. Per questo la Costituzione italiana ha inteso riconoscere e stabilire i diritti e i doveri della famiglia (artt. 29 e 30), nonché il dovere della Repubblica di agevolarla e sostenerla nell’adempimento dei suoi compiti (art. 31). Rispetto a questo dovere l’azione del governo italiano, anche e

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soprattutto negli ultimi anni, è stata largamente inadempiente e il Pd considera un obiettivo primario il dare piena attuazione a questo impegno costituzionale.D’altra parte non si può ignorare che nella società contemporanea le dinamiche sociali ed economiche, da un lato, e, dall’altro, le libere scelte affettive e le assunzioni di solidarietà hanno dato vita a una pluralità di forme di convivenza, che svolgono una funzione importante nella realizzazione delle persone e nella creazione di un più forte tessuto di rapporti sociali. Per questo esse appaiono meritevoli di riconoscimento e tutela sulla base di alcuni principi fondamentali. Da un lato, nel principio della centralità del soggetto rispetto alle sue relazioni, così da riconoscere sia i diritti di ogni persona a dare vita liberamente a formazioni sociali, sia i diritti di ciascuno entro le diverse formazioni sociali. Dall’altro, nel principio del legittimo pluralismo, che implica il riconoscimento dei diritti e dei doveri che nascono nelle diverse formazioni sociali in cui può articolarsi la vita personale affettiva e di coppia.Tale riconoscimento dovrà avvenire secondo tecniche e modalità rispettose, da un lato, della posizione costituzionalmente rilevante della famiglia fondata sul matrimonio ai sensi dell’art. 29 Cost. e della giurisprudenza costituzionale che anche recentemente ne ha dato applicazione, dall’altro, dei diritti di ogni persona a realizzarsi all’interno delle formazioni sociali, che si declinano oggi in un orizzonte pluralistico secondo quanto espresso dalla Corte Costituzionale: «per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri» (138/2010). Il Pd, auspicando un più approfondito bilanciamento tra i principi degli articoli 2, 3, e 29 della Costituzione, quanto in specie alle libere scelte compiute da ciascuna persona in relazione alla vita di coppia ed alla partecipazione alla stessa, opera dunque per l’adeguamento della disciplina giuridica all’effettiva sostanza dell’evoluzione sociale, anche introducendo, entro i vincoli della Costituzione e per il libero sviluppo della personalità di cui all’art. 2, speciali forme di garanzia per i diritti e i doveri che sorgono dai legami differenti da quelli matrimoniali, ivi comprese le unioni omosessuali.

2485-IL PD, I DIRITTI CIVILI E LA NECESSITA’ DI MEDIARE- DI PIERLUIGI BATTISTAda: il Corriere della Sera di sabato 16 giugno 2012 Per alcuni anni i temi «eticamente sensibili» sono stati sepolti nello sgabuzzino delle cianfrusaglie irrilevanti. Bisognava neutralizzarli: erano troppo «sensibili», troppo «divisivi», troppo incandescenti. Oggi il Pd sta cominciando a liberarsi dall'autocensura.I democratici non riusciranno a dare risposte appaganti per tutti. Ma almeno hanno il coraggio di affrontare argomenti importanti, anche se politicamente scabrosi. La politica vuole riprendersi i suoi spazi? Esca allo scoperto, dimostri che si è ancora capaci di discutere, proporre, e anche dividersi, se necessario.Il documento del Pd sul riconoscimento delle coppie di fatto, partorito da una commissione diretta dalla cattolica Bindi, cerca di mediare tra anime culturali diverse in un partito in cui convivono cattolici e laici. Sulle coppie dello stesso sesso, il documento appare più prudente e frenato da cautele di quanto non siano state le dichiarazioni del segretario Bersani. Ma non è neanche prigioniero della «scomunica» preventiva di Beppe Fioroni, che sulla questione delle unioni tra gay ha disseppellito l'ascia di guerra (ideologica) contro il segretario del partito. Ha un senso riesumare il tema del riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso? Certo che lo ha. In tutto il mondo delle democrazie liberali questo tema è all'ordine del giorno, scavalcando schieramenti e collocazioni

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politiche. In Germania la «democristiana» Merkel non ha mai avuto in programma lo smantellamento delle leggi che riconoscono la convivenza tra le coppie gay. Malgrado le furiose battaglie del passato, persino nella Spagna dei Popolari non si intende provvedere alla demolizione dello zapaterismo, variante oltranzista ed estremista nella promozione dei diritti civili. In America i repubblicani non scatenano una guerra di religione contro Obama che si dice favorevole ai matrimoni gay. In Gran Bretagna è il conservatore Cameron a dirsi favorevole al riconoscimento dello Stato delle unioni omosessuali. In Italia, dopo l'incendio dei Dico, una coltre di silenzio imbarazzato è calata su questo tema, lasciandolo appannaggio di minoranze importanti ma senza la forza necessaria a imporlo nell'agenda pubblica. Oggi il Pd, e bisogna rendergliene merito, ha strappato questo velo omertoso e reticente.Può darsi che il Pd appaia troppo timido, come pure dicono le componenti più marcatamente «laiciste» del partito. Ma un partito variegato e culturalmente ibrido, come del resto lo sono tutti i partiti di grandi dimensioni in Europa e negli Stati Uniti, non può che attestarsi su una ragionevole, dignitosa e responsabile mediazione. L'analogia può sembrare una forzatura, e in parte lo è: ma anche la legge che istituì il divorzio all'inizio degli anni Settanta fu timida e frutto di inevitabili «mediazioni», eppure per la prima volta l'Italia conobbe qualcosa di sconvolgente e rivoluzionario come il divorzio. Oggi il riconoscimento delle coppie gay può avere lo stesso valore dirompente. Il meglio è nemico del bene. Per avere la perfezione si rischia di non ottenere nulla. Una mediazione sorretta da una consapevole dignità culturale può strappare risultati decisivi anche se la lettera della proposta può lasciare perplessi e insoddisfatti.E così anche per il tema del testamento biologico. La nettezza del «no all'eutanasia» che viene ribadita nel documento del Partito democratico può disinnescare paure e sospetti che non sono solo il frutto di pregiudizi, ma la conseguenza del potere immenso che la tecnoscienza ha conquistato sulle nostre vite e sulla stessa nostra morte. Ma una proposta ragionevole e coraggiosa che consenta ai cittadini di dire nel corso della loro vita cosciente cosa «non» vorrebbero che si facesse quando la loro vita sarà entrata nel buio dell'incoscienza senza speranza, questa proposta sarebbe una risposta giusta al totale e autoritario rifiuto della libera scelta contenuta nelle proposte avanzate in questa legislatura dalla maggioranza di centrodestra sul testamento biologico. No all'eutanasia, ma sì alla libera scelta di come vivere, di come essere curati e di come morire quando la prosecuzione delle cure sarebbe solo accanimento: anche questa mediazione permette di uscire dall'immobilismo, dalle guerre di religione, dagli oltranzismi contrapposti. Poi certo verrà il tempo della discussione, dei cambiamenti, delle rettifiche. Ma intanto il grande silenzio si è infranto. L'allargamento dei diritti civili si riprende il centro della scena. Ci sono poche speranze che la prossima campagna elettorale assuma toni civili. Ricominciare a discutere sui temi rimossi e «sensibili» può essere un primo passo.

2486 - NIENTE NOZZE GAY NEL PROGRAMMA PD – DI ROSY BINDIda: Avvenire di lunedì 18 giugno 2012 – intervista di Marco Iasevoli«Io penso che il Pd abbia fatto un passo avanti rispetto al passato, siamo riusciti a trovare un’ampia condivisione politica tra culture profondamente diverse sul tema dei diritti civili». Rosy Bindi presiede il Comitato che ha varato le "linee-guida" del partito sui temi eticamente sensibili, e ha tutta l’intenzione di difendere un risultato «equilibrato» dai possibili assalti in Assemblea nazionale di chi chiede matrimoni gay, modifiche alla legge 40 sulla fecondazione assistita e l’introduzione dell’eutanasia. «In questa fase – gioca d’anticipo Bindi – persone come Paola Concia e Ivan Scalfarotto, che hanno collaborato molto ai lavori della commissione, potranno distinguere le opinioni personali, e quelle dei movimenti cui sono vicini, dalla sintesi che abbiamo elaborato. E

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questo vale anche per quei cattolici che fanno fatica ad ammettere che la cultura dei diritti civili è fondamentale per il Pd. È così che si fa e si sta in un partito pluralista».Basta intendersi su che cosa si intende per diritti civili... In ogni caso, presidente, il documento del Pd ha incassato commenti con luci ed ombre. Uno degli addebiti è che mancano proposte legislative concrete...Il Comitato non aveva questo compito, ma doveva aiutare il Pd a produrre una nuova e comune cultura politica sui diritti. Penso che ci siamo riusciti...È vero però che i cittadini vogliono risposte più chiare. Insomma: matrimoni gay, si o no?Ci atterremo ai contenuti della Costituzione e a una consolidata giurisprudenza che non prevede il matrimonio per le coppie omosessuali. Sulla scia del lavoro fatto escludo che il programma del Pd conterrà questa proposta, come pure escludo che possa prevedere l’adozione per le coppie gay, alla quale sono personalmente contraria anche sotto un profilo scientifico. L’indirizzo del documento è un altro...Quale?Avvertiamo il dovere di regolare unioni di fatto che sono sotto gli occhi di tutti, e di individuare, senza confusioni con la famiglia fondata sul matrimonio, i diritti e i doveri personali che ne derivano. Un partito che ha ambizioni di governo, che guarda il mondo e ne accompagna i cambiamenti, non deve lasciare nessuna situazione nella clandestinità.A quali diritti e doveri individuali si riferisce?Li dobbiamo definire insieme, in un lavoro che va oltre il Pd, che riguarda il Paese e tutte le sue culture. L’importante è che i democratici arrivino con una sintesi che favorisce il dialogo e non lo preclude.Nel Pd c’è attenzione ai diritti della famiglia definita dalla Costituzione?Guardi, il documento sancisce con chiarezza il primato della famiglia fondata sul matrimonio prevista dall’articolo 29 della Carta. E anzi ci impegniamo, e impegniamo il Pd, a riprendere la strada di politiche familiari serie sui temi del lavoro, del fisco, dell’assistenza. Non possiamo restare indietro sia rispetto alla laicissima Francia sia rispetto alle socialdemocrazie del Nord Europa.Ora il pallino è in mano a Bersani. Cosa farà il segretario?Io credo che valorizzerà il grande lavoro che abbiamo fatto. E poi ritengo che su questi temi valga un principio: è la collegialità del partito ad indicare la sintesi al segretario, non il contrario. Perciò, se serve, il Comitato può continuare il suo lavoro per affiancare i gruppi parlamentari e la stesura del programma.Sulle tematiche bioetiche si consumano anche battaglie elettorali...Su questo ho una certezza: gli italiani comprendono quando una questione è complessa, e diffidano di chi propone scorciatoie e soluzioni semplicistiche. Penso che la serietà paghi, anche in termini di voti, più di qualche provocazione o di qualche falsa certezza. Il messaggio per il Paese è che su questi temi siamo tutti in ricerca delle soluzioni più giuste ed equilibrate.Il documento vuole essere una base per il confronto con centristi e Pdl?Stiamo uscendo da un lungo periodo in cui, invece di confrontarci, siamo caduti in una sorta di bipolarismo etico. Perciò lancio una proposta: mai più si vada avanti su questi temi con prove di forza della maggioranza di turno. La nuova fase può partire anche da una diversa maturità sulle questioni che interpellano la coscienza.E quanto alla fecondazione, dove si approda?Non nego che nel Pd ci siano tanti che "soffrono" per la legge 40, ma abbiamo deciso di non aprire ora il fronte su un provvedimento che ha avuto referendum a favore e parere positivo della Consulta.Qualche chiarimento sul fine vita?I principi sono due. No all’eutanasia, al suicidio assistito e all’accanimento terapeutico. Sì alla scelta della persona sul trattamento sanitario nelle fasi terminali della sua vita,

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nell’ambito dell’alleanza terapeutica con il medico e della rete familiare che lo circonda. Ma su questo punto hanno già lavorato i gruppi parlamentari.Il dibattito sulla bioetica si riapre proprio mentre si discute su un nuovo ruolo dei cattolici nella scena pubblica, il Papa invita a offrirlo in modo significativo e mai insignificante quanto a riferimenti valoriali.I cattolici sono essenziali nell’elaborazione di qualsiasi proposta politica. Ma a mio avviso lo sono di più quando non si rinchiudono in un recinto identitario. Dettano il passo quando si confrontano con culture diverse, perché sono portatori di visioni politiche forti e convincenti.

2487 - ETICA E DIRITTI, I MERITI DEL COMITATO BINDI - DI ALDO SCHIAVONEda: l’Unità di mercoledi27 giugno 2012 ll ventennio berlusconiano, e non solo quello, ha riempito di tossine il costume civile e l’intelligenza critica del Paese: il lavoro da fare è perciò difficile e impegnativo. Per svolgerlo, bisogna essere capaci di mettere in campo una cultura dell’emancipazione, dell’equità e della cittadinanza quale mai si è riusciti finora a produrre nella storia nazionale. I suoi elementi non si trovano già pronti nelle nostre tradizioni, più o meno aggiornate ai problemi del presente. Vanno costruiti con uno sforzo di elaborazione originale, in cui la scelta e il gusto dell’innovazione mettano in grado di anticipare il futuro, e di trovare soluzioni avanzate e convincenti. C’è bisogno di creazione, piuttosto che di sintesi. Non si tratta di collegare in maniera più o meno coerente pezzi delle eredità ricevute (tradizione cattolico-democratica, tradizione socialista, e così via), ma di essere in grado di oltrepassarle di slancio, e di proiettare in avanti il nostro pensiero.In questo senso, il documento messo a punto dal Comitato diritti del Pd può essere considerato un passo avanti di una qualche importanza. Certo, avrebbe potuto essere, in alcune sue parti e formulazioni, più incisivo, meno scolastico, più coraggioso, e con un maggior numero di proposte. Lo stile avrebbe potuto essere più accattivante e meno da documento politico. Ma la strada mi sembra nel suo insieme quella giusta, e gli abbozzi di analisi che vi sono contenuti mi pare spesso colpiscano il segno. Mi riferisco in particolare a tre temi, che considero di grande rilievo: il rapporto fra tecnica e vita, quello fra eguaglianza e differenza, e la ridefinizione della famiglia.Oggi la nuova potenza della tecnica le sta consentendo di intervenire sugli stessi fondamenti biologici della nostra esistenza, di modificare i confini tra la vita e la morte, di creare una sempre più ampia zona grigia dove naturale e artificiale si confondono, in un intreccio che è il motore della nuova civiltà. È una nuova condizione dell’umano, la “morte del naturale”, che si riflette non solo sul piano operativo, ma su quello etico e dei comportamenti, e ha determinato quell’enorme aumento di bisogni, di desideri, di soggettività e di consumi che sta sommergendo il nostro tempo. Una moltiplicazione e un’espansione dei piani di vita individuali la cui crescita disordinata sta logorando le risorse del pianeta: non solo quelle naturali, ma anche quelle che potremmo chiamare “storiche”, accumulate attraverso millenni di lavoro umano – pensiamo, ad esempio, alle nostre città. Una domanda capitale si impone di fronte a questo stato di cose: quanto della nuova potenza tecnologica dovrà incontrare i nostri progetti di vita passando attraverso la forma della merce e del mercato, e quanta invece dovrà essere accessibile al di fuori di questa mediazione. Noi sappiamo bene che la soluzione non può essere quella di ridare semplicemente allo Stato ciò che togliamo al mercato. Si tratta di mettere alla prova nuove forme di razionalità sociale – lavoro, territorio, conoscenza, costruzione di sé – in grado di esprimere attraverso altre strade una nuova relazione fra individuo e collettività, fra bene comune e identità soggettiva. Un compito enorme, ma ineludibile.

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Le tradizioni democratiche dell’Occidente hanno fatto sinora di un’idea forte di eguaglianza un elemento costitutivo della loro presenza. Ed è evidente che questo pensiero debba restare una stella polare della nostra cultura. Ma quale eguaglianza? Anche su questo dovremo riflettere molto, per preparare il futuro. Il tramonto della grande industria meccanica nei Paesi avanzati del pianeta e la fine del lavoro operaio come principale produttore di ricchezza sociale hanno messo in crisi il modello di eguaglianza proprio della cultura socialista, che aveva dentro di sé l’odore del carbone e del ferro. Il lavoro postindustriale non è né socializzante né intrinsecamente egualitario, come quello della grande fabbrica. L’idea di eguaglianza ha così perduto il suo centro propulsore. Dobbiamo trovarne di nuovi, partendo da un’idea non seriale e non ripetitiva di eguaglianza, fondata più sulla cittadinanza che sulla produzione, e in grado di integrare dentro di sé un’idea altrettanto forte della differenza, delle diversità, dell’irriducibile specificità di ogni piano di vita individuale. Mai così eguali e mai così diversi: questa deve diventare la nostra bandiera. Blocchi espansivi di eguaglianza, in un oceano di differenze.Infine, la famiglia. La vita esiste solo entro le forme: forme della tecnica, e forme della socialità. La famiglia è appunto una forma sociale primaria che ha organizzato a lungo la socialità più elementare delle nostre vite. La sua origine non ha nulla di misterioso, e non riflette alcuna pretesa naturalità: essa si è imposta perché assicurava un formidabile vantaggio evolutivo ai gruppi che l’adottavano, rispetto alle comunità di branco, legato a un miglior controllo della funzione riproduttiva. Essa è storia, e solo storia, e dunque continua trasformazione. L’ultimo cambiamento – risultato di una grande novità economica e culturale legata alla rivoluzione industriale di due secoli fa – ha messo per la prima volta al suo centro in Occidente l’amore dei coniugi: pulsioni, fantasie, affettività che il mondo moderno aveva fatto emergere e cui aveva dato voce (da Hegel a Thomas Mann). Ma se la famiglia moderna è fondata solo sull’amore, la radicalità dell’enunciato si carica di importanti conseguenze. La prima è che, oggi, la trama dell’amore non può essere più ridotta entro la cornice dell’eterosessualità, quando ormai l’urgenza della funzione riproduttiva si è spenta per tutta la specie. Quel che oggi rimane al centro della famiglia è nient’altro che una dialettica dei sentimenti e delle diversità che possiamo sganciare dal “maschile” e dal “femminile” così come si sono storicamente dati. Anche le differenze di genere sono storia, e solo storia. Un autentico progetto di emancipazione passa anche per questa scoperta.

2488 - PD: UN NUOVO MODO DI CONSIDERARE I DIRITTI – DI MIMMO LUCA’da: l’Unità di giovedì 28 giugno 2012 Il documento finale del Comitato diritti del PD ha giustamente suscitato un’attenzione più vasta della cerchia di partito, costituendo una piattaforma di dibattito non esauribile nell’ordinario consumo della cronaca politica. Le reazioni suscitate finora possono distinguersi in due fasce: quelli che, anche da sponde diverse, lo hanno valutato come un contributo innovativo e originale da prendere comunque in considerazione (vedi Chiara Saraceno); e quelli che hanno tentato di ricondurlo sui binari di quella incomunicabilità polemica che ha bloccato in Italia il dibattito sui modi di garantire meglio i diritti delle persone nelle differenti articolazioni della società (vedi Paola Binetti).Lo sviluppo della ricerca che il documento promuove è ovviamente legato alla capacità degli interlocutori di tenere la quota della proposta, che si qualifica, va detto, come una duplice sfida. Verso l’interno del Pd, perché ne mette alla prova la capacità di delineare e sostenere unitariamente una visione commisurata alle istanze di una società molteplice ed esigente. E verso l’universo culturale e politico, con l’ambizione di offrire a tutte le sue componenti

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un criterio d’orientamento al quale rapportare in modo convergente le opzioni pratiche fino a quelle proprie della legislazione. Non un catalogo di nuovi diritti ma un modo nuovo di considerare i diritti come interfaccia di corrispettivi doveri, in un circuito di solidarietà in cui ciascuno è garantito nella sua intangibile integrità personale ma non è mai considerato nella solitudine casuale di un individualismo senza orizzonte.E allora nella solidarietà realizzata in ogni ambito che si manifesta la tensione al massimo di uguaglianza nel massimo di tutela delle differenze, fino a prefigurare “distinte piattaforme di diritti” da tutelare in modo efficace ancorché non uniforme. E questa, se si vuole, la chiave offerta alla politica per attivare, al di là di steccati che dopotutto non sono tutti “storici”, la ricerca per superare senza ipocriti aggiramenti la selva dei “non possumus” che ha alimentato, nel recente passato, le rendite degli “atei devoti” più che far crescere la coscienza dei valori nell’anima del popolo. E’ importante che di una valenza del documento in questa direzione abbiano preso cognizione due osservatori abitualmente critici verso le elaborazioni del Pd, come Francesco d’Agostino su Avvenire e Pierluigi Battista sul Corriere. Perché non immaginare che un riscontro dialogico significativo possa manifestarsi anche tra coloro che sono impegnati nell’impresa di offrire ai cattolici delusi dal connubio con Berlusconi nuovi, sperabilmente inediti, percorsi di contatto con la politica?E interesse di tutti che in ogni ambito della presenza culturale e sociale dei cattolici si palesi un’attitudine di ricerca che si metta in grado di concorrere alle determinazioni necessarie per coprire quell’”ultimo miglio” che corre tra i principi e le norme, che è necessariamente assegnato all’autonomia dei cittadini laici cristiani. Il documento non è il prodotto di limature linguistiche artificiali o di mediazioni stilistiche puramente formali. Ma l’approdo di una ricerca impegnativa e di un confronto vero, tra visioni e punti di vista, molto diversi, senza ambiguità e senza reticenze. Un risultato che fonda una nuova identità culturale del Pd, su argomenti di rilevante importanza, etica e politica, e non tanto un punto di equilibrio tra le identità storiche rappresentate al tempo della nascita del nuovo partito. Il pluralismo culturale, e financo religioso, dei “democratici”, sui temi eticamente sensibili, fonda, con questo documento, una base comune di valori e di principi. D’altra parte, il documento non è solo il frutto di un dibattito. Ci sono a monte le battaglie condotte e le proposte elaborate dal Pd sui diritti delle persone, che riguardano le unioni civili, la violenza sulle donne, l’omofobia e la transfobia, le terapie e le cure non rispettose della volontà del malato, i problemi della fecondazione medicalmente assistita, e così via. Non è indispensabile affrettarsi sui nodi pratici sottostanti al discorso sui diritti. Meglio misurarsi prima con i concetti di fondo che sono evocati. Cominciando dalla considerazione del tema della paura. «Combattere la paura e il suo uso strumentale», si legge. «Paura che la propria vita venga considerata di minor valore di quella degli altri, paura che la propria esistenza possa venire percepita come un fastidio o un pericolo per gli altri». Impegnarsi dunque per «individuare e rimuovere le situazioni in cui è negata o degradata la comune umanità delle persone». Nella lotta contro il nazifascismo gli Alleati usarono lo slogan: «Libertà di parola, libertà di religione, libertà dal bisogno, libertà dalla paura». Il campo della quarta libertà è ancora da esplorare.

2489 – SVIZZERA: ITALIANO SCEGLIE IL SUICIDIO ASSISTITO - DI PINO STOPPONda: l’Unità di giovedì 28 giugno 2012 A 53 anni la SLA lo stava uccidendo. È una morte lenta quelle a cui ti condanna la Sclerosi laterale amiotrofica conosciuta anche come morbo di Lou Gehrig. Si perde progressivamente la. normale capacità di deglutizione, l’articolazione della parola, il

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controllo dei muscoli scheletrici, compresi quelli respiratori. Ci si spegne piano piano, un giorno dopo l’altro. Ma nonostante questo la SLA non altera le funzioni cognitive e sensoriali. E Vittorio Bisso, ex assessore dei Comunisti italiani al comune di Dolo (Venezia), uno che amava lo sport ed era stato anche un buon calciatore, coscientemente ha deciso di giocare di anticipo. Di battere la malattia sul tempo, andando a morire in una clinica svizzera in cui viene praticata legalmente l’eutanasia. La sua morte ha fatto scalpore.L’annuncio è stato dato martedì sera dal sindaco Maddalena Gottardo, in apertura del consiglio comunale di Dolo. A febbraio Bisso già aveva annunciato di non voler continuare a vivere attaccato a un respiratore artificiale e aveva nominato la moglie Marisa Piovesan come «amministratrice di sostegno», con un atto presentato ufficialmente al tribunale, specificando che intendeva rifiutare ogni tipo di accanimento biologico una volta che la malattia si fosse aggravata (in pratica come la famiglia di Eluana Englaro).A Bisso era stato prescritto dal centro medico presso in quale era in cura un farmaco per posticipare il decadimento respiratorio. Ma la cura serviva solamente a rallentare un processo inesorabile. «Della mia vita voglio decidere io» ripeteva. Da lì la scelta di andare in Svizzera nella clinica che pratica il cosiddetto «suicidio assistito». Come aveva fatto nel novembre scorso Lucio Magri uno dei fondatori de il Manifesto.Tutte le sofferenze, le idee, i pensieri di Bisso sono pubblicati su Facebook. Per lui non era possibile vivere senza coscienza, e reclamava il diritto di poter scegliere. Fino all’ultimo aveva lottato, dedicandosi allo sport, alla motocicletta, alle sue passioni. La malattia lo ha vinto, ma Bisso ha deciso da solo, «politicamente», il momento della sua morte. «Per lo Stato - osservava - noi non esistiamo».L’associazione Luca Coscioni polemizza in una nota: «Oggi è Vittorio Bisso malato di Sia che da Dolo, in provincia di Venezia, reclama in modo pubblico per sé, ma anche per tutti i cittadini, il diritto di poter decidere sul proprio fine vita attraverso il testamento biologico».

2490 - LE DONNE TURCHE A DIFESA DELLA LEGGE SULL’ABORTO - DI A. TETTA da: l’Unità di mercoledì 6 giugno 2012Curde, femministe con i capelli grigi, militanti di sinistra, giovani mamme con le loro bambine in braccio, attivisti del movimento Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender), personaggi dello spettacolo e qualche ragazza velata, una manifestazione colorata e plurale quella che ha portato in piazza alcune migliaia di donne domenica sera a Istanbul per difendere il «diritto a disporre del proprio corpo e all’interruzione volontaria di gravidanza».A scatenare la loro rabbia le recenti prese di posizione di Recep Tayyip Erdogan: «L’aborto è un omicidio, uccidere una persona nel corpo della madre o dopo il parto non fa nessuna differenza» ha dichiarato lo scorso 24 maggio il premier turco. «Penso che la legge debba limitare il più possibile la pratica dell’aborto a parte in casi in cui sia strettamente necessario dal punto di vista sanitario» gli ha fatto eco il ministro della

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sanità Recep Akdag annunciando che entro giugno il parlamento turco discuterà una nuova legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. «Sono in piazza oggi perché da dieci anni l’Akp vede le donne come un nemico da combattere e fa politica usando il nostro corpo», spiega a l’Unità Aynur Seyrek, tra le organizzatrici della manifestazione. A riscaldare ancor di più gli animi prese di posizione come quella di Melih Gökçek esponente di spicco del partito di Erdogan e sindaco della capitale turca: «Perché il bambino deve pagare per l’errore compiuto da sua madre. La madre uccida se stessa», ha dichiarato hai microfoni di Samanyolu Tv, il presidente della commissione sanità al parlamento turco Cevdet Erdöl. Dal canto suo ha presentato a Unicef e Organizzazione mondiale della sanità una richiesta ufficiale perché «includano anche il feto nella definizione di bambino e ne difendano il diritto alla vita».Secondo Eylem, una giovane transessuale attiva nel movimento femminista, per difendere i diritti delle donne servono forme di lotta ancora più radicali: «Dobbiamo impedire a un governo che per bocca del suo ministro della Sanità è arrivato a dire che vuole vietare l’aborto persino alle donne che rimangono incinta dopo essere state violentate, di cancellare in nostri diritti. Io e altre attiviste abbiamo già annunciato che se verrà approvata una legge che vieta o limita l’aborto inizieremo uno sciopero della fame ad oltranza fino a quando il governo non tornerà sui suoi passi».SVOLTA AUTORITARIAQuella di Istanbul è stata solo l’ultima di una serie di manifestazioni organizzate dalle donne in tutta la Turchia per difendere un diritto dato ormai per acquisito. È dal 1983 infatti che la legge turca permette l’interruzione volontaria di gravidanza fino alla decima settimana dal concepimento. Il 29 maggio a Eskisehir le donne che manifestavano contro le dichiarazioni del primo ministro sono state caricate dalla polizia davanti alla locale sede del partito di Erdogan e giovedì anche ad Ankara le forze dell’ordine hanno disperso il presidio «per la libertà di scelta» davanti alla sede del governo facendo uso di gas lacrimogeni.E c’è chi in Turchia vede nell’inaspettata presa di posizione anti-aborto di Erdogan il segnale di una più ampia svolta autoritaria e conservatrice nell’azione del governo: «L’ossessione per l’alcol, le dichiarazioni sull’aborto, la retorica moralista, la gara a costruire moschee sempre più grandi, sono gli ingredienti di una nuova strategia politica adottata da Erdogan», scrive Ahmet Insel editorialista del quotidiano Radikal che nasce dall’unione tra l’agenda politica conservatrice dell’Akp e il programma nazionalista del Mhp (partito dell’ultra-destra all’opposizione, ndr), allo stesso tempo in nome dell’interesse nazionale passano leggi che proibiscono lo sciopero in alcuni settori produttivi consolidando un modello autoritario di economia di mercato».

2491 – INGHILTERRA: LA CHIESA MINACCIA LO SCISMA DALLO STATO INGLESECi scrive l’amico Giulio Cesare VallocchiaVeramente epocale lo scontro che si annuncia fra il clero anglicano e il governo Cameron che, se farà approvare la parità di diritti per le persone omosessuali nel matrimonio, costringerà di fatto i preti anglicani a celebrarli nelle loro chiese. Orrore! Ci sembra divertente la scissione "personale" che potrebbe investire la regina Elisabetta, spaccata a metà nel doppio ruolo di Capo di Stato e Capo della Chiesa anglicana. Con una mano firmerà la legge che permetterà alle coppie gay e lesbiche di sposarsi in chiesa e con l'altra le manderà all'inferno.Ultima osservazione, se la Chiesa anglicana romperà con i conservatori che vogliono far approvare questa legge ci sarà un solo partito a cui potrà dare il suo appoggio, quello neo-fascista che in Gran Bretagna ha ancora un certo seguito.

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2492- IL BRITISH MEDICAL JOURNAL INVITA I MEDICI INGLESI ALLA NEUTRALITA'da: Aduc salute n. 24 del 14 giugno 2012 “Basta opporsi alla morte assistita per i malati terminali: la società è cambiata e i medici dovrebbero passare da una posizione di opposizione ad una di neutralita'. E' questo l'invito lanciato dal British Medical Journal (Bmj), tramite un editoriale di Fiona Godlee, alla British Medical Association e ai collegi dei medici.“La legalizzazione è una decisione che spetta alla società, non ai medici - scrive Fiona Godlee -. Lo stesso è avvenuto con l'aborto negli anni '60, quando le organizzazioni mediche erano contrarie'. Una modifica legislativa, con tutte le necessarie tutele è una conseguenza quasi inevitabile del movimento della società verso una maggiore autonomia individuale e la scelta del paziente. Ma ci vuole del tempo e può non accadere finché non valutiamo la morte come uno degli eventi centrali della vita - continua - e non impariamo a vedere una brutta morte sotto la stessa luce di un aborto fatto male o clandestino”.Ma Iona Heath, presidente del Collegio reale dei medici di famiglia, aveva scritto sul numero precedente del Bmj che “l'apparente crescente entusiasmo per la morte assistita sembra sorprendente data la storia recente. Sarebbe impossibile preparare una legge forte abbastanza da proteggere malati e disabili. Sono veramente poche le persone che agiscono sempre nell'interesse degli altri, e legalizzare la morte assistita - aveva affermato - puo' rendere molto vulnerabili i malati”.La British medical association (Bma) si è dichiarata “fermamente contraria” alla legalizzazione della morte assistita: “Se accadesse - rileva il portavoce - le tutele efficaci non potrebbero essere implementate senza il coinvolgimento dei medici. Perciò è appropriato che i medici esprimano la loro posizione su questo argomento”. Proprio questo mese, al suo meeting annuale, la Bma discuterà diverse mozioni che chiedono la neutralità sulla morte assistita.

2493 – SPAGNA: ZAPATERO RIAPPARE E SFIDA UN CARDINALE - DI A. NICASTRO da: Corriere della sera di venerdì 29 giugno 2012AVILA — Cosa deve succedere al più influente abortista, laicista, pro gay degli ultimi trent'anni, quando compare davanti a duemila persone raccolte dall'Università Cattolica di Avila? Ovvio, viene fischiato. Salve di «buu» all'arrivo e alla partenza con contorno di critiche e improperi online su tutti i canali disponibili. La Grande Speranza (svanita) della sinistra europea non poteva scegliere una maniera più spettacolare per tornare sulla scena pubblica.José Luis Rodríguez Zapatero stava annegando ieri mattina tra i fischi quando per ripescarlo è intervenuto il cardinale Antonio Cañizares, suo «avversario» sul palco del dibattito. «Chi non lascia parlare entrambi — ha tuonato il prelato —, ha sbagliato indirizzo. Siamo qui per parlare di Umanesimo e l'Umanesimo esige rispetto delle persone». Zapatero, l'Ottimista Antropologico, rassicura ironico: «Vedete? Ho ancora il mio ottimismo». L'obbiettivo, andreottianamente parlando, è raggiunto: male, ma siti e social network parlano di lui.Zapatero torna a 13 mesi di distanza dal «no» alla ricandidatura, a 7 mesi dalla disfatta elettorale del suo Partito socialista, a 6 mesi dall'addio alla politica attiva. L'ha fatto contro il parere dell'attuale dirigenza socialista, forse spaventata dalla contestazione, forse dal possibile successo del vecchio leader. E l'ha fatto in contemporanea con il vertice europeo che deve salvare, tra le altre cose, anche l'economia di una Spagna che lui ha contribuito ad affossare.Zapatero non vuole più essere un politico, ma un intellettuale. Più sognatore che pragmatico. Più filosofo che risolutore. Un pungolo a favore di ciò in cui ha sempre creduto. Che poi è quello che, anche nei suoi quasi otto anni da primo ministro, ha saputo fare meglio.

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Neri e rossi, benpensanti e mangiapreti, noi e «quelli là»: gli strascichi della guerra civile dividono ancora la Spagna. Zapatero lo ricorda di sicuro mentre lo fischiano. Da premier, con la legge sulla memoria, avrebbe voluto riaprire le fosse comuni del 1936 ed è riuscito quasi solo a riaprire ferite. «ZP», come lo chiamavano quando era un eroe del pensiero europeo, ha legiferato su aborto, divorzio, matrimoni gay, adozioni, procreazione assistita, tanto da diventare il nemico numero uno delle gerarchie ecclesiastiche spagnole.L'insolito dibattito tra Diavolo e Acqua santa organizzato dall'Università e dal quotidiano cattolico La Razón ad Avila, la terra di Santa Teresa, si svolge in punta di fioretto. Molto respeto, rispetto (la più bella parola in castigliano, secondo, Zapatero). L'ex premier ribadisce il suo credo: laicismo, separazione Stato-Chiesa, diritti umani. Monsignor Cañizares ribatte con «radici cristiane, valori al servizio dell'uomo e della famiglia. Siamo tra democratici, ma non c'è democrazia senza coscienza». «Condividiamo molte cose — risponde l'ex politico — perché, come ha detto Sancho Panza, la «libertà è il bene più prezioso». È chiaro, ZP è tornato.

2494 - IL REGISTRO DEI T.B. SAN LAZZARO DI SAVENA – DI MASSIMILIANO CANE’da: www.lucidamente.it del 25.6.2012Anche nel comune alle porte di Bologna approvata la delibera istitutiva del registro delle direttive anticipate di trattamentoFinalmente anche a San Lazzaro di Savena partirà il registro per i testamenti biologici. Il consiglio comunale di San Lazzaro di Savena, nella seduta del 12 giugno2012, ha formalmente istituito il registro comunale delle dichiarazioni anticipate di trattamento (testamento biologico). La delibera approvata definisce la disposizione anticipata di trattamento o testamento biologico come un atto scritto contenente le dichiarazioni rese da un cittadino relative alla volontà di essere sottoposto o meno a trattamenti sanitari che comportino l’uso di macchine o sistemi artificiali in caso di malattie o traumatismi cerebrali che determinino una situazione irreversibile di incapacità della persona a manifestare il proprio consenso o rifiuto.Il registro sarà riservato ai cittadini italiani e non, residenti nel Comune di San Lazzaro di Savena, e ha come finalità di consentire l’iscrizione nominativa, mediante autodichiarazione, di tutti i cittadini che hanno redatto una DAT e l’hanno depositata presso un notaio e/o un fiduciario. Il dichiarante potrà indicare il fiduciario, che potrà essere il notaio stesso (ma anche un proprio fiduciario), come garante della fedele esecuzione della sua volontà qualora egli si trovasse nell’incapacità di intendere e di volere, relativamente ai trattamenti proposti. Sul registro verranno anche annotati i riferimenti relativi al luogo di deposito (indirizzo notaio, fiduciario, altro depositario). La delibera approvata prevede anche l’attivazione di una convenzione tra consiglio notarile di Bologna e il comune di San Lazzaro che consenta ai cittadini sanlazzaresi di stipulare presso i notai le loro DAT a prezzi contenuti.…omissis…

2495 - IL REGISTRO DEI BIOTESTAMENTI A TORINO - DI GRAZIELLA STURAROSecondo i dati forniti a fine maggio dall’U.R.P. (Ufficio per le Relazioni con il Pubblico) del Comune di Torino, nel corso della seduta di commissione Diritti e Pari Opportunità, presieduta dalla consigliera Marta Levi, sarebbero 358 i cittadini torinesi iscritti al Registro dei testamenti biologici, istituito dopo una serie di lunghe vicissitudini, a partire dall’anno scorso di cui, quasi la metà, rientrano nella fascia di età compresa tra i cinquanta e i settant’anni ma ci sono anche 5 ultranovantenni e due ventenni. Inoltre si può affermare che, statisticamente parlando, prevalgono le donne con il 63%.

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Gli iscritti sono sicuramente ancora molto pochi ma, tra le diverse proposte avanzate dalle associazione laiche, vi è il suggerimento al Consiglio comunale di migliorare e ampliare la modulistica messa a disposizione dei cittadini che intendono rilasciare la propria dichiarazione anticipata di trattamento al fine di offrire l’opportunità, per chi fosse interessato, di aggiungere disposizioni relative al tipo di esequie, di assistenza spirituale o morale che si desidera ricevere in ospedale o relativamente alla volontà di mettere a disposizione il proprio corpo per la ricerca scientifica.In effetti, il modulo in vigore, risulta piuttosto limitato in quanto permette di dichiarare esclusivamente che, in caso di malattia o lesione traumatica cerebrale invalidante ed irreversibile si desidera di non essere sottoposti ad alcun trattamento terapeutico o di sostegno (alimentazione ed idratazione forzata) e di nominare un rappresentante fiduciario con la possibilità di revocare o modificare in qualsiasi momento tale volontà senza considerare che potrebbe essere fatta una richiesta diversa da quella prestabilita e imposta sul piano burocratico.Inoltre occorre presentare, in allegato, il modulo della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà da sottoscrivere alla presenza dell’impiegato comunale da parte del fiduciario.Per quanto riguarda le modalità di consegna del proprio testamento biologico è possibile utilizzare anche un servizio di prenotazione on line e la dichiarazione va presentata in triplice copia utilizzando il modello preposto oppure un proprio modello personalizzato contenente tutti gli elementi essenziali previsti da quello ufficiale mentre una copia va consegnata in busta chiusa all’ufficio U.R.P. che verrà regolarmente numerata e sigillata e conservata. Altra proposta avanzata è stata quella di istituire una “Sala del commiato” per ospitare le cerimonie funebri laiche o di confessioni religiose che non dispongano di luoghi adeguati e la presidente Levi ha annunciato che quest’ultima istanza sarebbe stata in seguito presentata al voto.Tra le altre iniziative a livello regionale, la proposta dei radicali dell’Associazione Luca Coscioni che intendono istituire un Registro di deposito delle DAT presso la Provincia di Torino in modo da coprire l’intero territorio anche nei comuni dove non è possibile depositare la propria dichiarazione di volontà.A tale proposito si prevede un punto di raccolta delle firme in occasione della festa “Laici in piazza” che, come tutti gli anni, si celebrerà a Torino in occasione della ricorrenza del XX settembre confidando in un ottimo risultato sul piano delle adesioni.In realtà, per questo tipo di servizio, vi sono anche coloro che preferiscono rivolgersi ad alcune confessioni religiose a favore del diritto all’autodeterminazione come la Chiesa Valdese o quella delle Giovani cristiane senza negare che il modulo da loro offerto risulta molto più completo e meno condizionante sul piano delle scelte in quanto si prevede, come per quello proposto da LiberaUscita, la possibilità di scegliere liberamente sul proprio corpo ciò che si vuole o non si vuole in base a dei riferimenti giuridici ben precisi.Il problema sarà convogliare queste posizioni in un sistema istituzionalizzato e legalmente riconosciuto sul piano costituzionale in quanto, al di là delle posizioni confessionali o non, è lo Stato che deve farsi garante dei diritti individuali dei propri cittadini e il Registro dei testamenti biologici dovrebbe divenire un ufficio presente in qualsiasi municipio e perché, non liberalizzare questo tipo di servizio anche nel privato e nella sanità per ovviare alle decisioni prese in situazioni cliniche di emergenza o di estrema gravità? E la “biocard”? Non si potrebbe utilizzare una semplice tessera sanitaria valida su tutto il territorio nazionale, per non dire europeo, contenente tutti i dati personali compresa la propria dichiarazione di volontà leggibili da qualsiasi postazione ospedaliera?Del resto un paese veramente liberale dovrebbe essere sempre garanzia di democrazia e di laicità ovviamente per rimanere al passo con i paesi più moderni e avanzati.Per il momento questo è tutto.

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2496 - LE VIGNETTE DI ELLEKAPPA - TERREMOTI POLITICI

2497 - LE VIGNETTE DI HELD - IL VATICANO CAMPIONE OLIMPIONICO

2498 - LE VIGNETTE DI STAINO – SE PENSO ALLA GRECIA…

LiberaUscita – associazione nazionale laica e apartitica per il diritto di morire con dignitàTel: 366.4539907 – Fax: 06.5127174 – email: [email protected] – web: www.liberauscita.it

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