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ANTONIO TAGLIAFERRI(1835-1909)

L’architettura come romanzo della storia

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ORDINE DEGLI ARCHITETTI DI BRESCIAORDINE DEGLI INGEGNERI DI BRESCIA

COMUNE DI BRESCIAPROVINCIA DI BRESCIA

ASSOCIAZIONE ARTISTI BRESCIANI

IL PROGETTO DISEGNATO-2

rassegna a cura diValerio Terraroli

galleria aab - vicolo delle stelle, 4 - Brescia16 gennaio - 3 febbraio 1999

feriali e festivi 15,30 -19,30lunedì chiuso

AAB EDIZIONI

ANTONIO TAGLIAFERRI(1835-1909)

L’architettura come romanzo della storia

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Indice

pag. 3 Prefazione

pag. 5 Antonio Tagliaferri,Progetti e restauri all’insegna della cultura tardoromantica

pag. 23 Biografia di Antonio Tagliaferri

pag. 25 Illustrazioni

pag. 55 Schede

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Prefazione

L’occasione di presentare al pubblico, dopo molti anni, una scelta ristretta,ma emblematica dei disegni architettonici, degli acquerelli e dei dipinti di An-tonio Tagliaferri offre la possibilità non solamente di rileggere il percorso pro-fessionale e artistico del più significativo e creativo architetto eclettico brescianodel secondo Ottocento, ma di riscoprire le atmosfere, il gusto, la qualità del di-segno della cultura tardoromantica in area lombarda.

La mostra è distribuita secondo la scansione cronologica dei progetti archi-tettonici e dei cantieri avviati da Antonio Tagliaferri a partire dal 1867 fino allamorte, avvenuta nel 1909, ed è arricchita da alcuni taccuini di viaggio e albumdi repertorio, dipinti e acquerelli raffiguranti ambienti e scene di genere secon-do atmosfere e stili storici diversi ed un ritratto postumo, ma intenso, dell’ama-tissimo scultore Domenico Ghidoni, proprio per restituire al pubblico l’imma-gine di Tagliaferri non solo come abilissimo progettista e funambolico invento-re di architetture in stile, ma come uomo di cultura dagli interessi ad ampiospettro.

Si è ritenuto opportuno per l’occasione riproporre integralmente il saggioe le schede (relative ai progetti presentati in mostra) predisposti a suo tempoper il mio volume Antonio e Giovanni Tagliaferri. Due generazioni di architettiin Lombardia tra Ottocento e Novecento, Brescia 1991 e qui ringrazio l’Editri-ce Morcelliana e l’avvocato Stefano Minelli per averne concesso la parziale ri-pubblicazione.

Valerio Terrarolidicembre 1998

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Antonio Tagliaferri (1835-1909)Progetti e restauri all’insegna della cultura tardoromantica

1. Brescia negli anni Settanta dell’Ottocento tra demolizione e con servazione

Le vicissitudini economico-politiche della Lombardia e dell’exLombardo-Veneto, immediatamente a ridosso delle guerre d’indi pendenza e an-cora intrise di idee risorgimentali, pur proiettandosi nelle varie realtà locali inmodo diversificato, perseguono un unico in tento: trasformare e modernizzare lestrutture urbane e di conseguen za gli elementi architettonici in esse contenuti,al fine di dare da una parte un impulso nuovo e possibilmente inarrestabile allosviluppo della città moderna e industriale, dall’altra creare condizioni di vitaadatte ai nuovi standard igienico-sanitari propugnati anche a livello le gislativo apartire dall’inizio del secolo.1

Brescia, pur manifestando in questo momento gravi condizioni di arretratez-za nelle attività produttive, fra l’altro denunciate a chiare lettere da GiuseppeZanardelli nel 1857 in “Il Crepuscolo”2, era la se conda città della regione perpotenzialità industriali, essendo situata strategicamente all’interno del croceviaitaliano, in specie con le linee ferroviarie Verona-Brennero (realizzata dal 1865al 1870) e Milano -Bologna-Firenze-Roma, collegata nel 1882 con il Gottardo.Mentre la città si evolveva negli spazi oltre le mura, dove già dall’inizio del seco -lo si trovavano il cimitero monumentale e il foro boario, con la nuova stazioneferroviaria di San Nazaro, la zona degli opifici sul fiume Grande, derivato dalMella (nell’attuale via del Sebino nel 1887 erano presenti ventidue fabbriche) ele officine del gas presso la stazione, al l’interno della cinta muraria rinascimen-tale iniziavano a scarseggiare le aree disponibili per nuovi edifici e sempre piùimpellenti si facevano le necessità di decoro urbano e di igienizzazione dei quar-tieri: insomma di una sostanziale riforma dell’assetto urbanistico sedimentatosiper secoli. Proprio alla vigilia dell’unificazione al regno piemontese, Bre scia vi-veva le ultime sistemazioni di origine illuministica basate su ret tificazioni e al-largamenti stradali che incisero, talvolta in modo violen to, il tessuto medioeva-le della città: «come per gli attuali corso Zanar delli e corso Magenta nel 1852,sull’apertura di vie importanti, come il primo tratto di via S. Martino con il ta-glio nel 1850 della chiesa di S. Luca, sui primi riassetti di alcune porte dellacittà, come quelle di S. Nazaro (attuale piazzale della Repubblica) e S. Alessan-dro (attuale piazza Cremona) dove viene tagliato il rivellino. Anche porta S.Gio vanni (attuale piazza Garibaldi) viene definitivamente sistemata nel 1853»3.Le rinnovate necessità di agevoli contatti viari con l’esterno, il bisogno di repe-rire altri spazi abitativi per una popolazione in progres sivo aumento, attrattadalle possibilità di lavoro offerte dalla nuova in dustria bresciana, e anche di tro-

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vare uno sfogo ad una sempre crescen te massa di disoccupati, portarono il Con-siglio Comunale alla decisio ne di abbattere le mura veneziane, che ormai asse-diavano la vecchia cit tà e non avevano più alcuno scopo di difesa: sul tracciatodei bastioni ven nero progettati i viali ai lati dei quali furono edificate residenzealto borghesi, risparmiando solamente il tratto verso oriente, gli attuali spaltiSan Marco, che divennero per la cittadinanza la “passeggiata”.

All’interno della città quindi continuarono i lavori di rettificazione stradalecon l’intento di tracciare i percorsi, il più regolari possibili, delle principali arte-rie cittadine e conseguentemente si proseguiva nel rifacimento degli affacci de-gli edifici privati, nella sistemazione dei giardini e delle piazze, che venivano ar-ricchite da una serie di monu menti celebrativi, ed infine nella progettazione dinuovi spazi pubblici che richiamassero, nella scelta dello stile, funzione e tradi-zione. Con temporaneamente venivano avviati cantieri di restauro in pristinocon la chiara intenzione di riportare gli edifici storici della città ad un pre suntosplendore originario, che li elevasse a simboli storici e culturali della nuova Bre-scia.

Le problematiche connesse al dibattito sul restauro e sulla nuova architettu-ra, che cercava di mediare il ricorso agli stili storici con le nuo ve tecnologie co-struttive, coinvolsero a livello nazionale tutte le forze intellettuali impegnate indiscussioni sul rapporto progresso-conserva zione, restauro-stili storici, decora-zione-struttura, architetti-ingegneri. Le voci furono estremamente variegate e inrealtà la questione non tro vò soluzioni univoche, ma al contrario sembrò adat-tarsi a realtà cultu rali diverse, talvolta identificabili con precise aree geografiche.È quindi opportuno considerare la possibilità di una serie di declinazioni localirelative alla concezione dell’architettura eclettica e ai suoi possibili ad dentellaticon le presenze storiche nelle varie aree urbane.

In questo contesto risultò di particolare importanza l’elaborazio ne teorica diCamillo Boito chiaramente espressa nel capitolo intro duttivo ad Architettura delMedio Evo in Italia, intitolato programmati camente Sullo stile futuro dell’archi-tettura italiana, nel quale, traccian do una breve storia dell’architettura in Italia eimplicitamente indican do le matrici e i modelli di riferimento per il futuro, sin-tetizzava le con traddizioni del presente: «Certo è uno stato di transizione questodel l’architettura, poiché tutto il passato lo mostra falso. Già le altre nazioni s’av-viano a ritrovare uno stile. I Tedeschi tornano al loro Tudor, i Russi s’accostanoal loro bizantino, i Francesi sono tuttavia incerti fra il loro gotico e il loro rina-scimento. Per l’Italia il grande impaccio sta nella me ravigliosa ricchezza del suopassato. Ma, presto o tardi, bisognerà pure che un’architettura italiana ci sia,massime che ora l’Italia s’è fatta na zione, ed ha la sua capitale. E dovrà essereuno stile, come nel Trecen to, vario, pieghevole a’ bisogni, a’ climi, all’indole del-le diverse provin cie; e dovrà essere degno della civiltà raffınata, della scienza pro-gredita di questo nostro secolo decimonono o del ventesimo, perché noi di -scorriamo, così per nostro diletto, delle cose di là da venire»4.

Il modello, al quale ogni architetto avrebbe dovuto guardare, era dunque lostile “nazionale”, che appunto Boito identificava nell’archi tettura lombarda (leg-gi romanica) e nelle “maniere municipali del Trecento”5, e dall’altra la prepara-

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zione di ogni architetto, ben di stinta nei contenuti da quella degli ingegneri,avrebbe dovuto caratteriz zarsi per l’abilità disegnativa, la precisione dei dettagli,la perfetta corrispondenza fra struttura e decorazione.

La cultura architettonica bresciana seguì la falsariga di questa im postazioneteorica dato che gli epigoni di Rodolfo Vantini, Giuseppe Cassa, AlessandroSandri e Giuseppe Conti, operosi soprattutto all’in terno del complesso del Van-tiniano, cercarono di mantenere inaltera ta la fedeltà al gusto e allo stile neoclas-sico, mentre la generazione del la metà del secolo acquisì immediatamente i det-tami del nuovo gusto eclettico; così Carlo Melchiotti, Luigi Arcioni e AntonioTagliaferri divennero le punte di diamante dell’elaborazione architettonica aBrescia, almeno fino al primo decennio del Novecento.

Certo Tagliaferri, più di altri, ebbe l’opportunità di venire a con tatto con leelaborazioni teoriche nel campo architettonico di ambito milanese, essendo stu-dente a Brera e poi operoso in collaborazione con ingegneri locali. Il cursus stu-diorum di Antonio corrispose a quan to indicato da Boito: uno studio attento aidettagli decorativi, una so lida conoscenza della storia dell’architettura e delleproblematiche strutturali degli edifici, nonché un’innata ed educata abilitàdisegnati va che molto spesso l’architetto utilizzerà al di là dei semplici progettiarchitettonici.

La costituzione dello stato unitario passò attraverso l’alleanza fra la burocra-zia e gli apparati statali e i nuovi ceti borghesi, i quali predili gevano la figuraprofessionale dell’ingegnere a quella dell’architetto, che risultava sempre vinco-lata al dibattito teorico della poetica del sin golo oggetto architettonico. Infatti legrandi trasformazioni urbane, che coinvolsero tutti i centri storici italiani fra il1860 e il 1890, furono sempre gestite da ingegneri e da tecnici municipali,mentre gli archi tetti si limitarono ad intervenire esclusivamente su singole strut-ture e dal lato prevalentemente estetico. “Avviene così che là dove gli archi tettitentano di imporre una forma alla dinamica urbana, quando ten tano di offrirela loro tecnica per la trasformazione della città, vengono accantonati con nonpoche delusioni e infatti l’ambiguità sostanziale del dibattito architettonico sta-va proprio nel binomio innovazione -progettazione, storia architettonica-urbani-stica moderna, dato che l’architettura segue, con una sua regressiva coerenza, lastrada dell’au licità, delle interpretazioni monumentali, del compromesso deglistili, e, di fronte alle città italiane che sfuggono ad ogni serio tentativo di pia no,in presenza di una committenza articolata ma desiderosa di offrire rapidamenteun’immagine di se stessa, di quel che rappresenta, essa concentra le proprie scel-te in messaggi formali, in singole operazioni che vengono scambiate per scelteglobali, così come la serie di progetti per i palazzi ministeriali, le sedi delle ban-che, le stazioni ferroviarie del la capitale e dei principali centri italiani” (Restuc-ci, Città e architettura nell’Ottocento, Torino 1982, p. 732).

È interessante inoltre sottolineare quanto fossero determinanti nella proget-tazione i valori estetici, legati indissolubilmente alle cate gorie del decoro e dellarappresentatività, che solo gli architetti pote vano elaborare e proporre. Si assi-stette dunque ad un rapporto sim biotico tra le due fıgure: da una parte, gli in-gegneri che progettavano gli interventi edilizi a largo raggio, la divisione dei lot-

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ti per funzioni e le strutture portanti in economia, dall’altra gli architetti cheelaborava no e schizzavano facciate, elementi decorativi in cemento, cotto, stuc -co ed anche affreschi, che ricoprissero “convenientemente” le nude struttureportanti. A questa logica non sfuggì Tagliaferri che proprio attraverso la costan-te collaborazione con due noti ingegneri milanesi, Magni e Casati, partecipò inprima persona al mutare dell’aspetto del la Milano di fine secolo con gli inter-venti al Carrobbio, in via Dante e in via San Vincenzino.

Le opzioni stilistiche di Antonio Tagliaferri e della sua genera zione furonofortemente condizionate dalla contraddizione scienza- verità e sensibilità-fantasiache, muovendosi da un sostanziale rifıuto della eroicità del neoclassicismo e delsublime romantico, tentarono la strada della ricostruzione storica e della scoper-ta di una via evolu zionistica del fare architettonico, non immemore dellecontempora nee teorie di Darwin e Fourier. In un tale clima di recupero del ve-ro, inteso come insieme di lati oscuri e zone luminose, era aperta la di scussionesugli stili del passato e si faceva strada e si affermava l’eclet tismo che diveniva lostrumento di ricerca per un ambiente nuovo, abitabile: nel senso che appog-giandosi sulle ragioni di utilità e di pro gresso ogni genere monumentale si tra-sformava in genere di consu mo e a ciò contribuirono straordinariamente leesposizioni universali: la vetrina tecnologico-figurativa e sociale di quei decenni.

L’eclettismo fu un fenomeno dalle radici essenzialmente roman tiche, e siespresse attraverso un continuo e fluido ripescaggio, libe ro e a piene mani, daglistili passati (neoclassico, neogotico, neorococò ecc.); tuttavia in esso non erapresente un metodo astratto, un’ideolo gia, ma al contrario con ogni rigore distile quest’epoca si caratterizza per il gusto aperto e discontinuo e per un tenta-tivo costante di creare un nesso armonico fra arte e vita, dove appunto la cono-scenza degli stili storici si mescola alla commozione narrativa e alla disposizioneevocativa.

Così il nuovo linguaggio stilistico, e i suoi molteplici operatori, non risulta-rono legati ad un simbolo unitario, ma a molti simboli, in analogia al mutarsi eal crescere di diversi interessi e all’intersecarsi di diverse culture.

L’elemento trainante, come è stato più volte sottolineato, di que sta succes-sione di esperienze revivalistiche, talvolta mescolate nel me desimo edificio, fu laclasse media che attraverso tali esperienze cercò per tutto il secolo di precisaresempre più i propri ideali rappresentativi.

A ciò, è ovvio, vanno ricondotti altri elementi importanti quali il repentinosviluppo industriale, l’invenzione di nuove tecniche e nuovi materiali costrutti-vi, che vennero piegati alle forme decorative e strut turali storiche per assumereuna valenza prevalentemente estetica, i valori delle rinascite nazionali e dellaconseguente necessità di identi ficare uno stile come radice e garante della pro-pria storia. In Italia il medievalismo fu strettamente connesso alle istanze risor-gimentali, al meno nella sua fase iniziale, e trovò nel neoromanico uno stile piùconsono del neogotico, anche se in realtà quest’ultimo, con tutte le contamina-zioni dal neoquattrocentismo allo stile Tudor, venne reim piegato fin all’ultimodecennio del secolo e nei padiglioni delle esposi zioni universali, dove tra l’altrofu talvolta assimilato ad elementi neo moreschi, e nelle residenze lacustri e di

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campagna, quali il notissimo castello MacKenzie, oggi Wolfson, a Genova, rea-lizzato da Gino Cop pedè nel 18906, e, per venire a Brescia, il castello Bonoris diMontichiari (realizzato da Tagliaferri, 1890-1892), la villa De Ferrari oggiCavaz za, sull’isola di Garda (di Luigi Rovelli, 1900-1903)7, il castello sull’i solaiseana di Loreto (di Luigi Tombola, 1900-1901).

Tuttavia accanto al dibattito sullo stile “nazionale” venne formu landosi ilconcetto dell’unità fra le necessità rappresentative della reto rica borghese e latradizione accademica delle scuole di architettura, ancora legate all’Accademia diBelle Arti, particolarmente vivace dove le accademie appunto erano maggior-mente propositive come a Torino, Milano e Venezia, che trovò un modello nel-l’architettura neorinasci mentale (meglio bramantesca e michelangiolesca) inaperta polemica con il gotico fiorito, che si riconosceva ai paesi di area fran-co-tedesca.

Ed in effetti il neocinquecentismo risultò essere l’aspetto domi nante neigrandi piani urbanistici e negli sviluppi monumentali anche di alcune capitalieuropee dopo la metà del secolo, compresa la Roma umbertina. Così come inambiente locale il nuovo stile fu riconosciu to adatto per i grandi edifici ad usopubblico; Tagliaferri progettò in fatti la sede centrale del Credito Agrario Bre-sciano, in piazza del Duo mo, in stile neomichelangiolesco e l’ampliamento diPalazzo della Loggia in stile neopalladiano. Il fenomeno assunse poi ancheconno tazioni ideologiche: nel mondo accademico, ad esempio, consolidare l’in-segnamento sugli ideali estetici del rinascimento era la strada più sicura per su-perare il radicalismo del neogreco e del neoromano, con un riaggancio alla tra-dizione del grande classicismo, e inoltre non presupponeva una scelta radicale dicampo per costrutto ri e professionisti, il cui interesse era soprattutto quello del-la produzio ne, del “mestiere” e dell’aggiornamento tecnologico; il sistema com -positivo rinascimentale non appariva affatto come una scelta esclusiva e di ten-denza, ma era visto come il fondamento (collaudato da secoli) della composi-zione architettonica tout court. Parallelamente al domi nante indirizzo neocin-quecentesco e neoquattrocentesco (Tagliaferri progettò fra l’altro una serie co-spicua di abitazioni cittadine e ville su modelli bramanteschi e toscani: CasaBertelli a Brescia e Villa Fenaro li a Fantecolo), si svilupparono produzioni pla-stiche e decorative che tendevano, specie nelle esposizioni, a mimetizzare lestrutture in ferro e ghisa con un’incrostazione di stucchi e cornicioni, volute digesso e impalcature di legno e stoffa come il clamoroso interno neo rocaille delsalone della Gare d’Orsay, costruita appunto con tecniche dichiarata mente mo-derniste (ferro, cemento e vetro), ma con gli interni ancora legati ad un sensodel décor tutto borghese che identifıcava l’equazione stile-eleganza con le so-vrapposizioni decorative del “salotto buono”.

Questi furono dunque gli eccessi dell’architettura eclettica e in fin dei contidelineavano la crisi defınitiva dello storicismo, sensazio ne sentita immediata-mente dagli intellettuali più attenti e in primis da Camillo Boito, il quale, comesi è detto, proponeva una radicale elimi nazione delle contaminazioni stilisticheed una riappropriazione del romanico (l’architettura lombarda) non in accezio-ne stilistica o mime tica, bensì come traccia per la rifondazione logica degli edi-

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fici e come studio del linguaggio architettonico che gli appariva «più duttile emo derno di quello classico». Questo indirizzo, che resta in Boito una ir realizzataaspirazione, si concretizzò alla fine del secolo nelle realizza zioni americane di Ri-chardson e in quelle olandesi di Berlage, mentre erano presenti in Italia varie rie-laborazioni che si intrecciavano con la matrice romanica, arricchite da elementitratti da edifici policromi pi sani, senesi, ravennati e del primo Quattrocento fio-rentino. In effetti le esortazioni di Boito non trovarono rispondenza immediatanell’a rea italiana, e segnatamente lombarda, dove l’elaborazione architetto nicadovette sempre fare i conti con le preesistenze storiche: certo il discorso attecchìnegli Stati Uniti e nei Paesi Bassi proprio per la man canza di una sedimentazio-ne variegata e soprattutto per la mancanza di confronti diretti con monumentioriginali. In Italia, e questo vale anche per Brescia, la verifica boitiana si esercitònel campo del restau ro in pristino piuttosto che nell’elaborazione ex novo degliedifıci. Ta gliaferri e Arcioni giocarono le loro carte proprio su questo terreno, inparticolare il secondo, impegnato negli anni Novanta dell’Ottocento nella so-stanziale ricostruzione del Duomo Vecchio di Brescia detto La Rotonda, che fral’altro era stato portato ad esempio da De Dar tein, da Cordero da San Quinti-no e da Porter come uno dei massimi esempi dell’architettura medievale lom-barda8. La mancata scelta boi tiana e la riconversione del discorso sulle proble-matiche del restauro e dell’imitazione, furono la causa che appunto bloccò a li-vello interme dio la progettazione architettonica italiana e lombarda sulle lineedel l’eclettismo, mentre pochi architetti aggiornati, ma con una cultura tecnolo-gica già da politecnico e da ingegneri, furono in grado di capta re i messaggi delModernismo e di darne una versione italiana (specie a Torino e a Milano), manella maggior parte dei casi in qualche modo mediata con la cultura storicista.Da questi dati di fatto non poté esi mersi Antonio Tagliaferri che appunto finoalla morte (1909) manten ne inalterate le proprie posizioni di storicista che nonmostrava cedi menti né dal punto di vista strutturale né dal punto di vista deco-rativo. Diverso fu il caso del nipote Giovanni Tagliaferri, il quale, generazional-mente vici no ad Egidio Dabbeni, l’unico architetto a Brescia compiutamente li -berty, riuscì a mutuare da questi e dalle esposizioni internazionali (specie quelladi Torino del 1902) delle proposte decorative moderne, ma certo non rivoluzio-narie, nel contesto di un’architettura media mente ancora impastoiata nella pro-blematica degli stili storici ben ad dentro il Novecento.

2. Manuali ed esposizioni: palestre di conoscenze

Per Antonio Tagliaferri, come per molti suoi coetanei, la fonte primaria di cono-scenze storiche e architettoniche erano gli insegnanti dell’Accademia di Belle Arti, al-meno in prima istanza, e successiva mente erano i manuali di storia dell’architettura,le riviste specialisti che e le esposizioni. Nel nostro caso la continuità della famiglia el’a more degli eredi per gli oggetti ereditati, hanno permesso la sostanziale conserva-zione dello studio e della biblioteca di Antonio e Giovanni Tagliaferri il chè ci per-mette di tracciare in modo chiaro i percorsi conoscitivi dei due, specie di Antonio.9

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Fra gli altri, importanti repertori compaiono a cavallo della metà del secoloin relazione proprio all’architettura romanica e gotica italia na. A cura di E. Ar-borio Mella, esce nel 1857 Elementi di architettura Gotica, seguito, nel 1860, dalvolume di Lodovico Cadorin, Studi teori ci e pratici di Architettura e di Ornato.Non da meno, e degli stessi anni, sono alcuni repertori tedeschi e francesi: diHeideloff, Gli ornamenti del Medio Evo, di Verdier e Cattois, L’architettura civi-le e domestica del Medio Evo, del Grüner, Terra-Cotta Architektur in North Italien,ed infi ne di George Edmund Street, Brik and Marble Architecture of Middle Agein Italy. Fra le riviste, che ancor più capillarmente e velocemente diffondevanoper tutta l’Italia e l’Europa le novità di gusto e di stile, ma anche quelle tecno-logiche, va ricordata “L’Edilizia Moderna”, di retta da Luca Beltrami, che spessoriprodusse i progetti del Tagliaferri. Non mancavano certamente anche i ma-nuali a diffusione più capillare e popolare, per esempio quelli editi a Milano daHoepli, come il Ma nuale d’arte decorativa antica e moderna curata da AlfredoMelani nel 1907, o Modelli d’arte decorativa italiana del 1898, o l’Arte in Fami-glia del 1904, tutti testi di tenore didascalico che rappresentavano sul ver santedella diffusione a stampa i repertori delle cosiddette arti indu striali che si pote-vano studiare ed ammirare nei musei appositamente organizzati in Europa alloscadere del secolo XIX: il Victoria and A1 bert Museum o South KensingtonMuseum di Londra, il Museo Hor ne a Firenze, quello di Arti Industriali a Bo-logna, il Kaiser Friedrich Museum di Berlino, i Kunstgewerbemuseen di Lipsia,Dresda e Fran coforte, il Museo dell’Età Cristiana a Brescia, creato proprio dalTa gliaferri e inaugurato nel 1882.

I trattati e i libri di divulgazione per artisti, periodici a puntate, eranomass-media tipici di quegli anni; il loro impegno era sostenuto dal clima delleesposizioni, contrassegnato da un fervore tipico del se colo XIX, tendente a lega-re l’industria e il progresso dell’arte, attraver so mediazioni diverse, non filtratenei laboratori accademici.

Le esposizioni universali e i loro cataloghi consacravano la cultu ra e la ricer-ca degli autodidatti, il livello del loro mestiere, fuori dalle scuole. Tant’è che leesposizioni erano discusse, prima durante e dopo la loro apertura, sui cataloghie sulle riviste divulgative, che riproduce vano le facciate e i padiglioni, quali di-venivano a loro volta modelli di sperimentazione architettonica e talvolta veri epropri repertori di gu sto e di stile. In Italia poi ebbero particolare influenza a li-vello proget tuale le esposizioni di Torino del 1880, del 1884 e del 1896, nellequali accanto ai padiglioni con l’illustrazione delle più avanzate tecnologie,comparivano ricostruzioni storiche e pastiches stilistici (per tutti, il Bor go Me-dievale del Valentino, per l’expo del 1884, realizzato con la super visione di Al-fredo D’Andrade, che univa come in un centone tutti gli ele menti “più belli”dei castelli piemontesi e valdostani10) e vere e proprie esercitazioni relative allequestioni del restauro degli edifici storici.

Risulta pertanto significativa la presenza di Antonio all’Esposi zione di Mila-no del 1881 con la realizzazione della Sala Bresciana (progettata nel maggio eluglio dell’anno precedente) in una versione del gotico rutilante di legni inta-gliati, vetri dipinti, affreschi e mobili in stile: una vera prova generale delle pro-

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prie capacità eclettiche. Nel 1884, dal 17 al 22 maggio, egli visitò 1’Esposizio-ne di Torino traendo spunti determinanti per la progettazione di alcune ville esoprattutto per il restauro ricostruttivo e gli arredi del Castello Bonoris a Monti -chiari, a partire dal 1890. Antonio fu inoltre eletto membro di alcune commis-sioni per le esposizioni (Torino 1884, Milano 1881, Parigi 1866 e 1878); men-tre dal 1879 entrò a far parte del Collegio degli Ingegneri e Architetti di Mila-no e nel 1887 fu eletto membro della commissione giudicatrice del concorso peril Palazzo di Giustizia a Roma.

La documentata visita all’Esposizione universale di Parigi del 1889, dal 29settembre al 12 ottobre, pare non lasciare significative tracce nei processi elabo-rativi di Antonio, che al contrario colse del grande expo solamente il versanteeclettico, quello appunto dell’Hotel d’Orsay e dei padiglioni in stile, e non quel-lo ingegneristico dell’archi tettura in ferro e vetro, la Tour Eiffel per tutti, che cer-to al nostro dove va apparire ancora una via sperimentale e puramente decorati-va e adatta all’effimero.

3. Primi esperimenti di architettura eclettica e di restauro per Anto nio Tagliaferri

Antonio Tagliaferri frequentò l’Accademia di Belle Arti di Brera dal 1855 al1859, ponendo il proprio impegno soprattutto sulle tecni che disegnative, sul-l’acquerello, sullo studio dell’ornato. Tale opzione fu probabilmente motivata daun’innata predisposizione al disegno che il giovane, spinto anche dalla famiglia,pensava di educare al punto da potersi esprimere in campo strettamente pittori-co, più che in quel lo progettuale. Una volta diplomatosi, e ritornato alla cittànatale, ini ziò a sperimentare, non sappiamo esattamente in che modo e in qua-li forme, l’educazione accademica: probabilmente in bozzetti, studi d’ambiente,progetti decorativi, come testimonierebbe il premio otte nuto appunto nel 1859,per un progetto di fontana non meglio specifi cato.

È in questa fase, sulla quale purtroppo sia la storia critica che i do cumentitacciono, che il giovane Tagliaferri orientò il proprio impe gno professionale ver-so la progettazione architettonica, pur non ab bandonando mai completamentel’impegno nelle tecniche pittoriche.

Con chi e attraverso quali vie abbia egli ottenuto la prima com missione perun progetto non ci è dato sapere, anche se possiamo avanzare l’ipotesi che An-tonio, attraverso la propria famiglia, abbia a vuto la possibilità di avvicinarsi dauna parte al patrio Ateneo di Scien ze Lettere e Arti, nel quale infatti entrò co-me socio, nel 1864, e dall’al tra ad alcune nobili famiglie bresciane che in queglianni, sulla spinta del rinnovamento cittadino, andavano progettando mutamen-ti e rifa cimenti nei propri palazzi.

La prima indicazione che abbiamo, citata nelle pagine del Diario (una rac-colta minuziosa di dati realizzata da Giovanni Tagliaferri su appunti sparsi diAntonio), è l’allargamento di corso Magenta, datato all’aprile del 1865, concon seguente sparizione della cosiddetta via Bruttanome, degli orti e delle casepopolari prospicienti palazzo Lechi e ovviamente la rettificazione del suddetto

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palazzo al quale il Vantini aveva aggiunto un propileo in stile neoclassico. Ta-gliaferri ne realizzerà successivamente uno ge mello sul lato destro e collegheràquesto con il modello attraverso un colonnato tuscanico: un’esercitazione neo-classica omogenea e acca demicamente ineccepibile, che ci presenta un perso-naggio a suo agio nei panni del funambolico utilizzatore e assemblatore di stiliquale di venterà nel corso della propria vita.

A partire dal 1867, Antonio insegnò nella Scuola comunale di di segno, artie mestieri, dedicata ad uno dei maggiori artisti bresciani del Rinascimento: ilMoretto. La scuola aveva la funzione di avviamento professionale ad attività ar-tigiane di particolare prestigio nella città, in specie pittura e soprattutto scultu-ra per la vocazione locale alla lavora zione della pietra e della terracotta. Il lega-me con la scuola e l’insegna mento non venne mai meno, anche quando iniziòla doppia attività progettuale divisa fra Brescia e Milano e i numerosi cantiericontem poraneamente in funzione; infatti nel proprio testamento designava unlegato di £. 3.000 affinché nella scuola Moretto l’insegnamento in dustriale an-dasse di pari passo con l’insegnamento artistico: Antonio aveva perfettamentecolto le linee di tendenza dello sviluppo della cit tà, tutta puntata sull’industriametallurgica, a scapito della produzione artigiana, ed in effetti la scuola, nel pas-saggio al nuovo secolo, accen tuò sempre più il ramo industriale fino al totale ab-bandono dell’inse gnamento artistico.

Anche la partecipazione in veste di socio al cittadino Ateneo, dal l’antica egloriosa tradizione culturale, ebbe notevole importanza nel lo sviluppo della per-sonalità di Tagliaferri, che deve proprio alla sua presenza, all’interno di questoorganismo, l’unico culturalmente ag guerrito a Brescia, le numerose possibilità diintervento non solamente nella progettazione di edifici ex novo, ma soprattuttonel campo del restauro conservativo, nella realizzazione di nuovi enti municipa-li dedicati alla cultura (i Musei Civici) e infine la possibilità di entrare in strettocontatto con tutte le fabbriche municipali, dalla Log gia al Vantiniano, dai mo-numenti celebrativi, che dovevano essere e saminati e approvati da una commis-sione dell’Ateneo, alle esposizio ni di arte antica e contemporanea.

Un altro dato importante da sottolineare è che il nostro architetto visse inuna congiuntura storica particolarmente favorevole e non solo a livello generale,come si è detto appunto sotto la spinta di rinnova menti e possibilità economi-che di espansione apparentemente illimi tate, ma anche a livello personale, datoche a Brescia non emersero personalità di progettisti di altrettanta qualità, se siescludono Carlo Melchiotti, Luigi Rovelli e Luigi Arcioni11, che tuttavia restaro-no sem pre a margine, almeno fino alla scomparsa di Antonio. Da ciò la defi -nizione di nume tutelare della progettazione architettonica locale, al meno neglianni cruciali 1870-1909, titolo che si è potuto attribuirgli senza tema di esage-rare l’importanza storica di una personalità che in effetti non solo ha dato inmolti casi il volto alla città che ancora oggi vedia mo, ma ha anche profonda-mente contribuito alla crescita culturale di Brescia e dei gruppi intellettuali ivipresenti, mantenendo sempre aperto il canale di comunicazione con l’ambientemilanese di Boito, Beltrami, Cattaneo12, ma anche immettendo la città nel cir-cuito nazio nale dei grandi concorsi monumentali (facciata del Duomo di Mila-

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no, monumento ad Arnaldo e a Garibaldi a Brescia, Monumento a Vitto rioEmanuele II a Roma) e delle esposizioni internazionali (Torino, Milano, Roma,Palermo, Venezia, Parigi). Certo può risultare carente in Tagliaferri quell’apertu-ra alla cultura europea e quei contatti diretti con l’elaborazione architettonica,che via via dall’eclettismo an dava sfociando nelle teorie moderniste e nel lin-guaggio internaziona le del Liberty, che tranne per qualche dettaglio decorativo,non incon trò mai il favore di Antonio, arroccato nella fede agli stili storici,mentre ebbe una certa influenza su Giovanni Tagliaferri e sui progettisti bre -sciani della nuova generazione: Egidio Dabbeni e Arnaldo Trebeschi13.

L’avvio professionale, come si è detto, fu lento, almeno per quanto è docu-mentato, e generico, nel senso che le indicazioni si li mitano a disegni e acque-relli per l’Ateneo o per committenze private intente a modificare le proprie resi-denze (Lechi, Fenaroli, Averoldi).

Ma è a partire dal 1873 che l’attività si fece intensa e particolar mente artico-lata, proiettandosi al di là della cinta urbana, nella campa gna e nella zona dellaFranciacorta, con la costruzione del castelletto per Fausto Lechi in località Nas-sina a Borgo Poncarale, della villa Gre gorini a Lovere e anche dello stabilimen-to Gregorini, attuale Franchi Sant’Eustacchio, a Brescia, e alcuni disegni per laFarmacia degli Spe dali Civili e per la fabbrica del Duomo (1870).

Un impegno progettuale importante, e che investe anche la sfera del restau-ro, si ebbe a partire dal 1875 con l’incarico da parte del Muni cipio di procede-re alla ristrutturazione e ampliamento dell’antico San tuario di Santa Maria del-le Grazie. I lavori procedettero per circa un trentennio fino al 1907, e videro ilTagliaferri entrare vieppiù, sulla falsariga dei laboratori medievali, nelle ve sti dicapocantiere che proget tava ogni dettaglio, anche decorativo, circondandosi diuna schiera di pittori, decoratori, marmisti, stuccatori, fabbri, tutti perfetta-mente coordinati dalla personalità dell’architetto, che qui appunto tentò un re-cupero globale di stile e di modalità operative del tardo medioevo. Ma in que-sto cantiere Tagliaferri dovette affrontare anche dal punto di vista teorico le pro-blematiche del restauro, che proprio in quegli an ni in Italia si fecero sempre piùarticolate e complesse e videro scende re in campo tutta l’intellighenzia delle Ac-cademie di Belle Arti, degli architetti e degli amministratori.

4. Il restauro: risarcimento o conservazione?

Un discorso sull’evoluzione della problematica del restauro in Italia devepartire necessariamente dalla normativa riguardante la sor veglianza del patri-monio artistico-monumentale nazionale: problema che pare non affliggesse lostato neounitario, poiché solo nel 1874, con il reale decreto n. 2032 del 7agosto, veniva istituita la Commissione conservatrice dei monumenti d’arte edi antichità, una per ogni pro vincia del regno. In realtà la legge non faceva al-tro che regolare e dif fondere sul territorio un’istituzione che in molte città siera venuta co stituendo all’indomani dell’annessione al regno d’Italia; infatti aBre scia nel 1859 la giunta municipale aveva nominato una commissione con-

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sultiva per la sorveglianza dei beni artistici della città e della pro vincia, costi-tuita da otto personalità, non a caso scelte in campo stret tamente artistico14.Nel 1869 la commissione vedeva entrare, quali membri effettivi, rappresen-tanti del Civico Ateneo e del Municipio, mentre venivano eliminati totalmen-te gli artisti, dato che il solo Antonio Tagliaferri, eletto per il Municipio, po-teva essere indicato per tale.

La totale mancanza, nel pensiero dei rappresentanti comunali, dei giornali-sti, di molti intellettuali e operatori nel settore del restauro architettonico e deicittadini, di una precisa e articolata nozione di be ne artistico-monumentale,lungi dall’essere consapevole (concetti che in questa fase possedeva lucidamentesoltanto Giovan Battista Caval caselle), si limitava ad aspetti municipalistici e al-la ristretta prospettiva del singolo monumento, e cioè che fosse possibilmenteun unicum, e la sua salvaguardia era quasi sempre in funzione di una genericaquanto flut tuante idea di “decoro urbano”. A questa visione parziale sfuggivanoovviamente i contesti, ovvero i quartieri, gli isolati, in cui i monumenti eranoinglobati. La questione non era pacifica e si dibatteva fra accese polemiche e vio-lente discussioni non più relegate nei circoli intellet tuali, come nella prima metàdel secolo, ma portate nell’aula consiglia re del municipio dove spesso rivestiva-no posizioni politiche più o me no radicali, e soprattutto sulle pagine dei gior-nali che entravano nella diatriba “conservazione-abbattimento” con una totaleignoranza delle problematiche storico-artistiche, mettendo in evidenzaalternativa mente la “pubblica utilità”, “il decoro” e “il risanamento igienico”.

Su queste parole d’ordine si basarono tutte le operazioni di sven tramento,abbattimento e ricostruzione nei centri storici italiani, ma in contemporanea sidibatteva sulla salvaguardia della storia artistico -artigianale, a memoria e didat-tica delle future generazioni, istituendo i musei di arti industriali e applicate chesi arricchivano proprio attra verso i recuperi di oggetti dagli abbattimenti e dallericonversioni degli edifici storici. L’ambigua posizione degli intellettuali e dellaclas se politica si può sintetizzare proprio nel binomio conservazione-ab -battimento, che tra l’altro apre il discorso sul risarcimento dei monu menti ov-vero sul completamento o la restituzione alla situazione “ori ginale” di quegliunicum che venivano isolati nei nuclei storici come te stimoni del passato dellanazione, a scapito del contesto urbano che dava loro reale valore documentario.

Furono gli anni delle operazioni di completamento delle grandi cattedraliitaliane, singolarmente mancanti di facciate monumentali, che, a partire da San-ta Maria del Fiore a Firenze con il concorso del 1867, si diffusero sul territorionazionale. A Napoli con la facciata goti ca del Duomo da parte di Errico Alvino(del 1877), quella di Santa Croce a Firenze di Nicola Matas (1856-1862), ilDuomo di Amalfi sempre di Alvino (1875), fino al concorso internazionale perla facciata del Duomo di Milano, indetto nel 1886, a cui parteciparono 120con correnti, ma che solo dopo due concorsi trovava soluzione nel proget to delBrentano nel 188815. Antonio Tagliaferri partecipava al concor so milanese, ap-punto nel 1886, proprio nell’intento di proiettare la propria capacità progettua-le in un ambito non bresciano e aprirsi le possibilità di un nuovo mercato. Ilprogetto risultava molto rispet toso dell’esistente, ma l’accezione di gotico che

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egli proponeva non era sufficientemente monumentale per poter essere accetta-ta dalla commissione, anche se l’acquerello venne positivamente giudicato.

Tuttavia accanto alle proposte di completamento comparvero sempre piùfrequentemente progetti di ampliamento di edifici storici e proposte di restauroin pristino di monumenti.

Antonio e Giovanni Tagliaferri, affiancati da Luigi Arcioni e da Luigi Rovel-li, monopolizzarono la realtà bresciana entrando da prota gonisti in tutti i can-tieri municipali. Antonio a partire dal 1875 fino al 1905 si occupò del restauroricostruttivo del Santuario di Santa Ma ria delle Grazie, della cancellata di SantaMaria dei Miracoli, in accor do con Arcioni (1905-1906), del rifacimento dellacappella del SS. Sa cramento in San Giovanni Evangelista, con il coinvolgimen-to del pit tore Bertolotti (1873-1888), del restauro della chiesa di Santa Giuliaper la riduzione a Museo dell’arte cristiana (1877) e in provincia del ca stello Bo-noris a Montichiari (1890-1892). Giovanni, invece, con gli au spici dello zio, sioccupò in modo particolare dei restauri del palazzo del Broletto dal 1906 al1926 (in sostituzione di Luigi Arcioni che nel 1902 aveva ricostruito la Loggiadelle Grida). Altri progetti di restauro conservativo e ampliamento coinvolseronel tempo Antonio e Gio vanni, obbligandoli ad un continuo confronto con glistorici, con le tecniche e i materiali antichi, confermandoli sempre più nella lo-ro op zione decisamente eclettica e poco incline ai mutamenti repentini dell’in-venzione architettonica e della tecnologia costruttiva di fine secolo. Dal rococòdel Ridotto del Teatro Grande al barocco degli al tari di Santa Maria in Calche-ra e di Sant’Agata, al rinascimento di San Giovanni e di San Cristo e soprattut-to di palazzo della Loggia.

Sul restauro di quest’ultimo prestigioso monumento l’idea venne sviluppata inbrevissimo tempo da Antonio nel 1878, sollecitato dal sindaco e dalla Giunta Mu-nicipale intenzionata a costruire un nuovo palazzo in stile palladiano, accanto alpalazzo co munale, al fine di riunire in un unico luogo tutti gli uffici pubblici.

Il progetto, data l’enormità dei costi, non venne nemmeno ini ziato, ma si as-sistette ad una riproposta del medesimo, con lievi va rianti, da parte di Giovan-ni nel 1924, che prevedeva tra l’altro uno stile classicheggiante più severo ed unatrasformazione globale del lato set tentrionale di piazza della Loggia.

Questi interventi non furono mai indolori, poiché ogni volta si aprironoaspri scontri verbali e dibattiti sui singoli cantieri e lo stesso Antonio visse inprima persona i contrasti con i committenti, come nel caso del burrascoso rap-porto, poi rapidamente reciso, con il conte Gaetano Bonoris: questi interessatoalle trasformazioni sostanziali del progetto di ricostruzione del castello monte-clarense, quello difensore a spada tratta del rispetto delle proprie scelte stilistichee morfologi che. Anche se non era ancora elaborata teoricamente la figura e lafun zione del restauratore, il Tagliaferri difendeva una propria coerenza valutati-va dal punto di vista storico ed una propria correttezza profes sionale, che gli ve-niva dalla sicura conoscenza degli stili e della sintassi dell’eclettismo, che lo au-torizzavano implicitamente all’intervento sul monumento. Fra il 1883 e il 1896,a Milano, Luca Beltrami interveniva massicciamente su quanto restava del ca-stello Sforzesco e in quell’oc casione la “scuola milanese” elaborava la figura del

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restauratore come nuovo artefice, progettista, che doveva fondare e giustificarele proprie ricostruzioni su qualsiasi fonte vuoi documentaria, vuoi letteraria,vuoi figurativa: da qui all’invenzione ex abrupto di elementi stilistici il passo erabreve, così come divenne quasi inconsapevole la mescolan za e l’abbinamento dielementi storicamente e geograficamente diver si. A queste particolari posizionisi arrivò anche attraverso i risultati del furore restaurativo che negli anni1880-1900 attraversò l’Italia e che vide in testa Boito, Beltrami, D’Andrade,Fabbris ecc. Per esem pio, all’esposizione torinese del 1884 parteciparono D’An-drade, Vitto rio Avondo, Riccardo Brajda, Giuseppe Giacosa, Carlo Nigra eFede rico Pastoris, costituendo una commissione per la storia dell’arte che si im-pegnò in una ricostruzione assolutamente credibile di un borgo medievale diarea piemontese-aostana, dove ogni dettaglio decorativo, ogni materiale, persinoi costumi degli abitanti fossero un’esatta rico struzione del passato. Erano gli an-ni nei quali Giuseppe Giacosa ela borava alcune pièces teatrali, che avevano comeambientazione castelli medievali: da Una partita a scacchi a la Signora di Chal-lant (presentata a Torino per la prima volta nell’ottobre 1891), e più avanti unostudio storico intitolato I castelli valdostani, pubblicato a Milano nel 1903, e si-gnificativamente dedicato agli amici dell’avventura torinese: Federi co Pastoris,Vittorio Avondo e Alfredo D’Andrade. La moda neome dievale poi investivaogni aspetto della produzione arti stica, dalla pittura all’arredamento, dai tessutiai ferri battuti alle cera miche, e il gusto andrà ben oltre la fine del secolo se daiprimi del No vecento al 1941 si affronterà a Grazzano Visconti (Piacenza) la to-tale ricostruzione di un castello e di un borgo medievale16. Antonio Ta gliaferri,in questo senso più di Giovanni e di altri bresciani, si imme desimò in questoclima con lo spirito del filologo, se proprio a Monti chiari cercò in ogni modo diadeguare la ricostruzione di fantasia a for me e materiali (mattoni e ciottoli difiume) storicamente coerenti e ve rificati su monumenti originali (in primis ilCastello di Pandino, ma anche spiritosamente il castello torinese del 1884).

Si ha testimonianza di molti bozzetti e qualche progetto comple to in stileneomedievale da parte di Antonio e in ogni caso, se si esclu de il caso particola-re di Santa Maria delle Grazie, si trattò sempre di ville di campagna dove me-glio si poteva giocare il rapporto con il pae saggio e il gusto ricostruttivo del ma-niero (il castello Treccagni a San Martino della Battaglia, villa Lattuada a Casa-tenovo, realizzata tra il 1882 e il 1886 con l’inserimento di elementi Tudor, leville De Riva - Sa belli e Da Como a Lonato e una versione gotico-veneziana divilla Za nardelli a Maderno).

Riguardo la diversa posizione che via via veniva assunta dagli ar chitetti bre-sciani sul problema del restauro ricostruttivo-conservativo, è interessante ed em-blematico confrontare attraverso tre cantieri di versi le opzioni operative e con-cettuali assunte da Antonio e Giovanni Tagliaferri e Luigi Arcioni tra il 1880 eil 1917: il Santuario delle Gra zie, la chiesa di San Francesco e il Broletto.

Nel grande complesso di Santa Maria delle Grazie, un ruolo fon damentaleper il culto era sempre stato svolto dal piccolo santuario, un tempo chiesa con-ventuale dei frati Umiliati dedicata a Santa Maria di Palazzolo, collocata sulfianco meridionale del chiostro settecentesco.

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Attraverso i secoli il terreno si era sopraelevato intorno al piccolo ambiente,che quindi rimaneva collegato al chiostro da una serie di gradini, ma sempre piùdesueto, benché in esso si conservasse un mi racoloso affresco quattrocentescoraffigurante una Natività. Ad aggra vare lo stato di degrado del santuario contri-buirono poi le vicende del le soppressioni napoleoniche, le infiltrazioni di umi-dità e il sostanziale abbandono del culto trasferito alla chiesa maggiore.

Nel 1860 si procedette tuttavia ad una serie di opere di restau ro, dedicateparticolarmente alle pareti, scrostando le quali venne ro alla luce una serie di af-freschi votivi databili ai secoli XIV-XV, contemporanei all’elevazione del santua-rio, i quali furono in parte strappati e trasferiti nella Civica Pinacoteca To-sio-Martinengo, mentre altri lacerti restarono nella sacrestia. Gli interventi di re-stauro si limitarono dunque ad una semplice operazione di ridecorazione con ilrifaci mento degli intonaci delle pareti laterali e la decorazione delle vol te da par-te di Giuseppe Ariassi, in sostituzione di affreschi eseguiti dal bresciano France-sco Giugno nel corso del Seicento.

A partire dal novembre 1875 l’architetto Antonio Tagliaferri ven ne coinvol-to nella progettazione di un generale e più radicale restauro sostenuto dal vesco-vo e dal Comune, restauro che partendo dal con cetto della restituzione d’am-biente e non della conservazione dell’esi stente, si caratterizzò per la radicale e to-tale trasformazione dell’antico santuario del quale oggi non resta alcuna traccia,se non un lacerto di muratura d’ambito visibile nell’intercapedine della scala cheporta alle celle monastiche.

Tagliaferri mantenne il livello dell’antica chiesa trasformandolo in una speciedi vano, circondato (ad un livello più alto) da una serie di arcate a trifora goti-ca, ricavate dall’abbattimento delle pareti laterali del santuario e dall’utilizzazio-ne di ambienti circostanti, e procedette al distacco dell’affresco miracoloso, sol-levandolo al di sopra del nuovo altare. La nuova tribuna, lunga 44 metri e larga5,50, che quindi raddoppiava lo spazio originario, corrispondeva al piano di cal-pestio del chiostro settecentesco e della strada e serviva dunque da tramite tra lospazio esterno e il vano centrale più raccolto, più sacro, raggiungibile attraversouna serie di gradini.

La formazione presso l’Accademia di Brera, basata ancora su un concetto de-corativo e storicista dell’attività architettonica, indusse il Tagliaferri ad elaborarequello che oggi definiamo un “falso storico”, ma che allora corrispondeva esat-tamente al concetto di restauro: ov vero la restituzione di un ambiente stilistica-mente omogeneo, dove il tempo sembrava essere tornato indietro, alle origini.

Partendo da questi presupposti è ovvio che l’operazione proget tuale dovevapartire da una scelta stilistica, cioè dal privilegio di uno stile architettonico sul-l’altro, e Antonio scelse il gotico, o meglio un ibrido fra il gotico “francescano”delle trifore e della tribuna e il gotico “fiorito” di Orcagna nell’Orsanmichele diFirenze, riconoscibile nella zona dell’altare. Non è un caso che proprio questostile sia stato privi legiato perché esso, nella mentalità eclettica degli anni Settan-ta-Ot tanta dell’Ottocento, corrispondeva perfettamente alla funzione reli giosa,così come i cimiteri (si pensi al Monumentale di Milano simile al Camposantodi Pisa o al concorso per la facciata del Duomo nella stessa città), mentre il Ri-

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nascimento si adattava alle ville o ai palazzi di città, il manierismo e il baroccoalle banche e agli uffici pubblici, ecc.

Certo il desiderio della restituzione storica omogenea, indiffe rente dunquealle stratificazioni stilistiche e al trascorrere del tempo, indusse Tagliaferri alla ri-costruzione anche di modalità operative, che si palesarono nell’organizzazione diun articolato cantiere su modello di quelli medievali, dove in ruoli ben distintii vari operatori erano tutti coordinati dalla figura del capocantiere, Tagliaferriappunto, e lavora vano in un continuo scambio di idee e di modelli da armoniz-zarsi alla struttura architettonica. Cosi vediamo le sculture e le decorazioni mar-moree di Davide Lombardi rispecchiarsi negli stucchi dei bergamaschi fratelliPeduzzi e questi a loro volta trasformarsi negli affreschi decorativi del Franchini,del Salvi e del Chimeri; fino ai dipinti eseguiti in una prima fase da ModestoFaustini e poi da Cesare Bertolotti, dove i modi sono chiaramente puristi, pre-masacceschi, ma nei quali immancabile affio ra nei gesti e negli sguardi quella re-torica “degli occhi bassi” che carat terizzò tutta la pittura devozionale italiana fraOtto e Novecento.

Come si diceva i lavori di ricostruzione furono particolarmente lunghi ecomplessi, protraendosi fino al 1907, anno nel quale Taglia ferri consegnò il di-segno esecutivo per i bracci delle lampade da porre nel santuario. All’architettosi doveva tutto: dai progetti per i commes si marmorei pavimentali, alle carte-glorie, ai calici, alle lampade, alle porte, fino ai bozzetti dei soggetti degli affre-schi. Le capacità eclettiche del nostro non vennero meno neppure quando nel1905 gli venne ri chiesto un progetto di risistemazione della facciata della chiesadi San ta Maria delle Grazie. Infatti, partendo dalla presenza in facciata dellosplendido portale rinascimentale, Tagliaferri elaborava un apparato murario co-stituito da una serie di nicchie quadrangolari, alternate a candelabre, con affre-schi e sculture esemplate sulla facciata della Cer tosa di Pavia: ancora una voltala storia architettonica era storia degli stili dalla quale, come da un immenso einesauribile repertorio, era possibile attingere forme e modelli per restituire al-l’oggi quello che il tempo ha distrutto o non ha terminato.

Molto diversa risulta, al contrario, la posizione di Luigi Arcioni, impegnatoin San Francesco, appartenente tuttavia al medesimo mi lieu culturale, ma piùvicino alla posizione di restauro purista e aggior nato sulle nuove tecniche co-struttive portate avanti dagli studi di inge gneria17. La situazione storica era mu-tata e imponeva una maggiore attenzione al reperto originale, una maggioreacribia filologica nel re stauro, che veniva tuttavia sempre intesa come privilegiodi uno stile rispetto ad un altro, ma la totale ricostruzione, come in Tagliaferri,era meno giustificata e gli interventi tendevano a distinguersi, otticamente, perl’impiego diverso dei materiali e delle tecniche. Infatti partito da posizioni radi-calmente ricostruttive, Arcioni, nel 1865 pre sentava, alla commissione per l’Or-nato dell’Accademia di Brera, un progetto, probabilmente un’esercitazione piùche un progetto esecuti vo, relativo al “Restauro nelle forme primitive della chie-sa di S. Fran cesco di Brescia”. Il confronto fra la planimetria dell’esistente, dovesi leggono chiaramente la pianta longitudinale a tre navate, con cappelle a fian-co del presbiterio, di origine gotica, le aggiunte del coro e delle cappelle rinasci-

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mentali di Antonio Zurlengo, gli altari laterali e la set tecentesca cappella del-l’Immacolata, e la planimetria della progettata restituzione, si evidenzia comel’eliminazione di ogni sovrapposizione o intervento sul presunto originale fosseancora l’unica strada ritenuta percorribile, così come alla convinzione di un’ar-chitettura nuda e se vera, priva di decorazioni, corrispondeva l’idea della totaledistruzio ne degli intonaci lungo le pareti, per riportare a vista i conci di pietranel loro regolare disporsi nello spazio.

Ai medesimi principi si atterrà sempre l’Arcioni nel restauro del la Rotondadi Brescia (1892-1897), che poneva però anche diversi pro blemi di ordine stati-co e storico, mentre in una seconda fase, e questa operativa, dei restauri del SanFrancesco nel 1911, le opzioni risulte ranno meno rigide e meno legate al desi-derio ricostruttivo, ma più sensibili ad una lettura diacronica del manufatto. In-fatti gli interventi si limitarono, nel rispetto dunque delle trasformazioni quat-tro-cin quecentesche e persino di quelle settecentesche, all’eliminazione de gli in-terventi, anch’essi di restauro-trasformazione, di Rodolfo Vanti ni della primametà dell’Ottocento che avevano interessato specifica tamente le navate, resti-tuendo allo spettatore la lettura delle massicce colonne-pilastro in pietra (manon più slanciate come in origine, dato che le basi furono immurate per rialza-re il pavimento molto più basso del moderno piano stradale) e delle coperture,dove Arcioni ripropo neva una copertura a capriate lignee, sostituita negli anniCinquanta da una “carena di nave” rovesciata su modello delle chiese di area ve -neta. I maggiori interventi si ebbero sulla facciata, una volta liberata dagli edifi-ci che vi si addossavano. Creato l’ampio invaso del sagrato, che doveva dare re-spiro al monumento, si procedette alla riapertura delle ampie monofore gotiche,degli oculi frangivento e in particolare al restauro del rosone; mentre all’internodello straordinario chiostro grande, Arcioni si limitò al rabberciamento di alcu-ne arcatelle e colon nine, dato che la trasformazione in caserma e in panificio mi-litare ne aveva sì trasformato la destinazione d’uso, ma non la sostanziale fun -zione di luogo di passaggio e di corte aperta: qui infatti gli interventi distruttivifurono assai limitati.

Gli interventi di Giovanni Tagliaferri nel Broletto di Brescia, por tati acompimento fra il 1906 e il 1926, si caratterizzarono in modo an cora diversorispetto all’Arcioni e ancor di più rispetto agli interventi di Antonio. Innanzitutto lo strumento fotografico, che com’è noto appartenne alle abitudini pro-fessionali di Giovanni, divenne il princi pale metodo d’indagine dell’esistente einoltre, cosa per noi importan tissima, fondamentale nel fissare per immaginiil procedere degli in terventi e le soluzioni finali adottate per i paramenti mu-rari e per le decorazioni. Un secondo elemento, e in ciò si legge un forte in-flusso dello zio Antonio al quale Giovanni dovette con ogni probabilità lacommissione da parte del Comune del restauro del palazzo, fu la tendenza al-la ricostruzione in stile del monumento storico, dove questa opzione via viatese a venir meno per lasciare posto al concetto di conservazione. Ma la rico-struzione di Giovanni Tagliaferri non era basata sul funambolico impiego de-gli stili, bensì su un attento recupero delle tracce del passato, e in questo si av-vicina a Luigi Arcioni, che proprio nel 1902 inaugurava la Loggia delle Grida

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ricostruita sulla facciata occidentale del Broletto. All’aprirsi del nuovo secolonon assistiamo più a un occultamento, come in Antonio, ma a una denunciadell’intervento sul manufatto antico e di conseguenza ad un’evidenziazione delframmento originario: è il passo decisivo verso il rispetto per la realtà storicadell’oggetto architettonico e la nascita della coscienza critica degli interventiche non tendono più ad amalgamarsi, a cammuffarsi in un’azione mimeticacon l’antico, ma al contrario rivelano la tecnologia del presente che ricondu-ce, attraverso una lettura priva di lacune, ad un’immagine passata, intaccatadal tempo, ma definitivamente perduta.

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1 Per quanto riguarda le problematiche lega-te alla legislazione e agli interventi sanitarinelle città postunitarie cfr. G. Zucconi, Lacittà con tesa. Dagli ingegneri sanitari agliurbanisti (1885-1942), Milano 1989. Per ilcaso partico lare di Brescia cfr. La città e lasua forma, in Brescia postromantica e li-berty: 1880-1915, Brescia 1985, pp. 25-41.2 G. Zanardelli, Sulla Esposizione brescia-na - lettere di Giuseppe Zanardelli estrattedal gior nale “Il Crepuscolo” del 1857, ed.an. Brescia 1973.3 F. Robecchi, La nuova forma urbana. Bre-scia tra ’800 e ’900, Brescia 1980, p. 20.4 C. Boito, Stile futuro dell’architettura ita -lia na, Milano 1916, p. 76.5 Ibidem, p. 83.6 R. Bossaglia-M. Cozzi, I Coppedè, Geno-va 1982.7 Per quanto riguarda villa De Ferrari-Bor -ghe se-Cavazza vedi V. Terraroli, La varietàcresce con la varietà, in “Atlante Brescia-no. AB”, pri mavera 1986, pp. 54-55. Per laRocca Bonoris di Montichiari: V. Terraroli,La Rocca Bono ris, in “Atlante Bresciano.AB”, n. 6, 1986, pp. 48-59 e V. Terraroli, IlSantuario delle Grazie a Brescia e il Ca-stello Bonoris a Montichiari: neo gotico sa-cro e neogotico cortese a confronto, in IlNeogotico in Europa nel XIX e XX secolo,atti del Convegno a cura di R. Bossaglia eV. Ter raroli, Milano 1990, pp. 127-134.8 V. Terraroli, Luigi Arcioni e i restauri otto -cen teschi alla Rotonda: storia e problemati-che di un restauro, in Le Cattedrali di Bre-scia, Brescia 1987, pp. 25-40 e G.P. Trecca-ni, Questioni di “patrî monumenti” Tutela erestauro a Brescia (1859-1891), Milano1988. In corso di pubblicazione V. Terraro-li, Luigi Arcioni. Progetti e restauri a Bre-scia tra Ottocento e Novecento.9 La Biblioteca dello studio di Antonio eGio vanni Tagliaferri raccoglie ancora oggi

un cen tinaio circa di pubblicazioni speciali-stiche che fortunatamente gli eredi hannoconservato e inventariato. Si tratta per lagran parte di ma nuali di architettura, riviste,cataloghi di espo sizioni, monografie e di-spense. Una parte fon damentale è riservataalle edizioni, anche ori ginali, dei trattati sto-rici di architettura quali Vitruvio, Vignola,Scamozzi e Serlio, i Principi di architetturacivile di Francesco Milizia e il vo lume edi-to nel 1833 da J.N.L. Durand, Raccol ta eparallelo delle fabriche classiche di tutti itempi, d’ogni popolo e di ciascun stile. Nonman cano naturalmente i più diffusi manualidi im piantistica e di tipologie edilizie qualiil Traité d’architecture di Reynaud, L’archi-tettura prati ca di Archimede Sacchi e ilTrattato generale di costruzioni civili diBreymann. Una parte importante della bi-blioteca è costituita poi dai repertori decora-tivi, dalla storia dell’architet tura e dallo stu-dio delle ornamentazioni in sti le: accantoall’ormai «classico» Violett Le Duc e alSelvatico, compaiono i diffusissimi Mela ni,Lacroix, De Dartein, Sidoli, Owen Jones,Percier-Fontaine, Heideloff e Duran la cuiRaccolta dei migliori ornamenti... sarà unodei punti di riferimento basilari per un’inte-ra ge nerazione di architetti eclettici. Non dameno le riviste specialistiche e i periodici,accanto ai cataloghi delle Esposizioni Na-zionali e Uni versali, rivestivano il caratteredi palestra di confronto e strumento di dif-fusione di idee e soluzioni costruttivo-deco-rative. Tagliaferri era abbonato a “Ricordidi architettura”, “Me morie di un architetto”e a “L’edilizia Moder na”, ma possedeva an-che numeri di altre rivi ste europee quali“Der Architekt” di Vienna, «L’art et l’indu-strie”, “Monographie de bati ments moder-nes” di Parigi e l’«Academy ar chitectureand annual architectural review” di Londra.Sull’importanza dello studio delle bi blio -teche degli architetti eclettici e modernisticfr. A. Restucci, Città e architetture nell’Ot -

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to cento, in Storia dell’Arte italiana, vol.6**, To rino 1982, passim e F. Tentori, Rai-mondo D’A ronco dai suoi libri e dai suoischizzi, in D’Aron co architetto, Milano1982, pp. 23-26.10 Cfr R. Maggio Serra, Torino 1884. Perchéun Castello Medievale?, Torino 1985 eEsposizio ne Generale Italiana in Torino 1884.Guida Uf ficiale, Torino 1884, pp. 329-331.11 Per notizie in merito alla attività di CarloMechiotti e Luigi Arcioni cfr. Note biogra-fiche, a cura di C. Zani in Brescia postro-mantica e liberty: 1880-1915, Brescia 1985,pp. 262-263.12 A. Restucci, Città e architetture..., cit., pp.760-775.13 Cfr. nota 11.14 Sulla problematica della tutela del patri -mo nio artistico nazionale e i conseguenti re-stauri vedi A. Emiliani, Una politica dei Be-ni Cultu rali, Torino 1974 e A. Rossari e R.Togni, Ver so una gestione dei beni culturali

come servizio pubblico. Attività legislativae dibattito cultura le dallo stato unitario al-le regioni (1860-1977), Milano 1978. Per ilcaso particolare di Brescia cfr. G.P. Trecca-ni, Questioni di..., cit.15 Sui problemi del ripristino degli edificisto rici: A. Restucci, Città e architetture...,cit., pp. 783-786. Per Santa Maria del Fiore:C. Cresti -M. Cozzi-G. Carapelli, L’avventu-ra della fac ciata, Firenze 1987; per Napoli,Amalfi e Mi lano cfr. in Il Neogotico in Eu-ropa nel XIX e XX secolo, cit. i saggi rispet-tivamente di M.L. Scalvini, pp. 383-397,G.B. Sannazzaro, pp. 105-116 e E. Brivio,pp. 117-126.16 Gotico Neogotico Ipergotico. Architetturae arti decorative a Piacenza 1856-1915, acura di M. Dezzi Bardeschi, Bologna 1985,pp. 272-283.17 G.P. Treccani, Questioni di..., cit., passime V. Terraroli, Luigi Arcioni. Progetti e re-stauri a Brescia tra Ottocento e Novecento,in corso di pubblicazione.

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BIOGRAFIA DI

ANTONIO TAGLIAFERRI

Antonio Tagliaferri nasce a Brescia il 9febbraio 1835, da Giovanni Tagliaferrie dalla contessa Cecilia Carini. Dal1854 al 1856 fre quenta i corsi dellaScuola Comunale di Disegno ed essen-do partico larmente portato al disegnosi iscrive ai corsi dell’Accademia diBrera a Milano, che segue a partire dal1856 fino al 1859. Sono gli anni neiquali entra in contatto con CamilloBoito e Luca Beltrami e con tutta l’in-tellighenzia milanese. Nel 1857 riceveuna menzione onorevole all’esposizio-ne bresciana per un progetto di fontanada collocarsi in piazza della Loggia. Apartire dal 1860, dopo il suo rientro aBrescia, inizia a progettare edifici dipiccole dimensioni, come il villino instile neogotico per il conte FaustinoLechi, al quale è legato da stretti vin-coli di amicizia, in località Nassinapresso Poncarale. Ciò nonostante An-tonio non abbandona mai la pittura e siproduce in una serie di quadri d’am-biente di gusto bozzettistico, vicini alleopere di Mosè Bianchi, che certo ave-va conosciuto durante il periodo brai-dense: nel 1862 e nel 1867 riceve in-fatti due menzioni onorevoli dall’Ate-neo per l’esposizione di due opere adolio.Ma i legami con l’Ateneo bresciano sifanno strettissimi proprio nel 1863,quando diviene socio onorario (saràsocio effettivo a partire dal 3 gennaio1864). L’anno precedente, il 5 marzo,entra nella Com missione d’Ornato, equeste posizioni gli permettono nelcorso del tempo di gestire un certo mo-nopolio sull’attività architettonica e ar-tistica di Brescia. Infatti nel 1867 di-viene insegnante di disegno architet -tonico presso la Scuola Comunale diDisegno, carica che tiene fino all’ot -tobre del 1870. Nel 1882 apre uno stu-dio a Milano per poter meglio ge stirel’attività progettuale, in quegli anni av-viata con lo studio inge gneristico Ca-sati-Magni e con la committenza mila-nese-brianzola. Ed in effetti la presen-za a Milano si fa sempre più impegna-

tiva divenendo, il 22 giugno 1880, so-cio onorario dell’Accademia di Brera,mentre a Brescia amplia sempre più ilproprio controllo entrando in tutte lecommissio ni comunali e per la salva-guardia del patrimonio storico artisticodella provincia e per l’erezione di mo-numenti celebrativi (da Arnaldo a TitoSperi, da Garibaldi a Tartaglia). In que-gli anni continua l’attività pro gettualeper committenze private (nel 1882 si-stema villa Fenaroli a Corneto, nel1886 realizza casa Ducos in corsoMartiri della Libertà 27) e pubbliche,dato che nel 1876 inizia i lavori nelSantuario di S. Maria delle Grazie (ter-minati nel 1905) e presenta il comples-so progetto di ampliamento del palazzodella Loggia in stile neopalladiano(1876). Nel corso degli anni Novanta,Antonio vive il momento di maggiorpre stigio essendo presente in ogni con-corso nazionale (dal Vittoriano a Romaalla facciata del Duomo di Milano),nelle commissioni d’esame a Brera enel concorso Brozzoni a Brescia, cittànella quale è anche membro della com-missione musei e che lo vede respon-sabile del restauro e dell’allesti mentodel Museo Cristiano in Santa Giulia edella Civica Pinacoteca e della sededell’Ateneo in palazzo Martinengo.Nel medesimo torno di tempo Antonioentra in contatto anche con i problemirelativi ai restauri e in particolare si ri-cordano gli interventi nel Ridotto delTeatro Grande (1888), nel castello Bo-noris di Montichiari (1890-1892) e na-turalmente nel Santuario delle Grazie.La collaborazione con gli ingegneri,ovviamente, non si svolge solamente aMilano, ma lo vede protagonista anchea Brescia, dato che nel 1908 realizzacasa Erba, in via dei Mille 26, con gliingegneri Gadola e Bevilacqua. Lo stu-dio bresciano nel frattempo viene ge-stito dall’amato nipote Giovanni, lau-reatosi in ingegneria a Padova e che apartire dal 1890 segue i cantieri bre-sciani dello zio e partecipa spesso aisuoi progetti, specie nel Vantiniano eper la facciata della parrocchiale diPolpenazze.Antonio nel frattempo mantiene strettirapporti di amicizia e di la voro con un

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nucleo di artisti bresciani: DomenicoGhidoni, scultore, il Pez zoli, scultoreanch’egli, Cesare Bertolotti, ModestoFaustini, il Manziana, pittori; in sintesicon tutti quegli artisti che formaronol’Arte in Famiglia: un’associazione digiovani pittori e scultori che si impe-gna sulla strada del vero nell’arte e cheAntonio presiede per lunghi anni.L’attività intensissima nei primi anni

del secolo lo obbliga, ad un certopunto, ad abbandonare Milano, dovegià avanza lo stile modernista, e a ri-tornare definitivamente a Brescia,dove ancora mantiene un’inalterataconsiderazione in ambito architetto-nico e nel campo del restauro. Gli ul -timi progetti datano a pochi giornidalla morte, avvenuta a Brescia il 22maggio 1909.

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Antonio Tagliaferri ripreso nel giardino della villa di Vilminore in val di Scalve, stampa fotografica, 1905 circa.Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Prospettiva del castello Bonoris di Montichiari, 1890-1892, matita su lucido, cm. 39 x 55.Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Veduta di fantasia di una chiesetta romanica, 1890-1900, olio su tela, cm. 59,5 x 48.Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Conversazione in un giardino settecentesco, 1901,acquarello su carta, cm. 22 x 15. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Veduta della facciata di un santuario di stile neobarocco(vicino al prospetto della parrochiale di Polpenazze), 1901,acquarello su carta, cm. 22 x 15. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Veduta della loggia di un monastero alpino quattrocen-tesco con riprodotta sulla parete una Danza macabra, 1901,acquarello su carta, cm. 22 x 15. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Elevazione del palazzo degli uffici sul lato nord della Loggia, 1873-1892,matita su carta, cm. 44 x 58. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Bozzetto per la decorazione dell’altare maggiore del Santuario delle Grazie,1875-1907, acquarello su cartone, cm. 113 x 75,5.Brescia, Santuario di Santa Maria delle Grazie

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Antonio Tagliaferri, Progetto di sistemazione della cappella del Santissimo Sacramento in SanGiovanni Evangelista, 1877-1883, acquarello e inchiostro su cartoncino, cm. 51 x 39,5.Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Prospetto e sezione di caminetto e caminiera di gusto neosettecentesco, 1879-1904,matita su carta, cm. 35 x 46. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Prospettiva del monumento a Vittorio Emanuele II a Roma, 1881, inchiostro su cartoncino, cm. 35 x 47. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Progetto per la decorazione interna del castello Bonoris a Montichiari,1890-1892, Cortile, acquarello su cartoncino, cm. 48 x 66. Brescia, collezione privata

Antonio Tagliaferri, Progetto per la decorazione interna del castello Bonoris a Montichiari,1890-1892, Scala, acquarello su cartoncino, cm. 48 x 66. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Progetto per la decorazione interna del castello Bonoris a Montichiari,1890-1892, Atrio, acquarello su cartoncino, cm. 48 x 66. Brescia, collezione privata

Antonio Tagliaferri, Progetto per la decorazione interna del castello Bonoris a Montichiari, 1890-1892,Galleria a piano terra, acquarello su cartoncino, cm. 48 x 66. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Progetto per la decorazione interna del castello Bonoris a Montichiari,1890-1892, Sala da pranzo, acquarello su cartoncino, cm. 48 x 66. Brescia, collezione privata

Antonio Tagliaferri, Progetto per la decorazione interna del castello Bonoris a Montichiari,1890-1892, Salone, acquarello su cartoncino, cm. 48 x 66. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Prospettiva d’insieme di villa Fenaroli a Fantecolo, 1895-1897, acquarello su carta,cm. 42 x 59. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Prospetto di un edificio di gusto neoquattrocentesco lombardo da adibirsi a sede di unCircolo Artistico, 1897, acquarello su carta, cm. 70 x 50 (presentato all’Esposizione del Sempione a Mi-lano nel 1906). Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Sezione sulla linea CD (est-ovest) del “Casino dei Nobili” e dell’atrio del Teatro Grande sul Corsodel Teatro, 1867-1868, china e acquarello su cartoncino, cm. 62 x 103. Brescia, collezione privata.

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Antonio Tagliaferri, Sezione sulla linea AB di palazzo della Loggia, 1873-1892, matita einchiostro su cartoncino, cm. 60 x 81. Brescia, collezione privata

Antonio Tagliaferri, Prospettiva di palazzo della Loggia ed edifici adiacenti, 1873-1892,matita e inchiostro su carta, cm. 50 x 42. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Prospetto e sezione di caminetto e caminiera di gusto neosettecen-tesco, 1879-1904, matita su carta, cm. 35 x 46. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Progetto per credenza in stile pompeiano, 1879-1904,acquarello su cartoncino, cm. 50 x 43. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Collage di bozzetti per il Monumento a Vittorio Emanuele II a Roma,1881, matita e inchiostro su carta incollata su cartoncino, cm. 38 x 56.Brescia, collezione privata

Antonio Tagliaferri, Collage di bozzetti per il Monumento a Vittorio Emanuele II a Roma,1881, matita e inchiostro su carta incollata su cartoncino, cm. 33 x 47.Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Prospetto posteriore del Monumento a Vittorio Emanuele II a Roma, 1881,matita su cartoncino, cm. 48 x 77. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Planimetria di villa Zanardelli a Maderno, 1886-1889,acquarello su cartoncino, cm. 29 x 44. Brescia, collezione privata

Antonio Tagliaferri, Prospetto di villa Zanardelli a Maderno in stile pompeiano, 1886-1889,matita su cartoncino, cm. 39 x 23. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Album di schizzi, totale fogli 31, disegni di ambientazioni in stile, inchiostro, matitae acquarello, cm. 14 x 20. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Planimetria del castello Bonoris a Montichiari, 1890-1892,acquarello su cartoncino, cm. 55 x 77. Brescia, collezione privata

Antonio Tagliaferri, Prospettiva del castello Bonoris da Montichiari, 1890-1892,matita su lucido, cm. 39 x 55. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Elevazione a mattine del castello Bonoris da Montichiari, 1890-1892,matita e china su cartoncino, cm. 48 x 66. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Disegno esecutivo di un capitello del cortile del castello Bonoris aMontichiari, con la figura allegorica dell’architetto-capomastro, 1890-1892,matita su cartoncino, cm. 48 x 66. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Album di repertorio, totale fogli 45, disegni di arredi, cancellate, edifici in stile,matita e inchiostro, cm. 14 x 20. Brescia, collezione privata

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Antonio Tagliaferri, Planimetria di villa Fenaroli a Fantecolo, 1895-1897, inchiostro su cartoncino, cm. 38 x 56.Brescia, collezione privata

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Domenico Ghidoni, Busto di Antonio Tagliaferri, 1910, bronzo, cm. 53 x 53. Brescia,collezione privata

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1) TEATRO GRANDE E SISTEMAZIO-NE DEI PORTICI DEL CORSO DELTEATRO (1867-1868)

Un recente studio (AA.VV., Il Teatro Gran-de di Brescia, Brescia 1986, vol. II, pp. 209,218-219), ricorda che “Nel 1867 l’architet-to Antonio Tagliaferri, che avrà gran partenella vita architettonica del Grande nellaseconda metà del secolo XIX, presentò uninteressante progetto che concentrava l’at-tenzione sulla facciata del teatro” (p. 209, idisegni sono conservato nell’Archivio delComune di Brescia, U.T. 51, 1867). Inrealtà i disegni (riprodotti alle pp. 218-219)sono una prima versione della cartella defi-nitiva, preparata con dovizia di dettagli euna notevole qualità tecnica, fra il 1867 e il1868, e costituita da nove tavole ad acque-rello e china su cartoncino, conservate nellapropria cartella rilegata presso l’archiviodell’architetto.L’esatto titolo “Progetto d’innalzamento diuna sala sopra il portico attuale del TeatroGrande di Brescia e di due piani superiorisulle case laterali al medesimo ad uso di Ca-sino di Società”, chiarisce che l’interventonon riguardava solamente la sistemazionearchitettonica dell’incompiuta facciata delTeatro, ma coinvolgeva anche gli edificiadiacenti che dovevano diventare parte in-tegrante del Teatro come luogo d’incontrodell’aristocrazia, di sangue e di denaro, consala da ballo, sale da gioco, salottini e diret-to ingresso nel Ridotto e nella Sala teatrale.Infine i portici, rettificati con architravi alposto degli archi ribassati, venivano chiusida vetrate per trasformare l’antico Corsodel Teatro in un passeggio coperto, una spe-cie di Jardin d’hiver, dove trovavano postocaffè, negozi lussuosi ecc.Nella “Prospettiva” è ben chiaro il risultatofinale che Antonio voleva raggiungere conl’uniformità delle facciate degli edifici late-rali, il salone superiore illuminato da tregrandi vetrate con un attico costituito daquattro colonne ioniche e ai lati due fine-stre con timpano archivoltato, che ripren-dono neomanieristicamente lo stile tardocinquecentesco del piano inferiore della fac-ciata. A coronamento della nuova costru-zione, che veniva così a nascondere la strut-tura edilizia esterna del Ridotto e della Sala,Tagliaferri poneva, su modello della Biblio-teca Queriniana, un attico con quattro

sculture; tale ideazione non compare nelprogetto conservato all’Archivio di Stato diBrescia, benché tutte le altre soluzioni com-positive e strutturali siano identiche.Dalla pianta del piano terreno si ricava chel’accesso al Casino dei Nobili utilizzaval’entrata al Loggione, problema che nel1872 riceverà parere negativo dell’UfficioTecnico del Comune; fra l’altro, tranne ilfronte monumentale del Teatro, il resto del-le adiacenze erano ancora di proprietà pri-vata (Aranzini, Crivellari, Guaineri) e ciòavrebbe comportato oneri ulteriori e que-stioni di proprietà o acquisto. Così, mentreil primo piano veniva ancora utilizzato inmodo frazionato e a scopi privati, il Taglia-ferri proponeva una ristrutturazione e nuo-va distribuzione di tutto il secondo pianoad uso del Casino. Tutte le stanze disposte aridosso del Teatro venivano adibite a servizivari (deposito mantelli, scale di accesso e diservizio, toilettes, sala caffè ecc.), mentre gliambienti corrispondenti ai portici e affac-ciati sul Corso del Teatro sono una serie disalotti di diverso uso (biliardo, biblioteca,lettura, conversazione ecc.), tutti confluentinella grandiosa sala da ballo (un’aula rettan-golare biabsidata, affacciata sul Corso e sul-la scalinata di accesso al Teatro), che Anto-nio aveva pensato in un primo schizzo direalizzare quasi ad imitazione del Ridotto,in stile rococò. Infine al terzo piano trova-vano sistemazione le cucine e gli apparta-menti per i domestici, costituiti da un’alter-nanza di camera da letto, salette e sala dapranzo.Dalla “Sezione sulla linea AB” in confrontocon il rilievo dell’esistente si osserva l’inten-zione dell’architetto di conservare il piùpossibile la cubatura originaria degli am-bienti: l’unico intervento radicale riguardal’inserimento della scala di accesso al Casi-no dei Nobili, illuminata da un magnificolucernario a cupola. Nella “Sezione sulla li-nea CD” si noterà che i salotti del secondopiano risultano tutti decorati da soffitti avolta e stucchi di gusto neosettecentesco,così come nel salone da ballo ritroviamol’impiego dei pilastri con le basi arrotonda-te, le cornici lignee delle specchiere e dellefinestre e gli stucchi delimitanti lunette adaffresco, simili alle soluzioni adottate poinel Ridotto. Infine dalla “Sezione sulla li-nea GH” si ricava, non solo che la cubatu-ra del salone occupava il secondo e il terzo

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piano, ma che sul retro di esso correva unabalconata in ferro battuto che si affacciavasulla scalinata d’accesso al Teatro e permet-teva il collegamento delle sale sui due latidei portici.Il progetto non venne mai realizzato per ilparere contrario del Comune, ma è ancheprobabile che Tagliaferri lo preparasse in so-stituzione delle prime tavole consegnate nel1867, che mostrano apprezzabili varianti,nella speranza che successivamente il lavorosi potesse eseguire, ma probabilmente nonlo consegnò mai (il che ci spiega il motivodella conservazione presso l’archivio dovesolitamente rimanevano i bozzetti, gli studipreparatori e le fotografie o le eliocopie deiprogetti definitivi).Tuttavia nel 1912 Luigi Tombola, basando-si sui progetti del Tagliaferri, proponeva an-cora la facciata del Teatro Grande con solu-zioni formali neorinascimentali e la siste-mazione del prospetto occidentale dei por-tici come già Antonio aveva progettato: an-che in questo caso l’idea non ebbe seguito.Ancora della primavera del 1889 è l’indica-zione “Costruzione monumentale ingressoper nuovo Corso” (forse si trattava di un ul-teriore intervento nei portici mai realizzato)ed infine nel 1908 (8-11 maggio), un annoprima della morte, Antonio si occupava deiportici del Corso del Teatro per la sistema-zione di un negozio da parrucchiere, delquale tuttavia non abbiamo altre notizie.

2) CASTELLO PER IL CONTE FAU-STO LECHI. Località Nassina, BorgoPoncarale (Brescia) (1870-1875)

Del progetto per un castelletto, commissio-natogli dall’amico pittore conte Fausto Le-chi, affettuosamente camuffato sotto lopseudonimo di Frà Doretto da Calvisano, sihanno scarne noti zie. Localizzato nei pressidi Borgo Poncarale, a Nassina, il castellettoè oggi divenuto un’azienda agricola ed haperso parte delle decorazioni esterne ed in-terne che lo connotavano nella pianura co-me un maniero monumentale. L’unico ele-mento che ci permette oggi di riconoscerloè un acquerello su carta, non finito, dove ilprospetto verso occidente è inserito in uncontesto di paesaggio con figure in costume

che si aggirano nel viale. L’idea parte dauno schema quadrato con ampio cortilecentrale, secondo il modello dei castellilombardi tra XIV e XV secolo, gli angoliesterni del quale sono rafforzati verso occi-dente da coppie di torrioncini e versooriente da due torrioni quadrati, tutti coro-nati da merlature guelfe con caditoie. L’ac-cesso alla corte è dato da un torrione trafo-rato da un’ampia bifora bramantesca. I mu-ri esterni risultano cadenzati in senso verti-cale da una serie di contrafforti modanati ecoronati da pinnacoli gotici, mentre unasottile fascia marcapiano divide i due pianiabitativi aperti da monofore archivoltate. Icontrafforti angolari risultano infine suddi-visi in bande alternate bianche e rosse, pro-babilmente ad intonaco dipinto. La realiz-zazione avvenuta negli anni 1870-1875non rispettò meccanicamente il progetto,ma l’insieme è quello ancora oggi visibile.Modelli di riferimento sono in ogni caso icastelli di area lombarda con elementi goti-ci tratti dall’area inglese e ripresi da Anto-nio dai repertori di architettura che conser-vava nel proprio studio.

3) PROGETTO DI AMPLIAMENTODI PALAZZO DELLA LOGGIA. Bre-scia (1873-1892)

Nell’adunanza dell’11 gennaio 1872, suproposta di Giuseppe Zanardelli, il Consi-glio Comunale di Brescia deliberava distanziare L. 4.000 allo scopo di stilare unpreventivo per il restauro del cinquecente-sco palazzo della Loggia, sede storica delComune, che tenesse conto dei modi e deitempi in cui le opere potevano essere ripar-tite. Desiderando la Giunta utilizzare il va-sto piano superiore del palazzo per riuniretutti gli uffici comunali, si decise, e certonon ne fu estraneo lo stesso Zanardelli, diaffidare l’intera ipotesi di progetto all’ormainoto Antonio Tagliaterri, vincolandolo almantenimento dell’aspetto esterno del pa-lazzo, ma con l’obbligo di modificare total-mente l’interno appunto per ingrandire gliuffici.La lettera d’incarico gli veniva inviata dalsindaco Salvadego il 29 marzo 1873 ed inessa veniva ricordato che il restauro esterno

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era stato da poco portato a compimentodall’architetto Giuseppe Conti. Nell’agostodel 1878 l’architetto inviava al Municipio21 splendide tavole acquerellate (riprodottepoi in fotografia e raccolte in album) conuna breve lettera di accompagnamento chesostituiva la complessa relazione ancora invia di stesura, e contemporaneamente chie-deva la restituzione del lavoro per parteci-pare alla mostra annuale di Brera (concessa-gli dal sindaco Bonardi il 24 agosto 1878).Nella prima fase progettuale Antonio si oc-cupò dei rilievi dell’esistente e per questoriutilizzò anche alcune tavole disegnate dalConti (datate 19 settembre 1865). Il primoindirizzo del progetto fu quello di seguire lafalsariga delle indicazioni della Giunta:mantenimento dell’aspetto esterno e totalemodifica dell’interno. Infatti lo stesso Con-ti aveva proposto l’eliminazione dello scalo-ne d’onore, nell’edificio a fianco della Log-gia, e l’apertura di uno scalone di raccordotra i piani al centro del palazzo. Il piano su-periore si sarebbe dovuto articolare intornoal vano centrale di un lucernario nascostodall’attico vanvitelliano, che veniva mante-nuto, mentre al contrario spariva il salonecorrispondente al loggiato aperto a livellodella piazza.Tuttavia Antonio comprese l’impossibilitàdi riunire convenientemente tutti gli ufficinella sola area del palazzo e nello stessotempo si rese conto della necessità, anchepolitica e d’immagine, di ridare al palazzomunicipale l’aspetto pseudopalladiano ri-cordato dalle fonti: grande cupola in piom-bo a carena di nave rovesciata, scalone d’o-nore in stile rinascimentale, il palazzo co-me sede di sale di rappresentanza. Pertantogli uffici avrebbero dovuto essere collocatiin una nuova costruzione, collegata diretta-mente al Municipio e ovviamente in stilecon la Loggia. Antonio scelse l’area dell’at-tuale piazza Rovetta, che allora era un rio-ne popolare sovraffollato compreso tra ilcorso degli Orefici-vicolo Cavagnini-vicoloe contrada della Loggia, che aveva ingloba-to le murature esterne dello scalone tardo-quattrocentesco. Su quest’area, rasa al suo-lo ad eccezione del solo edificio quattro-centesco, l’architetto propose di elevareuna fabbrica con pianta ad U e ampio cor-tile rivolto a settentrione (verso via S. Fau-stino) per il movimento del pubblico e del-le carrozze, raccordato all’antica Loggia at-

traverso il cavalcavia cinquecentesco cheandava opportunamente allargato e modi-ficato. Iniziò anche la stesura di una seriedi dettagli architettonici e di studi propor-zionali per la realizzazione di colonne d’or-dine gigante, con altissimi plinti e capitellicomposti da triglifi, identiche a quelle del-la basilica palladiana a Vicenza. Anche lasoluzione da adottare per le aperture delnuovo corpo di fabbrica tendono aduniformarsi alla tradizione architettonicaveneta del Cinquecento, con l’impiego diampi archi inquadrati in cornici rettango-lari modanate e con l’inserimento nei duetriangoli della cimasa di emisferi di marmicolorati. I capitelli delle lesene risultanorudentati, mentre le cornici sono costituiteda ghiere di foglie e di ovoli.Questo tipo di apertura monumentale (cherisulta poi dovesse essere chiusa da unacomplessa vetrata dalle forme vagamentegotiche) avrebbe dovuto essere collocata aicapi delle crociere alternativamente a ele-ganti bifore, inquadrate in archi a tutto se-sto, appoggiate su mensole a fogliami (se-condo la contaminazione di stilemi alber-tiani e donatelliani). Le aperture invece af-facciate sul cortile interno e sulle facciateprincipali riprendono, al piano terreno,grandi archi palladiani della Loggia, e alpiano nobile la tipica apertura a serliana; ilraccordo tra i due livelli era dato da un am-pio scalone monumentale a doppia rampa.Dalla sezione degli edifici affiancati si evi-denziano anche le volute differenze stilisti-che: semplificate con quattro ordini di fine-stre rettangolari modanate per il nuovo edi-ficio, ampie bifore e finestroni per il corpodi raccordo e l’antico palazzo comunale.Nella sezione trasversale della Loggia si co-glie anzi la volontà di recupero da parte diAntonio delle funzioni di rappresentanzadell’antico palazzo: l’ampio ufficio del sin-daco risulta separato dall’aula di ricevimen-to (il salone vanvitelliano) da due ambienticoperti da cupole a lacunari e definiti damonumentali serliane a vetri.Le due vere novità del progetto di restaurosono tuttavia la decorazione del salone escala d’onore e la copertura esterna del pa-lazzo. La scala a rampa unica, poi, a duebraccia parallele in marmo di Botticino coninnesti di marmi colorati, portava al pianonobile nel vestibolo cupolato, che dava ac-cesso all’ampio salone di rappresentanza

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dove, a metà del Cinquecento, erano staticollocati i grandi teleri di Tiziano e le qua-drature dei Rosa, presto perduti nell’incen-dio. Ebbene, Tagliaferri cercava di riprodur-re il fasto di quella sala riproponendo unadecorazione a stucco e dipinta che era unpoco la mescolanza tra le Logge di Raffaelloe la tradizione lombarda.In una seconda versione del progetto l’ar-chitetto modificava alcuni dettagli, in spe-cie per le aperture, che venivano assumendocornici quadrangolari al piano terreno e adarco a tutto sesto nei piani superiori. Cosìl’antico edificio della scala quattrocentesca,inglobato nel nuovo palazzo degli uffici, as-sumeva un nuovo connotato architettonicoper l’impiego di archi trionfali con timpanie al primo piano bifore con timpani ed unacopertura a piccola carena di nave.Certo in questa seconda e definitiva versio-ne del progetto, Antonio squadernava tuttala conoscenza e l’esperienza acquisita suimonumenti rinascimentali e sulla trattati-stica archittetonica del Cinquecento, nonsolamente nell’impiego di soluzioni struttu-rali e formali, ma in particolare per i detta-gli decorativi.Nel 1878, come si è detto, egli consegnavaun album con ventun tavole nelle qualigrande spazio è dato ai dettagli: dalle deco-razioni scultoree del fregio dell’architravealle fontane nel nuovo cortile, dalla com-plessa decorazione pittorica del salone van-vitelliano alla interessantissima struttura ditiranti di acciaio par reggere la strutturametallica, sulla quale posare la copertura acarena di nave rovesciata. In questo disegnosono descritti minuziosamente i soggettidelle sculture e degli affreschi del salone: dasinistra Arnaldo, il motto “Modica Sunto”,“Causas Populi Teneto” e “Vis Abestio”, in-fine la figura di Tito Speri. Sul retro com-pare la firma dell’ingegnere a cui si deve ilprogetto e i calcoli per la struttura metallicadella cupola: “Alberto Calzoni, Via Caval-letto”. Nel progetto di Antonio inoltre ilvestibolo al piano superiore della Loggia,non più coperto da cupole neoromane, do-veva mostrare chiaramente la struttura me-tallica e i tiranti d’acciaio della cupola: unomaggio dall’architetto storicista alla tecno-logia moderna. Tuttavia le lunette e i fregidel vestibolo non venivano meno alla tradi-zione pittorica rinascimentale e Tagliaferristesso, da buon disegnatore qual era, realiz-

zava una serie di bozzetti per i pittori conputti reggenti oggetti simbolici in riferi-mento alle arti e ai mestieri. Per il grandesalone, oltre ad episodi e personaggi dellastoria di Brescia, egli aveva progettato ungrande affresco per il soffitto raffigurante ilTrionfo di Brescia circondata dagli dei olim-pici, del quale esiste un bozzetto quadretta-to e in parte acquerellato.Il progetto, realizzato in modo definitivonei giorni 23-26 maggio 1878 e consegnatonell’agosto di quell’anno, suscitò ammira-zione e consensi in città e fuori, ma non eb-be seguito immediato. Infatti nel 1880 An-drea Cassa, amico di Antonio, gli scrivevadicendosi stupito del successo riscosso aMilano (a Brera) dal progetto, e nello stessotempo dispiaciuto perché i preventivi deicosti erano troppo alti affinché l’idea potes-se andare in porto e pertanto si doveva pen-sare ad un secondo progetto ridotto.È probabile che Antonio non fosse disponi-bile a ritrattare il proprio lavoro e per undecennio la questione rimase sul tappetosenza essere risolta. Bisognava attendere il1891 quando, a partire dal 30 ottobre finoal gennaio del 1892, Tagliaferri venne ri-contattato per la progettazione della deco-razione della sala del consiglio: impresa cheavrà termine nel 1902 quando Arturo Ca-stelli, coinvolto dall’architetto con GaetanoCresseri e Cesare Bertolotti, firmava l’otta-gono del vestibolo con la figura di Bresciaarmata. A questa fase si deve la realizzazio-ne dello scalone e la collocazione dei dipin-ti cinque-seicenteschi di proprietà comuna-le, nonché le decorazioni pittoriche dellasala del consiglio e dei mobili, realizzati da-gli ebanisti Zatti e Passadori.

4) SANTUARIO DELLA MADONNADELLE GRAZIE. Brescia, Santuario diSanta Maria delle Grazie (1875-1907)

Alla fine del secolo XIII gli Umiliati diPalazzolo eressero, nel luogo dove ora sor-ge il Santuario, una piccola chiesa dedica-ta alla Natività di Maria. Di questo edifi-cio, ormai scomparso, restano alcuni la-certi murari (ampi conci di pietra localeuniti da sottili letti di malta), visibili daun’apertura del muro d’ambito della scala

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che porta alla biblioteca del monastero ealle celle dei frati.Il piccolo ambiente venne rinnovato nel se-colo XIV con l’erezione di una serie di vol-te a crociera costolonate e ampliata in pian-ta rispetto alla struttura originaria. Da unapianta settecentesca si ricava che la chieset-ta aveva assunto una struttura rettangolare,coperta da cinque volte poggianti su duepilastri quadrati posti al centro; mentre nel-la sesta campata, in corrispondenza del mu-ro dove era dipinta l’immagine miracolosadella Vergine, l’altare risultava delimitato dauna balaustra a forma trapezoidale. In realtàla chiesa aveva mutato orientamento (scom-parse abside ed entrata ad occidente) e ave-va subito ulteriori modificazioni quando,nel 1519 cacciati gli Umiliati, vi si insedia-rono i Gerolimini da Fiesole, trasferitisi dalloro convento extra muros per le leggi mili-tari del 1517, che spostarono qui il titolo diSanta Maria delle Grazie. Il 23 marzo 1522il vescovo di Brescia, Paolo Zane, pose laprima pietra della nuova chiesa delle Grazieprogettata dal priore della congregazione,Ludovico Barcella. In tal modo il nuovomonumentale edificio e il grande conventoannesso relegavano in secondo piano l’anti-co Santuario: insufficiente per le grandi fol-le che si riunivano, specie in occasione deigiubilei e delle feste dedicate ai miracolidella Vergine. L’accesso alla chiesetta, chegià aveva il pavimento più basso rispetto alpiano stradale, avveniva dal chiostro attra-verso due porte con gradini che lo stessoAntonio riutilizzerà nel proprio progetto.La crescita del monastero venne brusca-mente interrotta dall’editto di soppressionepromulgato da papa Clemente IX il 7 di-cembre 1668 e nel 1669 il complesso mo-nastico passò in proprietà ai Gesuiti che nemodificarono alcuni ambienti per adattarloall’attività didattica. Con la soppressionedei Gesuiti, avvenuta nel 1773, il conventopassò alla Repubblica Veneta, ma il Comu-ne di Brescia rivendicò a sé il giuspatronatosugli ambienti e sul Santuario. La chiesetta,che nel corso del Cinquecento, nel generalerinnovamento pittorico della chiesa grande,era stata decorata da quadrature del Sandri-ni e da affreschi del Giugno (ora scompar-si), non aveva poi vissuto altri interventiche, anzi, era stata mano a mano abbando-nata dal culto ed era divenuta un magazzi-no. A partire dal 1860, per volontà del Co-

mune, erano stati appaltati alcuni lavori dimaquillage affidati all’Ariassi, che probabil-mente rinfrescò i pallidi resti delle decora-zioni tardo-cinquecentesche. Ma fu nel1875 che Antonio Tagliaferri, incaricato dalComune, iniziava ad occuparsi delle operedi restauro e che, una volta preso atto dellasituazione conservativa, si orientava versoun totale rifacimento in stile che rappresen-ta, a Brescia, il maggior esempio di architet-tura eclettica e di decorazione tardo-otto-centesca.Del complesso lavoro progettuale non siconserva nulla nello studio, perchè tutte letavole ad acquerello, alcuni disegni esecuti-vi e bozzetti, furono donati dall’architettoal Santuario e fino a pochi anni fa conser-vati in un piccolissimo ambiente a ridossodella sacrestia, probabilmente ideato dallostesso Antonio, le cui pareti, a vetro coneleganti cornici in legno, erano completa-mente tappezzate dal progetto di restauro.Ora la stanzetta è scomparsa, per esigenzedella chiesa, e i disegni si spera siano statiricoverati in un luogo acconcio.Dalle note del Diario si ricava, con cadenzaquasi quotidiana, l’andamento degli studi edei progetti, che certo dovettero entusia-smare Antonio che poteva in questo lavorodimostrare le sue capacità inventive ed in-sieme culturali, gestire un ricco e multifor-me cantiere d’artisti ed artigiani come nelprimo Rinascimento italiano e restituire al-la città un luogo di grande ricchezza deco-rativa e artistica.A partire dal novembre 1875 il Tagliaferriiniziava i rilievi dell’esistente e predispone-va i primi bozzetti e progetti esecutivi peralcuni elementi decorativi, come i cancellied alcuni dettagli di cornici. Tra il 1877 e il1878 l’attenzione si spostava alla strutturainterna dell’altare maggiore e dei mosaiciche dovevano decorare i muri d’ambito e ipilastri di sostegno delle volte; mentre an-cora più oltre, tra il 1879 e il 1896, i pro-getti andavano infittendosi, proponendosoluzioni per le porte di accesso, i pavimen-ti, la cantoria, i dettagli degli stucchi e del-le sculture. È in questa fase che entrano ingioco prima Modesto Faustini e poi CesareBertolotti, impegnati nella decorazione pit-torica delle due pareti brevi e dei pilastricon Storie di Maria e figure di Sante e Pro-feti. Alcune difficoltà sorgevano poi per gliimpianti di illuminazione e per la struttura

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che le moderne lampade a gas avrebberodovuto avere per inserirsi senza screzi nelcontesto neogotico del Santuario. Nel corsodel 1897 Antonio procedeva ad un conti-nuo mutamento di idee, fino a quella, poirealizzata, di una serie di lampade in ferro evetro che univano il valore simbolico e laluce tenue delle lampade da moschea con lafunzionalità e la praticità dell’impianto agas. Nel 1889 e dal 1899 al 1907 si dedica-va completamente all’ideazione degli arredidella chiesetta: dai banchi alle carteglorie,dai candelieri alla gelosia della cantoria,dalla cattedra all’acquasantiera al leggio;progetti dei quali si conservano numerosistudi e bozzetti nel Santuario e nello studio.Il confronto diretto tra i rilievi dell’esisten-te e la pianta dell’edificio dopo l’interventodi Antonio, rivela con chiarezza il proposi-to conservativo-ricostruttivo del manufattogiocato sulle esigenze di culto (maggior spa-zio per il pubblico, distinzione visivo-fisicatra deambulatorio e altare, centralità dellafigura dell’officiante) che deteminaronol’ampliamento su due piani, l’apertura dellaparete meridionale con cinque grandi trifo-re a vetri, l’ampia balaustra, lunga 44 metri,che permetteva di ‘affacciarsi’ verso l’imma-gine miracolosa, ed esigenze stilistiche chetrovarono in Tagliaferri un interprete ed unpaladino entusiasta.La lunga opera di elaborazione del progettoimplicava un continuo muoversi, da partedi Antonio, sul terreno della storia degli sti-li, e in particolare del Gotico fiorito italia-no, e su quello dell’organizzazione del can-tiere di stampo medievale, che egli avevavoluto ricostituire intorno a sè, con un ric-co stuolo di artigiani e di artisti che riceve-vano bozzetti e disegni esecutivi dal capocantiere e nello stesso tempo erano in gradodi elaborare varianti ed idee proprie, macoordinate all’insieme. I modelli di riferi-mento per le Grazie hanno ampia latitudinemuovendosi dai chiostri romanici dei Vas-salletto in S. Paolo fuori le mura a Roma(nella decorazione a mosaico dei pilastritornata in auge in quegli anni per gli impe-gnativi lavori di restauro che vi si attuava-no), al tabernacolo di Orsanmichele del-l’Orcagna (per l’altare e la cornice dell’affre-sco); dal gotico francescano (struttura dellevolte e delle bifore) alla pittura preraffaelli-ta (gli affreschi di Faustini, che aveva predi-sposto quasi tutti i cartoni, oggi nella Pina-

coteca Tosio Martinengo di Brescia, e diBertolotti).Nel cantiere convivevano tra l’altro diversespecializzazioni: Davide Lombardi, della dit-ta Lombardi di Rezzato, molto spesso pre-sente in cantieri condotti dal Tagliaferri co-me il Vantiniano, che realizzava le sculture inmarmo di Carrara limitatamente alla balau-stra, all’altare, allo zoccolo perimetrale e aiplinti dei pilastri, sui quali vengono ripetutisimmetricamente i simboli mariani (Fons Vi-tae, Turris Eburnea, Janua Coeli, Sole, L una estelle, pozzo e il monogramma M.V.); e PietroPeduzzi e figli, di Bergamo, esperti stuccatoriai quali si devono gli elementi aggettanti del-le cornici, delle volte e dei pilastri. La dittaPeduzzi tra l’altro lavorava in quegli anni an-che nella chiesa bresciana di S. Alessandro,dove portava a compimento nel 1875 lastuccatura lucida e marmorizzata delle colon-ne (R. Prestini, La chiesa di Sant’Alessandro inBrescia. Storia e Arte, Brescia 1986, p. 208) eprobabilmente negli stessi anni operosa an-che a Portese e in altri cantieri del Tagliaferri.Numerosi anche i marmorini che eseguironogli intarsi del pavimento, gli ebanisti per gliarredi e le porte e soprattutto fabbri e fondi-tori per i cancelli, le lampade e gli apparatidecorativi dell’altare.Infine l’impresa pittorica, inizialmente affi-data a Modesto Faustini che eseguiva sola-mente l’Annunciazione, la Visitazione e al-cuni Santi e quasi tutti i i cartoni per le ri-manenti pareti, e, dopo la scomparsa diquesti a Cesare Bertolotti, vedeva scenderein campo i migliori pittori del gruppo “Ar-te in Famiglia”, in quegli anni presiedutodallo stesso Tagliaferri, pittori che coniuga-vano sapientemente Beato Angelico e i pre-raffaelliti, Moretto e certo purismo tedesco.

5) MONUMENTO AD ARNALDO DABRESCIA. Brescia, piazzale Arnaldo(1877-1880)

Spinto dagli entusiasmi neounitari e da unaforte polemica antiromana il Consiglio Co-munale di Brescia, il 15 dicembre 1865 de-liberava di erigere un monumento ad Ar-naldo da Brescia, voce critica nei confrontidel potere papale, bruciato come eretico aRoma nel secolo XII. Lo stanziamento pre-

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visto era di L. 30.000, da prelevare per cin-que anni (fino al 1870) dai bilanci comu-nali. Tuttavia per sostenere i pesantissimioneri dell’impresa veniva indetta una sotto-scrizione internazionale che vedeva coinvol-ti non solamente i comuni italiani, ma an-che città come Parigi e Zurigo. Il 23 otto-bre 1869 si costituiva la Commissione co-munale composta da Giovan Battista For-mentini (Sindaco), Angelo Mensi, GabrieleRosa, Filippo Ugoni, Marino Ballini, Giu-seppe Zanardelli (consiglieri), la quale sta-biliva e pubblicava il concorso l’8 dicembredel medesimo anno. I bozzetti iniziarono apervenire presso il Comune nell’estate del1870 e con una lettera del 9 agosto venivaconvocata la commissione giudicatrice peril giorno 6 settembre, costituita da: AleardoAleardi, Eleuterio Pagliano e Angelo Ingan-ni, pittori, Angelo Colla e Giuseppe Conti,architetti l’uno a Milano e l’altro a Brescia,lo scultore Giosuè Argenti, insegnante al-l’Accademia di Brera, Camillo Boito, do-cente alla Scuola Superiore a Milano, Giu-seppe Mongeri, segretario di Brera. Il Sin-daco, con lettera alla Direzione del 14 lu-glio 1870 (Brescia Archivio Civico, R. XIV,c. 8/3a) chiedeva che tutti i bozzetti venis-sero esposti negli ambienti del Museo Pa-trio a maggior lustro del concorso. Ma dasubito si accendevano vivaci polemiche, co-me testimonia una lettera inviata dallo scul-tore Innocenzo Fraccaroli (Milano 27 otto-bre 1870), fra l’altro attivo anche al Vanti-niano, che sottolineava la parzialità dellacommissione nel giudicare i bozzetti. Biso-gna attendere il 22 febbraio 1871 per legge-re sulla “Provincia di Brescia” una relazionedettagliata dei 29 progetti presentati, fra iquali erano stati scelti nell’ordine: OdoardoTabacchi, Michele Boninsegna e GiacomoSassi. Il vincitore del primo premio, inse-gnante all’Accademia Albertina di Torino,chiedeva di ritirare il premio con una lette-ra inviata al sindaco il 28 aprile, dove nonsi accennava all’esecuzione della statua; pro-babilmente era ancora in discussione il pro-getto generale del monumento e della piaz-za, se Gaetano Morelli scriveva da Firenze(18.1.1872) per avere il disegno della pian-ta del medesimo.Una relazione veniva stilata nel novembredel 1870, firmata da Angelo Inganni eAleardo Aleardi, e inviata al Consiglio Co-munale e agli artisti concorrenti.

In realtà la prima idea del monumento adArnaldo (il bozzetto è conservato alla Fon-dazione Da Como di Lonato) seguiva un’i-dea più fortemente pittorico-scapigliata,dove la foga oratoria del frate era accentua-ta dall’arrovellarsi dei panneggi. Questa pri-ma idea del Tabacchi è quella che vediamoutilizzata dal Tagliaferri nelle due primeversioni del monumento; infatti nel 1879,all’atto del contratto, la stessa Commissionechiedeva, con ogni probabilità, per motividi opportunità, di attenuare la foga oratoriadell’eretico e di darne un’interpretazionemaggiormente severa ed essenziale. Accantoalla figura di Arnaldo, il Tabacchi si impe-gnava a fornire quattro bassorilievi illu-stranti gli episodi salienti della vita del frate(Predicazione a Brescia, Predicazione a Ro-ma, Processo e Supplizio), nonchè una seriedi dodici stemmi di città legate alla figuradi Arnaldo e di dodici teste leonine per ladecorazione del basamento e della cancella-ta di protezione.La discussione proseguì per qualche anno,almeno fino al 1877 quando nel dibattitoentrò anche Antonio Tagliaferri: dalle Notesi ri cava che fra il 18 e il 23 giugno l’archi-tetto era andato elaborando un proprioprogetto in merito alla sistemazione delmonumento e di ciò si ha testimonianza inuna lettera inviata al Sindaco, e firmata daAntonio in qualità di presidente de “L’Artein Famiglia” (9 luglio), nella quale davantiall’ipotesi di una collocazione in piazza delDuomo o presso il Mercato dei grani (doveeffettivamente verrà collocata), proponevain alternativa una sistemazione in piazzaLoggia o piazza Vecchia, in asse con la Log-getta del Monte di Pietà. A questa primaproposta corrisponde uno schizzo nel qualeè leggibile la posizione del monumento difronte a palazzo Loggia ed un basamentoche, nelle linee essenziali, sarà poi quelloadottato dall’architetto nella fase finale. Larisposta non si faceva attendere e il 24 ago-sto la Commissione invitava il Tagliaferri aprendere parte alla riunione nella quale gliveniva ufficialmente conferito l’incarico diprogettare il monumento e la sistemazionea giardino della piazza Mercato dei grani.Nei giorni 9-13 settembre Antonio iniziavai rilievi della zona, ma solamente nel corsodel 1878 riusciva ad approntare il progettoper la sistemazione delle barriere daziarie diporta Venezia. Dal disegno si ricava che

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l’architetto, per dare respiro al monumento,arretra la cancellata posta a chiusura dellapiazza ad oriente e raddrizza in senso orto-gonale il casello posto a settentrione, arretral’entrata del tiro al bersaglio (attuale par-cheggio) e propone l’abbattimento dei ba-stioni e dei caseggiati a nord e a sud rispet-to all’Arnaldo, per aprire una nuova salita alCastello (attuale via Brigida Avogadro esuccessivamente la palazzina del fotografoCapitanio) e uno sbocco verso sud sistema-to a giardino, poi abbattuto (attuale viaSpalto S. Marco). Infine ai quattro lati delquadrilatero centrale propone la collocazio-ne di grandi lampioni a gas dei quali forni-sce due schizzi: il primo, poi scartato, ripro-ducente le forme romanico-gotiche del pre-zioso candelabro Trivulzio conservato nelDuomo di Milano, mentre la seconda ver-sione risulta più compatta e stilizzata conelementi ricavati anche dalla tradizionequattro centesca. Nel corso del 1879 (12-31gennaio / 1-3 febbraio / 4-5 febbraio consoppraluogo a Brescia / 6-8 febbraio / 10-15 marzo con dettagli), nel suo studio mi-lanese, Antonio elaborava una prima reda-zione del basamento, vicina a quella accen-nata per la sistemazione in piazza Loggia,costituita da un parallelepipedo cuspi dato ea fasce bicrome, senza alcuna decorazionetranne lo stemma cittadino; mentre in alto,sopra un cubo marmoreo con iscrizioni,doveva appoggiare un rustico masso conl’effige della Lupa Capitolina ed una catastaper il rogo dai quali troneggiava la figura diArnaldo.Camillo Boito scriveva al sindaco il 28maggio 1879 di aver saputo che “lo sculto-re Tabacchi al quale venne commessa laparte statuaria del monumento ad Arnaldoda Brescia, riferì alla Commissione che laS.V. Ill. ebbe a vedere a Milano nello studiodell’architetto Tagliaferri, il progetto del ba-samento da lui ideato e lo dichiarò lavoroprege vole”(AS, BS). Una volta approvato ilprogetto del basamento, le Commis sionicomunale e provinciale si riunirono il 7 lu-glio per allogare ufficialmente ad OdoardoTabacchi la realizzazione dei gruppi bron-zei, ma è noto che egli lavorò a questo sog-getto già nel 1860, durante il soggiorno aRoma, e che inviò il modelletto a Milanonel maggio 1861, vincendo il primo premiodella scultura a Brera. Il Tabacchi dovevafornire il modello in gesso entro un anno;

infatti nel 1881 la statua risulta già fusapresso la ditta Ales sandro Nelli di Roma,ma subito iniziavano le polemiche in rela-zione alla qualità della fusione e della scul-tura: alle voci po se fine una secca letteradello scultore (16 ottobre 1881). I lavorinella piazza del Mercato dei grani ferveva-no, sollecitati dallo stesso sindaco che, par-tendo dal progetto presentato a suo tempodal Taglia ferri, cercava di reperire finanzia-menti per l’abbattimento di casa Rigozzi edi gran parte dei bastioni ancora in piedi, eper i vari arretramenti degli edifici daziari(18 ottobre 1881); dalla medesima letterarisulta che il basamento era quasi pronto. Ilavori di pro gettazione della seconda versio-ne del basamento dovettero durare tutto il1880 (4-7 febbraio / 22-29 marzo / 16-29giugno) e venire realizzati nel corso del1881 dalla ditta Lombardi di Rezzato, cheforniva anche le breccie impiegate (marmobianco di Mazzano, bianco di Cividate, bi-gio di Brozzo e rosa di Torri del Benaco).L’idea in formativa delle decorazioni plasti-che risulta essere uno studio di scultura al-tomedievale nell’impiego degli archetti pen-sili e nelle teste mostruose dei capitelli, conriferimenti a motivi ad intreccio vimineo diascendenza longobarda o a foglie d’acantostilizzate vicine alla rinascita carolingia e al-la cultura ravenna te. Si tratta di una sintesidella plastica medievale, quasi il fram mentodi un chiostro del secolo XI-XII, come te-stimoniano le colonni ne in marmo rosa coni capitelli scolpiti vicini a quelli notissimi diMoissac. Per la cancellata, al contrario, Ta-gliaferri utilizzò un andamento maggior-mente decorativo e già tutto gotico che bencon trastasse con la potenza del basamento.Il legame con la cultura medievale si facevaquindi evidente e in un certo senso rendevaancora più viva e teatrale la presenza dellagrande figura in atto oratorio. Il 18 aprile1882 iniziavano i lavori di collocamentodel mo numento, nei quali il Tagliaferri,non potendo partecipare, veniva sosti tuitodall’arch. Giuseppe Conti, membro dellasottocommissione. Il 7 lu glio 1882 il fondi-tore Nelli scriveva al sindaco affermando“ieri ho spedito a mezzo ferrovia a S.V. la fi-gura di Arnaldo da Brescia...” e il 14 ago-sto, con uno straordinario concorso di follafra cui le rappresentanze di ben quarantalogge massoniche e il coinvolgimento ditutta l’Italia in una gigantesca lotteria che

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avrà strascichi annosi, il monumento venivainaugurato ed immortalato da una serie difotografie della ditta Ferrario di Milano eAlinari di Firenze. Le polemiche tuttavianon si erano ancora sopite sul significato eil valore politico del monumento, e nel set-tembre 1882 si accen deva la polemica fraTabacchi e Tagliaferri per via di 16 testinedi leone in bronzo che dovevano decorare ilbasamento.Tuttavia i lavori di sistemazione della piazzanon erano ancora con clusi, dato che il 18dicembre venivano stipulati i preliminari dicontratto per la fornitura delle colonnettein ferro fuso occorren ti sui giardinetti peruna lunghezza di circa m. 200. Ancora il 10febbraio 1883 lo stesso Sindaco sollecitavaTagliaferri affinchè facesse fondere in ghisail modello delle panchine per i giardini del-la nuova piazza Arnaldo, e in bronzo le let-tere delle epigrafi (ideate dal senatore TulloMassarani) da porre sul basamento “acciòpossano essere collocate in sito prima che sicancellino quelle dipinte provvisoriamen-te”. Infine il 16 dicembre 1895 e il 28 apri-le 1903 si doveva provvedere ad alcu ne ope-re di restauro e sostituzione di marmi almonumento.Un intervento molto più tardo, e probabil-mente determinato dalla sempre maggiorefrequentazione di piazza Arnaldo da partedella cittadinanza, è quello che vede Anto-nio predisporre uno studio nel giugno 1903(23-30) per la chiusura delle arcate, ormainon più utilizzate, del Mercato dei Grani diAngelo Vita. L’idea, che ancora oggi è damolti sostenuta, non fu realizzata ma, inmancanza di testimonianze grafiche, possia-mo supporre fosse molto vicina a quellaadottata per la chiusura dei portici del Cor-so del Teatro.

6) RESTAURO DELLA CAPPELLA DELSS. SACRAMENTO. Brescia, chiesa diS. Giovanni Evangelista (1877-1883)

Fra i numerosi interventi di restauro di mo-numenti cittadini, da parte di Antonio,quello relativo alla sistemazione della cap-pella del Sacramento di San Giovanni è for-se fra i più rispet tosi dello status quo e innessun caso tendente ad una ricostruzio ne.

La cappella, che conserva com’è noto i ciclipittorici di sog getto eucaristico di Morettoe Romanino (1521-1524) e la Deposizionedi Zenale (1509 c.), era già stata in partetrasformata da Tommaso Sandrini, che ave-va realizzato delle quadrature architet -toniche sulla cupola, incornicianti le quat-tro Sibille poste nei pennacchi e variamenteattribuite al Giugno o al Nuvolone.Tuttavia nel generale impegno di rifacimen-to dei luoghi monumen tali (negli stessi an-ni si era avviata la trasformazione del San-tuario delle Grazie) la cappella del Sacra-mento, gioiello del Rinascimento bresciano,diviene oggetto d’attenzione a tal punto daindurre il prevosto della chiesa, fratello delpittore Modesto Faustini, amico di Anto-nio, a commissionare al Tagliaferri un pro-getto complessivo di restauro. Probabil-mente i primi abbocca menti risalgono al1873 (26-30 aprile), ripresi poi a distanzadi tre anni nel 1876 (durante l’estate), masfociano in una proposta definitiva sola-mente nell’ottobre del 1877 (26-30), quan-do l’architetto porta a compimento l’acque-rello con la sezione della cappella. L’idea informatrice del progetto risulta es-sere una filologica ricostruzione di un’ar-chitettura cinquecentesca, che parte pro-prio dall’ancona intagliata da StefanoLamberti (1509-1517 c.) per la Deposizio-ne di Zenale, posta al centro della pare tefrontale e che si proietta sulle pareti latera-li, sulle lesene, negli archi e nelle cornicidel ciclo di Romanino e Moretto, collo -cato sui due lati dell’ambiente. Il motivodei racemi vegetali salien ti da cespi d’acan-to, la corona d’alloro con nastri, il fronto-ne se micircolare con conchiglia, le volute,gli ovoli e le gutte, pescano a piene maninel repertorio decorativo di ascendenzamantegnesca e quattrocentesca tout courtche era testimoniata storicamente nel San-tuario dei Miracoli e in Palazzo Loggia.Nella lunetta superiore era previsto un af-fresco raffigurante la Sacra Famiglia (forseuna Fuga in Egitto), che non venne esegui-to, ma sostituitito dalla lunetta con l’Inco-ronazione della Vergine di Moretto, mentrenei pennacchi, in sostituzione delle Sibille,fu realizzato il calice con il Sacra mento inun orifiamma. Infine la sommità della cu-pola doveva essere decorata da un fondoblu con stelle dorate ad imitazione dei sof-fitti rinascimentali (come del resto sarebbe

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poi stato fatto nel Santuario delle Grazie).Il Vezzoli (1975, p. 109) ricorda come il 5giugno 1883 il Ministro per gli affari delculto, rispondendo ad un’interpellanza del-la parrocchia, comunicasse che “la fabbri-ceria della chiesa parrocchiale di S. Gio-vanni Evangelista in Brescia è autorizzata avendere all’asta pubblica la soasa di altareconsistente in due colonne intagliate ed ar-chitrave stimata L. 250, nonchè il cancellodi ferro stimato L. 150 nella perizia Coen,28 febbraio 1883, a condizione che l’in-canto si apra per la soasa in base al prezzodi L. 400 offerto dal pittore Achille Gli -senti, e pel cancello al prezzo di stima”.Tuttavia già nel 1878 (rendi conti del 26novembre; Vezzoli, 1975, p. 109) la fabbri-ceria si era impe gnata nella vendita di altriarredi ecclesiastici: “Non essendo compa -tibili col progetto Tagliaferri due banchi dilegno vecchi di stile e ammalorati, lo scri-vente trova necessario sostituirli, ed a que-sto scopo ha chiesto alla Superiorità di po-ter alienare i vecchi che si dicono del sei-cento e potrebbero avere un valore relati-vo”. La vendita ad un antiquario svizzeroaveva fruttato L. 7255 e perciò la soasa delLamberti venne risparmiata, ma forse nonla cancellata se lo stesso Tagliaferri presen-tava un progetto per il cancello nell’anno1888 (giugno 22-29). I lavori di restauro,terminati nel 1883 per la parte decorativa,avevano visto l’intervento dei ‘doratori’Dilda e Laffranchi, per un costo di L.2200, che aveva interessato la soasa lam-bertiana e la nuova lunetta col pellicano(forse del laboratorio Passadori), e le nic-chie laterali. I sedili lungo il perimetro del-la cappella, in sostituzione di quelli vendu-ti, di gusto classicista, furono realizzati sudisegno di Antonio dal fa legname Moni-celli; mentre al decoratore Ovidio Franchi-ni si dovette l’esecuzione del cielo stellato,delle candelabre delle lesene, delle coroned’alloro dorate sullo zoccolo. Infine Mode-sto Faustini inter veniva nei quattro pen-nacchi sostituendo alla proposta di Taglia-ferri delle figure di Angeli, che richiamanofortemente il contemporaneo ciclo delleGrazie. Sempre per la parrocchia di S. Giovanni, ilTagliaferri realizzava nel luglio del 1908(22-24) il progetto per l’apparato delleQuaran t’ore, del quale non si hanno altrenotizie.

7) PROGETTI PER ARREDI IN STILE(1879-1904)

Nel corso della ricchisimma carriera di An-tonio Tagliaferri non è raro incontrare indi-cazioni e disegni relativi a progetti per sin-goli mobili o interi arredamenti, per leesposizioni e per completare l’architetturadegli edifici progettati dall’architetto mede-simo. Talvolta i mobili sono stati commis-sionati da arti giani, tal’altra si tratta di am-modernamenti, in gusto eclettico, di palaz-zi nobili e di antiche residenze. Nonostante le numerose notizie delle Noteè praticamente impossibi le ricollegare i no-mi dei committenti e le date di progettazio-ne alle poche tavole conservate nello studio,che spaziano dallo stile pompe iano al rina-scimento italiano, dal rococò francese alneogotico d’Ol tralpe. Tra le prime indicazioni compaiono le date15 luglio 1879 (“mobili per il Sig. Bono-metti”), il 24-25 giugno 1883 (“mobili Du-lini”), il 1886 (gennaio 6-10) (“mobili Pa-stori”), il 1888 (mobili per palazzo Arrivabe-ne-Ducos) e 1890 per 1’ing. Calini. Significativamente, tra il 1885 e il 1895,Antonio consegna una serie di dettagli permobili vari al falegname bresciano PaoloRuini. Uno di questi, una credenza conte-nente un caminetto, è forse riconoscibile inun acquerello, datato al giugno 1885, nelquale il mobile risulta diviso in cinque se-zioni (che non ci sono pervenute). Lo stileprescelto è quello manierista con gran di-spendio di mascheroni, sfingi, pilastrini ebassorilievi con girali d’acanto, e dato chenel medesimo anno Antonio segue le fasi fi-nali dell’arredamento di villa Lattuada aCasatenovo, rea lizzata in stile Tudor, non èescluso che questo mobile partico lare siastato progettato proprio per i Lattuada. Nel 1889 (12-16 dicembre) vengono con-segnati i disegni per il prefetto Soragni, nel-l’estate del 1900 quelli per il sig. Rota e perSeveso, mentre nell’aprile Antonio avevarealizzato un acque rello (non rintracciato)di sala con camino del secolo XVI. Ancoranel 1902 (marzo) e nel 1904 (settembre)realizzava i mobili Rondani e Balardini. Dei pochi disegni conservati nello studio,oltre a quello della cre denza del 1885, va ri-cordato quello relativo ad una credenza in

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stile pompeiano (poi acquerellato), costitui-ta da un ampio basamento a vetri con co-lonnine, mensole e tritoni marini intagliati.Dalle Note si ricava che Tagliaferri si impe-gna nella realizzazioni di mobili “pompeia-ni” nell’11-14 aprile 1885 per il sig. Pastoridi Brescia, negli anni 1889-1890 (mag -gio-luglio) per il signor Bona-Gerardi diRoma ed infine nel settembre-ottobre 1902per la casa del sig. Luigi Cocchetti-Terzi diBrescia. Tuttavia, date le affinità di tratto edi stesura di colore con acquerelli degli an-ni Novanta, è possibile ipotizzare che sitratti dello schizzo per i mobili Gerar di.Nel corso dell’ottobre 1897, Antonio realiz-za una serie di mobili per il sig. Apollonio enel marzo dell’anno seguente propone unsecondo disegno per una credenza. Si trattacon ogni probabilità della credenza con ca-minetto in stile neorococò, con elementidecorativi del repertorio “stile Luigi XV”,costituito da un’alzata con ante inta gliate eda due cantonali laterali con linee mosse edelementi vege tali. L’affinità dello stile hapermesso di legare a questo disegno un se-condo progetto (nelle Note si ricorda infattiche il 16-17 settembre 1898 egli consegnail disegno per “un mobile d’angolo”) raffi-gurante un armadio a muro con specchiereed un mobile d’angolo con lavandino inca-strato e elegante rubinetto in forma dianfora. Per arricchire ulteriormente la conoscenzadell’attività di Antonio come disegnatore dimobilia, si rendono noti in questa sede tredise gni non appartenenti allo studio, ma almercato antiquario, che tutta via è possibileidentificare con certezza. La libreria con scrittoio in stile neogoticocon coronamento ricca mente intagliato eornato da due figure allegoriche e dallostemma di famiglia, mentre la parte inferio-re ha colonne binate ad angolo, leoni reggi-stemma e bassorilievi sulle antine con cor-nici a compasso, è da identificarsi nei mo-bili per il ristrutturato palazzo Valotti, poiLechi, in corso Magenta a Brescia, realizza-ti nell’agosto del 1888. La monumentale libreria, inglobante unaporta di accesso alla biblio teca, è invece ca-ratterizzata da semicolonne corinzie su basimistilinee e le cornici hanno quell’anda-mento geometrizzato che riconosciamo nel-l’architettura tardo-ottocentesca di Anto-nio. Sulla sommità è inseri to un angelo reg-

gicartiglio e la libreria risulta coronata conpin na coli identici a quelli sistemati sullacancellata Brunati a Rivoltel la e, appunto,su palazzo Arrivabene-Ducos a Brescia. Poi-chè nel marzo del 1888 sono ricordati pro-getti per i mobili del nuovo palazzo Ducos,è credibile pensare che questa indicazione sileghi al disegno esaminato. Infine l’ultimo disegno relativo ad una pic-cola libreria o consolle a più ripiani in stileprotoneoclassico porta l’indi cazione “Peruna sala di stile Luigi XVI pel Conte Ber-nardo Salvadego” e ci aiuta così ad identifi-care l’oggetto con le in dicazioni di “mobiliSalvadego” nel 26-31 dicembre 1876,probabil mente per il ristrutturato palazzoMartinengo poi Salvadego in via Dante.

8) MONUMENTO ALLE CINQUEGIORNATE DI MILANO (1880)

Nel 1880 il Comune di Milano bandiva unconcorso pubblico per l’erezione di un mo-numento a ricordo delle Cinque Giornateda erigersi alla barriera di Porta Vittoria.Antonio Tagliaferri partecipava con un ac-querello che veniva giudicato al secondoposto e veniva premiato con una medagliad’argento. L’idea di partenza di Antonio è lamedesima applicata nel basamento dell’Ar-naldo da Brescia, ovvero un recupero in sen-so simbolico dell’architettura e della deco-razione plastica romanica, riconosciuta co-me unica e vera radice culturale della unitànazionale e del bisogno di irredentismo.Esiste una prima idea della composizione(acquarello su cartone, cm. 49,5 x 34) cheprevedeva una possente torre merlata chedoveva fungere da porta di accesso alla cittàaffiancata, alla base, da gruppi scultorei raf-figuranti combattenti armati e bandieresventolanti sulle barricate. I giganteschiconci di pietra si elevavano in corsi regolarida due basamenti rettangolari, interrotti ametà dell’altezza da due cornici di dentelli.Al di sotto della mer latura ghibellina, lamassiccia cortina muraria del torrione siapriva in una loggia di archetti a tutto sestocon colonnine e capi telli squadrati, decora-ti da protomi animali, di chiara desunzioneromanica, mentre sul fondo delle archeg-giature venivano posti al cuni stemmi di

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città italiane che si erano ribellate al domi-nio straniero (per esempio la leonessa ram-pante di Brescia). Nella porzione centraledella torre era stata ricavata una nicchia, ar -chivoltata con una struttura trilobata agget-tante, nella quale era inserito un bassorilie-vo raffigurante un uomo a cavallo che conla spada atterra un nemico; al di sotto l’epi-grafe riportava la data memorabile della ri-volta “XXII MARZO MDCCCXLVIII”.L’arcone centrale di sostegno era significati-vamente realizzato da conci di pietra lisciaalternata a conci di pietra lavorata con bas-sorilievi raffiguranti la lotta fra un’aquila eun leone: l’allusione alla forza del popolo inrivolta contro l’Austria e il richiamo meto-dico e attento all’esattezza delle forme ro-maniche, concorrevano a dare un forte va-lore allegorico a tutto il monumento. La so-luzione definitiva adottata dal Tagliaferri, epresentata in concorso, teneva conto dellelinee fondamentali della prima redazione (iltorrione massiccio, i conci di pietra, gli ele-menti romanici), ma insisteva maggiormen-te sugli elementi simbolici e sulla ricostru-zione di un’ideale unione attraverso la storiadell’anelito di libertà dei milanesi, e degliitaliani tout court, dal giuramento di Ponti-da all’entrata dei piemontesi a Roma: unper corso ascensionale che dalla massicciatadella base tendeva ad allegge rirsi verso l’altocon archetti, colonnine, merlature, fino allasom mità dove una grande aquila, dalle alispalancate, era pronta a librarsi in volo. A1centro del torrione compariva ancora unbassorilievo, dove erano riconoscibili figuredi armati con al centro una Vittoria alata,simbolo della pace raggiunta con la som-mossa popolare del 22 marzo. Di questa se-conda versione si conservano alcuni interes-santi studi parziali a matita su velina, fra iquali compaiono la Lupa capitolina, il Leo-ne di San Marco, la Leonessa di Brescia, l’A-quila bicipite (per il Monumento ad Arnal-do), cinque bassolirilievi con Lotta fra leonee aquila e il bassorilievo centrale con gli ar-mati che difendono l’Italia seduta ed inco-ronata, sormontata da una Vittoria in volo.L’acquarello, come per il monumento adAntonio Calegari, era arricchito da un con-torno di figure di gusto bozzettistico, unacaratte ristica delle ambientazioni che Anto-nio dava ai propri acquerelli progettuali.Il concorso fu vinto da Giuseppe Grandi,che proponeva una soluzione scultorea del

tutto nuova, rispetto all’ideazione architet-tonica ad arco trionfale di tipo tradizionale,e a sua volta questo monumento diveniva ilmodello di riferimento di Domenico Ghi-doni per l’ideazione della prima versionedel monumento al Moretto a Brescia.

9) SALA BRESCIANA ALL’ESPOSIZIONEGENERALE DI MILANO (1881)

Dell’impegno di Antonio Tagliaferri nelcampo della progettazione e realizzazione dipadiglioni per le esposizioni nazionali, restaoggi solamente la testimonianza dell’inter-vento nell’esposizione Generale Italiana diMilano del 1881, per la quale realizzò la Sa-la Bresciana. Il lavoro è testimoniato dalleNote in tre riprese: 16-24 maggio (giorni incui presentava alla commissione di control-lo i bozzetti e i disegni esecutivi del padi-glione), 19-24 giugno e 14-17 luglio (neiquali progettava la libreria in stile neogoti-co per la sala).A questa fase progettuale va ricondotto an-che un piccolo schizzo a china e matita suvelina che raffigura un interno in stile neo -gotico, di area franco-tedesca, nel quale so-no leggibili l’elegante caminetto (con corni-ce a pinnacoli, girali vegetali e vasi di fiori),il divano con specchiera archiacuta (tutta laparete è in boiserie traforata) e al centro unamensolina con leone reggistemma. Dall’unico acquerello conservato nell’archi-vio Tagliaferri si ri cava l’impressione che ilcontemporaneo cantiere del Santuario di S.Maria delle Grazie (iniziato nel 1875) in-fluenzasse in modo deter minante la sceltastilistica che doveva rappresentare la cittànell’espo sizione milanese. Si tratta anchequi di una mescolanza continua, cer to con-sapevole, tra il gotico fiorito di marca italia-na ed elementi dello stile Tudor (specie nel-la porta di ingresso). Pinnacoli, colonninetortili, archetti trilobati (posti a corona-mento del padiglione) e trafori, si trasferi-scono dall’ambiente religioso delle Graziein un interno cortese che incornicia spec-chiere, camini, boiseries, porte e una grandelibreria a parete. Le decorazioni pittorichepreviste nell’acquerello, probabilmente rea-lizzate da uno dei tre decoratori operosi al-le Grazie (Chimeri, Franchini o Salvi), oltre

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ad imitare una tappezzeria medievale conelementi geometrici, ricordava sulla portadi accesso lo stemma della città, ripetutoanche sugli scudi del ca minetto retti da dueleoni seduti, e nel cornicione di corona-mento paesi e fiumi della provincia: (da si-nistra) Salò / Garza / Chiari / Mella / Pa-lazzolo / Oglio/. Al centro invece, legatidalle decorative ramificazioni vegetali di uncespo d’erbe e da un cartiglio, gli stemmi diMilano, dell’impero asburgico, di PandolfoMalatesta e di Venezia.

10) MONUMENTO A VITTORIOEMA NUELE II A ROMA (1881)

Il Parlamento Nazionale, per onorare lamemoria di Vittorio Emanue le II, Pater Pa-triae, stabiliva, con legge del 25 luglio 1880(da una proposta del Governo del 16 mag-gio 1878), che: “Una Commissione da no-minarsi per decreto Reale provvederà allapubblicazione del manifesto di concorso, alconferimento dei premi, farà la scelta delprogetto da eseguirsi, continuerà a racco-gliere le offerte pel monumento nazionale,e veglierà alla buona esecuzione dell’opera”.Umberto I nominava la suddetta commis-sione il 13 settembre, la quale riunitasi, si-gnificativamente, il 20 dello stesso mesesotto la presi denza di Cairoli, formulava lenorme del concorso per il 23. Le norme sipotevano sintetizzare in una totale libertà diideazione del mo numento “...quando nonaccettando la proposta d’un arco di trionfo,e non rigettandola, lasciava la speranza chenel secolo nostro fosse sorta in mezzo allevecchie forme, improvvisa e innominataquella forma nuova, adeguato simbolo dellariconoscenza del popolo, e perfetta estrinse-cazione delle conquiste dell’arte moderna”.Il 23 settembre 1881, alle ore 5 pomeridia-ne, scadeva il termine per l’accettazione deiboz zetti: ne giunsero 293. A cominciare dal15 novembre del medesimo anno, essi veni-vano esposti nelle nuove sale del Museoagrario in Via Santa Susanna e rimanevanoa disposizione del giudizio del pubblico perquattro mesi. Finalmente il 15 febbraio1882 si riu niva la Commissione giudicatri-ce arricchita di alcune nomine Reali: DePretis (presidente del Consiglio), i senatori

Giuseppe Fiorelli, Tullo Massarani (che ave-va composto le iscrizioni per l’Arnaldo),Marco Tabarrini, Francesco Vitelleschi-No-bili, il Presidente dell’Acca demia di San Lu-ca, il Sindaco di Roma, i deputati CesareCorrenti, Ales sandro Guiccioli, FerdinandoMartini, Francesco De Renzis (segretariodella commissione), gli architetti CamilloBoito, Raffele Cane vari, Carlo Ceppi, Emi-lio De Fabris, i pittori Giuseppe Bertini eDome nico Morelli, infine gli scultori Giu-lio Monteverde e Vincenzo Vela.Sui 293 progetti esaminati, dopo ampie di-scussioni e votazioni, la mag gioranza deicommissari sceglieva 54 bozzetti e di questiindicava fra i migliori l’estrinsecazione delmotto “Da Porta Palatina a Porta Pia” diAntonio Tagliaferri “ove è abilmente supe-rato il volontario problema della sovrappo-sizione di masse architettoniche disparate”.Il 1° aprile 1882 la Commissione conferivail primo premio al progetto n. 249 di Enri-co Paolo Nenot, pensionato all’Acca demiadi Francia a Roma, il secondo premio al n.194 di Ettore Ferrari e Pio Piacentini (chesi ripresentarono al concorso di secondogrado), infine il terzo premio al n. 259 del-lo scultore Stefano Galletti. Il progetto diAntonio Tagliaferri veniva classificato con iln. 52, ma il 27 settembre del 1883 ricevevail diploma della medaglia d’argento per lapartecipazione al concorso di primo grado.Non avendo trovato adeguate soluzioni co-struttive, la Commissione bandiva un se-condo concorso, per i soli artisti italiani, il12 dicembre 1882, definendo la sede delmonumento a fianco del Campidoglio e laforma costituita da ampie scalee, propilei euna statua equestre del re in asse con viadel Corso e piazza del Popolo. Al 9 feb-braio 1884 risultavano aver inviato i propriprogetti 70 concorrenti, fra i qua li noncompare il Tagliaferri, probabilmente nonsollecitato dal risultato del primo concorso.Il 24 giugno la Commissione giudicavavincitore il progetto di Giuseppe Sacconi,debitore fra l’altro dell’idea di Antonio (alquale invia fotografia del proprio progettocon dedica), e il 1° gennaio 1885 con Rea-le decreto veniva investito della carica diDirettore e Soprintendente dei lavori. Il 22marzo 1885 il re Umberto I posava la pri-ma pietra dando così inizio alle opere diabbattimento e sventramento ai piedi delcolle capitolino: dall’aprile 1885 al novem-

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bre 1888 venivano abbattuti 28 fabbricatistorici e solamente nell’aprile 1891 le gi-gantesche fondazioni, che avevano impre-vedibilmente fatto lie vitare i costi, emerge-vano dal terreno. Ancora nel gennaio del1892 pro seguivano le spinose e intermina-bili trattative con la ditta rezzatese dei fra-telli Lombardi per la fornitura del Bottici-no per la costruzione: com’è noto, Sacconiaveva previsto l’impiego del locale traverti-no, ma l’allora presidente del consiglio, ilbresciano Giuseppe Zanardelli, era riuscitoa dirottare l’appalto sulle ditte rezzatesi,fondamentale risorsa economica della zonae importante bacino elettorale. Il 30 di-cembre 1894 veniva presentata al Parla-mento una relazione definitiva sullo statodei lavori e sull’aumento dei costi: iniziaro-no le discussioni e il cantiere subì dei ritar-di, tanto che alla morte del Sacconi, 25 set-tembre 1905, il monumento era ancora inparte da costruirsi e all’uo po veniva desi-gnato un triumvirato di architetti che loportasse a termine secondo i progetti: Gae-tano Kock, Pio Piacentini e ManfredoManfredi. Diverso fu il problema per larealizzazione dell’Altare della Patria, al qua-le per primo aveva cercato di dare una for-ma lo scultore Ludovico Pogliaghi in un di-pinto ad olio donato al kaiser GuglielmoII, e lo stesso Sacconi aveva fatto preparareun bozzetto ad Eugenio Maccagnani (l’au-tore del Garibaldi bresciano) in cooperazio-ne con il Gallori e lo Zocchi. Bisognavatuttavia attendere il risultato del concorsodel 1909 che vedeva vincitore il brescianoAngelo Zanelli, residente a Roma da anni,il quale portava a compimento l’opera, al-meno nella fase in gesso, per il 4 giugno1911, giorno di inaugurazione ufficiale delmonumento, ma Antonio Tagliaferri eragià morto da due anni. Il lavoro di Zanellisi concludeva solamente nel 1925 con lacollocazione della grande Dea Roma al cen-tro della edicola, sotto la statua equestre diVittorio Emanuele II.Quando nel 1880 Tagliaferri ricevette ilbando di concorso per l’idea zione del mo-numento a Vittorio Emanuele II a Roma,con ogni probabili tà (e di ciò abbiamochiara testimonianza nella serie di collages dicartoncini e veline probabilmente sistematidal nipote Giovanni dopo la morte dellozio) si orientò immediatamente allo svi -luppo dello schema dell’arco trionfale anti-

co con possibili varianti nelle soluzioni de-gli attici e nella decorazione plastica. Aduna seconda fase appartiene l’elaborazionedi un arco trionfale sopraelevato su una se-rie di gradini, poi un obelisco circondato daun recinto sacro oppure da colonnati, infi-ne la scelta pare essere caduta sulla rivisita-zione-rico stru zione del mausoleo di Adria-no (attuale Castel S. Angelo) affacciato sulTevere. Da questa costante ricerca basatasull’impiego dei diversi stili architettoniciclassici, assemblati in fondali scenograficitraforati da nicchie e colonnati, Tagliaferridoveva desumere l’idea conclusiva di ungrandioso gioco di scalee e piani inclinati adiversi livelli con un coronamento di colon-nati ionici e un tempietto corinzio per la fi-gura di Roma. Il grande colle artificiale sa-rebbe divenuto il fulcro visivo della nuovaRoma (area della stazione Termini), luogodi passaggio veicolare (la base era costituitada due passaggi per carroz ze e due pedona-li) e infine centro di un parco pubblico congiardini e fontane. Nella dettagliata relazio-ne, contraddistinta dal motto “Da Porta Pa-latina a Porta Pia”, consegnata accanto aibozzetti e agli ac querelli, Tagliaferri davauna giustificazione simbolica precisa anchealle scelte architettoniche, indicando nellescalee e nei terrazzamenti il percorso com-piuto dal Risorgimento nazionale, con a ca-po Vittorio Emanuele, da Torino (Porta Pa-latina riprodotta alla base del monumento),attraverso imprese militari (Novara, Magen-ta, San Martino, Crimea) e diplo matiche(Plombières, Berlino) alla presa di Porta Pia(20 settembre 1870) e alla sconfitta del po-tere temporale dei papi (la tiara atterrata).Al centro fra due Vittorie, dominava la sta-tua equestre del re in armi e sotto il motto“Il popolo forte si matura alla scuola delleavversità”.Sotto l’ampio colonnato ionico, memoredei propilei ateniesi, trovavano posto le per-sonificazioni delle 14 regioni italiane in abi-ti classici; mentre a coronamento compari-vano le riproduzioni della Vittoria alatabresciana (ritrovata negli scavi del Capito-lium il 20 luglio 1826). Nella parte posteriore del monumento, alcontrario, venivano messe in evidenza lemasse murarie (e qui in modo più evidentesi scorgono analogie con la mole adrianea eil mausoleo imperiale tout court) e quindiaccanto ai conci di travertino veniva siste-

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mata una porta che abbinava la trabeazionedorica ad una finta loggia romanica.Nella zona superiore, corrispondente al tro-no della Dea Roma, il Genio del Progresso,con eloquenti simboli delle “magnifichesorti e progres sive” dell’età industriale (pilaelettrica, torchio per la stampa e una vapo-riera), rappresentava la sintesi del percorsoevolutivo, storico e culturale, della societàitaliana, dall’età classica, attraverso il Me-dioevo, fino al Risorgimento. Nella sezionedel monumento si coglie chiaramente l’in-tenzione, da parte di Tagliaferri, di creareun Pantheon al di sotto della statua equestre(vera e propria riproduzione del Pantheon,divenuto mausoleo dei Savoia a Roma, conla medesima copertu ra a lacunari): proba-bilmente le tribune disposte in circolo ai la-ti con un ampio vano al centro, volevano ri-chiamare il monumentale sepolcro napoleo-nico de Les Invalides a Parigi e accomunarequindi, nella gloria della Storia, VittorioEmanuelle II alla figura dell’Em pereur deifrancesi.In un confronto fra questa elaborazione e ilprogetto presentato da Sacconi tre anni do-po è facile scorgere quanto questi abbia uti-lizzato del progetto di Tagliaferri, pur mu-tandone la distribuzione dei piani e gli ele-menti allegorici più personali, e questospiega forse l’invio cortese delle 5 riprodu-zioni fotografi che dei propri acquerelli adAntonio che, come si diceva, non partecipòal secondo concorso per il monumento:probabilmente pago del buon ri sultato otte-nuto nella prima tornata della prova e im-pegnato in altri più vicini e redditizzi can-tieri; non da meno è probabile che il nostroevitasse di partecipare, nel 1884, anche pernon incorrere in una seconda e poco esal-tante sconfitta.

11) MONUMENTO A TITO SPERI E SI-STEMAZIONE DELLA PIAZZETTA.Brescia, piazza Tito Speri (1885)

Nel corso delle ricerche nell’archivio diAntonio Tagliaferri è stato rinvenuto unoschizzo a matita su cartoncino, siglato inbasso a sinistra “Architetto Tagliaferri A.”,relativo ad una proposta per un monu-mento a Tito Speri, eroe delle Dieci Gior-

nate nel 1849 e martire di Belfiore. L’ideaera quella di sfruttare il naturale de cliviodelle pendici del Castello di piazza dell’Al-bera, poi piazza 1849, ora piazza Tito Spe-ri, con una serie di due piccole rampe disca le incornicianti uno zoccolo sul qualeuna ricostruita barricata (sul barile rove-sciato si legge la data 1849) faceva da po-dio alla figura dello Speri che indicava alpopolo bresciano la salita di Ognis santi,ora delle Barricate. Il progetto rientravaprobabilmente nell’impegno dell’architettodi ridisegnare tutta la piazzetta e dovevaessere relativo non solamente al monu-mento, fulcro dei giardini che vi avrebbedisposto, ma anche alla rettificazione e allasistemazione delle facciate delle case anti-stanti. La commissione passava poi al gio-vane Domenico Ghidoni l’esecuzione dellastatua di Tito Speri, il quale rea lizzava unafigura di stretta matrice verista, di medio-cre qualità, ma che piacque ai bresciani chevi riconobbero con fa cilità l’eroe cittadino.Il cambio della guardia si doveva certa-mente allo stesso Antonio, che fin dall’ini-zio fece da sostenitore al gio vane scultoredi Ospitaletto, e il basamento della statua,così come la posizione del personaggio, i1disegno delle aiuole e dei vialetti di passeg-gio, sono suoi. Il monumento veniva inau-gurato nel 1888, ma la Piazzetta venivaprogettata fin dal 1885 (anno in cui vacollocato il disegno per la prima versionedel monumento) e più esattamente all’ago-sto (23-30) vanno datati gli schizzi prepa-ratori e a settembre (1-8) il progetto defi-nitivo di sistemazione dell’area). Tuttavianel maggio-giugno 1889 non erano ancorastate collocate sul basamento le epigrafidedicatorie per le quali lo stesso Antonio,sul retro di una lettera datata 18 giugno,stila un bozzetto della cornice e della di-stribuzione delle lettere per l’epigrafista. Algiugno (20-21) e luglio (13-15) 1888 da-tano il trasporto e la sistemazione dellafontanina posta sul lato orientale. La pic-cola fontana si trovava all’interno del con-vento dei SS. Cosma e Damiano, che sor-geva sull’area poi occupata dalla “Casermadegli sbirri” e dall’attuale piazza, spostatonella parte orientale della città dal vescovoBerardo Maggi al fine di ampliare il Bro-letto verso nord. La vasca della fontanellaera stata ricavata dall’arca funeraria del ve-scovo bresciano San Tiziano (opera del se-

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colo XII) e coperta da una tettoia marmo-rea sostenuta da due colonnine con capi-tello pseudocorinzio del secolo XV. La fon-tana fu montata all’esterno della “Casermadegli sbirri” nei primi decenni dell’Otto -cento, come testimonia un disegno dellostesso Antonio ricavato da uno schizzo diGiovanni Renica del 1834, mentre in undisegno acque rellato di Luigi Delelidi det-to il Nebbia, databile al 1820-1825 circa,non è visibile sotto la torre di guardia al-cuna fontana. Nel 1885, appunto, Anto-nio Tagliaferri, impegnato nella risistema-zione della piazzetta dell’Albera e deciso avoler dare un segnale della stratificazionestorica della zona, decideva di riportare lafontana da via Musei al lato orientale dellapiazza, dove appunto un tempo sorgeva ilmedie vale convento dei SS. Cosma e Da-miano. In una foto Glisenti di quegli anniè possibile vedere l’originaria disposizionee collocazione della fontana all’esterno del-la “Caserma degli sbirri”, poi palazzo dellaposta; mentre Antonio, smontatala com-pletamente, ridisegnava una capace vascarettangolare su cui poggiare le due colon-nine (in parte restaurate, come testimonialo schizzo su un taccuino), rialzando alcentro l’arca di San Tiziano con le dueprotomi umane in funzione di cannelle.Nello spazio libero sotto la tettoia facevadipingere a fresco uno stemma no biliaresormontato da un cimiero piumato, oggiquasi illeggibile.

12) VILLA ZANARDELLI.Maderno (Brescia) (1886-1902)

Il 2 giugno 1886 Antonio Tagliaferri sceglie-va, in una località posta tra Fasano e Mader-no, il luogo dove avrebbe dovuto essere co-struita la villa di vacanza dell’allora consi-gliere comunale, poi primo ministro, Giu-seppe Zanardelli. Gli studi iniziarono imme-diatamente tenendo conto della posizionepanoramica verso il lago di Garda su un pro-montorio che permetteva di abbracciare visi-vamente tutta la porzione centro meridiona-le del bacino lacustre.Nel dicembre 1886 Antonio realizzava unprimo progetto della villa in forma di castel-lo medievale, da erigersi in pietra e caratte-

rizzato da uno svettante torrione merlatocon caditoie. L’edificio residenziale invece ri-sultava aperto da una serie di bifore goticheal primo piano (ed una loggia sul lago) e difine stre “Tudor” al secondo (nel coronamen-to della facciata e nella tipologia delle corni-ci richiamava il villino Tonelli di Coccagliodel 1885). Il 27 dicembre del medesimo an-no Antonio realizzava la planimetria distri-butiva del giardino e delle stanze della villasecondo uno schema rettangolare con vanisimmetrici rispetto all’asse mediano. Nelsotteraneo trovavano posto i servizi (dispen-sa, cucina, legnaia, cantina e darsena; al pia-no superiore una camera da letto, il terrazzoe la scala per la torre). A questa prima ver-sione della planimetria ne venne sostituitauna seconda, maggiormente com patta intor-no al centrale vano scale e provvista di unampio parterre verso il lago e di una limo-naia. Alla prima planimetria corrispondevaun secondo progetto neomedievale (del feb-braio 1887), del quale ci è pervenuto unbozzetto che mostra la torre spostata a sud,rispetto all’originaria posizione settentriona-le, ed uno stile più chiaramente desunto dal-l’architettura toscana degli inizi del Quattro-cento: archi a sesto acuto, ma con ampieghiere di pietra, torre guelfa, grandi oculi nelsottotetto. Alla seconda planimetria (sempredel 1887) corrispon de invece un progetto dialzato ovviamente più compatto e privo del-la torre che, pur mantenedo la merlaturaquadrata, assume l’aspetto di un palazzo ve-neziano per le ampie finestre, bifore e trifo-re, dagli elegantissimi trafori a quadrifoglio earchi acuti (modelli sono le veneziane Càd’Oro e palazzo Franceschetti, che da pocoera stato restaurato da Camillo Boito).Nel gennaio del 1887 Tagliaferri aveva an-che tentato la strada della ricostruzione diuna villa in stile “pompejano”, ispiratagliprobabilmente dagli appunti di viaggio presidieci anni prima durante la sua visita agliscavi di Ercolano e Pompei (come testimo-niano alcuni fogli dei taccuini) ed insiemeanche dalla curiosità di richiamare sulle rivedel lago, che aveva visto una importante co-lonizzazione romana (Sirmione con Catullo,le ville di Desenzano e Toscolano), un’archi-tettura nuova anche nel campo della rico-struzione in stile. La distribuzione dei vaniabitativi e i rapporti proporzionali tra gliedifici e i giardini restano quelli già ipotizza-ti per la villa neomedievale, ma con l’ag-

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giunta della portineria e delle abitazioni del-la servitù.Per quando riguarda gli alzati ci sono perve-nuti alcuni bozzetti a matita, in preparazio-ne degli acquerelli definitivi, che mostranola struttura della villa neoveneziana ricopertadi elementi architet tonici e decorativi elleni-stico-romani, disposti in modo coerente e fi-lologicamente documentati e corretti (comela villa dei Papiri ricostruita a Malibu, Ca-lifornia, da Paul Getty per le proprie colle-zioni d’arte). Certo Antonio ha reminescen-ze di monumenti vi sti in prima persona, manon è immemore della folta produzione de -gli studi accademici in questo campo e deiprogetti architettoni ci di Schinkel e di VonKlenze, nonché della contemporanea pitturasimbolista italiana e tedesca. Nel prospettoverso il giardino poi, Antonio non disdegnadi inserire nel contesto architettonico, oltrealle sculture, anche una serie di affreschi de-corativi nel “Quarto stile” pompeiano, cheritroveremo quasi identici nelle decorazionidi villa Feltrinelli a Gargnano, ora Univer-sità, opera di Giovanni Beretta.L’elemento verticale della torre, conservatodai progetti precedenti in posizione limitrofaalla villa, si è trasformato in un tempietto conbassorilievi “a meandro”, antefisse in terracot-ta e colonne do riche. Molto interessante ri-sulta poi la sezione della villa, che mostra nel-la sala di ricevimento le pareti decorate confinte archi tetture e figure svolazzanti su fon-dali monocromi come nel “Terzo” e “Quarto”stile romano; mentre il soffitto, realizzato instucco dipinto, con clipei e rombi incantena-ti contenenti figure allegoriche e simboli, ri-propone l’ori ginale decorazione del soffittodel sepolcro dei Valeri sulla via Latina a Ro-ma, da molto tempo noto agli studiosi. In vo-luto contrasto risul ta invece l’imbarcadero,posto sotto il salone, perchè realizzato constalat titi e pietre nel tentativo di ricostruireuna finta grotta naturale in ossequio al rina-scimentale binomio arte-natura. Nonostante i continui ripensamenti sul pro-getto, nell’agosto del 1889, Tagliaferri elabo-rava un nuovo studio per la villa, sempre in“stile pompejano”, ma con alcune correzioniin merito all’orienta mento dei corpi di fab-brica e alla distribuzione dei vani abita tivi.Dalla nuova planimetria, stilata nel settem-bre del 1889, si ricavavano una maggiore ar-ticolazione delle sale nel corpo centrale dellavilla padronale (sempre a pianta rettangolare

e con ampio parterre semicircolare prospi-cente il lago) e il trasferimento sul lato meri-dionale dei padiglioni (torre belvedere, serre,limonaia). La pianta del seminterrato, cheevidenzia un’attenta e moderna distribuzio-ne dei locali di servizio (con passaggio ancheper la terrazza sul lago), mostra già l’impiegodi pilastri, da realizzarsi in cemento e ferro,posti a sostegno, in corrispondenza dei tra-sversali muri maestri, di tutto l’edificio. Dal-la pianta del piano terreno si ricava unamaggiore attenzione di Antonio alla volontàricostruttiva: il vestibolo con doppia colon-na e vasca centrale (impluvium/compluvium),l’ampia sala di ri cevimento verso il lago e ladistribuzione simmetrica delle altre quattrosale lungo l’asse mediano. Come raccordotra il corpo centra le e la torre (dove viene si-stemata una camera da letto) l’archi tettopredispone lo spazio luminoso della biblio-teca e dello studio, aperti su un portico e sulterrazzo. Al piano nobile invece, oltre allequattro camere da letto e ai servizi corri-spondenti, viene collocato, in asse con la sa-la di ricevimento, un ampio salone.I bei prospetti, a matita su carta, conservatinello studio ci permet tono di cogliere unperfezionamento disegnativo di Antonio eduna maggior ricercatezza decorativa e di det-tagli rispetto alla prima versione del proget-to: egli rispetta nella facciata a monte l’ordi-ne vitruviano nella collocazione di colonneioniche al primo piano e corinzie al secon-do, mentre riserva le tuscaniche ed il bugna-to ai vani di servi zio e al giardino di agrumi.Altrettanto dicasi per l’elegante fac ciata a la-go dove le terrazze sono delimititate da ba-laustre in pietra (con la “croce di S. Andrea”)e l’edificio è aperto da ampi lunet toni congrate, portali coronati da timpani con acro-teri, sfingi, pila stri antropomorfi. In sostitu-zione del compluvium/impluvium, Antonioha poi pensato di collocare un ampio lucer-nario per dare luce al vestibolo (medesimasoluzione applicata nei primi anni del se colodall’architetto Castiglioni nella villa Feltri-nelli di Gargnano, ora Università).La complessità e i costi del progetto nondiedero luogo all’inizio dei lavori almeno fi-no alla fine del 1890 e con un disegno sem-plificato: la villa aveva assunto un aspettopiù dichiaratamente modernista con pochiechi eclettici e veniva compiuta, con le deco-razioni interne di Ettore Ximenes e CesareBertolotti, nel 1902.

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13) CASEGGIATO IN VIA CARROBBIOA MILANO (1889)

Nella lunga, quanto ricca produzione pro-gettuale di Tagliaferri nel suo studio di Mi-lano, sito in Viale Venezia, i progetti percaseg giati monumentali da porsi lungo iprincipali assi viari su modello della Parigidella terza repubblica, sono prevalenti espesso vedono la stretta collaborazione del-l’architetto con alcuni importanti ingegneriquali Casati e Magni. In particolare riveste una certa importanzail progetto, poi non realiz zato, di un caseg-giato da porsi in angolo fra via Cesare Cor-renti e Porta Ticinese, nella zona del Car-robbio. La posizione del fabbricato permet-teva ad Antonio di giocare sugli effetti sce-nografici delle ali laterali e su gli aggetti de-gli elementi decorativi quali colonne, tim-pani, balconi, scul ture.In una prima versione del prospetto descrit-ta in piano, Tagliaferri sfo dera la propriacultura accademica e la propria creativitàdisegnativa assemblando senza soluzione dicontinuità elementi rinascimentali (i timpa-ni rotondi e triangolari alternati, il bugnatorustico) ad elementi gotici (le bifore varia-mente interpretate) e barocchetti (grate inferro traforato con motivi rocaille, stucchi,busti sui timpani delle finestre ecc. ), ma iltutto amalgamato da un décor così dichiara-tamente Belle Epoque da farci intenderequanto Antonio avesse assorbito delle no-vità archi tettoniche parigine, ma anche del-la Roma umbertina.Nel secondo progetto infatti, databile almaggio-giugno 1889, gli elementi ecletticitendono a semplificarsi: le bifore divengo-no serliane, legandosi in tal modo alla pre-senza sul fronte principale di colonne io-niche e sui pilastri di sostegno del bugna-to; mentre il terzo piano, scandito da fine -stre rettangolari con colonnina centrale(di gusto neorinascimentale), vede la pre-senza di una serie di telamoni e cariatidimontati su basi troncopiramidali. L’allureè quello degli ambienti alto borghesi fran-cesi, si pensi alla sala da ballo dell’albergodella Gare d’Orsay, con in più quel legameal patrimonio visivo della cultura rinasci-mentale che in Antonio non viene maimeno ed è alternativo al neomedievale e

si curamente agli sperimentalismi moder-nisti del ferro e del vetro. Nella prospettiva definitiva del complesso,realizzata nel luglio 1889, compaiono ulte-riori varianti e l’insieme della gran macchi-na decorativa è davvero suggestivo. La cifrafilofrancese, intendi parigina, è data pro-prio dal grande attico a mansarda con tim-pano tondo e fregio con putti danzanti, lestatue allegoriche aggettanti dal cornicio-ne, l’ampio finestrone a nicchia con deco-razioni a stucco. Sono spariti i telamoni, leserliane, le bifore, l’insieme è ridimensio-nato per dare maggiore ri salto al corpocentrale, che scenograficamente chiude loslargo del Carrobbio e si apre a ventagliosulle due vie laterali, in modo simile allamonu mentale fontana di Boulevard SaintMichael a Parigi.

14) CASTELLO BONORIS. Montichiari(Brescia) (1890-1892)

Nei medesimi anni dell’elaborazione delSantuario delle Grazie, accanto ad altri pro-getti e impegni pubblici, Tagliaferri affron-ta un secondo problema di restauro-rico-struzione. Nel 1890 il neoconte Gaetano Bonoris, ric-co banchiere mantovano strettamente lega-to alla corte dei Savoia e perciò stesso inve-stito del titolo nobiliare e del “feudo” delpaese di Montichiari presso Brescia, decisedi commissionare ad Antonio il recuperodella antica rocca monteclarense allo scopodi trasformarla in una elegante residenza investe di maniero medievale. La fortezza, fondata ai tempi di Berenga-rio I e arricchita dalla presenza di unachiesetta romanica dedicata a S. Tommaso(testi moniata a partire dal 1167), nel1890 si presentava totalmente abbandona-ta e diruta, se si escludono alcune porzio-ni del triplice giro di mura, che collegava-no il castello al paese sottostante, e la casaquadrangolare del podestà che inglobavafra l’altro parte della chiesetta di San Tom-maso.Il desiderio di una ricostruzione in stile delcastello, rispondente an che nei minimidettagli decorativi agli esempi ancora visi-bili di forti lizi medievali, ma completo di

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ogni comfort moderno, si deve, per quantoci è dato sapere, al Bonoris stesso, i1 qualecercava così di materia lizzare il sogno diun’inesistente quanto nobile tradizione fa-miliare aristocratica, un ricettacolo per lapropria neonata nobiltà che raccogliesseuna collezione di armi antiche, ulterioreprova di un impegno guer resco mai prati-cato. A ciò si aggiunga la speranza, mai so-pita, da parte del Bonoris di realizzare unadimora che avrebbe potuto degnamenteospitare i Reali in visita al fedelissimo,quanto ricchissimo conte.L’idea doveva piacere e stuzzicare moltol’ingegno del Tagliaterri, ma fin dall’iniziodiversi sono gli occhi dell’architetto ri-spetto alle esigenze di gusto e alle ingeren-ze del committente, il quale fra l’altro ave-va in mente un ben preciso modello: il ca-stello e il borgo del Valentino visti in oc-casione dell’esposizione di Torino del1884. Si trattava, come è noto, di un cen-tone architettonico-decorativo, un collagedei pezzi ‘migliori’ dei castelli valdostani epiemontesi, atto a ricostruire una atmosfe-ra cortese favoleggiata e leggendaria, per-fettamente consentanea a tanta pittura distoria di fine secolo o alla contemporaneaproduzione teatrale: si pensi a La partita ascacchi di Giacosa, che fra l’altro era nellacommissione scientifica per la costruzionedel borgo del Valentino. Tagliaferri, alcontrario, segue una linea di ricerca piùcoe rente e corretta: innanzitutto compierilievi dell’esistente al fine di progettareuna nuova struttura che utilizzi il più pos-sibile le fondamenta, le piante e gli alzatiancora visibili della rocca medievale. An-che nello studio dei materiali intende ade-guarsi alle preesistenze: per esempio sce-glie per le cortine murarie un’alternanza dicorsi di pietre di fiume in un letto di mal-ta grossa e disposti a spina di pesce, alter-nati a corsi più sottili di cotto, secondoquanto era ancora leggibile nelle porzionisuperstiti ed in analoghi fortilizi lombardi.Inoltre nel primo progetto la chiesa di SanTommaso e parti della casa del podestà ri-sultano inglobate nella nuova costruzione,caratterizzata da una lunga cortina mura-ria atta a ricostituire l’antica unione fra larocca e il paese con uno sbocco monu-mentale sulla piazza principale. Dalle nu-merose piante e sezioni dell’edificio è tut-tavia chiaramente identificabile una linea

di condotta che da una parte cerca digiustificar si storicamente e stilisticamentee dall’altra immette, occultandoli il piùpossibile, tutti i servizi moderni, dalle tu-bature del gas alle autoclavi per l’acqua,alle cisterne. Bonoris risulta entusiasta dalla prima ste-sura del progetto e incita l’architetto allacontinuazione dei lavori proponendo, èpresumibile, al cune modifiche; forse ac-cenna al suo modello ideale, se il Tagliafer-ri fra il 19 e il 21 ottobre del 1890 si recaa Torino per studiare il castello del Valenti-no eretto dal D’Andrade nel 1884. I risul-tati della missione non sono noti, ma sipuò credere che il Nostro abbia tenuto fe-de alla propria linea di condotta, più at-tenta all’emulazione con l’originale che alpuro gioco di assemblaggio di pezzi diver-si. In una lettera inviata da Antonio a Bo-noris il 13 febbraio 1892, a lavori avviati econ gran parte dei ruderi abbattuti perchégravemente perico lanti, si legge: “In quan-to al progetto delle due stanze sopra laporta in fondo alla rampa ed ai lavori di ri-costruzione delle vecchie mura ch’Ella vor-rebbe fossero eseguite contemporaneamen-te al resto, devo dirle che io non ho con-cretato questa parte del progetto perché ri-tengo conve niente attendere che il corpodi fabbrica principale sia perlomeno co -perto, onde con maggiore sicurezza cavar-ne dagli avanzi quei partiti atti a far mag-giormente comparire la parte pittoresca delnuovo edificio...”. È singolare proprio que-sta affermazione di “pittoresco” che moltoci dice sui rapporti fra progettista e com-mittente ché, certo, di questo ultimo dove-va essere l’idea di un edificio pittoresco;più attenta la posizione del Tagliaferri chenonostante l’anno prima, 1891, avesse giàconsegnato al conte un notevole numerodi tavole acquerellate con la defini zionedettagliata delle parti decorative (lignee epittoriche) di tutti gli ambienti dell’erigen-do maniero, non aveva ancora definito inogni parte la distribuzione degli ambienti ela struttura esterna dell’edificio, in attesadi vedere quanto dell’originale era ancorapossibile mantenere. Fra l’altro, in una del-le sezioni è chiaramente leg gibile la propo-sta di reimpiego della struttura romanicadi San Tommaso, la cui abside a strapiom-bo sul paese emerge all’esterno del corpocentrale, che nel progetto finale doveva es-

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sere trasformata nella sala da pranzo. Sinotano inoltre dei dettagli decorativi appa-rentemente incongrui (una serie di finestrequadrate e a croce rispetto alle aperture ar-chiacute) spiegabili con i riferimenti tipo-logici del Tagliaferri che vanno dai castelliviscontei di Somma Lombarda e di Pandi-no ai castelli di Fènis e di Issogne in Valled’Aosta. Le ingerenze di Bonoris si fanno tuttaviasempre più pressanti e quando giungono atoccare questioni di stile, Tagliaferri rompeil contratto consegnando al committente ladistinte delle spese e le tavole esecutive (ca-pitelli, cornici, affreschi), pagate £. 21.000il 3 maggio 1892. Il conte cerca in ognimodo di coinvolgere nella prosecuzione deilavori il nipote di Antonio, Giovanni Ta-gliaferri, il quale tuttavia rifiuta. Non aven-do alternative e desiderando al più prestoconcludere i lavori, Bonoris, abbandonandol’idea di chiamare un architetto-progettista,si procura le piante e le sezioni del castellodel Valentino e i cartoni dogli affreschi ivieseguiti e convoca a Montichiari, nelle vestidi meri esecutori, l’ar chitetto brescianoCarlo Melchiotti e il pittore torinese Giu-seppe Rollini, così come sono torinesi i mo-bili in stile gotico-valdostano realizzati daifratelli Alboretti di Torino (fra il 1895 e il1900).Il castello, pur avendo avuto un avvio coe-rente alla situazione originaria, viene com-pletamente trasformato sia all’esterno cheall’interno, divenen do per la gran parte lariproduzione fedele del castello del Valenti-no e del castello di Fènis: il sogno di Bono-ris di realizzare una degna cornice per ospi-tare re Umberto I era tragicamente tramon-tato a Monza all’inizio del secolo, mentrenell’avito maniero lo stesso Bonoris si spe-gne il 19 dicembre 1923. Gli era premortoAntonio Tagliaferri, nel 1909, senza che inalcun modo l’architetto fosse tornato sullapropria decisione e avesse ripreso in manole fila del cantiere, come invece gli era riu-scito a fare alle Grazie.Il dolore per questo lavoro mai terminatoè leggibile fra le righe di alcune lettere ac-corate scritte dal Tagliaferri all’amico mi-lanese Cochard, nelle quali fino all’ultimoegli difende la libertà di scelta e il rigorestorico della ricerca del ‘vero’ architetto-progettista ‘moderno’ di fronte ai ruderidel passato.

15) VILLA DI ALESSANDRO FENA-ROLI. Fantecolo, frazione di Cami-gnone (Brescia) (1895-1897)

Il progetto per la villa di Alessandro Fena-roli in Franciacorta impegnò Antonio peralcuni anni, sebbene il progetto vero pro-prio fosse già di fatto consegnato tra il1895 e il 1896. Il 22 luglio 1896 Tagliaferri si recava inlocalità Bardellone a Fantecolo, piccolafrazione di Camignone in collina, anticaproprietà del conte Alessandro Fenaroli,per eseguire alcuni rilievi della cascina al-lora esistente. Di quell’edificio restanodue fotografie, scattate da Giovanni Ta-gliaferri in occasione di un secondo so-pralluogo, richiestogli dallo zio allora re-sidente a Milano, dalle quali è possibilededurre che parte dei loggiati e dei porti-ci furono recuperati e riutilizzati nel pro-getto definitivo della villa.A partire dal luglio 1895 a tutto dicembreAntonio si dedicava senza interruzione al-l’elaborazione del progetto, con una ric-chissima serie di schizzi, tavole e disegniesecutivi. Antonio già nel gennaio 1896aveva realizzato l’acquerello con la vedutaprospettica della villa e nel corso dell’annoproseguiva nella realizzazione di dettaglidecorativi, lucidi e disegni esecutivi. Il 18maggio si recava a Cremona con il conteAlessandro per la scelta delle terracotte enel luglio questi gli scriveva a Milano co-municandogli le ulti me offerte par l’acqui-sto dei modelli e la richiesta di inizio dellavori. Le demolizioni necessarie iniziava-no infatti il 28 luglio e nell’agosto Antonioproponeva una nuova pianta con alcunevarianti che tenessero conto del recuperodi alcune parti dell’antica cascina.Intensissima fu l’attività nel secondo seme-stre dell’anno, tutto dedicato ai dettaglicompositivi e decorativi almeno fino algennaio 1897, quando realizzava il disegnoper il cancello (simile a quello per il conteFelice nel palazzo di città) e per il balconeverso la campagna. L’anno seguente, a la-vori quasi conclusi, l’architetto consegnavai disegni delle scale e di tutti i serramentidella casa fino alla decorazione pittoricadel frontone d’ingresso alla villa e dei ru-stici. Nel corso del 1898 proseguiva con la

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lapide dedicatoria, le decorazioni delle scu-derie e gli affreschi esterni.Significativamente il 4 novembre si recavain visita alla villa con il commendator Ber-telli che, nel luglio, gli aveva appuntocommissionato un palazzo neoquattrocen-tesco de erigersi a Brescia in via Dante. Nel contratto di progettazione entravanoanche i bozzetti per la decorazione pittori-ca del salone di ricevimento e dei mobilid’arredo (realizzati rispettivamente il21-24 marzo e il 25-29 marzo 1899); nelsettembre del medesimo anno progetta vala struttura del giardino. La villa potevadirsi definitivamente conclusa nel 1900quando, in marzo, Antonio consegnava idisegni esecutivi per un tavolo da inserirenella galleria. La cartella contenente i disegni di villa Fe-naroli a Fantecolo è fra le più ricche con-servate nello studio (insieme a quelle dellaLoggia, del Teatro Grande e del castelloBonoris) e ci permette ancora oggi di rico-struire l’iter d’invenzione del l’intero pro-getto. Nel 1895, subito dopo i rilievi, Antoniopensava con ogni probabilità ad una resi-denza in stile medievale (come quella Trec-cagni a S. Martino o Bonoris a Montichia-ri), come risulta da un piccolo schizzo amatita dove, accanto al portale fortificatocon torrette angolari d’avvistamento, siscorge sullo sfondo un massiccio torrione,mentre sulla destra, nel corpo di fabbricafortificato, è innestata una villa dalle lineevagamente gotiche. Come si diceva, Antonio nel corso dellaprogettazione cercava di recuperare granparte degli elementi murari della cascinapree sistente, scelta questa verificabile nel-l’osservazione di una planimetria dove ingrigio sono indicate le preesistenze e intratteggio la distribuzione del nuovo edifi-cio con due varianti: una con indicati gliorientamenti delle mura del giardino, l’al-tra con la struttura quadrata della villa e ledue ali porticate del cortile. Nella seconda fase progettuale Tagliaferriabbandonava tuttavia il repertorio medie-vale, optando per l’architettura quattro-centesca toscana nei volumi quadrati, nellefinestre monofore a tutto sesto e negli ocu-li del sottotetto, ma con innesti di gustolombardo nell’impiego della terracotta mo-dellata. Questo rapporto con la tradizione

locale si faceva palese nella decorazionepittorica del cortile, dove Antonio avevaproposto, accanto alle fiammelle dorate sufondo rossastro, gli anelli incatenati poli-cromi di ascendenza mantegnesca.Nel progetto, consegnato alla fine de11896, l’architetto proponeva al commit-tente une articolata planimetria dell’abita-zione dove tutte le sale di rappresentanza(contenute nella villa padronale) si affac-ciassero verso il paesaggio collinare e suun giardino all’italiana: mentre tutte le zo-ne di servizio, riutilizzando parte dellamuratura originaria, si distribuissero in-torno al cortile fino alla zona delle scude-rie. Gli studi del le facciate e del leprospetti ve del complesso (realizzate tra il1896 e i l 1897) sono debitori del laprofonda conoscenza dell’architettura ri-nascimentale acquisi ta da Tagliaferri in oc-casione del progetto della Loggia. Infattiper Fantecolo egli pescava a piene manidai repertori dell’architettura quattrocen-tesca, non solo mescolando loggiati a bal-coni angolari traforati, monofore conghiera in pietra archiacuta ad oculi dipin-ti, ma soprattutto recuperando un’infinitàdi dettagli decorativi che contribuisconoad una ricostruzione d’ambiente coerentee credibile. Certo nelle soluzioni interne non vienemeno l’attenzione allo standard di como-dità che allora si poteva pretendere dallamoderna tecnologia, ma il gusto per i det-tagli e la consapevolezza dell’importanzadei materiali hanno fatto in modo che An-tonio producesse una notevole serie di ta-vole esecutive per falegnami e fabbri per laproduzione diversificata di infissi internied esterni, pavimenti, soffitti a cassettoni,ringhiere, copricaloriferi, tutti in stile. Ildiscorso vale anche per le parti in pietra ein terracotta: dai pilastri ai capitelli, dallecornici ai bassorilievi decorativi, tutto èmodellato con attenzione ed equilibrio for-male. Ciò che non gli era riuscito di vede-re realiz zato né in palazzo della Loggia nénel castello Bonoris. Antonio ebbe la sod-disfazione di vederlo concluso qui, a Fan-tecolo, alla fine del 1897, come ricorda lalapide posta accanto all’ingresso e da luistesso concepita “Alexander nob.s Fanaro-lus/ingenio et cura/Archit.i Antonii Eg.sTagliaferri/villam a fundamentis erexit/an-no Domini MDCCCIIC”.

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16) VILLINO LAUGIER. Comerio(1902-1906)

Tra le numerose invenzioni di villette,palazzetti, rustici per le vacanze estivenella zona della Franciacorta e dellaBrianza, queste ultime sempre pensatein collaborazione con gli studi degliingegneri milanesi Casati e Magni, ilprogetto per villa Laugier a Comerio èforse tra le più conosciute.I lavori, che si collocano tra la prima-vera del 1902 e l’inverno del 1906, sioccuparono della decorazione del cor-tile, di alcuni elementi di arredo inter-no e della portineria: da ciò si evinceche la villa padronale doveva esserepreesistente e che ad Antonio era statocommissionato semplicemente l’am-modernamento e il padiglione dellaportineria o “capannina”. Il disegno ela china su velina che ci sono pervenu-ti hanno il gusto succoso del bozzettotanto caro ad Antonio, dove ambien-tazione storica e architettura si sposa-no in un allure quasi teatrale. Il picco-lo corpo di fabbrica infatti riproduceun edificio civile quattrocentesco ca-ratterizzato dalla scala esterna, addos-sata al muro con tettoia a vista e co-lonnine a “foglia grassa”, tipiche del-l’architettura lombarda del secolo XV.Porte e finestre, con arco ribassato eaperture a bifora, sono chiuse da vetrimolati e piombati, così come le paretisono decorate da graffiti e finti bugna-ti, alla moda lombarda, con alcuni fre-gi floreali desunti dalle miniature.Certo, la proposta è un’antologia diarchitetture civili del Quattrocentopiù che un tentativo di ricostruzionefilologica, ma questo ad Antonio inte-ressava relativamente, come aveva di-mostrato in modo più chiaro e monu-mentale nel castello Bonoris di Monti-chiari e in villa Fenaroli a Fantecolo.

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Teatro GrandeScenografia del “Casino dei Nobili” e del TeatroGrande prospiciente il Corso del Teatro, 1867-1868, china e acquarello su cartoncino, cm. 62x 103. Brescia, collezione privata

Sezione sulla linea CD (est-ovest) del “Casino deiNobili” e dell’atrio del Teatro Grande sul Corsodel Teatro, 1867-1868, china e acquarello sucartoncino, cm. 62 x 103. Brescia, collezioneprivata.

Castelletto LechiProspettiva del castelletto per Teodoro Lechi in lo-calità Nassina a Poncarale, 1870-1875, acqua-rello e inchiostro su carta, cm. 33,5 x 51,5.Brescia, collezione privata

Palazzo della LoggiaPlanimetria del piano terra di palazzo della Log-gia, 1873, matita e inchiostro su carta, cm. 82x 57. Brescia, collezione privata

Prospettiva di palazzo della Loggia ed edificiadiacenti, 1873-1892, matita e inchiostro sucarta, cm. 50 x 42. Brescia, collezione privata

Elevazione del palazzo degli uffici sul lato norddella Loggia, 1873-1892, matita su carta, cm.44 x 58. Brescia, collezione privata

Prospettiva del palazzo della Loggia e degli edifi-ci adiacenti, 1873-1892, matita su carta, cm.44 x 58. Brescia, collezione privata

Sezione sulla linea AB di palazzo della Loggia,1873-1892, matita e inchiostro su cartoncino,cm. 60 x 81. Brescia, collezione privata

Prospettiva dell’ingresso al salone del primo pianodi palazzo della Loggia, 1873-1892, matita sucarta, cm. 61 x 48. Brescia, collezione privata

Prospettiva dello scalone d’onore e dell’atrio alprimo piano di palazzo della Loggia, 1873-1892, matita su carta, cm. 61 x 48. Brescia,collezione privata

Veduta dell’atrio e delle decorazioni al primopiano di palazzo della Loggia, 1873-1892, ac-quarello su cartoncino, cm. 12 x 7. Brescia,collezione privata

Bozzetto per la decorazione del soffitto del saloneal primo piano di palazzo della Loggia, 1873-

1892, matita e acquarello su carta, cm. 21 x31. Brescia, collezione privata

Santuario di Santa Maria delle GrazieStudio di ampliamento del Santuario, 1875-1876, matita su cartoncino, cm. 40 x 53. Bre-scia, Santuario di Santa Maria delle Grazie

Bozzetto per la decorazione dell’altare maggioredel Santuario delle Grazie, 1875 - 1907, acqua-rello su cartone, cm. 113 x 75,5. Brescia, San-tuario di Santa Maria delle Grazie

Disegno per l’esecuzione di un candelabro a treluci per il Santuario delle Grazie, 1875-1907,acquarello su cartoncino, cm. 88 x 63,5. Bre-scia, Santuario di Santa Maria delle Grazie

Studio degli arredi per l’altare maggiore del San-tuario, 1876-1878, matita e china su cartonci-no, cm. 44 x 69. Brescia, Santuario di SantaMaria delle Grazie

Monumento ad ArnaldoPlanimetria con la sistemazione dell’intera areaurbana di Porta Orientale per la collocazione delMonumento ad Arnaldo, 1877-1880, acquarel-lo e inchiostro su cartoncino, cm. 67,7 x 93,3.Brescia, collezione privata

Studio per la cancellata di recinzione del monu-mento ad Arnaldo, 1877-1880, matita e acqua-rello su cartoncino, cm. 66 x 96. Brescia, col-lezione privata

Studio per lampione da collocarsi in piazzale Ar-naldo, 1877-1880, matita su cartoncino, cm.27,2 x 50. Brescia, collezione privata

San Giovanni EvangelistaProgetto di sistemazione della cappella del Santissi-mo Sacramento in San Giovanni Evangelista,1877-1883, acquarello e inchiostro su cartonci-no, cm. 51 x 39,5. Brescia, collezione privata

MobiliProspetto e sezione di caminetto e caminiera digusto neosettecentesco, 1879-1904, matita sucarta, cm. 35 x 46. Brescia, collezione privata

Progetto per credenza in stile pompeiano, 1879-1904, acquarello su cartoncino, cm. 50 x 43.Brescia, collezione privata

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Elenco delle opere esposte

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Monumento alle Cinque Giornatedi MilanoProgetto per l’erezione di un monumento alleCinque Giornate di Milano, 1880, acquarellosu cartoncino, cm. 49,5 x 34. Brescia, colle-zione privata

“Sala bresciana” all’esposizionedi MilanoProgetto per la decorazione della “Sala bresciana”all’esposizione generale di Milano, 1881, acqua-rello su carta, cm. 30 x 27. Brescia, colezioneprivata

Monumento a Vittorio Emanuele IIa RomaCollage di bozzetti per il Monumento a VittorioEmanuele II a Roma, 1881, matita e inchiostrosu carta incollata su cartoncino, cm. 33 x 47.Brescia, collezione privata

Collage di bozzetti per il Monumento a VittorioEmanuele II a Roma, 1881, matita e inchiostrosu carta incollata su cartoncino, cm. 38 x 56.Brescia, collezione privata

Collage di bozzetti per il Monumento a VittorioEmanuele II a Roma, 1881, matita e inchiostrosu carta incollata su cartoncino, cm. 38 x 56.Brescia, collezione privata

Prospettiva del Monumento a Vittorio EmanueleII a Roma, 1881, inchiostro su cartoncino, cm.35 x 47. Brescia, collezione privata

Prospetto principale del Monumento a VittorioEmanuele II a Roma, 1881, matita su cartonci-no, cm. 48 x 77. Brescia, collezione privata

Prospetto posteriore del Monumento a VittorioEmanuele II a Roma, 1881, matita su cartonci-no, cm. 48 x 77. Brescia, collezione privata

Prospettiva generale del monumento a VittorioEmanuele II a Roma, 1881, acquarello su carta,cm. 46 x 80. Brescia, collezione privata

Monumento a Tito SperiProgetto per l’erezione di un monumento a TitoSperi, 1885, matita su carta, cm. 48 x 37. Bre-scia, collezione privata

Villa Zanardelli a MadernoPlanimetria di villa Zanardelli a Maderno,1886-1889, acquarello su cartoncino, cm. 29x 44. Brescia, collezione privata

Prospettiva di villa Zanardelli a Maderno instile pompeiano, 1886-1889, acquarello sucartoncino, cm. 10 x 12. Brescia, collezioneprivata

Prospettiva di villa Zanardelli a Maderno in stilepompeiano, 1886-1889, acquarello su cartonci-no, cm. 32 x 46. Brescia, collezione privata

Prospettiva generale di villa Zanardelli a Mader-no, 1886-1889, acquarello su cartoncino, cm.29 x 44. Brescia, collezione privata

Prospetto di villa Zanardelli a Maderno in stilepompeiano, 1886-1889, matita su cartoncino,cm. 39 x 23. Brescia, collezione privata

Prospetto di villa Zanardelli a Maderno in stilepompeiano, 1886-1889, matita su cartoncino,cm. 39 x 23. Brescia, collezione privata

Prospetto di villa Zanardelli a Maderno in stilepompeiano, 1886-1889, matita su cartoncino,cm. 39 x 23. Brescia, collezione privata

Il Carrobbio a MilanoProspettiva dell’edificio al Carrobbio a Milano,1889, acquarello su cartoncino, cm. 57 x 62.Brescia, collezione privata

Prospetto di una facciata del Carrobbio a Mila-no, 1889, matita su cartoncino, cm. 50 x 68. Brescia, collezione privata

Prospetto di una facciata del Carrobbio a Mila-no, 1889, matita su cartoncino, cm. 50 x 68.Brescia, collezione privata

Castello Bonoris a MontichiariPlanimetria del castello Bonoris a Montichiari,1890-1892, acquarello su cartoncino, cm. 55x 77. Brescia, collezione privata

Prospettiva del castello Bonoris da Montichiari,1890-1892, matita su lucido, cm. 39 x 55.Brescia, collezione privata

Elevazione a mattina del castello Bonoris di Mon-tichiari, 1890-1892, matita e china su cartonci-no, cm. 48 x 66. Brescia, collezione privata

Disegno esecutivo di un capitello del cortile delcastello Bonoris a Montichiari, con la figura alle-gorica dell’architetto-capomastro, 1890-1892,matita su cartoncino, cm. 48 x 66, 11 tavole.Brescia, collezione privata

Progetto per la decorazione interna del castelloBonoris a Montichiari, 1890-1892, acquarellosu cartoncino, cm. 48 x 66, 11 tavole. Brescia,collezione privata

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Progetto per la decorazione interna del castello Bo-noris a Montichiari, 1890-1892, matita su car-toncino, cm. 48 x 66. Brescia, collezione privata

Villa Fenaroli a FantecoloProspettiva d’insieme di villa Fenaroli a Fanteco-lo, 1895-1897, acquarello su carta, cm. 42 x59. Brescia, collezione privata

Planimetria di villa Fenaroli a Fantecolo, 1895-1897, inchiostro su cartoncino, cm. 38 x 56.Brescia, collezione privata

Sezione sulla linea CD di villa Fenaroli a Fante-colo, 1895-1897, inchiostro su cartoncino, cm.73 x 52. Brescia, collezione privata

Disegno esecutivo per capitello e cornice d’impo-sta di villa Fenaroli a Fantecolo, 1895-1897,matita su cartoncino, cm. 76 x 56. Brescia,collezione privata

Disegno per la cancellata monumentale di villaFenaroli a Fantecolo, 1895-1897, acquarello sucartoncino, cm. 68 x 50. Brescia, collezioneprivata

Villa Laugier a ComerioProspettiva della portineria di villa Laugier aComerio, 1902-1906, matita su cartoncino,cm. 26 x 35,5. Brescia, collezione privata

AlbumTaccuino di viaggio, totale fogli 41, disegnid’architettura e ricordi di viaggio con appuntia matita e inchiostro, cm. 12 x 18. Brescia,collezione privata

Album di repertorio, totale fogli 45, disegni di ar-redi, cancellate, edifici in stile, matita e inchio-stro, cm. 14 x 20. Brescia, collezione privata

Album di schizzi, totale fogli 31, disegni di am-bientazioni in stile, inchiostro, matita e acqua-rello, cm. 14 x 20. Brescia, collezione privata

Album di repertorio, totale fogli 20, schizzi rita-gliati e incollati con appunti, inchiostro e ma-tita, cm. 21 x 30. Brescia, collezione privata

Album di repertorio, totale fogli 16, disegni conrepertori in stile, inchiostro, cm. 25 x 35. Bre-scia, collezione privata

Album con disegni, totale fogli 15, disegni diAntonio Tagliaferri raccolti e incorniciati dalnipote Giovanni (post 1909), matita e inchio-stro, cm. 37 x 27. Brescia, collezione privata

RitrattiAntonio Tagliaferri ripreso nel giardino dellavilla di Vilminore in val di Scalve, stampa fo-tografica, 1905 circa. Brescia, collezione pri-vata

Domenico Ghidoni, Busto di Antonio Taglia-ferri, 1910, bronzo, cm. 53 x 53. Brescia, col-lezione privata

Giovanni Tagliaferri, Ritratti familiari (rico-noscibili a partire da sinistra Carlo Tagliafer-ri, il fratello architetto Antonio, il pittoreCarlo Manziana, due profili femminili, Giu-seppe Manziana, NinÏ Manziana, il nipoteingegner Giovanni), 1910-12, acquarello sucartoncino come ombre cinesi, cm. 36 x 47.Brescia, collezione privata

DipintiVeduta di fantasia di una chiesetta romanica,1890-1900, olio su tela, cm. 59,5 x 48. Bre-scia, collezione privata

Il Mausoleo Martinengo nella chiesa di SanCristo, 1904, olio su tela, cm. 98,5 x 75. Bre-scia, collezione privata

Veduta della loggia di un Monastero alpinoquattrocentesco con riprodotto sulla parete unaDanza macabra, 1901, acquarello su carta,cm. 22 x 15. Brescia, collezione privata

Veduta della facciata di un santuario di stileneobarocco (vicino al prospetto della parrochia-le di Polpenazze), 1901, acquarello su carta,cm. 22 x 15. Brescia, collezione privata

Conversazione in un giardino settecentesco,1901, acquarello su carta, cm. 22 x 15. Bre-scia, collezione privata

Prospetto di un edificio di gusto neoquattrocen-tesco lombardo da adibirsi a sede di un CircoloArtistico, 1897, acquarello su carta, cm. 70 x50 (presentato all’Esposizione del Sempione aMilano nel 1906). Brescia, collezione privata

LibriEstratto della rivista “Edilizia Moderna”,1910, con l’illustrazione dell’intervento diAntonio Tagliaferri in Santa Maria delle Gra-zie a Brescia. Brescia, collezione privata

De Dartein, Architettura lombarda, 1880(proveniente dalla biblioteca di Antonio Ta-gliaferri). Brescia, collezione privata

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Page 81: IL PROGETTO DISEGNATO-2 ANTONIO TAGLIAFERRI · Zanardelli nel 1857 in “Il Crepuscolo”2, era la se conda città della regione per potenzialità industriali, essendo situata strategicamente

Il progetto disegnato - 2Antonio Tagliaferri (1835-1909)16 gennaio - 3 febbraio 1999Mostra organizzata dall’AAB

Cura della mostra e redazione dei testi:Valerio Terraroli

Cura del catalogo:Vasco Frati, Gabriella Motta e Valerio Terraroli

Progetto grafico: Martino Gerevini

Cura dell’allestimento: Anna Adami, Pierangelo Arbosti, Ermete Botticini, Roberto Formigoni, Giuseppe Gallizioli e Giusi Lazzari

Referenze fotografiche:Fotostudio Rapuzzi - Brescia

Collaborazioni:Ordine degli architetti e Ordine degli ingegneri di Brescia

Assicurazione:RAS, Agenzia di Gardone Val Trompia

Direzione: Gabriella Motta, Giuseppina RagusiniSegreteria: Monica Ferrata

L’A.A.B. ringrazia gli eredi di Antonio Tagliaferri e il Santuario di Santa Maria delle Grazieper il prezioso impegno profuso per la realizzazione della mostra.

Stampa: Arti Grafiche Apollonio - BresciaFinito di stampare nel mese di gennaio 1999Di questo catalogo sono state stampate 500 copie