Il pubblico servizio nel diritto interno: nozione...

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1 Il pubblico servizio nel diritto interno: nozione, classificazione e risvolti (con particolare riguardo alla realtà degli Enti locali) 1) Premessa; 2) Alla ricerca di una nozione (generale) di servizio pubblico valida in base all’ordinamento italiano; 3) Le principali classificazioni dei servizi pubblici; 4) In particolare: la scissione tra i servizi pubblici locali a rilevanza economica e quelli privi di tale rilevanza; 5) I riflessi di tale distinzione sul piano normativo 1) Premessa Una nozione di “servizio pubblico” 1 che abbia valenza generale nel nostro ordinamento non è rintracciabile, né desumibile dalla Carta fondamentale e neppure dalla 1 Sulla nozione di servizio pubblico v., tra gli altri, G. ZANOBINI, L'esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in Primo trattato completo di diritto amministrativo, a cura di V. E. ORLANDO, vol. II, parte III, Milano 1920, p. 235 ss.; A. DE VALLES, I servizi pubblici, in V.E. ORLANDO (a cura di), cit., vol. VI, parte I, Milano 1930, p. 377 ss.; G. MIELE, Pubblico servizio e pubblica funzione, in Arch. giur. 1933, XXVI, p. 172 ss. M.S. GIANNINI, Profili giuridici della municipalizzazione con particolare riguardo alle aziende, in Riv. amm. 1953 p. 611 ss.; M. NIGRO, L’edilizia popolare come servizio pubblico, in Riv. trim. dir. pubbl. 1957, p. 118 ss.; G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, vol. V, Milano 1959, p. 345 ss.; G. GUARINO, Pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio, in Riv. it. dir. proc. pen. 1967, p. 1 ss., ora in G. GUARINO, Scritti di diritto pubblico dell’economia, seconda serie, Milano 1970, p. 207 ss.; F. MERUSI, voce Servizio pubblico, in Noviss. dig. it., vol. XVII, Torino 1970, p. 215 ss.; C. FRESA, voce Servizio pubblico, in Dizionario amministrativo a cura di G. GUARINO, vol. II, Milano 1983, p. 1343 ss.; U. POTOTSCHNIG, Poteri pubblici e attività produttive, in Dir. economia 1990, p. 33 ss.; S. CATTANEO, voce Servizi pubblici, in Enc. dir., vol. XLII, Milano 1990, p. 355 ss.; A. MONTEBUGNOLI, Sulla nozione di servizio pubblico, in Econ. pubbl. 1992, p. 3 ss.; P. CIRIELLO, voce Servizi pubblici, in Enc. giur., vol. XXVIII, Roma 1992, p. 1 ss.; E.M. MARENGHI, Sottosistema dei servizi e sistema delle Autonomie locali nel quadro della riforma, in Studi in onore di Ottaviano, vol. V., Milano 1993, p. 981 ss.; D. SORACE, Note sui servizi pubblici locali dalla prospettiva di libertà di iniziativa economica e non dei privati, ivi, p. 1141 ss.; U. COLLA, L’evoluzione del concetto di servizio pubblico fino alla riforma dell’ordinamento delle autonomie locali, in Amm. it. 1995, p. 383 ss.; A. PAJNO, Servizi pubblici e tutela giurisdizionale, in Dir. amm. 1995, p. 551 ss.; M.S. GIANNINI, Diritto pubblico dell’economia, Bologna 1995, p. 141 ss.; F. COSSU, L. CALVISI, B. GINI, A. PISAPIA, Nozione di servizio pubblico, in Nuova Rass. 1997, p. 1889 ss.; S. MONTESI, Lo Stato monopolista: servizi pubblici e attività sociale, in M. GIUSTI (a cura di), Diritto pubblico dell’economia, Padova 1997, p. 275 ss.; F. GIGLIONI, Osservazioni sulla evoluzione della nozione di “servizio pubblico”, in Foro amm. 1998, II, p. 2265 ss.; V. PARISIO, voce Servizi pubblici e monopoli, in E. PICOZZA (a cura di), Dizionario di diritto pubblico dell’economia, Santarcangelo di Romagna 1998, p. 687 ss.; A. PIOGGIA, Appunti per uno studio sulla nozione di pubblico servizio: i limiti e i requisiti dell’assunzione del servizio pubblico da parte dell’Ente locale, in Quad. pluralismo 1998, p. 175 ss.; D. SORACE, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in Dir. pubbl. 1999, p. 371 ss.; A. CAROSELLI, Il servizio pubblico: una categoria concettuale in continua evoluzione, in I T.A.R. 2000, II, p. 27 ss.; V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino 2000, p. 47 ss.; F. D’AGOSTINO, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2000, p. 82 ss.; G. CAIA., Funzione pubblica e servizio pubblico, in L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A. ROMANO, F.A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, Bologna 2001, tomo I, p. 923 ss.; ID., La disciplina dei servizi pubblici, ivi, p. 945 ss.; ID., L’organizzazione dei servizi pubblici, ivi, p. 997 ss.; F. SALVIA, I servizi pubblici nella letteratura recente, in Nuove auton. 2001, p. 7991 ss.; L. IEVA, La teoria del “servizio pubblico” nell’evoluzione normativa, dottrinale e giurisprudenziale, in I T.A.R. 2001, II, p. 529 ss.; M. DUGATO, Il servizio pubblico locale: realtà e virtualità nei criteri di qualificazione, in Giorn. dir. amm. 2003, p. 930 ss.; F. BIANDRONNI, Quale nozione di servizio pubblico? (un nuovo indirizzo giurisprudenziale sulla centralità della qualificazione legislativa del servizio pubblico), in Foro amm. TAR 2005, p. 3413 ss.; G. NAPOLITANO, voce Servizi pubblici, in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. CASSESE, VOL. VI, Milano 2006, p. 5517 ss.; R. GIOVAGNOLI, È servizio pubblico solo l’attività rivolta direttamente a soddisfare le esigenze dell’utenza, in Urb. e app. 2006, p. 1393 ss.; A. POLICE, Spigolature sulla nozione di servizio pubblico locale, in Dir. amm. 2007, p. 79 ss.; S. CASSESE, La nuova Costituzione economica, Bari 2010, p. 131 ss.; F. FIGORILLI, I servizi pubblici, in F.G. SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, Torino 2014, p. 634 ss.; D. SORACE, Diritto delle Amministrazioni pubbliche, Bologna 2014, p. 162 ss.; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo (Edizione curata da F. FRACCHIA), Milano 2015, p. 645 ss.; G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Torino 2015, p. 377 ss.; F. CARINGELLA, Compendio di

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Il pubblico servizio nel diritto interno: nozione, classificazione e risvolti (con particolare riguardo alla realtà degli Enti locali) 1) Premessa; 2) Alla ricerca di una nozione (generale) di servizio pubblico valida in base all’ordinamento italiano; 3) Le principali classificazioni dei servizi pubblici; 4) In particolare: la scissione tra i servizi pubblici locali a rilevanza economica e quelli privi di tale rilevanza; 5) I riflessi di tale distinzione sul piano normativo 1) Premessa Una nozione di “servizio pubblico”1 che abbia valenza generale nel nostro ordinamento non è rintracciabile, né desumibile dalla Carta fondamentale e neppure dalla

1 Sulla nozione di servizio pubblico v., tra gli altri, G. ZANOBINI, L'esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in Primo trattato completo di diritto amministrativo, a cura di V. E. ORLANDO, vol. II, parte III, Milano 1920, p. 235 ss.; A. DE VALLES, I servizi pubblici, in V.E. ORLANDO (a cura di), cit., vol. VI, parte I, Milano 1930, p. 377 ss.; G. MIELE, Pubblico servizio e pubblica funzione, in Arch. giur. 1933, XXVI, p. 172 ss. M.S. GIANNINI, Profili giuridici della municipalizzazione con particolare riguardo alle aziende, in Riv. amm. 1953 p. 611 ss.; M. NIGRO, L’edilizia popolare come servizio pubblico, in Riv. trim. dir. pubbl. 1957, p. 118 ss.; G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, vol. V, Milano 1959, p. 345 ss.; G. GUARINO, Pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio, in Riv. it. dir. proc. pen. 1967, p. 1 ss., ora in G. GUARINO, Scritti di diritto pubblico dell’economia, seconda serie, Milano 1970, p. 207 ss.; F. MERUSI, voce Servizio pubblico, in Noviss. dig. it., vol. XVII, Torino 1970, p. 215 ss.; C. FRESA, voce Servizio pubblico, in Dizionario amministrativo a cura di G. GUARINO, vol. II, Milano 1983, p. 1343 ss.; U. POTOTSCHNIG, Poteri pubblici e attività produttive, in Dir. economia 1990, p. 33 ss.; S. CATTANEO, voce Servizi pubblici, in Enc. dir., vol. XLII, Milano 1990, p. 355 ss.; A. MONTEBUGNOLI, Sulla nozione di servizio pubblico, in Econ. pubbl. 1992, p. 3 ss.; P. CIRIELLO, voce Servizi pubblici, in Enc. giur., vol. XXVIII, Roma 1992, p. 1 ss.; E.M. MARENGHI, Sottosistema dei servizi e sistema delle Autonomie locali nel quadro della riforma, in Studi in onore di Ottaviano, vol. V., Milano 1993, p. 981 ss.; D. SORACE, Note sui servizi pubblici locali dalla prospettiva di libertà di iniziativa economica e non dei privati, ivi, p. 1141 ss.; U. COLLA, L’evoluzione del concetto di servizio pubblico fino alla riforma dell’ordinamento delle autonomie locali, in Amm. it. 1995, p. 383 ss.; A. PAJNO, Servizi pubblici e tutela giurisdizionale, in Dir. amm. 1995, p. 551 ss.; M.S. GIANNINI, Diritto pubblico dell’economia, Bologna 1995, p. 141 ss.; F. COSSU, L. CALVISI, B. GINI, A. PISAPIA, Nozione di servizio pubblico, in Nuova Rass. 1997, p. 1889 ss.; S. MONTESI, Lo Stato monopolista: servizi pubblici e attività sociale, in M. GIUSTI (a cura di), Diritto pubblico dell’economia, Padova 1997, p. 275 ss.; F. GIGLIONI, Osservazioni sulla evoluzione della nozione di “servizio pubblico”, in Foro amm. 1998, II, p. 2265 ss.; V. PARISIO, voce Servizi pubblici e monopoli, in E. PICOZZA (a cura di), Dizionario di diritto pubblico dell’economia, Santarcangelo di Romagna 1998, p. 687 ss.; A. PIOGGIA, Appunti per uno studio sulla nozione di pubblico servizio: i limiti e i requisiti dell’assunzione del servizio pubblico da parte dell’Ente locale, in Quad. pluralismo 1998, p. 175 ss.; D. SORACE, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in Dir. pubbl. 1999, p. 371 ss.; A. CAROSELLI, Il servizio pubblico: una categoria concettuale in continua evoluzione, in I T.A.R. 2000, II, p. 27 ss.; V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino 2000, p. 47 ss.; F. D’AGOSTINO, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2000, p. 82 ss.; G. CAIA., Funzione pubblica e servizio pubblico, in L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A. ROMANO, F.A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, Bologna 2001, tomo I, p. 923 ss.; ID., La disciplina dei servizi pubblici, ivi, p. 945 ss.; ID., L’organizzazione dei servizi pubblici, ivi, p. 997 ss.; F. SALVIA, I servizi pubblici nella letteratura recente, in Nuove auton. 2001, p. 7991 ss.; L. IEVA, La teoria del “servizio pubblico” nell’evoluzione normativa, dottrinale e giurisprudenziale, in I T.A.R. 2001, II, p. 529 ss.; M. DUGATO, Il servizio pubblico locale: realtà e virtualità nei criteri di qualificazione, in Giorn. dir. amm. 2003, p. 930 ss.; F. BIANDRONNI, Quale nozione di servizio pubblico? (un nuovo indirizzo giurisprudenziale sulla centralità della qualificazione legislativa del servizio pubblico), in Foro amm. TAR 2005, p. 3413 ss.; G. NAPOLITANO, voce Servizi pubblici, in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. CASSESE, VOL. VI, Milano 2006, p. 5517 ss.; R. GIOVAGNOLI, È servizio pubblico solo l’attività rivolta direttamente a soddisfare le esigenze dell’utenza, in Urb. e app. 2006, p. 1393 ss.; A. POLICE, Spigolature sulla nozione di servizio pubblico locale, in Dir. amm. 2007, p. 79 ss.; S. CASSESE, La nuova Costituzione economica, Bari 2010, p. 131 ss.; F. FIGORILLI, I servizi pubblici, in F.G. SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, Torino 2014, p. 634 ss.; D. SORACE, Diritto delle Amministrazioni pubbliche, Bologna 2014, p. 162 ss.; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo (Edizione curata da F. FRACCHIA), Milano 2015, p. 645 ss.; G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Torino 2015, p. 377 ss.; F. CARINGELLA, Compendio di

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normativa (primaria e secondaria) vigente2. Risulta, per di più, controversa in dottrina e per nulla univoca in giurisprudenza e, quindi, resta tuttora fra le più tormentate3. Le ragioni principali di ciò sono riconducibili a molteplici fattori quali, tra l’altro, il progresso tecnologico, l’evoluzione politico-culturale e il grado di sviluppo socio-economico del Paese4. Dunque, nonostante un quadro normativo alquanto vasto e stratificato che investe la nozione in parola e sebbene l’ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi, negli anni, intorno ad essa abbia contribuito al suo approfondimento, tuttora il tema, di forte impatto e indubbia rilevanza sia teorica che pratica, non risulta affrontato in maniera sufficientemente limpida e con risultati del tutto appaganti rispetto agli innumerevoli interrogativi che esso pone5. Sicché, è quanto mai opportuno esaminare, oltre che il dato positivo esistente, le diverse opinioni espresse nel corso del tempo dagli studiosi e dagli operatori del diritto amministrativo, approfondendoli, però, unicamente – invero con tutti i limiti che ciò comporta – sul versante interno. Nonostante la sua notevole rilevanza, si tralascerà, infatti, la trattazione dei profili di diritto europeo della tematica in parola (come, ad esempio, quelli relativi alla nozione

diritto amministrativo, Roma 2015, p. 724 ss.; F. NICOTRA, La nozione di servizio pubblico nel diritto interno e comunitario, in www.diritto.it. La produzione scientifica sul tema dei servizi pubblici è sterminata. Tra gli studi monografici che investono l’argomento ad ampio raggio, sotto diverse angolature v. G. TREVES, Le imprese pubbliche, Torino 1950; R. ALESSI, Le prestazioni amministrative rese ai privati, Milano 1956; U. POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, Padova 1964; L. D’ALESSANDRO, Imprese di pubblica utilità, Torino 1967; F. ZEULLI, Servizi pubblici e attività imprenditoriali, Milano 1973; P. BIAGI, I servizi pubblici industriali nei Comuni e nelle Province aspetti e problemi giuridici delle gestioni dirette, Milano 1975; A. MASSERA, Partecipazioni statali e servizi di interesse pubblico, Bologna 1978; I.M. MARINO, Servizi pubblici e sistema autonomistico, Milano 1987; F. ROVERSI MONACO (a cura di), Le concessioni dei servizi pubblici, Santarcangelo di Romagna 1988; F. MERUSI, Servizi pubblici instabili, Bologna 1990; R. CAVALLO PERIN, Comuni e Province nella gestione dei servizi pubblici, Napoli 1993; P. PIRAS, Servizi pubblici e società a partecipazione comunale, Milano 1994; M.A. STEFANELLI, La tutela dell’utente di pubblici servizi, Padova 1994; G. CAIA (a cura di), I servizi pubblici locali: evoluzione e prospettive, Santarcangelo di Romagna 1995; AA. VV. Servizi pubblici e nuove forme di amministrazione, in Atti del XLI Convegno di studi di scienza dell’Amministrazione, Varenna, Villa Monastero, 21-23 settembre 1995, Milano 1997; B. MAMELI, Servizio pubblico e concessione. L’influenza del mercato unico sui regimi protezionistici e regolamentati, Milano 1998; N. RANGONE, I servizi pubblici, Bologna 1999; M. CAMMELLI, A. ZIROLDI, Le società a partecipazione pubblica nel sistema locale, Santarcangelo di Romagna 1999; L.R. PERFETTI, Contributo ad una teoria dei pubblici servizi, Padova 2001; G. PERICU, Impresa e obblighi di servizio pubblico, Milano 2001; L. AMMANNATI , M.A. CABIDDU, P. DE CARLI (a cura di), Servizi pubblici, concorrenza, diritti, Milano 2001; G. NAPOLITANO, Servizi pubblici e rapporti di utenza, Padova 2001; L. IEVA, Tutela dell’utente e qualità del servizio pubblico: dall’organizzazione alla Carta dei servizi, Milano 2002; A. CORPACI, La tutela degli utenti dei servizi pubblici, Bologna 2003; E. SCOTTI, Il pubblico servizio: tra tradizione nazionale e prospettive europee, Padova 2003; G.E. BERLINGERIO, Studi sul pubblico servizio, Milano 2003; G. IACOVONE, Regolazione, diritti e interessi nei pubblici servizi, Bari 2004; G. NAPOLITANO, Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna 2005; C. IANNELLO, L’“idea” di servizio pubblico nella nuova disciplina interna e comunitaria, Napoli 2005; G. RIZZO, La concessione di servizi pubblici, Torino 2007; B. BOSCHETTI, Diritti e rapporti nell’Amministrazione per servizi, Padova 2007; V. LOSTORTO, I servizi pubblici: il quadro normativo, l'organizzazione, i modelli gestionali, Milano 2007; R. VILLATA, Pubblici servizi: discussioni e problemi, Milano 2008; F. GIGLIONI, L'accesso al mercato nei servizi di interesse generale: una prospettiva per riconsiderare liberalizzazioni e servizi pubblici, Milano 2008; F.A. CANCILLA, Servizi del welfare e diritti sociali nella prospettiva dell'integrazione europea, Milano 2009; F. CINTIOLI, Concorrenza, istituzioni e servizio pubblico, Milano 2010. 2 In tal senso, ad esempio, F. NICOTRA, cit. 3 L’espressione è di M.S. GIANNINI, Il pubblico potere, Bologna 1986, pp. 69-70. 4 Cfr. F. NICOTRA, cit. 5 Cfr. E. CASETTA, cit. p. 646, secondo cui il tema dei servizi pubblici si caratterizza come vero e proprio “crocevia di problematiche amministrative”. L’A., cit., pp. 646-647, focalizza i punti più rilevanti affrontati dalla dottrina: aspetti organizzativi, componente economica, posizione giuridica soggettiva del cittadino utente, tema delle autonomie territoriali, rapporto pubblico-privato, trasparenza e rapporto con il diritto europeo.

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di “servizio di interesse economico generale”, che, invero, secondo il nostro giudice costituzionale6, avrebbe contenuto “omologo” a quella interna di “servizio pubblico locale a rilevanza economica”), dai connotati lievemente meno incerti e, per di più, oggetto di una vasta letteratura specialistica7. Si darà atto del tessuto normativo chiave e delle principali classificazioni dei servizi pubblici in relazione ad una serie di elementi e caratteri distintivi, sempre con particolare riguardo al diritto interno. Si affronterà, poi, in modo specifico, volgendo lo sguardo segnatamente ai servizi pubblici locali8, la distinzione tra i servizi pubblici locali a rilevanza economica e servizi privi di tale rilevanza, introdotta dal D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003 n. 326, dopo aver accennato brevemente alla bipartizione legislativa, vigente per un lasso temporale limitato, per effetto della L. 28 dicembre 2001 n. 448 (legge finanziaria per l’anno 2002), tra servizi pubblici a rilevanza industriale e servizi privi di tale rilevanza. Il concetto di industrialità e, più precisamente di “gestione industriale dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica”, è reso ancora attuale, poiché recentemente rievocato dalla L. 23 dicembre 2014 n. 190 (legge di stabilità per l’anno 2015). Si passerà, infine, all’esame del tema, in parte connesso alla distinzione predetta tra servizi pubblici locali a rilevanza economica e quelli privi di tale rilevanza, delle

6 V. Corte cost., sent. 17 novembre 2010 n. 325, in Giur. cost. 2010, 4501, con note di A. LUCARELLI, La Corte costituzionale dinanzi al magma dei servizi pubblici locali: linee fondative per un diritto pubblico europeo dell’economia, e di P. SABBIONI, La Corte equipara SPL di rilevanza economica e SIEG, ma ammette soltanto tutele più rigorose della concorrenza. 7 Tra gli studi in merito v. G. CAGGIANO, La disciplina dei servizi di interesse economico generale: contributo allo studio del modello sociale europeo, Torino 2008; D. GALLO, I servizi di interesse economico generale: Stato, mercato e welfare nel diritto dell'Unione europea Milano 2010; F. DONATI, E. BRUTI LIBERATI, La regolazione dei servizi di interesse economico generale, Torino 2010; L. CERASO, I servizi di interesse economico generale e la “concorrenza limitata”. Profili interni, comunitari e internazionali, Napoli 2010. V., pure, R. VILLATA, cit., p. 31 ss., nonché i contributi di N. RANGONE, I servizi di interesse generale in Europa, in Giorn, dir. amm. 1997, p. 386 ss.: L.R. PERFETTI, I servizi di interesse economico generale e i servizi pubblici, in Riv. it .dir. pubbl. comun. 2001, p. 479 ss.; M. LOTTINI, I servizi di interesse economico generale: una nozione controversa, in Riv. it. dir. pubbl. comun. 2005, p. 1351 ss.; F. MERUSI, Lo schema della regolazione dei servizi di interesse economico generale, in Dir. amm. 2010, p. 313 ss.; F. NICOTRA, cit. 8 Specificamente, sui servizi pubblici locali, tra gli studi monografici che tengono conto del quadro normativo delineatosi a seguito della riforma del 2001 del Titolo V, Parte II, Cost. (anche per le ulteriori indicazioni bibliografiche) v. AA.VV. con il coordinamento di V. ITALIA, I servizi pubblici locali: guida operativa, Milano 2002; C. SAN MAURO, Il servizio pubblico locale: strumenti, organizzazione, gestione, Milano 2004; G. MARCHIANÒ, I servizi pubblici locali alla luce della Finanziaria 2004: moduli di gestione tra concorrenza e affidamenti diretti, Bologna 2004; S. VARONE, Servizi pubblici locali e concorrenza, Torino 2004; G. PIPERATA, Tipicità e autonomia nei servizi pubblici locali; Milano 2005; E. ROLANDO, Servizi pubblici locali in continuo movimento e novità in tema di riparto di competenze Stato e Regioni nella materia trasversale della tutela della concorrenza, Torino 2005; F. LIGUORI, I servizi pubblici locali, Torino 2007; S. MANGIAMELI (a cura di), I servizi pubblici locali, Torino 2008; G. BASSI, La riforma dei servizi pubblici locali: vincoli e opportunità dell'apertura al mercato, Santarcangelo di Romagna 2008; F. DELLO SBARBA, I servizi pubblici locali. Modelli di organizzazione e di gestione, Torino 2009; V. ITALIA (a cura di), I servizi pubblici locali. Modalità di affidamento, gestione e tariffe, Milano 2010; G. DI GASPARE, Servizi pubblici locali in trasformazione, Padova 2010; R. VILLATA (a cura di), La riforma dei servizi pubblici locali, Torino 2011; H. BONURA, M. CASSANO (a cura di), L’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica: percorsi e disciplina generale, Torino 2011,P. ROSSI, Servizi pubblici locali: una deregolazione incompiuta, Torino 2012; M. MIDIRI, S. ANTONIAZZI (a cura di), Servizi pubblici locali e regolazione, Napoli 2015; L. LONGHI, Dimensioni, percorsi e prospettive dei servizi pubblici locali, Torino 2015. Sia consentito il rinvio anche a S. PIGNATARO, I servizi pubblici locali nel nuovo sistema delle autonomie, Padova 2004.

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competenze legislative, generali e settoriali, in materia, alla luce della riforma apportata al Titolo V, Parte II, Cost. dalla L. cost. 18 ottobre 2001 n. 39. Innanzitutto, si partirà dal focalizzare l’attenzione sui caratteri che possono ritenersi indefettibili per la delimitazione della nozione generale di servizio pubblico sul piano interno e su quegli elementi che risultano più rilevanti e ricorrenti agli stessi fini. Sebbene una vera e propria definizione generale, universalmente valida e accettabile, di pubblico servizio sia quantomeno assai ardua da coniare, si cercherà di enucleare una formulazione ampia e meno approssimativa possibile che circoscriva, in qualche modo, tale nozione e sia, al contempo, aderente alla realtà fattuale e al contesto giuridico italiano. A tutti i limiti insiti in una simile operazione, si accompagnano, invero, tutti i dubbi, mostrati dalla dottrina10, circa l’utilità di ricercare una definizione di servizio pubblico ai fini giuridici.

9 Sulla riforma del Titolo V, Parte II Cost.. attuata con la predetta legge costituzionale n. 3 del 2001, limitando le citazioni solo ad alcuni degli studi monografici più significativi, v. G. BERTI, G.C. DE MARTIN, Le Autonomie territoriali: dalla riforma amministrativa alla riforma costituzionale, Milano 2001; F. PIZZETTI, Il nuovo ordinamento italiano tra riforme amministrative e riforme costituzionali, Torino 2002; B. CARAVITA DI TORITTO, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V. Stato, Regioni e Autonomie fra Repubblica e Unione europea, Torino 2002; G. MARCHETTI, Le Autonomie locali fra Stato e Regioni, Milano 2002; S. MANGIAMELI, La riforma del regionalismo italiano, Torino 2002; G. BERTI, G.C. DE

MARTIN (a cura di), Il sistema amministrativo dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, Roma 2002; C. CALVIERI, Stato regionale in trasformazione: il modello autonomistico italiano, Torino 2002; AA.VV., Diritto regionale dopo le riforme, Bologna 2003; C. BOTTARI (a cura di), La riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, Santarcangelo di Romagna 2003; G. MEALE, Diritto delle Regioni e poteri locali, Bari 2003; T. GROPPI , M. OLIVETTI (a cura di), La Repubblica delle Autonomie. Regioni ed Enti locali nel nuovo Titolo V, Torino 2003; L CHIEFFI, G. CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), Regioni ed Enti locali dopo la riforma del Titolo V. Fra attuazione ed ipotesi di ulteriore revisione, Torino 2004; V. CERULLI IRELLI, C. PINELLI, Verso il federalismo: normazione e Amministrazione nella riforma del Titolo V della Costituzione, Bologna 2004; E. CARLONI, Lo Stato differenziato. Contributo allo studio dei principi di uniformità e differenziazione, Torino 2004; AA.VV., L’attuazione del Titolo V della Costituzione: Atti del 50° Convegno di studi di Varenna, 16-18 settembre 2004, Milano 2005; S. BARTOLE, R. BIN R., G. FALCON, R. TOSI, Diritto regionale, Bologna 2005; B. CARAVITA DI TORITTO, Lineamenti di diritto costituzionale, federale e regionale, Torino 2009; S. GAMBINO (a cura di), Diritto regionale, Milano 2009; G. ROLLA, Diritto regionale e degli Enti locali, Milano 2009; T. MARTINES, A. RUGGERI, C. SALAZAR, Lineamenti di diritto regionale, Milano 2012; P. CARETTI, G. TARLI BARBIERI, Diritto regionale, Torino 2012; A. D’ATENA, Diritto regionale, Torino 2013. 10 V. M. NIGRO, Lineamenti generali, in G. AMATO, A. BARBERA (a cura di), Manuale di diritto pubblico, vol. III, Bologna 1997, p. 7 ss., il quale, dopo aver constatato l’estrema indeterminatezza della nozione in parola definita dai “caratteri sfuggenti”, riconosce che a detta nozione possa essere attribuito, al massimo, un “valore descrittivo di cui servirsi con molta cautela”. A parere di F. BASSI, Lezioni di diritto amministrativo, Milano 1955, p. 33, la nozione di servizio pubblico “è quella dai più incerti confini nell’ambito della disciplina del diritto amministrativo”. Nella stessa direzione C. IANNELLO, cit., p. 51, il quale considera la nozione di servizio pubblico una delle nozioni delle “discipline giuspubblicistiche più incerte e di maggiore difficoltà definitoria”. P. CIRIELLO, cit., p. 1, sottolinea la sostanziale indeterminatezza della nozione in questione che costituisce “una fra quelle dai confini più incerti e fluidi dell’intero diritto pubblico”. Secondo S. CATTANEO, cit., p. 355, si tratta di una di quelle nozioni che “hanno corso, e forse corrono ancora, il rischio di venire ridotte ad espressioni solo approssimativamente descrittive di certe realtà della vita amministrativa o di essere usate con significati mutevoli in relazione agli ordini concettuali nel cui contesto sono collocate”. A parere di R. VILLATA, cit., pp. 56-57, è arduo reperire “un significato giuridico unitario di servizio pubblico; la nozione muta con il variare della disciplina normativa di riferimento ed ogni generalizzazione appare foriera di opzioni ermeneutiche non corrette”. Per F. SALVIA, cit., p. 536, la vicenda del servizio pubblico “non è inquadrabile in schemi omogenei e definitivi”. F. GIGLIONI, Osservazioni sulla evoluzione della nozione di “servizio pubblico”, cit., p. 2269, evidenzia coma la dottrina più recente, sia rifuggita da “ogni velleità classificatoria e definitoria”. V. PARISIO, Giudice amministrativo, giurisdizione esclusiva e pubblici servizi, in V. PARISIO, A. PERINI, Le nuove frontiere della giurisdizione esclusiva: una riflessione a più voci, Milano 2002, pp. 137-138, si chiede, invece, se abbia ancora un senso parlare di servizi pubblici, locuzione nata in un certo contesto storico per designare attività volte a soddisfare bisogni della collettività assunte dalla mano pubblica, in un contesto odierno di liberalizzazione.

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2) Alla ricerca di una nozione (generale) di servizio pubblico valida in base all’ordinamento italiano Un primo elemento che deve sussistere indiscutibilmente per integrare il servizio pubblico è l’offerta, predisposta da una Pubblica amministrazione, di una “utilità” o di un “beneficio” in favore della collettività11. La utilità o il beneficio possono consistere, ad esempio, nella produzione di beni (carne, latte ecc.) o, più spesso, nella erogazione di una prestazione attiva (trasporti, sanità, istruzione, raccolta e smaltimento dei rifiuti ecc.) oppure in una semplice “messa a disposizione”12 di infrastrutture o beni da destinare all’uso collettivo (strade, ponti, porti, aeroporti, piazze, parchi ecc.). Spesso essi hanno natura mista, consistendo nella messa a disposizione di infrastrutture e dotazioni materiali in combinazione con una prestazione attiva (si pensi alla sanità, alla scuola, trasporti collettivi ecc.). Può trattarsi, peraltro, anche di una utilità o di un beneficio di rilievo meramente ideale (o morale), etico o religioso13. Talvolta la prestazione è di tipo “erogativo” (illuminazione stradale, fontane pubbliche), con l’accollo integrale delle spese necessarie per la sua esplicazione in capo all’Ente pubblico che la predispone e oneri gravanti sulla fiscalità generale; talaltra i costi del servizio sono coperti, in tutto o in parte, da una vera e propria tassa (si pensi alla tassa comunale per la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, alle tasse universitarie e ai ticket regionali per la sanità) o da un corrispettivo il cui pagamento avviene in via informale, in funzione di partecipazione ai costi sostenuti dal gestore (pedaggio autostradale, biglietto dell’autobus pubblico, del treno ecc.); altre volte, ancora, è prescritto il pagamento di una somma di denaro sotto forma di “tariffa”14, che si configura, pur sempre, come corrispettivo contrattuale a copertura integrale delle spese del gestore e relativo, pur limitato, margine di profitto (gas, energia elettrica ecc.). Certamente, la gestione del servizio non deve essere mai preordinata a “fini precipui di lucro” per via delle preminenti ragioni di interesse pubblico che presiedono ad essa. Ed, in effetti, per diversi servizi, viene praticato un prezzo c.d. politico che non copre, se non in minima parte, le spese di gestione (si pensi alle ferrovie e alle autostrade) ovvero la prestazione è fornita a titolo completamente gratuito (cure mediche essenziali per indigenti, pronto soccorso, assistenza ai minori a rischio, ai ciechi e sordomuti, dormitori pubblici ecc.). Nell’ottica di garantire che per determinati servizi pubblici, ovvero di “pubblica utilità”, siano praticati prezzi accessibili per l’utenza, l’ordinamento ha previsto l’istituzione di

Evidenzia l’esigenza di pervenire ad una chiarificazione dei vari concetti utilizzati, sia nell’ambito europeo, che nel diritto interno, D. SORACE, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità cit., pp. 371-375. 11 V. G. MIELE, voce Funzione pubblica, in Noviss. dig. it., vol. VII, Torino 1961, p. 687. 12 V. A. DE VALLES, cit., p. 439. 13 V. D. SORACE, Diritto delle Amministrazioni pubbliche, cit., p. 178. Il Cons. Stato, Sez. V, sent. 16 settembre 1994 n. 996, in Cons. Stato 1997, I, 871 ha inquadrato il servizio di illuminazione votiva all’interno di un cimitero nel novero dei servizi pubblici resi dal Comune perché mira a soddisfare il sentimento religioso di chi lo frequenta e consente la realizzazione di fini sociali e di sviluppo civile della comunità locale. 14 Cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. 12 ottobre 2004 n. 6574, in Cons. Stato 2004, I, 2107, secondo cui il gestore del servizio, anche se privato, è sottoposto ad una serie di obblighi tra cui quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l'espletamento dell'attività a regole di continuità, regolarità, capacità tecnico-professionale e qualità. In tal senso anche Cons. Stato, Sez. V, sent. 14 febbraio 2013 n. 911, in questa Rassegna 2013, I, 204. Cfr., pure, Cons. Stato, Sez. VI, sent. 22 novembre 2013 n. 5532, in questa Rassegna 2013, I, 1007, secondo cui la tariffa determinata dall’Ente locale sarebbe un indicatore sintomatico della natura di servizio pubblico della prestazione cui si ricollega anche se, di fatto, svolta da un soggetto privato.

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apposite Autorità di settore, costituite, in genere, oltre che a livello centrale15, su base regionale16, sul modello collaudato delle “Autorità amministrative indipendenti”17, che

15 Ad esempio, la L. 14 novembre 1995 n. 481 (successivamente modificata ed integrata) ha previsto l’istituzione di due Autorità nazionali, poste a presidio di determinate attività integranti servizi pubblici ovvero, secondo il tenore letterale della legge, di pubblica utilità. 16 Ad apposite Autorità di settore, la cui disciplina ulteriore e di dettaglio era rimessa presumibilmente alla fonte regionale, competenti in materia di servizi pubblici locali a rilevanza economica, sembravano riferirsi i commi 7 e 14 dell’art. 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000, introdotti dall’art. 35 della legge n. 448 del 2001, ora non più vigenti. 17 La letteratura sulle Autorità amministrative indipendenti è sconfinata, sicché qualsiasi elencazione rischia di risultare incompleta. Tra i lavori monografici vanno, comunque, menzionati F. BASSI, F. MERUSI (a cura di), Mercati e Amministrazioni indipendenti, Milano 1993; M. MANETTI, Poteri neutrali e Costituzione, Milano 1994; S. CASSESE, C. FRANCHINI (a cura di), I garanti delle regole, Bologna 1996; S. NICCOLAI, I poteri garanti della Costituzione e le Autorità indipendenti, Pisa 1996; M. PASSARO, Le Amministrazioni indipendenti, Torino 1996; A. PREDIERI (a cura di), Le Autorità indipendenti nei sistemi istituzionali ed economici, Firenze 1996; AA.VV., Regolazione e garanzia del pluralismo. Le Autorità amministrative indipendenti, Milano 1997; A. PREDIERI, L’erompere delle Autorità amministrative indipendenti, Firenze 1997; F.S. SEVERI, Le Autorità amministrative indipendenti. Aspetti problematici, Milano 1998; G. VESPERINI, G. NAPOLITANO (a cura di), Le Autorità indipendenti: norma, procedimento e giudice, Viterbo 1998; AA.VV., Significato, natura e funzioni delle Autorità indipendenti, Milano 1998; AA.VV., Il procedimento davanti alle Autorità indipendenti, Torino 1999; AA.VV., Autorità indipendenti e principi costituzionali, Padova 1999; S. LABRIOLA (a cura di), Le Autorità indipendenti: da fattori evolutivi ad elementi della transizione nel diritto pubblico italiano, Milano 1999; P. PERLINGIERI (a cura di), Authorities e tutela della persona, Napoli 1999; F. CARINGELLA, R. GAROFOLI (a cura di), Le Autorità indipendenti, Napoli 2000; F. MERUSI, Democrazia e Autorità indipendenti, Bologna 2000; G. SCARSELLI, La tutela dei diritti dinanzi alle Autorità garanti, Milano 2000; R. TITOMANLIO, Autonomia e indipendenza delle Authorities: profili organizzativi, Milano 2000; E. BANI, Il potere sanzionatorio delle Autorità indipendenti. Spunti per un’analisi unitaria, Torino 2000; P. LAZZARA, Autorità indipendenti e discrezionalità, Padova 2001; F.A. GRASSINI (a cura di), L’indipendenza delle Autorità, Bologna 2001; G. GIRAUDI, M.S. RIGHETTINI, Le Autorità amministrative indipendenti. Dalla democrazia della rappresentanza alla democrazia dell’efficienza, Bari 2001; G. CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), Le Autorità indipendenti. Una ricognizione fra problemi e prospettive di sistemazione, Torino 2002; F. KOSTORIS PADOA SCHIOPPA (a cura di), Le Autorità indipendenti e il buon funzionamento dei mercati, Milano 2002; S. FOÀ, I regolamenti delle Autorità amministrative indipendenti, Torino 2002; S. NICODEMO, Gli atti normativi delle Autorità indipendenti, Padova 2002, P. CAVALIERI, G. DALLE VEDOVE, P. DURET (a cura di), Autorità indipendenti e Agenzie. Una ricerca giuridica interdisciplinare, Padova 2003; F. MERUSI, M. PASSARO, Le Autorità indipendenti. Un potere senza partito, Bologna 2003; N. LONGOBARDI, Autorità amministrative indipendenti e sistema giuridico istituzionale, Torino 2004; G. DE

MINICO, Regole, comando e consenso, Torino 2004; M. CLARICH, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Bologna 2005; C.P. GUARINI, Contributo allo studio della regolazione “indipendente” del mercato, Bari 2005; S. VALENTINI, Le Autorità indipendenti, Milano 2005; M. ZUPPETTA, Le Autorità amministrative indipendenti: modello superato o consolidato?, Napoli 2005; G. GRASSO, Le Autorità amministrative indipendenti della Repubblica: tra legittimità costituzionale e legittimazione democratica, Milano 2006; M. CUNIBERTI, Autorità indipendenti e libertà costituzionali, Milano 2007; A. VALATRO, Le Autorità indipendenti in cerca di interlocutore, Napoli 2008; A. LA SPINA, S. CAVATORTO, Le Autorità indipendenti, Bologna 2008; N. PIERRI, Autorità indipendenti e dinamiche democratiche, Padova 2009; E. GALANTI, Discrezionalità delle Autorità indipendenti e controllo giudiziale, Roma 2009; G. NAPOLITANO, A. ZOPPINI, Le Autorità al tempo della crisi: per una riforma della regolazione e della vigilanza sui mercati, Bologna 2009; M. D’ALBERTI, A. PAJNO (a cura di), Arbitri e mercati: le Autorità indipendenti e l’economia, Bologna 2010; G.P. CIRILLO, R. CHIEPPA (a cura di), Le Autorità amministrative indipendenti, Padova 2010; F. LUCIANI (a cura di), Le Autorità indipendenti come istituzioni pubbliche di garanzia, Napoli 2011; M. FRATINI (a cura di), Le sanzioni delle Autorità amministrative indipendenti, Padova 2011. Tra i più brevi contributi sul tema v., ex multis, C. FRANCHINI, Le Autorità amministrative indipendenti in Riv. trim. dir. pubbl. 1988, p. 549 ss.; A. MASSERA, Autonomia” e “indipendenza” nell’Amministrazione dello Stato, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, Milano 1988, p. 449 ss.; G. VESPERINI, Le funzioni delle Autorità amministrative indipendenti, in Dir. banc. mer. finan. 1990, p. 415 ss.; A. CAGLI, Il quadro normativo delle Amministrazioni pubbliche indipendenti, in Foro amm. 1991, p. 1627 ss.; P. VOCI, Le prospettive delle Amministrazioni indipendenti, in Arch. giur. 1991, p. 335 ss.; G. SIRIANNI, Nuove tendenze legislative in materia di Amministrazioni indipendenti, in Nomos, 1993, p. 75 ss.; A. PERINI A., Autorità amministrative indipendenti e tutela giurisdizionale, in Dir. amm., 1994, p. 71 ss.; R. LOMBARDI, Autorità amministrative indipendenti: funzione di controllo e funzione sanzionatoria, in Dir. amm. 1995, p. 629 ss.; M. D’ALBERTI, voce Autorità indipendenti (dir. amm.), in Enc. giur., agg., vol. IV,

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garantiscono, tra l’altro, condizioni e limiti per evitare la lievitazione eccessiva degli stessi, legata soprattutto a situazioni di monopolio di fatto o di estrema limitatezza dei soggetti erogatori presenti sul mercato. Ciò riguarda segnatamente i servizi a (forte) rilevanza economica come la fornitura del gas e dell’energia elettrica. È opportuno sottolineare come nemmeno la nozione di servizi di pubblica utilità, a cui si accennava, possa dirsi precisamente delimitata. Mentre, infatti, secondo alcuni18, tale nozione coinciderebbe, senza residui, con quella di servizio pubblico, per altri19, essa non sarebbe sempre riportabile alla nozione più ampia di servizio pubblico in un rapporto di species a genus, ma dovrebbe essere definita in modo autonomo. Ciò perché la tendenziale privatizzazione e liberalizzazione che hanno investito le public utilities avrebbero portato ad un regresso dell’ingerenza pubblica nella loro gestione e all’affidamento della loro regolazione ad Autorità neutrali ed indipendenti dai centri di governo20. Potrà, quindi, per alcuni di essi, venire a mancare quella correlazione Roma 1995, p. 1 ss.; S. CASSESE, Poteri indipendenti, Stati, relazioni ultrastatali, in Foro it. 1996, V, p. 7 ss.; E. GALANTI, Norme delle Autorità indipendenti e regolamento del mercato: alcune riflessioni, in Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale, Banca d’Italia 1996, p. 7 ss.; R. PEREZ Autorità indipendenti e tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. pubbl. 1996, p. 115 ss.; G. PERICU, Brevi riflessioni sul ruolo istituzionale delle Autorità amministrative indipendenti, in Dir. amm. 1996, p. 1 ss.; V. CAIANIELLO, Le Autorità indipendenti tra potere politico e società civile, in Foro amm. 1997, p. 341 ss.; G. AMATO, Autorità semi-indipendenti ed Autorità di garanzia, in Riv. trim. dir. pubbl. 1997, p. 645 ss.; F.P. CASAVOLA, Quale statuto per le Autorità indipendenti? La Costituzione italiana: evoluzione della statualità e Autorità amministrative indipendenti, in Rass. parlam. 1997, p. 529 ss.; G. MORBIDELLI, Sul regime amministrativo delle Autorità indipendenti, in Riv. dir. impresa 1997, p. 501 ss.; R. PEREZ, Informazione e Autorità indipendenti, in Foro amm., 1997, p. 641 ss.; C. TUCCIARELLI, Il procedimento di istituzione delle Autorità indipendenti in relazione al sistema delle fonti, in Rass. parlam. 1997, p. 115 ss.; M. MANETTI, Autorità indipendenti: tre significati per una costituzionalizzazione, in Pol. dir. 1997, p. 657 ss.; ID., voce Autorità indipendenti (dir. cost.), in Enc. giur., vol. IV, Roma 1997, p. 1 ss.; S. NICCOLAI, Le Autorità indipendenti come potere di garanzia, in Rass. parlam., 1998, p. 335 ss.; G. VERDE, Autorità amministrative indipendenti e tutela giurisdizionale, in Dir. proc. amm. 1998, p. 739 ss.; V. CAIANIELLO V., Il difficile equilibrio delle Autorità indipendenti, in Dir. economia 1998, p. 239 ss.; P.E. ROSSI, La rilevanza costituzionale e comunitaria delle Autorità di garanzia, in Dir. economia 1998, p. 393 ss.; S. PIAZZA, Tra regolazione degli interessi e garanzia dei diritti. Per una ricostruzione dei modelli di Autorità amministrative indipendenti, in Nuova Rass., 1999, parte I, p. 1163 ss., e parte II, p. 2072 ss.; V. ANGIOLINI, Le “Autorità” alla ricerca della “indipendenza”?, in Amministrare 2000, p. 5 ss.; F. CARINGELLA, Le Autorità indipendenti tra neutralità e paragiurisdizionalità, in Cons. Stato 2000, II, p. 541 ss.; F. POLITI, voce Regolamenti delle Autorità amministrative indipendenti, in Enc. giur., agg., vol. XXVI, Roma 2001, p. 1 ss.; F. MERUSI, M. PASSARO, voce, Autorità indipendenti, in Enc. dir., agg., vol. VI, Milano 2002, p. 143 ss.; M. CLARICH, Garanzia del contraddittorio nel procedimento, in www.giustizia-amministrativa.it; M. CLARICH, G. CORSO, V. ZENO ZENCOVICH., Le Autorità indipendenti: un catalogo delle questioni aperte, Relazione di base al seminario Il sistema delle Autorità indipendenti: problemi e prospettive, Roma, 27 febbraio 2006, p. 5 ss. V., inoltre, S. PIGNATARO, Il principio costituzionale del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, Bari 2012, pp. 144-169. Sulla tematica specifica delle Autorità amministrative indipendenti regionali v., in particolare, C.P. GUARINI, Considerazioni in tema di Autorità indipendenti delle Regioni nell’autonomia regionale, in A. PATRONI GRIFFI (a cura di), Il governo delle Regioni tra politica e amministrazione. Principi e modelli nei settori qualità delle regole, sanità, ambiente e territorio, Torino 2007, p. 49 ss.; G. GRASSO, cit., p. 152 ss. 18 V. G. CONTI, Le Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, in Dir. economia 1996, pp. 395-398. 19 V. R. LOMBARDI, Prime osservazioni sulle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, in Dir. economia 1996, p. 436, nota 5. 20 Alla liberalizzazione segue la necessità dell’abrogazione delle norme che limitano, senza una precisa giustificazione, l’attività delle imprese; una disciplina pubblicistica permane, ma nelle forme della regolazione. Cfr. N. RANGONE, I servizi pubblici, cit., p. 169; F. SALVIA, Il servizio pubblico: una particolare conformazione dell’impresa, cit., p. 535 ss. e, spec., p. 547; G. BERTI, I pubblici servizi tra funzione e privatizzazioni, in Jus 1999, p. 873; M. MAZZAMUTO, Servizi pubblici e giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel decreto legislativo n. 80 del 1998, in Riv. quadr. serv. pubbl., 1998, p. 33; M.P. CHITI, Regolazione e mercato nella disciplina degli appalti pubblici, in A. ANGELETTI (a cura di), Privatizzazione ed efficienza della Pubblica amministrazione alla luce del diritto comunitario, Milano 1996, pp. 158-159; A. PERINI, La trasformazione in atto nel settore dei servizi di pubblica utilità: privatizzazione, concorrenza e regolazione, in Dir. soc. 1997, p. 261 ss.

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costante con il soggetto pubblico che caratterizza la nozione di servizio pubblico, correlazione che non comporta necessariamente la gestione diretta del servizio, ma solo l’assunzione del compito-servizio da parte di un Ente politico che ne curi la predisposizione e l’organizzazione. Lo stesso Legislatore statale, con la L. 14 novembre 1995 n. 481 (come successivamente modificata ed integrata), istitutiva della Autorità (nazionale) di regolazione21 per i servizi di pubblica utilità22 competenti, rispettivamente, per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico e per le telecomunicazioni23, ha chiarito che le quattro tipologie di attività indicate costituiscono servizi di pubblica utilità, pur non fornendo una elencazione puntuale di questa categoria di prestazioni. Più di recente, l’art. 133 comma 1 lett. c) del D. L.vo 2 luglio 2010 n. 104 (Codice del processo amministrativo, Cod. proc. amm., ripetutamente modificato ed integrato), riprendendo, con scostamenti, il disposto dell’art. 33 del D. L.vo 31 marzo 1998 n. 80 (come modificato dall’art. 7 della L. 21 luglio 2000 n. 205 e rimodulato per effetto della sentenza manipolativa della Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 20424), devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l’altro, “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi ovvero relative a provvedimenti adottati dalla Pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”. Da tale formulazione emerge, rispetto alla precedente situazione ordinamentale, una elencazione meno puntuale e dettagliata dell’ambito cognitorio del giudice amministrativo. L’indicazione delle tipologie dei servizi pubblici fornita dalla norma codicistica è parziale e, quindi, ad esse deve attribuirsi carattere meramente esemplificativo. Affiora, poi, la volontà del Legislatore di equiparare tutti i servizi di pubblica utilità ai servizi pubblici ai fini della sottoposizione alla tutela giurisdizionale. Il dato letterale sembrerebbe, peraltro, avallare l’ipotesi che le telecomunicazioni non siano da considerare servizi di pubblica utilità, stante la disgiunzione letterale “alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”, in aperto contrasto quantomeno con la lettera della previsione della prima indicata legge n. 481 del 1995 (e successive modificazioni ed integrazioni).

21 Sulla attività di regolazione, che assume forme, modalità ed intensità differenti, cfr., ex plurimis, S.A. FREGO LUPPI, L’Amministrazione regolatrice, Torino 1999; A. LA SPINA, G. MAJONE, Lo Stato regolatore, Bologna 2000; G. TESAURO, M. D’ALBERTI, Regolazione e concorrenza, Bologna 2000; C.P. GUARINI, Riflessioni in tema di regolazione del mercato attraverso Autorità indipendenti, in F. GABRIELE, G. BUCCI, C.P. GUARINI (a cura di), Il mercato: le imprese, le istituzioni, i consumatori Bari 2002, p. 187 ss.; C.P. GUARINI, Contributo allo studio della regolazione “indipendente” del mercato, cit., spec. p. 33 ss. 22 Sul tema specifico della regolazione nel settore dei servizi di pubblica utilità, cfr., tra gli altri, L. DE

LUCIA, La regolazione amministrativa dei servizi di pubblica utilità, Torino 2002; G. IACOVONE, cit., spec. p. 109 ss.; C. DE VINCENTI, A. VIGNERI (a cura di), Le virtù della concorrenza: regolazione e mercato nei servizi di pubblica utilità, Bologna 2006. Sulla concorrenza nel settore dei servizi di pubblica utilità cfr. F.A. GRASSINI (a cura di), La concorrenza nei servizi di pubblica utilità, Bologna 1998. 23 L’istituzione concreta dell’Autorità, denominata “Autorità per le garanzie nelle comunicazioni”, è avvenuta con la L. 31 luglio 1997 n. 249 (successivamente modificata ed integrata). Sul tema cfr., tra gli altri, C. PANNACCIULLI, Pluralismo e mercato nell'attività radiotelevisiva: profili costituzionali, Bari 2005. 24 In Cons. Stato 2004, II, 1357.

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Si tratta evidentemente di una imprecisione letterale25, perché non avrebbe senso logico menzionare disgiuntamente le telecomunicazioni ed i servizi di pubblica utilità di cui le telecomunicazioni stesse farebbero parte. Inoltre, la norma del Codice del processo amministrativo lascia trasparire l’intento di non sovrapporre integralmente la nozione (generale) di servizio pubblico con quella di servizio di pubblica utilità. Peraltro, anche dei servizi di pubblica utilità, l’art. 133 comma 1 lett. c) Cod. proc. amm. non fornisce una elencazione, neppure a titolo esemplificativo. Invero, pare assai discutibile e approssimativa la tecnica legislativa adottata nella formulazione della disposizione in commento e che i servizi di pubblica utilità, dal complessivo tessuto normativo vigente, riecheggino, per lo più (ma non solo), quelli che, a livello di Enti locali, vengono qualificati come servizi pubblici a rilevanza economica, perché afferenti, per lo più, a settori in cui regnano le privatizzazioni, le liberalizzazioni e la concorrenza tra operatori, per effetto della remuneratività delle relative attività. Si è sottolineato che le public utilities, di origine anglosassone, sarebbero determinate attività che, benché proiettate alla soddisfazione di un interesse della collettività, possono essere prodotte e distribuite anche da soggetti privati e che concernono la creazione e l’offerta di servizi tecnologici di utilità collettiva distribuiti nel territorio nazionale, come l’energia (elettricità e gas), l’acqua, le comunicazioni (telefono, radio, televisione, poste) ed i trasporti (linee aeree, ferrovie e autostrade)26. Il concetto di servizio di pubblica utilità, nel nostro sistema giuridico, sembra, dunque, “contenere” quello di servizio pubblico, ma, al tempo stesso, essere più ampio di questo. Parrebbero poter rientrare, nella locuzione servizi di pubblica utilità, alcune prestazioni fornite, per lo più, da soggetti privati, anche in settori in cui non vi sia un regime di liberalizzazione ovvero un mercato concorrenziale, che realizzino la piena soddisfazione di interessi generali, collettivi o diffusi27 e concernono pure attività prive

25 Probabilmente il Legislatore delegato del 2010 voleva riferirsi, nell’art. 133, comma 1, lett. c) Cod. proc. amm. , “alle telecomunicazioni e agli altri servizi di pubblica utilità”. V. M. RAMAJOLI, Le forme della giurisdizione: legittimità, esclusiva, merito. in B. SASSANI, R. VILLATA (a cura di), Il Codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, Torino 2012, p. 175. 26 V. G. PALLIGGIANO, L’evoluzione legislativa della gestione dei servizi pubblici locali dalla legge Giolitti al testo unico degli Enti locali, in www.giustizia-amministrativa.it, il quale aggiunge che, soprattutto in passato a questi servizi sono stati affiancati anche i settori di base (acciaio, carbone, petrolio, energia atomica) e le istituzioni finanziarie “in cui frequentemente il settore pubblico, di fatto, svolge un ruolo rilevante”. 27 Sugli interessi generali e (più approfonditamente) su quelli collettivi e diffusi cfr. ex multis, A. PIZZORUSSO, Interesse pubblico e interessi pubblici, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1972, p. 57 ss.; N. LIPARI (a cura di), Tecniche giuridiche e sviluppo della persona, Bari 1974; AA.VV., Le azioni a tutela degli interessi collettivi, Padova 1976; AA.VV., Rilevanza degli interessi diffusi: modi e forme di individuazione e protezione degli interessi della collettività, Milano 1978; C. DELL’ACQUA, La tutela degli interessi diffusi, Milano 1979; V. VIGORITI, Interessi collettivi e processo, Milano 1979; G. SANTANIELLO, La tutela degli interessi diffusi dinanzi al giudice amministrativo, in Riv. amm. 1980, p. 821 ss.; B. CARAVITA DI TORITTO, Interessi diffusi e collettivi (problemi di tutela), in Dir. soc. 1982, p. 167 ss.; V. DENTI, voce Interessi diffusi, in Noviss. dig. it., App., vol. IV, Torino 1983, p. 305 ss.; ID., Interessi diffusi e controllo della legittimazione, in Le Reg. 1983, p. 540 ss.; R. FERRARA, Contributo allo studio della tutela del consumatore. Profili pubblicistici, Milano 1983; R. FEDERICI, Gli interessi diffusi: il problema della loro tutela nel diritto amministrativo, Padova 1984; R. FERRARA, Gli interessi superindividuali tra procedimento amministrativo e processo: problemi ed orientamenti, in Dir. proc. amm. 1984, p. 45 ss.; B. CARAVITA DI TORITTO, Interessi diffusi e collettivi, Roma 1985; A. ANGIULI, La tutela degli interessi superindividuali nella giurisprudenza amministrativa, in AA.VV., Giustizia amministrativa e attuazione costituzionale, Padova 1985, p. 179 ss.; R.G. RODIO, Rassegna di giurisprudenza amministrativa, ivi, p. 99 ss.; U. RUFFOLO, Interessi collettivi e diffusi e tutela del consumatore, Milano 1985; A. ANGIULI, Interessi collettivi e tutela giurisdizionale: le azioni comunali e surrogatorie, Napoli 1986; M. NIGRO, Le due facce dell’interesse diffuso: ambiguità di una formula e mediazioni della giurisprudenza, in Foro it. 1987, V, p. 7 ss.; P. DE LEONARDIS, Verso la tutela del

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di rilevanza economica ovvero, comunque, prestazioni che non integrino servizi pubblici in senso stretto. Ad esse, infatti, può non corrispondere una vera e propria pretesa di assolvimento da parte dei destinatari, elemento indefettibile nei servizi pubblici, pur essendo le stesse assoggettate ad un regime pubblicistico peculiare che prevede condizioni e vincoli nell’esercizio (si pensi alla attività delle ronde, attivate in alcuni centri urbani per garantire la sicurezza e l’ordine pubblico). Ciò sarebbe coerente pure con la formulazione dell’art. 133 comma 1 lett. c) Cod. proc. amm. che specifica alcune tipologie di servizi pubblici e vi aggiunge, in coda, genericamente i servizi di pubblica utilità, quale varietà di prestazioni non unicamente e perfettamente coincidente con i servizi pubblici. Ove la nozione di servizio pubblico coincidesse perfettamente con quella di servizio di pubblica utilità, è da ritenersi che debba essere la dicitura del primo a prevalere (si pensi alla distribuzione dell’energia elettrica, del gas e dell’acqua potabile definiti dal Legislatore talvolta servizi di pubblica utilità (legge n. 481 del 1995 e successive modificazioni ed integrazioni) e talaltra servizi pubblici locali a rilevanza economica (D. L.vo 18 agosto 2000 n. 267, e successive modificazioni ed integrazioni, e norme collegate). Stante, comunque, una situazione di incertezza, anche per via delle parziali divergenze dottrinali in merito, sarebbe opportuno un intervento chiarificatore coerente del Legislatore che si preoccupi di fornire, se non altro, le coordinate precise per inquadrare la fattispecie dei servizi di pubblica utilità separatamente da quella dei servizi pubblici. Ritornando al concetto di servizio pubblico, va detto che, secondo quanto emerge dal dato positivo, ed, in particolare, dall’ordinamento degli Enti locali, questo deve mirare a soddisfare interessi generali e destinati a fini di promozione e sviluppo della collettività in modo da garantire il benessere civile, economico e sociale della popolazione. Tale concezione, tuttavia, non va intesa in senso assoluto od immutabile, ma in senso dinamico rispetto al tempo, al luogo ed al contesto politico, economico-sociale e culturale che caratterizzano la comunità amministrata. Il Legislatore e le stesse Amministrazioni pubbliche, infatti, in ogni epoca storica, perseguono fini differenti, assumendo alcune attività e settori e dismettendone altri. Gli studiosi di diritto, già da tempi abbastanza remoti, per individuare la nozione di servizio pubblico, hanno incentrato la loro disamina rifacendosi a parametri di carattere “soggettivo” o “formale” ovvero “oggettivo” o “sostanziale”. Talché, qualcuno, facendo proprio il criterio soggettivo, ha enfatizzato la necessità della natura pubblica del soggetto erogatore ovvero (soprattutto a seguito della adozione della L. 29 marzo 1903 n. 103, sulle municipalizzazioni dei servizi pubblici di Comuni e Province, c.d. legge Giolitti28, la quale ha riconosciuto ai privati imprenditori la possibilità di gestione diretta di taluni servizi, sia pur a determinate condizioni e con

paesaggio come situazione oggettiva costituzionale, in Riv. trim. dir. pubbl. 1988, p. 342 ss.; N. TROCKER, voce Interessi collettivi e diffusi, in Enc. giur., vol. XVII, Roma 1989, p. 1 ss.; P. MANTINI, Associazioni ambientalistiche e tutela di interessi diffusi nel procedimento amministrativo, Padova 1990; M. CRESTI, Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, Milano 1992; L. MARUOTTI, La tutela degli interessi diffusi e degli interessi collettivi in sede di giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo: questioni di giurisdizione e selezione dei soggetti legittimati all’impugnazione, in Dir. proc. amm. 1992, p. 255 ss.; P. DE LEONARDIS (a cura di), Valori costituzionali e ambiente-paesaggio, Torino 1996; R. ROTA, Gli interessi diffusi nell’azione della Pubblica amministrazione, Milano 1998. 28 Sulla municipalizzazione dei servizi pubblici v. G. MONTEMARTINI, Municipalizzazione dei pubblici servigi, Milano 1902; C. CAMERA, A. MAGNANI, Commento alla L. 29 marzo 1903 n. 103 sulla assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni, Rocca San Casciano 1903; C. MEZZANOTTE, La municipalizzazione dei servizi pubblici, Milano 1905; A. TROCCOLI, voce Municipalizzazione dei pubblici servizi, in Noviss. dig. it., vol. X, Torino 1957, p. 988 ss.; G. BOZZI, voce Municipalizzazione dei pubblici servizi, in Enc. dir., vol. XXVII, Milano 1977, p. 363 ss.

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limiti stringenti), l’esigenza che, ove questo sia di carattere privato, operi, comunque, sotto il ferreo controllo di una Pubblica amministrazione29. Ma tale teoria, considerata singulatim, ha dimostrato subito alcuni dei suoi limiti soprattutto per la presenza di determinate attività aventi caratteristiche materiali perfettamente simili ai servizi pubblici imputabili alla Pubblica amministrazione, svolte dai privati e sottoposte ad una disciplina pubblicistica non basata su un provvedimento dell’Amministrazione pubblica; si trattava essenzialmente di quelli che furono definiti, in epoca risalente, servizi pubblici “impropri”30. La teoria soggettiva faceva, comunque, tesoro della posizione espressa da autorevole dottrina classica31 e tuttora attuale, secondo cui anche quando il contenuto della prestazione amministrativa è materialmente e obiettivamente identico al contenuto di prestazioni private il diverso soggetto che le rende ne altera la natura giuridica. Si è, poi, sottolineato, già da parte della dottrina più risalente32, che l’attributo “pubblico”, associato alla parola “servizio”, andrebbe riferito, non tanto allo scopo perseguito o all’Ente che lo assume, quanto alla parte pubblica che si pone come specifica destinataria della prestazione; servizio pubblico, dunque, inteso come servizio per il pubblico o a disposizione di questo33. In ogni caso, la teoria soggettiva fu messa in crisi o, quantomeno, stemperata con l’affermarsi della tendenza ad un progressivo ridimensionamento dell’intervento pubblico diretto in economia. Dal che è emersa l’esigenza di valorizzazione della concezione oggettiva di servizio pubblico, che comprendesse attività economiche in senso lato, caratterizzate dalla soggezione ad un particolare regime a causa della rilevanza sociale degli interessi perseguiti, che prescindesse dall’imputazione o dall’immediato collegamento soggettivo ai pubblici poteri. La teoria oggettiva poneva quindi, in luce le finalità e gli effetti dell’attività erogata, preordinata a soddisfare i bisogni della collettività amministrata, del tutto indipendentemente dalla natura del soggetto gestore34. Si trattava di una elaborazione basata, per lo più, sull’assunto che i caratteri del servizio pubblico si potessero desumere da una interpretazione congiunta degli artt. 4135 e 4336 Cost. In tali norme costituzionali ed, in particolare, nell’art. 43, vi

29 Il principale sostenitore della teoria soggettiva è stato A. DE VALLES, cit., p. 377 ss. e, spec., p. 408 ss. Sul punto, più di recente, v. M.S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano 2000, p. 581 ss.; D. SORACE, Pubblico e privato sulla gestione dei servizi pubblici locali mediante società per azioni, in Riv. it. dir. pubbl. comun. 1997, p. 51 ss.; G. CAIA, La disciplina dei servizi pubblici, cit., p. 945 ss.; R. VILLATA, cit., p. 1 ss. 30 Cfr. A. DE VALLES, cit., p. 396. 31 V. S. ROMANO, Principi di diritto amministrativo, Milano 1906, p. 333. 32 V. P. CICERO, Sui limiti territoriali dell’attività delle aziende dei pubblici servizi municipalizzati, in Riv. dir. pubbl.1911, I, p. 414, nota 7; A. DE VALLES, cit., p. 384 ss. 33 V., anche, A. ROMANO, Profili della concessione di pubblici servizi, in Dir. amm. 1994, p. 468. 34 Il principale e più convinto fautore del criterio oggettivo è stato U. POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, cit., passim. Sul tale profilo v. A. ROMANO, Il diritto pubblico italiano, Milano 1988, p. 331 ss.; O. RANELLETTI, Concetto delle persone giuridiche pubbliche amministrative, in Riv. trim. dir. pubbl. 1916, I, p. 345; G. MIELE, voce Funzione pubblica, cit., p. 687; R. VILLATA, cit., p. 1 ss.; A. CAROSELLI, cit., p. 29; B. MAMELI, cit., p. 294 ss.; R. GAROFOLI, Le privatizzazioni degli Enti dell’economia: profili giuridici, Milano 1998, p. 473 ss.; E. FERRARI, I servizi sociali, Milano 1986, vol. I, p. 138 ss.; N. RANGONE, I servizi pubblici, cit., p. 299 ss.; A. PAJNO, cit., p. 574 ss.; A. MONTEBUGNOLI, cit., p. 3 ss. In giurisprudenza v. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 13 febbraio 1995 n. 240, in Cons. Stato 1995, I, 218. 35 Sull’art. 41 Cost. v., tra gli altri, A. BALDASSARRE, voce Iniziativa economica privata, in Enc. dir., vol. XXI, Milano 1971, p. 582 ss. F. GALGANO, Art. 41, in G. BRANCA, A. PIZZORUSSO (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma 1982, p. 1 ss.; F. BARTOLOMEI, Iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), in P. JARICCI (a cura di), Diritto pubblico dell’economia, Roma 1987, p. 31 ss.; M.S. GIANNINI, Diritto pubblico dell’economia, cit., p. 177 ss.; N. IRTI, Iniziativa economica e concorrenza, in G. DELLA CANANEA, G. NAPOLITANO (a cura di), Per una nuova Costituzione economica, Bologna 1998, p. 23 ss.

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sarebbero, secondo questa impostazione dogmatica, diversi argomenti a favore della connotazione oggettiva del servizio pubblico37. È opportuno ricordare che l’art. 43 Cost. ha introdotto il concetto di “impresa” esercente un “servizio pubblico essenziale” per individuare le attività che la legge può riservare originariamente o trasferire allo Stato, ad Enti pubblici o comunità di lavoratori o di utenti, a fini di utilità generale, lasciando emergere una nozione di servizio pubblico che sembra coincidere con il “settore pubblico”. Invero, va rimarcato che la norma costituzionale appena indicata, contemplando la semplice possibilità per lo Stato di riservare o trasferire, mediante esproprio e salvo indennizzo, a sé o ad altri Enti pubblici (o a comunità di lavoratori o di utenti) determinate imprese o categorie di imprese che si riferiscono, tra l’altro, a servizi pubblici essenziali, ammette evidentemente la possibilità della gestione privata di tali servizi38. In base all’art. 41 comma 3 Cost., poi, l’attività economica può essere, per legge, sottoposta a programmi e controlli perché possa essere indirizzata e coordinata “a fini sociali”. Dunque, il servizio pubblico, seppure non menzionato espressamente, può essere assicurato da soggetti pubblici o privati, ma è intensamente regolato da una disciplina pubblicistica. L’adesione tout court alla teoria oggettiva, tuttavia, comportava la ricomprensione nella nozione di servizio pubblico di tutte le attività economiche che presuppongano programmi e controlli stabiliti dalla legge per soddisfare l’interesse generale della collettività, considerando unitariamente attività tra loro disomogenee e rendendo difficile la distinzione con le semplici attività economiche svolte dai soggetti privati, comunque idonee, per la loro natura, alla realizzazione, oltre che di un profitto, altresì, di fini aventi rilevanza generale. Se la teoria soggettiva appariva eccessivamente riduttiva, quella oggettiva tendeva ad allargare troppo la nozione di servizio pubblico, facendovi rientrare tutte le attività che, in un dato momento storico, potessero, anche solo potenzialmente, risultare utili al fine di soddisfare i bisogni – in senso lato – della collettività39. Le due tesi furono dapprima considerate autonomamente e, successivamente, valutate in modo congiunto40.

36 Sull’art. 43 Cost. v., tra i tanti, A. PREDIERI, voce Collettivizzazione, in Enc. dir., vol. VII, Milano 1960, p. 418 ss.; F. GALGANO, Art. 43, in G. BRANCA, A. PIZZORUSSO (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma 1982, cit., p. 193 ss.; G. CORSO, Servizi pubblici e Costituzione, in G. MARONGIU, G.C. DE MARTIN (a cura di) Democrazia e Amministrazione, Milano 1992, p. 223 ss.; M.S. GIANNINI, Diritto pubblico dell’economia, cit., p. 137 ss.; P. RANCI, Concorrenza e servizi pubblici nella Costituzione, in G. DELLA CANANEA, G. NAPOLITANO (a cura di), cit., p. 33 ss. 37 Cfr. U. POTOTSCHNIG, cit., p. 46 ss. e passim. V. pure la ricostruzione di M. NIGRO, L’edilizia popolare come servizio pubblico, cit., p. 118 ss., e le opinioni di G. BOZZI, cit., p. 368, e di L. PERFETTI, Contributo ad una teoria dei pubblici servizi, cit., spec., p. 178 ss. Quest’ultimo A., nel tentativo di dare nuova linfa alla teoria di chi ha fondato sugli artt,. 41 e 43 Cost. una visione marcatamente oggettiva dei pubblici servizi, ritiene, per altro verso, profondamente errato e da scartare totalmente il richiamo a qualunque intermediazione del Legislatore nell’individuazione di ciò che è pubblico servizio. Per la tesi secondo cui la nozione di servizio pubblico in senso oggettivo non trovi fondamento nell’art. 43 Cost. v. F. TRIMARCHI BANFI, Considerazioni sui “nuovi” servizi pubblici, in Riv. it. dir. pubbl. comun. 2002, p. 945 ss. e, spec., p. 950. Sul punto cfr., pure, le complicazioni ed i dubbi prospettati da R. VILLATA, cit., p. 7 ss., anche per gli ulteriori richiami alla dottrina. 38 Cfr. U. POTOTSCHNIG. I pubblici servizi, cit., pp. 52-53; P. CIRIELLO, cit., p. 4. 39 In questi termini F. COSSU, L. CALVISI, B. GINI, A. PISAPIA, cit., p. 1892. 40 I due criteri definitori, soggettivo e oggettivo, sono stati ritenuti da M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano 1988, p. 456, inadeguati se applicati rigidamente perché la definizione giuridica di servizio pubblico può emergere solo dal contemperamento della teoria nominativa con quella sostanziale. V., anche, A. ROMANO, La concessione di un pubblico servizio, in G. PERICU, A. ROMANO, V. SPAGNUOLO

VIGORITA (a cura di), La concessione di pubblico servizio, Milano 1995, p. 33; R. GRACILI, F. BENELLI, F. COSSU, Enti locali e servizi pubblici, in Nuova Rass.1999, p. 1064 ss., R. VILLATA, cit., p. 1 ss.

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Le conclusioni a cui si perveniva, anche considerando l’abbinamento delle stesse, non potevano, comunque, ritenersi del tutto soddisfacenti, poiché finivano per ricomprendere determinate prestazioni rese ai cittadini, come l’amministrazione della giustizia civile e il trasporto pubblico, senza evidenziarne la loro differenziazione41. Il criterio cardine per qualificare il servizio pubblico era stato rinvenuto42, in tempi remoti, proprio per evitare la assoluta equiparazione di attività aventi caratteri ed effetti sostanzialmente assai differenti, “in via residuale”, facendo leva sulla natura giuridica dell’attività erogata, ritenendo tale quella attività svolta dalla Pubblica amministrazione, direttamente o indirettamente, in favore dei privati, che non fosse “pubblica funzione”43. Una implicazione immediata di tale impostazione è che non dovrebbero essere comprese nella nozione di servizio pubblico quelle attività-prestazioni rese alla collettività che sono espressione di una posizione di supremazia della Pubblica amministrazione44. Tra queste, possono ritenersi rientrare, con riferimento, ad esempio, ai Comuni, le attività apprestate dai relativi uffici elettorale, leva, anagrafe e stato civile, ancorché classificate, da diverse disposizioni legislative e regolamentari, quali servizi pubblici “burocratici” o “istituzionali”, probabilmente per sottolineare il costante contatto con il pubblico del personale di tali uffici; come pure, le attività esercitate dalle società affidatarie dell’accertamento e della riscossione dei tributi45 e la polizia locale. Va detto, in particolare, che le prestazioni rese dagli uffici comunali elettorale, leva, anagrafe e stato civile sono svolte nell’esercizio di funzioni statali e, come puntualizzato, da tempo, dal giudice amministrativo46, non possono essere organizzate in forma di impresa ovvero, comunque, in forma autonoma, attenendo alla sola sfera pubblica; esse, comportando l’esercizio di potestà amministrative,

41 Cfr. R. VILLATA, cit., p. 4; E. FERRARI, cit., p. 152; L.R. PERFETTI, Contributo ad una teoria dei pubblici servizi, cit., p. 39 ss.; P. CIRIELLO, cit., p. 3; I.M. MARINO, cit., p. 236 ss.; G. NAPOLITANO, Servizi pubblici e rapporti di utenza, cit., p. 127 ss. 42 Cfr. G. MIELE, Pubblico servizio e pubblica funzione, cit., p. 172 ss.; S. CATTANEO, cit., p. 366. 43 Per la nozione di funzione amministrativa v. F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl. 1952, p. 118 ss.; ID., Eccesso di potere amministrativo per vizio della funzione, in Rass. dir. pubbl. 1950, p. 1 ss.; G. MARONGIU, voce Funzione amministrativa in Enc. giur., vol. XIV, Roma 1989, p. 1 ss. La funzione pubblica implica l’esercizio di potestà pubbliche che impongono in modo imperativo e unilaterale la volontà della Pubblica amministrazione sui soggetti amministrati; mentre il servizio pubblico si risolve nella prestazione di attività materiali a favore dei soggetti utenti. V. F.S. SEVERI, voce Funzione pubblica, in Dig. disc. pubbl. vol. VII, Torino 1991, p. 73; G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 378. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano 1970, vol. I, p. 435 ss. e spec., p. 443, rileva come, in linea di principio, tutte le attività che lo Stato o gli Enti pubblici svolgono per perseguire i propri scopi, nell’interesse generale o, comunque, altrui, sono espressione di funzioni amministrative. Cfr. G. MARONGIU, cit., p. 1, per il quale l’Amministrazione cura gli interessi pubblici in modo immediato attraverso un’attività pratica non dissimile dall’attività con cui tutti curano i propri interessi, il proprio patrimonio o la propria azienda. Cfr., altresì, R. ALESSI, cit., p. 9. Come segnala A. ROMANO, Il cittadino e la Pubblica amministrazione, in Studi in memoria di Vittorio Bachelet, vol. I, Milano 1987, p. 521 ss., il fenomeno del progressivo mutamento dei contenuti dell’azione amministrativa, nel passaggio dallo Stato liberale allo Stato sociale, ha comportato l’affiancamento, in termini sempre più rilevanti, di attività di prestazione di servizi ai cittadini rispetto all’attività amministrativa tipica mediante esercizio di poteri con la finalità di soddisfare esigenze sempre più numerose e differenziate. 44 Per una distinzione tra pubblico servizio e pubblica funzione cfr. S. CATTANEO, cit., pp. 367-368. Sull’inadeguatezza del criterio desunto dall’assenza di poteri autoritativi cfr. F. MERUSI, voce Servizio pubblico, cit., p. 218; S. CATTANEO, cit., pp. 367-368. 45 A riguardo va segnalato che il Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 240 del 1995, cit., ha ritenuto che il servizio di accertamento e di riscossione dei tributi non possa ricondursi al concetto di servizio pubblico, poiché non si svolge su di un piano paritario rispetto alla collettività di riferimento, trattandosi di una delle più tipiche ed incisive manifestazioni della potestà autoritativa dell’Ente. 46 Nell’ ordinamento previgente alla legge n. 142 del 1990, v. T.A.R. Veneto, Sez. unica, sent. 14 aprile 1986 n. 152, in I T.A.R. 1986, I, 1783.

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devono essere gestite con l’ausilio di strumenti di diritto pubblico e altrettanto dicasi per la polizia locale47. A fortiori dopo che il Legislatore statale ha disposto l’eliminazione della forma di gestione ”in concessione a terzi” dei servizi pubblici locali (forma gestoria astrattamente idonea alla esplicazione di poteri tipicamente amministrativi48, ma difficilmente praticabile, in concreto, per gli uffici elettorale, leva, anagrafe e stato civile, anche per via della dipendenza funzionale che gli impiegati di detti uffici detengono con il Prefetto ed il Sindaco che sovraintende ad essi), questi, ove effettivamente inquadrati come servizi pubblici locali, non possono che essere organizzati “in economia”49, mediante l’impiego di risorse e mezzi personali, materiali e finanziari propri dell’Amministrazione municipale. In effetti, considerando che il loro esercizio presuppone l’adozione di atti amministrativi (iscrizioni, cancellazioni, certificazioni ecc.) e la conduzione di procedimenti amministrativi secondo le regole generali dell’azione amministrativa sancite dalla L. 7 agosto 1990 n. 241 (e successive modificazioni ed integrazioni)50, con l’assunzione di “responsabilità”51 a carico dei dipendenti assegnati in tali ambiti, tipiche dell’esercizio di funzioni pubbliche (art. 28 Cost., art. 328 Cod. pen.), da cui non paiono discostarsi per alcun aspetto sostanziale rilevante, il loro inquadramento tra i servizi non appare pienamente corretto. Ciò, a meno di non voler adottare una concezione troppo ampia e onnicomprensiva di servizio pubblico, tipica della scienza economica, che, a quel punto, dovrebbe investire ogni attività organizzata e posta in essere, direttamente o indirettamente, da una Pubblica amministrazione, per la 47 In relazione alla legge n. 142 del 1990 v. T.A.R. Lazio, Sez. II, sent. 30 settembre 1997 n. 1512, in I T.A.R. 1997, I, 3517. 48 Ciò, in quanto troverebbe applicazione, in questo caso, lo schema dell’“organo amministrativo indiretto”, su cui, in particolare, cfr. F. DE LEONARDIS, Il concetto di organo indiretto: verso nuove ipotesi di applicazione dell’esercizio privato di funzioni pubbliche in Dir. amm. 1995, p. 347 ss. 49 V. G. GRIFFINI, R. PATRASSI, La gestione in economia, in AA.VV. con il coordinamento di V. ITALIA, cit., p. 582. 50 Sulla legge. n. 241 del 1990 (modificata ed integrata da numerosi provvedimenti legislativi successivi, tra cui, in particolare, la L. 11 febbraio 2005 n. 15), possono validamente consultarsi, tra i tanti, R. TOMEI (a cura di), La nuova disciplina dell’azione amministrativa, Padova 2005; V. ITALIA (a cura di), L’azione amministrativa. Commento alla L. 7 agosto 1990 n. 241, modificata dalla L. 11 febbraio 2005 n. 15 e dal D.L. 14 marzo 2005 n. 35, Milano 2005; A. DE ROBERTO, La legge generale sull’azione amministrativa, Torino 2005; F. CARINGELLA, D. DE CAROLIS, G. DE MARZO (a cura di), Le nuove regole dell’azione amministrativa dopo le leggi n. 15 del 2005 e n. 80 del 2005, Milano 2005; G. CARLOTTI, Il nuovo procedimento amministrativo, Padova 2005; N. PAOLANTONIO, A. POLICE, A. ZITO (a cura di), La Pubblica amministrazione e la sua azione: saggi critici sulla legge n. 241 del 1990 riformata dalle leggi n. 15 del 2005 e n. 80 del 2005, Torino 2005; G. CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento, Torino 2005; V. CERULLI IRELLI (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa: saggi ordinati in sistema, Napoli 2006; D. MASTRANGELO (a cura di), Aspetti dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento, Roma 2006; L.R. PERFETTI, Le riforme della L. 7 agosto 1990 n. 241 tra garanzia della legalità ed amministrazione di risultato, Padova 2008; P. MERIGHI, Procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti, Santarcangelo di Romagna 2008; M.T. SEMPREVIVA, C. SILVESTRO, Il nuovo procedimento amministrativo, Napoli 2009; P.M.P. VIPIANA, Il procedimento amministrativo nella legge n. 241 del 1990 riformata dalla legge n. 69 del 2009, Padova 2010; M. CORRADINO (a cura di), Il procedimento amministrativo: aggiornato alla L. 18 giugno 2009 n. 69, al D.L. 31 maggio 2010 n. 78 (convertito in L. 30 luglio 2010 n. 122) e dal D. L.vo. 2 luglio 2010 n. 104, Torino 2010; M.A. SANDULLI (a cura di) Codice dell’azione amministrativa, Milano 2011; L. LAPERUTA, Procedimento amministrativo e diritto di accesso agli atti: commento sistematico alla L. 7 agosto 1990 n. 241, Santarcangelo di Romagna 2013; M. MARIANI (a cura di), Procedimento amministrativo e accesso ai documenti: commento sistematico alla legge n. 241 del 1990, Matelica 2014. V. pure S. PIGNATARO, Il principio costituzionale del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, cit., pp. 201-264, anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici. 51 Sulla responsabilità della Pubblica amministrazione nelle sue varie forme, con specifico riguardo alla direzione e gestione dei procedimenti amministrativi, sia rinvia a S. PIGNATARO, Il responsabile del procedimento amministrativo alla luce delle innovazioni in atto nella Pubblica amministrazione, in I T.A.R. 2003, II, p. 293 ss., e alla bibliografia ivi riportata.

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realizzazione di fini pubblici e non solo le prestazioni in linea con determinati criteri e condizioni, erogate su base paritetica. In tal modo, si correrebbe il rischio di unificazione di attività aventi modalità di estrinsecazione e fondamento, sovente, assai differenti ed eterogenei (si pensi alla amministrazione della giustizia, alla difesa, all’ordine pubblico e i servizi pubblici aventi base prettamente contrattuale, come la distribuzione del gas, dell’acqua potabile e dell’energia elettrica, le telecomunicazioni ed i trasporti pubblici). Non va sottaciuto, invero, il fatto che la funzione amministrativa autoritativa e il pubblico servizio non sempre sono stati considerati espressione di due momenti totalmente contrapposti e distinti di attività amministrative52. La scissione tra funzioni

52 Cfr. M.R. SPASIANO, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino 2003, p. 1 ss.; V. DE

FALCO, cit., pp. 78-79. U. MONTELLA, Verso il superamento della distinzione tra “pubblica funzione” e “pubblico servizio” e conseguenze in tema di giurisdizione della Corte dei conti, in Giust. amm. 2002, ha rilevato come nell’ultimo decennio la Pubblica amministrazione abbia subito un radicale cambiamento del suo modo di agire e di porsi nei confronti degli amministrati. La tendenza dell’apparato pubblico ad intendere in modo nuovo il proprio ruolo impone, allora, una rivisitazione di alcuni dei concetti base sui quali si è tradizionalmente fondata l’azione amministrativa e che, alla luce della mutata realtà normativa e sociale, assumono oggi una valenza ed un significato diversi da quelli originari. Secondo l’A. le nozioni “pubblica funzione” e “pubblico servizio”, oltre ad acquisire nuova forma tendono, oggi, a confondersi l’una nell’altra e a non trovare più alcuna ragione di distinzione. Egli, inoltre, definisce funzione pubblica la capacità (anche di diritto privato) della Pubblica amministrazione di agire nell’interesse della collettività. R. GALLI, D.GALLI, Corso di diritto amministrativo, Padova 2001, p. 921 ss., ricordano come momenti pubblicistici e funzionali siano riscontrabili anche nelle fasi di istituzione e organizzazione dei servizi pubblici e, talora, anche in quella di gestione, così come momenti paritetici siano rinvenibili nello svolgimento dell’attività funzionalizzata, postulante talvolta l’esplicazione di attività materiali o di meri comportamenti. Cfr. G. CAIA, Funzione pubblica e servizio pubblico, cit., p. 941, il quale propende per una non comparabilità dei concetti di servizio pubblico e pubblica funzione, ponendosi essi su piani differenti: il primo avrebbe natura “orizzontale”, presentandosi come un modulo composito di amministrazione che si connota per l’elemento organizzativo, nel quale rientrano atti autoritativi, atti paritari ed attività materiali; la seconda sarebbe su un piano “verticale”, essendo propria di un tipo di attività espressiva di potere. A riguardo va sottolineato come già il D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, attraverso il quale è stato attuato il trasferimento di “funzioni amministrative” statali, riguardava contestualmente funzioni autoritative e compiti non autoritativi, sulla scorta di una nozione di funzione amministrativa che si identifica con “il complesso dei compiti necessari per la cura, anche attraverso manifestazioni diverse dall’esercizio di poteri, degli interessi riconducibili ad una determinata materia”. G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, Milano 1958, vol. I, p. 13 ss., ricomprende nell’ampia nozione di funzione amministrativa attività differenziate come la difesa esterna, l’ordine interno, la sicurezza pubblica, l’accertamento e la cura del movimento demografico, l’igiene e la sanità pubblica, la pubblica istruzione e il progresso della cultura, l’amministrazione pubblica del diritto privato, i servizi pubblici di trasporto e di comunicazione, l’azione amministrativa nel campo dell’economia (agricoltura, industria, commercio, credito, assicurazioni), l’azione amministrativa relativa all’assistenza e beneficenza. F.S. SEVERI, voce Funzione pubblica, cit., p. 69, osservava che, nel testo (originario) della Costituzione repubblicana del 1948, si utilizzasse il termine funzione in modo assolutamente ambiguo, a volte quale sinonimo di attività (art. 54), altra in relazione all’ufficio (artt. 37, 51, 86, 90, 91, 93, 96, 99, 106, 107, 115, 119, 121, 128, 129), altra ancora con significato generico di rilevanza globale di un’attività (art. 42 comma 2, 45), altra come potere o potestà (artt. 70, 76 e 102). F. CAMMEO, Corso di diritto amministrativo, Padova 1960, p. 13, sottolinea che la “funzione amministrativa è quell’attività dello Stato nell’esercizio della quale esso provvede, nei casi concreti, al raggiungimento degli scopi dello Stato stesso”. O. RANELLETTI, Principi di diritto amministrativo, Napoli 1912, p. 267, definisce amministrazione tutta l’attività, giuridica e non, che ha il fine di provvedere ai bisogni dello Stato e del popolo. Per S. ROMANO, Prime pagine di un manuale di diritto amministrativo, in Scritti minori, vol. II, Milano 1950, p. 362 ss., amministrazione è l’attività con cui lo Stato e i suoi ausiliari esplicano la funzione di soddisfare i singoli interessi pubblici. Secondo G. ZANOBINI, voce Amministrazione pubblica, in Enc. dir., vol. II, Milano 1958, p. 235, amministrazione pubblica è “quell’attività che lo Stato dispiega per curare, in modo immediato, gli interessi pubblici che sono naturalmente nei suoi fini, o che egli volutamente assume come tali”. F. MIELE, voce Funzione pubblica, cit., p. 686, precisa che la pubblica funzione consiste in un complesso di attività organizzato per l’esercizio di un potere pubblicistico dello Stato o di altro Ente pubblico; pubblico servizio deve invece ritenersi l’attività ordinata alla prestazione di utilità, non già all’esercizio di un potere giuridico pubblicistico. Secondo A. PUBUSA, Procedimento amministrativo e interessi sociali, Torino 1988, p. 187 ss., l’impostazione appena proposta costituisce il frutto di una visione unilaterale e verticale del rapporto Pubblica amministrazione-privato. M.R. SPASIANO, cit., p. 38,

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amministrative e servizi, certamente percepibile nel diverso atteggiarsi delle due attività e, sovente, nel loro diverso fondamento giuridico, non è così netta, per altri versi, da contrapporsi l’un l’altra; anzi le due nozioni si intersecano e si sovrappongono, finendo sostanzialmente per identificarsi sotto il profilo delle finalità pubbliche in vista delle quali vengono svolte53. Le prestazioni consistenti nei pubblici servizi, ancorché possano essere erogate da soggetti privati ed essere assoggettate (almeno in parte) a regole del diritto comune, devono avere, secondo una data impostazione dottrinaria54, un minimo di “accessorietà” e “strumentalità” rispetto alle pubbliche funzioni. Sembra, però, che vi siano diversi servizi, come quelli prettamente di rilevanza economica citati, aventi base prettamente contrattuale, che, pure, presuppongono l’applicazione di un corrispettivo in termini di tariffa, che non hanno una particolare attitudine a configurarsi come strumentali, complementari o accessori rispetto a funzioni pubbliche (autoritative). Ciò è vero, a meno di non intendere queste ultime in senso molto ampio, facendole coincidere con i “fini” o le “finalità” pubblici che l’Amministrazione deve perseguire per la realizzazione dello sviluppo e del benessere collettivo, considerata la contiguità e comunanza di intenti che tutte le attività amministrative, per evidenti ragioni, sono preordinate a realizzare. D’altra parte, vi sono alcune attività prodotte all’interno delle Pubbliche amministrazioni che hanno una funzione ausiliaria, strumentale o complementare rispetto alle funzioni amministrative esercitate dai relativi uffici pubblici che non paiono potersi considerare come pubblici servizi, difettando soprattutto del carattere della “esternalità” e del “collegamento immediato e diretto alla fruizione generale”; elementi che appaiono indefettibili nella delimitazione del concetto in discorso55. Difatti, anche l’impresa che gestisce la manutenzione dello stabile sede di un Ente pubblico ovvero delle scale o degli ascensori presenti oppure provvede alle pulizie e al facchinaggio al suo interno, indirettamente, rende l’Amministrazione più idonea alla realizzazione del suo ruolo istituzionale; ma tali attività sono inquadrabili tra le “forniture di servizi”, soggette ora alla applicazione del D. L.vo 12 aprile 2006 n. 163 (successivamente modificato ed integrato), attuate in favore della stessa Pubblica amministrazione che li appalta56 e beneficia di esse in modo diretto ed immediato.

rileva che “Se i fini che la funzione tende a realizzare coincidono con le aspirazioni di tutela dei diritti sia dei cittadini che, in generale, della persona, ne deriva che essa può trovare spazio di manifestazione, anche nell’alveo dei servizi pubblici….”. Lo stesso A, cit., p. 59, rinviene in normative recenti una “tendenza verso la coincidenza concettuale tra funzione pubblica e servizio pubblico, entrambi rientranti in uno statuto unitario e generale dell’attività amministrativa che involge qualsiasi attività finalizzata a perseguire interessi pubblici.” G. MARONGIU, cit., p. 7, rileva che concettualmente non è erroneo sostenere che attività di produzione di terzi o particolari attività tecniche o materiali, ovvero attività di tipo economico, se e in quanto svolte nell’ambito dell’organizzazione amministrativa, possano (o debbano) essere funzionalizzate, almeno nella parte in cui lo Stato (o altro Ente pubblico) interviene autoritativamente per effettuare scelte discrezionali e controlli necessari per assicurare la rispondenza delle attività stesse ai fini di interesse pubblico che si intendono perseguire. Sul punto v. pure T.A.R. Lazio, Sez. II, sent. 19 settembre 1997 n. 1441, in I T.A.R. 1997, I, 3504, che ha stabilito che anche un’azienda comunale potrebbe essere assegnataria di una funzione amministrativa, laddove essa operi in vista delle finalità attribuite all’Ente locale con il quale sia legata da un rapporto di strumentalità. 53 G. CAIA, Funzione pubblica e servizio pubblico, cit., p. 937, ritiene che servizio pubblico e funzione amministrativa non siano due nozioni contrapposte, ma due nozioni differenti che esprimono momenti diversi e non coincidenti, ma, tuttavia, integrabili e combinabili fra di loro, dell’attività amministrativa nel suo complesso. 54 Cfr. G. GUARINO, Pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio, in Riv. it. dir. proc. pen., cit., p. 1 ss., ora in G. GUARINO, Scritti di diritto pubblico dell’economia, cit., p. 207 ss.; F. MERUSI, voce Servizio pubblico, cit., p. 218; I.M. MARINO, cit., p. 40. 55 Cfr., ad esempio, Cass., SS.UU., sent. 19 aprile 2004 n. 7461, in Cons. Stato 2004, II, 804. 56 Sulla nozione di appalto pubblico v., ampiamente, E. STICCHI DAMIANI, La nozione di appalto pubblico: riflessioni in tema di privatizzazione dell’azione amministrativa, Milano 1999.

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Inoltre, va detto che analoghe attività hanno luogo, ad esempio, all’interno di imprese industriali e commerciali, con benefici sulla comunità dei lavoratori impiegati e della pluralità dei clienti presenti, senza si sia prospettata, minimamente e sotto alcun profilo, la inerenza di esse al concetto di servizio pubblico, a cui potrebbe pure essere accomunate da analoghe finalità, pur nella differente collocazione spaziale (imprese private e non uffici pubblici). In linea con tale impostazione, il giudice amministrativo57 ha, talvolta, escluso che la “gestione del calore” degli edifici di competenza comunale possa annoverarsi tra i servizi pubblici (locali), perché non corrisponde ad una specifica pretesa degli utenti e l’attività non viene svolta dal Comune a favore della collettività, ma viene erogata in senso inverso, cioè a vantaggio dell’Ente locale e perché mancano quelle connotazioni sociali e promozionali che contraddistinguono il servizio pubblico. Nello stesso ordine di idee, la magistratura amministrativa ha ritenuto di non ricomprendere nel novero dei servizi pubblici (locali), ad esempio, l’attività di “pulizia degli immobili comunali”58 e la “manutenzione dei locali adibiti ad uffici giudiziari”59. Di contro, in altri casi, la giurisprudenza amministrativa60 ha inglobato la “gestione e manutenzione degli impianti di riscaldamento” di edifici adibiti a pubblico uso tra i servizi pubblici (locali), attesa la genericità ed ampiezza dei presupposti di legge ed, in particolare, di quelli contemplati (come si vedrà più approfonditamente in seguito) dall’ordinamento degli Enti locali. In quest’ultimo senso si è schierato anche il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana61 che ha ampliato la nozione in discorso, favorito dalla formulazione legislativa concernente i servizi pubblici locali, che permetterebbe di ricomprendere le più svariate attività economiche dell’Ente di riferimento. In particolare, l’organo giudicante siciliano ha incluso, nella nozione in parola, “il servizio di custodia e pulizia di immobili comunali”, in quanto strumentale a consentire una migliore fruibilità e agibilità dei beni pubblici che ospitano i diversi uffici e servizi comunali. Ebbene, pare logico ritenere che pure l’impiego delle scrivanie, delle sedie, dei computers e del materiale di cancelleria abbia una funzione strumentale, ausiliaria ed accessoria rispetto all’espletamento degli adempimenti dei pubblici funzionari e per l’esercizio delle relative funzioni amministrative, ma non per questo la loro fornitura o il loro uso possono considerarsi estrinsecazione immediata di un pubblico servizio. Dovrebbe concludersi, pertanto, che non si sia in presenza di servizio pubblico in senso proprio, tutte le volte in cui la attività posta in essere non produca un’utilità diretta all’esterno, immediatamente percepibile dai consociati, ma i destinatari finali e diretti del beneficio prodotto siano la stessa Amministrazione appaltante62 ed i suoi operatori e, solo in via indiretta e riflessa, una eventuale pluralità, più o meno ampia, di consociati. La Corte dei conti63, poi, ha ritenuto estranei alla nozione di servizio pubblico anche i “rapporti di prestazione d’opera professionale”, in quanto non può ritenersi sufficiente,

57 V., ad esempio, Cons. Stato, sent. 10 marzo 2003 n. 1289, in www.giustizia-amministrativa.it. Nella stessa scia Cons. Stato, Sez. V, sent. 11 aprile 2013 n. 1976, in questa Rassegna 2013, A, 976, e T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. unica, sent. 18 settembre 1995 n. 317, in I T.A.R. 1995, I, 4574. 58 V. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, sent. 23 aprile 1998 n. 367, in I T.A.R. 1998, I, 2753. 59 V. T.A.R. Piemonte, Sez. unica, sent. 23 giugno 2001 n. 1354, in I T.A.R. 2001, I, 2755. 60 V., ad esempio, Cons. Stato, Sez. V, sent. 9 maggio 2001 n. 2605, in Cons. Stato 2001, I, 1117. Nella stessa direzione T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. unica, sent. 6 novembre 2002 n. 4262, in I T.A.R. 2003, I, 208. 61 V. Csi., Sez. giurisd., sent. 23 luglio 2001 n. 410, in Cons. Stato 2001, I, 1870. 62 Cfr., ad esempio, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. unica, sent. 21 marzo 2005 n. 466, in I T.A.R. 2005, I, 43. 63 V. Corte dei conti, Sez. centr. III, dec. 11 luglio 2001 n. 186/A (in Foro amm. 2001, 3059), che fa propria, a riguardo, la tesi del giudice di prime cure.

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perché possa integrarsi tale nozione, che l’attività sia svolta dagli uffici dell’Ente pubblico, né che sia imposto al soggetto privato l’adempimento di specifici obblighi. In realtà, non è la prestazione lavorativa, in sé e per sé considerata, posta in essere dai pubblici impiegati oppure dai dipendenti di una società o azienda erogatrice di un servizio pubblico, che costituisce servizio pubblico, ma, eventualmente, la manifestazione complessiva ed esteriore di essa, che sia foriera della utilità nei confronti dei fruitori finali. Si pensi alla attività prestata dai medici, dagli infermieri e dal personale amministrativo di una clinica pubblica, o ai professori, ricercatori e personale tecnico e amministrativo di un’Università pubblica o, infine, dal pilota di un aereo (della Compagnia di bandiera italiana), dagli assistenti di volo e del personale dell’aeroporto, rispetto ai servizi sanità, istruzione e trasporto aereo che gli stessi curano, a vario titolo. I servizi pubblici, in tali casi, si sostanzierebbero nella combinazione ed integrazione tra più elementi e fattori (messa a disposizione di strutture, beni, mezzi materiali e attività lavorative di vario tipo) che, considerati complessivamente, producono la utilità finale nei confronti dei fruitori. Una condizione da ritenersi indefettibile per la qualificazione di servizio pubblico, come si diceva, è data dalla circostanza che la prestazione erogata sia riconducibile alla manifestazione di volontà di una Pubblica amministrazione. Di guisa che non è certamente servizio pubblico la vendita di latte da parte di un supermercato o di un negozio di alimentari o di prodotti carnei da parte di una macelleria; mentre è servizio pubblico la produzione e fornitura di latte in favore della collettività erogate da una centrale del latte comunale e quelle di carne da parte di un macello comunale. Ciò appare segno tangibile della validità e attualità della concezione formale o soggettiva di servizio pubblico, pur in connessione inscindibile ed ineludibile con quella oggettiva o sostanziale. La distinzione, nell’esempio fatto innanzi, è, comunque, assai labile dal punto di vista dell’utente finale che, avvalendosi del pubblico servizio (es. macello comunale, centrale del latte comunale), potrebbe ottenere probabilmente un minor prezzo e beneficiare di maggiori garanzie sull’igiene e sulla integrità dei prodotti; ma, a parte ciò, potrebbe riscontare una sostanziale equivalenza degli stessi. Come ha evidenziato giustamente autorevole giurisprudenza64, però, il soddisfacimento “diretto” di bisogni di interesse generale rappresenta un elemento funzionale del servizio pubblico che non si rinviene nella attività privata imprenditoriale, anche se quest’ultima è indirizzata e coordinata ai fini sociali. Va detto che le imprese che operano nel settore privato spesso integrano l’azione dei pubblici poteri, ponendo le loro attività o i loro prodotti “in aggiunzione” alle prestazioni “basilari” predisposte dalla Pubblica amministrazione quali servizi pubblici (si pensi ad una società che effettui il trasporto privato con autobus rispetto al trasporto collettivo pubblico a mezzo bus nel medesimo ambito territoriale). La giurisprudenza65, a riguardo, ha affermato che, salvo i casi di regime legislativo di riserva o privativa, nulla osta a che i privati offrano, nell’esercizio di proprie attività di impresa, prestazioni che si affianchino a quelle di analogo tenore predisposte dalla pubblica Autorità. Orbene, in tempi relativamente recenti, si è dilatata la nozione di servizio pubblico, includendovi ogni forma di attività finalizzata al perseguimento dell’interesse collettivo. Il Consiglio di Stato66 è giunto, così, a farla coincidere con l’intero ambito dell’azione amministrativa sorretta dall’art. 97 Cost. ovvero con l’attività svolta da qualsivoglia

64 V. Cass., SS.UU., sent. 30 marzo 2000 n. 71 in Cons. Stato 2000, II, 911. 65 V. T.A.R. Napoli, Sez. I, sent. 7 dicembre 2001 n. 5330, in Giur. merito 2002, 856. 66 V. Cons. Stato, Ad. gen., parere 12 marzo 1998 n. 30/1998, in Foro it.1998, III, 350.

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soggetto purché riconducibile ad un ordinamento di settore o sottoposta a controllo, vigilanza o a mera autorizzazione da parte di una Amministrazione pubblica. In una direzione opposta, invece, la Suprema Corte67 ha ristretto la portata della nozione in questione, individuando il servizio pubblico nella sola attività di diretta erogazione in favore della collettività, posta in essere coerentemente con i compiti della Amministrazione che la garantisce, sempreché il soggetto erogatore sia inserito nel sistema dei pubblici poteri, o sia a questo collegato, e che la prestazione sia sottoposta ad un regime giuridico derogatorio del diritto comune68. Altre pronunce del giudice amministrativo69 hanno ravvisato, nella nozione in parola, un concetto sostanzialistico riconducibile, per l’ampiezza della portata, alla concezione del servizio pubblico in senso oggettivo. I giudici di Palazzo Spada70 hanno, poi, puntualizzato, in altre decisioni, che per servizio pubblico deve intendersi qualsiasi attività che si concretizzi nella produzione di beni e servizi in funzione di utilità per la comunità, non solo in termini economici, ma anche in termini di promozione sociale, purché risponda ad esigenze di utilità generale o ad essa destinata in quanto preordinata a soddisfare interessi collettivi. Secondo il massimo organo di giustizia amministrativa71, inoltre, il servizio pubblico consisterebbe nella attività economica, di solito imprenditoriale, esercitata per erogare prestazioni indispensabili a soddisfare bisogni collettivi incomprimibili in un determinato contesto sociale e storico e collocata in un ordinamento di settore al cui vertice è posta un’Autorità pubblica che ne vigila, controlla, coordina e indirizza l’espletamento. Altre pronunce del giudice amministrativo72 hanno messo in evidenza la presenza di un rapporto “trilaterale” tra la Pubblica amministrazione che affida il servizio o che pone le regole per la sua erogazione, il soggetto che lo gestisce e gli utenti La nozione di cui si discorre, per la verità, è sempre stata oggetto, in relazione alla sua ampiezza e portata, di significative oscillazioni giurisprudenziali; ma ciò non sembra legato tanto alla opinabilità, ambiguità, o poliedricità del concetto stesso, ma pare addebitabile, soprattutto, alla varietà delle fonti normative e delle formulazioni linguistiche in esse contenute, aventi sovente finalità differenti (si pensi, in particolare, alle norme processuali amministrative preordinate a circoscrivere le fattispecie relative ai servizi pubblici assoggettate al sindacato giurisdizionale amministrativo esclusivo ed alla disposizione dell’ordinamento degli Enti locali diretta a delimitare l’oggetto e le finalità del servizio pubblico locale ecc.) dalle quali spesso prendono spunto le pronunce giudiziali. In ogni caso, va detto che l’istituzione o l’affidamento del servizio pubblico da parte della Pubblica amministrazione, necessari alla configurazione della attività in tal senso, può trovare fondamento diretto in una disposizione di legge (come il servizio sanitario, le poste, le ferrovie ecc.) o, indiretto in una legge, e diretto in un atto amministrativo preventivamente deliberato dagli organi politico-amministrativi preposti (ad es. Consiglio comunale) vincolato ai limiti e ai criteri stabiliti dalla legge (es. società di capitali privata affidataria della erogazione di un servizio pubblico locale a forte rilevanza economica; istituzione per l’erogazione di servizi pubblici locali sociali). Perché si possa parlare di servizio pubblico, il soggetto privato “incaricato” di fornire la prestazione deve ricevere, quindi, “l’investitura” con un atto specifico e preventivo, promanante dall’Amministrazione competente, che si riserverà il diritto di verificare

67 V. Cass. SS. UU., sent. n. 71 del 2000, cit. 68 V. Cass., SS.UU., sent. 12 novembre 2001 n. 14032, in Cons. Stato, 2002, II, 35. 69 V., ad esempio, T.A.R. Toscana, Sez. unica, sent. 18 aprile 2000 n. 724, in I T.A.R. 2000, I, 3229. Nella stessa direzione Cons. Stato, Sez. II, parere 26 giugno 2002 n. 1321, in Cons. Stato 2003, I, 1052. 70 V. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 2605 del 2001, cit. 71 V. Cons. Stato, Sez. IV, sent. 29 novembre 2000 n. 6325, in Cons. Stato 2000, I, 2532. 72 V. T.A.R. Veneto, Sez. I, sent. 16 maggio 2005 n. 2025 in I T.A.R. 2005, I, 1921.

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l’aderenza della prestazione a determinati precetti e parametri, in linea di massima gli stessi valevoli per le prestazioni, di pari contenuto, erogate direttamente da soggetti pubblici. Un esempio lo si può riscontrare, a livello statale, nelle scuole private “parificate” o “legalmente riconosciute” (dal Ministero competente), tenute a seguire regole analoghe a quelle valevoli nelle scuole pubbliche (requisiti dei docenti, durata dell’anno scolastico, materie di insegnamento, programmi relativi alle materie di insegnamento ecc.) che, in virtù di ciò, sono legittimate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale equipollente a quelli delle scuole pubbliche. In questo caso, pare indubitabile che le prestazioni offerte dalle scuole private parificate e riconosciute espressamente tali dalla legge realizzino un servizio pubblico toto iure. Un altro esempio si può rinvenire nelle farmacie. Oltre alle farmacie comunali (che erogano, specificamente, un servizio pubblico locale a rilevanza economica), anche quelle private offrono un servizio pubblico a tutti gli effetti (rientrando, comunque, nel servizio farmaceutico nazionale) e sono assoggettate ex lege a speciali vincoli pubblicistici in ragione delle prestazioni offerte (l’apertura avviene a seguito di un provvedimento di natura autorizzatoria, emesso dalla Pubblica amministrazione in relazione ad un numero chiuso di esercenti determinato in base alla consistenza demografica del Comune di riferimento e, di norma, a seguito di superamento di un pubblico concorso del farmacista, sussistono obblighi di erogazione continuativa, fatte salve rigorose e concordate turnazioni, e la doverosità di rendere le prestazioni ed è, inoltre, prevista la fissazione di un tetto massimo dei prezzi dei farmaci ad opera della Autorità competente). Non pare servizio pubblico in senso stretto, invece, il trasporto a mezzo taxi. Tale attività, pur essendo soggetta a preventiva licenza comunale e abilitazione della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente, nonché a iscrizione in un apposito albo ed a un controllo dei pubblici poteri, non è riferibile direttamente alla Pubblica amministrazione stessa ed è svolta da soggetti privati, su loro iniziativa, nell’esercizio di una prestazione lavorativa autonoma e per fini esclusivi di lucro. Pure l’attività di un avvocato libero professionista non pare inquadrabile nella nozione di servizio pubblico in senso proprio, pur essendo la difesa processuale un diritto costituzionalmente garantito e la “giustizia”, a cui si connette, una funzione pubblica. Difatti, l’attività in questione, subordinata, di regola, all’iscrizione nell’albo tenuto dall’Ordine circondariale competente (individuato sulla base della residenza anagrafica dell’avvocato), non si configura come “prestazione amministrativa”, ma si presenta come “professione intellettuale di lavoro autonomo” con caratteri non dissimili dalla impresa, anche per una organizzazione minima che presuppone (trascendente il concetto di auto-organizzazione) e, comunque, per le finalità lucrative, o prevalentemente tali, di chi la svolge73. Ciò, ancorché la formulazione della L. 12 giugno 1990, n, 146 (successivamente modificata ed integrata) abbia indotto l’Autorità per la garanzia del diritto di sciopero nel settore dei servizi pubblici essenziali da essa istituita, a considerare, ad esempio, l’attività di difesa legale dei privati avvocati e quella dei taxi rientranti proprio tra i “servizi pubblici essenziali”, essendo fondamentalmente tali attività dirette alla tutela dei “diritti costituzionalmente garantiti”, delle “libertà”, tra cui quella di “circolazione”, ai ristretti fini, però, della limitazione dell’esercizio del diritto di sciopero nell’ambito predetto. Sostenibile, invece, appare la ricomprensione, nell’alveo del servizio pubblico prospettata, della difesa legale d’ufficio; essa, pur esplicata da privati professionisti, è

73 Cfr. S. PIGNATARO, Spunti critici su taluni profili della disciplina della professione forense, in LexItalia.it 2013.

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predisposta, organizzata e finanziata dallo Stato e ha finalità di pubblico interesse trascendente il singolo assistito. In definitiva, per configurarsi un servizio pubblico occorre che un Ente pubblico, esponenziale di una determinata collettività, abbia deliberato di assicurare, in esecuzione di un dictum legislativo ovvero sulla base di una previsione di legge generale, in una qualsiasi delle forme prescritte e persino cedendo, in taluni casi, la formale titolarità del servizio, una certa prestazione in favore della comunità di riferimento. Se l’assunzione dello specifico servizio è facoltativa e la scelta della forma gestoria limitatamente discrezionale74, secondo i principi generali, l’Amministrazione

74 Sulla discrezionalità della Pubblica amministrazione, v. C. MORTATI, Note sul potere discrezionale, Roma 1936; M.S. GIANNINI, Il potere discrezionale della Pubblica amministrazione: concetto e problemi, Milano 1939; C. MORTATI, voce Discrezionalità, in Noviss. dig. it., vol. V, Torino 1960, p. 1098 ss.; A. PIRAS, voce Discrezionalità amministrativa, in Enc. dir., vol. XIII, Milano 1964, p. 65 ss.; G. GUARINO, Atti e poteri amministrativi, in Dizionario amministrativo (a cura dello stesso A.), cit., vol. I, p. 194 ss.; V. CERULLI IRELLI, Note in tema di discrezionalità e sindacato di legittimità, in Dir. proc. amm. 1984, p. 463 ss.; L. BENVENUTI La discrezionalità amministrativa, Padova 1986; A. ANGIULI, Studi sulla discrezionalità amministrativa nel quando, Bari, 1988; G. AZZARITI, Dalla discrezionalità al potere: la prima scienza del diritto amministrativo in Italia e le qualificazioni teoriche del potere discrezionale, Padova 1989; G. BARONE, voce Discrezionalità. I) Diritto amministrativo, in Enc. giur., vol. IX, Roma 1989, p. 1 ss.; A. ANGIULI, Lineamenti vecchi e nuovi della discrezionalità, Milano 1992; G. DI GASPARE, Il potere nel diritto pubblico, Padova 1992; C. CALABRÒ, La discrezionalità amministrativa nella realtà di oggi: l’evoluzione del sindacato giurisdizionale sull’eccesso di potere, in Cons. Stato 1992, II, p. 1565 ss.; A. PUBUSA voce Merito e discrezionalità amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. IX, Torino 1994, p. 401 ss.; V. ONIDA, La discrezionalità amministrativa e il sindacato giurisdizionale, in Giorn. dir. amm. 1995, p. 669 ss.; F. LEDDA, Determinazione discrezionale e domanda di diritto, in Studi in onore di Feliciano Benvenuti, vol. III, Modena 1996 p. 955 ss.; AA.VV., La discrezionalità amministrativa: profili comparati, Milano 1997; C. MARZUOLI, Discrezionalità amministrativa e sindacato giudiziario: profili generali, in Dir. pubbl. 1998, p. 127 ss.; V. PARISIO (a cura di), Potere discrezionale e controllo giudiziario, Milano 1998; D.J. GALLIGAN., La discrezionalità amministrativa, Milano 1999; M.E. SCHINAIA, Il controllo del giudice amministrativo sull’esercizio della discrezionalità della Pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm. 1999, p. 1101 ss.; F.G. SCOCA, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pubbl. 2000, p. 1045 ss.; L. BENVENUTI, Interpretazione e dogmatica nel diritto amministrativo, Milano 2002; V. MAZZARELLI, Discrezionalità e consenso: l’Amministrazione irragionevole, Roma 2003; G. BOTTINO, Equità e discrezionalità amministrativa, Milano 2004; F. CANGELLI, Potere discrezionale e fattispecie consensuali, Milano 2004; F. MERUSI Ragionevolezza e discrezionalità amministrativa, Napoli 2011. Sovente, anche in relazione alla organizzazione di un servizio pubblico e alla scelta della forma gestoria più adeguata ed economica, la Pubblica amministrazione utilizza nozioni o conoscenze tecniche specifiche, esercitando scelte connotate da discrezionalità tecnica o mista. Sulla discrezionalità tecnica della Pubblica amministrazione v. P. VIRGA, Appunti sulla cosiddetta discrezionalità tecnica, in Jus 1957, p. 95 ss.; V. BACHELET, L’attività tecnica della Pubblica amministrazione, Milano 1967; N. DANIELE, Discrezionalità tecnica e giudice amministrativo, in Scritti in memoria di Antonino Giuffrè, Milano 1967, p. 295 ss.; LEDDA F., Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’Amministrazione pubblica, in Dir. proc. amm. 1983, p. 371 ss.; C. MARZUOLI, Potere amministrativo e valutazioni tecniche, Milano 1985; L. VIOLINI, Le questioni scientifiche controverse nel procedimento amministrativo, Milano 1986; V. OTTAVIANO., Giudice ordinario e giudice amministrativo di fronte agli apprezzamenti tecnici dell’Amministrazione, in Studi in memoria di Vittorio Bachelet, cit., vol. II, p. 403 ss.; A. AZZENA, Spunti per una riflessione su regole tecniche e merito amministrativo in relazione alla possibilità di sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità, in Studi in ricordo di Enzo Capaccioli, Milano 1988, p. 595 ss.; F. SALVIA, Attività amministrativa e discrezionalità tecnica, in Dir. proc. amm. 1992, p. 685 ss.; S. PIRAINO, Tecnica e discrezionalità amministrativa, in Nuova Rass. 1992, p. 1053 ss.; G. PELAGATTI, Valutazioni tecniche dell’Amministrazione pubblica e sindacato giudiziario. Un’analisi critica dei recenti sviluppi della dottrina giuspubblicistica, in Riv. trim. dir. pubbl. 1992, p. 158 ss.; D. DE

PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova 1995; A. PREDIERI, Le norme tecniche nello Stato pluralista e prefederativo, in Dir. economia 1996, p. 251 ss.; ID., Le norme tecniche come fattore di erosione e di trasferimento di sovranità, in Studi in onore di Feliciano Benvenuti, cit., vol. IV, p. 1413 ss.; L. PERFETTI, Il sindacato giudiziale sulla discrezionalità tecnica, in Foro amm. 1997, p. 1727 ss.; A. TRAVI, Valutazioni tecniche e istruttoria del giudice amministrativo, in Urb. app., 1997, p. 1261 ss.; A. CARIOLA, Discrezionalità tecnica ed imparzialità, in Dir. amm. 1997, p. 469 ss.; D. DE

PRETIS, I vari usi della nozione di discrezionalità tecnica, in Giorn. dir. amm. 1998, p. 331 ss.; L. IEVA, Valutazioni tecniche e decisioni amministrative (la c.d. discrezionalità amministrativa dopo la decisione

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avrà l’obbligo di motivare congruamente75 in ordine alla opportunità o convenienza delle opzioni effettuate, ponendole in relazione ai fattori di natura tecnica ed economica che devono, comunque, essere acquisiti nella fase istruttoria76. Ove il servizio sia gestito direttamente da un soggetto privato o di natura mista, per poter integrare servizio pubblico, deve ritenersi necessario, altresì, uno specifico vincolo tra il gestore e la Amministrazione pubblica (a livello di Enti locali è prevista, ad esempio, la stipulazione di appositi “Contratti di servizio”, cioè di accordi scritti, redatti per disciplinare, in via preventiva, diritti, doveri e oneri del gestore nei confronti dell’Ente pubblico affidatario e non solo), in modo che la relativa attività si inserisca istituzionalmente nel novero delle misure attuative dei compiti della stessa Pubblica amministrazione77. Ci si troverebbe in presenza di un servizio pubblico tutte le volte in cui lo Stato o altro Ente pubblico abbiano “dichiarato” una certa attività di utilità generale e, conseguentemente, la abbiano assunta come proprio compito-dovere78, esercitandola direttamente o indirettamente, ma includendola, in ogni caso, nel quadro delle relative finalità istituzionali79. Ebbene, è evidente, da quanto illustrato, che non è elemento essenziale del servizio pubblico quello di essere gestito direttamente da un Ente pubblico, potendo esso, anche se, ad esempio, di indole sanitaria, sociale, culturale o assistenziale, per cui dovrebbe, almeno in linea di tendenza, rimanere nell’alveo pubblico, essere, di fatto, affidato a privati. del Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 9 aprile 1999 n. 601 e legge. n. 205 del 2000 in materia di giustizia amministrativa), in www.lexitalia.it; S. BACCARINI, Giudice amministrativo e discrezionalità tecnica, in Dir. proc. amm. 2001, p. 80 ss.; M. PROTTO, La discrezionalità tecnica sotto la lente del G. A., in Urb. e app. 2001, p. 866 ss.; F. SALVIA, Considerazioni su tecnica e interessi, in Dir. pubbl. 2002, p. 603 ss.; S. TARULLO, Discrezionalità tecnica e sindacato giurisdizionale: l’ottica comunitaria ed i profili evolutivi, in Riv. it. dir. pubbl. comun. 2002, p. 1385 ss.; C. VIDETTA, Discrezionalità tecnica: problemi vecchi e nuovi dopo la L. 21 luglio 2000 n. 205, in Foro amm.TAR 2002, p. 2251 ss.; D. PAPPANO, Sindacato del giudice amministrativo e valutazioni tecniche, in Foro amm. TAR 2002, p. 1322 ss.; D. MASTRANGELO, La tecnica nell’Amministrazione: fra discrezionalità, pareri e merito, Bari 2003; F. MERUSI, Valutazioni su tecnica e processo, in Dir. proc. amm. 2004, p. 973 ss.; F. CINTIOLI, Giudice amministrativo, tecnica e mercato, Milano 2005; G. D’ANGELO, Giudice amministrativo e valutazioni tecniche dopo la L. 21 luglio 2000 n. 205, in Dir. amm. 2005, p. 659 ss.; S. VENEZIANO, Il controllo giurisdizionale sui concetti giuridici a contenuto indeterminato e sulla discrezionalità tecnica in Italia, in www.giustizia-amministrativa.it; S. PIGNATARO, Sulla discrezionalità tecnica e sua sindacabilità giurisdizionale (con particolare riguardo ai casi degli esami e dei concorsi pubblici), in questa Rassegna 2006, IV, p. 255 ss.; M. ASPRONE, M. MARASCA, A. RUSCITO, La discrezionalità tecnica della Pubblica amministrazione, Milano 2009. 75 Sull’obbligo di motivazione, tra gli scritti pubblicati dopo l’adozione della legge n. 241 del 1990, v. A. ROMANO TASSONE, voce Motivazione nel diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl., App., vol. XIII, Torino 1997, p. 683 ss.; R. SCARCIGLIA, La motivazione dell’atto amministrativo. Profili ricostruttivi e analisi comparatistica, Milano 1999; U. ZUBALLI, R. SAVOIA, La motivazione dell’atto amministrativo, Milano 1999; A.G. DIANA, La motivazione dell’atto amministrativo, Padova 2001; G. CORSO, voce Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc. dir., agg., vol. V, Milano 2001, p. 774 ss.; M. DE PAOLIS (a cura di), La motivazione del provvedimento amministrativo, Padova 2002. 76 Cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. 14 dicembre 1988 n. 818, in Cons. Stato, 1998, I, 1625; Cons. Stato, Sez. IV, sent. 12 marzo 1990 n. 374, in Cons. Stato 1990, I, 455. In dottrina, sull’istruttoria nel procedimento amministrativo, v. F. LEVI, L’attività conoscitiva della Pubblica amministrazione, Torino 1967; M. NIGRO Il procedimento amministrativo fra inerzia legislativa e trasformazione dell’Amministrazione (a proposito di un recente disegno di legge), in Dir. proc. amm. 1989 p. 5 ss.; M.T. SERRA, Contributo ad uno studio sulla istruttoria del procedimento amministrativo, Milano 1991; R. VILLATA, Considerazioni in tema di istruttoria, processo e procedimento, in Dir. proc. amm. 1995, p. 230 ss.; M.P. GUERRA, Funzione conoscitiva e pubblici poteri, Milano 1996. 77 In tale direzione in dottrina v. V. PARISIO, voce Servizi pubblici e monopoli, cit., p. 715 ss. In giurisprudenza cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, sent. 12 novembre 2009 n. 5021, in questa Rassegna 2009, II, 1437; T.A.R. Basilicata, Sez. unica, 4 settembre 2002 n. 598, in I T.A.R. 2002, I, 4068. 78 V. I.M. MARINO, cit., p. 57. 79 Cfr., per tutti, A. DE VALLES. cit., spec. p. 407 ss.

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I motivi per cui, soprattutto in passato, si riteneva imprescindibile che determinate prestazioni dovessero essere assicurate dai pubblici poteri risiedevano nella necessità di garantire la neutralità del soggetto gestore, nell’esigenza di non favorire la nascita di monopoli privati, nella circostanza che essi richiedessero spesso massicci investimenti (si pensi alle ferrovie, acquedotti, linee elettriche, gasdotti ecc), nell’importanza che la prestazione fosse resa anche a costo di ottenere ricavi più bassi dei costi, senza sacrificare la erogazione di un servizio socialmente utile e meritevole di conservazione (si pensi, ancora, alle ferrovie). Invero, la Costituzione prevede che quantomeno determinati servizi pubblici, come la sanità, l’assistenza, la previdenza e l’istruzione, devono essere garantiti dallo Stato o altro Ente pubblico; ma ciò non esclude che la loro esplicazione concreta avvenga tramite soggetti privati80, sempreché essi operino strettamente sotto l’egida pubblica e con l’assunzione di particolari obblighi pubblicistici nei confronti dei fruitori81. Non a caso la più recente tendenza legislativa è nel senso di “privatizzare” 82 la quasi totalità dei servizi pubblici di rilevanza primaria (elettricità, telefonia, poste, ferrovie ecc.), pur riservandosi lo Stato un potere di direttiva, controllo e di vigilanza sugli stessi83. Ciò

80 Cfr. R. VILLATA, Pubblici servizi: discussioni e problemi, cit., p. 5 ss.; R. GAROFOLI, Le privatizzazioni degli enti dell’economia. Profili giuridici, cit., p. 404; P. CIRIELLO, cit., p. 4; N. RANGONE, I servizi pubblici, cit., pp. 300, 309; G.E. BERLINGERIO, cit. p. 17; E. SCOTTI, cit., p. 49 ss. A riguardo cfr., pure, G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, cit., pp. 380-381, ove l’A. evidenzia che, per taluni servizi, tipizzati dalla Costituzione, cioè la sanità, la previdenza, l’assistenza e l’istruzione, la stessa Carta fondamentale esclude categoricamente la gestione in “forma imprenditoriale”. 81 Cfr., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 911 del 2013, cit. 82 Sul fenomeno delle privatizzazioni v., tra gli altri, S. CASSESE, Le privatizzazioni in Italia, in Riv. trim. dir. pubbl. 1988, p. 32 ss.; ID., Stato e mercato dopo le privatizzazioni e deregulation, in Riv. trim. dir. pubbl. 1991, p. 378 ss.; ID., Le imprese pubbliche dopo la privatizzazione, in Stato e mercato 1992, p. 246 ss.; L. AMMANNATI (a cura di), Le privatizzazioni delle imprese pubbliche in Italia, Milano 1995; P. MARCHETTI (a cura di), Le privatizzazioni in Italia, Milano 1995; C. MARZUOLI, Le privatizzazioni tra pubblico come soggetto e pubblico come regola, in Dir. pubbl. 1995, p. 393 ss.; P.G. JAEGER, voce Privatizzazioni, I) Profili generali, in Enc. giur., vol. XXIV, Roma 1995, p. 1 ss.; G. DI GASPARE, voce Privatizzazioni II) Privatizzazioni delle imprese pubbliche, in Enc. giur., vol. XXIV, Roma 1995, p. 1 ss.; M. CLARICH, Privatizzazioni e trasformazioni in atto nell’Amministrazione italiana, in Dir. amm. 1995, p. 519 ss.; A. ANGELETTI (a cura di), cit. passim; M. SANINO, Le privatizzazioni: stato attuale e problematiche emergenti, Roma 1996 M. CLARICH, voce Privatizzazioni, in Dig. disc. pubbl., vol. XI, Torino 1996, p. 568 ss.; S. CASSESE., Le privatizzazioni: arretramento o riorganizzazione dello Stato, in Riv. it. dir. pubbl. comun. 1996, II, p. 579 ss.; M. CARABBA, voce Privatizzazioni di imprese ed attività economiche, in Dig. disc. pubbl., vol. IX, Torino 1996, p. 558 ss.; S. ZAMBELLI, Le privatizzazioni in Italia: aspetti giuridici ed economici, in Dir. economia 1997, p. 647 ss.; A. COLAVECCHIO, Privatizzazioni e liberalizzazione nel settore dei servizi pubblici: cause d’origine e condizioni di attuazione, in Amm. politica 1998, p. 661 ss.; P. DE CARLI, Privatizzazioni e pubblici poteri, in Scritti in onore di Serio Galeotti, vol. I, Milano 1998, p. 367 ss.; R. GAROFOLI, Le privatizzazioni degli Enti dell’economia. Profili giuridici, cit., passim; D. SINISCALCO, B. BORTOLOTTI, M. FANTINI, S. VITALINI, Le privatizzazioni difficili, Bologna 1999; E. BANI, C. CARCELLI, M.B. PIERACCINI, Privatizzare. I modi e le ragioni, Padova 1999; S. AMOROSINO, Le privatizzazioni in Italia: mito e realtà, in Foro amm. 1999, p. 1367 ss.; S. GIACCHETTI, Privatizzazioni: la nuova frontiera dell’interesse pubblico, in Cons. Stato 1999, p. 1379 ss.; M. CLARICH , A. PISANESCHI, voce Privatizzazioni, in Dig. disc. pubbl., agg., Torino 2000, p. 432 ss.; F. BONELLI, M. ROLI , voce Privatizzazioni, in Enc. dir., agg., vol. IV, Milano 2000, p. 994 ss.; F. DE LEONARDIS, Legalità, autonomie e privatizzazioni, in Dir. amm. 2000, p. 241 ss. A.M. NICO, Omogeneità e peculiarità nei processi di privatizzazione, Bari 2001; E. FRENI, Le Privatizzazioni, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, vol. IV, Milano 2003, p. 3947 ss.; ID., voce Privatizzazioni, in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. CASSESE. cit., vol. V, p. 4502 ss.; S. CASSESE, La nuova Costituzione economica, cit., p. 217 ss. V. pure S. PIGNATARO, Il principio costituzionale del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, cit., pp. 126-144. Per una trattazione di diritto comparato sulla tematica delle privatizzazioni si veda R.G. RODIO (a cura di), Le privatizzazioni in Europa, in Trattato di diritto amministrativo diretto da G. SANTANIELLO, Padova 2003. 83 Rileva P. GIOCOLI NACCI, La privatizzazione dell’acquedotto pugliese: profili di incostituzionalità, in Foro amm. T.A.R. 2002, p. 4159 ss., che “la politica italiana in materia economica non è mai stata molto lineare, né, soprattutto, può dirsi essere stata orientata in univoca direzione. Le scelte non sono state effettuate con una visione lungimirante e che fossero frutto di studi approfonditi e ricerche competenti,

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allo scopo di alleggerire la spesa pubblica, di consentire una gestione più snella e informale e garantire, almeno sulla carta, una maggiore efficienza gestionale. Vi è, comunque, un carattere che contraddistingue il servizio pubblico, ancorché non precisato dalla legge, e, cioè, l’offerta indiscriminata all’utenza84, non potendosi considerare tale quell’attività che non si rivolga, sia pure potenzialmente, alla generalità della popolazione85 e ciò vale anche se il servizio sia fruibile individualmente, su specifica domanda di parte86. Quello che connoterebbe, quindi, il pubblico servizio è l’offerta indifferenziata al pubblico, in modo che tutti i consociati abbiano, almeno potenzialmente, il diritto di fruire del servizio stesso. Il suo gestore – sia esso pubblico o privato – ha un obbligo di contrattare nel senso che non può negare, nei limiti delle proprie disponibilità, l’accesso alla fruizione del servizio a tutti coloro che ne facciano richiesta (art. 2597 Cod. civ.)87. Il carattere dell’offerta indifferenziata al pubblico è riconosciuto anche dalla D.P.C.M. 27 gennaio 1994, c.d. Carta dei servizi88, la quale detta una serie di principi cui deve uniformarsi l’erogazione dei servizi pubblici. Il campo di applicazione di tale direttiva, che non reca una definizione di pubblico servizio né delimita il relativo concetto, è molto esteso, comprendendo tutte le prestazioni volte “a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla salute, all'assistenza e previdenza sociale, alla istruzione e alla libertà di comunicazione, alla libertà e alla sicurezza della persona, alla libertà di circolazione, ai sensi dell'art. 1 della L. 12 giugno 1990, n. 146”, e quelle di erogazione “di energia elettrica, acqua e gas”. La migliore dottrina89, peraltro, ha sottolineato che l’ammissione di tutti i soggetti indiscriminatamente al godimento dei pubblici servizi costituisce, oltre che applicazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.90, altresì, espressione diretta del principio di imparzialità dell’Amministrazione pubblica, cristallizzato ora dall’art. 97 comma 2 Cost.91, che riguarda certamente (anche) i servizi pubblici.

ma risultano invece ispirate da motivazioni contingenti con valutazioni di parte che spesso hanno portato nel tempo al perseguimento di obiettivi talvolta opposti, senza alcuna particolare sicura visione dell’utilità sociale astrattamente e universalmente intesa”. Prendendo ad esempio il tema relativo al migliore conseguimento dei fini dell’Amministrazione, “lo si ottiene con la collettivizzazione che attribuisce alla mano pubblica la gestione di un servizio o con l’opposto principio della liberalizzazione attraverso forme privatistiche di esercizio? L’una e l’altra strada sono state seguite dalla nostra legislazione sull’onda emotiva del momento politico”. 84 Cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 6574 del 2004, cit.; Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 911 del 2013, cit.; Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 5532 del 2013, cit.; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. unica, sent. n. 466 del 2005, cit. 85 Così P. VIRGA, Diritto amministrativo: Amministrazione locale, vol. 3, Milano 1993, p. 124. 86 V. Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 5532 del 2013, cit. 87 In tal senso, P. VIRGA, Diritto amministrativo: Amministrazione locale, vol. 3, Milano 1998, pp. 299-300. 88 Sul tema v. S. PIGNATARO, Il principio costituzionale del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, cit., pp. 307-325, e la bibliografia ivi riportata. 89 V. A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli 1988, p. 587. 90 Su tale principio, a titolo meramente esemplificativo, v. L. PALADIN, Il principio costituzionale d’eguaglianza, Milano 1965; C. ROSSANO, L’eguaglianza giuridica nell’ordinamento costituzionale, Napoli 1966; S. AGRÒ, U. ROMAGNOLI Art. 3, in G. BRANCA (a cura di) Commentario della Costituzione. Principi fondamentali, Bologna-Roma 1975, p. 123 ss.; B. CARAVITA DI TORITTO, Oltre l’eguaglianza formale. Un’analisi dell’art. 3 comma 2 della Costituzione, Padova 1984; A. CERRI, voce Uguaglianza (principio costituzionale), in Enc. giur., vol. XXXII, Roma 1994, p. 1 ss.; A. CELOTTO, A. GEORGIS, Art. 3, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. I, Torino 2006, p. 65 ss. 91 Sui principi costituzionali relativi ai “pubblici uffici” si rinvia a S. PIGNATARO, Il principio costituzionale del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, cit. p. 1 ss., con ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.

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L’attività consistente in un pubblico servizio soggiace ai principi di legalità, imparzialità e di buon andamento (quest’ultimo principio nella triplice accezione di efficienza, efficacia ed economicità) sanciti, expressis verbis, per i pubblici uffici (con riferimento sia all’organizzazione che alle attività degli stessi) dall’art. 97 comma 2 Cost., sia in caso di gestione di servizio direttamente espletata dalla Pubblica amministrazione, sia nel caso di erogazione dello stesso svolta da soggetti privati o di natura mista, in ragione delle finalità pubbliche, in tutti i casi, realizzate. Per la connotazione di servizio pubblico, talvolta, poi, si è rivolta l’attenzione92 al carattere della “continuità”, anch’esso riconosciuto esplicitamente dalla citata direttiva, che lo contraddistinguerebbe e lo renderebbe insuscettibile di essere interrotto arbitrariamente. Le prestazioni devono, dunque, essere rese, per quanto possibile, in maniera sistematica e continuativa. Altri93 hanno posto l’accento sulla circostanza che il servizio pubblico si presenti, per lo più, quale “attività economica” esercitata al fine di erogare prestazioni indispensabili per soddisfare bisogni collettivi ovvero aumentare il benessere della collettività94, pur sotto la vigilanza di una Pubblica amministrazione95. Secondo una certa ricostruzione96, il servizio pubblico consiste in una prestazione particolare di impresa con caratteristiche confacenti a quanto i pubblici poteri ritengono necessario nell’interesse pubblico Per numerosi giuristi97, tuttavia, è la “doverosità” di rendere la prestazione costituente il servizio, indipendentemente dalla realizzazione di un profitto, che lo caratterizzerebbe come pubblico. In effetti, una volta predisposto o organizzato un determinato servizio pubblico, la sua esplicazione, anche se affidata a entità o organismi interamente privati, diventa, tra l’altro, conoscibile preventivamente dai consociati, che hanno il diritto di verificare gli obblighi e gli oneri a carico del gestore, con tutte le implicazioni che conseguono; la prestazione fornita diviene, inoltre, doverosa e deve necessariamente essere ossequiosa del canone della continuità, non potendo essa essere negata, sospesa o interrotta in assenza di gravi e giustificati motivi, pena la possibile violazione di precise disposizioni imperative con conseguenze, anche penali, per i trasgressori (artt. 323 e 340 Cod. pen.). Ulteriore parametro tradizionalmente considerato ai fini de quibus è quello fondato sul sistema dei controlli98: servizi pubblici sarebbero quelle attività per il cui esercizio – a prescindere dalla loro natura o dal soggetto che le pone in essere – è necessaria l’emanazione di atti sottoposti al regime dei controlli amministrativi.

92 V. R. CAVALLO PERIN, I principi come disciplina giuridica del pubblico servizio tra ordinamento interno e ordinamento europeo, in Dir. amm. 2000, pp. 67-69; VIRGA, Diritto amministrativo: Amministrazione locale, vol. 3, cit., 1998, pp. 299-300; G. CAIA, Funzione pubblica e servizio pubblico, cit., pp. 960-961; V. PARISIO, voce Servizi pubblici e monopoli, cit., pp. 687-688. 93 Per una ricostruzione del dibattito sul rapporto tra servizio pubblico e attività imprenditoriale cfr. Corte Costituzionale, sent. 17 marzo 1988 n. 303, in Cons. Stato 1988, II, 455, e sent. 20 dicembre 1988 n. 1104, in Cons. Stato 1988, II, 2251. In dottrina v. G. CORSO, Servizi pubblici e Costituzione in G. MARONGIU, G.C. DE MARTIN (a cura di), Democrazia e Amministrazione. In ricordo di Vittorio Bachelet, cit., p. 223 ss.; G. CORSO, La gestione dei servizi tra pubblico e privato, in AA.VV., Servizi pubblici locali e nuove forme di Amministrazione, cit., p. 30; G. DI GASPARE, Il potere nel diritto pubblico, cit., p. 399 ss. 94 Cfr. G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, cit., vol. V, p. 345 ss. 95 Così P. VIRGA, Diritto amministrativo: Amministrazione locale, vol. 3, Milano 2003, p. 227. 96 In tal senso F. SALVIA, Il servizio pubblico: una particolare conformazione dell’impresa, cit., p. 535 ss. 97 V. I.M. MARINO, cit., p. 162; V. DE FALCO, cit., p. 26; P. VIRGA; Diritto amministrativo: Amministrazione locale, vol. 3, cit., 2003, p. 227; R. VILLATA, Pubblici servizi: discussioni e problemi, cit., p. 19; E. SCOTTI, cit., p. 88. 98 Sulla funzione di controllo, esaminata dopo la riforma del 2001 del Titolo V, Parte II, Cost., v., tra i tanti, P. GIOCOLI NACCI, Discorsi sui controlli, Bari 2002.

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Si tratta di un parametro in parte superato, in considerazione dell’affievolimento del sistema dei controlli conseguente alla caduta dei controlli di tipo cassatorio sugli atti amministrativi di Regioni, Province e Comuni, per effetto della legge costituzionale. n. 3 del 2001; mentre potrebbe essere, sotto un diverso angolo visuale, sussistente ed, anzi, rivitalizzato, dal potenziamento del sistema dei controlli interni disegnato, in via generale, dal D. L.vo 30 luglio 1999 n. 286 (successivamente modificato ed integrato)99. Non a caso, tali controlli ed, in particolare, quello c.d. di gestione, mirano soprattutto alla verifica dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità della attività amministrativa, anche di quella svolta su base paritetica, e all’eventuale adozione di misure correttive per il loro recupero. D’altronde, le implicazioni, pure economiche conseguenti, la necessità che le prestazioni siano in linea con i canoni di efficienza, di efficacia e di economicità, legate alla rilevanza degli interessi perseguiti, impongono ai pubblici poteri di non esentarsi dalla verifica del suo positivo assolvimento, con una attività di controllo, vigilanza ed indirizzo, attuata sempre, ancorché l’erogazione del servizio sia affidata a soggetti interamente privati, anche se, in quest’ultimo caso, inevitabilmente, meno incisiva. Non è un caso che, a livello di Enti locali, l’art. 112 comma 3 del decreto legislativo n. 267 del 2000 si preoccupi di estendere expressis verbis ai servizi resi in tale ambito, senza distinzioni connesse alla natura dei soggetti erogatori, il sistema dei controlli interni previsti dal citato decreto legislativo n. 286 del 1999. Ma anche il meno datato D. L.vo 27 ottobre 2009 n. 150 (successivamente modificato ed integrato)100 prevede un sistema di misurazione e di valutazione delle performances dei pubblici dipendenti, che è soggetto, peraltro, a pubblicazione, con l’innesco di meccanismi deterrenti ed incentivanti atti a favorire un innalzamento della quantità e della qualità, oltre che delle funzioni amministrative poste in essere, anche dei servizi pubblici espletati (si pensi, segnatamente, ai servizi gestiti in economia). Sicché, nel complesso, il criterio della sottoposizione a controlli amministrativi sembra tuttora valido e, forse, rafforzato dagli interventi legislativi degli ultimi anni, nonostante non possa ritenersi, da solo, certamente sufficiente per qualificare il pubblico servizio. Altri autori101 hanno menzionato, quale elemento caratterizzante il pubblico servizio, il requisito della “mutevolezza” ovvero della necessaria “adattabilità” delle prestazioni, sulla scorta della rilevanza attribuita in altri ordinamenti (ed, in particolare, in Francia) a tali fattori. Sembra, però, che tale elemento altro non sia che una componente del canone dell’efficacia cui deve uniformarsi tutta l’attività amministrativa a norma, in primis, della Costituzione vigente, poiché è evidente che una prestazione in astratto idonea a raggiungere un risultato positivo per la collettività, ma in concreto non adeguata, nel tempo, alla realtà effettiva e mutevole del contesto sociale, determini quantomeno un affievolimento del parametro di efficacia predetto. Un ulteriore elemento qualificante il servizio pubblico è stato ravvisato, in relazione alla nota teoria sugli “ordinamenti sezionali”102, a sua volta elaborata sulla base di

99 Sui controlli ed, in particolare, su quelli interni, cfr. S. PIGNATARO, Il principio costituzionale del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, cit., pp. 267-292, e la bibliografia ivi indicata. 100 Per una disamina critica di tale normativa (c.d. riforma Brunetta) cfr. S. PIGNATARO, Il principio costituzionale del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, cit., pp. 333-402, e la bibliografia ivi riportata. 101 V. F. NICOTRA, cit. 102 Cfr. M.S. GIANNINI, Gli ordinamenti sezionali rivisitati (traendo spunto dall’ordinamento creditizio), in S. AMOROSINO (a cura di), La ristrutturazione delle banche pubbliche: l’attuazione della legge n. 218 del 1990, Milano 1991, p. 9 ss.

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quella, altrettanto nota, della “pluralità degli ordinamenti giuridici”103, nella presenza, nella esplicazione del servizio, dell’esercizio di un potere di “autonormazione” distinto da quello dell’ordinamento statale104. Un elemento caratterizzante il pubblico servizio sarebbe, poi, rappresentato dalla imprescindibilità e centralità dell’aspetto organizzativo105 che il Legislatore impone, in maniera più o meno rigida, all’Amministrazione nella gestione dello stesso106. Sulla base di un altro criterio di derivazione privatistica, inoltre, dovrebbe qualificarsi servizio pubblico l’attività svolta a fini sociali la cui prestazione sia garantita a chiunque ne faccia richiesta ed a condizioni generali prestabilite e rese note al pubblico. Ciò sul modello di quanto previsto dall’art. 1679 Cod. civ., che definisce “pubblico servizio di linea” l’attività di coloro che, per “concessione amministrativa”, esercitano servizi di “trasporto di persone o cose”. Secondo alcuni autori107 la nozione in discorso è complessa, concorrendo a formare la fattispecie di servizio pubblico l’origine nella previsione di legge, la funzione di conservazione dell’ordinamento integrata con la funzione di promozione socio-economica, il preminente interesse generale, la doverosità ed importanza, nonché la rilevanza del grado di utilità sociale. La nozione di pubblico servizio comprenderebbe quell’attività che ha per oggetto prestazioni di utilità di particolare rilevanza sociale ed economica, tali da incidere sui bisogni fondamentali della persona ovvero sulla estrinsecazione delle sue libertà. Essa può essere, a seconda dei casi, esercitata dalla Pubblica amministrazione oppure rimessa al settore privato. In quest’ultimo caso, deve essere svolta con l’osservanza di regole particolari, comunque dettate dal pubblico potere, finalizzate ad assicurare le garanzie fondamentali ed i diritti degli utenti108. Nella stessa scia, altri studiosi109 hanno cercato di cogliere diversi e articolati profili di differenziazione per distinguere l’attività di erogazione dei pubblici servizi da quella funzionale: mancata esplicazione di poteri autoritativi, produzione non di un atto, ma di una realtà immateriale, esigenza di una organizzazione avente carattere imprenditoriale, doverosità della prestazione resa nei confronti di una collettività indiscriminata, mancanza di strumenti partecipativi degli utenti “analoghi” a quelli previsti nell’ambito di procedimenti destinati a sfociare in atti. Accanto a queste interpretazioni dottrinali è importante evidenziare che anche il Legislatore, diversi anni addietro, sebbene con l’obiettivo espressamente dichiarato di delimitare il concetto ai soli fini della applicazione delle norme penali, ha provveduto a specificare la nozione di servizio pubblico a tutti i livelli istituzionali e territoriali. Ci si riferisce alla L. 26 aprile 1990 n. 86, titolata “Modifiche in tema di delitti contro la Pubblica amministrazione” la quale ha precisato, sostituendo, tra l’altro, l’art. 358 Cod. pen., al comma 1 di tale articolo, che, “agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio” e, al comma 2, che, per servizio pubblico, deve intendersi “un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata

103 Teoria elaborato da S. ROMANO, L’ordinamento giuridico: studi sul concetto, le fonti e i caratteri del diritto, Pisa 1917. 104 Cfr. F. MERUSI, voce Servizio pubblico, cit., p. 218; F. GIGLIONI, Osservazioni sulla evoluzione della nozione di “servizio pubblico”, cit., p. 2269. 105 V. A. CAROSELLI, cit., pp. 28, 31. Si è osservato, comunque, che il modello di gestione è in posizione di subalternità rispetto alle finalità pubbliche del servizio. In tal senso M. VALLERGA, Società miste per la gestione dei pubblici servizi: “certezze” e prospettive di riforma, in Dir. amm. 1999, p. 627 ss. 106 In tal senso, ad esempio, F. COSSU, L. CALVISI, B. GINI, A. PISAPIA, cit., pp. 1893, 1896. 107 V. U. COLLA, cit., p. 383. 108 V. C. MASTRACOLA, I profili sistematici, in E. MELE (a cura di), La società per azioni quale forma attuale di gestione dei servizi pubblici: la società per azioni per gli Enti locali, Milano 2003, p. 103. 109 V. F. CARINGELLA, Diritto amministrativo, Napoli 2002, pp. 767-768.

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dalla mancanza di poteri tipici di quest’ultima, e con l’esclusione dello svolgimento di semplici mansioni d’ordine e delle prestazioni d’opera meramente materiale” 110. A mente del comma 1 dell’art. 357 Cod. pen., novellato dalla medesima legge, poi, agli effetti della legge penale, “pubblici ufficiali” sono “coloro che esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa”; a tenore del successivo comma 2, è pubblica quella funzione amministrativa “disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, caratterizzati dalla formazione e dalla manifestazione di volontà della Pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi e certificativi”. Secondo il dato positivo complessivo sotteso da tali norme penali si potrebbe concludere nel senso che dovrebbero esulare dal campo di applicazione dell’art. 358 Cod. pen., non solo i “meri servizi amministrativi” cioè quelli di “stretto” carattere burocratico-amministrativo (come, sembrerebbero, le attività erogata dagli uffici comunali elettorali, leva, anagrafe e stato civile e la polizia locale, a cui si è accennato) e quelli di carattere strumentale (riscaldamento degli uffici pubblici, manutenzione degli ascensori e dei computers di un Ente pubblico, pulizia e facchinaggio all’interno della Pubblica amministrazione ecc.), ma anche tutte quelle “attività materiali” che non integrano prestazioni con “caratteri e finalità economici e sociali” (come, parrebbero, le mere operazioni di conteggio effettuate dagli uffici preposti ai fini della stesura del bilancio di un Ente pubblico e la predisposizione di buste paga poste in essere dai dipendenti di una Pubblica amministrazione). Le norme penali anzidette sono apparse111 “preziose”, perché, sebbene circoscritte esplicitamente all’ambito del diritto penale, esprimono, comunque, un’indicazione dell’ordinamento positivo di cui le disposizioni penali fanno parte. Non può escludersi, nonostante una parte della dottrina112 e alcune pronunce giudiziali sembrino orientate in senso contrario113, che le norme definitorie predette abbiano una valenza ulteriore e più ampia del loro campo di applicazione esplicitamente previsto114. Vi è, in esse, certamente il limite dell’assenza di indicazioni circa il contenuto del servizio pubblico, limite che possiede anche l’art. 826 comma 3 Cod. civ., allorquando fa discendere dalla destinazione a servizio pubblico l’appartenenza di un bene al “patrimonio indisponibile” della Pubblica amministrazione, senza chiarire il tipo di attività che ne è oggetto. Ma il principale deficit normativo insito nell’art. 358 Cod. pen. pare, in realtà, quello di una identificazione solo “indiretta” e “per esclusione”115 della nozione e dei contenuti del servizio pubblico. Peraltro, l’inciso secondo cui deve trattarsi di “un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma con la mancanza di poteri autoritativi tipici di quest’ultima”, appare vaga ed inadeguata alla qualificazione del servizio pubblico ovvero di talune categorie di esso, soprattutto alla luce della tendenza, sempre crescente ad affidare la erogazione (e talvolta la stessa titolarità) dei servizi pubblici a soggetti interamente privati, con conseguente parziale e, sotto certi profili, prevalente, applicazione di norme facente parti del diritto comune.

110 Sulla nozione di servizio pubblico alla luce della normativa penalistica v., in particolare, S. CATTANEO, cit., p. 356 ss.; L. GIAMPAOLINO, La riforma dei reati contro la Pubblica amministrazione ed il diritto amministrativo, in Inf. prev. 1989, p. 1672 ss.; R. VILLATA, Pubblici servizi: discussioni e problemi, cit., p. 57 ss. 111 V. G. PALLIGGIANO, cit. 112 V. D. SORACE, Diritto delle Amministrazioni pubbliche, cit., p. 164. 113 V. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. unica, sent. 27 giugno 2005 n. 673, in Lexitalia.it, 2005, con commento di F. GAVERINI, Giurisdizione e fase esecutiva del rapporto di concessione. 114 In tale direzione R. VILLATA, Pubblici servizi: discussioni e problemi, cit., p. 1. 115 Cfr. S. CATTANEO, cit., p. 361.

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Le disposizioni dell’ordinamento delle Autonomie locali, disciplinanti i servizi pubblici, già nella abrogata L. 8 giugno 1990 n. 142 (artt. 22 e 23) ponevano in rilievo, più che altro, le modalità dell’organizzazione (che i servizi dovessero realizzarsi secondo le forme di cui alla legge medesima) e le finalità del servizio di conseguire una utilità a vantaggio della collettività (produzione di beni, realizzazione di fini sociali, promozione e sviluppo economico e civile). Per configurarsi come servizio pubblico (locale), dunque, la produzione di beni e le attività devono rispondere ad esigenze essenziali o diffuse della comunità locale e tendere alla realizzazione di fini sociali, economici e civili116. Come sottolineato dal Consiglio di Stato117 la scelta di organizzare e di erogare un certo servizio pubblico locale appartiene alla sfera decisionale di carattere politico-amministrativo del relativo Ente, che, sulla base della legge, decide di garantire lo stesso, in relazione ai differenziati contesti geografici e socio-economici, in quanto l’attività che ne è oggetto è diretta a soddisfare, in modo continuativo, obiettive esigenze della collettività. Elemento fondante del pubblico servizio (locale) consisterebbe nell’atto di “assunzione” o di “organizzazione”, in genere volontario118, adottato da parte dell’Amministrazione locale119, diretto a garantire il compito-dovere di soddisfare, tramite la sua erogazione, quei bisogni sociali che la stessa normativa vigente o gli amministratori in carica ritengono di primaria importanza in un determinato momento storico. La qualificazione giuridica di un’attività come pubblico servizio, all’infuori dei servizi istituiti direttamente per legge e di quelli qualificati normativamente come obbligatori o indispensabili, è legata, dunque, ad una valutazione politica degli interessi e dei bisogni di una collettività, in base alla quale l’Ente pubblico, rappresentativo della comunità, predispone il servizio stesso. La storicità della valutazione sembra sufficientemente dimostrata dal fatto che la prima legge in materia di assunzione di pubblici servizi da parte di Comuni e Province (la citata legge Giolitti) considerava servizio municipalizzabile la vendita e la produzione del ghiaccio, ovvero dalla circostanza che per lungo tempo, la stessa indicazione dell’ora, attraverso gli orologi posti in tutti i campanili dei Comuni d’Italia, era considerata pubblico servizio120. In realtà, si è evidenziato121 che il servizio pubblico non è legato solo ad un’unica attività materiale, non essendo avulso da atti e fatti di varia natura: legislativi, amministrativi autoritativi, operazioni materiali e contratti di diritto comune. Tale circostanza, tuttavia, pare attenere alla fase di predisposizione e organizzazione del servizio, nonché al momento o profilo dell’attuazione del rapporto tra utente e soggetto erogatore, che si collocano, però, su di un fronte, per così dire, “collaterale” rispetto alle finalità e, soprattutto, all’oggetto, nonché ai caratteri che pervadono il servizio pubblico; tutti aspetti che connotano, più di ogni altro, la relativa nozione. Il concetto di servizio pubblico che veniva proposto dall’art. 22 comma 1 della legge n. 142 del 1990 sembrava essere più ampio di quella che in passato si ricavava dal R.D. 15 ottobre 1925 n. 2578 (testo unico sulle municipalizzazioni), di utilità a favore della utenza pubblica (ad es. trasporti). Essa pareva comprendere anche le attività non imprenditoriali dirette a promuovere lo sviluppo civile, economico e sociale122. 116 Cfr. F. LANDOLFI, I servizi pubblici locali, in Nuova Rass. 1999, pp. 195-196. 117 V. Cons. Stato, Sez. V, sent. 13 dicembre 2006 n. 7369, in questa Rassegna 2006, I, 1723. 118 V. F. NICOTRA, cit. 119 Cfr. Cass., SS.UU., sent. 6 maggio 1995 n. 4989, in Cons. Stato 1995, III, 1959. 120 V. V. MARTELLI, I servizi e gli interventi pubblici locali, in G. DE MARZO, R.TOMEI, Commentario al nuovo testo unico degli Enti locali, Padova 2002, p. 597 121 V., ad esempio, abbastanza di recente, G. PALLIGGIANO, cit. 122 Sulle finalità del servizio pubblico locale v., in giurisprudenza, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 240 del 1995, cit.; Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 2605 del 2001, cit.; Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 7369 del 2006, cit. In dottrina v., tra gli altri, A. ZUCCHETTI, I servizi pubblici locali, in AA.VV. con il

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Secondo gli elementi che (tuttora) emergono dalle norme sull’ordinamento delle Autonomie locali, il servizio pubblico (locale) è caratterizzato da una attività prevalentemente imprenditoriale diretta a fornire al cittadino una utilità pubblica in un regime di rapporti, di regola, paritari123. L’art. 112 comma 1 del testo unico n. 267 del 2000124 (che ha trasposto l’art. 22 comma 1 della legge n. 142 del 1990), recita testualmente: “gli Enti locali125, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”. La norma non fornisce una vera e propria definizione di servizio pubblico locale126, ma delinea importati elementi e indici rivelatori127. La sua formulazione, nel tratteggiare le caratteristiche del servizio pubblico locale, appare porsi in rapporto di species a genus rispetto ad una nozione più generale di pubblico servizio. La caratterizzazione peculiare della nozione di servizio pubblico locale, rispetto a quella (più generale) di servizio pubblico, rinviene fondamentalmente nel fatto che l’istituzione del servizio, a livello locale, è sempre deliberata dal relativo Ente che, in tal modo, lo predispone128. La nozione di servizio pubblico locale costituirebbe, così, una specificazione della nozione generale con un ambito di riferimento più ristretto129. La lettera della norma anzidetta appare, comunque, assai ampia e generica130 e una simile circostanza è sembrata131 connettersi alla natura di Enti a fini generali delle Amministrazioni locali ed, particolare dei Comuni, che hanno la facoltà di determinare

coordinamento di V. ITALIA, cit., p. 44 ss.; L. OLIVERI, Titolo V: Servizi e interventi pubblici locali, in AA.VV. con la direzione e la supervisione di F. BOTTA, L’ordinamento degli Enti locali, Santarcangelo di Romagna 2003, pp. 1025-1026. 123 In giurisprudenza v., tra le altre, v. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 240 del 1995, cit. In dottrina, su tale aspetto, cfr. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., 1988, p. 462; F. MERUSI, voce Servizio pubblico, cit., p. 216. 124 Sull’ordinamento degli Enti locali v. tra gli altri, E. MAGGIORA, Il nuovo ordinamento delle Autonomie locali, Firenze 2000; AA.VV., con il coordinamento di V. ITALIA, Testo unico degli Enti locali, Milano 2000; E. MAGGIORA, Il diritto degli Enti locali, Milano 20002; G. DE MARZO, R. TOMEI, Commentario al nuovo testo unico degli Enti locali, cit., passim; M. BERTOLISSI (a cura di), L’ordinamento degli Enti locali. Commento al testo unico sull’ordinamento delle Autonomie locali del 2000 alla luce delle modifiche costituzionali del 2001, Bologna 2002; AA.VV., con la direzione e la supervisione di F. BOTTA, cit. passim; F. STADERINI, Diritto degli Enti locali, Padova 2003; P. VIRGA, L’Amministrazione locale, vol. 3, cit., 2003, passim; G. VESPERINI, Gli Enti locali, Torino 2004; V. ITALIA, E. MAGGIORA, A. ROMANO, L'ordinamento comunale: strutture, competenze, attività, Milano 2005; R. CAVALLO PERIN, A. ROMANO, Commentario breve al testo unico sulle autonomie locali (D. L.vo 18 agosto 2000 n. 267), Padova 2006; V. ITALIA, Per l’autonomia degli Enti locali, Milano 2007; F. CARIGELLA, A. GIUNCATO, F. ROMANO (a cura di), L’ordinamento degli Enti locali. Commentario al testo unico, Milano 2007; E. MELE, Manuale di diritto degli Enti locali, Milano 2007; L. VANDELLI, Il sistema delle Autonomie locali, Bologna 2013. 125 L’art. 2 comma 1 del decreto legislativo n. 267 del 2000 precisa che “ai fini del presente testo unico, si intendono, per Enti locali, i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Comunità montane, le Comunità isolane e le unioni di Comuni”. Il successivo comma 2 puntualizza che “le norme sugli Enti locali previste dal presente testo unico si applicano, altresì, salvo diverse disposizioni, ai consorzi cui partecipano Enti locali, con esclusione di quelli che gestiscono attività aventi rilevanza economica ed imprenditoriale e, ove previsto dallo statuto, dei consorzi per la gestione dei servizi sociali”. 126 V. R. CAVALLO PERIN, Comuni e Province nella gestione dei servizi pubblici, cit., vol. I, p. 55 ss. 127 Cfr. A. POLICE, cit., p. 92. 128 Cfr. F.G. SCOCA, La concessione come strumento di gestione dei servizi pubblici, in F. ROVERSI MONACO (a cura di), cit., p. 35. 129 V. A. POLICE, cit., p. 93. 130 Cfr. S. CATTANEO, cit., p. 364. L’A. ritiene che con la disposizione in esame si sia passati da una “espressione generica o di tipo ellittico ad una di tale ampiezza espressiva ma divenire sovrabbondante”. Da essa non emergerebbero “elementi individuativi e delimitativi del campo dei servizi pubblici”. 131 V. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 7369 del 2006, cit.

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da sé i propri scopi e sono dotati di autonomia organizzativa, amministrativa e finanziaria, come riconosciuto dall’art. 3 del testo unico n. 267 del 2000. In coerenza con il principio autonomistico, sancito dall’art. 5 Cost.132, gli Enti locali e, soprattutto i Comuni, si pongono come interpreti primari dei propri bisogni in piena sintonia con i principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza dell’azione amministrativa (art. 118 Cost.)133. Per una parte della dottrina134, il Legislatore potrebbe aver inteso la nozione di servizio pubblico locale secondo l’impostazione soggettiva; non a caso, la qualificazione dell’attività come servizio ed il riconoscimento della sua pubblicità sono rimessi all’Ente assuntore, al quale è lasciata un’ampia sfera di determinazione che incontra un limite invalicabile nel perseguimento delle finalità preventivate dalla legge stessa. Secondo altra posizione135, la norma riconoscerebbe la natura prettamente oggettiva della nozione in discorso; la legge sull’ordinamento delle Autonomie locali, infatti, riconosce l’esistenza di attività definibili servizi pubblici, prima ed, anzi, a prescindere dalla eventuale assunzione da parte degli Enti locali. In base ad un’altra chiave di lettura136 dell’art. 112 comma 1, che potrebbe definirsi “mista”, emergerebbero, dalla norma, elementi a favore sia della tesi soggettiva, che di quella oggettiva del pubblico servizio137. Altri138 sottolineano come la norma rappresenti il superamento della teoria oggettivo-soggettiva dei servizi pubblici locali e l’accoglimento di una nozione “dinamica” di questi in risposta ai nuovi bisogni che, nel tempo, la collettività viene manifestando. Per qualche studioso139, per di più, si può ritenere che la nozione in discorso non sia concentrata su un solo criterio (soggettivo od oggettivo), ma comprenda più aspetti: soggettivo, oggettivo, teleologico, istituzionale. Certamente la menzione, che nella prima parte del comma in discorso, viene fatta, circa gli ambiti di rispettiva “competenza” degli Enti locali e la attribuzione del compito-dovere di “provvedere” in merito, gravante su di essi, richiama eloquentemente la funzione di predisposizione dei pubblici servizi, che si colloca in coerenza con la tesi soggettiva o formale anzidetta; mentre la precisazione dell’oggetto e delle finalità del servizio, che compare nella parte finale di detto comma, pare in chiara sintonia con la tesi oggettiva o sostanziale. Affinché gli Enti locali possano organizzare il servizio, deve trattarsi di attività, della più varia natura, per le quali l’iniziativa privata e l’azione integrata delle organizzazioni non lucrative, di cooperazione sociale e di volontariato140, in linea con il principio di

132 Su tale principio costituzionale v., tra gli altri, G. BERTI, Art. 5, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione. Principi fondamentali. cit., p. 277 ss.; M. BERTOLISSI, Art. 5, in V. CRISAFULLI, L. PALADIN, Commentario breve della Costituzione, Padova 1990, p. 41 ss.; R. BIFULCO, Art. 5, in R. BIFULCO, A CELOTTO; M. OLIVETTI (a cura di), cit., vol. I, p. 132 ss. 133 Cfr. F. COSSU, L. CALVISI, B. GINI, A. PISAPIA, cit., pp. 1894-1895; A. POLICE, cit., pp. 86-87. 134 Cfr. F. GHELARDUCCI, Commento agli artt. 22 e 23. Il nuovo ordinamento delle Autonomie locali, in Commentario alla L. 8 giugno 1990 n. 142, in Prime note, suppl., 1990, p. 90 ss. 135 V. D. SORACE, Servizi pubblici locali a iniziativa privata, in Econ. pubbl. 1993, p. 11. 136 In tal senso, in dottrina, F. COSSU, L. CALVISI, B. GINI, A. PISAPIA, cit., pp. 1893-1894; F. FIGORILLI, cit., pp. 643-644, che richiama la giurisprudenza del T.A.R. Liguria, Sez. II, sent. 28 aprile 2005 n. 527 (in I T.A.R. 2005, I, 1937). 137 Per B. MAMELI, cit., p. 317, la nozione proposta dall’ordinamento delle Autonomie locali non farebbe propendere né in favore della tesi soggettiva né di quella oggettiva. 138 Cfr. M. MOLÈ, Società per azioni e partecipazione pubblica maggioritaria e minoritaria, in Atti del Convegno di Milano, Le società miste per la gestione dei servizi pubblici, 17-18 dicembre 1996. 139 V. A. ZUCCHETTI, Commento all’artt. 112, in AA. VV. con il coordinamento di V. ITALIA, Testo unico degli Enti locali, cit., p. 1139; A. ZUCCHETTI, I servizi pubblici locali, cit., p. 35. 140 Cfr., tra gli altri, M.T.P. CAPUTI JAMBRENGHI, Volontariato, sussidiarietà e mercato, Bari 2008.

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sussidiarietà141 orizzontale, devono essere insufficienti o inadeguate a far fronte, autonomamente ed in modo soddisfacente, alle esigenze pubbliche che tramite esso si mira a realizzare. Caratteristica del servizio pubblico sarebbe, per così dire, quella di “vivere nel mercato”, nel senso che i suoi prodotti dovrebbero essere acquistati dagli utenti e dovrebbe essere tendenzialmente organizzato in modo imprenditoriale, perché l’equilibrio economico deve essere raggiunto mediante l’acquisizione dei relativi corrispettivi142. Ciò in linea di tendenza è pienamente sostenibile, ma non in tutti i casi, essendoci, in realtà, alcuni servizi non hanno un ritorno economico diretto, come i servizi sociali, culturali, educativi, sportivi e artistici. Gli elementi indicati sarebbero idonei a differenziare la nozione di servizio da quella di funzione, perché la funzione non ha carattere imprenditoriale, oltre che implicare generalmente l’esercizio di poteri di carattere autoritativo.

141 Sul principio di sussidiarietà (considerando l’ordinamento europeo e quello interno) v. P. CARETTI, Il principio di sussidiarietà e i suoi riflessi sul piano dell’ordinamento comunitario e nazionale, in Quad. cost. 1993, p. 7 ss.; G. STROZZI, Il ruolo del principio di sussidiarietà nel sistema dell’Unione europea, in Riv. it. dir. pubbl. comun. 1993, p. 59 ss.; L. VANDELLI., Il principio di sussidiarietà nel riparto di competenze tra diversi livelli territoriali a proposito dell’art. 3B del Trattato sull’Unione europea, in Riv. it. dir. pubbl. comun. 1993, p. 379 ss.; G. BERTI, Considerazioni sul principio di sussidiarietà, in Jus 1994, p. 405 ss.; R. CAFARI PANICO., Il principio di sussidiarietà e il ravvicinamento delle legislazioni nazionali, in Jus 1994, p. 381 ss.; V. PARISIO, Europa delle autonomie locali e principio di sussidiarietà: la “Carta europea delle autonomie locali”, in Foro amm. 1995, p. 2124 ss.; R. DICKMANN, Sussidiarietà, sovranità e regionalismo. Il ruolo delle assemblee parlamentari. I – il principio di sussidiarietà, in Dir. soc. 1994, p. 273 ss.; A. SPADARO, Sui principi di continuità dell’ordinamento, di sussidiarietà e cooperazione fra Comunità/Unione europea, Stato e Regioni, in Riv. trim. dir. pubbl. 1994, p. 1041 ss.; S. CASSESE., L’aquila e le mosche. Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi nell’area europea, in Foro it. 1995, IV, p. 373 ss.; M.P. CHITI., Principio di sussidiarietà, Pubblica amministrazione e diritto amministrativo, in Dir. pubbl. 1995, p. 505 ss.; P. DE PASQUALE, Il principio di sussidiarietà nell’ordinamento comunitario, Napoli 1996; F.P. CASAVOLA, Dal federalismo alla sussidiarietà: le ragioni di un principio, in Foro it. 1996, V, p. 176 ss.; F.A. ROVERSI MONACO (diretto da), Sussidiarietà e Pubbliche amministrazioni. Atti del Convegno per il 40° anniversario della Spisa, Bologna, 25-26 settembre 1995, Santarcangelo di Romagna 1997; A. D’ATENA, Il principio di sussidiarietà nella Costituzione italiana, in Riv. it. dir. pubbl. comun. 1997, p. 603 ss.; G. D’AGNOLO, La sussidiarietà nell’Unione europea, Padova 1998; G. FALCON, Autonomia amministrativa e principio di sussidiarietà, in Dir. soc. 1998, p. 278 ss.; A. MOSCARINI, Sussidiarietà e libertà economiche, in Dir. soc. 1999, p. 433 ss.; A. RINELLA, R. COEN, R. SCARCIGLIA (a cura di), Sussidiarietà e ordinamento costituzionale. Esperienze a confronto, Padova 1999; A. D’ANDREA, La prospettiva della Costituzione italiana ed il principio di sussidiarietà, in Jus 2000, p. 227 ss.; A. POGGI, La sussidiarietà nelle riforme amministrative, in Quad. reg. 2001, p. 933 ss.; L. IEVA, Riflessioni sul principio di “sussidiarietà” nell’ordinamento amministrativo italiano, in Riv. amm. 2001, p. 81 ss.; A. D’ATENA, Costituzione e principio di sussidiarietà, in Quad. cost. 2001, p. 13 ss. A. ALBANESE, Il principio di sussidiarietà orizzontale: autonomia sociale e compiti pubblici, in Dir. pubbl. 2002, p. 51 ss.; P. VIPIANA, Il principio di sussidiarietà verticale: attuazioni e prospettive, Milano 2002; L. VIOLINI (a cura di) Sussidiarietà e decentramento: approfondimenti sulle esperienze europee e sulle politiche regionali in Italia, Milano 2003; I. MASSA PINTO, Il principio di sussidiarietà. Profili storici e costituzionali, Napoli 2003; A. MOSCARINI, Competenza e sussidiarietà nel sistema delle fonti: contributo allo studio dei criteri ordinatori del sistema delle fonti, Padova 2003; P. DURET, Sussidiarietà e autoamministrazione dei privati, Padova 2004; R. FERRARA, Unità dell’ordinamento giuridico e principio di sussidiarietà: il punto di vista della Corte costituzionale, in Foro it. 2004, I, p. 1018 ss.; L. GRIMALDI, Il principio di sussidiarietà orizzontale: tra ordinamento comunitario ed ordinamento interno, Bari 2006; L. MELICA L., voce Sussidiarietà, in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. CASSESE , cit., vol. VI, p. 5836 ss.; M. PALMA, Sussidiarietà e competenze: riparto funzionale e materiale, Bari 2007; G.C. DE MARTIN, Sussidiarietà e democrazia: esperienze a confronto e prospettive, Padova 2008. V, pure, S. PIGNATARO, Il principio costituzionale del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, cit., pp. 109-121. 142 Cfr. A. ROMANO, Profili della concessione di pubblici servizi, cit., p. 469; R. DELLI SANTI, X. SANTIAPICHI, La gestione dei servizi pubblici locali. Commento alle norme vigenti corredato dalla dottrina e dalla giurisprudenza di riferimento, Milano 2000, p. 7 ss. A livello legislativo v., in tal senso, l’art. 147 del testo unico n. 267 del 2000.

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Si è evidenziato143, comunque, come non sia possibile sostenere che tutto ciò che non è pubblica funzione autoritativa è servizio pubblico; essendovi un’attività economica che è pubblico servizio, ma anche un’attività economica che non è né pubblica funzione, né servizio pubblico. Ciò perché il servizio pubblico deve necessariamente estrinsecarsi nelle forme previste dalla legge; l’attività economica, invece, può assumere svariate forme, purché non in contrasto con principi e le esigenze ritenuti meritevoli di protezione dall’ordinamento (art. 41 comma 2 Cost.). Potrebbe, dunque, affermarsi, in linea di massima, che il servizio pubblico è correlato alla “presenza”, l’attività economica al “risultato”. Alla luce di quanto detto, si sottolinea144 che non integrano servizi pubblici: - le attività economiche non rivolte e non utili a fini sociali o di sviluppo (che rappresentano gran parte delle attività economiche private); - le attività economiche che sono teleologicamente orientate ai fini sociali, ma che non si estrinsecano nella produzione di beni o servizi (quali sono buona parte delle attività degli Enti pubblici). Nel primo caso paiono difettare sia l’obiettivo tipico del servizio pubblico che l’elemento soggettivo, il quale si sostanzia nell’assunzione dell’attività che ne è oggetto tra le finalità istituzionali dell’Ente pubblico che lo predispone. Nel secondo, a mancare è la natura dell’attività posta in essere, non qualificabile come pubblico servizio. In definitiva, può reputarsi che dalla combinazione della teoria soggettiva e oggettiva, che non contrassegnano sicuramente tesi rigidamente contrapposte145, possono determinarsi (quantomeno) le principali direttrici per dipanare la nozione di servizio pubblico. Potrebbe sostenersi la prevalenza di un elemento sull’altro, ma sembra risultare fondamentale ed ineludibile la sussistenza contestuale di entrambi. Il progressivo ridimensionamento dell’intervento (ovvero di talune forme di intervento) dello Stato e degli altri Enti pubblici in economia e della assunzione diretta di attività di natura prevalentemente imprenditoriale, nonché l’apertura di dette attività ad un regime di liberalizzazioni e sempre più spiccatamente concorrenziale, hanno portato ad una accentuazione del carattere oggettivo del servizio pubblico146. Ciò non implica, però, la destituzione del criterio soggettivo o formale del servizio pubblico, ovviamente nella sua forma mitigata che ammette la sua gestione concreta (pure) da parte di soggetti interamente privati147, sia pur con limiti, condizioni e tutele pubblicistici148. Altra conclusione a cui può pervenirsi è che la nozione di servizio pubblico, se pure assuma connotati differenti in base ad una serie di fattori di diversificazione (oggetto e tipologia del servizio, finalità legislativa della normativa presa in considerazione, fondamento pubblicistico o privatistico del rapporto con l’utente, ambito istituzionale o territoriale di esplicazione ecc.), non muti, nella sua essenza fondamentale, al variare

143 V. G. CAIA, Commento agli artt. 22-23, legge n. 142 del 1990, in G. BRANCA, A. PIZZORUSSO (a cura di), Commentario alla Costituzione (art. 128 supplemento), Bologna-Roma 1996, p. 272, il quale rileva che è riscontrabile un’altra area di possibile intervento della Pubblica amministrazione nella realtà sociale ed economica, “concretantesi in ciò che può essere riassuntivamente definito come attività economica dell’Amministrazione”. 144 V. A. ZUCCHETTI, I servizi pubblici locali, cit., pp. 50-51. 145 Cfr. S. CATTANEO, cit., pp. 368-371. 146 Cfr. E. FERRARI, cit., p. 138. 147 Cfr. R. GAROFOLI, Le privatizzazioni degli Enti dell’economia. Profili giuridici, cit., pp. 472- 473; F. CARINGELLA, Le società per azioni deputate alla gestione dei servizi pubblici: un difficile compromesso tra privatizzazione e garanzia, in Foro it. 1996, I, p. 1366. 148 Cfr. B. MAMELI, cit., p. 294. Per la perduranza del criterio soggettivo, ovviamente nella sua forma temperata, v. R. VILLATA, Pubblici servizi: discussioni e problemi, cit., p. 5 ss., anche per gli ulteriori riferimenti alla dottrina.

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di tali fattori, caratterizzandosi per l’esistenza di una vasta gamma di elementi comuni e tratti unificanti149. Tra questi non può ritenersi superato o svilito, in ogni caso, il presupposto del carattere non autoritativo dell’attività integrante il servizio pubblico; carattere che, considerato sotto l’aspetto dello svolgersi della prestazione, lo differenzia, in certa misura, dalle funzioni amministrative, pur essendo, come si è detto, omogenee le finalità di entrambi150. Un elemento distintivo può ritenersi integrato dalla circostanza che, mentre la funzione amministrativa spesso comporta una compressione o limitazione della sfera di libertà dei privati, il servizio pubblico postula sempre, invece, un accrescimento o ampliamento delle libertà, facoltà, diritti e aspettative degli stessi. Dunque, per pubblico servizio, deve intendersi una prestazione ovvero una produzione o messa a disposizione di beni e strutture o di natura mista, e non di una attività amministrativa procedimentalizzata soggetta alla applicazione integrale della legge n. 241 del 1990 (e successive modificazioni ed integrazioni), che si esplica nell’adozione di atti e provvedimenti amministrativi che l’organo emanante gestisce e adotta in attuazione di disposizioni di legge relative all’esercizio di pubbliche funzioni (di carattere discrezionale o vincolato che siano). Questa posizione di supremazia o iure imperii, e relative implicazioni, si manifestano nel momento della predisposizione, organizzazione, istituzione, cessazione del servizio, esplicandosi in alcune fasi preliminari, decisorie e risolutive (espletamento delle procedure di evidenza pubblica per la scelta del gestore privato di un servizio locale a rilevanza economica, deliberazione con cui si organizza, istituisce o affida il servizio, revoca dell’affidamento per decorso del relativo termine o per gravi e protratte inadempienze del gestore ecc.); non inerisce, invece, alle caratteristiche e peculiarità che concernono, più specificamente, la prestazione integrante il pubblico servizio, che è espressione di una attività iure gestionis. Ciò perché, anche quando la fruizione del servizio è soggetta ad un provvedimento di ammissione della Pubblica amministrazione (sanità, assistenza, previdenza, scuola), la posizione di astratta supremazia della stessa, che teoricamente potrebbe far degradare la pretesa del fruitore ad aspettativa o interesse legittimo, per la natura della attività da prestare e a causa dei vincoli, delle condizioni e delle garanzie pubblicistici previsti, connessi agli obblighi di trasparenza151, parità di trattamento e non discriminazione e del doveroso rispetto degli standards di efficienza ed efficacia, sembra porre spesso l’utente in una posizione non dissimile da quella di diritto soggettivo all’ottenimento di una prestazione quantitativamente e qualitativamente adeguata, propria dei servizi aventi un fondamento prettamente contrattuale ed un’indole spiccatamente economica (gas, energia elettrica, acqua, trasporti pubblici collettivi ecc.) In definitiva e con tutti i limiti e le perplessità che incontra una definizione di servizio pubblico nel nostro sistema, considerando quanto sinora rappresentato, essa sostanzialmente comprende la produzione di beni, la predisposizione di infrastrutture,

149 Cfr. P. CIRIELLO, cit. p. 6. L’A. ritiene corretto l’assunto secondo cui la nozione di servizio pubblico vada considerata unitaria e che spetti al diritto amministrativo stabilirne i caratteri tipici e le note differenziali. Per R. VILLATA, Pubblici servizi: discussioni e problemi, cit., p. 30, il dato di diritto positivo sembra condurre alla “conclusione forse non appagante, ma tuttavia necessitata, vale a dire la presenza nell’ordinamento di una pluralità di norme dalle quali non è dato trarre una nozione giuridica unitaria di servizio pubblico”. 150 Cfr. S. CATTANEO, cit., pp. 366-367. 151 Sul principio di trasparenza amministrativa cfr. G. ARENA, La funzione di comunicazione nelle Pubbliche amministrazioni, Santarcangelo di Romagna 2001; F. MERLONI, G. ARENA, G. CORSO, G. GARDINI, C. MARZUOLI (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano 2008; A. BONOMO, Informazione e Pubbliche amministrazioni: dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, Bari 2012.

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e talvolta, di impianti e dotazioni materiali per uso pubblico, e, più spesso, la erogazione di prestazioni-attività, materiali, industriali o tecniche, esplicate su base paritetica, dirette a garantire la creazione di un’utilità, considerata di rilevanza sociale dall’Ente esponenziale che, in quanto tale, sulla base di una previsione legislativa, di carattere puntuale o generale, la assume come rientrante nei propri fini istituzionali e, conseguentemente, ne garantisce l’assolvimento, direttamente o indirettamente, mediante la propria struttura e organizzazione ovvero tramite l’affidamento ad organismi esterni ad hoc, dai contorni pubblicistici oppure dai connotati spiccatamente privatistici o, infine, di natura mista. L’attività, indipendentemente dal mantenimento della titolarità in capo all’Ente pubblico o al conferimento della stessa ad organismi all’uopo predisposti, è assunta come doverosa, con conseguente sottoposizione a particolari obblighi in favore degli utenti e vincoli di rispetto di un programma di servizio, nonché degli standards di economicità, efficienza ed efficacia nella gestione, in relazione ai quali corrispondono diritti o legittime aspettative dei fruitori; la attività medesima viene svolta in condizioni di libera e generalizzata accessibilità o fruibilità, con carattere di continuità e preventiva conoscibilità, a vantaggio di una collettività, più o meno ampia. La legge, in virtù del rilievo pubblicistico e, segnatamente, sociale che rivestono tutte le prestazioni di tal genere, predispone istituti (come le tariffe “calmierate”), prevede funzioni di regolazione ovvero di indirizzo, controllo e vigilanza sulla loro esplicazione, e contempla forme di tutela, giurisdizionale o giustiziale, di impronta individuale152 e collettiva (cd. Class action)153 e altri strumenti garantistici non implicati o sfocianti necessariamente in procedure contenziose (Carte dei servizi, ricorsi al Difensore civico154, reclami al Sindaco ecc.). La legge, in relazione agli Enti aventi autonomia costituzionalmente garantita, al fine di assicurare l’aderenza delle prestazioni alle realtà peculiari dei fruitori e in osservanza dei principi costituzionali fondanti l’organizzazione e regolatori dell’esercizio delle attività e dei compiti amministrativi, non potendo disciplinare l’esplicazione dei servizi in ogni dettaglio, riconosce un certo spazio di autodeterminazione, in sede normativa e gestionale, in capo alle Amministrazioni interessate, nonché in favore degli stessi soggetti erogatori. 3) Le principali classificazioni dei servizi pubblici In relazione alle diverse esigenze o bisogni che i servizi pubblici sono chiamati a soddisfare, alle caratteristiche delle varie tipologie di attività erogate ed alle modalità di fruizione è possibile fornire una classificazione dei servizi pubblici. Tale classificazione tiene conto delle tesi principali in merito, formulate dalla scienza giuridica ed, in misura più ridotta, da quella economica, e il suo valore è prevalentemente descrittivo e ricognitivo; al tempo stesso, però, essa appare utile, al fine di meglio comprendere alcune problematiche sottese.

152 Nell’attuale panorama legislativo la norma chiave è rappresentata, come si accennava, dall’art. 133 comma 1 lett. c) Cod. proc. amm. In merito a tale norma v., tra gli altri, i commenti critici di M. RAMAJOLI, cit., p. 141 ss. e, spec., p. 174 ss.; R. DE NICTOLIS (a cura di), Codice del processo amministrativo commentato, Milano 2012, p. 177 ss. e, spec., p. 216 ss.; F. LATTANZI, Materie di giurisdizione esclusiva, in R. GAROFOLI, G. FERRARI, Codice del processo amministrativo, Roma 2012, p. 1984 ss. e, spec., p. 2005 ss.; P. LOTTI, Art. 133. Materie di giurisdizione esclusiva, in F. CARINGELLA, M. PROTTO, Codice del nuovo processo amministrativo, Roma 2013, p. 1287 ss. e, spec., p. 1299 ss. 153 Cfr. S. PIGNATARO, Il principio costituzionale del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, cit., pp. 326-332, e la bibliografia ivi indicata. 154 Sul tema ci si permette di rinviare a S. PIGNATARO, La difesa civica nell’ordinamento italiano, Padova 2002; ID., Il principio costituzione del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, cit., pp. 293-307, anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici.

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Pur se a titolo esemplificativo, è possibile specificare, con riferimento al primo criterio indicato, le seguenti categorie di prestazioni: - servizi che mirano ad assicurare le condizioni basilari per la sopravvivenza, con particolare riferimento ai soggetti in condizioni di disagio personale, sociale o economico (dormitori pubblici, alloggi popolari, assistenza agli invalidi, ciechi, sordomuti ecc.); - servizi che soddisfano esigenze di igiene e sanità (servizi di fognatura, nettezza urbana, ospedali, acquedotti ecc.); - servizi diretti a consentire l’approvvigionamento di energia (elettricità, gas ecc.); -servizi che soddisfano esigenze di mobilità (trasporti ferroviari, funiviari, marittimi, aerei, nonché le infrastrutture necessarie: strade, canali, porti, aeroporti ecc.) - servizi che realizzano l’obiettivo di mettere in comunicazione persone lontane (servizi postali, telegrafici, telefonici, telematici); - servizi che soddisfano bisogni di cultura (scuole, Università, teatri, biblioteche, musei ecc.); - servizi che soddisfano richieste di pratica sportiva (piscine, palestre ecc.); - servizi che soddisfano bisogni di informazione e svago (radio, televisione ecc.). In relazione al contenuto del processo produttivo da cui scaturisce il servizio si sogliono distinguere: - i servizi di tipo industriale (energia elettrica, gas, acquedotti, raccolta e smaltimento rifiuti, trasporti collettivi); - servizi di tipo non industriale (sanità, istruzione, previdenza ecc.). In riferimento alla tipologia di risorse impiegate (almeno prevalenti) nell’erogazione del servizio, si possono contrapporre: - i servizi basati sulla utilizzazione di macchine (telefoni, trasporti ecc.) - i servizi basati sull’uomo (istruzione, sanità ecc.) In relazione all’ampiezza dell’ambito spaziale o istituzionale di riferimento possono venire in rilievo i: - servizi pubblici universali; - servizi pubblici centrali o nazionali; - servizi pubblici locali. I primi, espressamente riconosciuti tali dal diritto europeo e poi richiamati nell’ordinamento interno da più testi normativi (v., ad esempio, l’art. 53 del D. L.vo 1 agosto 2003 n. 259, successivamente modificato ed integrato, recante il “Codice delle comunicazioni elettroniche”), costituiscono la proiezione diametralmente opposta di quelli locali. Essi attengono a valori comuni a tutti gli Stati contemporanei (poste, telecomunicazioni, trasporti aerei, marittimi, ferroviari) e comportano l’obbligo di garantirne ovunque e indiscriminatamente l’accesso155. I secondi, attenendo ad esigenze unitarie (es. servizio sanitario, previdenziale ecc.), sono istituiti dalla legge nazionale e sono garantiti dallo Stato stesso, anche tramite un sistema a rete che coinvolge, sotto diversi profili, altri livelli istituzionali (Regioni), essendo lo Stato l’unico Ente che può assicurare, sia pur con diverse accentuazioni, la loro generalizzata fruizione. Gli ultimi sono organizzati o gestiti dagli Enti locali; questi, ferme restando le previsioni che impongano l’assunzione obbligatoria di determinate categorie di prestazioni (che si vedranno in seguito), vengono individuati dalle Amministrazioni locali, in relazione alle differenziate realtà politiche, sociali, economiche e ambientali presenti. Un’altra distinzione che può delinearsi è tra:

155 Sul tema v. V. GASPARINI CASARI, Il servizio universale, in Dir. economia 2000, p, 265 ss.; G.F. CARTEI, I servizi universali, Milano 2002.

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- servizi uti singuli, che comprendono tutte quelle attività che comportano l’erogazione di beni tecnicamente divisibili, caratterizzati da una domanda e un godimento singolarmente frazionabile. Per queste attività, mentre l’Amministrazione pubblica assume l’onere di mettere a disposizione dell’utente lo specifico servizio, quest’ultimo rimane libero di provvedere alla soddisfazione dei suoi bisogni, ricorrendo a beni e prestazioni alternativi e non pubblici. Si instaurerebbe, in altri termini, un rapporto di natura prettamente contrattuale che regolerebbe lo scambio tra produttore e utilizzatore degli stessi; - servizi uti universi che sono costituiti, invece, da prestazioni indivisibili offerte alla collettività; essi, anche quando non escludono una percezione e un godimento individuale, non danno luogo a rapporto di scambio (es. servizi di illuminazione pubblica, fontane pubbliche, verde pubblico, servizi per la salvaguardia e controllo delle condizioni ambientali e sanitarie ecc.) Vi sono, poi, i servizi pubblici “finali” e servizi pubblici “strumentali”. I primi sono prestazioni indirizzate direttamente ai privati ed al soddisfacimento dei loro bisogni come utenti individuali (servizio idrico integrato, trasporto pubblico ecc.) o come membri della collettività (spazzamento delle strade, illuminazione pubblica ecc.). I secondi, invece, sono prestazioni di cui beneficiano uno o più settori o uffici dell’Ente stesso che li assume (pulizia dell’immobile sede comunale, manutenzione e riparazione dei computer installati negli uffici ecc.). Solo i primi possono essere qualificati come veri e propri servizi pubblici; i secondi possono costituire, invece, se del caso, l’oggetto di appalti che l’Ente può affidare a terzi, normalmente all’esito di apposita procedura ad evidenza pubblica156. In relazione alle modalità di copertura dei costi i servizi pubblici possono essere suddivisi: - servizi soggetti alle regole del mercato; - servizi resi gratuitamente o ad un prezzo politico. La classificazione, in sostanza, distingue i servizi che il mercato rende autosufficienti e remunerativi da quelli, invece, che non possono sperimentare prezzi in linea con i costi sostenuti per produrli e che, quindi, richiedono un intervento pubblico di sostegno (i servizi sanitari sono, in larga parte, erogati senza corrispettivo diretto; i corrispettivi dei servizi di trasporto generalmente non coprono tutti i costi ecc.). Così, la Pubblica amministrazione che eroga tali servizi deve ricorrere a risorse rivenienti da imposte e tasse per fare fronte alla produzione e fornitura degli stessi. Dai servizi pubblici soggetti alle regole del mercato, sostanzialmente a carattere produttivo, vanno tenuti completamente distinti i servizi di stampo assistenziale, culturale e sociale. Questi ultimi sono quelli che vengono resi a favore di particolari categorie (anziani, minori, portatori di handicap), ma non solo; vi rientrano pure le prestazioni che afferiscono all’occupazione del tempo libero o che riguardano attività culturali, educative, ricreative o sportive (biblioteche, musei, piscine, palestre). La ripartizione tra i servizi produttivi e quelli di indole prettamente sociale si basa, dunque, sul carattere o prevalentemente economico (trasporti, telecomunicazioni, energia ecc.) oppure prevalentemente sociale (sanitario, assistenziale, previdenziale ecc.) degli interessi considerati157. L’art. 128 comma 2 del D. L.vo 31 marzo 1998 n. 112, fornisce la definizione di “servizi sociali” 158, intesi come tutte quelle “attività relative alla predisposizione ed

156 V. R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma 2012-2013, pp. 217-218. 157 Cfr. D. SORACE, Diritto delle Amministrazioni pubbliche, cit. p. 176 ss. 158 Sui servizi sociali v., tra i tanti, E. FERRARI, cit., passim; V. CAPUTI JAMBRENGHI, I servizi sociali, in L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A ROMANO, F.A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA (a cura di), cit., tomo I, p. 1019 ss.; E. BALBONI, B. BARONI, A. MATTIONI, G. PASTORI, Il sistema integrato dei servizi sociali. Commento alla legge. n. 328 del 2000 e ai provvedimenti attuativi dopo la riforma del Titolo V della

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erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”. In materia di interventi e servizi sociali va segnalata la posizione di centralità che occupa ora la L. quadro 8 novembre 2000 n. 328. In genere, i servizi sociali consistono in prestazioni di determinate utilità erogate per le esigenze della vita, come la fornitura di alloggi di tipo popolare o la predisposizione di dormitori pubblici oppure l’assunzione di trasporti pubblici locali con tariffe ridotte per determinate categorie disagiate di utenti. Spesso tali prestazioni sono dirette a sopperire alle condizioni dei ceti meno abbienti. Sono servizi sociali anche gli asili nido, gli interventi a favore di invalidi civili, di ciechi civili, di sordomuti, il soccorso e l’assistenza alle vittime di catastrofi e calamità naturali ecc. Il carattere di “socialità”, in coerenza con l’orientamento giurisprudenziale espresso dal Consiglio di Stato159, supera, comunque, la vecchia concezione che lo ancorava alla tutela di fasce di persone ritenute marginali. Si tratta sostanzialmente di prestazioni finalizzate essenzialmente alla tutela del benessere della persona che non realizzano profitti e riguardano ambiti in cui l’Ente che li assume non si prefigge di svolgere un’attività industriale ed economica. Sulla summa divisio illustrata si tornerà, più dettagliatamente, in seguito. Vi sono, poi, i servizi che sono stati etichettati, sulla base della formulazione dell’art. 43 Cost., di preminente interesse generale, in riferimento ai quali il Legislatore, sulla base dei presupposti prescritti da tale norma, ha provveduto all’organizzazione in regime di riserva-monopolio. La riserva di cui all’art. 43 Cost., da disporsi con legge in favore dello Stato, di altri Enti pubblici o di comunità di lavoratori o di utenti, si riferisce, dunque (anche) a servizi pubblici “essenziali” che abbiano “carattere di preminente interesse generale”, per i quali può essere esclusa la libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost. Con riferimento alla nozione di servizi di preminente interesse generale, va detto che l’art. 1 comma 1 del D. L.vo 22 luglio 1999 n. 261 (non abrogato dalla successiva disciplina delle liberalizzazioni delineata dal D. L.vo 31 marzo 2011 n. 58) qualifica “attività di preminente interesse generale” quei “servizi” che attengono alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali, nonché la realizzazione e l’esercizio della rete postale pubblica”. Si tratta di una disciplina legislativa introdotta per ragioni di adattamento dell’ordinamento interno al diritto dell’Unione europea, per cui non risulta pienamente in linea con la nostra Carta costituzionale che si riferisce ad un campo di applicazione assai più ampio. In ogni caso, nell’ottica di riservare determinati servizi cruciali alla mano pubblica, prima della adozione della Carta costituzionale, sono state nazionalizzate le ferrovie (1905), la telefonia (1907) e, successivamente ad essa, l’energia elettrica (1962). Sul finire del XX secolo le spinte del diritto europeo, che trovava, e trova tuttora, nella disciplina della concorrenza uno dei suoi capisaldi, hanno imposto la soppressione o la limitazione delle riserve pubblicistiche originarie e favorito l’accesso al mercato dei servizi pubblici (pure) nazionali, degli operatori privati, prevedendo la liberalizzazione,

Costituzione, Milano 2003: S.A. FREGO LUPPI, Servizi sociali e diritti della persona, Milano 2004 A. GUALDANI, I servizi sociali tra universalismo e selettività, Milano 2007; A. ALBANESE, Diritto all’assistenza e servizi sociali. Intervento pubblico e attività dei privati Milano 2007; M.T.P. CAPUTI JAMBRENGHI, cit., p. 11 ss. 159 V. Cons. Stato, Sez. V, sent. 12 agosto 1998 n. 1261, in Cons. Stato 1998, I, 1161.

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anche solo parziale, di alcuni settori (telecomunicazioni, trasporti aerei, ferroviari, marittimi, elettricità, gas naturale, poste ecc.) Anche a livello di Enti locali alcune disposizioni legislative hanno riservato ai Comuni determinate tipologie di servizi, sottraendo conseguentemente la facoltà ai privati di esercitare la medesima attività (es. smaltimento dei rifiuti solidi urbani, pubbliche affissioni, mattatoi, servizi funebri, servizi idrici integrati in contitolarità con le Province). Sono stati, per diverso tempo, in regime di privativa i pubblici servizi locali relativi ai mercati all’ingrosso ortofrutticoli, delle carni e dei prodotti ittici, nonché le centrali del latte. Tale regime, valido solo nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge, è stato prescritto, a volte, come obbligatorio (es. raccolta e smaltimento rifiuti) e, a volte, come facoltativo (es. macelli)160. La legge n. 448 del 2001 ha soppresso il comma 2 dell’art. 112 del testo unico n. 267 del 2000, il quale recitava: “I servizi riservati in via esclusiva ai Comuni e alle Province sono stabiliti dalla legge”. L’abrogazione esplicita di tale norma ha svolto, evidentemente, una funzione sollecitatoria161 diretta ad aprire, ove sia possibile, i servizi pubblici locali al regime concorrenziale. Si dovrebbe perciò concludere che la tendenza legislativa sia ormai da tempo orientata, salvo eccezioni, nel senso della liberalizzazione e dell’apertura al regime concorrenziale dei servizi pubblici (pure) locali. Il Legislatore statale, con la legge n. 448 del 2001, ha optato nel senso indicato, contemperando due esigenze in attuazione dell’art. 117 comma 2 lett. e) e m) Cost. In particolare, ha soppesato il valore della “tutela della concorrenza”, materia, come è noto, trasversale, dato che il regime di riserva, privativa o monopolio, disposto, con legge, in favore di un determinato operatore, annulla totalmente, quanto meno per un certo periodo di tempo, la competizione delle altre imprese aspiranti ad entrare nello specifico mercato per aggiudicarsi il servizio. Spetta certamente al Legislatore statale stabilire le limitazioni “estreme” alla concorrenza stessa. D’altra parte, compete allo Stato assicurare i livelli minimi, sull’intero territorio nazionale, delle prestazioni di carattere civile e sociale, anch’essa branca trasversale. La scelta effettuata dal Legislatore nazionale con la legge n. 448 del 2001 si giustificherebbe, in relazione a tale materia, sulla base del presupposto, ampiamente dimostrato dalle scienze economiche, che il regime concorrenziale eleva la qualità delle prestazioni fornite (e, dunque, a fortiori ne garantisce i livelli essenziali), comportando il confronto tra più competitori. Inoltre, in ragione di tale competizione, si registra la tendenza da parte degli operatori a mantenere più bassi i costi delle prestazioni erogate in favore della collettività. Devono, pertanto, ritenersi illegittime legislazioni di settore regionali che sanciscano, per talune categorie di servizi, potenzialmente soggetti alle regole del mercato, in “via autonoma”, regimi di riserva o privativa non previsti o “autorizzati” dal Legislatore statale. In passato, ci si era posti il problema se la riserva, allora esistente per determinate prestazioni in base alla legge statale, imponesse implicitamente un obbligo per l’Ente pubblico di assumere i servizi in oggetto. La dottrina, con riferimento al regime previsto dalla legge n. 142 del 1990, si era espressa nel senso della “mera facoltà”162. Per essi si era pure ritenuto legittimo l’affidamento in concessione del servizio in quanto la riserva, che trova fondamento nell’art. 43 Cost., sarebbe afferita solo al diritto di impresa e non anche alla forma di gestione163. 160 V. G. CAIA, Commento artt. 22-23, legge. n. 142 del 1990, cit., p. 280. 161 Cfr. S. PIGNATARO, I servizi pubblici locali nel nuovo sistema delle autonomie, cit., p. 74 ss. 162 V. ad esempio, E. BARUSSO, Ordinamento comunale, Milano 1992, p. 396. 163 Cfr. A. TROCCOLI, cit , p. 988. SS.; C. TESSAROLO, L’azienda speciale, Brescia 1994, pp. 12-13.

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Ebbene, l’apertura alla concorrenza dei servizi pubblici locali e la spinta verso le liberalizzazioni delle attività economiche164 aveva indotto, in particolar modo, il Legislatore statale, agli inizi del nuovo secolo fino ai primi anni Dieci, all’adozione di alcune disposizioni non più vigenti165. Ad esse ha fatto riscontro un’ulteriore normativa ancora in vigore. L’art. 34 del D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012 n. 221, al comma 13, recita: “per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’Ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste.” Nel complesso, esaminando la normativa che si è succeduta negli ultimi anni, unitamente ai principi di diritto europeo che regolano gli affidamenti, va detto che il Legislatore ha perseguito, in particolare, per i servizi pubblici locali a rilevanza economica, il regime di concorrenza “per il mercato” e non quello di concorrenza “nel mercato”. In realtà, il servizio predisposto, nella fattispecie, dall’Amministrazione locale, nelle forme di legge, esclude che altri imprenditori possano svolgere “identica” attività in favore della collettività amministrata. Ma ciò che è impedito all’Amministrazione, in osservanza del diritto europeo ed interno, è la possibilità di scegliere le eventuali imprese private ovvero i soci privati di società miste cui affidare il servizio a rilevanza economica senza l’esperimento di apposita procedura comparativa ad evidenza pubblica166.

164 Sul tema v., di recente, B.G. MATTARELLA, A. NATALINI (a cura di), La regolazione intelligente. Un bilancio critico delle liberalizzazioni italiane, Firenze 2013; G. NAPOLITANO, Liberalizzazioni e buona amministrazione, in Giorn. dir. amm. 2015, p. 293 ss. 165 V., in particolare, l’ art. 23-bis del D.L.25 giugno 2008 n. 112, aggiunto, in sede di conversione, dalla L. 6 agosto 2008 n. 133, successivamente modificato ed integrato (da più interventi legislativi). La norma in questione è stata abrogata con il D.P.R. 18 luglio 2011 n. 113, per effetto dell’esito del referendum svoltosi il 12 e il 13 giugno 2011. V., altresì, l’art. 4 comma 1 del D.L. 13 agosto 2011 n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011 n. 148, anch’esso non più in vigore, per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Consulta, sent. 20 luglio 2012 n. 199 (in questa Rassegna, 2012, III, 623), perché la disposizione predetta risultava sostanzialmente riproduttiva del menzionato ed abrogato art. 23-bis. Sul punto la Corte costituzionale, con sent. 26 gennaio 2011 n. 24 (in questa Rassegna, 2011, III, 29), ha chiarito che dall’abrogazione dell’art. 23-bis non è conseguita alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (il riferimento è chiaramente rivolto alle disposizioni dell’art. 113 del testo unico n. 267 del 2000, abrogate, implicitamente ed indirettamente, dall’art. 23-bis predetto ed, esplicitamente e direttamente, dall’art. 12 del D.P.R. 7 settembre 2010 n. 168), né, tanto meno, è derivato alcun vuoto normativo, ma implica l’applicazione immediata, nel nostro ordinamento, della normativa comunitaria. 166 Sull’evidenza pubblica cfr. G. GRECO, I contratti della Amministrazione tra pubblico e privato, Milano 1986; G. PITTALIS, voce Appalto pubblico, in Dig. disc. pubbl., vol. I, Torino 1987, p. 292 ss.; F.P. PUGLIESE, voce Contratto. V) Contratti della Pubblica amministrazione, in Enc. giur., vol. IX, Roma 1988, p. 1 ss.; D. BORTOLOTTI, voce Contratti della Amministrazione pubblica, in Dig. disc. pubbl., vol. IV, Torino 1989, p. 36 ss.; C. ANELLI, F. IZZI, C. TALICE, Contabilità pubblica, Milano 1996; A. ANGIULI, Consenso e autorità nell’evidenza pubblica, in Dir. amm. 1998, p. 167 ss.; AA.VV., Contabilità di Stato e degli Enti pubblici, Torino 1999; A. BENEDETTI, I contratti della Pubblica amministrazione tra specialità e diritto comune, Torino 1999; C. GALLUCCI, voce Appalto. II) Appalto pubblico, in Enc. giur., vol. II, Roma 2000, p. 1 ss.; A. CARULLO, voce Appalti pubblici, in Enc. dir., agg., vol. V, Milano 2001, p. 79 ss.; E. MELE, I contratti delle Pubbliche amministrazioni, Milano 2002; A. MASSERA A., I contratti, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo generale, cit., tomo II, p. 1547 ss.;

M. SANINO, Procedimento amministrativo e attività contrattuale della Pubblica amministrazione, Torino 2003; R. CARANTA, I contratti pubblici, Torino 2004.

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La disciplina vigente in tema di servizi pubblici locali a rilevanza economica non sembra consentire, fatte salve eventuali deroghe espresse contenute in normative di settore, una concorrenza “nel mercato”, che permetterebbe la presenza di più operatori in piena concorrenza tra loro in un medesimo territorio167. La scelta di introdurre la concorrenza “per il mercato”, e non la concorrenza “nel mercato”, è giustificabile sulla base degli stessi principi di concorrenza. Infatti, in presenza di monopoli naturali o di risorse scarse, è impossibile che il servizio sia prestato da una pluralità di operatori in condizioni di redditività. Ne consegue che, al cospetto di risorse caratterizzate da limiti tecnici ed infrastrutturali, è sufficientemente rispettoso delle regole della concorrenza che questa sia assicurata nella fase della scelta dell’operatore, prevedendosi un confronto per mezzo di una gara pubblica tra più operatori (concorrenza “per il mercato”). Va anche precisato che l’esigenza di garantire l’apertura alla concorrenza degli operatori è stata realizzata dal Legislatore, altresì, fissando, in più norme, una durata ridotta e predeterminata degli affidamenti e assicurando l’accesso indiscriminato alla rete. Per alcuni servizi pubblici, non caratterizzati da specifiche tecniche ed infrastrutture, che rendono necessaria la limitazione del numero degli operatori, sembra corretto ritenere168 che si debba espandere il principio per cui la gestione avvenga in regime di piena concorrenza “nel mercato”. In una simile direzione si è mosso il Legislatore nazionale, in merito ad alcuni servizi statali, come le poste e il trasporto aereo, laddove, accanto alle società per azioni in mano pubblica delle Poste Italiane e alla Compagnia di bandiera Alitalia competono, a pieno titolo, imprese private italiane e straniere che offrono servizi ad analoghe condizioni. Riprendendo, poi, il tema dei servizi pubblici locali, va puntualizzato come si possano contrapporre ai servizi a “carattere produttivo” quelli o a “domanda individuale”. I primi consistono in una prestazione per la quale si richiedono canoni, contributi o prezzi agli utenti a prescindere dal reddito degli stessi (es. servizio idrico, elettrico, gas)169. Il corrispettivo è calcolato in ragione della quantità fornita. I secondi sono quelli che mirano a soddisfare bisogni che, pur avendo rilevanza generale, sono tuttavia resi su iniziativa del richiedente. Questi ultimi sono stati individuati dal D.M. 31 dicembre 1983, emanato ai sensi dell’art. 6 del D.L. 28 febbraio 1983 n. 55, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 1983 n. 131, e modificato marginalmente, abbastanza di recente. Nella premessa del decreto ministeriale anzidetto si precisa che nei servizi a domanda individuale rientrano “l’insieme delle attività gestite dall’Ente, che siano poste in essere non per obbligo istituzionale, che vengono utilizzate a richiesta dell'utente e che non siano state dichiarate gratuite per legge nazionale o regionale”. Tali attività comportano delle uscite che, in parte, trovano copertura in appositi fondi ed, in parte, nell’applicazione di tariffe. La disciplina dei costi e delle tariffe dei servizi pubblici a domanda individuale è regolata, da più norme, ognuna delle quali inerente ad uno specifico settore. La mancanza di un testo omogeneo ha comportato, comunque, un diverso regime dei costi per ciascuna delle categorie previste dal citato decreto ministeriale. Le categorie dei servizi pubblici a domanda, individuate dallo stesso decreto ministeriale, come in seguito modificato, sono:

167 V. A. GUALDANI, Servizi a rilevanza industriale e servizi privi di rilevanza industriale, in A. TRAVI (a cura di), La riforma dei servizi pubblici locali, in Le nuove leggi civ. comm. 2003, p. 16. 168 Cfr. V. MARTELLI, I servizi e gli interventi pubblici locali, cit., pp. 609-610, la quale, a proposito del regime di piena concorrenza nel mercato valevole per i servizi pubblici locali a rilevanza economica, fa l’esempio del trasporto a mezzo taxi. 169 V. T.A.R. Lombardia, Sez. III, 21 novembre 1992 n. 691, in I T.A.R. 1993, I, 79.

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1) alberghi, esclusi i dormitori pubblici, case di riposo e di ricovero; 2) alberghi diurni e bagni pubblici; 3) asili nido; 4) convitti, campeggi, case per vacanze, ostelli; 5) colonie e soggiorni stagionali, stabilimenti termali; 6) corsi extra scolastici di insegnamento di arti e sport e altre discipline, fatta eccezione per quelli espressamente previsti dalla legge; 7) giardini zoologici e botanici; 8) impianti sportivi: piscine, campi da tennis, di pattinaggio, impianti di risalita e simili; 9) mattatoi pubblici; 10) mense, comprese quelle ad uso scolastico; 11) mercati e fiere attrezzati; 12) parcheggi custoditi e parchimetri; 13) pesa pubblica; 14) servizi turistici diversi: stabilimenti balneari, approdi turistici e simili; 15) spurgo di pozzi neri; 16) teatri, musei, pinacoteche, gallerie, mostre e spettacoli; 17) trasporti di carni macellate; 18) trasporti funebri, pompe funebri; 19) uso di locali adibiti stabilmente ed esclusivamente a riunioni non istituzionali: auditorium, palazzi dei congressi e simili. Altre norme esistenti in merito ai servizi pubblici locali dividono i servizi “indispensabili”, e quelli, per così dire “facoltativi”. In riferimento ai primi, la loro essenzialità e trasversalità e, parallelamente, l’inadeguatezza di una eventuale offerta privata rispetto a esigenze collettive, si presentano pressoché immutate nel tempo e nello spazio, pur potendo variare le condizioni e le modalità concrete di erogazione170. La loro assunzione costituisce atto vincolato per l’Amministrazione provinciale e comunale, essendo gli stessi “necessari per lo sviluppo della comunità”. I secondi, per così dire facoltativi, invece, sono quei servizi la cui predisposizione o assunzione sono rimesse alla discrezionalità dei singoli Enti locali. I servizi indispensabili forniti dalle Amministrazioni locali sono stati individuati dal D.M. 28 maggio 1993, in virtù della delega contenuta all’art. 11 del D.L. 18 gennaio 1993 n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 marzo 1993 n. 68. Rientrano in tale novero quei servizi il cui impianto sia previsto come obbligatorio e che l’Ente locale deve garantire a prescindere dalla sua disponibilità finanziaria171. Essi riguardano quelle prestazioni finanziate da entrate fiscali che integrano la contribuzione erariale. Per servizi indispensabili si intendono, ai sensi dell’art. 37 comma 3 lett. h) del D. L.vo 30 dicembre 1992 n. 504, quelle prestazioni che “rappresentano le condizioni minime di organizzazione dei servizi pubblici locali e che sono diffusi sul territorio con caratteristica di uniformità”. Per i Comuni essi sono: servizi connessi agli organi istituzionali; servizi di amministrazione generale, compreso il servizio elettorale; servizi connessi all’ufficio tecnico comunale; servizi di anagrafe e di stato civile; servizio statistico; servizi connessi con la giustizia; servizi di polizia locale e di polizia amministrativa; servizio di leva militare; servizi di protezione civile, di pronto intervento e di tutela della sicurezza pubblica; servizi di istruzione primaria e secondaria; servizi necroscopici e cimiteriali; servizi connessi alla distribuzione dell’acqua potabile; servizi di fognatura e

170 In tal senso R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 217. 171 V. R. DELLI SANTI, X. SANTIAPICHI, cit., 158.

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di depurazione; servizi di nettezza urbana; servizi di viabilità e di illuminazione pubblica. I servizi indispensabili della Provincia sono: servizi connessi agli organi istituzionali; di amministrazione generale; servizi connessi all’ufficio tecnico provinciale; servizi connessi all’istruzione tecnica e scientifica; servizi connessi al provveditorato agli studi; servizi di tutela ambientale; servizi di assistenza all’infanzia abbandonata, ai ciechi ed ai sordomuti; servizi di viabilità provinciale; servizi connessi agli interventi nell’agricoltura. Ove il disegno di legge costituzionale mirante, tra l’altro, alla soppressione delle Province (AS1429), si traduca in concreto, i predetti compiti-servizi potranno essere allocati in capo ad altre Amministrazioni, segnatamente ad altri Enti territoriali (in particolare, i Comuni, ma, in misura minore, anche le Città metropolitane e le Regioni), secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza sanciti dall’art. 118 Cost. Va anche detto che, in base all’art. 1 comma 44 lett. c) della L. 7 aprile 2014 n. 56 (successivamente modificata ed integrata), le Città metropolitane hanno la funzione generale di strutturare “sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici” e di organizzare “i servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano”. I servizi indispensabili delle Comunità montane sarebbero, poi, secondo il regolamento statale predetto, servizi connessi agli organi istituzionali; servizi di amministrazione generale; servizi connessi all’assetto del territorio ed ai problemi dell’ambiente; servizi connessi agli interventi nell’agricoltura e nell’artigianato. Attualmente, si pone il problema della copertura costituzionale, anche parziale, delle norme regolamentari statali menzionate, per via del nuovo impianto del Titolo V, Parte II, Cost. che ha ampliato gli ambiti di competenza legislativa e regolamentare regionale oltre a potenziare l’autonomia statutaria e regolamentare dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane. Sul punto si ritornerà, brevemente, in chiusura del presente lavoro. Ciò precisato, va detto che, in virtù di specifiche previsioni piuttosto datate e contenute in testi normativi diversi, devono essere necessariamente resi alla comunità locale le prestazioni concernenti i trasporti funebri, il servizio idrico integrato, le pubbliche affissioni. I servizi pubblici, per così dire, facoltativamente assumibili dall’Ente locale si innestano nella previsione di cui all’art. 112 comma 1 del decreto legislativo n. 267 del 2000 predetto, che individua, come si è detto, quali unici criteri di delimitazione l’oggetto (produzione di beni ed attività) e la finalità (realizzazione di fini sociali e promozione dello sviluppo economico e civile delle comunità locali). Per tale motivo l’Ente locale può deliberare di fare proprie tutte quelle attività che, in un determinato momento storico, ritenga possano avere un ritorno positivo sulla comunità locale purché, beninteso, la legge non le riservi ad altro livello territoriale o istituzionale. I servizi pubblici sono stati definiti “essenziali”, dal Legislatore ordinario, in via generale, quando sono diretti “a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione” (art. 1, legge n. 146 del 1990, successivamente modificata ed integrata). In concreto, si tratta di servizi attinenti alla sanità, igiene pubblica, protezione civile, raccolta e smaltimento di rifiuti, trasporti, previdenza, assistenza, istruzione, poste, telecomunicazioni ecc. Per quanto anzidetto, l’elencazione, ritenuta pacificamente di carattere meramente esemplificativo, sembra ricomprendere nella nozione in questione anche funzioni pubbliche quali la giustizia, la sicurezza e l’ordine pubblico.

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Va precisato comunque che, ove i servizi pubblici essenziali siano prodotti da imprese, queste ultime operano, in genere, in regime di concorrenza172. Ebbene, come si accennava, l’interpretazione espressa dalla Autorità istituita dalla legge n. 146 del 1990 ha teso ad inglobare nella nozione in questione, non solo le attività integranti servizi pubblici in senso stretto, ma altresì quelle prestazioni predisposte da imprese private o lavoratori autonomi o professionisti per fini di lucro e di natura sinallagmatica, che abbiano un elevato grado di utilità per la collettività (es. taxi, avvocati) che, come innanzi espresso, non paiono possedere i canoni necessari per tale inquadramento. A parte ciò, va segnalato che la sostanziale o tendenziale equivalenza di significati tra attività che abbiano “carattere di preminente interesse generale” (art. 43 Cost.), o imprese che si riferiscano a “servizi pubblici essenziali” (art. 43 Cost., legge n. 146 del 1990, richiamata anche dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 gennaio 1994, e decreto legislativo n. 261 del 1999) e servizi pubblici (locali) indispensabili” (decreto ministeriale 28 maggio 1993), potrebbe fuorviare l’interprete, generando confusione tra tipologie di prestazioni aventi qualificazioni similari, ma soggette a regimi (talvolta profondamente) diversi. Nel quadro dei servizi pubblici resi dalle Amministrazioni locali possono distinguersi ulteriormente quelli di “esclusivo interesse comunale” che si svolgono nell’ambito del territorio di un solo Comune, e quelli di “interesse sovracomunale” quando, per poter essere convenientemente erogati, richiedono l’associazione di più Comuni. Inoltre, i servizi pubblici locali possono essere “propri” o di “competenza statale”. In questa seconda area rientrano, a norma dell’art. 14 del decreto legislativo n. 267 del 2000, le attività espletate, nei Comuni, dagli uffici elettorali, di anagrafe, stato civile, leva, statistica, qualificati pure servizi indispensabili e burocratici o istituzionali dalla normativa vigente. 4) In particolare: la scissione tra i servizi pubblici locali a rilevanza economica e quelli privi di tale rilevanza La scissione tra servizi pubblici locali a rilevanza economica e servizi pubblici locali privi di rilevanza economica173, come si accennava, è stata scandita dall’art. 14 del decreto legge n. 269 del 2003, in luogo della precedente distinzione, vigente per un lasso temporale abbastanza limitato, tra servizi pubblici locali a rilevanza industriale e servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale174, sancita dall’art. 35 della legge n. 448 del 2001. Il Legislatore, nell’uno e nell’altro caso, non ha precisato il significato da attribuire alle diverse espressioni utilizzate. È importante, quindi, comprendere il significato di servizi a rilevanza industriale e quello di servizi a rilevanza economica, entrambi

172 Tale circostanza è evidenziata da, A. ZUCCHETTI, I servizi pubblici locali, cit., p. 53. 173 Tra gli scritti che affrontano il problema della rilevanza economica o meno dei servizi pubblici locali v. A. PURCARO, La riforma dei servizi pubblici locali: appunti a margine dell’art. 14 del decreto legge n. 269 del 2003. in LexItalia.it 2003; G. PIPERATA, I servizi culturali nel nuovo ordinamento dei servizi degli Enti locali, in Aedon 2003; T. TESSARO, I servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, in Com. d’Italia 2004, p. 28 ss.; G. CAIA., Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, in F. GABRIELE. (a cura di), Il governo dell’economia tra “crisi dello Stato” e “crisi del mercato”, Bari 2005, p. 89 ss.; W. GIULIETTI, Servizi a rilevanza economica e servizi privi di rilevanza economica, in S. MANGIAMELI (a cura di), cit., p. 83 ss. 174 Sulla rilevanza industriale o meno dei servizi v. G. PERICU, Fattispecie e regime della gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale, in Aedon 2002; S.C. SORTINO, I servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale, in Nuova Rass. 2002, p. 685 ss.; A. GUALDANI, Servizi a rilevanza industriale e servizi privi di tale rilevanza, cit., p. 13 ss.

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apparsi agli studiosi abbastanza dubbi e dai confini incerti175. Di riflesso, si potranno desumere i concetti di servizi privi di rilevanza industriale e privi di rilevanza economica. Mentre l’art. 35 comma 16 della legge n. 448 del 2001 rinviava ad un futuro regolamento governativo (mai emanato per la sopravvenuta abrogazione del predetto comma) la specificazione, nel dettaglio, delle tipologie di servizi cui attribuire la rilevanza industriale, il decreto legge n. 269 del 2003 non ha demandato alla fonte regolamentare statale l’individuazione di quali tipologie di servizi debbano rientrare nella locuzione a rilevanza economica. Sicché, l’Ente locale, a seguito della riforma del 2003, è divenuto assegnatario di un certo margine di discrezionalità, dovendo esso stesso, per le tipologie di servizi su cui la legge non prenda una posizione espressa, qualificare il servizio a rilevanza economica o meno, con ciò facendolo ricadere in due differenti aree di disciplina, con le conseguenti profonde diversificazioni sul fronte delle possibilità di scelta della forma gestionale. In particolare, la gestione dei servizi pubblici inquadrati tra quelli a rilevanza economica, a seguito del decreto legge n. 269 del 2003, doveva adeguarsi alle previsioni dell’art. 113 comma 5 del testo unico n. 267, da esso novellato e, successivamente, abrogato dal D.P.R. 7 settembre 2010 n. 168, e, ora, deve conformarsi alla normativa europea, direttamente applicabile nell’ordinamento interno. La gestione dei servizi pubblici privi di rilevanza economia avveniva nell’ambito delle forme gestorie contemplate dall’art. 113-bis del predetto testo unico, non più vigente per effetto della dichiarazione di incostituzionalità pronunciata con la sent. n. 272 del 27 luglio 2004176 del giudice delle leggi, che ha ritenuto la norma predetta una illegittima compressione dell’autonomia regionale e locale; pertanto, ora, deve adeguarsi alle prescrizioni contenute nelle diverse legislazioni regionali. La classificazione dei servizi pubblici locali in base alla loro rilevanza o non rilevanza economica risulta, dunque, alquanto complessa alla luce di un sistema legislativo che non fornisce idonei supporti letterali177, con l’ulteriore importante implicazione che la opzione, da parte dell’Amministrazione, tra l’una e l’altra categoria, comporta l’esclusione o l’applicazione rigorosa delle regole della concorrenza, valevoli solo per i servizi a rilevanza economica178. Alcuni autori179, dopo l’entrata in vigore della novella del 2003, hanno fortemente criticato la mancanza di specificazione legislativa circa la rilevanza economica e non dei servizi pubblici locali, che ha reso difficoltosa l’individuazione della normativa da applicare alle fattispecie concrete. Procedendo con ordine, bisogna tentare di chiarire quale sia il significato della pregressa espressione rilevanza industriale, ritornata, peraltro, di attualità per effetto della legge n. 190 del 2014. Alcuni studiosi180 hanno sottolineato che per servizi pubblici a rilevanza industriale debbano intendersi quelle attività potenzialmente produttive di utili, mentre altrettanto non può dirsi per quelli privi di tale rilevanza, che, addirittura, potrebbero incorrere nella tendenza opposta ed essere coperti da costi sociali. 175 Critica a riguardo B. BOSCHETTI, Enti locali e iniziativa economica, in Le Reg. 2007, p. 793. 176 In Giur. cost. 2004, 2748, con nota di S. BELLOMIA, A proposito dei servizi privi di rilevanza economica e di gestione dei beni culturali. 177 V. F. NICOTRA, cit. 178 A riguardo, La Commissione europea, nel “Libro Verde sui servizi di interesse generale” (COM-2003-270) del 21 maggio 2003, ha affermato che le norme sulla concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche. 179 V. ad esempio, B. BOSCHETTI, Enti locali e iniziativa economica, cit., p. 793. 180 V. ad esempio, V. MARTELLI, I servizi e gli interventi pubblici locali, cit., p. 609; M. DUGATO, I servizi pubblici degli Enti locali, in Giorn. dir. amm. 2002, p. 219.

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Per autorevole dottrina181 sarebbero i caratteri dell’imprenditorialità, concorrenzialità ed economicità che contraddistinguerebbero i servizi pubblici di rilevanza industriale. Alcuni autori182 evidenziano che i servizi pubblici di rilevanza industriale richiederebbero impianti, stabilimenti o dotazioni di carattere industriale, atti a trasformare determinati beni preesistenti in nuovi beni o servizi da porre sul mercato. Qualche studioso183 ha fatto riferimento al bisogno di ingenti investimenti, ritenendo il richiamo al concetto di industria collegato allo svolgimento di un’attività economica precipuamente diretta alla produzione di ricchezza, attraverso la trasformazione di prodotti naturali e la produzione di beni o servizi in un certo settore con l’impiego di un forte investimento di capitale. Secondo un’altra prospettiva184 sarebbe industriale quel servizio per il quale è previsto il ricorso al modello della contabilità analitica o industriale. Una parte della dottrina185, criticando la scelta effettuata dalla legge n. 448 del 2001 di rinviare alla fonte regolamentare statale la individuazione dei servizi a rilevanza industriale, ha sottolineato come nel nostro ordinamento l’attività industriale è descritta come attività di impresa di produzione di beni e servizi, in contrapposizione con quella commerciale in senso stretto, consistente nella attività di interposizione nella circolazione di beni e servizi186. I servizi pubblici privi di rilevanza industriale sono stati, così, talvolta, ricondotti a quelli appartenenti alla categoria del terziario come i servizi culturali e i servizi alla persona187. Secondo un’opinione accreditata188 dovrebbe qualificarsi a rilevanza industriale quel servizio che, in quanto teso a soddisfare esigenze qualitativamente omogenee, sia suscettibile di tradursi in prestazioni standardizzate e di divenire, pertanto, oggetto di produzioni con tecniche industriali. A differenza di quelli industriali, consistenti in prestazioni sostanzialmente standardizzabili, oggetto, appunto, di produzione con tecniche industriali dirette alla trasformazione dei prodotti naturali con connessa produzione di manufatti o prestazioni correlate, i servizi sociali richiederebbero una diversa tipologia di prestazioni, non suscettibili di produzione seriale ed adattate agli specifici bisogni della persona189. In questa ottica, i servizi privi di rilevanza industriale sarebbero quelli il cui scopo consiste nella promozione dello sviluppo civile della comunità amministrata e nell’assolvimento di bisogni di “socialità”, intendendo come tali quei bisogni di aggregazione, di creazione di opportunità, di crescita del livello culturale e formativo e di benessere sociale. Andrebbero considerati servizi industriali, invece, quelli più propriamente destinati alla soddisfazione di bisogni primari o di base (fornitura di acqua, di energia ed il ciclo dei

181 V. P. VIRGA, Diritto amministrativo: Amministrazione locale, vol. 3, cit., 2003, p. 229. 182 Così R. DAMONTE, La gestione dei servizi pubblici dopo la Finanziaria, in Urb. e app. 2002, p. 254. 183 V. C. SAN MAURO, L’art. 35 della Finanziaria 2002. Prime note sui nuovi principi in tema di regolazione dei servizi pubblici locali, in Cons. Stato 2002, II, p. 2124. 184 V. M. RACCO, G. PETROCELLI, Il procedimento di scelta del partner privato, in E. MELE (a cura di) La società per azioni quale forma attuale di gestione dei servizi pubblici: la società per azioni per gli Enti locali, cit., p. 172. 185 V. M. DUGATO, I servizi pubblici degli Enti locali, cit., p. 219 ss. 186 Secondo G. CAIA, Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, cit., pp. 90-91, la definizione dei contorni dei concetti di rilevanza economica e non “è abbastanza semplice, perché essi coincidono sostanzialmente con quelli di cui all’art. 2082 Cod. civ. (e, per quanto di ragione, art. 2095) o, per differenza, con ciò che non vi può essere ricompreso”. 187 V. G.E. BERLINGERIO, cit., p. 223 ss. 188 V. D. SORACE, Diritto delle Amministrazioni pubbliche, cit., p. 167. 189 V. A. GUALDANI, Servizi a rilevanza industriale e servizi privi di rilevanza industriale, cit., p. 18.

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rifiuti) o di garanzia di utilità tipiche dello sviluppo economico più che sociale (come, ad esempio, il trasporto pubblico)190. L’idoneità dell’attività di carattere industriale ad essere condotta da privati e per uno scopo di lucro è considerata determinante da diversi autori191. Alcuni studiosi192 hanno rilevato come assumano piena rilevanza i criteri di remunerazione dell’investimento, della copertura dei costi di gestione, del conseguimento di un utile di impresa. Si può ritenere, tutto sommato, che gli indici tipici dell’industrialità di un servizio siano, in linea di massima, desumibili dal significato della locuzione industriale così come recepibili dalla realtà propria del mondo produttivo privato e siano riassumibili come di seguito193: -particolare complessità organizzativa del gestore; -necessità di risorse patrimoniali, strutturali e personali ingenti; -prevalenza del capitale fisso su quello circolante; -maggiore articolazione del ciclo produttivo; -maggiore incidenza dell’innovazione tecnologica; -rapporto prettamente civilistico-contrattuale tra fornitore del servizio e utente finale. In definitiva, nei servizi pubblici a rilevanza industriale sarebbe prevalente il fattore capitale, in quelli scevri di rilevanza industriale il fattore lavoro. Si è registrata una convergenza abbastanza ampia nel ricomprendere, nel novero dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale, la gestione del ciclo dell’acqua, la fornitura del gas, la raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti, la distribuzione dell’energia elettrica, il trasporto collettivo194. Secondo lo schema di regolamento che era stato predisposto dal Governo ex art. 35 comma 16 della legge n. 448 del 2001, che risulta, comunque, utile richiamare, sarebbero rientrati nel novero dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale: -la distribuzione del gas; -il servizio di trasporto locale; -la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati avviati allo smaltimento; -il servizio idrico integrato, di captazione, adduzione e distribuzione dell’acqua agli usi civili, di fognatura e di depurazione. Da notare che, nell’elencazione, non figurava il servizio relativo alla distribuzione dell’energia elettrica che, pure, detiene caratteri analoghi a quelli di approvvigionamento dell’acqua potabile e del gas, e dunque, oltre ad ingenti risorse personali e finanziarie, la presenza di infrastrutture (reti, impianti, dotazioni) tipiche di tali categorie di servizi (quali, nella fattispecie, linee, cavi, tralicci, strumentazioni, centrali, cabine ecc.). L’esclusione si sarebbe spiegata con la considerazione che l’erogazione dell’energia elettrica non è qualificata come servizio locale195. In ogni caso, per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 14 del decreto legge n. 269 del 2003, le disquisizioni dottrinarie basate sulla interpretazione del concetto di industrialità del servizio possono avere un’utilità più che altro indiretta e riflessa, per meglio comprendere il significato da attribuire all’espressione a rilevanza economica.

190 Così L. OLIVERI, Titolo V: Servizi e interventi pubblici locali, cit., p. 1032. 191 V. G. TESAURO, Intervento pubblico nell’economia e art. 90 n. 2 del Trattato CE, in Dir. Un. eu., 1996, p. 729 ss. 192 V. A. TESTA, La S.p.a. per la gestione dei servizi pubblici degli Enti locali, in AA. VV., La S.p.a. per la gestione dei servizi pubblici locali, Santarcangelo di Romagna 1995, p. 10, 193 V. S PIGNATARO, I servizi pubblici locali nel nuovo sistema delle autonomie, cit., pp. 121-123. 194 V., ad esempio, P. VIRGA, Diritto amministrativo: Amministrazione locale, vol. 3, cit., 2003, p. 229; D. IELO, La gestione di reti ed impianti e la separazione tra reti e servizi, in AA. VV. con il coordinamento di V. ITALIA, I servizi pubblici locali: guida operativa, cit., p. 111; R. DAMONTE, cit., p. 254; M. CAPPELLANO, La riforma dei servizi pubblici locali, in Nuove auton. 2002, p. 252. 195 V. A. TRAVI, Note introduttive, in ID. (a cura di), cit., p. 11 ed ivi la nota 33.

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Ciò sebbene, come più volte sottolineato, la recente legge n. 190 del 2014, all’art. 1 comma 609 riprenda il concetto di industrialità o, meglio, di gestione industriale dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, rendendolo, per certi versi, nuovamente attuale. La norma in esame, in realtà, utilizza la locuzione industriale quale aggettivo qualificativo riferito alla gestione di alcune tipologie di servizi a rete aventi rilevanza economica (come il servizio idrico integrato) con l’obiettivo di consentire e potenziare un sistema integrato di gestione, appunto industriale, tra di essi. Da questa locuzione non sembra, tuttavia, scaturire, in sé e per sé, alcuna conseguenza giuridica rilevante di ordine sostanziale, ulteriore. Ebbene, è chiaro che tutti servizi pubblici a rilevanza industriale sono, allo stesso tempo, a (forte) rilevanza economica, ma non anche il contrario, essendovi servizi a rilevanza economica che, per la loro più esigua astratta redditività, necessità di minori investimenti e più marcata semplicità gestionale, non integrano servizi a rilevanza industriale (si pensi alle farmacie comunali, alle centrali del latte ed ai macelli comunali). Il concetto di rilevanza economica non coincide, dunque, con quello di rilevanza industriale, perché la categoria dei servizi a rilevanza economica è più ampia ed idonea a ricomprendere qualsivoglia attività che possa produrre un utile o avanzo di gestione196, compresi ricavi di scarsa entità. Esso è apparsa197 più ristretta di quello adottato in precedenza, ossia di servizi di “rilevanza imprenditoriale”. In effetti, nel previgente regime normativo, la modalità tipica per la erogazione dei servizi a rilevanza imprenditoriale era rappresentata dall’azienda speciale e, per i servizi della stessa indole ma che, al tempo stesso, imponessero l’impiego di un contingente di personale più elevato, investimenti più consistenti e una maggiore complessità gestionale rispetto a quelli ordinariamente riscontrabili nella gestione delle aziende speciali, le società di capitali. Sicché, la rilevanza imprenditoriale sembra corrispondere con il concetto di rilevanza economica di entità modesta. Secondo una certa impostazione198 il significato proprio della locuzione rilevanza economica comprenderebbe tutti quei servizi erogati non a titolo gratuito, ossia che richiedono un corrispettivo che sia idoneo a retribuire i fattori produttivi impiegati per il loro assolvimento, in modo che i ricavi siano in grado di pareggiare quantomeno i costi. Si tratterebbe, così, di tutti quei servizi per i quali non sia previsto un prezzo politico e che non siano di regola coperti da costi sociali199 quali le attività a contenuto meramente socio-culturale. Va dato atto, poi, dell’orientamento espresso dalla Corte di giustizia CE, sent. 22 maggio 2003, causa 18/2001200, secondo cui, per appurare la rilevanza economica o meno di una attività integrante pubblico servizio, compete ai giudici nazionali valutare

196 Così G. CAIA, I servizi pubblici locali a 100 anni dalla legge Giolitti del 1903 (paper), p. 2, il quale evidenzia come sia intuibile che la categoria dei servizi con rilevanza industriale risulti più ristretta perché essa presuppone “una rilevante organizzazione di uomini e mezzi ed un conseguente impiego di capitale, nonché una complessità del processo di gestione”. 197 Cfr. G.E. BERLINGERIO, cit., p. 284. 198 V. A PURCARO, cit. 199 Secondo G. PERICU, M. CAFAGNO, Impresa pubblica, in Trattato di diritto amministrativo europeo diretto da M.P. CHITI, G. GRECO, vol, II, Milano 1997, p. 792, mentre nell’attività economica l’offerta delle prestazioni deve essere dimensionata in base a criteri di tipo efficientistico, quali la propensione a pagare dei clienti ed i costi sopportati per effettuarla, nelle attività non economiche le prestazioni sono allocate in base a criteri di merito o politici (mero criterio di cittadinanza, condizioni reddituali ecc.). Dunque, per G. PERICU, Fattispecie e regime della gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale, cit., la fornitura di quei beni (servizi) che la letteratura economica definisce meritori o altrimenti pubblici apparterrebbe al dominio dell’Amministrazione (e non dell’impresa). L’A. rileva come si sia fatto da più parti rinvio al metodo economico che consente la remunerazione degli imputs produttivi e, all’impresa, di essere autosufficiente sul mercato. 200 In Cons. Stato 2003, II, 1080.

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circostanze e condizioni in cui il servizio stesso viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione. Il Consiglio di Stato201 ha affermato che i servizi pubblici a rilevanza economica sono caratterizzati dalla almeno potenziale redditività e dalla complessità della attività svolta dalla società affidataria che può anche avere un oggetto sociale eterogeneo, ricomprendente sia attività a rilevanza economica che sociale. Importante è la puntualizzazione dei giudici di Palazzo Spada che, ai fini della qualificazione di un servizio pubblico locale, non deve ritenersi determinante la valutazione fornita dall’Amministrazione interessata, essendo necessario verificare, in concreto, se l’attività da espletare presenti o meno la caratteristica della redditività, anche solo in via meramente potenziale. La distinzione tra servizi di rilevanza economica e servizi privi di tale rilevanza sarebbe legata, secondo alcune pronunce del giudice amministrativo202, all’impatto che l’attività può avere sull’assetto della concorrenza ed ai suoi caratteri di redditività. Conseguentemente deve ritenersi di rilevanza economica il servizio che si innesta in un settore per il quale esiste, quantomeno in potenza, una redditività e, quindi, una competizione sul mercato e ciò ancorché siano previste forme di finanziamento pubblico, più o meno ampie, dell’attività in questione; deve, invece, considerarsi privo di tale rilevanza quello che, per sua natura o per i vincoli ai quali è sottoposta la relativa gestione, non dà luogo ad alcuna competizione e, quindi, appare irrilevante ai fini della concorrenza. Altre decisioni amministrative203, nella stessa scia, hanno sottolineato che, laddove il settore di attività sia economicamente competitivo e la libertà di iniziativa economica appaia in grado di conseguire anche gli obiettivi di interesse pubblico sottesi alla disciplina del settore, al servizio deve riconoscersi rilevanza economica; mentre, in via residuale, il servizio deve qualificarsi come privo di rilevanza economica laddove non sia possibile riscontrare i caratteri che connotano l’altra categoria. Ebbene, una parte della dottrina204 ha evidenziato, in linea con i dettami dell’Unione europea205, che la rilevanza economica potrebbe essere riconosciuta ai singoli servizi locali, non a priori206, come attributo riguardante la natura dell’attività, ma soltanto come conseguenza del “modello gestionale” scelto dall’Amministrazione per la loro organizzazione. In altri termini, secondo questa impostazione, la rilevanza economica del servizio pubblico locale deriverebbe dalla decisione dell’Ente di procedere alla gestione dello stesso secondo modalità in astratto idonee a garantire le entrate necessarie per coprire quantomeno i costi di produzione. Viceversa, la rilevanza economica andrebbe esclusa per quei servizi per i quali l’Amministrazione intende assicurare la copertura dei costi, ricorrendo alla fiscalità generale ovvero applicando prezzi politici. Approfondendo la questione, va detto che, secondo alcuni autori207, ciò che qualificherebbe un’attività come economica non è solo il fine produttivo cui essa è indirizzata, ma è anche il modo, il “metodo” con cui essa è svolta. In questa ottica, si

201 V. Cons. Stato, Sez. V, sent. 27 agosto 2009 n. 5097, in www.giustizia-amministrativa.it. 202 V. T.A.R. Sardegna, Sez. I, sent. 2 agosto 2005 n. 1729, in www.giustizia-amministrativa.it. 203 V. T.A.R. Liguria, Sez. II, sent. n. 527 del 2005, cit. 204 V. G. PIPERATA, I servizi culturali nel nuovo ordinamento dei servizi degli Enti locali, cit. 205 La Commissione europea, nel “Libro Verde sui servizi di interesse generale” cit., ha precisato che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha “carattere dinamico ed evolutivo”, cosicché non sarebbe possibile fissare “a priori un elenco definitivo” dei servizi di interesse generale di natura “non economica”. 206 Diversamente, per G. CAIA, Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, cit., p. 91, vi può essere un servizio che ha “rilevanza economica o meno in astratto”. 207 V. A. PURCARO, cit.

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rileva che l’attività produttiva può dirsi condotta con metodo economico quando è tesa al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi impiegati; quando è svolta con modalità che consentono nel medio-lungo periodo la copertura dei costi con i ricavi, altrimenti si ha consumo e non produzione di ricchezza. Si sottolinea che questo significato dell’espressione attività economica è chiaramente presente agli aziendalisti, che su di esso fondano la distinzione tra aziende di erogazione ed aziende di produzione, ma è altresì recepito sul piano legislativo per gli Enti pubblici. La produzione di beni e servizi da parte degli stessi in tanto è qualificabile quale attività imprenditoriale in quanto essi siano per legge tenuti ad operare secondo criteri di economicità. Questo sarebbe il significato che andrebbe attribuito, secondo questa impostazione, all’espressione “attività economica”. Nella nozione generale di imprenditore, per aversi impresa, è perciò essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico, secondo modalità che consentono, come già detto, quanto meno la copertura dei costi con i ricavi ed assicurino l’autosufficienza economica; dati questi da valutare oggettivamente, sulla base di indici esteriori percepibili dai terzi e con riferimento all’attività nel suo complesso e non ai singoli atti di impresa. Non è perciò imprenditore chi, soggetto pubblico o privato, produca beni o servizi che vengono erogati gratuitamente o a prezzo politico, tale, cioè, da far oggettivamente escludere la possibilità di coprire i costi con i ricavi. Così, non è imprenditore l’Ente pubblico o l’associazione privata che gestiscono gratuitamente o a prezzo simbolico un ospedale, una scuola, una mensa ecc. È, invece, imprenditore chi gestisce i medesimi servizi con metodo economico anche se ispirato da un fine pubblico o ideale ed anche se, ovviamente, le condizioni di mercato non consentono poi, in fatto, di remunerare i fattori produttivi. Si è evidenziato, peraltro, che neanche lo scopo di lucro è essenziale per qualificare l’attività di impresa; il nostro ordinamento conosce, infatti, l’impresa cooperativa e l’impresa consortile, laddove l’esercizio dell’attività, pur perseguito con metodo economico, è orientato verso altri fini quali la mutualità. Quindi, l’operatore potrà qualificare quali servizi a rilevanza economica tutti quei servizi pubblici locali assunti dall’Ente che siano gestiti con metodo economico, laddove la tariffa richiesta all’utente assolve allo scopo di coprire integralmente i costi di gestione. Ove, invece, i costi del servizio siano coperti facendo ricorso alla fiscalità generale ovvero applicando tariffe con lo scopo di esigere una mera compartecipazione dell’utenza, al servizio in questione andrà applicata la disciplina propria dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica. Da altro angolo visuale, si è, poi, teorizzata la centralità del fattore della gestione in “forma imprenditoriale” quale elemento discriminante. Talché, secondo un’autorevole opinione208, accanto alla tipologia o natura merceologica del servizio, andrebbe considerata la forma gestionale, nel senso che sarebbero di rilevanza economica quei servizi la cui erogazione avviene necessariamente in forma imprenditoriale; fermo restando che assume rilievo, comunque, la dicotomia tra servizi uti singuli, per i quali la legislazione impone una tariffa economica, e servizi uti universi, resi in chiave meramente erogativa; di modo che questi ultimi, che certamente non richiedono una organizzazione di impresa in senso obiettivo, sarebbero privi di rilevanza economica. Ancora, secondo questa ricostruzione, vi sarebbero servizi pubblici che presentano tipologicamente un carattere “neutro” e che acquisiscono rilievo economico o meno, a seconda del modo e, conseguentemente, del tipo di organizzazione, che l’Ente locale ha scelto; con ciò ritenendosi sufficiente, per l’interesse della collettività, che la

208 V. G. CAIA. Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, cit., pp. 91-92.

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prestazione vi sia, ancorché a pagamento, ovvero, all’opposto, che essa, per assumere la veste di servizio pubblico, debba essere resa gratuitamente o sottocosto. Ebbene, ciò premesso, come si accennava, l’art. 113 del testo unico n. 267 del 2000 (e successive modificazioni ed integrazioni) riguarda, in via generale, le “modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica”; mentre l’art. 113-bis, non più vigente, si incentrava sulla indicazione delle “forme di gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica”. Nel nostro ordinamento il discrimen tra le due tipologie di servizi pare legato unicamente alla “natura” o alle “caratteristiche merceologiche” delle attività erogate, connesse alle finalità tipiche di essa, dato che il Legislatore nazionale preindividua, sulla base di queste circostanze, senza ulteriori elementi di identificazione, taluni servizi a rilevanza economica e altri privi di rilevanza economica209. Difatti, l’art. 113 del testo unico n. 267 del 2000 (e successive modificazioni ed integrazioni) dedicato ai servizi pubblici locali a rilevanza economica, al comma 1 terzo periodo, prescrive che “restano esclusi dal campo di applicazione del presente articolo i settori disciplinati dai decreti legislativi 16 marzo 1999 n. 79, e 23 maggio 2000 n. 164”. Si tratta dei settori relativi al gas naturale e all’energia elettrica. A mente del successivo comma 1-bis, “le disposizioni del presente articolo non si applicano al settore del trasporto pubblico locale che resta disciplinato dal D. L.vo 19 novembre 1997 n. 422, e successive modificazioni, mentre il seguente comma 2-bis precisa che “le disposizioni del presente articolo non si applicano agli impianti di trasporti a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane”. I commi 15-bis e 15 ter del medesimo articolo, ora non più in vigore, menzionavano, inoltre, il “servizio idrico integrato”, conferendo allo stesso, stante la sua collocazione nell’art. 113, indirettamente e ipso facto, la rilevanza economica; carattere che permane anche nella normativa vigente. Se ne deduce che le tipologie di servizi indicate “energia elettrica”, “gas”, “trasporto pubblico” (tra cui il trasporto a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane), “servizio idrico integrato” sono ipso iure a rilevanza economica. La precisazione dell’esclusione dei servizi indicati dal campo di applicazione dell’art. 113 non avrebbe senso, infatti, se i servizi in questione non fossero inquadrabili, ex se, tra quelli a rilevanza economica e altrettanto dicasi per l’espressa previsione concernente il trasporto a fune di cui sopra. Attualmente, l’art. 34 comma 18 primo periodo del decreto legge n. 179 del 2012 recita, a proposito di alcune norme relative ai servizi pubblici locali a rilevanza economica, che esse non sono applicabili al “servizio di distribuzione di gas naturale, di cui al D. L.vo 23 maggio 2000 n. 164”, al “servizio di distribuzione di energia elettrica, di cui al D. L.vo 16 marzo 1999 n. 79 e alla L. 23 agosto 2004 n. 239”, nonché alla “gestione delle farmacie comunali, di cui alla L. 2 aprile 1968 n. 475”. Nella medesima direzione, lo stesso decreto legge, con l’art. 34 comma 23, ha inserito l’art. 3-bis comma 1-bis nel corpo del decreto legge n. 138 del 2011, il quale dispone che “le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani ....” . Dunque, secondo il Legislatore nazionale, per quanto appena detto, anche le farmacie comunali e la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti urbani integrano ipso iure servizi a rilevanza economica210, indipendentemente da ogni altro elemento identificativo o rivelatore. A ciò si contrapponeva la disposizione di cui all’art. 113-bis comma 3 ora non più vigente, secondo cui gli Enti locali “possono affidare direttamente i servizi culturali e 209 V. S. PIGNATARO, Il principio costituzionale del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, cit., pp. 139-140. 210 In precedenza, lo aveva affermato la giurisprudenza. V., ad esempio, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. unica, sent. 14 aprile 2003 n. 994, in I T.A.R. 2003, I, 1945.

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del tempo libero direttamente ad associazioni o fondazioni da essi costituite o partecipate”, determinando che tali servizi, poiché menzionati nell’art. 113-bis rivestivano, per ciò stesso, i connotati di prestazioni prive di rilevanza economica. Il ragionamento seguito, peraltro, nonostante la caducazione della norma appena indicata, non può che restare tuttora immutato, nella sostanza, stanti gli attuali assetti ordinamentali. Parimenti scevri di rilevanza economica sono da considerarsi i servizi burocratici o istituzionali erogati dall’Ente locale. Tale conclusione si connette, ipso facto, a quanto previsto, in precedenza, dall’art. 113-bis comma 2 del testo unico degli Enti locali e, ora, desumibile dalla normativa (complessivamente) vigente, dovendosi escludere, per tale tipologia di servizi, per quanto prima illustrato, tutte le forme eccetto quella in economia. Quest’ultima forma gestionale rappresenta, infatti, l’unica possibile, utilizzabile, evidentemente, solo per i servizi privi di rilevanza economica. Devono altresì considerarsi privi di rilevanza economica, in genere, tutti i servizi sociali, perché la forma tipica per la loro gestione, è, tuttora, secondo l’art. 114 comma 2 del testo unico n. 267 del 2000 (non intaccato direttamente dalla declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla citata sentenza della Consulta n. 272 del 2004), “l’istituzione”, forma gestoria prevista, unicamente, per i servizi privi di rilevanza economica [in passato, ciò si ricavava dalla lettura dell’art. 113-bis, comma 1 lett. a) e dell’art. 113 comma 5 del testo unico degli Enti locali]. Onde, può concludersi che, ai sensi del disposto complessivo del testo unico n. 267 del 2000 (e successive modificazioni ed integrazioni), i servizi sociali, ove se ne potesse dubitare, vadano indubbiamente considerati, ipso iure, privi di rilevanza economica. Dunque, da quanto illustrato, è evidente che la ratio legis è quella di qualificare come a rilevanza economica o meno alcune attività, in via preventiva e presuntiva, in ragione della natura merceologica dell’oggetto del servizio e delle sue finalità proprie, tipiche di esso. Ciò vale, senza dubbio, perché vi sono, come si è visto, servizi legislativamente inquadrati in una categoria o nell’altra; ma lo stesso criterio di identificazione dovrebbe essere valido per tutti i servizi. Esso dipende dalla vocazione della attività oggetto del servizio e dalle finalità che si intendono perseguire tramite la stessa a procurare o meno un utile di gestione e a collocarsi o meno su un mercato competitivo. Tale conclusione appare sacrosanta, nonostante sia stato rimarcato211 come il carattere economico o meno di un servizio pubblico locale non possa essere oggetto di definizioni aprioristiche, in quanto ineludibilmente collegato al contesto storico, geografico e sociale in cui è posizionato il mercato di riferimento; sicché la distinzione avrebbe carattere meramente convenzionale. Non sembra criterio caratterizzante il metodo di gestione, in quanto quest’ultimo deve essere, per tutti i servizi, imprescindibilmente e tendenzialmente improntato al principio di economicità212. In questo senso, la locuzione servizi a rilevanza economica e servizi privi di rilevanza economica appare utilizzata in maniera impropria; infatti, il Legislatore avrebbe potuto

211 V. G. MARCOU, Il servizio pubblico tra attività economiche e non economiche, in A. BRANCASI (a cura di), Liberalizzazione del trasporto terrestre e servizi pubblici economici, Bologna 2003, p. 324. Nella stessa direzione F.G. GRANDIS, La valutazione delle partecipazioni pubbliche nel bilancio dell'Ente holding, Torino 2010, p. 38. 212 Sul criterio di economicità (con riferimento alle imprese pubbliche) v., in particolare, F. ROVERSI MONACO, Gli Enti di gestione: struttura, funzioni, limiti, Milano 1967, 204 ss., successivamente ripresa e approfondita in ID., L'attività economica pubblica, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, diretto da F. GALGANO, , La Costituzione economica, vol. I , Padova 1977, p. 385 ss., nonché i saggi di E. CAPACCIOLI, Cenni sul criterio di economicità nella gestione delle partecipazioni statali, in Impr. amb. P.a. 1976, p. 47 ss., e G.P. ROSSI, I criteri di economicità nella gestione delle imprese pubbliche, in Riv. trim. dir. pubbl 1970, p. 237 ss.

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impiegare, in sua vece, l’attributo più corretto di servizi a rilevanza imprenditoriale e servizi privi di rilevanza imprenditoriale. Invero, l’impostazione suindicata, circa la necessaria univocità del metodo economico di gestione nei servizi pubblici, sembra contraddetta, oltre che da una parte della dottrina, dalla stessa Corte costituzionale, con la sent. n. 325 del 2010213, la quale ha precisato che il servizio di rilevanza economica postula la sussistenza di una duplice circostanza: - che l’immissione del servizio possa avvenire in un mercato, anche solo potenziale, nel senso che è sufficiente che il gestore possa immettersi in un mercato ancora non esistente, ma che abbia effettive possibilità di aprirsi e di accogliere, perciò, operatori che agiscano secondo criteri di economicità; - che l’esercizio dell’attività avvenga con metodo economico, nel senso che essa, considerata nella sua globalità, deve essere svolta in vista quantomeno della copertura, in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi (di qualsiasi natura questi siano, ivi compresi gli eventuali finanziamenti pubblici). Ciò farebbe presumere che per i servizi privi di rilevanza economica tali condizioni, tra cui la gestione con metodo economico, non valgano e, pertanto, essi possano o, addirittura, debbano, ragionando a contrario, essere gestiti con metodo antieconomico214. La posizione non è condivisibile, per lo meno non lo è nei termini espressi dal giudice delle leggi. Se è vero, infatti, che per i servizi privi di rilevanza economica non sussiste un mercato realmente concorrenziale, è altresì vero che il Legislatore, in coerenza con l’art. 97 commi 1 e 2 Cost., non contempla, in nessun caso, la gestione con metodo (normalmente) antieconomico, a fortiori se si segue il ragionamento della Consulta per cui, nella nozione di “ricavi”, rientrerebbero anche gli eventuali finanziamenti pubblici. Ad avvalorare tale impressione vi è il fatto che la legislazione nazionale ha sancito anche per le aziende e le istituzioni di cui all’art. 114, tuttora vigente215, previste quali forme di gestione dei soli servizi privi di rilevanza economica (ed, in particolare, le seconde, come si è detto, quale modalità tipica per l’erogazione di servizi sociali), la gestione con metodo economico. Difatti, secondo quanto prescritto dall’art. 114 comma 4 nella sua versione originaria, le aziende e le istituzioni “informano la loro attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità ed hanno l’obbligo del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i trasferimenti”. L’art. 80 comma 1 del D. L.vo 23 giugno 2011 n. 118, modificato dal D. L.vo 10 agosto 2014 n. 126, ha stabilito che “ove non diversamente previsto nel presente decreto, a decorrere dall’esercizio finanziario 2015, con la predisposizione dei bilanci relativi all’esercizio 2015 e successivi”, l’art. 114 comma 4 del testo unico n. 267 del 2000 risulti così riformulato: “l’azienda e l'istituzione conformano la loro attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità ed hanno l'obbligo dell’equilibrio economico, considerando anche i proventi derivanti dai trasferimenti, fermo restando, per l'istituzione, l’obbligo del pareggio finanziario”. 213 Citata alla nota 6. 214 V. S. PIGNATARO, Il principio costituzionale del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, cit., pp. 141-142. 215 In tale direzione L. LONGHI, cit., p. 180. L’art. 114 potrebbe ora, peraltro, trovare una copertura costituzionale, anche parziale, ex art. 117 comma 2 lett. l) Cost., in tema di “ordinamento civile”. Sembra confermare la vigenza della norma ordinaria anzidetta anche l’art. 25 del D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito, con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012 n. 27, che è intervenuto modificando ed integrando, in più punti, il testo dello stesso art. 114; altrettanto dicasi per la modifica apportata al medesimo articolo dall’art. 1 comma 560 della L. 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità 2014).

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Dunque, resta confermato, nella sostanza, il criterio di economicità di gestione e del mantenimento dell’equilibrio di bilancio anche per le aziende speciali e le istituzioni, impiegate, per lo meno le seconde, quali forme gestionali per l’erogazione dei servizi pubblici locali privi rilevanza economica216. Né muta la posizione espressa per il fatto che restino fuori da tale logica i servizi a carattere meramente erogativo (come l’illuminazione delle strade e le pubbliche fontane), che, ove pure rientrino, per il loro oggetto, nella categoria merceologica dei servizi a rilevanza economica, essendo diretti ad una collettività indeterminata di fruitori, sono resi, dagli Enti locali, con l’accollo integrale degli oneri di gestione. Come pure, non implica un metodo di gestione necessariamente e automaticamente antieconomico la circostanza che determinati servizi, ad esempio assistenziali o sociali, vengano erogati a titolo gratuito o ad un prezzo politico. Anche in tali circostanze, infatti, la copertura economica del servizio avviene mediante prelievi di risorse dalla fiscalità generale. In ogni caso, va garantito il metodo economico che sussiste ogni qualvolta l’erogazione dei trasferimenti pubblici a copertura dei costi non supportati direttamente dall’utenza rientri nei limiti degli stanziamenti di spesa autorizzati dall’organo politico, compatibili con gli equilibri di bilancio e definiti in funzione di specifici parametri di efficienza dei servizi da apprestare. Se così non fosse, perché, ad esempio, la programmazione economica effettuata dall’Ente locale non sia corretta ovvero il metodo di gestione impiegato sia antieconomico, si profilerebbe una gestione in “disavanzo” che integrerebbe una situazione del tutto patologica, assolutamente non conforme alla Carta costituzionale e ai principi generali vigenti in materia di contabilità pubblica. Da quanto detto si deduce che è sempre la tipologia della prestazione offerta, associata alle finalità tipiche che tramite essa si vogliono perseguire (consentire la compensazione piena dei costi e degli oneri del gestore e un sia pur limitato profitto per esso oppure tendere ad un fine solidaristico217) a determinare la rilevanza economica o meno del servizio. Pertanto, può reputarsi che, in linea di massima, i servizi a rilevanza economica comprendano tutte quelle prestazioni che, per il loro carattere, in astratto, siano oggettivamente e naturalmente votate alla remunerazione dei fattori produttivi in esse impiegati, ancorché non alla massimizzazione del profitto. La differenza tra le spese complessive dell’erogatore ed i ricavi ottenuti costituiscono il profitto del soggetto gestore, sempre costituito in forma di impresa, con il derivante, ineludibile ed ipotetico rischio di perdite. I servizi pubblici privi di rilevanza economica, invece, sembrano riguardare tutte quelle attività che, per il loro particolare carattere e per le finalità tipiche che perseguono (es. ausilio a persone in condizioni di particolare disagio personale, sociale o economico) - ferma l’esigenza, per i soggetti erogatori, di garantire tendenzialmente l’equilibrio finanziario o il pareggio di bilancio – pure considerando gli eventuali trasferimenti o finanziamenti provenienti da altri soggetti o Enti, si prestano alla copertura, anche minimale, dei relativi oneri sociali da parte dell’Amministrazione locale218. Nel caso di servizi a carattere meramente erogativo non vi sono veri e propri ricavi, direttamente incamerati dal soggetto erogatore mediante l’applicazione di una tariffa a carico dei fruitori che tenga conto degli oneri effettivi della gestione; di conseguenza, essi trovano nel finanziamento pubblico la fonte principale o, quantomeno, una delle

216 Peraltro, si è affermata l’attuale idoneità delle aziende speciali ad erogare un servizio pubblico locale a rilevanza economica. Cfr. Corte dei conti, Sez. autonomie, delibera 21 gennaio 2014 n. 2, in www.corteconti.it. 217 Il fine solidaristico è indicato da F.G. GRANDIS, cit. p. 38, come elemento rivelatore della rilevanza non economica del servizio. 218 V. S. PIGNATARO, I servizi pubblici locali nel nuovo sistema delle autonomie, cit., p. 124.

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fonti più importanti di sostentamento. Ciò rappresenta, però, una circostanza di fatto che non incide sul metodo di gestione che resta economico, in quanto teso a perseguire, comunque, obiettivi di economicità. Diversamente, si ammetterebbero, quantomeno per determinati servizi, gestioni ordinariamente (e perennemente) in perdita e ciò si porrebbe in aperto contrasto con il disposto dell’art. 97 comma 1 Cost., secondo cui “le Pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”, nonché con lo stesso principio di buon andamento di cui al successivo comma 2, che informa l’organizzazione e tutte le attività (funzioni e servizi) delle Pubbliche amministrazioni219. D’altra parte, per determinate attività inquadrate legislativamente come servizi pubblici locali a rilevanza economica, come ad esempio, il trasporto collettivo a mezzo bus, gli introiti derivanti dal pagamento degli utenti (biglietti ed abbonamenti) non raggiungono affatto la soglia corrispondente alle spese di gestione della impresa o società erogatrice. Essi vengono compensati da somme versate da altri Enti pubblici (es. Regione) e da incassi derivanti dalla gestione di servizi minori connessi (es. parcheggi a pagamento). Ciò non toglie, però, che essi siano inquadrati, ope legis ed ex ante, tra i servizi pubblici a rilevanza economica e gestiti in forma necessariamente di impresa. Infatti, ciò che sembra contare, ai fini dell’inquadramento, resta, come più volte ribadito, la natura merceologica o tipologia delle prestazioni, associate alle finalità tipiche che tramite l’erogazione si vogliono perseguire [es. erogare un servizio che i privati fruitori, date le circostanze, devono essere in grado di remunerare in toto con il pagamento della tariffa (acqua, elettricità, gas ecc.) o, al contrario, venire incontro alle esigenze degli utenti, praticando un prezzo politico (es. trasporto collettivo) o senza corrispettivo alcuno, ad esempio, in relazione a infortuni o pregiudizi per la salute (pronto soccorso) ovvero in riferimento a soggetti in condizioni di povertà o di disagio personale, sociale ed economico (alloggi popolari, dormitori pubblici, assistenza ai ciechi e ai sordomuti ecc.)]. Rilevano, poi, ai fini di qualificare un certo servizio come a rilevanza economica il fattore redditività della attività, considerato nella sua accezione potenziale, e la presenza di una possibile competizione sul mercato per aggiudicarsi il servizio, unitamente alla necessità di consistenti risorse personali e finanziarie ed investimenti per l’erogatore; tutti fattori che dipendono, anch’essi, ineludibilmente dalla tipologia di attività oggetto del servizio. Invero, come si accennava, è stato anche rilevato come la forma imprenditoriale integri, insieme alla particolare natura della prestazione erogata, l’ulteriore elemento chiave che consente di individuare la rilevanza economica dei servizi pubblici locali. È possibile opinare, però, che la forma gestoria non sia un elemento ulteriore rivelatore rispetto alla natura merceologica del servizio, ma un semplice corollario o conseguenza della stessa, insito in essa. Ciò, nel senso che il Legislatore, in coerenza con la tipologia o natura merceologica del servizio, ispirandosi ad un criterio di congruenza, razionalità e logicità, non potrebbe non prevedere, astrattamente e presuntivamente, le forme giuridiche di soggetti erogatori più consone alla loro assunzione (es. società di capitali per i servizi pubblici locali a forte rilevanza economica; gestione in economia o mezzo di istituzione, a seconda delle situazioni concrete che vengono in rilievo, per quelli totalmente privi di tale rilevanza)220. 219 V. S. PIGNATARO, Il principio costituzionale del “buon andamento” e la riforma della Pubblica amministrazione, cit., p. 142. 220 Non sempre però il Legislatore è stato coerente in tal senso. Ad esempio, con riferimento al regime normativo introdotto dall’art. 14 del decreto legge n. 269 del 2003 (che novellava il comma 5 dell’art. 113 del testo unico degli Enti locali), per tutti i servizi a rilevanza economica, era prescritto il ricorso alle

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Ad avvalorare questa tesi vi è la considerazione che, giusto per fare un esempio, la gestione del ciclo dell’acqua e la distribuzione dell’energia elettrica avvengono ordinariamente in forma di impresa, sulla base della natura o tipologia merceologica della attività, anche per quegli aspetti o segmenti di essi che dovessero rivestire carattere meramente erogativo (illuminazione delle strade, alimentazione fontane pubbliche). Diversamente, dovrebbero individuarsi due distinte forme gestorie, ad esempio, società di capitali per gli usi privati e una delle modalità gestionali previste dalle legislazioni regionali per i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, per i segmenti relativi alla fruizione generale ed indifferenziata da parte della collettività (come negli esempi appena citati) e ciò sarebbe del tutto irrazionale e, probabilmente, irrealizzabile. È possibile rilevare, altresì, che la finalità propria del servizio non sia un elemento realmente ulteriore o aggiuntivo rispetto alla natura o tipologia dell’attività prestata, poiché dipende inscindibilmente da essa. Ad esempio i servizi sociali non possono che essere erogati a titolo gratuito o, quantomeno, ad un costo simbolico; mentre alcuni servizi a rilevanza economica sono tradizionalmente prestati a prezzi politici (come i trasporti collettivi), poiché diversamente implicherebbero un corrispettivo non abbordabile per l’utenza, in presenza di altri che, per loro natura, sono sempre somministrati dietro la corresponsione di una tariffa economica che supera i costi di gestione (energia elettrica, gas ecc.). Pare corretto ritenere, peraltro, che anche i criteri evocati, soprattutto, dalla giurisprudenza, dell’impatto del servizio su un mercato concorrenziale o meno e della potenziale redditività dello stesso, unitamente alla necessità di ingenti investimenti e risorse finanziarie e personali, integrano situazioni consequenziali, valutate, in via preventiva e presuntiva, in ragione della tipologia o natura merceologica della attività oggetto del servizio. Ogni servizio risulta, ex ante, inquadrabile nell’una o nell’altra categoria di cui si discorre; gestito con metodo economico, può essere idoneo, per sua natura e per le sue finalità tipiche, considerando l’esigenza della sostenibilità dei costi per l’utenza e, al tempo stesso, calcolando eventuali trasferimenti o contributi pubblici, a procurare un utile di gestione oppure no. Non appaiono ipotizzabili, nel sistema congegnato dal Legislatore, situazioni di confine o di ambiguità in cui una certa prestazione possa essere di incerta qualificazione, ancorché sulla base di dati oggettivi e presuntivi. Infine, va evidenziato che è apparso significativo in dottrina221 che l’art. 113-bis, a differenza dell’art. 113, nulla disponesse in ordine alla presenza di reti222, impianti223 e dotazioni224 ed in relazione alla loro proprietà e gestione225.

società di capitali, anche per quelli di entità più modesta che si prestavano ad essere gestiti tramite azienda speciale; di contro l’art. 113-bis dello stesso testo legislativo aveva previsto, per i servizi totalmente privi di rilevanza economica, la possibilità di fare ricorso agli strumenti della azienda speciale, anche consortile. e della società di capitali totalmente in mano pubblica, secondo il modello europeo del l’in house providing. V. S. PIGNATARO, I servizi pubblici locali nel nuovo sistema delle autonomie, cit., spec. pp. 97, 179. 221 V. A. GUALDANI, Servizi a rilevanza industriale e servizi privi di rilevanza industriale, cit.,p. 19. 222 Per reti si intende, secondo lo schema di regolamento governativo predisposto in base all’abrogato art. 35 comma 16 della legge n. 448 del 2001 utile ai fini definitori, “il complesso degli impianti lineari (tubazioni, binari, filovie) essenzialmente funzionali all’erogazione finale del servizio”. 223 Per impianti, invece, si intende, sempre secondo tale schema di regolamento, “il complesso degli edifici, depositi e magazzini impiegati in maniera coordinata e finalizzata alla produzione dei beni o dei servizi”. 224 Lo schema di regolamento governativo predetto ricomprende nel concetto di dotazioni patrimoniali qualsiasi “bene immobile diverso dagli impianti e dalle reti, purché destinato allo svolgimento delle attività connesse alla produzione dei servizi”.

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La necessaria compresenza di reti, impianti e dotazioni, che riguarda solo determinati servizi a (forte) rilevanza economica226, sembra connettersi anch’essa unicamente alla natura merceologica o tipologia delle prestazioni erogate. Per fare un esempio, i servizi sociali, culturali, educativi, artistici e sportivi, intesi stricto sensu, non richiedono, per essere erogati, la contestuale triplice categoria di cespiti ed, in particolare, le reti. Si diceva, intesi stricto sensu, cioè nell’accezione utilizzata dal Legislatore, perché è evidente che anche l’erogazione dell’acqua potabile, ad esempio, pur qualificato servizio a rilevanza economica, non può, per altri versi, considerarsi concettualmente e totalmente contrapposto ai servizi sociali, che sono privi di rilevanza economica. Potrebbe, tutt’al più, giustapporsi a questi, essendo, nella sostanza, il servizio idrico connotato da una forte indole sociale, perché la sua fruizione è imprescindibile per le necessità più elementari e vitali della collettività locale. Sotto altro angolo visuale, è chiaro che anche se un determinato servizio di rilevanza economica viene svolto, in determinati segmenti, a fini meramente erogativi (come negli esempi più volte fatti) o sulla base della corresponsione di un prezzo che non copre, se non in minima parte, le spese di gestione, non viene meno, comunque, in ragione della sua natura merceologica, la compresenza delle tre tipologie di beni strumentali anzidette, ove essi siano imprescindibili per la sua concreta esplicazione. Ciò, fermo restando che non tutti i servizi a rilevanza economica necessitano della presenza della triplice tipologia di beni strumentali (si pensi alle farmacie comunali, alle pubbliche affissioni, ai macelli e alle centrali del latte comunali). 5) I riflessi di tale distinzione sul piano normativo Prima della riforma del 2001 del Titolo V, Parte II, Cost., il Legislatore nazionale, in linea con l’allora vigente art. 128 Cost. ed in coerenza con il principio autonomistico consacrato dall’art. 5 Cost., disciplinava, in maniera unitaria, ma in via essenzialmente di principio, la materia “generale” dei servizi pubblici locali, dettando poche norme in merito idonee ad orientare gli amministratori locali227. Così, la legge n. 142 del 1990, nella sua formulazione originaria, riservava ai servizi pubblici locali, in chiave unitaria, gli artt. 22 e 23, prevedendo, nel primo, cinque forme di gestione tipiche228 e fissando criteri direttivi per la loro corretta

In giurisprudenza, il Cons. Stato, Sez. V, sent. 23 gennaio 2008 n. 156 (in questa Rassegna 2008, I, 20) ha precisato che le reti, gli impianti e le dotazioni patrimoniali non possono essere genericamente identificati con tutto ciò che occorra per garantire il servizio pubblico, bensì consistono in quelle infrastrutture fisse, che appartengano a un soggetto estraneo all'Ente locale e di cui quest'ultimo non possa dotarsi se non con rilevante e non conveniente dispendio di risorse finanziarie e strumentali, complesse e non facilmente riproducibili (quali le linee ferroviarie, i gasdotti, le reti idriche, quelle telefoniche ecc.) che attengono ai settori del trasporto, dell'energia e delle telecomunicazioni, da non confondere con le attrezzature mobili, ove del caso deperibili e agevolmente duplicabili. 225 Sempre in base al predetto schema di regolamento, la fase della “gestione delle reti e delle dotazioni” consiste nello “sviluppo, nella manutenzione ed anche nella cessione in locazione o concessione dei medesimi ai soggetti gestori della fase di erogazione”. La gestione delle reti concerne “le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria di reti, impianti e dotazioni patrimoniali”. La gestione comprende anche “il potenziamento ed il rinnovo tecnologico”. 226 V. S. PIGNATARO I servizi pubblici locali nel nuovo sistema delle autonomie, cit., p. 145. 227 Altre norme sono state raccolte in testi regolamentari statali, come, ad esempio, il D.P.R. 4 ottobre 1986 n. 902, relativo alle aziende speciali, e il D.P.R. 16 settembre 1996 n. 533, concernente le società miste. 228 Le formule previste dal comma 3 erano le seguenti: in economia, in concessione a terzi, a mezzo di istituzione, a mezzo di azienda speciale e a mezzo di società per azioni con partecipazione pubblica maggioritaria.

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individuazione229 e dettando, nel secondo, alcune disposizioni in merito alle aziende speciali ed alle istituzioni. Le suddette previsioni, successivamente modificate ed integrate230, sono state, poi, trasfuse nel decreto legislativo n. 267 del 2000 (in particolare, agli artt. 112, 113 e 114), rimanendo, nella sostanza, inalterate, come si vedrà, per un periodo di tempo invero ridotto. La riforma costituzionale anzidetta, con l’avvenuta abrogazione dell’art. 128 e la nuova formulazione dell’art. 117, ha fatto emergere prepotentemente il problema di quale fonte primaria debba disciplinare, in via tendenzialmente di principio (stante una autonomia statutaria e regolamentare degli Enti locali riconosciuta e rinsaldata costituzionalmente dagli artt. 114 e 117 comma 6 n. 3 Cost.), la materia de qua. All’indomani della adozione della legge n. 448 del 2001, prima legge a disciplinare la materia dopo l’entrata in vigore della riforma costituzionale predetta, diversi autori hanno preso posizione sul problema della legittimità costituzionale dell’intervento statale, esprimendo opinioni differenti231.

229 I Comuni e le Province potevano gestire i servizi: a) in economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non fosse opportuno costituire una istituzione o una azienda; b) in concessione a terzi, quando sussistevano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale; c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale; d) a mezzo di istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale; e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si rendesse opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati. 230 La possibilità di costituire società per azioni senza il vincolo della partecipazione pubblica maggioritaria è stata prevista dall’art. 12 della L. 23 dicembre 1992 n. 498. Successivamente l’art. 17 comma 58 della L. 15 maggio 1997 n. 127 sostituiva la lett. e) dell’art. 22 comma 3 della legge n. 142 del 1990, prevedendo espressamente la possibilità per l’Ente locale di costituire o partecipare a società a responsabilità limitata (con capitale pubblico maggioritario). 231Ha ritenuto l’art. 35 della legge n. 448 del 2001 un’illegittima prevaricazione del Legislatore nazionale: M. ALESIO, I servizi pubblici locali: peso della tradizione e nuovo assetto delineato dalla Finanziaria 2002 in Giust. amm. 2002, il quale ha evidenziato che l’unico modo per sostenere la competenza statuale potrebbe consistere nel far rientrare la materia dei pubblici servizi nell’alveo della tutela della concorrenza di cui al novellato art. 117 comma 2 lett. e) Cost. “ma si tratta di un’operazione interpretativa non facile e quantomeno azzardata”. Hanno disconosciuto la competenza statale, altresì, L. OLIVERI, L’incostituzionalità dell’art. 35 comma 16 della legge n. 448 del 2001 in tema di servizi pubblici locali, Giust. amm. 2002; E. MAGGIORA, Il diritto degli Enti locali, cit., p. 545; M. RACCO, G. PETROCELLI, cit., p. 172. Sospetti circa la compatibilità della riforma del 2001 con il nuovo assetto costituzionale sono stati avanzati da G.E. BERLINGERIO, cit., p. 248; CAROSELLI, Primi dubbi e perplessità sulla compatibilità costituzionale dell’art. 35 della legge n. 448 del 2001, in Giust. amm. 2002; A. ZUCCHETTI, Introduzione ed inquadramento generale, cit., p. 5 ss (anche in considerazione del fatto che l’art. 35 della legge n. 448 del 2001 non si è limitato ad una mera norma di principio, ma ha dettato precetti e meccanismi concreti), da D. RODELLA, Novità in tema di servizi pubblici locali, in Nuova Rass. 2002, p. 694, e da C. VOLPE, Le società miste nei servizi pubblici locali: evoluzione o involuzione di un modello?, in Urb. e app. 2003, pp. 723-724. Parzialmente critici anche L.R. PERFETTI, I servizi pubblici locali. La riforma del settore operata dall’art. 35 della legge n. 448 del 2001 ed i possibili profili evolutivi, in Dir. amm. 2002, p. 582 ss.; G. PITTALIS, Regolazione pro-concorrenziale dei servizi pubblici locali: un principio vincolante per Stato e Regioni, in Giust. amm. 2002. L. OLIVERI, L’incostituzionalità dell’art. 35 comma 16 della legge n. 448 del 2001 in tema di servizi pubblici locali, cit., ha osservato che “il Legislatore-Parlamento non sembra ancora aver percepito con pienezza le conseguenze della legge n. 3 del 2001. Non sfugge a nessuno che il Parlamento continua a legiferare considerando ancora la legge dello Stato come legge della Repubblica, dotata di potestà normativa non limitata da confini determinati della materia. Secondo l’A., l’art. 35 della legge n. 448 del 2001 appare esercitato in violazione della competenza per materia assegnata dall’art. 117 Cost. novellato dalla Costituzione al Parlamento. Ad avviso dello stesso, “la materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, indicata nel comma 3 dell’art. 117, nell’ambito delle materie soggette alla legislazione concorrente, non pare possa essere alla base di un intervento così pervasivo sui servizi pubblici locali. Né, ancora, pare possibile ammettere che la legittimità costituzionale dell’art. 35 si fondi sulla necessità di garantire un assetto dei servizi pubblici locali conforme alla disciplina comunitaria. Infatti la Costituzione non demanda alla legge statale alcun

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Certo è che la materia dei “servizi pubblici locali” non rientra “letteralmente” nelle branche di legislazione esclusiva statale, né in quelle di legislazione concorrente Stato-Regioni. La formulazione dell’art. 117 comma 2 lett. p) Cost., che rimette alla competenza statale esclusiva, tra l’altro, “le funzioni fondamentali” dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane, senza menzionare espressamente (anche) i servizi pubblici organizzati da tali Enti, ha fatto propendere molti studiosi, almeno prima facie, a ricondurre la materia de qua, ex art. 117 comma 4 Cost., alla competenza legislativa residuale (esclusiva) regionale. Una parte cospicua della dottrina, invero, ha rilevato che vi sarebbe un ancoraggio alla potestà statale e il titolo di legittimazione è stato ravvisato, da più parti, nella “tutela della concorrenza”232 ex art. 117 comma 2 lett. e) Cost.233 .

Tale materia-principio, di carattere trasversale, può, però, venire in rilievo solo per i servizi pubblici locali a rilevanza economica, i quali, per loro natura, presuppongono un regime concorrenziale tra operatori aspiranti all’affidamento; situazione che non si verifica per i servizi privi di rilevanza economica.

compito di armonizzazione tra l’ordinamento dello Stato e/o delle Regioni e quello comunitario. Anche perché non sarebbe necessario, visto che ai sensi del comma 1 dell’articolo 117 il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario opera immediatamente e direttamente come limite alla potestà legislativa sia dello Stato sia delle Regioni”. L’A. non considera convincente l’opinione di chi ritiene che, in realtà, “la riserva di competenza per materia riguardi solo lo Stato e non le Regioni, sicché la legge statale potrebbe egualmente disciplinare tutte le materie anche non espressamente elencate dall’articolo 117 comma 2 Cost., cedendo, tuttavia, alla disciplina di successive leggi regionali che prevarrebbero sulle prime”. Sulla legittimità costituzionale dell’intervento legislativo statale in materia cfr. A. ZITO, I riparti di competenze in materia di servizi pubblici locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Dir. amm. 2003, p. 387 ss. V., pure, L. OLIVERI, Titolo V: Servizi e interventi pubblici locali, in AA. VV. con la direzione e supervisione di F. BOTTA, cit., p. 1021, per il quale almeno una parte della materia, inerente se non altro la tutela del mercato e della concorrenza e la fissazione delle prestazioni minime connesse ai diritti civili e sociali pare ascrivibile al Legislatore statale. Per G. CAIA, I servizi pubblici locali a 100 anni dalla legge Giolitti del 1903, cit., p. 15, poiché la legge n. 448 del 2001 è stata approvata quando le competenze legislative delle Regioni risultavano già ampliate per effetto della legge costituzionale n. 3 del 2001, deve ritenersi che il Legislatore statale abbia inteso le nuove norme come pertinenti le materie della “tutela della concorrenza” e delle “funzioni fondamentali” di Comuni, Province e Città Metropolitane. V. anche V. MARTELLI, I servizi e gli interventi pubblici locali, cit., pp. 608-609, la quale sottolinea come la legittimità dell’intervento statale sia stata sostenuta anche sulla base dell’art. 117 comma 2 lett. p) Cost. che determina le funzioni fondamentali degli Enti locali, e M.A. CABIDDU, La riforma dei servizi pubblici locali tra Stato e Regioni, in A. TRAVI (a cura di), cit., pp. 59-60, la quale si chiede che senso abbia parlare di “esclusività” in capo alla Regione a proposito di una materia continuamente intersecata e condizionata dalla legislazione statale e, per di più, difficilmente delimitabile rispetto ad altre quali la tutela della concorrenza, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, funzioni fondamentali degli Enti locali, ordinamento delle comunicazioni, trasporto e distribuzione di energia? L’A. nutre tuttavia dubbi sulla legittimità di una disciplina statale analitica e interamente avocata al centro, tale da azzerare ogni ambito normativo delle Regioni e degli Enti locali. 232 In argomento v., tra gli altri, G. CORSO, La tutela della concorrenza come limite alla potestà legislativa (delle Regioni e dello Stato), in Dir. pubbl. 2002, p. 981 ss.; R. CARANTA, La tutela della concorrenza, le competenze legislative e la difficile applicazione del Titolo V della Costituzione, in Le Reg. 2004, p. 990 ss.; M. LIBERTINI, La tutela della concorrenza nella Costituzione italiana, in Giur. cost. 2005, p. 1429 ss.; R. BIFULCO, La tutela della concorrenza tra Parte I e II della Costituzione (in margine alla sent. n. 14 del 2004 della Corte Costituzionale), in Le Reg. 2008, p. 21 ss.; A. ARGENTATI, Il principio di concorrenza e la regolazione amministrativa dei mercati, Torino 2009; B. CARAVITA DI TORITTO, Tutela della concorrenza e Regioni nel nuovo assetto istituzionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in C. RABITTI BEDOGNI, P. BARUCCI (a cura di), 20 anni di Antitrust. L’evoluzione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Torino 2010, p. 229 ss.; F. PIZZOLATO, La concorrenza nella giurisprudenza costituzionale, in Dir. economia 2010, p. 507 ss.; C. PINELLI, La tutela della concorrenza come principio e come materia. La giurisprudenza costituzionale 2004-2013, in Rivista AIC 2014, p. 1 ss. 233 Cfr. G. CAIA, Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, cit., p. 95.

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In effetti, l’art. 35 della legge. n. 448 del 2001, nel ri-disciplinare la materia, aveva separato i servizi pubblici locali aventi rilevanza industriale da quelli che ne erano privi, facendoli ricadere in due differenti ambiti di disciplina contemplati dal decreto legislativo n. 267 del 2000, dedicando l’art. 113 ai primi e l’art. 113-bis ai secondi. Il Legislatore nazionale solo nell’art. 113 (come risultante a seguito della novella del decreto legge n. 269 del 2003) ancorava espressamente la propria potestà ad intervenire alla materia della tutela della concorrenza, mentre nell’art. 113-bis non richiamava alcuna branca di competenza legislativa statale, esclusiva o concorrente. A fronte di opinioni isolate, diversi autori avevano ricercato la legittimità dell’art. 113-bis nella afferenza delle norme in esso contenute alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che vanno garantiti su tutto il territorio nazionale, ex art. 117 comma 2 lett. m) Cost. e, altri, nella attinenza delle stesse alle funzioni fondamentali dei Comuni e delle Province e delle Città metropolitane, ex art. 117 comma 2 lett. p) Cost. A seguito del ricorso in via principale, proposto alla Corte costituzionale da alcune Regioni, in ordine alle previsioni introdotte dall’art. 35 della legge n. 448 del 2001 e, successivamente, dall’art. 14 del decreto legge n. 269 del 2003, per pretesa violazione delle proprie prerogative, la Consulta ha esaminato la questione, pervenendo alla adozione della citata sent. n. 272 del 2004234 e, nella scia di questa, dell’ord. n. 274 del 27 luglio 2004235. La disciplina delle linee generali dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, contenuta, per lo più, nell’art. 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (e successive modificazioni ed integrazioni), secondo la Corte costituzionale, pronunciatasi nel merito con la appena citata sentenza, in relazione “ai riferimenti testuali e soprattutto ai caratteri funzionali e strutturali della regolazione prevista”, può essere agevolmente ricondotta nell’ambito della materia “tutela della concorrenza”, riservata dall’art. 117 comma 2 lett. e) Cost., alla competenza legislativa esclusiva dello Stato”. Tale materia-funzione avrebbe un ampio raggio di esplicazione, con derivante e tendenziale (nei limiti in cui sia ossequiosa dei principi di proporzionalità ed adeguatezza) legittimità costituzionale della legislazione esclusiva statale insistente sui servizi pubblici locali a rilevanza economica. La disciplina delle linee generali dei servizi privi di rilevanza economica, invece, come si è anticipato, sarebbe ascritta, secondo la Corte, alla legislazione regionale residuale, nonché alla regolamentazione autonoma dei singoli Enti locali. Il giudice delle leggi ha escluso la sussistenza della competenza statale esclusiva, per questi ultimi servizi, prospettata dalla difesa erariale, per assenza di aggancio costituzionale alle due materie richiamate della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e delle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane. La prima delle due branche menzionate, secondo il giudice delle leggi, non sarebbe pertinente, giacché le norme impugnate riguardavano “precipuamente servizi di rilevanza economica” e, comunque (anche a considerare le disposizioni concernenti i 234 Per un commento alla sentenza v. G. SCIULLO, Stato, Regioni e servizi pubblici locali nella pronuncia n. 272 del 2004 della Consulta, in LexItalia.it 2004; F. CASALOTTI, Il riparto della potestà legislativa “alla prova” della disciplina dei servizi pubblici locali, in Le Reg. 2005, p. 261 ss. G. MARCHI, I servizi pubblici locali tra potestà legislativa statale e regionale, in Giorn. dir. amm. 2005, p. 25 ss.; L. BUFFONI La “tutela della concorrenza” dopo la riforma del Titolo V: il fondamento costituzionale ed il riparto di competenze legislative, in Ist. feder. 2003, p. 345 ss.; R. IANNOTTA, Nota a Corte costituzionale, 27 luglio 2004 n. 272, in Foro amm. CDS 2004, p. 1971 ss.; V. MOLASCHI, La gestione dei servizi pubblici locali “privi di rilevanza economica”: prospettive e problemi in materia di servizi sociali a seguito di Corte cost. n. 272 del 2004, in Foro it. 2005, I, p. 2652 ss. 235 In Giur. cost. 2004, 2772.

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servizi privi di rilevanza economica), esse non attenevano “alla determinazione di livelli essenziali”. È possibile, tuttavia, opinare nel senso che le norme generali che fissano i criteri per orientare la scelta, da parte del Consiglio comunale o provinciale, della modalità più idonea e congeniale alla gestione dello specifico servizio, oggetto della deliberazione, abbiano ricadute sulla entità e qualità delle prestazioni di indole civile e sociale e siano preordinate a garantirne, altresì, i livelli essenziali o minimi. Inoltre, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale236, rimessa al Legislatore statale, non è detto che debba essere intesa in senso necessariamente “ristretto”, come pare sostenere la Corte, ma potrebbe abbracciare un ambito più ampio comprendente l’oggetto, le forme, i criteri e i limiti che presiedono allo svolgimento delle prestazioni medesime, ritenute essenziali, e che, in quanto tali, necessitano di un minimo comune denominatore che consenta una fruizione generalizzata in favore della collettività; soglia minima ed irrinunciabile che non può essere vulnerata invocando o esasperando criteri autonomistici237. Non si intravede, in verità, una logica sufficientemente limpida per cui il Legislatore costituzionale del 2001 avrebbe dovuto scindere le attività degli Enti locali che comportano l’esercizio di poteri autoritativi, rimettendo la regolamentazione primaria alla volontà esclusiva del Legislatore nazionale, da quelle che generano attività che si svolga su base paritetica, affidandola ai singoli Legislatori regionali. Ciò, dal momento che la materia generale dei servizi pubblici e, segnatamente di quelli di indole civile e sociale, è proprio una delle branche in cui più si avverte l’esigenza di una

236 Sul tema si rimanda, tra gli altri, a E. BALBONI, Il concetto di “livelli essenziali e uniformi” come garanzia in materia di diritti sociali, in Ist.. feder. 2001, p. 1103 ss., I. MASSA PINTO, Contenuto minimo essenziale dei diritti costituzionali e concezione espansiva della Costituzione, in Dir. pubbl. 2001, p. 1096 ss.; C. PINELLI, Sui “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117 comma 2 lett. m) Cost.), in Dir. pubbl. 2002, p. 881 ss.; ID., L’ordinamento repubblicano nel nuovo impianto del Titolo V, in S. GAMBINO (a cura di), Il “nuovo” ordinamento regionale. Competenze e diritti. Confronti europei (Spagna, Germania, Regno Unito), Milano 2002, p. 154 ss.; M. LUCIANI, I diritti costituzionali tra Stato e Regioni (a proposito dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost.), in, Pol. dir. 2002, p. 345 ss.; G. ROSSI, A. BENEDETTI, La competenza legislativa esclusiva in materia di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, in Lav. nelle P.a, 2002, p. 25 ss.; E. BALBONI, Livelli essenziali: il nuovo nome dell’eguaglianza? Evoluzione dei diritti sociali, sussidiarietà e società del benessere, in E. BALBONI, B. BARONI, A. MATTIONI, G. PASTORI, cit., p. 27 ss.; E. BALBONI I livelli essenziali e i procedimenti per la loro determinazione, in Le Reg. 2003, p. 1193 ss.; V. MOLASCHI, “Livelli essenziali delle prestazioni” e Corte costituzionale: prime osservazioni. Nota alla sent. n. 282 del 2002 della Corte costituzionale, in Foro it. 2003, I, p. 398 ss.; D. MORANA, La tutela della salute, fra libertà e prestazioni, dopo la riforma del Titolo V. A proposito della sent. n. 282 del 2002 della Corte costituzionale, in Giur. cost. 2003, p. 1189 ss.; A. D’ALOIA, Diritto e Stato autonomistico. Il modello dei livelli essenziali delle prestazioni, in Le Reg. 2003, p. 1081 ss.; M. BELLETTI, I livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali alla prova della giurisprudenza costituzionale. Alla ricerca del parametro plausibile, in Ist. feder. 2003, p. 613 ss.; R. BIFULCO, “Livelli essenziali”, diritti fondamentali e statuti regionali, in T. GROPPI, M. OLIVETTI (a cura di), cit., p. 135 ss.; G. COCCO, I livelli essenziali delle prestazioni, in L. CHIEFFI L, G. CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), cit., p. 187 ss.; G. COLETTA, L’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. come rimedio alla frammentarietà del sistema, ivi, p. 253 ss.; A. GENTILINI, Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e positivismo giuridico: chi ha paura della lettera della legge?, in Dir. pubbl. 2005, p. 999 ss.; E.A. FERIOLI, Sui livelli essenziali delle prestazioni: le fragilità di una clausola destinata a contemperare autonomie e uguaglianza, in Le Reg. 2006, p. 564 ss.; F. ZAMPANO (a cura di), I livelli essenziali delle prestazioni: questioni preliminari e ipotesi di definizione, Roma 2006; E. BALBONI, P.G. RINALDI, Livelli essenziali, standard e leale collaborazione, in Le Reg. 2006, p. 1014 ss.; E. PESARESI, La “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni” e la materia “tutela della salute”: la proiezione indivisibile di un concetto unitario di cittadinanza nell’era del decentramento istituzionale, in Giur. cost. 2006, p. 1733 ss.; G. GUGLIA, I livelli essenziali delle prestazioni sociali alla luce della recente giurisprudenza della Corte costituzionale e dell’evoluzione interpretativa, Padova 2007; A. BANCHERO, I livelli essenziali delle prestazioni nell’ambito dei servizi alla persona: dalla tutela della salute alla protezione sociale, in Quad. reg. 2008, p. 461 ss. 237 V. S. PIGNATARO, I servizi pubblici locali nel nuovo sistema della autonomie, cit., p. 116.

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regolamentazione ossequiosa del principio di uguaglianza e pari opportunità su tutto il territorio nazionale; movente che, peraltro, a garanzia dell’unitarietà dell’ordinamento giuridico, ha spinto lo stesso riformatore del Titolo V, Parte II, Cost. del 2001, a contemplare, altresì, nell’art. 120 comma 2 Cost., il potere sostitutivo del Governo nei confronti degli organi delle Regioni e degli Enti locali quando lo richiedono “la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica” e, in particolare, proprio “la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”. Si è sottolineato238 efficacemente, a riguardo, che il contenuto essenziale di diritti a prestazione ha incidenza diretta sul tenore di vita degli individui e che numerosi servizi pubblici resi in sede locale, per loro natura, sono rivolti alla soddisfazione dei diritti sociali dei privati, concorrendo, in misura determinante, alla fruizione effettiva degli stessi; d’altra parte, si è evidenziato che tutti i servizi locali si sostanziano in attività che sono direttamente correlate alle esigenze dei privati e, dunque, costituiscono strumenti di effettività e garanzia dei diritti civili e dei diritti sociali degli utenti. Sarebbe stato diverso il caso in cui la legislazione statale si fosse spinta (o si inoltrasse) a disciplinare, in modo specifico ed ad ampio raggio, i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica sulla base delle competenze ridisegnate dal Titolo V, Parte II, Cost. Peraltro, come anticipato, l’intervento statale non si giustificherebbe, secondo la Consulta, nemmeno per la attinenza alle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, giacché la “gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’Ente locale”. Essa non ha accolto i rilievi della Avvocatura dello Stato, secondo cui “le funzioni di gestione, organizzazione ed erogazione dei servizi pubblici locali sarebbero “essenziali” rispetto ai bisogni delle comunità servite, nonché in riferimento alla cospicua incidenza sull’equilibrio finanziario degli Enti locali dei costi per gli investimenti e per l’esercizio dei servizi stessi” e per cui “attraverso la prestazione dei servizi pubblici locali, si concretizzerebbero ‘molteplici ed importanti diritti sociali’ che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. La Corte ha, così, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 113-bis, introdotto dalla legge n. 448 del 2001, di alcune disposizioni contenute nell’art. 14 del decreto legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, nonché di talune norme inserite nel testo dell’art. 113 dall’art. 35 della stessa legge n. 448 del 2001. A tale decisione ha fatto eco l’ord. n. 274 del 2004 con la quale è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere in riferimento alle norme impugnate recate dall’art. 35 della legge n. 448 del 2001, per la sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata con la sent. n. 272 del 2004, nonché per la realizzazione di un effetto pienamente satisfattivo da parte delle ulteriori, successive modificazioni legislative introdotte dal decreto legge n. 269 del 2003. Numerosi interventi legislativi, di matrice statale, si sono, poi, freneticamente succeduti negli anni, fino alla recente legge n. 190 del 2014, con l’introduzione di norme, spesso caotiche e prolisse, forse eccedenti, in parte, i confini tracciati dalla sent. n. 272 del 2004 della Consulta in favore della competenza legislativa esclusiva statale. Pare, comunque, opportuno rimarcare come, relativamente alla formulazione del testo unico n. 267 del 2000 (e successive modificazioni ed integrazioni), la sussistenza della competenza del Consiglio dell’Ente locale, quale organo politico-amministrativo massimamente rappresentativo della collettività comunale e provinciale, a mente dell’art. 42 comma 2 lett. e) dello stesso testo legislativo, in ordine alla valutazione

238 V. F. CASALOTTI, cit., p. 274.

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della predisposizione o organizzazione del servizio e alle opzioni relative alle forme di gestione, sia un chiaro indicatore del fatto che, quantomeno per alcune norme in esso contenute (come, le disposizioni recanti i principi relativi ai limiti e alle modalità per la scelta dell’organo consiliare, quali il previgente art. 113-bis dello stesso testo unico), possano ritenersi afferenti alle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane ex art. 117 comma 2 lett. p) Cost.; come tali, potrebbero radicare la competenza statale esclusiva prevista da quest’ultima norma costituzionale. D’altronde, l’ordinamento degli Enti locali disciplinava e, tuttora, continua, in parte, a disciplinare, la “funzione di predisposizione e di affidamento dei servizi pubblici locali”, e non “l’esplicazione o lo svolgimento” degli stessi. Pertanto, sembra corretto reputare tale incombenza, in dissenso rispetto a quanto affermato dalla Corte, espressione di una “funzione amministrativa” “precipua”, “indefettibile” e può ritenersi anche, “storica”, dei Comuni e delle Province. L’organo consiliare locale svolge, infatti, in attuazione della legge, una “potestà” o “funzione amministrativa”, nel deliberare in merito, in quanto (salvo scelte vincolate) opera una ponderazione tra più interessi pubblici e privati coinvolti; per l’effetto, adotta una manifestazione di volontà preordinata ad assicurare o meno un determinato servizio, agendo, comunque, in posizione di supremazia rispetto alla collettività di riferimento. Poiché le finalità proprie dei servizi pubblici locali diretti ad assicurare il benessere e la promozione civile, sociale ed economica della collettività locale sono, per essa, essenziali, la funzione amministrativa che esso esercita può ritenersi fondamentale e, in quanto tale, ricadere nel campo di applicazione dell’art. 117 comma 2 lett. p) Cost. Con la locuzione funzioni fondamentali ben può aver inteso il legislatore costituzionale del 2001 la determinazione delle attività di gestione della cosa pubblica di natura prioritaria e basilare in favore della collettività, cioè il nucleo essenziale di disposizioni che sono preordinate a realizzare la promozione dello sviluppo civile e socio-economico della collettività ed assicurare il relativo benessere psico-fisico; funzione che non potrebbe che essere ritenuta peculiare ed indefettibile per gli Enti locali. I servizi pubblici locali costituiscono storicamente proprio uno degli strumenti più importanti per la realizzazione delle finalità definite essenziali dall’ordinamento e, in quanto tali, dovrebbero rientrare nell’alveo delle funzioni fondamentali tipiche dei relativi Enti territoriali. Non può escludersi, infatti, che l’espressione funzioni fondamentali sia stata usata dal revisore del Titolo V, Parte II, Cost. del 2001, in senso “ambivalente”, cioè di attività proprie ed essenziali dei predetti Enti, siano esse o meno espressione di autorità, e nemmeno che la locuzione medesima sia stata impiegata nell’univoca accezione finalistica di compiti e obiettivi imprescindibili e vitali dei Comuni e delle Province239, indipendentemente dalla natura della attività posta in essere per ottenere la loro realizzazione. Per la verità, la stessa Corte costituzionale, con sent. 20 novembre 2009 n. 307240, pronunciandosi, in parte, in merito al servizio idrico integrato, ha stabilito che, ferma restando la potestà legislativa regionale in materia di servizi pubblici locali, “le competenze comunali in ordine al servizio idrico, sia per ragioni storico-normative sia per l’evidente essenzialità di questo alla vita associata delle comunità stabilite nei territori comunali, devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali” ex art. 117 comma 2 lett. p) Cost. A questo punto, non si vede perché un ragionamento analogo non sia stato fatto, dalla Corte, con riferimento al nucleo di principi diretti a guidare l’organo

239 Cfr. S. PIGNATARO I servizi pubblici locali nel nuovo sistema delle autonomie, cit., p. 112 ss. 240 In questa Rassegna 2009, III, 805.

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consiliare nell’esercizio del suo potere organizzatorio in materia di servizi pubblici locali, quali quelli posti dall’art. 113-bis del testo unico degli Enti locali con riferimento ai servizi privi di rilevanza economica. Si è, invero, sottolineato in dottrina241 come la sent. n. 272 del 2004 della Consulta non mancasse di stupire per la stringatezza e apoditticità delle affermazioni del giudice delle leggi. Ciò in riferimento alla asserita insussistenza della competenza esclusiva statale in materia di funzioni fondamentali dei Comuni, Province e Città metropolitane, considerato che, da sempre, il governo locale è stato definito prevalentemente come “Amministrazione di servizi” e le ragioni addotte dalla Corte apparissero non concludenti e quanto mai generiche. D’altra parte, l’art. 113-bis, come si diceva, non regolamentava affatto l’esplicazione o lo svolgersi delle prestazioni integranti i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica; ciò in quanto la concreta attività di erogazione di tutti i servizi pubblici locali è disciplinata dalle Carte dei servizi, dai Contratti di servizio stipulati tra soggetto erogatore e Amministrazione affidante e dalle fonti di autonomia degli stessi soggetti erogatori (es. statuto e regolamento di aziende o istituzioni ovvero atto costitutivo o statuto delle società di capitali ecc.) e non dalla legge242. La Corte costituzionale ha, poi, prospettato, nella sent. n. 272 del 2004, l’esigenza che la legislazione assicuri, in coerenza con gli artt. 114, 117 e 118 Cost., in ogni caso, un’ampia autonomia statutaria e regolamentare dell’Ente locale. Il giudice delle leggi, più precisamente, ha ravvisato che per i servizi locali privi di rilevanza economica “ci sarà, dunque, spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale”. Ebbene, pare indubbio che il Legislatore costituzionale del 2001, nell’individuare la competenza esclusiva statale in merito alla legislazione elettorale, agli organi di governo e alle funzioni fondamentali di Comuni e Province e delle Città metropolitane, non volesse ricomprendere l’intero ordinamento di tali Enti. Altrimenti avrebbe usato un’altra espressione, intestando, ad esempio, alla legislazione statale “l’ordinamento generale” dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane o utilizzando un’altra locuzione equivalente. Si può, tuttavia, ritenere che la logica ispiratrice della riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione del 2001 non fosse affatto quella di sottrarre alla competenza legislativa statale le materie residuali rispetto alla “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali” di Comuni, Province e Città metropolitane in favore della legislazione regionale. La ratio sottesa alla riforma in parola pare quella di ritagliare un maggiore spazio di autonomia, in capo ai singoli Enti locali, rispetto al disposto costituzionale pregresso243. Invero, rimarrebbe ferma, anche dopo la novella della legge costituzionale del 2001, la sussistenza di una “riserva di legge relativa” in merito all’organizzazione e alle attività amministrative di tutti gli Enti autarchici, ex art. 97 commi 2 e 3 Cost., con il conseguente divieto di statuti o regolamenti assimilabili a quelli governativi definiti “delegati” o “liberi” ed “indipendenti”244 che insistano sulla organizzazione e sulla esplicazione delle funzioni e dei servizi pubblici. I Comuni, le Province e le Città metropolitane, però, proprio perché la predetta riserva di legge è solo relativa, dovrebbero detenere una ampia discrezione nel disciplinare, in funzione, non solo esecutiva, ma anche spiccatamente attuativa ed integrativa, l’organizzazione e lo svolgimento delle proprie attività, esplicando, nelle rispettive

241 V. F. CASALOTTI, cit., pp. 271 -273. 242 V. S. PIGNATARO, I servizi pubblici locali nel nuovo sistema delle autonomie, cit., pp. 111-112. 243 Ivi, spec. pp. 88-92 e pp. 118-119. 244 V. P. CARETTI, Art. 97 (1° comma, parte I), in G. BRANCA, A. PIZZORUSSO A. (a cura di), Commentario della Costituzione, Roma 1994, p. 1 ss. e, spec., p. 16.

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fonti di autonomia, i principi fondamentali insistenti o desumibili dalla legislazione vigente in relazione alle peculiarità proprie delle diverse realtà locali. D’altronde, bisogna considerare che gli “statuti” dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane, ai sensi dell’art. 114 comma 2 Cost., non trovano più un limite inderogabile in tutte le disposizioni legislative, ma solo nei “principi costituzionali” ed, implicitamente, in quelle norme primarie alle quali la Costituzione consente di incidere sugli assetti organizzativi e funzionali di tali Enti, prime tra tutte, quelle statali che si riconnettono all’art. 117 comma 2 lett. p) Cost. (organi di governo e funzioni fondamentali di tali Amministrazioni); mentre il comma 6 n. 3 dell’art. 117 Cost. rimette alla potestà regolamentare di Comuni, Province e Città metropolitane, la disciplina dell’“organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”. Altrimenti, se la finalità perseguita dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 fosse quella di ancorare alla legislazione statale una parte dell’ordinamento degli Enti predetti, lasciando residuare alle Regioni la restante porzione dell’ordinamento medesimo (organi locali diversi da quelli di governo, funzioni non fondamentali e servizi) la complessiva formulazione dell’art. 117 Cost., con la clausola di residualità di cui al comma 4, avrebbe una portata più restrittiva e limitativa per le Province ed i Comuni di quanto non fosse in precedenza sotto la vigenza dell’art. 128 Cost.245 e ciò pare inammissibile. Sembra, quindi, più plausibile ritenere, ad onta della giurisprudenza costituzionale, di un’ampia produzione legislativa statale e regionale (in parte conseguente a tale giurisprudenza) e degli orientamenti espressi dalla maggior parte degli studiosi246, schierati in una direzione differente, che le attività vitali “proprie” dell’apparato locale, le quali devono avere, a mente dell’art. 97 commi 2 e 3 Cost., una specifica base legislativa, debbano essere disciplinate, in via eteronoma, con norme tendenzialmente di principio e in via esclusiva, da parte del Legislatore ordinario statale, lasciando tendenzialmente uno spazio di specificazione e di dettaglio, non meramente esecutivo, ma anche spiccatamente attuativo ed integrativo, alla potestà dei singoli Enti interessati in sede statutaria e regolamentare. I restanti aspetti, relativi a organi diversi da quelli di governo e a funzioni proprie non fondamentali, definibili secondarie o facoltative, non devono, invece, essere disciplinati dalla legge regionale [che, beninteso, può “conferire” determinate funzioni ulteriori, rispetto a quelle proprie dei Comuni e delle Province (e delle Città Metropolitane) ex art. 118 comma 2 Cost.], bensì essere rimessi all’autoregolamentazione dei singoli Enti locali, senza pregiudizio per la riserva di legge relativa fissata dall’art. 97 commi 2 e 3 Cost., nel rispetto dei principi rintracciabili nella legislazione statale vigente.

245 Cfr. F. STADERINI, cit., pp. 62-63. L’A. (p. 63) osserva come la tesi secondo la quale si assegnerebbe alla competenza legislativa residuale delle Regioni ex art. 117 comma 4 Cost. la disciplina dell’ordinamento locale per gli aspetti non ricompresi nella competenza statale, sulla base del principio di residualità “è inaccettabile”. Ciò in quanto contrasterebbe con la nuova posizione di pari autonomia delle Province e dei Comuni con le Regioni. Seguendo il suddetto assunto le Province e i Comuni “verrebbero a trovarsi in una condizione più deteriore rispetto al precedente regime in cui ogni potere di intervento esterno in materia era riservato alla legge statale di soli principi”. 246 Cfr. M. CALCAGNILE, Organizzazione degli uffici e riserva di amministrazione nello Stato delle autonomie, in www.giustizia-amministrativa.it. Per T. MIELE, La riforma costituzionale del Titolo V della seconda Parte della Costituzione: gli effetti sull’ordinamento, in www.lexitalia.it, nel nuovo assetto che la legge costituzionale n. 3 del 2001 ha delineato in Costituzione, “la Regione, divenuta il baricentro nella tutela degli interessi pubblici fra lo Stato e l’ordinamento comunitario ed internazionale da un lato, e le autonomie locali dall’altro, rappresenta ormai l’Ente di riferimento principale per la disciplina legislativa nella maggior parte delle materie (ad esclusione delle sole materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato), in relazione alle quali appare giustificabile una disciplina differenziata nelle diverse aree del Paese, anche al fine di garantire alle stesse Regioni la massima autonomia possibile e di cogliere tutte le potenzialità economiche e sociali di cui sono capaci”.

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Diversamente, la riforma del 2001 del Titolo V, Parte II, Cost., anziché riconoscere a Comuni, Province e Città metropolitane una posizione di pressoché pari dignità rispetto alle Regioni, come pure sostenuto da più parti, ne avrebbe ridimensionato l’autonoma configurazione. È naturale, poi, che la portata delle previsioni statutarie e regolamentari adottate da ciascun Ente locale per disciplinare i criteri e le modalità di organizzazione e di esplicazione dei relativi servizi raggiunga il culmine con riferimento ai servizi resi in economia e, di seguito, per quelli gestiti tramite istituzione, per poi ridimensionarsi in relazione a quelli di carattere strettamente economico rimessi a soggetti interamente privati. Passando ad esaminare un altro aspetto centrale, la Corte, già nella citata sent. 272 del 2004, ha lasciato intravedere la sussistenza di una matrice regionale delle normative settoriali ovvero (quantomeno) di alcune di esse247. La legislazione regionale potrebbe investire, in effetti, diversi ambiti, soprattutto con riferimento ai servizi pubblici locali privi di rilevanza economica ove non sussiste l’interesse alla tutela della concorrenza e del mercato. L’art. 113 comma 1 del testo unico degli Enti locali, a seguito delle novità introdotte dal decreto legge n. 269 del 2003, specifica che le disposizioni in esso contenute, relative ai servizi pubblici locali a rilevanza economica, “concernono la tutela della concorrenza” e sono “inderogabili” da parte delle legislazioni di settore ed “integrative” di queste ultime. Restano ferme le “altre disposizioni di settore e quelle di attuazione di specifiche normative comunitarie”. Con ciò viene, quindi, capovolto il noto principio lex specialis derogat generali, che, peraltro, aveva ispirato, in precedenza, l’impianto fondamentale dell’art. 35 della legge n. 448 del 2001. Ebbene, con riferimento alle normative di settore (che si pongono come collaterali rispetto alle norme di carattere generale) appare di palmare evidenza che, se il giudice delle leggi ha escluso, per la disciplina generale dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, un addentellato costituzionale che legittimasse una matrice statale esclusiva (o concorrente), lo stesso ragionamento dovrebbe, a rigor di logica e a fortiori, essere seguito in relazione alle discipline settoriali. Va considerato che, per taluni servizi a (forte) rilevanza economica, vi sarebbe sicuramente una base costituzionale, in favore dello Stato, nella stessa esigenza di tutela della concorrenza e del mercato, idonea a fondare una quanto meno parziale competenza legislativa esclusiva statale insistente anche sulle specifiche normative settoriali248. Si pensi alle discipline di settore dei servizi del gas naturale, dell’energia elettrica e del trasporto collettivo. D’altro canto, dovrebbe essere sicuramente rimessa, quanto meno in massima parte, alla competenza esclusiva statale la disciplina specifica dei servizi burocratici o istituzionali comunali, indispensabili e privi di rilevanza economica (ufficio elettorale, anagrafe, stato civile, leva e statistica), ex art. 117 comma 2 lett. p), i), d) e r) Cost., in relazione rispettivamente alla “legislazione elettorale” dei Comuni, “anagrafi” e “stato civile”, “difesa” e “coordinamento del sistema statistico”. Va evidenziato come una competenza esclusiva statale potrebbe venire in rilievo, ex 117 comma 2 lett. s) Cost.249, in relazione alla materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali”.

247 In tale direzione, in precedenza, S. PIGNATARO, I servizi pubblici locali nel nuovo sistema delle autonomie, cit., p. 168 ss. e, spec., p. 170. 248 Principio affermato dalla Corte cost. sent. n. 307 del 2009, cit., e sent. 21 marzo 2012 n. 62, in questa Rassegna 2012, III, 179, con riferimento specifico alla disciplina settoriale del servizio idrico integrato. 249 V. G.E. BERLINGERIO, cit., p. 244.

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La tutela dell’ambiente e dell’ecosistema potrebbe indubbiamente legittimare una matrice, almeno in parte, statale delle discipline settoriali di alcuni servizi a rilevanza economica, quali il servizio idrico integrato250 e la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti251 e, in certa misura, può ritenersi, anche, la distribuzione del gas naturale. Per i medesimi servizi potrebbe, per di più, ritenersi sussistente, ex art. 117 comma 3 Cost., la competenza concorrente in materia di “tutela della salute”, competenza che dovrebbe riguardare, almeno in buona parte, la disciplina settoriale delle farmacie comunali. Inoltre, con riferimento ad alcuni servizi privi di rilevanza economica, dovrebbe essere rimessa alla competenza legislativa statale esclusiva, in tema di tutela dei beni culturali, ex art. 117 comma 2 lett. s) Cost., e a quella concorrente, ex art. 117 comma 3 Cost. in ordine alla “valorizzazione” degli stessi e “promozione e organizzazione di attività culturali”, la legislazione settoriale252, più o meno dettagliata, relativa all’organizzazione ed alla gestione di servizi culturali ed artistici locali (teatri, musei, biblioteche, pinacoteche ecc.). Vi sarebbe, poi, la possibilità che venga in rilievo la materia di legislazione concorrente Stato-Regioni, ex art. 117 comma 3 Cost., in tema di “alimentazione”, che potrebbe lambire, insieme a quella indicata della tutela della salute, la regolamentazione specifica, ancorché di principio, di alcuni prodotti alimentari, la cui produzione e fornitura è possibile oggetto di servizi pubblici locali a rilevanza economica, quali la carne ed il latte. Più arduo rilevare la sussistenza di una potestà legislativa statale, esclusiva o concorrente, in ulteriori ambiti e con riferimento ad altre tipologie di servizi. A seguito della riforma del 2001 del Titolo V, Parte II, Cost., come si accennava in precedenza, si pone il problema della competenza normativa in merito alla individuazione di alcune categorie particolari di servizi pubblici locali come quelli a domanda individuale e quelli indispensabili, oggetto di previsioni generali in norme regolamentari statali [come si è detto, rispettivamente, decreti ministeriali, 31 dicembre 1983 (e successive modifiche) e 28 maggio 1993]. Ferma restando l’autonomia statutaria e regolamentare dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane, garantita costituzionalmente, la individuazione dei servizi a domanda individuale potrebbe, ora, ritenersi rimessa, ex art. 117 comma 4 e comma 6 n. 2 Cost., almeno in parte, tenendo conto delle indicazioni espresse dalla Consulta, alla legislazione esclusiva delle singole Regioni e, dunque, al limite, alla potestà regolamentare regionale. Così opinando, le diverse Regioni sarebbero legittimate a variare il quadro normativo preesistente in merito. Pur tuttavia, la competenza legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117 comma 2 lett. e) Cost., in materia di “armonizzazione dei bilanci pubblici”, certamente pertinente per le forti implicazioni economico-finanziarie che la classificazione di tali servizi produce, soprattutto in relazione alle forme e modalità di copertura dei costi e, conseguentemente, agli effetti sugli equilibri di bilancio degli Enti locali, potrebbe legittimare previsioni generali in merito da parte di fonti, anche regolamentari, statali; mentre la competenza legislativa concorrente Stato-Regioni, ex art. 117 comma 3 Cost., in materia di “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, pure inerente a tali tipologie di prestazioni per le medesime ragioni, potrebbe garantire allo Stato di incidere, almeno sotto certi profili, sul tema, ancorché solo con norme di grado legislativo contenenti i principi fondamentali ispiratori.

250 In tal senso Corte cost., sent. n. 62 del 2012, cit. Anteriormente alle suddette statuizioni della Consulta v. S. PIGNATARO, I servizi pubblici locali nel nuovo sistema delle autonomie, cit., p. 110 251 V. S. PIGNATARO, I servizi pubblici locali nel nuovo sistema delle autonomie, cit., p. 110. 252 V., ad esempio, G. SCIULLO, cit.

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In definitiva, considerando la pertinenza della materia di competenza esclusiva statale predetta, un testo regolamentare statale che si limiti alla individuazione di tali prestazioni, con riferimento agli Enti locali, ivi comprese le Comunità montane ed, in ipotesi, le Comunità isolane e le Città metropolitane, potrebbe indubbiamente reputarsi munito di copertura costituzionale. Per la delimitazione dei servizi pubblici locali indispensabili, menzionati in precedenza, considerato che la loro individuazione deve necessariamente essere posta, per evidenti ragioni, da norme eteronome, si potrebbe radicare la legislazione esclusiva statale e, di conseguenza, uno spazio per la disciplina regolamentare statale, a mente dell’art. 117 comma 2 lett. m) e comma 6 n. 1 Cost. Potrebbe, in riferimento a tali particolari servizi, risultare conferente la potestà legislativa esclusiva statale relativa alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ove si ritenesse, però (nel rispetto delle condizioni espresse dalla Corte costituzionale), la stessa competenza, preordinata ad assicurare i “livelli essenziali” di tali prestazioni; situazione, invero, plausibile, ma non scontata, stante la evidente differenza tra “individuazione delle prestazioni indispensabili” degli Enti locali e “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. In caso affermativo, peraltro, il regolamento statale prima menzionato potrebbe certamente trovare, tuttora, una copertura costituzionale anche in riferimento alle Comunità montane e analogo discorso potrebbe essere seguito per l’eventuale individuazione dei servizi indispensabili delle Città metropolitane e delle Comunità isolane. In questa ipotesi, alle discipline regionali dovrebbe essere demandata la predisposizione dei livelli “ulteriori di tutela” delle prestazioni in esame e, dunque, le singole Regioni potrebbero essere autorizzate (comunque) ad incidere sul quadro normativo, anche regolamentare, pregresso ed, ovviamente, uniforme; sebbene in parte e, comunque, solo in senso più garantistico per gli utenti. Va, però, considerato che l’individuazione dei servizi indispensabili di Comuni e Province, di cui al predetto decreto ministeriale, potrebbe ritenersi sicuramente afferente, per la connotazione autoritativa delle attività considerate, ovvero di alcune di esse, e per la loro notevole rilevanza, alle funzioni fondamentali di tali Enti; in quanto tali, sarebbero determinabili, almeno in parte, da fonti legislative e regolamentari statali emanate ex art. 117 comma 2 lett. p) e comma 6 n. 1 Cost., e non derogabili dalle Regioni. Di talché, la normativa regolamentare statale indicata, chiaramente uniforme, potrebbe restare inalterata, per lo meno in certa misura e limitatamente ai Comuni ed alle Province, a cui potrebbero aggiungersi, alla stessa stregua, le Città metropolitane. Ove si considerasse operante tale materia di competenza esclusiva statale isolatamente, vi sarebbero, invece, molti argomenti per sostenere la potestà legislativa e regolamentare regionale ai fini della individuazione dei servizi indispensabili delle Comunità montane ed isolane.

Dott. Sergio Pignataro Dottore di ricerca in “Diritto pubblico e cultura dell’economia”

Specialista in “Scienze delle autonomie costituzionali” e in “Diritto del lavoro e sicurezza sociale”