N. 07966/2015 REG.PROV.COLL. REPUBBLICA ITALIANA IN...

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N. 07966/2015 REG.PROV.COLL. N. 00808/2015 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 808 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto dal dott. Silvio Berlusconi, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Di Porto, Luigi Medugno ed Andrea Saccucci, con domicilio eletto presso lo stesso avv. Andrea Di Porto in Roma, Via G. B. Martini, 13; contro Banca D'Italia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Olina Capolino, Marco Mancini, Michele Cossa, Guido A.M. Crapanzano, domiciliata in Roma, Via Nazionale, 91; IVASS, Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Galanti, Paolo Mariano e Massimiliano Scalise ed elettivamente domiciliato presso gli stessi (Ufficio Legale IVASS) in Roma, Via del Quirinale, 21;Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12; nei confronti di Finanziaria di Investimento Fininvest Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Scanzano, Michele Carpinelli ed Alfredo Vitale, con domicilio eletto presso lo stesso avv. Francesco Scanzano in Roma, Via XXIV Maggio, 43;Mediolanum Spa, Fin Prog Italia Sapa di E. Doris & C; e con l'intervento di ad adiuvandum:Holding Italiana Quarta Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. prof. Romano Vaccarella, con domicilio eletto presso lo stesso avv. Romano Vaccarella in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 269; per l'annullamento del provvedimento della Banca d’Italia n. 0976145/14 con il quale è stata disposta la sospensione del diritto

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N. 07966/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00808/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 808 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto dal dott. Silvio

Berlusconi, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Di Porto, Luigi Medugno ed Andrea Saccucci, con

domicilio eletto presso lo stesso avv. Andrea Di Porto in Roma, Via G. B. Martini, 13;

contro

Banca D'Italia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Olina

Capolino, Marco Mancini, Michele Cossa, Guido A.M. Crapanzano, domiciliata in Roma, Via Nazionale, 91;

IVASS, Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Galanti, Paolo Mariano e Massimiliano Scalise ed elettivamente

domiciliato presso gli stessi (Ufficio Legale IVASS) in Roma, Via del Quirinale, 21;Ministero dell'Economia e

delle Finanze, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui Uffici è domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Finanziaria di Investimento Fininvest Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa

dagli avvocati Francesco Scanzano, Michele Carpinelli ed Alfredo Vitale, con domicilio eletto presso lo

stesso avv. Francesco Scanzano in Roma, Via XXIV Maggio, 43;Mediolanum Spa, Fin Prog Italia Sapa di E.

Doris & C;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:Holding Italiana Quarta Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e

difesa dall'avv. prof. Romano Vaccarella, con domicilio eletto presso lo stesso avv. Romano Vaccarella in

Roma, corso Vittorio Emanuele II, 269;

per l'annullamento

del provvedimento della Banca d’Italia n. 0976145/14 con il quale è stata disposta la sospensione del diritto

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di voto e degli altri diritti che consentono di influire su Mediolanum spa, inerenti alla parte eccedente la

soglia prevista dall'art 19 co.1 TUB della partecipazione detenuta nel capitale della predetta società da

Fininvest spa e, indirettamente dal ricorrente, ed è stato impartito l'ordine di alienare la parte della

medesima partecipazione eccedente la predetta soglia - atto di costituzione ex art 10 dpr 1199/71;

di ogni altro atto, precedente o successivo, comunque connesso al provvedimento medesimo;

nonché, con primo atto per motivi aggiunti, per l’annullamento del medesimo provvedimento impugnato

alla luce delle questioni di legittimità costituzionale ivi sollevate;

nonché con secondo atto di motivi aggiunti per l’annullamento:

della delibera IVASS n. 134 / 2014 assunta dal Direttorio Integrato dell’IVASS il 7.10.2014 con il quale la

predetta Autorità ha rilasciato l’intesa per l’adozione del provvedimento n. 0976145/2014, emanato dalla

Banca d’Italia il medesimo 7 ottobre 2014;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Banca d'Italia, dell’IVASS, della Fininvest Spa e del Ministero

dell'Economia e delle Finanze;

Visto l’atto di intervento “ad adiuvandum” della società Holding Italiana Quarta S.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 aprile 2015 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i

difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con comunicazione del 29.4.2014 (doc. 1 ric.), indirizzata a Mediolanum S.p.a., Società a partecipazione

finanziaria mista (di seguito si utilizzerà la sigla SPFM), secondo la definizione di cui all’art. 1, comma 1, lett.

v) D.Lgs. 30.5.2005, n. 142, capogruppo dell’omonimo conglomerato finanziario, la Banca d’Italia informava

la società che, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 53 del 4.3.2014 e considerato che il

conglomerato societario di cui Mediolanum è capogruppo svolge in prevalenza attività creditizia (v. art. 67

– bis D.Lgs. n. 385 del 1993, di seguito denominato “TUB”), la medesima doveva considerarsi assoggettata

alla stessa disciplina prevista per gli intermediari vigilati (art. 59, comma 1, lett. b-bis e art. 60, comma 1,

lett. b), TUB).

In considerazione di ciò l’Autorità di vigilanza invitava la Società ad avanzare istanza di iscrizione nell’albo

dei gruppi bancari, allegando la documentazione necessaria a comprovare il possesso dei requisiti, nonché

a trasmettere la documentazione necessaria a comprovare la sussistenza degli ulteriori requisiti prescritti

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dal Titolo II, Capi III e IV, TUB (come richiamati dagli artt. 63 e 67 bis cpv. TUB) in capo ai detentori di

partecipazioni qualificate al suo capitale (e cioè superiori al 9,99%).

Nel successivo svolgimento procedimentale, la Banca d’Italia in un primo momento rilevava l’incompletezza

della documentazione inoltrata dichiarando di non potere per questo dare avvio al procedimento di

valutazione della partecipazione qualificata al capitale di Mediolanum riferibile all’odierno ricorrente, nella

sua qualità di soggetto detentore della partecipazione di controllo della Fininvest S.p.a, quest’ultima a sua

volta titolare di una partecipazione azionaria superiore al 30% nel capitale di Mediolanum (v. nota B.d.I. del

30.5.2014).

Una vota acquisite da Mediolanum le integrazioni istruttorie richieste, l’Autorità di vigilanza comunicava

l’avvenuta iscrizione della società all’albo delle capogruppo bancarie, riservandosi però ogni ulteriore

valutazione in merito ai diversi procedimenti di autorizzazione concernenti i detentori delle partecipazioni

qualificate al capitale (doc. 7 res.).

Veniva successivamente trasmessa dalla Fininvest in allegato alla nota del 13.6.2014 la dichiarazione

sostitutiva ex artt. 46 e 47 D.P.R. n. 445 del 2000, datata 13.6.2014, a firma del dott. Silvio Berlusconi, nella

quale egli dichiarava, tra le altre cose, di essere stato condannato con sentenza definitiva alla pena della

reclusione per anni 4, di cui 3 condonati, oltre alle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e

dagli uffici direttivi delle persone giuridiche per 2 anni, per il reato di cui agli artt. 81, 110 c.p. e 4, lett. f)

Legge 516 / 1982, in relazione all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000.

La Banca d’Italia, quindi, comunicava alla Fininvest ed al dott. Silvio Berlusconi l’avvio a far data dal

13.6.2014 del procedimento amministrativo ex artt. 19, 63 e 67 bis cpv TUB (doc. 4 ric.).

Con successiva nota della Fininvest alla Banca d’Italia del 19.6.2014 (doc. 11 res.) la menzionata società, in

conseguenza dell’intervenuta carenza del requisito di onorabilità in capo all’attuale socio di controllo

indiretto, dott. Silvio Berlusconi, esponeva due proposte alternative in merito al trattamento della sua

partecipazione in Mediolanum S.p.a.: in estrema sintesi, fermo restando in ogni caso l’impegno di Fininvest

a non esercitare il diritto di voto eccedente la soglia legale del 9,99% del capitale, la stessa società avrebbe

trasferito la quota eccedente il suddetto limite o ad una società fiduciaria cui corrispondere istruzioni

irrevocabili connesse al non esercizio del diritto di voto, oppure ad un “trustee” di un “trust” interno da

istituire ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1985, avente carattere temporaneo, connotato da piena

autonomia gestionale del “trustee” (mantenendo la Fininvest esclusivamente prerogative ed interessi di

natura economica): in entrambe le ipotesi alternative era riservata alla Fininvest la facoltà di subentrare

nuovamente, in futuro, nella proprietà della partecipazione, subordinatamente al rilascio delle

autorizzazioni del caso.

Nella successiva corrispondenza si approfondivano ulteriormente i possibili profili di configurazione

dell’istituendo “trust” e si svolgeva a tale scopo anche un incontro presso la Banca d’Italia in data

22.7.2014.

Con nota del 5.9.2014 la Fininvest trasmetteva le informazioni ulteriori richieste dall’Autorità di vigilanza

unitamente alle bozze della documentazione istitutiva del “trust”, ivi compresa una bozza delle regole

concernenti le modalità di futura alienazione della partecipazione.

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Copia dei documenti e, successivamente, una bozza del provvedimento conclusivo del procedimento ex

artt, 19 63 e 67 – bis, venivano inviate all’IVASS per le valutazioni di competenza ed il rilascio dell’intesa

prevista dalla legge (docc. 17 e 18 res.).

Con provvedimento prot. n. 976145/14 del 7.10.2014, oggetto dell’odierna impugnazione (doc. 8 ric.),

comunicato il successivo 9 ottobre alla Fininvest ed al dott. Berlusconi, la Banca d’Italia, d’intesa con

l’IVASS, vista la carenza in capo al dott. Berlusconi del requisito reputazionale previsto dalla Direttiva

2007/44/CE – confluita nella Direttiva 2013/36/UE (CRD IV) dell’1.1.2014 – e dalle “Joint Guidelines for the

prudential assessment of acquisitions and increases in holdings in the financial sector requie by Directive

2007/44/EC” (doc. 9 ric.):

- accertava la carenza del requisito di onorabilità in capo all’odierno ricorrente in virtù della condanna

riportata alla reclusione non inferiore ad un anno per un delitto in materia tributaria, ai sensi di quanto

stabilito dall’art. 1, comma 1, lett. b), n. 3), D.M. n. 144 del 18 marzo 1998 e dagli artt. 19, 24 e 25 TUB,

precisando che il venir meno del requisito di onorabilità previsto dalle disposizioni sopra richiamate,

comporta la perdita del requisito reputazionale previsto dalla Direttiva 2007/44/UE e dalle “Joint

Guidelines for the Prudential assessment” già citate e costituisce condizione ostativa per il rilascio da parte

della Banca d’Italia (d’intesa con l’IVASS) dell’autorizzazione ex artt. 19, 63 e 67 - bis TUB relativamente alla

partecipazione al capitale di Mediolanum detenuta dal sig. Berlusconi, per il tramite di Fininvest, eccedente

la soglia prevista dal comma 1 del medesimo art. 19 TUB;

- in considerazione di ciò la medesima Autorità di Vigilanza comunicava che ai sensi degli artt. 24 e 25 TUB

dovevano ritenersi sospesi i diritti di voto e gli altri diritti inerenti la suddetta partecipazione, con obbligo di

alienarla a terzi;

- accoglieva la proposta formulata da Fininvest di istituire un “trust” cui trasferire la partecipazione “de

quo” purché il “trust” venisse assoggettato ad una serie di puntuali condizioni fissate nel medesimo

provvedimento;

- assegnava alla Fininvest un termine di gg. 20 per comunicare l’adesione alle condizioni formulate

dall’Autorità ai fini del loro recepimento nell’istituendo “trust”;

- riservava alle Autorità di vigilanza la verifica del rispetto delle condizioni, avvertendo che la mancata

osservanza di esse avrebbe comportato l’obbligo di dismissione delle partecipazioni eccedentarie.

Con nota in data 9.1.2015 (doc. 22 res.) Fininvest comunicava alla Banca d’Italia l’avvenuta costituzione del

“trust”, trasmettendo la relativa documentazione, nella quale è compreso il documento definito

“documento di autoregolamentazione” predisposto dallo stesso “trustee”, il quale contiene i criteri e le

procedure per la futura vendita della partecipazione a terzi.

Nel frattempo, con atto notificato alla Banca d’Italia in data 7.1.2015 (due giorni prima dell’istituzione del

“trust”), il dott. Silvio Berlusconi proponeva ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso il

menzionato provvedimento adottato dalla Banca d’Italia d’intesa con l’IVASS.

Il medesimo ricorso straordinario veniva notificato anche al MEF ed alla Fininvest S.p.a. il giorno 7.1.2015,

nonché il medesimo giorno inviato a notifica nei confronti di: Mediolanum S.p.a., sig. Ennio Doris, Fin. Prog.

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Italia S.a.p.a. di E. Doris & C..

Il ricorso straordinario è stato inoltre presentato in data 12.1.2015 all’IVASS ed in data 13.1.2015 al

Consiglio di Stato (vedi docc. sub I – V ric.).

A seguito dell’opposizione ex art. 10 D.P.R. n. 1199 del 1971 notificata dalla Banca d’Italia in data 14.1.2015

al dott. Berlusconi, quest’ultimo ha provveduto alla trasposizione del ricorso nella presente sede

giurisdizionale mediante deposito in data 16.1.2015 dell’atto di costituzione in giudizio ex art. 48 c.p.a. e

successiva notifica a mezzo telefax (autorizzata dal Presidente della Sezione) avvenuta il giorno 19.1.2015

del relativo avviso di deposito, nei confronti dei medesimi destinatari dell’originario ricorso straordinario.

2. Il gravame proposto, premessi in fatto i riferimenti al pregresso procedimento che ha condotto l’Autorità

Vigilanza a ritenere venuto meno il requisito di onorabilità in capo al detentore della quota di controllo in

Fininvest S.p.a., società a sua volta titolare del 30,08 % del capitale di Mediolanum S.p.a., SPFM a capo del

conglomerato finanziario con prevalenza dell’attività bancaria - e, pertanto, assoggettata alle stesse norme

sulla vigilanza bancaria per effetto dell’entrata in vigore del D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 53 (che ha modificato

l’art. 63 TUB) - mira all’annullamento del provvedimento della Banca d’Italia del 7.10.2014 e si fonda su di

un unico articolato motivo che può riassumersi come segue.

Il ricorrente deduce “violazione e /o falsa applicazione dell’art. 2, comma 5, lett. a) D.Lgs. n. 53 del 2014,

nonchè degli artt. 19, 24, 25 e 63 del TUB, dell’art. 2 D.M- n. 144/1998 e dell’art. 3 Cost.. Eccesso di

potere”.

Sostiene il ricorrente che la tecnica legislativa utilizzata per l’assoggettamento delle SPFM capogruppo

(categoria nella quale va ricondotta Mediolanum S.p.a.) alle medesime disposizioni già vigenti per le banche

e contenute nel Titolo II, Capi III e IV (in particolare, in materia di controllo sulle partecipazioni rilevanti), è

quella del “rinvio in blocco”, operato dall’art. 63 TUB per effetto delle modifica introdotta dal citato D.Lgs.

n. 53 del 2014 (v. art. 2, comma 5, lett. a) il quale non disciplina direttamente i requisiti di onorabilità

necessari per i detentori, diretti o indiretti, di partecipazioni rilevanti ma opera un rinvio a tutte le

disposizioni dei capi sopra menzionati del TUB (“Alle società finanziarie e alle società di partecipazione

finanziaria mista capogruppo si applicano le disposizioni del titolo II, capi III e IV salvo quanto previsto

dall'articolo 67-bis”).

Tra le disposizioni richiamate vi è anche l’art. 25 il quale rinvia ad un regolamento del Ministero

dell’Economia e delle Finanze la determinazione dei requisiti di onorabilità.

Tale regolamento è stato adottato con il DM. n. 144 del 1998 il quale all’art. 1 enumera la situazioni che

lasciano presumere, in termini assoluti, la perdita del requisiti di onorabilità (situazioni legate in genere

all’aver subito condanne penali per specifiche categorie di delitti) e all’art. 2 (Norma transitoria) prevede

che “Per i soggetti che partecipano al capitale di una banca alla data di entrata in vigore del presente

regolamento la mancanza dei requisiti di cui all'articolo 1 non previsti dalla normativa previgente non

rileva, se verificatasi antecedentemente alla data stessa, limitatamente alla partecipazione già detenuta”.

Secondo parte ricorrente il rinvio in blocco (o mobile) contenuto nell’art. 63 TUB, operando nei confronti

della fonte e non delle disposizioni normative nella loro materialità storica, deve necessariamente essere

riferito a tutte le disposizioni che da detta fonte promanino, con le successive abrogazioni, modifiche ed

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integrazioni, ivi comprese le norme di livello subordinato da detta fonte richiamate, le quali tutte

concorreranno alla disciplina delle fattispecie riconducibili alla disposizione di rinvio (in blocco).

Tra queste il suddetto art. 2 del D.M. cit. che verrebbe “richiamato a nuova vita” dalla data di entrata in

vigore del D.Lgs. n. 53 del 2014, il quale conferirebbe alla disposizione attualità normativa per un settore

diverso ed ulteriore (quello delle SPFM) da quello che la norma originariamente considerava (il settore

bancario). Ciò, nella prospettiva del ricorrente (a suo avviso suffragata dal parere del Consiglio di Stato, Sez.

Consultiva, 23.2.1998, n. 25 a suo tempo reso in vista dell’entrata in vigore dell’allora nuovo Regolamento

sui “requisiti di onorabilità” dei detentori di partecipazioni qualificate in banche), determina la necessità di

applicare il suddetto regime transitorio anche alla situazione in cui versa l’odierno ricorrente il quale

detiene da lungo tempo (attraverso la controllata Fininvest) la partecipazione rilevante in Mediolanum

S.p.a. e ha subito la condanna alla reclusione non inferiore ad un anno, con sentenza irrevocabile, per

delitto in materia tributaria nell’agosto del 2013 (la condanna, precisamente, è stata pronunciata in data 1

agosto 2013) e, pertanto, ben prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 53 del 2014, avvenuta il 16.4.2014.

Poiché al momento dell’entrata in vigore, per effetto del D.Lgs. n. 53 cit., dei requisiti di onorabilità di cui

all’art. 1 del D.M. cit. (anche) nei confronti delle SPFM, il venir meno del requisito in conseguenza della

condanna penale si era già verificato, l’art. 2 comporta l’irrilevanza di esso atteso che “la mancanza dei

requisiti di cui all'articolo 1 non previsti dalla normativa previgente non rileva, se verificatasi

antecedentemente alla data stessa, limitatamente alla partecipazione già detenuta”.

Pertanto la perdita, avvenuta prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, di un requisito che non

era prescritto dalla normativa previgente (valevole, come visto, per le sole banche e non anche per le SPFM

capogruppo) non può avere rilevanza ai fini della conservazione della partecipazione già in possesso del

ricorrente, in virtù di quanto sancito dall’art. 2 cit..

La Banca d’Italia omettendo di applicare detto articolo sarebbe incorsa nelle plurime violazioni di legge

denunciate nella rubrica del motivo dedotto.

Secondo il ricorrente, ogni diversa interpretazione, quale quella seguita dall’Autorità di vigilanza, che

ritenesse avvenuta l’introduzione dei requisiti di onorabilità per i partecipanti diretti e indiretti al capitale

della SPFM, senza alcun regime transitorio, sarebbe in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza

e ragionevolezza (art. 3 Cost.), oltre che con i principi costituzionali che tutelano la proprietà privata e la

libertà d’impresa (artt. 41 e 42 Cost.), i quali assumono anche una dimensione internazionale grazie alla

Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (art. 14 e art. 1 Prot. n. 1) ed alla Carta dei diritti fondamentali

dell’Unione Europea.

A ciò si aggiunge il dato normativo che può ricavarsi dall’esame dei vari casi in cui sono stati introdotti “ex

lege” nuovi requisiti di onorabilità dei soci in diversi settori economici già sottoposti a vigilanza

dell’Autorità, sempre prevedendo un regime transitorio (ciò è quanto avvento per le SIM, le SICAV, le

società di gestione di mercati regolamentati, gli intermediari finanziari, le società di gestione accentrata di

strumenti finanziari).

3. Successivamente con atto notificato alla Banca d’Italia in data 27.1.2015, la Holding Italiana Quarta

S.p.a., partecipante al capitale di Fininvest S.p.a. nella misura del 7,65 %, proponeva “atto di intervento

adesivo autonomo da valere quale ricorso autonomo”, ove si articolano tre motivi di diritto, di cui due

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corrispondenti ad altrettante questioni di legittimità costituzionale (motivo primo e terzo) ed uno mirante a

delineare una questione di compatibilità con il diritto europeo (motivo secondo), relativamente alle

disposizioni applicate dalla Banca d’Itala nel caso di specie.

Le questioni di legittimità costituzionale già dedotte dalla interveniente venivano fatte proprie dal

ricorrente e riprodotte nel successivo atto di “motivi aggiunti/integrativi” notificato alla Banca d’Italia (in

data 28.1.2015) ed alle altre parti in causa.

Il ricorrente, precisando che i motivi (di illegittimità costituzionale) introdotti devono considerarsi proposti

in via subordinata rispetto a quanto dedotto con il ricorso introduttivo (anche perché il loro eventuale

accoglimento determinerebbe la soltanto parziale caducazione del provvedimento impugnato, limitata alla

parte in cui determina l’obbligo di alienazione della quota eccedentaria, mentre non inciderebbe sulla

sospensione dell’esercizio dei diritti di voto), sottopone all’attenzione del Collegio (come aveva già fatto la

Società intervenuta “ad adiuvandum”) le tre questioni di legittimità costituzionale che possono così

riassumersi:

a) con riferimento all’art. 25 TUB (sul quale è fondato, insieme all’art. 24 TUB, il provvedimento oggi

impugnato) laddove al quarto comma prevede che “Le partecipazioni, eccedenti le soglie previste dal

comma 3, dei soggetti privi dei requisiti di onorabilità devono essere alienate entro i termini stabiliti dalla

Banca d'Italia”, il ricorrente evidenzia trattarsi di comma introdotto molti anni dopo l’entrata in vigore del

TUB, dall’art. 2 del D.Lgs. 37 del 2004, emanato sulla base della Legge delega n. 366 del 2001 destinata però

alla “Riforma del diritto societario”, la quale nulla prevedeva in tema di obbligo di alienazione di

partecipazioni in banche, limitandosi l’art. 1, comma 2, di essa a circoscrivere la delega al “necessario

coordinamento” della riforma societaria con le altre disposizioni vigenti, sicché la disposizione in esame

sarebbe originariamente viziata da incostituzionalità ai sensi dell’art. 76 Cost. per eccesso di delega; per

analoghe ragioni sarebbe altresì incostituzionale anche l’art. 24, comma 3, TUB nel quale è stato inserito,

sempre ad opera dell’art. 2 del D.lgs. n. 37/2004, l’analogo obbligo di alienazione in caso di mancata

autorizzazione preventiva all’acquisizione delle partecipazioni rilevanti nel capitale di banche;

b) sempre con riguardo all’art. 25, comma 4 (ed all’art. 24, comma 3) TUB se ne deduce l’incompatibilità

con il diritto europeo per violazione del principio di proporzionalità: la direttiva 89/646/CEE, diretta

all’obbiettivo della “sana e prudente gestione” individuava espressamente la “sanzione” della sospensione

del diritto di voto (art. 11, comma 5) nei confronti dei partecipanti al capitale delle banche ove privi delle

qualità prescritte, ponendo il socio “disonorevole” nella condizione di non poter influire nella gestione

dell’ente. In un primo momento, nel recepimento della Direttiva nel diritto interno, non si erano introdotte

misure diverse dalla sospensione dei diritti di voto, mentre con il rammentato intervento del D.Lgs. n. 37

del 2004 il legislatore italiano stabilisce l’obbligo di alienazione della quota nella mani del socio

disonorevole: si tratterebbe, secondo la ricorrente, di un innesto non necessitato dalla Direttiva 89 rimasta

immutata sul punto (v. art. 11, comma 5 Dir. Cit.). Esso inoltre sacrifica in modo irreversibile il diritto di

proprietà tutelato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (cfr. art. 17 della Carta

medesima), senza produrre alcun beneficio in funzione della garanzia della “sana e prudente gestione”. Su

ciò si fonda l’istanza del ricorrente a questo Tribunale di disapplicare le norme nazionali menzionate su cui

si fonda l’ordine di alienazione impartito dalla Banca d’Italia ovvero, ove ritenuto necessario, di effettuare

un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sull’interpretazione degli artt. 17 e 52 della Carta dei Diritti

Fondamentali dell’Unione Europea;

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c) si deduce nuovamente l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 4, TUB anche alla luce del diverso

parametro costituzionale integrato dagli artt. 3, 42 e 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo

Addizionale CEDU, i quali non consentono la compressione del diritto di proprietà, se non nei limiti

strettamente necessari per salvaguardare altri interessi ugualmente garantiti: per le medesime ragioni di

cui al precedente motivo, l’obbligo di alienazione, ritiene il ricorrente, determina il sacrificio di un diritto

garantito dalla Costituzione e dalla CEDU senza però produrre alcun reale beneficio in funzione della

garanzia di “sana e prudente gestione”, già tutelata attraverso la meno invasiva misura della sospensione

dei diritti di voto.

4. Si costituiva in giudizio in data 28.1.2015 la Banca d’Italia la quale successivamente, in vista della camera

di consiglio per l’esame dell’istanza di sospensiva proposta, depositava memoria ex art. 55, comma 5, c.p.a.

datata 9.2.2015, corredata da numerosi allegati, nella quale si contestano “in toto” le deduzioni svolte nel

ricorso così come nell’atto di intervento della Holding Italiana Quarta S.p.a., rispetto al quale si invoca la

declaratoria di inammissibilità.

In particolare, le deduzioni, istanze ed eccezioni dell’Autorità resistente possono così sintetizzarsi:

- con riferimento alla posizione della interveniente Holding Italia Quarta S.p.a. si evidenzia che l’unico

elemento di connessione fra quest’ultima e la vicenda in esame risiederebbe nella sua qualità di socio della

Fininvest S.p.a., elemento certamente non sufficiente a fondare una autonoma legittimazione

all’impugnativa di un provvedimento che produce effetti nella esclusiva sfera giuridica della Società

Fininvest e, con riferimento al disconoscimento dei requisiti di onorabilità, in quella del titolare della

partecipazione di controllo, dott. Berlusconi; viceversa la Holding It. Quarta non è destinataria di alcun

effetto lesivo direttamente riconducibile al provvedimento impugnato mentre, quale azionista di una

società di capitali non è legittimata ad agire in luogo della società partecipata ma solo ad aderire, al più, alle

azioni eventualmente proposte da quest’ultima, situazione nella specie non configurabile considerato che

la Fininvest ha deciso di non impugnare il provvedimento, “prestando anzi sostanziale acquiescenza allo

stesso”;

- quanto al merito del ricorso principale, la resistente evidenzia che l’art. 63, comma 1, TUB, come

modificato dal D.Lgs. n. 53/2014 (secondo cui “Alle società finanziarie e alle società di partecipazione

finanziaria mista capogruppo si applicano le disposizioni del titolo II, capi III e IV salvo quanto previsto

dall'articolo 67-bis”), mira ad assoggettare le Società a partecipazione finanziaria mista, poste a capo di un

gruppo in cui vi è prevalenza dell’attività bancaria, al medesimo regime giuridico (Titolo II, Capi III e IV TUB)

previsto in tema di partecipazione e di requisiti di esponenti e partecipanti in società bancarie, ivi compreso

il regime delle autorizzazioni e dei controlli da parte dell’Autorità di Vigilanza ;

- in particolare l’art. 25 TUB, richiamato attraverso il rinvio “mobile” di cui al rinnovato testo dell’art. 63,

rimette ad un regolamento del Ministro dell’Economia, da emanarsi sentita la Banca d’Italia, la

determinazione dei requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale delle banche (oggi, pertanto, valevoli,

anche per i partecipanti qualificati al capitale delle SPFM capogruppo): tale regolamento è stato adottato

con il D.M. n. 144 del 1998 che all’art. 1 contiene un elenco di situazioni (legate principalmente a condanne

penali per determinati reati e/o determinate pene) le quali comportano la perdita del requisito di

onorabilità, con le conseguenze che ne derivano secondo la normativa primaria posta dagli artt. 24 e 25

TUB (sospensione del diritto di voto e obbligo di alienazione delle azioni illegittimamente detenute);

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- l’assetto normativo sopra accennato, rimasto in vigore per oltre un decennio, sarebbe profondamente

mutato per effetto dell’adozione della Direttiva 2007/44/UE in materia di regole procedurali e criteri per la

valutazione prudenziale di acquisizioni ed incrementi di partecipazioni nel settore finanziario; per quanto

attiene alle banche viene modificata la precedente Direttiva 2006/48/CE mediante l’inserimento in essa

dell’art. 19 bis ove è prescritto che nell’esaminare la richiesta di autorizzazione all’acquisto di un

partecipazione rilevante in una banca, le Autorità di vigilanza valutino “la qualità del candidato acquirente e

la solidità finanziaria della prevista acquisizione sulla base di tutti i criteri seguenti: a) la reputazione del

candidato acquirente….”; nel considerando (8) della Direttiva n. 44 del 2007 si legge che “per quanto

riguarda la valutazione prudenziale, il criterio relativo alla «reputazione del candidato acquirente»

presuppone la verifica dell’esistenza di eventuali dubbi sull’integrità e sulla competenza professionale del

candidato acquirente, e della loro fondatezza; i dubbi possono essere dovuti, ad esempio, alla sua condotta

professionale passata…..”; nelle “Linee Guida” (doc. 24 res.) - elaborate dai tre comitati europei al tempo

operanti e composti dalle diverse Autorità di vigilanza operanti nei Paesi membri nei settori bancario

(CEBS), dei mercati mobiliari (CESR) ed assicurativo (CEIOPS) - vi è espresso riferimento alla reputazione

dell’acquirente e si precisa al punto 26 che l’autorità di vigilanza mantiene poteri discrezionali nel

determinare ulteriori situazioni rispetto a quelle specificate nelle leggi nazionali, che possono porre dubbi

sull’affidabilità dell’acquirente, mentre al punto 27 è detto che la medesima autorità deve porre particolare

attenzione alle condanne per un reato rilevante tentato attualmente o nel passato; al punto 28 delle

medesime “Linee Guida” si legge che l’integrità del proposto acquirente può essere inficiata da decisioni

giudiziarie, procedimenti giudiziari in corso, indagini attuali o passate, misure di esecuzione, sanzioni

amministrative in materia bancaria o finanziaria, azioni intraprese da ogni altra autorità o ordine

professionale;

- in sostanza, secondo l’Autorità resistente, il quadro europeo è ormai inconciliabile con un sistema rigido

che “limiti le situazioni « disonoranti» a poche fattispecie, identificabili con alcuni illeciti penali e accertabili

secondo un giudizio privo di alcuna discrezionalità da parte dell’Autorità. L’accertamento deve essere

discrezionale e omnicomprensivo e prende in considerazione qualunque situazione in ipotesi idonea ad

incidere sulla reputazione del candidato acquirente”; né la Direttiva del 2007, né le menzionate “Joint

Guidelines” conterrebbero norme transitorie impedienti l’applicazione dei nuovi criteri a situazioni

pregresse ove lesive della reputazione;

- la Direttiva 2007/44 è stata recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 21 del 27.1.2010, intervenuto,

tra l’altro, sull’art. 19 co. 5, TUB a mente del quale “La Banca d'Italia rilascia l'autorizzazione quando

ricorrono condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente della banca, valutando la qualità del

potenziale acquirente e la solidità finanziaria del progetto di acquisizione in base ai seguenti criteri: la

reputazione del potenziale acquirente, ivi compreso il possesso dei requisiti previsti ai sensi dell'articolo

25;….”; pertanto avrebbe fatto ingresso nel TUB l’ampio ed elastico concetto di “reputazione” che include il

possesso dei requisiti previsti dall’art. 25 TUB (mediante il richiamo alla normativa regolamentare

introdotto dal D.M. 144 del 1998) ma che non si esaurisce in essi;

- ciò troverebbe ulteriore conferma nel decreto del Presidente del CICR del 27.7.2011, n. 675, emesso in

attuazione della delega regolamentare contenuta nel nuovo art. 19, co. 9, TUB il quale espressamente

richiama, recependole, le “Linee Guida” sopracitate e gli standard a livello europeo;

- nel nuovo conteso normativo derivante dalla Direttiva 2007/44, in cui l’Autorità è abilitata a considerare

qualsiasi fatto idoneo ad incidere sulla reputazione del partecipante al capitale di banche (procedimenti in

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corso o archiviati, condanne non definitive, revoche di autorizzazioni ecc.), l’art. 2 del D.M. 144/1998 non

avrebbe più alcuna cittadinanza;

- sul punto la resistente cita ampiamente quali precedenti pertinenti al caso in esame (sebbene relativi

all’acquisto di una partecipazione di controllo in una SIM, settore ove peraltro vige una disciplina molto

simile a quella applicabile alla presente fattispecie, anch’essa derivante dalla Direttiva 2007/44) le sentenze

del TAR Lazio Sez. I, nn. 2826 e 2827 del 23.2.2010 in cui si afferma il principio che gli automatismi valutativi

connessi ai requisti di onorabilità di cui al D.M. n. 469 del 1998 (corrispondente, nel settore delle SIM, al

D.M. n. 144 del 1998 nel settore bancario) sono oggi affiancati da parametri valutativi elastici e non

predeterminati che si collegano alla nozione ampia di “reputazione”;

- secondo la resistente, inoltre, sarebbe contraddittoria una interpretazione dell’art. 2 D.M. n. 144/1998

che non pervenisse al risultato della sua abrogazione, giacché si arriverebbe alla conclusione “paradossale”

per cui l’Autorità non potrebbe considerare la condanna irrevocabile riportata dal ricorrente (fatto che

esprime una maggiore gravità di condotta) soltanto pochi mesi prima della riforma dell’art. 63 TUB, mentre

potrebbe in ipotesi fondare le sue determinazioni su un’eventuale sanzione amministrativa irrogata o un

provvedimento disciplinare di un ordine professionale, anche se anteriori alla riforma medesima (fatti

oggettivamente di gravità minore).

Ciò dedotto con riferimento al motivo posto a sostegno del ricorso introduttivo, la resistente si sofferma,

quindi, anche sui motivi sollevati con l’atto di intervento della Holding Finanziaria Quarta S.p.a. e sugli

analoghi motivi aggiunti/integrativi proposti da parte ricorrente sostenendo che le diverse questioni di

legittimità costituzionale e di compatibilità con il diritto europeo “ex adverso” proposte sarebbe tutte prive

di rilevanza e/o manifestamente infondate.

Quanto al presunto eccesso di delega che renderebbe costituzionalmente illegittimo ex art. 76 Cost. l’art. 2

del D.Lgs. n. 37 del 2004 per avere modificato il disposto degli artt. 24, comma 3 e 25, comma 4, TUB in

assenza di ogni autorizzazione da parte della legge delega (n. 366 del 3.10.2001), ad avviso dell’Autorità di

vigilanza il testo dei suddetti articoli, come modificato dal D.Lgs. n. 37 cit. non sarebbe più in vigore da oltre

cinque anni, in quanto successivamente modificato dall’art. 1 del D.Lgs. n. 21 del 2010, emanato proprio in

attuazione della Direttiva 2007/44 che ha confermato il disposto dell’art. 25, comma 4, TUB (cfr. art. 1.1,

lett. h, n. 4 del D.Lgs. n. 21 cit.) così come il disposto dell’art. 24, comma 3, del medesimo TUB (cfr. art. 1.1

lett. g, D.Lgs. n. 21), sicché la pretesa illegittimità costituzionale sarebbe afferente a disposizioni (già sul

piano astratto) superate e non più applicabili. Si sottolinea inoltre che il provvedimento si fonda in ogni

caso (anche) sul disposto dell’art. 24, comma 3, TUB che nel testo introdotto dal citato D.Lgs. n. 21 del 2010

autonomamente prevede l’obbligo di alienazione delle “partecipazioni per le quali le autorizzazioni previste

dall’art. 19 non sono state ottenute”. Si precisa che nella specie l’art. 24 cit. è stato correttamente applicato

posto che il provvedimento consegue a una mancata autorizzazione e si basa sulla verifica della sussistenza

di un insieme di requisiti più ampio rispetto alla sola onorabilità in senso stretto di cui all’art. 25 TUB.

Sulla presunta illegittimità costituzionale dell’art. 25, co. 4, TUB in relazione al principio di ragionevolezza di

cui all’art. 3 Cost. nonché in relazione all’art. 117 co. 1, Cost., per asserita violazione del principio di

proporzionalità, sostiene la resistente che non è vero che la sospensione del diritto di voto sia individuata

dal legislatore europeo come unico strumento per porre fine alla situazione in esame, in quanto l’art. 11

della c.d. seconda Direttiva bancaria, al pari dell’art. 6 della nuova Direttiva 2013/36/UE autorizzano misure

diversificate, ivi comprese le “ingiunzioni” per porre fine alle situazioni di influenza da parte di soggetti privi

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del requisito dell’onorabilità.

Si evidenzia inoltre da parte della resistente che la misura della sospensione non sarebbe sufficiente da sola

a garantire la “sana e prudente gestione”, determinando una situazione di anomalia ammissibile soltanto in

via transitoria, in quanto determina uno scollamento tra proprietà e gestione, incentivando rischi eccessivi

nella gestione dell’intermediario (chi assume le decisioni non coincide con chi ha investito in modo

consistente il proprio capitale nella banca).

Inoltre le azioni o quote che non possono essere conservate dal partecipante privo del requisito

reputazionale non sono né confiscate né espropriate potendo essere alienate a condizioni e secondo i

tempi fissati dall’Autorità in modo da assicurare le migliori condizioni di realizzo.

Sulla presunta illegittimità costituzionale dell’art. 25 co. 4 TUB in relazione all’art. 42, comma 3, Cost.,

all’art. 117 co. 1, Cost. e per violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 CEDU, l’Autorità ne sostiene la

manifesta infondatezza in quanto la posizione del proprietario di una partecipazione rilevante di una

società bancaria privo del requisito reputazionale prescritto dall’art. 19 TUB non è affatto assimilabile a

quella del proprietario di un bene che subisca un’espropriazione: il primo, a differenza del secondo, versa in

una situazione di antigiuridicità in quanto privo di un requisito di “capacità speciale” che le disposizioni del

TUB in commento impongono ai fini dell’acquisizione o della conservazione di una partecipazione bancaria

di una certa consistenza. L’ordine di alienazione, secondo la resistente, mirando al ripristino di una

situazione di legalità negli assetti proprietari delle società bancarie si pone a sua volta a salvaguardia di un

valore di rilevo costituzionale quale è la tutela del risparmio ex art. 47 Cost. ed è disciplinato da disposizioni

che attengono alla capacità delle persone, le quali sono coperte da riserva solo relativa di legge.

Quanto alla asserita violazione dell’art. 1 del 1^ Protocollo CEDU (in uno con l’art. 117 Cost.), l’Autorità

replica che il concetto di “legge” in senso sostanziale (secondo la giurisprudenza della Corte europea dei

diritti dell’uomo) è stato comunque rispettato dalla normativa applicata nel caso di specie, in quanto in tale

concetto rientrano anche le fonti secondarie alle quali nel nostro ordinamento è stata in parte rimessa la

disciplina della materia.

5. Si è costituita in giudizio con “atto di costituzione” non notificato alle altre parti in causa e depositato in

data 9.2.2015, la Fininvest S.p.a. la quale nella successiva memoria depositata in data 4.4.2014 fornisce la

propria versione dei fatti che hanno condotto all’istituzione del “trust” finalizzato alla futura alienazione

della quota eccedentaria in contestazione e conclude per l’accoglimento del ricorso principale, previa ove

occorra, rimessione degli atti alla Corte costituzionale o rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per la

definizione, rispettivamente, delle prospettate questioni di legittimità costituzionale e di interpretazione.

La Fininvest, in particolare, intende negare ogni acquiescenza al provvedimento impugnato dal ricorrente,

da considerare gravemente lesivo anche rispetto ai suoi interessi patrimoniali e precisa che la propria scelta

di istituire il “trust” cui trasferire la propria partecipazione eccedente il 9,99 % in Mediolanum S.p.a. è stata

soltanto determinata dalla necessità di evitare le conseguenze (patrimonialmente devastanti) che avrebbe

avuto l’ordine preannunciato dalla Banca d’Italia di alienazione immediate a terzi della partecipazione.

6. Si è costituita altresì in data 9.2.2015 l’IVASS - Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni, Ente che ha

adottato, mediante il Direttorio Integrato dell’Istituto, l’atto di intesa ex art. 67 bis TUB, acquisito dalla

Banca d’Italia in vista del proprio provvedimento del 7.10.2014.

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L’Istituto resistente nella propria prima memoria deduce ed eccepisce:

1) l’inammissibilità del ricorso da considerare nullo ex art. 40 c.p.a. per assoluta incertezza sulle parti nei cui

confronti l’azione di impugnazione è proposta, in quanto l’IVASS, che pure attraverso il modulo dell’“intesa”

ha concorso all’adozione del provvedimento impugnato (atto complesso risultante dal concorso di più

volontà), non è stato correttamente evocato in giudizio né identificato in ricorso quale parte resistente o,

meglio, contraddittore necessario; l’azione di annullamento, ad avviso dell’Istituto, non risulta esercitata

(anche) nei suoi confronti e non è evincibile dal testo dell’atto introduttivo il contenuto della domanda che

sarebbe rivolta contro l’Ente stesso; a tale scopo non può certo essere sufficiente la mera notifica del

ricorso che in molti casi (ed anche nel presente, ove destinato ad alcune parti non necessarie della causa)

può anche assumere una funzione meramente notiziale;

2) l’inammissibilità, per gli stessi motivi, del primo atto per motivi aggiunti proposto nonché anche per

tardività rispetto al termine decorrente dalla notifica del provvedimento impugnato (non essendo

intervenuti elementi nuovi o in origine ignorati, rispetto al contenuto ed agli effetti del provvedimento

medesimo);

3) infondatezza nel merito della domanda di annullamento proposta in quanto l’art. 2 del D.M. n.

144/1998, a suo tempo espressamente introdotto con riferimento alla successione di norme sui requisiti di

onorabilità degli azionisti rilevanti nelle banche, non trova applicazione con riferimento ai nuovi requisiti

introdotti per la prima volta per le SPFM, per effetto del D.Lgs. n. 53 del 2014: al contrario di quanto

accaduto nel 2014, con l’introduzione per la prima volta nel nostro ordinamento di una disciplina

innovativa, prima del tutto assente, relativa ai requisiti di onorabilità/reputazione dei partecipanti a SPFM

capogruppo, nel 1998 si poneva il diverso problema del passaggio da un assetto normativo previgente sulla

onorabilità degli azionisti di banche, ad un assetto nuovo che implicava l’esigenza di tutelare l’affidamento

risposto nel previgente regime nel caso in cui dalle sopraggiunte disposizioni fossero derivati effetti

peggiorativi (obbiettivi ed esigenze del tutto estranei alla introduzione della disciplina del 2014, del tutto

innovativa, che non può che rivolgersi alle situazioni ed ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore).

7. Successivamente, con atto inviato a notifica in data 18.3.2015, il dott. Silvio Berlusconi ha proposto

ulteriori motivi aggiunti concernenti specificamente la delibera del Direttorio Integrato dell’IVASS del

7.10.2014 con cui è stata rilasciata l’intesa prescritta dall’art. 67 – bis, comma 2, TUB. Le nuove censure

possono essere così riassunte:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 67 – bis comma 2 TUB. Eccesso di potere.

L’indicata delibera dell’IVASS sarebbe illegittima in quanto assunta dal Direttorio Integrato dell’Istituto che

è organo sovrapponibile al Direttorio della Banca d’Italia. Ciò contrasterebbe con l’art. 67-bis, comma 2,

TUB che imporrebbe, al contrario, che l’intesa si perfezioni mediante l’incontro delle volontà espresse da

due organi in grado di manifestare autonome e distinte volontà. Tali non sarebbero, secondo la difesa del

ricorrente, il Direttorio dell’IVASS e quello di Banca d’Italia;

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 67 – bis, comma 2, TUB e degli artt. 68, 77 e 84, comma 3 e 87 –

bis, comma 2, del Codice delle Assicurazioni Private.

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L’atto di intesa sarebbe viziato nel suo contenuto, avendo ritenuto “applicabili a Mediolanum s.p.a. le

disposizioni di cui agli artt. 68 e 77 CAP” e non avendo invece valorizzato le norme che regolano

effettivamente la fattispecie e cioè gli artt. 19 e 63 TUB.

8. Prima del deposito del secondo atto per motivi aggiunti si era tenuta la camera di consiglio del giorno

11.2.2015 in cui il ricorrente ha rinunciato alla domanda di sospensione dell’atto impugnato e, su concorde

istanza delle parti, è stata fissata la pubblica udienza per la trattazione del merito per il giorno 22.4.2015.

In vista della pubblica udienza per la trattazione del merito hanno depositato:

- nuovi documenti il ricorrente, la Fininvest e l’IVASS;

- memorie ex art. 73 c.p.a. l’intervenuta Holding Italiana Quarta S.p.a., il ricorrente, la Banca d’Italia, la

Fininvest S.p.a. e l’IVASS;

- note di replica il ricorrente, la Banca d’Italia, la Fininvest S.p.a. e l’IVASS.

In tali scritti difensivi vengono ulteriormente approfondite ed illustrate le deduzioni difensive

rispettivamente svolte dalle parti negli atti introduttivi e nelle memorie difensive già depositate come sopra

menzionate.

Alla pubblica udienza del giorno 22 aprile 2015, dopo ampia discussione tra i procuratori presenti, il

Collegio ha assunto la causa in decisione.

DIRITTO

1. Prima di potere esaminare nel merito le censure articolare dal ricorrente, il Collegio deve affrontare

alcune questioni preliminari di rito la cui trattazione è pregiudizialmente imposta in virtù delle eccezioni

sollevate, da un lato, dalla Banca d’Italia (v. in part. memoria e memoria di replica per l’udienza) con

riferimento:

- all’inammissibilità dell’atto di costituzione in giudizio e delle domande svolte da parte della Fininvest

S.p.a.;

- all’inammissibilità dell’atto di intervento e delle censure articolate dalla Holding Italiana Quarta S.p.a.;

- all’inammissibilità dei motivi aggiunti introdotti dal ricorrente sia con il primo che con il secondo atto di

motivi aggiunti;

e, dall’altro, dal resistente Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni – IVASS, con riferimento:

- all’inammissibilità, nei propri confronti, del ricorso introduttivo che non evoca in giudizio l’Istituto né

contiene censure specificamente riferibili all’atto di intesa proveniente dall’IVASS, espressivo della

convergente volontà provvedimentale, il che ne determinerebbe la nullità per “incertezza assoluta sulle

persone e sull’oggetto della domanda” (v. art. 44, comma 1, lett. b), c.p.a.) (cfr. prima memoria IVASS);

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- all’irricevibilità per tardività sia del primo che del secondo atto per motivi aggiunti (cfr. II memoria IVASS).

2. Quanto alla dedotta nullità/inammissibilità del ricorso il Collegio ritiene la censura dell’IVASS infondata in

quanto il ricorso straordinario veniva depositato anche presso il suddetto Istituto ai sensi dell’art. 9, comma

2, D.P.R. n. 1199 del 1971 e, a seguito della trasposizione in sede giurisdizionale, l’atto di costituzione ex

art. 48 c.p.a. risulta essere stato notificato anche all’IVASS, che è l’Autorità d’intesa con la quale la Banca

d’Italia ha emanato il provvedimento impugnato.

L’immediato coinvolgimento dell’Istituto nel giudizio costituisce per il Collegio sufficiente indice della

volontà di parte ricorrente di travolgere, con l’impugnativa, l’intero provvedimento emesso a definizione

del procedimento avviato e gli atti ad esso prodromici. Pertanto, sebbene l’atto di intesa non sia stato

gravato inizialmente da specifiche censure, introdotte soltanto con il secondo atto per motivi aggiunti, deve

comunque ritenersi che sia stata espressa fin da subito, dal ricorrente, la volontà di coinvolgere in giudizio

l’IVASS, Ente da cui promana l’intesa confluita nel provvedimento lesivo finale, il quale, già solo per questo

ed a prescindere dalla esposizione di specifiche censure formali o sostanziali inerenti l’intesa, è

contraddittore necessario nel giudizio instaurato.

Per questo, ai fini dell’individuazione dell’oggetto della domanda ai sensi dell’art. 40, comma 1, lett. b)

c.p.a. e delle ragioni del coinvolgimento dell’IVASS non era necessario che fossero svolti specifici motivi di

doglianza avverso l’attività dell’Istituto, da qualificare come legittimato passivo in ordine alle domande

introdotte per la semplice ragione di avere manifestato il proprio consenso alla determinazione conclusiva.

3. Quanto all’inammissibilità dell’ “atto di intervento adesivo autonomo da valere anche quale ricorso

autonomo” proposto dalla Holding Italiana Quarta S.p.a. che, secondo la Banca d’Italia, non manifesterebbe

elementi di connessione tra la sua posizione soggettiva e la vicenda contenziosa in esame, il Collegio ritiene

l’eccezione fondata, per la parte in cui ritiene la società intervenuta priva di legittimazione all’intervento

autonomo (ed al ricorso autonomo) nella presente causa, per le seguenti ragioni:

a) la qualità di socio della Fininvest non è certamente dato sufficiente a fondare in capo alla Holding Italiana

Quarta S.p.a. una autonoma legittimazione all’impugnativa di un provvedimento che produce effetti nella

esclusiva sfera giuridica della Società Fininvest e, con riferimento al disconoscimento dei requisiti di

onorabilità, in quella del titolare della partecipazione di controllo, dott. Berlusconi: l’esame contenutistico

del provvedimento impugnato (doc. 8 ric.) consente di individuare plurime statuizioni incidenti, in parte

sulla sfera giuridico-patrimoniale della Fininvest S.p.a. – laddove rigetta l’istanza di autorizzazione da essa

presentata in relazione alla propria partecipazione in Mediolanum; accoglie con condizioni la proposta,

formulata dalla stessa Fininvest, di istituire un “trust” a cui trasferire la partecipazione menzionata per la

parte eccedente il limite di cui all’art. 19, comma 1, TUB; le assegna un termine di gg. 20 per aderire alle

condizioni relative al “trust” imposte dall’Autorità di vigilanza; fissa l’obbligo di dismissione della

partecipazione eccedentaria, ex artt. 24 e 25 TUB, in caso di mancata conformazione alle suddette

condizioni – in parte sulla sfera giuridico patrimoniale dell’odierno ricorrente, “uti singulus”, laddove

accerta la carenza del requisito reputazionale in capo allo stesso, controllante indiretto della Fininvest;

b) ne consegue che l’interesse legittimo alla rimozione del provvedimento e la connessa legittimazione

all’impugnativa possono in astratto riconoscersi, per quanto di rispettiva pertinenza, soltanto alla Fininvest

S.p.a. ed al dott. Silvio Berlusconi in proprio in quanto entrambi negativamente incisi dal provvedimento,

mentre non è in alcun modo riscontrabile nel provvedimento gravato una statuizione riferibile né

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direttamente né per implicito ai singoli soci della Fininvest S.p.a.;

c) l’interesse legittimo, come noto, presuppone una posizione differenziata e qualificata alla conservazione

(o al conseguimento) di un “bene della vita”, minacciato dall’esercizio in concreto del potere

amministrativo;

d) appare evidente che il mero “status” di socio della Fininvest S.p.a. insieme alla generica allegazione del

timore di vedere depauperato il valore della propria quota societaria in conseguenza dell’adozione e

dell’esecuzione del provvedimento impugnato, non sono sufficienti a differenziare e qualificare la posizione

della Holding Italiana Quarta S.p.a., alla stregua di una posizione giuridica soggettiva autonomamente

azionabile e tale da conferire autonoma legittimazione ad agire al socio: come chiarito in più occasioni dalla

giurisprudenza amministrativa "la qualità di socio di una società non risulta idonea ad individuare in capo al

singolo un interesse legittimo distinto da quello proprio della società e non legittima, pertanto, la

proposizione di autonomo ricorso contro il provvedimento lesivo di interessi della società; riguardo ai

provvedimenti amministrativi lesivi degli interessi della società è la società stessa che deve eventualmente

insorgere (attraverso i suoi organi ordinari, tuttora esistenti e legittimati); nelle persone dei soci possono

individuarsi soltanto interessi di mero fatto all'accoglimento dei ricorsi proposti dalle società incise, che

consentono loro la proposizione di atti di intervento ad adiuvandum, ma non di impugnazioni in via

autonoma" (Cons. Stato, Sez. VI, 8.2.2012, n. 676, che a propria volta cita C.G.A.R.S., 22 ottobre 2009, n.

980 e 22 novembre 2007, n. 1053; si vedano inoltre “ex multis” TAR Lazio, sez. I, 6.4.2012, n. 3216; TAR

Sicilia – Catania, sez. II, 29.5.2014 n. 1522; TAR Liguria, sez. II, 29.2.2012, n. 347; TAR Toscana, sez. II,

17.3.2010, n. 688);

e) nel caso di specie, peraltro, esclusa per le ragioni esposte, la possibilità di ammettere l’impugnazione

autonoma da parte di Holding Italiana Quarta (e ciò sia nella forma ipotetica del ricorso autonomo che in

quella inveratasi dell’intervento adesivo autonomo) non è altresì ravvisabile neanche la possibilità di

configurare il suo intervento “uti socius” come intervento adesivo dipendente, “ad adiuvandum” rispetto

ad un’ipotetica azione impugnatoria proposta dalla società partecipata (cioè la Fininvest) che, al contrario,

nella specie, non ha ritenuto di impugnare e, comunque, per quanto si dirà, ha impugnato tardivamente il

provvedimento nelle statuizioni ad essa riferibili: è ovvio, infatti, che l’intervento “ad adiuvandum” per

poter essere ammesso richiede la rituale proposizione del ricorso principale su cui si appoggia ed al cui

destino si lega in via derivata;

f) il Collegio ritiene tuttavia di poter ammettere l’intervento processuale in discorso come intervento

adesivo dipendente a mero sostegno (non delle ragioni della Società ma) delle ragioni del ricorrente, dott.

Silvio Berlusconi che ha tempestivamente impugnato il provvedimento essendo a ciò senza dubbio

legittimato: la Holding, infatti, manifesta un proprio interesse che non la legittima ad agire autonomamente

ma (vedi art. 105, comma 2, c.p.c.) la abilita a sostenere le ragioni di una parte che sia legittimata ad agire o

resistere in giudizio (parte che nella specie si individua nel dott. Berlusconi).

g) il rilievo della questione processuale sopra messa in chiaro, peraltro, viene ad essere largamente

ridimensionato considerando che i “motivi” sviluppati dalla Holding si sostanziano in tre questioni di

legittimità costituzionale delle norme applicate dalla Autorità resistente nell’adozione del provvedimento,

le quali sono state tutte, in termini pressoché sovrapponibili, “fatte proprie” ed articolate dallo stesso

ricorrente mediante il primo atto per motivi aggiunti/integrativi. Tale circostanza e, prima ancora, la

rilevabilità “ex officio” delle questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni, ne impongono

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comunque al Collegio l’esame a prescindere dalla ritualità dell’intervento esaminato.

4. In merito alla questione dell’inammissibilità dell’atto di costituzione in giudizio del 9.2.2015 e delle

domande svolte dalla Fininvest S.p.a., sono rilevabili due dati incontestati messi in evidenza dalla difesa

della Banca d’Italia (v. in part. “memoria per l’udienza del 22.4.2015”):

- la società non ha impugnato entro il termine decadenziale di legge il provvedimento emanato dalla Banca

d’Italia, ad essa notificato il giorno 9.10.2014 a mezzo p.e.c.;

- la stessa società - dopo avere manifestato con nota del 29.10.2014 “la propria intenzione di recepire le

condizioni indicate nel Provvedimento all’interno dell’atto istitutivo del Trust nel termine di tre mesi da Voi

indicato, auspicando in proposito che la Banca d’Italia vorrà rendersi disponibile ad un confronto circa le

modalità con le quali provvedere nel concreto, tenuto conto di quanto sopra e delle possibilità novità

legislative in materia fiscale” (doc. 20 res.) – in data 9.1.2015 ha perfezionato l’atto istitutivo del Trust (doc.

22 res.).

Sotto il primo profilo il Collegio osserva che il termine “ad impugnationem” ex art. 41 comma 2 c.p.a. (gg.

60 dalla notifica del provvedimento) è spirato il 9 dicembre 2014 (considerata la festività nazionale dell’8

dicembre) data entro la quale la Fininvest non ha provveduto alla notifica di un proprio ricorso

giurisdizionale contro la Banca d’Italia, né la medesima ha ritenuto di proporre ricorso straordinario al Capo

dello Stato entro il termine di gg. 120 successivamente scaduto il 6.2.2015.

Pendente il presente ricorso, la società non ha formalizzato alcun atto di intervento autonomo né

“dipendente” ai sensi del’art. 28 c.p.a. essendosi limitata a depositare in data 9.2.2015 un “atto di

costituzione” non previamente notificato alle altre parti in causa.

Quindi, con la memoria depositata in atti il 4.4.2015, Fininvest S.p.a. ha domandato l’accoglimento del

ricorso proposto dal Sig. Berlusconi.

Ritiene il Collegio che la menzionata società versi nella condizione processuale di cointeressata al ricorso, in

quanto titolare di una posizione parallela a quella del ricorrente, che trarrebbe una utilità dall’eventuale

annullamento del provvedimento che la stessa avrebbe certamente potuto impugnare in via autonoma.

Il cointeressato, come sopra definito, può partecipare al giudizio amministrativo in quanto si attivi

impugnando il provvedimento lesivo entro il termine decadenziale.

Già in pronunce piuttosto risalenti il Consiglio di Stato aveva affermato che: - è inammissibile nel processo

amministrativo impugnatorio, sottoposto a termine di decadenza, l’intervento adesivo autonomo, nella

considerazione che il soggetto cointeressato ha l’onere di proporre autonomo e separato ricorso (Cons.

Stato, Sez. V, 26.10.2004, n. 15428); - l’intervento “ad adiuvandum” proposto da soggetti titolari di una

posizione tutelabile con una propria impugnativa può ritenersi consentito solo se esperito entro il

termine di decadenza (Cons. Stato, Sez. IV, 27.5.2002, n. 2928).

Peraltro, conformemente ai richiamati arresti del Consiglio di Stato, nel vigente testo dell’art. 28 c.p.a.

dedicato all’“Intervento”, il comma 2 ammette ad intervenire soltanto chi, avendone interesse e non

essendo parte (deve ritenersi “necessaria”) del giudizio, “non sia decaduto dall’esercizio delle relative

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azioni”.

In altri termini né attraverso un ipotetico intervento adesivo autonomo esplicato oltre i termini né, a

maggior ragione, mediante il non meglio identificato “atto di costituzione” in atti, è consentito ad un

soggetto come la Fininvest, titolare di una situazione che la legittimava all’impugnazione in via principale, di

poter aggirare il termine decadenziale di impugnazione che nella specie è inesorabilmente spirato.

Nel contempo il menzionato “atto di costituzione” non può neanche essere conservato riqualificandolo

come “intervento adesivo dipendente” in quanto l’interesse sostanziale oppositivo di cui la società è

titolare viene investito e leso in via diretta ed immediata dal provvedimento impugnato e, pertanto, appare

ontologicamente incompatibile con la posizione dell’interventore “dipendente”, titolare di una posizione

soggettiva collegata a quella del ricorrente principale, su cui si riflettono in modo soltanto indiretto gli

effetti pregiudizievoli del provvedimento, che incidono in prima battuta sull’interesse legittimo del

ricorrente principiale stesso (si pensi al classico esempio del titolare di un diritto personale di godimento o

di un diritto reale di usufrutto su cosa altrui che ha interesse a sostenere le ragioni del proprietario

espropriato nel giudizio da quest’ultimo proposto).

Quanto precede è di per sé sufficiente a considerare inammissibile ed irrituale la costituzione in giudizio

della società (cfr. in termini, tra le tante, T.A.R. Umbria, 28 febbraio 2013, n. 215; T.A.R. Umbria, 13

settembre 2011, n. 294; 28 agosto 2012, n. 329; Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2677; T.A.R. Lazio,

Sez. III, 19 marzo 2008, n. 2477).

A detta conclusione si perviene, a maggior ragione, ove si consideri la scelta di acquiescenza al

provvedimento che risulta sottesa all’avvenuta istituzione del Trust finalizzato alla dismissione della

partecipazione azionaria eccedentaria di Fininvest in Mediolanum, nel rispetto delle indicazioni e delle

condizioni statuite nel provvedimento impugnato, condotta oggettivamente esecutiva del provvedimento,

che costituisce scelta irreversibile ed incompatibile con la persistenza di un interesse a ricorrere.

5. Con il primo atto per motivi aggiunti/integrativi depositato dal ricorrente il 7.2.2015, previa notifica a

tutte le parti precedentemente evocate in giudizio, vengono articolate come rilevanti e non

manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale già descritte nella superiore narrativa in

fatto.

L’eccezione di inammissibilità per intempestività del gravame opposta dalle Amministrazioni resistenti

appare “prima facie” irrilevante, in quanto la natura delle questioni è tale da attivare, in ogni caso, il

potere-dovere di questo Giudice di procedere alla loro delibazione, stante la necessità di verificarne la

rilevanza e non manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 23, comma 2, L. n. 87 del 1953 ai fini dell’eventuale

rimessione degli atti alla Corte costituzionale e considerata altresì la rilevabilità (anche) d’ufficio di ogni

questione di legittimità costituzionale, ai sensi del comma 3 del medesimo art. 23 cit. .

6. Più complesso appare il tema dell’ammissibilità o, più esattamente, della ricevibilità del secondo atto per

motivi aggiunti proposto dal ricorrente con atto notificato in data 18.3.2015 alle Amministrazioni resistenti

e depositato in data 27.3.2015, avverso la delibera n. 134/2014 assunta dal Direttorio Integrato dell’IVASS

in data 7.10.2014, con la quale è stata rilasciata l’intesa ai sensi dell’art. 67- bis, comma 2, TUB, ai fini

dell’adozione del provvedimento finale della Banca d’Italia n. 976145/14 del 7.10.2014, il quale

espressamente menziona l’intesa positivamente rilasciata dall’IVASS.

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La notifica del gravame in esame è in effetti avvenuta a notevole distanza di tempo (cinque mesi circa) e

ben oltre il termine di gg. 60 rispetto alla comunicazione, risalente al 9.10.2014, del menzionato

provvedimento conclusivo della Banca d’Italia.

Per queste ragioni l’IVASS, nella propria seconda memoria (par. A), svolge ed articola con ampi riferimenti

giurisprudenziali l’eccezione di irricevibilità dei secondi motivi aggiunti per inosservanza del termine,

sostenendo in particolare che:

- non è dubbio che l’esistenza dell’atto di intesa fosse nota all’interessato fin dall’originaria notifica del

provvedimento impugnato il quale richiama espressamente l’intesa promanante dall’IVASS (v. doc. 19 ric.

pag. 3);

- la doverosità dell’intesa, inoltre, è specificamente imposta a livello legislativo stante la previsione di cui

all’art. 67 – bis, comma 2, TUB a mente della quale “i provvedimenti di accertamento di cui all'articolo 56,

decadenza di cui all'articolo 26 e autorizzazione di cui all'articolo 19 sono adottati dalla Banca d'Italia

d'intesa con l'IVASS”;

- nonostante la sinteticità del relativo richiamo, il contenuto essenziale dell’atto di intesa, presupposto dal

provvedimento finale oggetto di impugnazione, era del tutto comprensibile e percepibile concorrendo essa

all’adozione di un atto di natura pluristrutturata ed implicando (necessariamente) una volontà adesiva

dell’IVASS;

- secondo consolidata giurisprudenza, la piena conoscenza dell’atto da censurare è integrata dalla

cognizione dei suoi elementi essenziali e, segnatamente, dalla sua portata dispositiva e dalla sua valenza

lesiva, elementi sufficienti a far comprendere al soggetto legittimato all’impugnativa la lesività del

provvedimento, senza che sia a ciò necessaria la compiuta conoscenza della motivazione e degli atti del

procedimento (cfr. Cons. Stato n. 777 del 2015); il “dies a quo” per il decorso del termine decadenziale di

giorni sessanta di cui all’art. 41, comma 2, c.p.a. decorre dal momento della percezione dell’esistenza di

un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività per la sfera giuridica

dell’interessato, non essendo necessaria a tal fine l’integrale conoscenza del provvedimento che si

intende impugnare, ovvero dell’intero contenuto e di tutti i motivi che lo supportano; al contrario la

conoscenza integrale del provvedimento influirebbe sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione

delle ragioni di impugnazione, come può arguirsi dalla funzione processuale dei “motivi aggiunti” ex art.

43 c.p.a. che non avrebbero ragion d’essere se la “piena conoscenza” a cui si lega il decorso del termine

“ad impugnationem” dovesse intendersi come “conoscenza integrale” (cfr. TAR Lazio sez. I n. 774 del

2015; TAR Marche, sez. I, n. 634 del 2014; Cons. Stato sez. III, n. 5573 del 2014; id. sez. IV n. 4756 del

2014).

L’eccezione che precede appare fondata: il secondo atto per motivi aggiunti, specificamente volto

all’annullamento per illegittimità della delibera IVASS espressiva dell’intesa, risulta irricevibile per tardività

in quanto la sua esistenza e la sua concreta portata lesiva sono stati conosciuti dal ricorrente dal 9.10.2014,

momento in cui veniva notificato il provvedimento, impugnato con il ricorso principale, che espressamente

richiama la positiva intesa rilasciata dall’IVASS ex art. 67 bis, comma 2, TUB.

Il termine per l’impugnativa, invero, decorre dalla data di notifica dell’atto sfavorevole (l’intesa), che, nel

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caso in esame, sebbene distinto dal provvedimento finale della Banca d’Italia, costituisce atto autonomo,

presupposto dal primo e concorrente alla formazione della determinazione pluristrutturata nella quale

confluiscono le distinte e concorrenti volontà provvedimentali delle due Autorità, entrambe chiamate a

vagliare, per quanto di rispettiva pertinenza, la compatibilità dell’esito procedimentale conclusivo con gli

interessi pubblici da esse rispettivamente curati.

Sebbene improduttiva di immediati effetti lesivi fino all’adozione del provvedimento finale spettante alla

Banca d’Italia (Autorità procedente), la delibera IVASS è comunque atto autonomo, distinto e separato

rispetto al predetto provvedimento finale e, una volta che quest’ultimo sia stato emesso e comunicato,

diviene essa stessa suscettibile, di per sé, di autonoma impugnativa una volta che sia stata portata a

conoscenza del destinatario a seguito della comunicazione del provvedimento finale che svolge,

evidentemente, anche funzione notificatoria dell’intesa.

In altri termini, con la notifica del provvedimento finale (avvenuta in data 9.10.2014 con comunicazione a

mezzo p.e.c.) il dott. Berlusconi è stato reso edotto sia dell’esistenza che dell’esito dell’intesa rilasciata

dall’IVASS, che esprimeva una volontà pienamente conforme a quella manifestata dalla Banca d’Italia nella

determinazione oggetto dell’impugnazione principale. Detta notificazione provvedimentale costituisce,

pertanto, il momento in cui il destinatario ha potuto percepire la valenza lesiva, oltre che del

provvedimento principale, anche dell’atto di intesa presupposto e tale percezione non può postdatarsi,

come pretende l’interessato, alla data successiva (23.2.2015) in cui, a seguito dell’accesso agli atti del

procedimento, egli abbia preso integrale conoscenza dei motivi che ne avevano determinato l’adozione.

Come chiarito da costante orientamento giurisprudenziale (vedi, oltre alle pronunce sopra citate, anche

Cons. Stato Sez. IV, Sent., 11-12-2013, n. 5973) il “dies a quo” per il computo del termine decadenziale di

sessanta giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale, previsto dall'art. 41, comma 2 del Codice del

Processo Amministrativo, decorre dal momento in cui l’interessato acquisisce la percezione dell'esistenza di

un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività in danno della sfera

giuridica del potenziale ricorrente.

Ciò che rende attuale l'interesse ad agire contro l’atto è infatti la "piena conoscenza" della lesività dello

stesso, non essendo necessaria a tal fine la "conoscenza piena ed integrale" del provvedimento che si

intende impugnare, ovvero dell’intero contenuto e di tutti i motivi ovvero di eventuali atti

endoprocedimentali, la cui illegittimità vizi, in via derivata, il provvedimento finale. È sufficiente, infatti, la

consapevolezza dell'esistenza del provvedimento e della sua lesività al fine di integrare la sussistenza di una

condizione dell'azione - rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all'impugnazione dell'atto (così

determinando quella "piena conoscenza" indicata dalla norma) – mentre la conoscenza "integrale" del

provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul “contenuto” del ricorso e sulla concreta

definizione delle ragioni di impugnazione (cioè sui motivi del ricorso e quindi attiene alla causa petendi). In

tale prospettiva, la previsione dell'istituto dei motivi aggiunti (art. 43 c.p.a.) comprova la fondatezza

dell'interpretazione resa della "piena conoscenza" dell'atto oggetto di impugnazione. Ed infatti, se tale

"piena conoscenza" dovesse essere intesa come "conoscenza integrale", il tradizionale rimedio dei motivi

aggiunti non avrebbe ragion d'essere (Cons. Stato, n. 5973/2013).

Nel caso di specie, peraltro, benché soltanto richiamato, l’atto di intesa dell’IVASS - proprio perché

incidente su una decisione pluristrutturata portata nella sfera di conoscenza del destinatario attraverso la

comunicazione del provvedimento finale della Banca d’Italia - non poteva che intendersi in termini di

“volontà convergente” con quella manifestata dal medesimo provvedimento finale, il che rendeva del tutto

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intellegibile sia il contenuto dispositivo della delibera IVASS presupposta che la sua concreta portata lesiva,

a prescindere dall’integrale conoscenza dell’iter motivazionale che aveva condotto l’Istituto ad esprimersi

in termini favorevoli alla scelta provvedimentale compiuta dalla Banca d’Italia.

Ne consegue che, siccome nel caso in esame il ricorrente ha avuto "piena conoscenza" il giorno 9.10.2014

della lesività dell’intesa a lui sfavorevole, è a questa data che va riferito il “dies a quo” della decorrenza del

termine decadenziale per la proposizione di eventuali censure. Siccome il secondo atto per motivi aggiunti

è stato notificato il 18.3.2015 – oltre cinque mesi dopo la conoscenza dell’intesa sfavorevole – esso va

dichiarato irricevibile per tardività.

7. Comunque, anche se fosse stato presentato nei termini, il secondo atto per motivi aggiunti non avrebbe

avuto esito favorevole, in quanto:

- la parziale coincidenza tra i componenti del Direttorio Integrato dell’IVASS (vedi art. 7 Statuto IVASS) ed i

componenti del Direttorio della Banca d’Italia non incide né “inquina” la completa distinzione tra i due

organi sul piano organico e funzionale, in quanto rispettivamente inquadrati nella struttura organizzativa

dei due Istituti che sono del tutto indipendenti l’uno dall’altro e che svolgono funzioni e perseguono finalità

del tutto diversificate “ex lege” (vedi art. 13 D.L. 6.7.2012, n. 95 istitutivo dell’IVASS);

- l’art. 7 dello Statuto IVASS individua espressamente il Direttorio Integrato (D.I.) come organo di detto

Istituto: esso, nell’esercizio delle competenze che gli sono attribuite, agisce in totale autonomia ed

indipendenza, senza essere soggetto alle disposizioni e/o alle direttive della Banca d’Italia;

- la circostanza che alcuni componenti di esso siano (per espressa previsione di legge) anche membri del

Direttorio della Banca d’Italia, corrisponde ad una scelta fatta a livello legislativo in funzione di

coordinamento tra vigilanza assicurativa e vigilanza bancaria ma non incide in alcun modo sulla

considerazione che il Direttorio dell’IVASS, in quanto organo di detto Istituto, persegue esclusivamente le

finalità della vigilanza assicurativa ed esercita le funzioni che gli competono in vista di tale obbiettivo;

- in generale, la coincidenza tra membri di due distinti organi collegiali, anche ove, in ipotesi, totale, non

costituisce mai coincidenza organica e funzionale;

- la completa e totale differenziazione (non revocabile in dubbio) operante ed auto-evidente sul piano

soggettivo, organico, organizzativo e delle finalità pubbliche perseguite tra Banca d’Italia ed IVASS, esclude

che l’intesa rilasciata dal Direttorio IVASS possa essere qualificata come “intesa tra sé e sé”, soltanto perché

vi è parziale coincidenza tra i componenti di detto organo e quelli del vertice di Banca d’Italia, secondo la

singolare ricostruzione del ricorrente;

- è affermazione del tutto empirica e comunque non dimostrata quella di parte ricorrente secondo cui i due

consiglieri autonomi dell’IVASS sarebbero ininfluenti nelle determinazioni del Direttorio Integrato in quanto

in “due contro cinque”: l’affermazione parte dell’erroneo presupposto che i componenti “provenienti” dalla

Banca d’Italia, perseguirebbero le finalità proprie di quest’ultimo Ente anche nello svolgimento delle

funzioni di componenti del D.I. IVASS, e cioè di componenti di un organo che, al contrario, come detto, è ad

ogni effetto organo dell’IVASS le cui finalità è chiamato a perseguire;

- è inoltre noto che l’influenza (anche) del singolo componente, nelle dinamiche interne all’attività

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dell’organo collegiale e nelle determinazioni da esso assunte, possono avere un’incidenza che va ben al di là

del valore numerico del singolo voto che egli esprime.

Con riferimento infine alle censure di carattere contenutistico articolate nel secondo atto per motivi

aggiunti, il Collegio rileva che le stesse si concentrano sulla falsa applicazione degli artt. 68 e 77 CAP (Codice

delle Assicurazioni Private), disposizioni del settore assicurativo impropriamente richiamate nella delibera

IVASS n. 134 del 2014 (doc. 1 secondi mot. agg.), quando in realtà, secondo il ricorrente, non erano

applicabili nella specie dove l’autorizzazione richiesta alla Banca d’Italia riguardava la partecipazione

azionaria di Fininvest in Mediolanum, società, quest’ultima, di partecipazione finanziaria mista (SPFM), a

capo di un gruppo societario, in cui sono presenti anche imprese assicurative (in particolare, Mediolanum

Vita e Mediolanum Assicurazioni) ma con pacifica prevalenza dell’attività bancaria, circostanza che

determina la necessità di riferirsi esclusivamente alle norme del TUB per la definizione dei requisiti

prudenziali e reputazionali da applicare alla partecipazione del Sig. Berlusconi e della sua controllata

Fininvest in Mediolanum.

Pur convenendo sull’improprietà del richiamo alle suddette disposizioni da parte della delibera IVASS

impugnata, il Collegio rileva tuttavia la natura meramente formale e non sostanziale della censura in

quanto:

- l’ultimo passaggio della motivazione delle delibera IVASS in esame (doc. 1 secondo mot. agg.), quello che

immediatamente precede il dispositivo, richiama le norme da applicare correttamente nella specie

(“…ricorrono i presupposti per rilasciare l’intesa riguardante il provvedimento che la banca d’Italia intende

adottare, ex artt. 19 e 63 TUB, relativamente alla partecipazione del sig. Silvio Berlusconi e Fininvest in

Mediolanum”); nel contempo l’intesa alla Banca d’Italia risulta rilasciata espressamente ex art. 67-bis, co. 2,

TUB;

- risultano svolti dall’IVASS sia un esame di merito che una indagine di natura normativa “mediante analisi

comparata delle regolamentazioni dei settori bancario e assicurativo in tema di requisiti reputazionali per

l’autorizzazione a detenere partecipazioni rilevanti nel capitale di banche e assicurazioni ….è stata quindi

verificata la coerenza delle determinazioni assunte dalla Banca d’Italia con le previsioni legislative del

settore assicurativo ai fini dell’intesa richiesta” (cfr. delibera IVASS n. 134 del 2014);

- in definitiva il modello del coordinamento decisionale della previa intesa con l’IVASS come delineato

dall’art. 67 bis, comma 2, TUB, non sembra poter pretendere altro dall’Autorità di Vigilanza sul settore

assicurativo se non una verifica di compatibilità delle misure assunte dall’Autorità procedente (Banca

d’Italia) ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 19, 24, 25 e 63 TUB con l’ordinamento settoriale

assicurativo, all’interno del quale le misure stesse sono comunque destinate ad avere degli effetti stante

la presenza all’interno del “Gruppo Mediolanum” delle due imprese di assicurazioni sopra menzionate: il

contenuto oggettivo della delibera IVASS dimostra (al di là dell’improprio richiamo agli artt. 68 e 77 CAP)

che tale verifica di compatibilità è stata svolta, che la misura adottata dall’Autorità procedente è stata

compresa nella sua effettiva realtà fattuale e giuridica, che la misura è stata condivisa in quanto

applicativa degli artt. 19 e 63 TUB.

Anche la seconda censura, pertanto, oltre ad essere irricevibile, non avrebbe comunque meritato

accoglimento nel merito.

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8. A questo punto il Collegio può esaminare il merito della presente causa a partire dall’unico motivo

articolato nel ricorso introduttivo ed ulteriormente illustrato nei successivi scritti difensivi di parte

ricorrente.

Richiamando al riguardo quanto già ampiamente e più analiticamente esposto nella superiore narrativa in

fatto si rammenta che il gravame si incentra sulla asserita “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2,

comma 5, lett. a) D.Lgs. n. 53/2014, nonché degli articoli 19, 24, 25 e 63 TUB, dell’art. 2 D.M. n. 144 del

1998 e dell’art. 3 Cost.; eccesso di potere”: ad avviso del ricorrente l’art. 63, comma 1, TUB (come

modificato dall’art. 2, comma 5, D.Lgs. n. 53 del 2014), stabilendo che “alle società finanziarie e alle società

di partecipazione finanziaria mista capogruppo si applicano le disposizioni del titolo II, capi III e IV salvo

quanto previsto dall'articolo 67-bis”, ha disposto un rinvio “in blocco” o “mobile” a tutte le disposizioni

contenute nei citati Capi del TUB, ivi comprese le integrazioni derivanti dalle fonti subordinate, le

successive modifiche, le abrogazioni.

Deve pertanto trovare applicazione, oggi estesa anche alle SPFM capogruppo di conglomerati finanziari,

l’art. 25 TUB in materia di “requisiti di onorabilità dei partecipanti”, il quale al comma 1 richiama e

recepisce l’intero articolato del D.M. n. 144 del 1998, a suo tempo emanato proprio in attuazione dell’art.

25 cit. con originario riferimento alle partecipazioni bancarie, il quale all’art. 1 determina i requisiti di

onorabilità prescritti in capo ai possessori di partecipazioni rilevanti e all’art. 2 prevede che “Per i soggetti

che partecipano al capitale di una banca alla data di entrata in vigore del presente regolamento la

mancanza dei requisiti di cui all'articolo 1 non previsti dalla normativa previgente non rileva, se verificatasi

antecedentemente alla data stessa, limitatamente alla partecipazione già detenuta”.

Per effetto dell’art. 2, comma 5, lett. a) del D.Lgs. n. 53/2014 la citata norma transitoria deve trovare

applicazione anche per le partecipazioni nelle SPFM (quale è incontestabilmente Mediolanum S.p.a.),

rilevanti ai sensi dell’art. 19, comma 1, TUB (“partecipazioni che comportano il controllo o la possibilità di

esercitare un'influenza notevole sulla banca stessa o che attribuiscono una quota dei diritti di voto o del

capitale almeno pari al 10 per cento, tenuto conto delle azioni o quote già possedute”).

Il suddetto regime transitorio sancito dall’art. 2 D.M. cit. troverebbe applicazione anche con riguardo alla

situazione in cui versa l’odierno ricorrente il quale detiene da lungo tempo (e, precisamente dal 1996,

attraverso la controllata Fininvest) la partecipazione del 30,08 % nel capitale di Mediolanum S.p.a. e ha

subito la condanna alla reclusione non inferiore ad un anno, con sentenza irrevocabile, per delitto in

materia tributaria nell’agosto del 2013 (la quale in generale rileverebbe ai fini dell’onorabilità ex art. 1,

comma 1, lett. b) n. 3, D.M. n. 144) e, pertanto, ben prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 53 del 2014,

avvenuta il 16.4.2014.

Poiché al momento dell’entrata in vigore, in virtù del D.Lgs. n. 53 cit., dei requisiti di onorabilità di cui

all’art. 1 del D.M. cit. (anche) nei confronti delle SPFM, il requisito era già venuto meno per effetto della

menzionata condanna, l’art. 2 comporterebbe l’irrilevanza di tale carenza atteso che “la mancanza dei

requisiti di cui all'articolo 1 non previsti dalla normativa previgente non rileva, se verificatasi

antecedentemente alla data stessa, limitatamente alla partecipazione già detenuta”.

Secondo la contraria tesi difensiva propugnata dall’Autorità resistente, il precedente assetto normativo

(risultante, per quanto di interesse in questa sede, dal combinato disposto dell’art. 25 TUB e degli artt. 1 e 2

D.M. n. 144/1998), sarebbe profondamente mutato determinando la tacita abrogazione della “norma

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transitoria” di cui all’art. 2 D.M. n. 144 del 1998, per effetto dell’adozione della Direttiva 2007/44/CE (in

tema di regole procedurali e criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni ed incrementi di

partecipazioni nel settore finanziario) la quale introduce un più ampio ed elastico requisito “reputazionale”,

a cui l’acquirente e titolare (diretto o indiretto) di una partecipazione bancaria rilevante si deve conformare

e che è sottoposto ad una valutazione ampia e discrezionale delle varie Autorità di Vigilanza dei Paesi UE le

quali, senza essere vincolate alla mera applicazione di elementi puntualmente predeterminati dalla legge,

devono valutare preventivamente la qualità del candidato acquirente che intenda acquistare una

partecipazione rilevante di una società bancaria, tenendo in debito conto, “in primis”, la sua “reputazione”.

9. Al riguardo il Collegio osserva che in effetti il considerando (8) della Direttiva n. 44 del 2007 specifica, con

finalità esplicativa che “il criterio della “reputazione del candidato acquirente” presuppone la verifica di

eventuali dubbi sull’integrità e sulla competenza professionale del candidato acquirente e sulla loro

fondatezza; i dubbi possono essere dovuti, ad esempio, alla sua condotta professionale passata”.

L’ampiezza della valutazione riservata all’Autorità di Vigilanza e della eterogenea varietà delle situazioni e

dei fatti che possono (e debbono) essere considerati per ritenere rispettato o meno il requisito della

“integrity” emerge, altresì, in diversi passaggi delle “Linee Guida per la valutazione prudenziale delle

acquisizioni e degli incrementi delle partecipazioni nel settore finanziario” (doc. 24 res.) - elaborate prima

del recepimento della Direttiva nei singoli Stati membri dai tre comitati europei al tempo operanti nel

settore finanziario e cioè il CEBS (che riuniva le autorità europee di vigilanza bancaria), il CESR (che riuniva

le autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari) ed il CEIOPS (Comitato delle Autorità europee

di vigilanza delle assicurazioni e delle pensioni) – secondo cui:

- l’autorità di vigilanza mantiene poteri discrezionali nel determinare quale altre situazioni (oltre all’assenza

di precedenti negativi) possono ingenerare dubbi sull’affidabilità dell’acquirente (punto 27);

- l’integrità del proposto acquirente non è soltanto pregiudicata da decisioni giudiziarie o da procedimenti

giudiziari in corso, dovendosi tener conto anche di indagini attuali o passate, misure di esecuzione, sanzioni

amministrative in materia bancaria e finanziaria, azioni di altre autorità o ordini professionali (punto 28).

L’atto legislativo interno che ha recepito la Direttiva n. 44 è il D.Lgs. n. 21 del 27.1.2010 che è intervenuto

su diverse disposizioni del TUB e in particolare sull’art. 19, comma 1 il quale nel testo vigente prevede che

“1. La Banca d'Italia autorizza preventivamente l'acquisizione a qualsiasi titolo in una banca di

partecipazioni che comportano il controllo o la possibilità di esercitare un'influenza notevole sulla banca

stessa o che attribuiscono una quota dei diritti di voto o del capitale almeno pari al 10 per cento, tenuto

conto delle azioni o quote già possedute”.

L’attuale testo del comma 5 del medesimo art. 19 cit., anch’esso profondamente inciso dal D.Lgs. n. 21 del

2010 (in attuazione della Direttiva europea) prevede attualmente che “La Banca d'Italia rilascia

l'autorizzazione quando ricorrono condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente della banca,

valutando la qualità del potenziale acquirente e la solidità finanziaria del progetto di acquisizione in base ai

seguenti criteri: la reputazione del potenziale acquirente, ivi compreso il possesso dei requisiti previsti ai

sensi dell'articolo 25;….. la solidità finanziaria del potenziale acquirente”.

Da ciò si evince che è stata recepita pienamente nel nostro ordinamento la nozione di derivazione

europea di “reputazione”, la quale si mostra ampia ed elastica dovendo essere accertata sulla base di

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“fatti” diversificati che l’Autorità di Vigilanza può discrezionalmente e motivatamente considerare e che

possono andare ben al di là dei requisiti di onorabilità derivanti dal combinato disposto dell’art. 25,

comma 1, TUB e dall’art. 1 del D.M. 144/1998.

La nozione di reputazione, alla luce dell’art. 19, comma 5, TUB (che impiega la significativa espressione

“reputazione del potenziale acquirente, ivi compreso il possesso dei requisiti previsti ai sensi dell'articolo

25”), si presenta come un cerchio più ampio all’interno del quale si iscrive, con un raggio di minore

estensione che nel primo è compreso, l’area dei requisiti di onorabilità di cui all’art. 1 D.M. citato (che ne

esclude la ricorrenza, tipicamente, in caso di commissione di determinati reati, accertata con sentenza

irrevocabile): l’assenza del requisito di onorabilità presenta, invero, la peculiarità di imporre all’Autorità

di Vigilanza una valutazione negativa sul piano della reputazione (trattandosi di valutazione già compiuta

a monte, a livello normativo), con ciò che ne consegue in ordine alla sospensione immediata dei diritti di

voto ed alla perdita della possibilità di acquistare o mantenere la partecipazione rilevante.

E’ tuttavia chiaro che l’indagine sui requisiti di onorabilità non esaurisce ma affianca le diverse situazioni

che l’Autorità, con sindacato ulteriore che diviene, invece, discrezionale, può delibare come sintomatiche

della mancanza del requisito reputazionale.

Appaiono pertanto condivisibili le affermazioni contenute nelle precedenti pronunce di questo TAR, Sez.

I, nn. 2826 e 2827 del 23.2.2010 che, pur afferendo nella fattispecie esaminata al diverso ambito

settoriale del regime delle partecipazioni in SIM disciplinate dal TUF, contengono principi pienamente

esportabili al caso di specie, essendo assimilabile alla relazione normativa tra art. 25 TUB e D.M. n.

144/1998 all’odierno vaglio, quella esistente tra art. 14 TUF e D.M. 11 novembre 1998 n. 469 (in tema di

requisiti di onorabilità dei titolari di partecipazioni nelle SIM ).

Si legge infatti nelle sentenze citate: “Nelle descritte ipotesi previste dal citato Regolamento, il venir meno

dei requisiti di onorabilità richiesti dall’art. 14, comma 1, del T.U.F., preclude la possibilità di esercitare il

diritto di voto e non consente il rilascio di autorizzazioni per acquisti di partecipazioni qualificate in una

SIM.

Trattasi di ipotesi, espressamente predeterminate in via normativa, le quali si traducono, quanto al

riscontro della sussistenza dei requisiti di onorabilità, in criteri di carattere tassativo.

Tali criteri, tuttavia, non esauriscono il potere di verifica, da parte della Banca d’Italia, del possesso dei

requisiti di ordine soggettivo in capo al potenziale acquirente, estendendosi tale potere valutativo anche ad

altri profili in virtù del richiamo, di cui all’art. 15, comma 2, del T.U.F., all’idoneità del candidato “ad

assicurare una gestione sana e prudente della società o a consentire l’effettivo esercizio della vigilanza”.

E’ di tutta evidenza come tale norma consenta ed imponga di disancorare la valutazione del potenziale

acquirente, sotto il profilo soggettivo, da parametri rigidi e predeterminati, quali quelli riferiti all’onorabilità

– che introducono insuperabili presunzioni di inidoneità – autorizzando un apprezzamento discrezionale

allargato ad altri elementi di significativa rilevanza in relazione alle finalità perseguite, che verrebbero

altrimenti pregiudicate se tale giudizio fosse scandito esclusivamente da automatismi valutativi quali quelli

introdotti dall’art. 14 del TUF e dal relativo Regolamento di cui al D.M. n. 469 del 1998, i quali sono

pertanto affiancati, ai sensi del richiamato art. 15, da parametri di valutazione elastici e non predeterminati

se non nella loro logica ed adeguata funzionalizzazione alle finalità in tale norma indicate.

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Legittimamente, quindi, l’Autorità di vigilanza ha fatto ricorso ad indici di valutazione dell’idoneità del

candidato acquirente, sotto il profilo soggettivo, diversi da quelli inerenti l’onorabilità, essendo a tanto

autorizzata e tenuta, altresì, in virtù della previsione di cui all’art. 10 ter della Direttiva MIFID come

introdotto dalla Direttiva 2007/44/CE – della cui diretta applicabilità si è già trattato – il quale, nello

stabilire il dovere per le autorità competenti di valutare la qualità del candidato acquirente al fine di

garantire la gestione sana e prudente dell’impresa, indica, tra i criteri di valutazione, ‘la reputazione del

candidato acquirente’, stabilendo altresì la Direttiva 2007/44/CE, all’ottavo considerando, che

nell’ambito della valutazione prudenziale, il criterio della reputazione “presuppone la verifica

dell’esistenza di eventuali dubbi sull’integrità e sulla competenza professionale del candidato acquirente,

e della loro fondatezza”.

La disciplina comunitaria, analogamente all’art. 15 del TUF, rimanda quindi, ai fini della valutazione

prudenziale del profilo soggettivo del candidato acquirente, a criteri di giudizio indeterminati, così

riconoscendo in capo alle autorità competenti un potere discrezionale non ancorato, contrariamente a

quanto affermato da parte ricorrente, a rigidi e predeterminati criteri parametrati unicamente sui requisiti

di onorabilità normativamente indicati….”.

Alla luce degli elementi sopra descritti il Collegio può pertanto trarre già alcune prime conclusioni:

- il requisito della “reputazione” definito dalla Direttiva n. 44 del 2007 e recepito all’interno del nostro

ordinamento (v. in part. artt. 19 e 24 TUB come risultanti dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 21 del

2010 di recepimento della Direttiva) è concetto più ampio ed indeterminato rispetto ai tassativi requisiti

di onorabilità di cui all’art. 25 TUB ed all’art. 1 D.M. n. 144/1998;

- questi ultimi, pur imponendo, se assenti, una scelta obbligata di tipo sanzionatorio da parte

dell’Autorità di Vigilanza in quanto la carenza del requisito si sostanzia in condanne per reati valutate in

termini negativi, in via generale ed astratta, dalle disposizioni di riferimento (art. 25 TUB che richiama

l’art. 1 D.M. 144), integrano comunque il più ampio concetto di “reputazione”, nozione giuridica più

estesa ed indeterminata che comprende in sé (anche) i requisiti di onorabilità;

- ai fini della valutazione della reputazione possono assumere rilievo certamente anche condotte

“sintomatiche” anteriori rispetto all’entrata in vigore delle norme interne di recepimento della Direttiva

2007/44 e, oggi, del D.Lgs. n. 53 del 2014.

10. Partendo da tali premesse non sembra che, come ritenuto da parte ricorrente, il requisito di onorabilità

o, meglio, la sua carenza originaria o sopravvenuta possa ricevere un trattamento giuridico differente

rispetto a qualsiasi diverso fatto o situazione sintomatici di carenza del più esteso requisito reputazionale,

costituendo i requisiti di onorabilità desumibili dall’art. 1 D.M. 144 /1998, una componente ascrivibile al più

ampio concetto di reputazione (cfr. art. 19, comma 5, TUB).

Ciò significa, in particolare, che, alla luce della Direttiva (vedi in particolare il considerando 8) e delle

“Guidelines for the prudential assessment”, punti 28 e 29 sopra menzionati (le quali sono state

espressamente recepite nel nostro ordinamento per effetto del Decreto del Presidente CICR 27.7.2011, n.

675, doc. 25 res.), possono assumere rilevanza sintomatica nella valutazione dell’Autorità, al fine di

escludere un positivo giudizio sulla reputazione (e precludono l’acquisizione della partecipazione rilevante)

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anche fatti e situazioni pregresse, rispetto all’entrata in vigore della nuova normativa, che non richiedono

affatto di essere stati definitivamente accertati con sentenza penale irrevocabile, come: “indagini attuali o

passate”, “misure di esecuzione”, “sanzioni amministrative in materia bancaria e finanziaria”, “azioni

intraprese da un ordine professionale” (vedi punto 28 delle “Guidelines”), ma anche, in aggiunta, il rifiuto di

una autorizzazione, di una licenza, l’espulsione da un corpo legislativo o di governo, l’interdizione da

incarichi gestori ecc. (punto 29 delle “Guidelines”).

Se ciò è vero (e come tale in effetti appare) sarebbe del tutto irrazionale considerare ancora applicabile, per

le sole condanne elencate dall’art. 1 D.M. 144 del 1998 (che costituiscono peraltro le situazioni più

pregiudizievoli sul piano dell’onorabilità/reputazione dell’azionista bancario qualificato), un regime

transitorio che mantiene, soltanto per esse, un trattamento di favore sancendo l’irrilevanza della perdita

del requisito ove verificatasi prima dell’entrata in vigore del nuovo regime valevole per le SPFM (per effetto

del D.Lgs. n. 53 del 2014).

I nuovi principi di derivazione europea ed il loro recepimento all’interno del nostro ordinamento, in altri

termini, privano di attualità e vigenza una norma transitoria di livello secondario (l’art. 2 D.M. 144) che era

stata concepita nel lontano 1998 per i soli requisiti di onorabilità degli azionisti di banche, in un quadro

normativo di riferimento che la Direttiva del 2007, come visto, ha profondamente modificato, in particolare

ampliando il novero delle situazioni rilevanti per il giudizio sulla “reputazione” del potenziale acquirente

(vedi i “nuovi” artt. 19 e 24 TUB), il quale è rimesso alla valutazione ampiamente discrezionale dell’Autorità

di vigilanza ed è giudizio “reputazionale” in cui rientra anche (ma non solo) la verifica dei requisiti di

onorabilità di cui all’art. 25 TUB.

Risulterebbe irragionevole ed ingiustificata la rivitalizzazione del menzionato regime transitorio, per effetto

della recente estensione alla SPFM delle disposizioni del Titolo II, Capi III e IV TUB (ex art. 63 TUB), che sono

stati interessati dalle profonde modifiche riguardanti in particolare gli artt. 19, 24 e 25 TUB, modificati per

effetto del recepimento della Direttiva n. 2007/44.

Appare, in particolare, inaccettabile ed irragionevole applicare la norma transitoria che rendeva irrilevante

la mancanza dei “nuovi” requisiti introdotti dal D.M. del 1998, se verificatasi prima della sua entrata in

vigore (“Per i soggetti che partecipano al capitale di una banca alla data di entrata in vigore del presente

regolamento la mancanza dei requisiti di cui all'articolo 1 non previsti dalla normativa previgente non

rileva, se verificatasi antecedentemente alla data stessa, limitatamente alla partecipazione già detenuta”),

nell’ambito di un rinnovato assetto normativo nel quale certamente l’Autorità di Vigilanza, in generale,

nell’indagine sulla reputazione, può considerare in termini negativi la “condotta professionale passata” del

socio soggetto alla verifica e riferirsi pertanto anche a fatti anteriori alla stessa entrata in vigore del D.Lgs.

53/2014 (arg. ex considerando (8) Direttiva 44).

La conseguenza sarebbe che le condotte maggiormente riprovevoli, oggetto di condanna penale e rilevanti

ai sensi dell’art. 25 TUB (quale è quella subita dall’odierno ricorrente), beneficerebbero di un trattamento

di maggior favore usufruendo del descritto “regime transitorio” che è invece certamente inapplicabile ad

altre condotte non riconducibili a quelle di cui all’art. 25 cit., tendenzialmente meno gravi, ma comunque

valutabili sul piano della “reputazione” ed idonee a giustificare un provvedimento della Banca d’Italia

impositivo dell’obbligo di alienazione ex art. 24, comma 3, TUB.

Si può pertanto ritenere corretto affermare che l’art. 2 D.M. n. 144 del 1998 può ormai ritenersi

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tacitamente abrogato e non può essere invocato dall’odierno ricorrente ai fini dell’accoglimento del

ricorso.

Ciò è di per sé sufficiente alla reiezione dell’unico motivo articolato nel ricorso principale.

11. La conclusione che precede, ad avviso del Collegio, non può essere confutata sulla base dell’argomento

svolto dal ricorrente (e dall’interveniente) nelle memorie in atti in cui si vuole fissare una invalicabile linea

di demarcazione tra il fenomeno dell’acquisto di una partecipazione qualificata ex art. 19, comma 1, TUB

(sottoposto alla sola disciplina dell’art. 24 TUB) e detenzione di essa (che sarebbe disciplinata invece dal

solo art. 25 TUB, che richiama il D.M. n. 144 del 1998), pretendendo che la Direttiva 2007/44 si applichi

soltanto al primo, con la conseguenza che ove un soggetto intenda proporsi come acquirente di una

partecipazione eccedente la soglia di legge, la valutazione si baserebbe sul parametro ampio della

reputazione come delineata dalla Direttiva mentre, ove si debba esaminare una partecipazione già

detenuta, la valutazione della Banca d’Italia dovrebbe fondarsi sulla sola verifica (senza margini di

discrezionalità valutativa) dei requisiti fissati dall’art. 25 cit. .

Nella delineata impostazione difensiva ciò starebbe a dimostrare che il nuovo assetto normativo sopra

ampiamente descritto non avrebbe investito la previgente disciplina delle partecipazioni già detenute che

continuerebbe a basarsi sui soli requisiti richiamati dall’art. 25 TUB e fissati dal D.M. 144/1998, con

persistente efficacia della norma transitoria di cui all’art. 2 D.M. 144/1998.

In altri termini, secondo il ricorrente, la valutazione in termini ampi ed elastici della reputazione

riguarderebbe soltanto la “fase” dell’autorizzazione all’acquisto di una partecipazione qualificata mentre,

una volta detenute le quote, soltanto la perdita dei requisiti di onorabilità “stricto sensu” intesi e fissati dal

D.M. 144/1998, legittimerebbe il provvedimento di vigilanza.

L’argomentazione non sembra convincente, in primo luogo, alla luce del comma 5 dell’art. 19 TUB il quale,

nell’ultimo periodo stabilisce che “l'autorizzazione può essere sospesa o revocata se vengono meno o si

modificano i presupposti e le condizioni per il suo rilascio”. La norma esprime uno dei caratteri

fondamentali del potere che è proprio dell’Autorità di Vigilanza, la quale in continuo (“on going”) verifica il

rispetto dei parametri della sana e prudente gestione nei confronti di tutti i soggetti sottoposti al suo

ambito di controllo.

Tali verifiche debbono svolgersi “ex officio” in ogni situazione che possa determinare la perdita dei requisiti

di onorabilità e/o reputazione in capo al singolo partecipante e non richiedono per essere attivate una

specifica istanza di autorizzazione da parte degli interessati né possono riferirsi ai soli acquisti di

partecipazioni, bensì a tutte le situazioni ipotizzabili in cui una partecipazione che assuma una consistenza

superiore alla soglia legale del 9,99% sia (direttamente o indirettamente) nella titolarità di un soggetto che

risulti privo del requisito reputazionale.

Quanto detto trova conferma nel decreto n. 675 del 27.7.2011 del Presidente del CICR che all’art. 12

specifica che “l’autorizzazione è revocata qualora vengano meno o si modifichino i presupposti e le

condizioni atti a garantire una gestione sana e prudente dell’impresa vigilata”, presupposti e condizioni che

sono da ricondurre, per quanto concerne i requisiti soggettivi, alla definizione generale di cui all’art. 19,

comma 5, TUB che si riferisce alla “reputazione del potenziale acquirente, ivi compresi il possesso dei

requisiti di onorabilità di cui all’art. 25 TUB”.

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Come rilevato inoltre dalla difesa della Banca d’Italia (cfr. memoria di replica depositata in data 11.4.2015,

pagg. 16 e ss.) l’art. 11, comma 5, della II direttiva bancaria (89/646) contiene una disposizione che è stata

sempre riprodotta nelle successive direttive succedutesi in materia di partecipazioni bancarie qualificate,

fino alla recente direttiva 2013/36/UE la quale prevede, significativamente che “5. Gli Stati membri

prevedono che, qualora l'influenza esercitata dalle persone di cui al paragrafo 1 possa essere di ostacolo ad

una gestione prudente e sana dell'ente, le autorità competenti adottino le opportune misure per porre

termine a tale situazione. Le misure in questione possono segnatamente consistere in ingiunzioni, in

sanzioni nei confronti dei dirigenti o nella sospensione dell'esercizio dei diritti di voto inerenti alle azioni o

quote detenute dagli azionisti o dai soci in questione.

Misure simili saranno prese nei confronti delle persone fisiche o giuridiche che non ottemperino agli

obblighi di informazione preventiva fissati al paragrafo 1. In caso di acquisizione della partecipazione

nonostante l'opposizione delle autorità competenti, gli Stati membri, indipendentemente da altre sanzioni

che verranno adottate, prevedono la sospensione dall'esercizio dei relativi diritti di voto, la nullità o la

possibilità di annullamento dei voti espressi”.

Quindi: non solo progetti di acquisto presentati all’Autorità ma anche situazioni di detenzione in atto non

dedotte in una specifica istanza di autorizzazione; non solo poteri di autorizzazione preventiva ma anche

poteri di intervento repressivo (“ingiunzioni”) finalizzati a porre termine alla situazione di anti-giuridicità,

connessa ad una partecipazione già detenuta in mancanza dei richiesti requisiti soggettivi.

Nelle due situazioni (acquisito, detenzione in atto) in cui l’Autorità è chiamata ad intervenire nell’esercizio

dei suoi poteri di supervisione è evidente che il parametro di valutazione dei requisiti soggettivi dovrà

necessariamente essere il medesimo e cioè la reputazione del potenziale acquirente, ivi compreso il

possesso dei requisiti previsti ai sensi dell'articolo 25 (art. 19, comma 5, TUB).

L’applicazione (pretesa da parte ricorrente) di un parametro più ristretto, corrispondente ai soli requisiti di

onorabilità di cui agli artt. 25 TUB e 1 D.M. 144/1998, alla sole situazioni di detenzione pregressa (rispetto

alle quali non si applicherebbe il più ampio parametro della “reputazione”) determinerebbe una

ingiustificata disparità di trattamento ed una evidente asimmetria nel trattamento di fattispecie che

possono peraltro palesare, in ipotesi, anche un più elevato tasso di illegittimità, come nel caso di azionista

che, al di fuori di ogni autorizzazione, superi di fatto la soglia di rilevanza all’interno della SPFM, senza

informare di ciò la Banca d’Italia.

L’unitarietà del quadro normativo di riferimento, con particolare riguardo al parametro di verifica della

reputazione/onorabilità, che trova necessaria applicazione nelle diverse situazioni sopra prospettate,

conferma la tacita abrogazione dell’art. 2 D.M. n. 144 del 1998, in virtù degli argomenti già svolti nel

paragrafo precedente.

12. Ad avviso del Collegio sussiste peraltro un’ulteriore ragione in virtù della quale il motivo principale di

ricorso non può trovare accoglimento, anche a prescindere dalle argomentazioni che precedono.

Invero non è revocabile in dubbio (e su ciò convengono le parti in causa) che il rinvio operato dall’art. 63,

comma 1, TUB, al Titolo II, capi III e IV - i quali, per effetto dell’innesto operato dall’ art. 2, comma 5, lett. a)

e b), D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 53, sono oggi applicabili anche alla SPFM capogruppo – appartiene alla

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categoria del rinvio mobile o “in blocco” a tutte le disposizioni richiamate, tra le quali vi è anche l’art. 25 il

quale a sua volta rinvia ad un regolamento del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la

determinazione dei requisiti di onorabilità.

Precisamente il comma 1 dell’art. 25 TUB così dispone: “1. Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita

la Banca d'Italia, determina con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23

agosto 1988, n. 400, i requisiti di onorabilità dei titolari delle partecipazioni indicate all'articolo 19.”.

Come noto il regolamento ministeriale “de quo” è stato emanato con il D.M. n. 144 del 18.3.1998.

Orbene, il rinvio dell’art. 63 all’art. 25 investe anche le disposizioni regolamentari a cui quest’ultimo rinvia,

ma ciò avviene entro i limiti oggettivi del rinvio medesimo.

Si vuole dire che l’art. 63, comma 1, TUB non richiama in via diretta il regolamento ministeriale n. 144/1998

bensì lo recepisce e lo rende applicabile alle nuove figure societarie (SPFM) in via mediata, attraverso il

rinvio mobile all’art. 25, che richiama la normativa secondaria ai fini della definizione dei requisiti di

onorabilità.

Il comma 1 dell’articolo 25, infatti, autorizza espressamente la fonte secondaria a determinare i requisiti

soggettivi di onorabilità dei titolari di partecipazioni rilevanti ex art. 19 TUB ma non contiene però alcuna

delega né autorizza il regolamento a dettare una disciplina transitoria in ordine al venir meno di requisiti la

cui mancanza non rilevava secondo la disciplina previgente.

Pertanto, mentre l’art. 1 D.M. n. 144/98, fissando i requisiti di onorabilità, si colloca a pieno titolo entro i

confini della delega di legge alla quale dà puntuale attuazione, lo stesso non è sostenibile con riferimento

alla “norma transitoria” di cui all’art. 2 del medesimo D.M., non contenendo l’art. 25 TUB alcuna norma che

autorizzi il Ministero a disciplinare tale profilo.

Ovviamente è estraneo alla presente materia del contendere ogni ipotetica problematica sull’ “eccesso di

delega” nell’esercizio della potestà normativa secondaria.

Assume però rilievo il dato normativo oggettivo di una disciplina transitoria, fissata a livello secondario, che

non è contenuta né richiamata dalla disposizione primaria (art. 25, comma 1, TUB).

Consegue da ciò, ad avviso del Collegio, che il rinvio mobile di cui all’art. 63, comma 1, TUB investe

indubbiamente l’art. 25, comma 1, TUB e, quindi, i “requisiti di onorabilità” definiti dall’art. 1 del D.M. 144 a

ciò espressamente autorizzato dall’art. 25 TUB.

Poiché il rinvio mobile o in blocco disposto dal citato art. 63 è rinvio diretto alla normativa primaria (Capi III

e IV del Titolo II TUB) ed alle norme integrative di fonte secondaria, se ed in quanto richiamate dalla

normativa primaria, il Collegio ritiene che detto rinvio non possa estendersi alla norma transitoria di cui

all’art. 2 D.M. 144, introdotta dal regolamento ma senza alcun supporto autorizzatorio espresso rinvenibile

nella disposizione legislativa.

Da ciò consegue che se il regime transitorio si doveva certamente applicare (fino a quando è rimasto in

vigore) alle partecipazioni rilevanti nel settore bancario, in quanto l’art. 2 D.M. cit., a prescindere da un

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collegamento con una specifica disposizione del TUB, a tali partecipazioni inequvocabilmente si riferiva, lo

stesso non può dirsi con riguardo alle partecipazioni qualificate nel capitale delle SPFM in quanto l’art. 2

medesimo non le contempla espressamente (com’è ovvio trattandosi di norma ben anteriore alla disciplina

introdotta dal D.Lgs. n. 53 del 2014) ma neanche indirettamente, attraverso il meccanismo del rinvio

mobile che, come detto, investe l’art. 25 TUB e la normativa secondaria da esso richiamata, limitatamente

alla determinazione dei requisiti di onorabilità (ma non anche in relazione alla “norma transitoria”).

13. Non resta a questo punto che esaminare le questioni di legittimità costituzionale come già

sinteticamente descritte nella superiore narrativa in fatto.

13.1. La prima questione di costituzionalità proposta dal ricorrente riguarda, come visto, l’art. 25 TUB che al

quarto comma prevede che “Le partecipazioni, eccedenti le soglie previste dal comma 3, dei soggetti privi

dei requisiti di onorabilità devono essere alienate entro i termini stabiliti dalla Banca d'Italia”. Il ricorrente

evidenzia che si tratta di comma non presente originariamente ma introdotto diversi anni dopo l’entrata in

vigore del TUB, dall’art. 2 del D.Lgs. 37 del 2004, emanato sulla base della Legge delega n. 366 del 2001

destinata però alla “Riforma del diritto societario”, la quale nulla prevedeva in tema di obbligo di

alienazione di partecipazioni in banche, limitandosi l’art. 1, comma 2, della Legge n. 366 a conferire una

delega finalizzata al “necessario coordinamento” della riforma societaria con le altre disposizioni vigenti,

sicché la disposizione in esame sarebbe originariamente viziata da incostituzionalità ai sensi dell’art. 76

Cost. per eccesso di delega; per analoghe ragioni sarebbe altresì incostituzionale anche l’art. 24, comma 3,

TUB nel quale è stato inserito, sempre ad opera dell’art. 2 del D.lgs. n. 37/2004, l’analogo obbligo di

alienazione in caso di mancata autorizzazione preventiva all’acquisizione delle partecipazioni rilevanti nel

capitale di banche.

La questione non appare fondata in quanto, come correttamente rileva la Banca d’Italia (v. pag. 5 e ss.

memoria ex art. 55, comma 5, c.p.a. p. 48 e ss.), il disposto degli art. 24, comma 3 e 25 comma 4 TUB come

introdotto dal D.Lgs. n. 37/2004 è stato più recentemente modificato dall’art. 1 del D.Lgs. n. 21 del 2010,

emanato in attuazione della Direttiva europea 2007/44 che, come detto, ha profondamente modificato la

disciplina degli assetti proprietari in ambito bancario.

Il suddetto D.Lgs. è intervenuto sull’art. 25, comma 4, TUB confermando la previsione secondo cui “Le

partecipazioni, eccedenti le soglie previste dal comma 3, dei soggetti privi dei requisiti di onorabilità

devono essere alienate entro i termini stabiliti dalla Banca d'Italia”.

Al riguardo deve ritenersi che, sebbene sul comma sopra trascritto l'art. 1, comma 1, lett. h), n. 4, D.Lgs. 27

gennaio 2010, n. 21 si sia limitato ad introdurre una modifica tecnica, sostituendo il precedente riferimento

al “comma 2” con l’aggiornato riferimento al “comma 3”, l’intervento legislativo assume una più generale e

pregnante valenza confermativa della norma che, pur immutata nella sua materialità, vede innovata la sua

fonte che non può più ricondursi al D.Lgs. n. 37 del 2004 della cui legittimità costituzionale si controverte,

bensì al “nuovo” D.Lgs. n. 21/2010.

Quest’ultimo è inoltre intervenuto, con l’art. 1, comma 1, lett. g), sul comma 3 dell’art. 24 integralmente

sostituito dalla disposizione che così oggi recita: «3. Le partecipazioni per le quali le autorizzazioni previste

dall'articolo 19 non sono state ottenute o sono state revocate devono essere alienate entro i termini

stabiliti dalla Banca d'Italia.».

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Da ciò consegue che, a prescindere dai confini della delega concessa dal legislatore con la Legge n. 366 del

2001 (Riforma del Diritto Societario), la scelta effettuata dal D.Lgs. n. 27 del 2004 è stata confermata

successivamente dal D.Lgs. 21/2010 che ha peraltro recepito la normativa di derivazione europea operando

una riforma complessiva del regime giuridico delle partecipazioni nella società bancarie e dei connessi

poteri attribuiti all’Autorità di Vigilanza in materia.

Ciò determina l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale proposta che investe disposizioni

delegate ormai superate e non più applicabili, in virtù del successivo intervento legislativo delegato del

2010 che non pone invece neanche in astratto problemi di costituzionalità.

13.2. Sempre con riguardo all’art. 25, comma 4 (ed all’art. 24, comma 3, TUB) si è già detto che parte

ricorrente ne deduce l’incompatibilità con il diritto europeo per violazione del principio di proporzionalità:

la direttiva 89/646/CEE, diretta all’obbiettivo della “sana e prudente gestione” individuava espressamente

la sola “sanzione” della sospensione del diritto di voto (art. 11, comma 5) nei confronti dei partecipanti al

capitale delle banche ove privi delle qualità prescritte, ponendo il socio “disonorevole” nella condizione di

non poter influire nella gestione dell’ente. In un primo momento, nel recepimento della Direttiva nel diritto

interno, non si erano introdotte misure diverse dalla sospensione dei diritti di voto, mentre con il

rammentato intervento del D.Lgs. n. 37 del 2004 il legislatore italiano stabilisce l’obbligo di alienazione

della quota nella mani del socio disonorevole: si tratterebbe, secondo il ricorrente, di un innesto non

necessitato dalla Direttiva 89 rimasta immutata sul punto (v. art. 11, comma 5 Dir. Cit.). Esso inoltre

sacrifica in modo irreversibile il diritto di proprietà tutelato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione

Europea (cfr. art. 17 della Carta medesima), senza produrre alcun beneficio in funzione della garanzia della

“sana e prudente gestione”. Su ciò si fonda l’istanza del ricorrente a questo Tribunale di disapplicare le

norme nazionali menzionate su cui si fonda l’ordine di alienazione impartito dalla Banca d’Italia ovvero, ove

ritenuto necessario, di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sull’interpretazione degli artt.

17 e 52 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.

La questione non appare al Collegio fondata, in quanto:

a) l’art. 11 della c.d. II Direttiva Bancaria (n. 89/646/CEE) il quale corrisponde oggi all’art. 26 Direttiva

2013/36/UE è stato già citato nella superiore trattazione e testualmente prevede: “5. Gli Stati membri

prevedono che, qualora l'influenza esercitata dalle persone di cui al paragrafo 1 possa essere di ostacolo ad

una gestione prudente e sana dell'ente, le autorità competenti adottino le opportune misure per porre

termine a tale situazione. Le misure in questione possono segnatamente consistere in ingiunzioni, in

sanzioni nei confronti dei dirigenti o nella sospensione dell'esercizio dei diritti di voto inerenti alle azioni o

quote detenute dagli azionisti o dai soci in questione.

Misure simili saranno prese nei confronti delle persone fisiche o giuridiche che non ottemperino agli

obblighi di informazione preventiva fissati al paragrafo 1. In caso di acquisizione della partecipazione

nonostante l'opposizione delle autorità competenti, gli Stati membri, indipendentemente da altre sanzioni

che verranno adottate, prevedono la sospensione dall'esercizio dei relativi diritti di voto, la nullità o la

possibilità di annullamento dei voti espressi”;

b) la direttiva di riferimento pertanto (e ciò dal lontano 1989) non ha mai limitato l’ambito di intervento del

legislatore nazionale alla sola sospensione del diritto di voto, potendo le possibilità di intervento estendersi

ad ogni ulteriore “opportuna misura” da considerare legittima se funzionale e proporzionata allo scopo di

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“porre termine a tale situazione” (e cioè ad una condizione di influenza rilevante dell’azionista che ostacoli

la sana e prudente gestione); tra le misure opportune viene espressamente contemplata la tipologia delle

“ingiunzioni” e pertanto si ammette anche il potere dell’Autorità di Vigilanza di impartire ordini di fare o

non fare all’impresa vigilata, affinché venga rimossa la situazione di antigiuridicità in cui essa versi; ciò

appare sufficiente ad affermare che non vi sia alcun contrasto tra la misura dell’obbligo di alienazione della

partecipazione eccedentaria (di cui all’art. 25, comma 4 ed all’art. 24 comma 3 TUB) e specifiche previsioni

di matrice europea;

c) sul piano della ragionevolezza e proporzionalità (in via generale ed astratta) della misura impositiva della

dismissione, sembra evidente che l’alternativa propugnata dal ricorrente della sufficienza ed adeguatezza

della sola misura sospensiva dei diritti amministrativi e, in primo luogo, del diritto di voto (ex art. 25,

comma 3, TUB ) implichi però il mantenimento a tempo determinato della titolarità di partecipazioni che

restano “congelate” sul piano del diritto di voto e, più in generale, dell’incidenza sulla gestione societaria, il

che introduce una palese anomalia, ammissibile soltanto in via transitoria, provvisoria (com’è peraltro

insito nel concetto stesso di “sospensione”), atteso che essa introduce una scissione tra proprietà e

gestione che va contro i principi stessi del diritto societario;

d) proprio nell’ottica dell’obbiettivo della “sana e prudente gestione” non sembra possibile mantenere

“sine die” il menzionato scollamento proprietà/gestione in quanto i poteri amministrativi e strategici nella

gestione dell’impresa sarebbero nelle mani di azionisti meno esposti a rischi economici, diversamente da

chi ha investito ingenti capitali nell’impresa ma non può più incidere sulle scelte di fondo della sua attività;

e) l’obbligo di alienazione stabilito dal nostro legislatore sembra l’unico in grado di far cessare una simile

anomalia e non deve essere considerato in una prospettiva meramente “punitiva” per il singolo ma in

relazione alle finalità di interesse generale che la disciplina delle partecipazioni rilevanti persegue; il

sindacato sul corretto esercizio del potere si sposta pertanto sulle modalità (flessibili) che l’Autorità è

chiamata a definire, nell’adeguata considerazione e ponderazione anche dell’interesse del privato azionista

a non subire dall’alienazione un ingiustificato depauperamento economico e, pertanto, a perseguire le

migliori condizioni di realizzo;

13.3. Parte ricorrente deduce infine l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 4, TUB anche alla luce

del diverso parametro integrato dagli artt. 3, 42 e 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo Addizionale

CEDU, i quali non consentono la compressione del diritto di proprietà, se non nei limiti strettamente

necessari per salvaguardare altri interessi ugualmente garantiti: riprendendo parte degli argomenti posti a

supporto della questione di l.c. appena esaminata, ritiene il ricorrente che l’obbligo di alienazione

determinerebbe il sacrificio di un diritto garantito dalla Costituzione e dalla CEDU, senza però produrre

alcun reale beneficio in funzione della garanzia della “sana e prudente gestione”, che sarebbe già

adeguatamente tutelata attraverso la meno invasiva misura della sospensione dei diritti di voto.

La questione non è fondata ad avviso del Collegio il quale ritiene al riguardo di aderire a quanto contro-

dedotto dalla Banca d’Italia (vedi in particolare la memoria ex art. 55, comma 5, c.p.a. pag. 55 e ss.).

Non vi può essere piena equiparazione tra la posizione del proprietario espropriato e quella del titolare di

una partecipazione rilevante nel capitale di una società bancaria, atteso che quest’ultimo, al contrario del

primo, versa in una situazione di antigiuridicità in quanto privo di un requisito di capacità speciale

(l’onorabilità ai sensi del combinato disposto degli artt. 25 TUB e 1, comma 1, lett. b) n. 3), D.M. 144/1998)

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per poter acquisire o conservare tale partecipazione.

L’ordine di dismissione disposto dall’Autorità in applicazione degli artt. 19, 24 e 25 TUB è pertanto

strumento volto al ripristino della legalità violata, al fine di tutelare l’interesse generale alla sana e

prudente gestione delle banche e, con specifico riferimento al caso in esame, delle SPFM, interesse il quale

si connette strettamente alla tutela del risparmio e cioè di un valore di sicuro rilievo costituzionale ai sensi

dell’art. 47 Cost..

Così inquadrata la disciplina del requisito di onorabilità e delle conseguenze che derivano dalla sua

mancanza, non può ritenersi che le disposizioni sui requisiti siano coperte da riserva assoluta di legge ai

sensi del terzo comma dell’art. 42 Cost. (che si riferisce al proprietario che gode legittimamente e nella sua

pienezza del diritto di proprietà, il quale comunque può essere espropriato per motivi di interesse generale

e salvo indennizzo), quanto piuttosto da riserva relativa (cfr. CGAS, 1 luglio 2013, n. 633).

Nel caso di specie detta riserva è stata pienamente rispettata in quanto nel quadro definito dalla legge

(artt. 19, 24 e 25 TUB) viene rimessa alla fonte regolamentare la sola determinazione delle situazioni

impeditive sul piano dell’onorabilità.

14. Per tutto quanto sopra premesso, ritenuto e valutato, conclusivamente il Collegio, giudicate

manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal ricorrente con atto per

motivi aggiunti/integrativi inviato a notifica il 28.1.2015 e dall’interveniente Holding Italiana Quarta S.p.a.,

ritiene che: debba essere dichiarato inammissibile l’atto di costituzione della Fininvest S.p.a. e la domanda

da essa proposta; debba essere dichiarato irricevibile per tardività (e comunque da respingere nel merito in

quanto infondato) il secondo atto per motivi aggiunti proposto dal dott. Silvio Berlusconi con atto inviato a

notifica il 18.3.2015; nel merito, vada respinto il ricorso principale proposto in quanto infondato in diritto

per le ragioni sopra ampiamente esposte.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo a favore delle due

Amministrazioni resistenti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso,

come in epigrafe proposto, così decide:

- in via preliminare, in rito, dichiara irricevibile e, comunque, inammissibile l’atto di costituzione in giudizio

da parte della Finanziaria di Investimento Fininvest S.p.a. della quale dispone l’estromissione dal presente

giudizio;

- sempre in via preliminare, in rito, dichiara irricevibile per tardività il secondo atto per motivi aggiunti

proposto ex art. 43 c.p.a. dal dott. Silvio Berlusconi;

- nel merito, respinge il ricorso ed i primi motivi aggiunti proposti, con conseguente rigetto anche delle

domande introdotte dall’interveniente Holding Italiana Quarta S.p.a..

Condanna il ricorrente alla refusione degli onorari di lite in favore della Banca d’Italia, in persona del legale

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rappresentante p.t., che liquida nella somma complessiva di Euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre Iva, Cassa

Avvocati ed oneri tutti di legge nonché in favore dell’IVASS – Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni – in

persona del legale rappresentante p.t. che liquida nella somma complessiva di Euro 5.000,00

(cinquemila/00), oltre Iva, Cassa Avvocati ed oneri tutti di legge;

condanna altresì la Finanziaria di Investimento Fininvest S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t. alla

refusione degli onorari di lite in favore della Banca d’Italia, in persona del legale rappresentante p.t., che

liquida nella somma complessiva di Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre Iva, Cassa Avvocati ed oneri tutti di

legge nonché in favore dell’IVASS – Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni – in persona del legale

rappresentante p.t. che liquida nella somma complessiva di Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre Iva, Cassa

Avvocati ed oneri tutti di legge;

condanna infine al pagamento degli onorari di lite la Holding Italiana Quarta S.p.a., in persona del legale

rappresentante p.t., in favore della Banca d’Italia, in persona del legale rappresentante p.t., che liquida

nella misura di Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre Iva, Cassa Avvocati ed oneri tutti di legge nonché in

favore dell’IVASS – Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni – in persona del legale rappresentante p.t.

che liquida nella somma complessiva di Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre Iva, Cassa Avvocati ed oneri tutti

di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Corsaro, Presidente

Vincenzo Blanda, Consigliere

Claudio Vallorani, Referendario, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/06/2015