Il processo educativo e la dirigenza

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a cura di Filippo Quitadamo, dirigente 1 Manfredonia, 20 agosto 2018 Agli adulti di buona volontà Oggi alla scuola si chiede molto, si chiede che produca educazione, persegua le finalità educative che le sono proprie, che sviluppi il senso di sé, il rispetto di sé, degli altri, dell regole, della Natura, l’autonomia, tutti quegli atteggiamenti capaci di garantire la convivenza e la cittadinanza responsabile e sostenibile. La Scuola deve educare la persona mediante l’istruzione per combattere l’analfabetismo emotivo e l’orfanezza dell’educazione. Il concetto di educazione coinvolge tutti gli stimoli che ci provengono dal mondo esterno, dalle cure familiari ai contatti con il mondo della scuola, dall’incontro occasionale all’apporto dei mezzi di comunicazione. Ogni essere umano ha potenzialmente l'intelligenza e le energie affettive da esprimere e delle naturali attitudini. Dipenderà in gran parte dall’educazione, dagli stimoli ambientali che quelle energie potenziali trovino il modo più compiuto e più equilibrato di realizzarsi. Il processo educativo e la dirigenza È «intenzionale» (cioè, rivolto a un fine preciso). È «generativo» (cioè, promuove il compimento dell’identità). È «etico» (cioè, prevede l’ancorarsi a un dovere, quello educativo, che implica giudizio e responsabilità). Fine e obiettivo Il fine è l’orizzonte di senso che orienta l’agire educativo. L’obiettivo è un traguardo (cui ne seguono altri), raggiungibile attraverso l’organizzazione delle azioni educative. L’educazione È «proposta», è «promozione», è un «processo personale», è un processo «relazionale», è un processo «culturale», è un processo «situazionale». È un diritto per gli alunni, un dovere per gli adulti, la scuola. «L'educazione e la sua etimologia incerta» La parola educazione ha un’etimologia «incerta tra educare – forse da edere = alimentare – (allevare, coltivare) ed educere (tirar fuori, sviluppare, liberare, far venire alla luce qualcosa che è nascosto, portare a compimento)», che «fa riferimento a un intervento promozionale, riferito nel primo caso più agli aspetti organici (allevamento, custodia, assistenza, cura, nutrizione, igiene)» e nel secondo caso, invece, sembra prevalere l’attenzione per ciò che il soggetto umano possiede, ha già e può sviluppare. Nel corso del tempo ha prevalso la derivazione etimologica da ex-ducere, che è stata utilizzata «allo scopo di evidenziare o rafforzare una visione dell’educazione come processo in cui si sviluppano potenzialità che MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA Istituto Comprensivo “San Giovanni Bosco” 71043 M A N F R E D O N I A – F G Via Cavolecchia, 4 – CF: 92055050717 – CM: FGIC872002 Tel.: 0884585923 Fax: 0884516827 Sito web: www.icsangiovannibosco.edu.it E-mail: [email protected] - [email protected]

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a cura di Filippo Quitadamo, dirigente 1

Manfredonia, 20 agosto 2018

Agli adulti di buona volontà

Oggi alla scuola si chiede molto, si chiede che produca educazione, persegua le finalità educative che le sono proprie, che sviluppi il senso di sé, il rispetto di sé, degli altri, dell regole, della Natura, l’autonomia, tutti quegli atteggiamenti capaci di garantire la convivenza e la cittadinanza responsabile e sostenibile. La Scuola deve educare la persona mediante l’istruzione per combattere l’analfabetismo emotivo e

l’orfanezza dell’educazione.

Il concetto di educazione coinvolge tutti gli stimoli che ci provengono dal mondo esterno, dalle cure familiari ai contatti con il mondo della scuola, dall’incontro occasionale all’apporto dei mezzi di comunicazione. Ogni essere umano ha potenzialmente l'intelligenza e le energie affettive da esprimere e delle naturali attitudini. Dipenderà in gran parte dall’educazione, dagli stimoli ambientali che quelle energie

potenziali trovino il modo più compiuto e più equilibrato di realizzarsi.

Il processo educativo e la dirigenza

È «intenzionale» (cioè, rivolto a un fine preciso). È «generativo» (cioè, promuove il compimento dell’identità). È «etico» (cioè, prevede l’ancorarsi a un dovere, quello educativo, che implica giudizio e responsabilità).

Fine e obiettivo

Il fine è l’orizzonte di senso che orienta l’agire educativo.

L’obiettivo è un traguardo (cui ne seguono altri), raggiungibile attraverso l’organizzazione delle

azioni educative.

L’educazione

È «proposta», è «promozione», è un «processo personale», è un processo «relazionale», è un processo

«culturale», è un processo «situazionale».

È un diritto per gli alunni, un dovere per gli adulti, la scuola.

«L'educazione e la sua etimologia incerta»

La parola educazione ha un’etimologia «incerta tra educare – forse da edere = alimentare – (allevare, coltivare) ed educere (tirar fuori, sviluppare, liberare, far venire alla luce qualcosa che è nascosto, portare a compimento)», che «fa riferimento a un intervento promozionale, riferito nel primo caso più agli aspetti organici (allevamento, custodia, assistenza, cura, nutrizione, igiene)» e nel secondo caso, invece, sembra prevalere l’attenzione per ciò che il soggetto umano possiede, ha già e può sviluppare. Nel corso del tempo ha prevalso la derivazione etimologica da ex-ducere, che è stata utilizzata «allo scopo

di evidenziare o rafforzare una visione dell’educazione come processo in cui si sviluppano potenzialità che

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA

RICERCA

Istituto Comprensivo “San Giovanni Bosco” 71043 M A N F R E D O N I A – F G

Via Cavolecchia, 4 – CF: 92055050717 – CM: FGIC872002

Tel.: 0884585923 Fax: 0884516827 Sito web: www.icsangiovannibosco.edu.it

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sono già “dentro” l’educando». L’educazione sarebbe cioè l’intervento con cui le potenzialità del soggetto

«vengono tirate fuori», aiutate a esprimersi, portate in atto; l’esito dell’educazione appare in qualche modo

immanente al processo intrinseco al soggetto» e «l’intervento serve solo a permettere alla “natura”

dell’educando di esprimersi».

«Educazione come educere»

Naturalmente, propendo per la seconda accezione etimologica, facendo leva su significati sovente

trascurati, quali «generare, dare alla luce, far sbocciare», per riferirmi metaforicamente all’intenzionalità

maieutica di conferire nuova vita (rendendo l'uomo più uomo), favorendo la manifestazione dell’umanità

consapevole e per identificare la missione educativa con l’emersione e lo sviluppo globale e armonico di

tutto l’uomo, o, ancora, degli aspetti principali della sua personalità.

«L’educazione è intesa come rapporto promozionale autenticante della piena autonomia personale

dell’educando».

«L’educazione appare … consistere in una processualità che presenta tre aspetti: un aspetto personale,

uno sociale, uno culturale».

«L’educazione socializza il soggetto, vale a dire attua la sua interazione umana con gli altri, sentiti come

“altri se stessi”, come pari, in un rapporto soggetto-soggetto, persona-persona (rapporto intersoggettivo o

interpersonale) e con il genere umano, l’intera famiglia umana: l’educazione sotto il profilo della finalità

sociale è senso dell’altro e interazione con gli altri».

L’educazione civilizza, culturalizza il soggetto, vale a dire gli trasmette la cultura formatasi nel corso delle

generazioni e ne fa, di un primitivo, come è chiunque alla nascita, un essere che può rivivere in se stesso la

civiltà della comunità dove è nato e che può farla ulteriormente progredire con i propri apporti personali».

Nel processo educativo nella sua complessità, convergono, quindi, 5 processi educativi-formativi, qui di

seguito riassunti:

① Processo di personalizzazione: fortemente connesso al concetto di autoaffermazione ontologica ed è

diretto e orientato dalla permanente intenzionalità autoeducativa ed educativa che abbraccia il desiderio

olistico di realizzarsi integralmente, attuando ogni funzione/talento/potenzialità personale (fisica, logica,

espressiva, emotivo-affettiva, morale, creativa, spirituale, etc.) in modo armonico. Tale processo esige un

costante passaggio dalla dimensione ontica (essere) dell’essere umano alla dimensione deontica (dover

essere), secondo una dinamica basata sullo sviluppo di un orizzonte di senso che determini un progetto

esistenziale in grado di conferire valore e dignità a ciò che è già fine e valore di per sé: la persona;

② Processo di socializzazione: Tale processo ha luogo sin dalla nascita, entro il rapporto madre-figlio e

prosegue in ambito familiare. In ordine a queste due fasi si può parlare di socializzazione primaria. La

socializzazione secondaria, invece, prende avvio nel momento in cui si realizzano le condizioni per

instaurare relazioni attive e consapevoli con la società umana e si fa coincidere con l’ingresso a scuola. Pare

evidente, inoltre, che il processo di socializzazione proceda lungo tutto l’arco della vita;

③ Processo di conquista della civiltà e della cultura patrimonio, cioè processo di civilizzazione e

culturalizzazione);

Processo di civilizzazione. Concentra l’attenzione sulla condizione di civis, ossia membro di una civitas (città, ma anche civiltà). Come il processo di culturalizzazione, può diramarsi in un duplice senso e possiamo riferirci all’adesione passiva dell’individuo a valori della civiltà di appartenenza (civiltà cristiana, occidentale,

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contadina, etc.), oppure possiamo guardare all’educazione alla cittadinanza della persona e ipotizzare il suo impegno politico, la sua partecipazione attiva alla promozione delle risorse territoriali, il suo contributo alla crescita della comunità.

Processo di culturalizzazione. Può svilupparsi in una duplice direzione: da una parte si può intendere come

acquisizione, introiezione e apprendimento di modelli culturali, di saperi, di patrimoni di conoscenza, di

bagagli di nozioni, etc.; dall’altra come produzione attiva e partecipe di cultura. Pensiamo, in questo senso,

all’associazionismo culturale, alla ricerca condotta in ambito universitario, all’espressione artistica….

④ Processo di crescita sul piano etico-morale: la crescita sul piano etico-morale si ha nel momento

in cui il soggetto apprende ad amarsi e ad amare il prossimo, esercitando la solidarietà, il dialogo, l’ascolto,

il confronto, il rispetto, l’accettazione incondizionata …;

⑤ Processo di crescita sul piano spirituale-religioso.

L’educazione è, quindi, un processo complesso e multifattoriale, ma che si opera in integralità, sincronia e

reciprocità fra gli atteggiamenti in cui si articola».

Non solo apprendimento ... ma, diritto all'educazione integrale ……

Durante l’attuale deriva ed eclissi dell’educativo, nonché analfabetismo emotivo (Galimberti)

l’attenzione sembra rivolta esclusivamente all’apprendimento e al diritto allo studio, cioè alla conoscenza.

«Si tratta perciò di un diritto conseguente al riconoscimento dello status di cittadino e delle prerogative

della cittadinanza», che è stato affermato dalle Costituzioni di tutti gli stati democratici e quindi anche da

quella italiana, la quale lo ha arricchito di «dimensioni aggiuntive» tanto che esso oggi «si configura come

diritto da promuovere più ancora che da concedere o da riconoscere. La sua fondazione non è nella legge,

né nella cittadinanza; non dipende dallo status di cittadino, ma dalla dignità della persona».

Da quest'ultima sottolineatura, ne discende, evidente, l’attenzione non soltanto per il diritto allo studio e

all’istruzione, ma anche e soprattutto per il diritto all’educazione, «che chiede di valorizzare tutto il

potenziale educativo, che è in ciascuno di noi, che è potenziale di umanità, di affettività, di sensibilità, di

percezione, di linguaggio, di socialità, di intelligenza e comprensione multiple… Garantire il diritto

all’educazione significa, quindi, operare in modo che le funzioni che interagiscono nella personalità

individuale si sintonizzino tra loro, consentendo una piena costruzione e una integrale manifestazione della

personalità e del potenziale umano», contro la povertà educativa, un fenomeno in crescente ascesa, che va

di pari passo con la povertà economica, ma anche con situazioni di disagio sociale che non permettono ai

bambini di crescere in un ambiente stimolante, capace di sostenerlo nelle sue fasi di sviluppo e crescita e

precludendo la possibilità di cambiare la posizione di partenza.

L’educazione, infatti, viene pertanto considerata, nelle legislazione internazionale, comunitaria e nazionale, come diritto fondamentale per lo sviluppo umano integrale.

Esempio del diamante ………………. Parabola dei talenti ………….

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In questa prospettiva soddisfare il diritto all’educazione, come sostiene il Piaget, significa «assumere una

responsabilità molto più gravosa che assicurare a ciascuno l’acquisizione della lettura, della scrittura e

del calcolo; significa veramente garantire a ciascun uomo l’intero sviluppo delle sue funzioni mentali,

l’acquisizione delle conoscenze, dei valori morali, che corrispondono all’esercizio di dette funzioni, fino

all’adattamento alla vita sociale (competenza emotica e all’umanità, alla cittadinanza attiva, sostenibile e

responsabile).

Di conseguenza, significa soprattutto assumere l’impegno, tenendo conto della costituzione e delle

attitudini, che distinguono ciascun individuo, di non distruggere o sciupare nessuna delle possibilità che

l’uomo porta in sé e di cui la società è chiamata ad avvantaggiarsi per prima, invece di lasciare perdere

importanti aliquote e di soffocarne altre» (J. PIAGET, Dove va l’educazione, Armando, Roma, 1974, pp. 49-

50). Vedi parabola dei talenti; art. 4 della Cost.

«Lo scopo dell’educazione è proprio questo: aiutare i talenti, le funzioni a sintonizzarsi efficacemente,

senza mortificarne nessuna e attendendo che ciascuna di esse celebri il potere delle altre» (a vantaggio

della persona e della società).

DIRITTO all'educazione (integrale) per la persona e DOVERE per la famiglia, la scuola, la società.

Emergono due elementi da sottolineare e ricordare quando si parla di questo diritto/dovere:

a) l’essenzialità (e, quindi, la qualità) di “un determinato ambiente sociale di formazione”;

b) il primato del potenziale umano di ogni persona dalla cui attuazione la società può trarre

giovamento».

Il diritto all’educazione postula uno sviluppo pieno della persona umana e si può affermare che «nel

diritto all’educazione si assommano e si sintonizzano tutti i diritti fondamentali dell’essere umano».

Il processo educativo è l'insieme delle azioni volontarie (compiute in maniera razionale e più o meno pianificate mediante un progetto educativo) e delle modificazioni correlate che compongono l'azione educativa, effettuate da esperti per consentire a ciascun individuo il conseguimento del suo pieno sviluppo psicofisico.

Il processo educativo dovrebbe permettere al soggetto di migliorare i propri livelli di partenza dei vari campi della personalità (motoria, sociale, cognitiva, emotiva e affettiva).

La base di partenza per ogni processo educativo è la maturazione del soggetto, che avviene secondo fasi ben definite e consente al soggetto stesso di acquisire gli apprendimenti che permettano il suo sviluppo.

L’educazione è lo sviluppo di tutti gli aspetti della personalità umana, fisici, intellettuali, affettivi e del carattere.

Ciascun essere umano ha potenzialmente l’intelligenza che lo conduce alla conoscenza graduale del mondo circostante e all’impiego di certi mezzi per impadronirsene e affermare se stesso. Ha già delle energie affettive da esprimere e delle naturali attitudini. Dipenderà in gran parte dall’educazione, dagli stimoli ambientali che quelle energie potenziali trovino il modo più compiuto e più equilibrato di realizzarsi. Il concetto d’educazione è più ampio di quello di istruzione (che si riferisce alla sola educazione intellettuale).

Tutti siamo in un certo modo responsabili, con le parole, con gli atti, con gli atteggiamenti, dell’educazione delle persone che ci vivono accanto. L’educazione impegna tutta la vita e tutti noi, anche se non ne prendiamo coscienza. Possiamo sempre “crescere”, perfezionarci in qualche aspetto della nostra personalità. Ognuno di noi può essere educatore, col suo comportamento, con una parola, un gesto, la sola presenza.

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Fattori dell’educazione

L’educazione ha due aspetti, uno interno ed uno esterno. L’aspetto più appariscente è quello esteriore, cioè quell’insieme di azioni, atteggiamenti, parole accorgimenti che una persona mette in opera per educarne un'altra. Si chiama etero-educazione tutto quel complesso di atti e di circostanze ambientali esterne che costituiscono il contributo indispensabile alla nostra formazione. Nel processo educativo vi è la possibilità di assorbire tutti gli elementi culturali che millenni di civiltà hanno accumulato. La cultura è tutto ciò che l’uomo ha ideato e costruito trasformando la natura a suo vantaggio. Cultura è pure il complesso delle abitudini sociali, delle tradizioni di un popolo.

La persona non è plasmabile a nostro piacimento: ciascuno, come ha la propria struttura fisica, così ha il proprio temperamento ereditario; possiede un certo quoziente intellettuale e una propria forma specifica di intelligenza (più teorica o più pratica, più intuitiva o più logica). Ha delle particolari attitudini e un proprio modo di sentire e di reagire alle situazioni più diverse. L’educazione non può prescindere da tutto questo, anzi deve porsi al servizio di queste doti naturali, offrendo loro la possibilità di esprimersi. Ciascuno collabora alla sua personale formazione e tale contributo viene chiamato auto-educazione.

L’educazione è non soltanto un fattore indispensabile, ma il più importante, è frutto di un rapporto tra persone, oltre che tra soggetto e ambiente. L’educazione nasce dal concorso di tanti fattori, ambientali, ereditari, voluti e occasionali; cresce nella convivenza di adulti e bambini, nell’incontro di certi stimoli (etero-educazione) con l’attiva ricezione degli stessi da parte di un individuo dotato di una sua insostituibile personalità (auto-educazione).

Principali istituzioni educative (in rete, interconnesse)

Esistono delle istituzioni educative specifiche e universalmente riconosciute come tali:

la famiglia: sotto protezione e con l’appoggio dei genitori, il processo educativo ha la possibilità di svolgersi naturalmente e di portare i suoi frutti a tempo debito; quando la famiglia viene a mancare, l’intero sviluppo del bambino è compromesso, persino la crescita fisica, la deambulazione e lo sviluppo del linguaggio vengono ritardati;

la scuola: oggi viene vista non soltanto come organo di trasmissione del sapere ma come organo di educazione nel senso più ampio del termine. È attraverso la scuola che il bambino si educa alla socialità;

la chiesa: le è affidata la formazione morale e religiosa, a completamento di quella iniziata nella famiglia. Un tempo ebbe anche il compito dell’istruzione quando mancavano le scuole municipali o statali. Oggi continua l’opera educativa anche attraverso istituzioni ricreative che offrono la possibilità di gioco o di attività agonistica e occasioni per l’educazione nel significato più proprio.

(La dimensione educativa della conoscenza) ……….

…. L’impegno nelle discipline tende a rimuovere una serie di interferenze e ostacoli (art. 3 della Cost.) presenti nella mente che possono annebbiare o neutralizzare l’esercizio delle competenze, contribuendo alla formazione del carattere, condizione prioritaria per il successo scolastico e nella vita.

<<Ripensare insieme l’educazione e la scuola>>

C’era una volta un patto tra scuola e società, in base al quale si volevano le stesse cose e si lavorava nella stessa direzione.

Adesso la famiglia rema contro e desidera che i propri figli siano lasciati in pace, senza traumi, punizioni, prezzi da pagare.

La caduta del senso di socialità fa reclamare solo i diritti, lasciando in ombra doveri e responsabilità individuali.

Sembra che l’educazione abbia smarrito la sua funzione regolatrice dei comportamenti umani.

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Tuttavia, la scuola è ritenuta ancora il luogo di incontro per far lievitare valori etici, civili e sociali che caratterizzano lo sviluppo dell’umanità.

Alla scuola si chiede fedeltà alla sua tradizionale missione educativa, per farsi carico della crescita globale

dei bambini e ragazzi, ma deve imparare a difendersi da questa incalzante aggressività della vita esterna.

…. Ma anche gli adulti implicati nell’esperienza pedagogica dovrebbero occuparsi di educazione.

Dirigenti, docenti, genitori devono descrivere un impegno corale verso un’educazione pensata e agita insieme, con responsabilità condivise.

La scuola non può sottrarsi al compito educativo, anzi deve sforzarsi di tenere viva l’intenzionalità pedagogica, incoraggiando le altre agenzie formative a fare altrettanto.

Bisogna riconoscersi come luogo intenzionale del fare educazione, ragionando in termini di collegialità, partecipazione e condivisione.

Ma, collaborare costa fatica.

Per condividere bisogna rinunciare a far valere i propri interessi, deconcentrandosi dai propri individualismi, avvicinandosi all’altro per collaborare alla riuscita di un progetto di vita comune.

La scuola è luogo di incontro in cui gli adulti non devono competere tra loro, ma ritrovarsi intorno a uno scopo partecipato: quello di educare insieme i ragazzi.

Infatti, per educare un ragazzo è necessario unire le forze di tutti: genitori, insegnanti, personale ATA, dirigenti ….

L’educazione è un fatto corale, di comunità (educante). Per educare un bambino ci vuole l’intero

villaggio, dove l’elemento fondamentale e decisivo diventa l’unità.

Ogni comunità non deve disperdere le energie, opponendo l’alleanza alla frammentazione. Non si cresce come comunità facendosi la guerra e scaricandosi vicendevolmente le responsabilità degli insuccessi educativi: le famiglie hanno bisogno della scuola e la scuola non può nulla senza le famiglie.

Bisogna accettare la sfida educativa come comunità contro l’emergenza sociale e l’erosione dell’educazione, fine permanente della scuola e della società.

Bisogna mandare gli stessi segnali, testimoniare gli stessi valori, mentre attualmente i ragazzi sono testimoni di visioni educative fortemente individualistiche, cariche di egoismo da parte degli adulti che hanno rinunciato a svolgere il proprio compito/dovere di educatori (culpa in educando e vigilando).

I bambini non sperimentano quasi più la disapprovazione sociale da parte dei grandi e si sentono legittimati a mettere in atto qualsiasi tipo di comportamento anche se scorretto.

Pochi adulti si sentirebbero autorizzati a sgridare un bambino, un ragazzo dopo un atto irrispettoso, incivile e disdicevole. Vige, ormai, un pensiero dominante: non è affar mio.

Si assiste imperterriti a comportamenti arroganti di mala educazione, ma non si interviene, come se l’educazione dei ragazzi non costituisse più un fatto sociale e non fosse, dunque, responsabilità dell’intera comunità.

Invece, dobbiamo mandare ai giovani tutti gli stessi segnali per aiutarli a definire quel necessario senso del limite oltre il quale non si può, né si deve osare, per far lievitare un indispensabile senso di appartenenza alla comunità in cui si vive, per progetti di vita comune.

In questo contesto culturale caratterizzato dal forte indebolimento della cornice delle certezze educative il compito della scuola diventa ancora più importante e decisivo per evitare il dilagarsi di forme di anaffettività e analfabetismo emotivo, di apatia, demotivazione scolastica e sociale.

Per una pedagogia di comunità

Come si può educare i ragazzi che ogni giorno fanno esperienza di violenza, aggressività, arroganza, intolleranza e sono immersi in un mare di incertezze?

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Una causa risiede in un’azione educativa incerta, troppo blanda e permissiva che ha determinato risultati negativi sul piano relazionale e sociale, da parte delle famiglie, ma anche della scuola. I docenti, infatti, devono sapere che si è maestri di educazione sempre, anche al di fuori delle mura scolastiche.

Nell’Istituzione scolastica il Dirigente si deve proporre come animatore di una pedagogia di comunità capace di interrogare il contesto della città, ma anche a trasformarlo in ambito ideale di sviluppo formativo. A tal fine, come leader educativo può e deve:

Predisporre reti di lavoro che creano situazioni di socialità e sviluppino occasioni di confronto sul tema dell’educazione.

Attivare punti di ascolto e sostegno per le varie componenti scolastiche.

Organizzare incontri di informazione e formazione per adulti in presenza di esperti di scienze dell’educazione.

Ampliare la sfera di iniziativa progettuale della scuola al volontariato e all’associazionismo per contrastare fenomeni di dispersione scolastica.

C’è bisogno di educazione, contro la deriva e l’erosione dell’emosia: quel cestino lanciato contro …., quelle

aggressioni sono contro l’inclusione, mentre l’educazione è per l’inclusione.

Occorre ricostruire gli argini in un progetto educativo diffuso e condiviso. Va affermata la responsabilità educativa della famiglia, molti genitori abbandonano i figli alla scuola.

Urge un nuovo patto di corresponsabilità educativa per non farsi sopraffare dalla maleducazione, dalla inciviltà, dalla violenza verbale e fisica da parte di genitori e alunni, per non demolire le strutture essenziali di una società educante.

Il futuro sta nella parola INSIEME.

Minacce, insulti, violenze verbali e fisiche. Molti genitori contestano i voti, polemizzano con i docenti, con i dirigenti, si irritano se richiamati perché i figli non studiano e amano essere sindacalisti dei propri figli, manifestando forte e inopportuna ingerenza nella valutazione e nella didattica, ma tralasciando i doveri genitoriali.

Bisogna trovare il coraggio di riappropriarsi del ruolo di adulti educatori di fronte all’emergenza educativa, non si può abdicare, perché è affar nostro.

La scuola ha il dovere di ristabilire i contatti con l’educazione e riconvertirsi alla pedagogia, esercitando questa funzione educativa in collaborazione con le famiglie.

L’educazione è l’esito di un processo che si genera nell’incontro e nella cooperazione di due importanti territori educativi: scuola-famiglia.

Grazie all’alleanza educativa si può costruire la comunità educante, per prenderci cura dell’educazione dei ragazzi, per far emergere legami benevoli all’interno di un dialogo attivo e costruttivo per ridare un orizzonte di speranza alle nuove generazioni.

IL DIRIGENTE SCOLASTICO E LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE

La buona educazione gestionale: è sempre una questione di buona educazione, premessa di ben-essere organizzativo e didattico.

Ultimamente, la cronaca ha dato spazio a comportamenti di alcuni DS poco ortodossi, al limite del buon senso, con episodi lesivi della dignità personale e professionale del personale scolastico, espressi con urla, insulti, scenate contro docenti, studenti e genitori ….

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… per le incombenze e responsabilità sempre più gravose, ma principalmente per la tendenza a personalizzare ruolo e funzioni tra isterismi, presunzioni verticistiche di potere, maleducazione comunicativa e relazionale.

La dirigenza, in alcuni casi, viene vista come affermazione di potere, avulsa dal contesto educativo e dal buonsenso gestionale.

Ci sono personaggi che, inebriati dal termine dirigente, con inappropriata, quanto inadeguata intelligenza emotiva mostrano muscoli e aggressività, (di)sconoscendo il significato del termine dirigente e

non sapendo che la scuola gerarchica ha lasciato il posto alla scuola-servizio, dove il potere di

direttiva si esprime in termini di propulsione, indirizzo, controllo, scaffolding cognitivo ed emotivo, servizio alla PERSONA (padre Ernesto Balducci parlava della violenza dell’amore e dell’affettività).

Il passaggio da direttivo a dirigente significa:

Riconoscimento della posizione di leader, abbandonare il piglio imperativo per assumere quello di guida, orienta, si assume la responsabilità di essere punto di riferimento in quanto costruttore di comunità.

Modificazione del ruolo, flettendolo verso un profilo di incontro, confronto, progettazione condivisa, cooperazione, all’interno di una visione sistemica del contesto.

Personalità aperta all’altro, che predilige il comportamento democratico, assertivo, riflessivo, che ispira fiducia, che è centrato sulle persone.

Il DS deve presidiare (in quanto preside) e garantire un ambiente di apprendimento affidabile, efficace, favorendo la cooperazione ad ogni livello nella comunità scolastica, grazie ad una buona educazione gestionale.

Deve saper stare al disopra della piramide, ma anche alla base, in testa, in coda, a fianco.

In testa per motivare, orientare e indirizzare; in coda perché nessuno resti ultimo o si perda per strada; a fianco per sostenere, incoraggiare e valorizzare (scaffolding cognitivo/emotivo).

Per valorizzare è consigliabile abbassarsi per rendere gli altri più alti. Tutto si condensa in tre parole:

DIREZIONE, COORDINAMENTO, VALORIZZAZIONE delle risorse umane …… in quanto dirigente e costruttore di comunità (Il mio manifesto di scuola: la vision pedagogica).

La valorizzazione delle persone, rendendole protagoniste, ha importanza capitale per mettere da parte l’ego del DS per far posto a quello degli altri, per creare un clima organizzativo favorevole e il senso di appartenenza.

L’unico potere che conta è ………… il potere del servizio.

FONDAMENTI COMUNI E PRIORITÀ DELL’AGIRE EDUCATIVO E DIDATTICO

Entrando nei territori dell’azione educativa e formativa, è opportuno cercare delle consonanze tra

progettazione dell’azione educativa e dell’intervento didattico, individuando alcuni fondamenti

comuni dell’agire educativo e didattico, quindi, del processo didattico e valutativo:

1. L’adozione di una visione pedagogica orientata verso il riconoscimento, la cura educativa e la valorizzazione di tutte le diverse risorse umane, per promuovere e assicurare a tutti gli alunni/cittadini pari opportunità;

2. La sollecitazione e la diffusione a scuola di processi cooperativi per vivere, stare e studiare bene insieme;

3. La presa di posizione a favore di una visione attiva e costruttiva della mente e del corpo dei bambini per favorirne la maturazione piena e consapevole della loro persona;

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4. L’orientamento verso una concezione costruttivista della conoscenza e dell’azione didattica che richieda l’attivismo degli studenti (da mente piena a mente ben fatta);

5. L’importanza da attribuire alla cura della relazionalità tra tutti i soggetti perché concorre a determinare processi di efficace accoglienza e l’efficacia degli approcci metodologici. Anzi, è essa stessa scelta metodologica e didattica di fondo.

Priorità dell’agire educativo: una visione dell’educazione come cura verso l’altro. Priorità dell’agire didattico: Valorizzazione della relazionalità come scelta didattica basilare

fondata sulla centralità della persona, con la conseguente attivazione di processi di

insegnamento/apprendimento adeguati alle differenti intelligenze e potenzialità degli studenti.

Educare è, innanzitutto, riconoscere l’altro (riconoscimento umano, civile, sociale,

culturale) e prendersi cura.

Riconoscere l’altro significa:

Consapevolezza e valorizzazione della diversità umana (finalità primaria);

Sperimentare l’altro come occasione continuo di incontro;

Interazione e integrazione personale, relazionale, interculturale e intraculturale;

Riconoscere nell’altro una persona che ha bisogno di aiuto a diversi livelli: cognitivo,

emotivo, relazionale, comportamentale;

Promuovere a scuola situazioni educative di cura come preoccupazione per l’altro, attenzione partecipata, voglia di stare vicino per aiutarlo e sostenerlo nella crescita e nello sviluppo globale.

Tutto questo porta a una didattica (e a una valutazione su misura), attraverso

l’individualizzazione e personalizzazione dell’azione educativa.

Sia chiaro: non crediamo in una scuola che livella e porta tutti allo stesso traguardo, ma a una

scuola che ha come ragione sociale quella di dare a tutti la possibilità di raddoppiare i propri

talenti: diritto degli alunni, dovere della scuola.

Infatti, non si può, né si deve diventare uguali, anzi si può e si deve restare diversi, differenti,

unici, perché la scuola deve investire sul capitale umano, anzi sulla persona umana.

A questo proposito, ricordiamo la parabola dei talenti…………….

Ci insegna a non avere pura, a non fare paura, a operare una sapiente gestione dei beni. Il servo

che ha ricevuto un solo talento ha agito in modo autoreferenziale e ha scelto di non correre dei

rischi, perché investire è sempre rischioso. Non ruba, non fa peccato e nessuno può rimproverarlo.

Ma il padrone va in collera definendolo servo malvagio e pigro.

Emerge la lode per chi rischia e il biasimo per chi si accontenta di ciò che ha, rinchiudendosi nel

suo io minimo.

Riportando questa parabola sul terreno della scuola, si può sottolineare che investire e

scommettere in ciascun alunno comporta un rischio che, però, è anche un’opportunità.

Individualizzare (scolaro) e personalizzare (persona) richiede tempo e fatica, con esiti positivi non

scontati, almeno nel breve periodo. Da qui la considerazione, molto diffusa nella scuola e non solo,

che è meglio fare un trattamento uguale per tutti, fare il proprio dovere svolgendo i programmi,

piuttosto che correre il rischio di investire in ciascuno dei nostri alunni, riconoscendo e premiando

i più bravi e talentuosi, anche se ciò comporta una elevata selettività, con evidenti diseguaglianze.

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente 10

Invece, bisogna costruire ambienti di apprendimento capaci di futuro per tutti, per far sì che ogni

alunno trovi la strada per il personale investimento nei propri talenti (attitudini, capacità, sogni,

aspettative, bisogni). Un ambiente di apprendimento concepito come una palestra, un laboratorio

dove l’insegnante tutor, allenatore, guida, educatore è presente, segue, cura, consiglia gli attrezzi

da utilizzare e gli esercizi da fare. In un ambiente così pensato e agito, tutti gli allievi si sentono nel

posto giusto, non manifestano disagio perché si sentono parte del gioco dell’apprendere e questo

crea autentica inclusione, perché tutti trovano la propria collocazione come cittadino e come

essere umano. In questa prospettiva fare una didattica su misura e praticare una valutazione

autentica, per l’apprendimento è l’unico sentiero per esercitare il diritto/dovere di raddoppiare i

talenti consegnati.

Per approdare su questi orizzonti pedagogici bisogna rottamare vecchie consuetudini, come ad

esempio l’unità didattica, sostituendola con unità di apprendimento, perché l’UD sarebbe

espressione del primato dei saperi disciplinari, distante dalla centralità della persona; l’UdA,

invece, sposterebbe la cura ideativa e attuativa dalle discipline alle persone.

Comunque, individualizzazione e personalizzazione non sono concetti e atteggiamenti operativi in

contrapposizione, ma realtà da tenere in compresenza:

L’individualizzazione afferisce all’istruzione tramite le partiche dei saperi disciplinari;

La personalizzazione, invece, allarga l’attenzione alla totalità della persona.

Senza la prima la seconda non è fondata, senza la seconda la prima è parziale; tutte e due

esprimono la tensione ideale a essere cittadino formato, attivo, collaborativo e responsabile.

Cruciale per individualizzare e personalizzare l’apprendimento è la cosiddetta zona di sviluppo

prossimale (ZSP) ideata da Vygotsky. Infatti, è possibile distinguere diverse zone di sviluppo: una

zona di sviluppo attuale che comprende ciò che uno studente è in grado di fare in autonomia oggi;

una ZSP (potenziale) che comprende ciò che lo studente è in grado di fare insieme agli altri; una

zona di sviluppo distale, che comprende ciò che lo studente non è in grado di fare neanche con

l’aiuto degli altri.

Pertanto, l’azione didattica e la valutazione possono essere efficaci se riconoscono prima e

puntano poi, per ogni alunno, alla sua ZSP.

La parola chiave per riuscirci oscilla tra emozioni e relazione. È attraverso la cura della relazione

con ogni singolo studente che si può supportare tutti rispetto alle loro ZSP. Ciò implica anche la

gestione della dimensione emotiva che l’insegnante e lo studente vivono all’interno di questa

relazione. Nessun apprendimento avviene al difuori delle emozioni e della relazione (Galimberti).

Vi è un sistema relazionale che condiziona fortemente l’esperienza di apprendimento: relazione

insegnante e studente, tra gli studenti, tra genitori e studenti, tra insegnanti e genitori, degli

insegnanti tra di loro.

L'educazione e l'istruzione sono diritti/doveri fondamentali dell'uomo e presupposti indispensabili

per la realizzazione personale di ciascuno. Essi rappresentano lo strumento prioritario per

superare l'ineguaglianza sostanziale e assicurare l'effettivo esercizio delle libertà democratiche

garantite dalla Costituzione. È evidente che in questo periodo storico, colmo di criticità,

contraddizioni, ma anche di grandi opportunità, convivono enormi differenze culturali, sociali ed

economiche per ciò che concerne le possibilità di benessere e di qualità della vita. In tale contesto

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente 11

il sistema educativo e di istruzione rappresenta "(...) il fulcro dello sviluppo della persona e della

comunità educante; il suo compito è quello di consentire a ciascuno di sviluppare pienamente il

proprio talento e di realizzare le proprie potenzialità per la crescita come persona e come

cittadino".

La scuola deve saper prendersi cura delle persone, essendo un laboratorio permanente di ricerca

educativa e didattica in un percorso di miglioramento continuo.

La valutazione ha un carattere relazionale, promozionale, formativo/educativo e orientativo, quindi, autentica, in quanto sostiene lo sviluppo di tutti gli alunni, concorre ad adeguarne il percorso didattico e sostiene i processi di autovalutazione degli alunni medesimi.

Il Collegio Docenti ritiene che la valutazione debba essere trasparente, comunicata sia nei

contenuti, sia nei metodi e negli strumenti. L’alunno deve essere sempre consapevole del valore

attribuito alle sue prestazioni. L’apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico

sono valutati collegialmente e in modo condiviso.

La valutazione degli apprendimenti degli alunni è un elemento pedagogico fondamentale per

seguire i progressi dell’alunno rispetto agli obiettivi e ai fini da raggiungere durante la sua

permanenza a scuola. Il presente documento definisce gli specifici parametri e indicatori in base ai

quali determinare, in modo trasparente ed univoco, la valutazione del rendimento e del

comportamento di tutti alunni, compresi quelli stranieri, quelli con disabilità e quelli con DSA,

dall’acquisizione e trasmissione dei contenuti disciplinari, alla capacità di trasformare in azione i

contenuti acquisiti ed di interagire e tradurre le conoscenze e le abilità in specifiche competenze.

In questo scenario culturale e pedagogico, la valutazione incide notevolmente sulla formazione

della persona perché ha un valore formativo ed educativo, riguarda il processo ed è oggetto di

riflessione per i docenti. Valutare è un compito strategico, ma delicato attraverso il quale si

rilevano il raggiungimento degli obiettivi e gli specifici progressi personali. La valutazione,

condivisa con l’alunno, diviene, così, uno strumento che gli permette di diventare protagonista

del proprio percorso di apprendimento; comunicata ai genitori, fa si che possano partecipare al

progetto educativo e didattico del proprio figlio. La valutazione deve tener conto dei criteri di

equità e trasparenza, ma anche di punti di partenza diversi, di un diverso impegno profuso per

raggiungere un traguardo. Per tale ragione si è ritenuto opportuno distinguere la valutazione

delle verifiche (scritte, orali, pratiche) svolte durante l’anno, dalla valutazione quadrimestrale

intermedia e finale.

«NON SI HA APPRENDIMENTO SENZA EMOZIONE».

Galimberti (2001)

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente 12

Infatti, parafrasando Wiggins possiamo dire che la sfida sottesa alla definizione delle competenze oggetto di valutazione consiste nel passare da «ciò che lo studente sa a ciò che sa fare con ciò che sa».

In conclusione, l’azione dirigenziale, come servizio, deve avere come costante e significativo

riferimento questa frase che racchiude una visione e un progetto di vita:

«Quello che facciamo per noi muore con noi, ma quello che facciamo per gli altri

rimane per sempre».

IL DIRIGENTE SCOLASTICO Filippo Quitadamo

(Firma autografa sostituita a mezzo stampa

ai sensi del art. 3, c. 2, del D.Lgs. 39/93)