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CAPITOLO I IL PRESUPPOSTO E LA NOZIONE DI REDDITO SOMMARIO 1. Cenni storici sull’imposizione personale. – 2. Il profilo oggettivo del presupposto: il reddito. – 3. Precisazioni sul concetto di reddito. Reddito e patrimonio, redditi in de- naro e redditi in natura, reddito lordo e reddito netto. – 4. Le regole generali in tema di individuazione del reddito. I redditi sostitutivi. – 5. La disciplina degli interessi. – 6. La tassazione dei proventi derivanti da attività illecite. – 7. Il profilo soggettivo del pre- supposto: il possesso del reddito. 1. Cenni storici sull’imposizione personale Nell’ambito del nostro sistema tributario, la tassazione del reddito delle persone fisiche è affidata all’IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche), tributo che colpisce la ricchezza in divenire riferibile a ciascun individuo, con funzione impositiva analoga a quella svolta dal- l’IRES (Imposta sul Reddito delle Società) nei confronti dei soggetti di- versi dalle persone fisiche (1). 1 L’IRES è stata introdotta mediante il d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 ed ha sosti- tuito, con effetto dal 1° gennaio 2004, l’Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche (IRPEG). I soggetti passivi di tale tributo sono individuati dall’art. 73, comma 1 del TUIR in quattro categorie: a) società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello stato; b) enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’eser- cizio di attività commerciali; c) enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o princi- pale l’esercizio di attività commerciali; d) società ed enti di ogni tipo, nonché i trust,

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CAPITOLO I

IL PRESUPPOSTO E LA NOZIONE DI REDDITO

SOMMARIO

1. Cenni storici sull’imposizione personale. – 2. Il profilo oggettivo del presupposto: il reddito. – 3. Precisazioni sul concetto di reddito. Reddito e patrimonio, redditi in de-naro e redditi in natura, reddito lordo e reddito netto. – 4. Le regole generali in tema di individuazione del reddito. I redditi sostitutivi. – 5. La disciplina degli interessi. – 6. La tassazione dei proventi derivanti da attività illecite. – 7. Il profilo soggettivo del pre-supposto: il possesso del reddito.

1. Cenni storici sull’imposizione personale

Nell’ambito del nostro sistema tributario, la tassazione del reddito delle persone fisiche è affidata all’IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche), tributo che colpisce la ricchezza in divenire riferibile a ciascun individuo, con funzione impositiva analoga a quella svolta dal-l’IRES (Imposta sul Reddito delle Società) nei confronti dei soggetti di-versi dalle persone fisiche (1).

1 L’IRES è stata introdotta mediante il d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 ed ha sosti-tuito, con effetto dal 1° gennaio 2004, l’Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche (IRPEG). I soggetti passivi di tale tributo sono individuati dall’art. 73, comma 1 del TUIR in quattro categorie: a) società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello stato; b) enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’eser-cizio di attività commerciali; c) enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o princi-pale l’esercizio di attività commerciali; d) società ed enti di ogni tipo, nonché i trust,

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Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche 2

L’imposta in questione riveste un ruolo centrale nel nostro sistema impositivo non solo in quanto è applicata nei confronti di una vasta pla-tea di contribuenti ed è, quindi, connotata da un elevato gettito, ma an-che perché all’interno della propria disciplina si possono riscontrare nozioni ed istituti che costituiscono importanti punti di riferimento an-che per lo studio di altre forme di imposizione.

Nel sistema precedente a quello nato dalla riforma tributaria degli anni settanta, dalla quale l’IRPEF ha tratto origine, l’imposizione sui redditi era realizzata da quattro imposte di tipo reale e con aliquota proporzionale: l’imposta sui terreni, l’imposta sul reddito agrario, l’im-posta sui fabbricati e l’imposta di ricchezza mobile (2). Completavano il sistema due tributi globali: l’imposta sulle società, che colpiva il red-dito delle società di capitali (3), e l’imposta complementare progressiva con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato. In particolare, la soggettività passiva dei trust è frutto dell’intervento legislativo realizzato dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) che, appunto, ha inserito tali entità nel novero dei soggetti passivi dell’IRES, qualificandoli come enti commerciali e non commerciali. In tal modo il legislatore ha confermato quanto sostenuto dall’unanime dottrina circa la soggettività passiva dei trust nell’imposizione diretta (PUOTI, La tassa-zione dei redditi del “trust”, in BENVENUTI (a cura di), I Trusts in Italia oggi, Milano, 1996, 632-644; MICCINESI, Il reddito del trust nelle varie tipologie, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 309; SALVATI, Il trust nel diritto tributario internazionale, in Riv. dir. trib., 2003, I, 29 ss.). Sugli altri interventi operati della legge n. 296 del 2006 in materia di trust vedi LUPOI, Imposte dirette e trust, in Corr. trib., 2007, 253; FRANSONI, La disci-plina del trust nelle imposte dirette, in Riv. dir. trib., 2007, I, 227; COCIANI, Commento all’art. 73, in AA.VV., Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, a cura di TINELLI, Padova, 2009, 628 ss.

2 Tale imposta fu istituita nel 1864 ed è rimasta in vigore per più di un secolo, fino alla riforma dell’imposizione diretta degli anni settanta. Sulle origini dell’imposta di ric-chezza mobile si veda CLEMENTINI-BERTELLI, Commento alle leggi sull’imposta di ric-chezza mobile, Torino, 1934, 11 ss.

3 L’imposta fu istituita con la legge 6 agosto 1954, n. 603 ed in seguito recepita nel Testo Unico delle Imposte Dirette del 1958. Essa presentava una struttura ibrida, in quanto colpiva sia il patrimonio che il reddito eccedente il sei per cento del patrimo-nio. Mediante tale sistema si voleva indurre le società a non sottovalutare il patrimonio; inoltre, tale imposta intendeva equalizzare il trattamento fiscale delle società di persone e di quelle di capitali, le quali ultime risultavano avvantaggiate nell’applicazione delle imposte sui trasferimenti e dell’imposta complementare. Per maggiori approfondimenti sulla struttura di tale tributo si rinvia a NAPOLITANO, La imposta sulle società, Milano, 1955; più di recente si veda MARELLO, Contributo allo studio delle imposte sul patrimo-nio, Milano, 2006, 79 ss.

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 3

sul reddito, volta a tassare i redditi delle persone fisiche già colpiti dal-le imposte reali (4).

L’articolata struttura del sistema impositivo e la complessità dei re-gimi applicativi dei singoli tributi, come pure la constatazione dell’ina-deguatezza del prelievo alle nuove funzioni della finanza pubblica, spin-sero successivamente il legislatore ad introdurre, in luogo delle imposte gravanti sui singoli redditi, un’unica imposta progressiva sul reddito complessivo prodotto dalle persone fisiche, i cui connotati generali fu-rono definiti con la legge delega per la riforma tributaria 9 ottobre 1971, n. 825 (5).

Sulla base di tali principi, il d.p.r. 29 settembre 1973, n. 597, ha così istituito l’IRPEF, un tributo avente le seguenti caratteristiche:

1. onnicomprensività, in quanto colpisce un unico coacervo, costitui-to da tutti i redditi prodotti nel periodo di imposta;

2. personalità, perché prende in considerazione la situazione perso-nale del soggetto passivo;

3. progressività, essendo determinata mediante l’applicazione di ali-quote progressive crescenti con l’aumentare della base imponibile.

A seguito della sistemazione normativa degli originari decreti, oggi la disciplina sostanziale dell’IRPEF è contenuta nel d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi, di seguito denominato “TUIR”), con il quale il legislatore ha anche riordinato la materia, che con il tempo aveva visto sovrapporsi numerosi provvedimenti integra-

4 Questa imposta fu introdotta con il r.d. 30 dicembre 1923, n. 3062, in seguito di-sciplinata dal testo unico delle imposte dirette del 29 gennaio 1958, n. 645 (cfr. D’AMA-TI, Sistema tributario, in Noviss. Dig. it., App., VII, Torino, 1987, 266; POLI, L’imposta complementare progressiva sul reddito, Milano, 1969).

5 In particolare, le linee ispiratrici del nuovo tributo erano: 1. la riferibilità del tri-buto esclusivamente alle persone fisiche secondo i criteri di personalità, onnicompren-sività e progressività; 2. l’esclusione dal reddito imponibile dei redditi esenti, di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta ovvero ad imposta sostitutiva e di quelli tassati separatamente; 3. l’accertamento unitario dei redditi prodotti in forma associata e l’imputazione dei medesimi secondo il principio di “trasparenza”; 4. l’imponibilità del reddito complessivo “netto”, costituito dalla somma algebrica di tutti i redditi, delle per-dite derivanti dall’esercizio di imprese, arti e professioni, del credito di imposta sui di-videndi nonché degli oneri deducibili.

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Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche 4

tivi (6). La normativa concernente il tributo in questione, inoltre, è contenuta anche in altre disposizioni appartenenti ad altri corpi nor-mativi (7).

Una radicale prospettiva di modifica del sistema dell’imposizione sul reddito era prevista dalla legge delega 7 aprile 2003, n. 80, che, in un più ampio disegno di riforma del sistema fiscale statale, mirava a ridurre le diverse imposte vigenti, con la previsione di cinque imposte ordinate in un unico codice: imposta sul reddito, imposta sul reddito delle socie-tà, imposta sul valore aggiunto, imposta sui servizi (in luogo dell’impo-sta di registro, delle imposte ipotecarie e catastali, dell’imposta di bollo, della tassa sulle concessioni governative, della tassa sui contratti di bor-sa, dell’imposta sulle assicurazioni e dell’imposta sugli intrattenimenti) ed accisa. Tuttavia, il legislatore ha, di fatto, attuato soltanto una parte di questa delega mediante l’emanazione del d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, con cui è stata introdotta l’IRES (Imposta sul Reddito delle Socie-tà) (8). Non è mai, invece, divenuta operativa la trasformazione del-

6 Gli altri due tributi diretti introdotti dalla riforma tributaria erano l’IRPEG (Im-posta sul Reddito delle Persone Giuridiche), istituita con il d.p.r. 29 settembre 1973, n. 598 (ed oggi sostituita dall’IRES) e l’ILOR (Imposta Locale sui Redditi), istituita con il d.p.r. 29 settembre 1973, n. 599, oggi abrogata, che colpiva soltanto i redditi di origine patrimoniale. Nella stessa data furono emanati i decreti delegati n. 600 (accertamento), 601 (esenzioni) e 602 (riscossione). Nel campo della tassazione indiretta la novità di maggior rilievo è stata, invece, l’introduzione dell’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto), disciplinata dal d.p.r. 26 ottobre 1973, n. 633, che nella sua struttura ha superato l’effetto cumulativo dell’IGE e gli effetti distorsivi della tassazione dei consumi sia nel campo della produzione che della distribuzione. Sulle ragioni della riforma tributaria degli anni settanta si vedano, in particolare, FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, 773 ss.; RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2009, 3 ss.; DE MITA, Principi di diritto tributario, Milano, 2007, 122 ss.

7 Tra cui il d.p.r. n. 600 del 1973, in materia di accertamento; il d.p.r. n. 602, sulla riscossione; il d.lgs. n. 461 del 1997, sulla riforma dei redditi di capitale; i decreti legi-slativi n. 471 e n. 472 del 1997, in tema di sanzioni amministrative; il d.lgs. n. 74 del 2000, disciplinante i reati in materia di imposte sui redditi e IVA.

8 Il d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 ha, infatti, attuato una parte della legge delega n. 80 del 2003, riformulando ed ampliando il TUIR nonché sostituendo all’IRPEG l’Imposta sul Reddito delle Società (IRES). Per i primi commenti del nuovo tributo si veda, fra i tanti, BASILAVECCHIA, Verso il codice, passi indietro: spunti critici sulla tecnica legislativa nel decreto delegato sull’Ires, in Riv. dir. trib., 2004, I, 83 ss.; DI

PIETRO, La nuova disciplina Ires: la tassazione dei redditi dei non residenti ed i principi comunitari, in Riv. dir. trib., 2004, I, 593 ss.; FANTOZZI, La nuova disciplina Ires: i

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 5

l’IRPEF in IRE (Imposta sul reddito) (9), a causa della mancata emanazione dei relativi decreti attuativi, facendo venir meno il completamento del dise-gno sistematico a cui era diretta la citata legge delega n. 80 del 2003 (10).

2. Il profilo oggettivo del presupposto: il reddito

Nell’ambito dello studio relativo al presupposto dell’IRPEF, la dot-trina distingue tradizionalmente tra un profilo oggettivo, costituito dal reddito, ed un profilo soggettivo, dato dalla relazione tra il reddito stes-so ed il soggetto passivo (11), rappresentato dal possesso del reddito. Ta-li aspetti strutturali della fattispecie imponibile si riscontrano, in parti-colare, dalla lettura dell’art. 1 del d.p.r. n. 917 del 1986 (presupposto dell’imposta), il quale dispone che «presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è il possesso di redditi in denaro o in natura rientran-ti nelle categorie indicate nell’art. 6».

rapporti di gruppo, in Riv. dir. trib., 2004, I, 489 ss.; FEDELE, La nuova disciplina Ires: i rapporti fra soci e società, in Riv. dir. trib., 2004, I, 951 ss.; LA ROSA, La capitalizza-zione sottile, in Riv. dir. trib., 2004, I, 1283 ss.; LUPI, La nuova disciplina Ires: le ope-razioni straordinarie e i riflessi sull’elusione, in Riv. dir. trib., 2004, I, 609 ss.; RUSSO, I soggetti passivi dell’Ires e la determinazione dell’imponibile, in Riv. dir. trib., 2004, I, 313 ss.; ZIZZO, Osservazioni in tema di consolidato nazionale, in Riv. dir. trib., 2004, I, 625 ss.; GALLO, Etica e giustizia nella “nuova” riforma tributaria, in Dir. prat. trib., 2004, I, 3 ss. VERSIGLIONI, Indeterminazione e determinabilità della soggettività passi-va del “consolidato nazionale”, in Riv. dir. trib., 2005, I, 389 ss.; FALSITTA, Riforma del sistema fiscale e certezza del diritto: dalla nascita prematura ed a scalini dell’IRES al mancato varo del codice, in Riv. dir. trib., 2005, 1089. Per uno studio sistematico dell’IRES si rinvia a AA.VV., Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, a cura di TINELLI, cit., 615 ss.

9 L’IRE, infatti, è stata in seguito abrogata dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), che ha contestualmente reintrodotto l’IRPEF.

10 L’attuazione solo parziale della delega conferma le difficoltà di un intervento strutturale sul settore delle entrate pubbliche, in quanto il rischio di una perdita di get-tito connessa ad una riforma della normativa, tale da imporre la ricerca di fonti finan-ziarie alternative o la contrazione della spesa pubblica, ha di fatto paralizzato il disegno di sistemazione della normativa tributaria. In tal senso v. TINELLI, Introduzione, in AA.VV., Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, cit., 2009, 4.

11 Fra i tanti si vedano: VANONI, Elementi di diritto tributario, in Opere giuridiche, II, Milano, 1962, 296; A.D. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1974, 94.

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Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche 6

Più precisamente, le categorie reddituali richiamate dal comma 1 del-l’art. 6, cui fa rinvio il citato art. 1, sono le seguenti:

– redditi fondiari; – redditi di capitale; – redditi di lavoro dipendente; – redditi di lavoro autonomo; – redditi di impresa; – redditi diversi.

Come si vedrà più approfonditamente in seguito, a ciascuna di queste categorie corrispondono particolari regole di determinazione e differenti metodi di accertamento, che tengono conto delle caratteristiche econo-miche e giuridiche della fonte: i redditi fondiari, ad esempio, sono deter-minati mediante il metodo catastale; i redditi di capitale sono tassati al lordo (cioè non è prevista la deducibilità delle spese di produzione); quel-li di lavoro dipendente prevedono la deduzione forfetaria delle spese; i redditi di impresa sono determinati apportando una serie di variazioni, in aumento e in diminuzione, al risultato emergente dal bilancio d’esercizio.

In altri termini, ogni singola categoria reddituale segue un distinto regime giuridico relativo sia al metodo di determinazione dell’imponi-bile, cioè alla quantificazione ed all’imputazione al periodo di imposta, sia alle regole formali in materia di contabilità, di dichiarazione, di me-todi di accertamento, nonché di ritenute alla fonte (12).

Quanto all’elemento oggettivo del presupposto, esso è costituito, come si è detto, dal reddito, assunto dal citato art. 1 quale indice di ca-pacità contributiva sul quale commisurare l’imposta, senza tuttavia for-nirne una definizione a carattere generale (13). In altri termini, il legisla-tore non prende alcuna posizione circa le diverse definizioni di reddito elaborate dagli studiosi di scienza delle finanze, vale a dire:

12 Come osservato in dottrina (TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte Specia-le, Torino, 2005, 16) il legislatore, nel collocare un reddito in una categoria piuttosto che in un’altra, ha scelto il regime giuridico ritenuto più consono; ad esempio, la nor-mativa relativa agli ammortamenti ed alla contabilità, propria dei redditi di impresa e di lavoro autonomo, è stata ritenuta compatibile con il carattere continuativo caratteri-stico di tali categorie reddituali.

13 Sull’evoluzione del concetto di reddito: VANONI, Osservazioni sul concetto di red-dito in finanza, in Opere giuridiche, cit., 351; A.D. GIANNINI, Istituzioni di diritto tribu-tario, cit.; FALSITTA, Lezioni sulla riforma tributaria, Padova, 1972, 214.

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 7

a) il “reddito prodotto”, costituito solo dagli incrementi di patrimo-nio riconducibili ad un’attività produttiva della ricchezza (14);

b) il “reddito spesa”, rappresentato dalla sola ricchezza destinata al consumo (15);

c) il “reddito entrata”, dato da qualunque incremento del patrimo-nio preesistente (16).

Ora, posto che tale classificazione non assume grande utilità da un punto di vista giuridico, essendo le scelte del legislatore legate prevalen-temente agli obiettivi di politica fiscale e di sviluppo economico, il pro-blema relativo all’individuazione di una nozione unitaria di reddito nell’ambito dell’IRPEF si è tradotto essenzialmente nella possibilità di considerarlo o come “prodotto” oppure come “entrata”, considerato che nel nostro ordinamento il reddito inteso quale “spesa” non costituisce normalmente un’ipotesi che presenta rilevanza ai fini della tassazione.

14 Su tale nozione di reddito si veda, in particolare, VANONI, Osservazioni sul concet-to di reddito in finanza, cit., 361; A.D. GIANNINI, Il concetto di reddito mobiliare nel di-ritto tributario italiano, in Riv. pol. econ., 1935, 397 e 592; BERLIRI, Appunti sul concetto di reddito nel sistema dell’imposta mobiliare, in Riv. it. dir. fin., 1939, I, 11. Tale indiriz-zo sottolinea, quindi, la distinzione tra la “fonte produttiva” (bene immobile, lavoro, attività d’impresa, ecc.) ed il prodotto che ne discende, da cui deriva, da un lato, la ne-gazione della valenza reddituale delle vicende che direttamente riguardano le fonti produttive (alienazione e perdita del bene produttivo, incrementi o decrementi del suo valore), in quanto incidenti specificamente sul patrimonio anziché sul reddito da esso derivante e, dall’altro, l’irrilevanza impositiva degli arricchimenti derivanti da liberalità o da atti a titolo gratuito, in quanto non aventi natura reddituale ma patrimoniale.

15 Cfr. EINAUDI, Intorno al concetto di reddito imponibile e di un sistema di imposte sul reddito consumato, in Saggi sul risparmio e l’imposta, Torino, 1958, 3. Tale conce-zione prendeva le mosse dall’effetto di doppia imposizione che sarebbe derivato tas-sando ad un tempo l’intero reddito prodotto e, successivamente, anche quello prodotto dal reinvestimento della parte risparmiata. Questa teoria, tuttavia, non ha mai avuto riscontri normativi, viste le difficoltà nella sua attuazione pratica.

16 Secondo tale definizione, ogni forma di ricchezza che si aggiunge al patrimonio costituisce reddito, compresi gli arricchimenti gratuiti e gli incrementi di valore dei be-ni posseduti (sui quali si veda FEDELE, Profili dell’imposizione dei plusvalori patrimonia-li nell’ordinamento italiano, in AA.VV., L’imposizione dei plusvalori patrimoniali, Mila-no, 1970, 154; ROMANI, Gli incrementi patrimoniali e l’imposta sul reddito, Roma, 1964, 102). Con tale concezione l’attenzione si sposta dall’oggettività dei fenomeni produttivi (rapporto tra fonte e reddito) ai soggetti che ne sono interessati nonché alle variazioni che si verificano nella situazione patrimoniale del contribuente, indipendentemente dalle ragioni che possono avere determinato tali variazioni.

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Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche 8

Orbene, analizzando ciascuna fonte reddituale e prescindendo per il momento dai “redditi diversi”, che costituiscono una fattispecie piutto-sto eterogenea, si osserva come i redditi appartenenti a ciascuna catego-ria provengano tendenzialmente tutti da una fonte produttiva, che può essere costituita da un’attività oppure da un capitale. In sostanza, è pos-sibile ritenere che il vigente sistema impositivo adotti fondamentalmen-te il criterio di tassazione del reddito inteso come prodotto, vale a dire come nuova ricchezza derivante da un’attività produttiva esercitata dal soggetto passivo (17).

Tuttavia, è anche indubbio che il diritto positivo sembra evolversi nel senso di un progressivo sganciamento da tale nozione in favore di fattispecie reddituali dove è sicuramente meno evidente, se non assente, il collegamento tra la produzione del reddito e l’attività economica svol-ta dalla persona fisica; tale è il caso, ad esempio, delle vincite, dei con-corsi e delle lotterie (che costituiscono redditi diversi, ex art. 67, lett. d) del TUIR), dei contributi e delle liberalità erogate a favore dell’impren-ditore (che nell’ambito del reddito d’impresa danno luogo a sopravve-nienze attive, ex art. 88, comma 3, lett. b) del TUIR) o, ancora, di altre forme di proventi conseguiti a titolo gratuito, quali i contributi in conto esercizio (costituenti ricavi, ex art. 85, lett. h)).

Invero, di fronte alle incertezze interpretative connesse all’individua-zione di un concetto unitario di reddito ai fini tributari, parte della dot-trina ha sottolineato la scarsa utilità di ogni tentativo volto a ricondurre tale nozione ad una delle categorie elaborate dalla scienza economica, preferendo intendere reddito né più né meno ciò che il legislatore ha stabilito essere tale attraverso disposizioni ad hoc (c.d. tesi “nominalisti-ca”) (18).

In definitiva, il reddito che costituisce il presupposto dell’IRPEF è quel reddito che il legislatore tributario considera tale, ispirandosi al prin-

17 In tal senso TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, cit., 17; FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 777.

18 GLENDI, La nozione di reddito fiscale, in AA.VV., Il reddito di impresa nel nuovo Testo Unico, Padova, 1988, 127; TINELLI, Il reddito di impresa nel diritto tributario, Mi-lano, 1991, 54. Tale posizione viene criticata da altri autori, osservando che il legislato-re non ha piena discrezionalità nell’assoggettare ad imposizione alcuni proventi anziché altri, essendo comunque vincolato dal principio di capacità contributiva (TESAURO, Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, I, L’imposta sul reddito delle persone fi-siche, Torino, 1994, 7).

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 9

cipio di capacità contributiva sancito dall’art. 53, comma 1, della Costi-tuzione nell’individuazione della base economica del dovere del concor-so alle pubbliche spese (19). Da tale precisazione deriva anche la neces-saria limitazione della portata del presupposto dell’IRPEF, che dovrà ritenersi ancorata alla definizione legislativa, pur ispirata alla nozione economica, ma non potrà utilizzare la nozione economica di reddito ai fini dell’individuazione dell’area della rilevanza impositiva. Per cui, co-me potranno individuarsi fattispecie qualificate dal legislatore come reddito pur in mancanza di una base economica, così dovrà prendersi atto che, in altre situazioni, una situazione espressiva, dal punto di vista economico, di un reddito, non è rilevante ai fini dell’IRPEF.

3. Precisazioni sul concetto di reddito. Reddito e patrimonio, redditi in denaro e redditi in natura, reddito lordo e reddito netto

Il concetto di reddito può essere meglio precisato analizzandolo in contrapposizione a quello di patrimonio. Mentre, infatti, quest’ultimo designa l’insieme delle attività e delle passività possedute da un deter-minato soggetto a una certa data, il reddito misura l’aumento di ric-chezza del soggetto in un determinato lasso di tempo. In altri termini, il patrimonio si presenta come un concetto statico, mentre il reddito ha natura dinamica, essendo espressione di confronto fra situazioni eco-nomiche esistenti in due diversi momenti temporali (20), che poi deli-mitano il c.d. periodo di imposta, normativamente individuato nell’anno solare per le persone fisiche (art. 7 del TUIR) e nell’esercizio sociale per le società (art. 76 del TUIR).

Anche se nel nostro ordinamento è sicuramente più frequente la tas-

19 Oltre che al principio di capacità contributiva, il legislatore dimostra di essere ri-spettoso anche dell’altro fondamentale principio costituzionale della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., avendo introdotto una disciplina dell’IRPEF “a fattispecie esclusi-va”, nell’ambito della quale la nozione di reddito è caratterizzata da una base giuridica che prevale sulla eventuale non coerenza della base economica del reddito da assogget-tare a tassazione. In tal senso v. TINELLI, Commento all’art. 1, in AA.VV., Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, a cura di TINELLI, cit., 22.

20 LUPI, Diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2005, 15; LA ROSA, Principi di di-ritto tributario, Torino, 2006, 43; TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, cit., 18.

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Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche 10

sazione del reddito, non sono mancate, soprattutto in passato, impor-tanti forme di imposizione immobiliare (21), alcune delle quali hanno dato origine anche a vivaci dibattiti giurisprudenziali (22). Anche nel-

21 Alcuni tributi di tipo immobiliare erano stati già progettati nel corso degli anni venti al fine di accrescere la produzione e colmare la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Al riguardo possiamo ricordare il progetto legislativo elaborato nel 1919 dall’allora Ministro delle finanze Filippo Meda, il quale prevedeva, accanto ad un’imposta normale sui redditi e ad un’imposta complementare progressiva sul reddito complessivo del contribuente, l’istituzione di un’imposta ordinaria generale sul patri-monio, idonea ad offrire uno strumento tecnico di discriminazione qualitativa dei red-diti (cfr., al riguardo, il disegno di legge “Riforma generale delle imposte dirette sui red-diti e nuovo ordinamento dei tributi locali”, la cui relazione è pubblicata in MEDA, La riforma generale delle imposte sui redditi, Fratelli Treves, Milano, 1920). Il progetto Meda non fu mai approvato e fu preferita un’imposta straordinaria, istituita con r.d. 24 novembre 1919, n. 2169, il cui carattere straordinario discendeva dal periodo di ap-plicazione dello stesso, previsto in venti anni, e dal momento di rilevanza del presup-posto, limitato al patrimonio posseduto al 1° gennaio 1920. In seguito sono stati in-trodotti ulteriori tributi patrimoniali: l’imposta ordinaria sul patrimonio complessivo (c.d. imposta Thaon), istituita allo scadere dell’applicazione dell’imposta straordinaria (con il r.d.l. 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito con l. 8 febbraio 1940, n. 100) e abo-lita nel 1947 (con il d.lgs. 29 marzo 1947, n. 143); l’imposta straordinaria proporzio-nale e l’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio delle persone fisiche, en-trambe introdotte nel 1947 (dal d.lgs. 29 marzo 1947, n. 143); l’imposta proporzionale sul patrimonio delle società, istituita anch’essa nel 1947 (sempre con il d.lgs. 29 marzo 1947, n. 143); l’imposta sul patrimonio netto delle imprese, introdotta nel 1992 (dal d.l. 30 settembre 1992, n. 394) ed in vigore fino al 1997 (sino all’emanazione del d.lgs. n. 446 del 1997, istitutivo dell’IRAP). Inoltre, nel corso del 1900 furono istituite diver-se imposte tese a colpire il patrimonio imprenditoriale: l’imposta di negoziazione (1923), l’imposta straordinaria sul capitale delle società per azioni (1937), l’imposta straordinaria sul patrimonio delle società e degli enti morali (1947), l’imposta sulle so-cietà (1954), la già citata imposta sul patrimonio netto delle imprese (1992). Sull’evo-luzione storica dei vari progetti di riforma si veda MARONGIU, Storia dei tributi degli enti locali (1861-2000), Padova, 2001, 222 ss.; REPACI, La finanza pubblica italiana nel secolo 1861-1960, Bologna, 1962. Con particolare riferimento alle imposte patrimoniali si rinvia allo studio di MARELLO, Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, Milano, 2006, 32 ss.

22 Ci si riferisce, in particolare, all’imposta sul patrimonio netto delle imprese, della quale parte della giurisprudenza di merito ha sostenuto il contrasto con l’art. 7 della direttiva CEE n. 335 del 1969 (tra le tante vedi Comm. trib. reg. Firenze 7 no-vembre 2000, n. 15, in Foro toscano, 2001, 76 e gli altri riferimenti giurisprudenziali citati da BRIANI-COMUCCI, Alcune riflessioni in ordine all’imposta sul patrimonio netto delle imprese tra giurisprudenza comunitaria e tributaria, in Riv. dir. trib., 1998, III, 114 ss.; RAVACCIA, Ancora sulla illegittimità dell’imposta sul patrimonio netto, in Riv.

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 11

l’attuale sistema tributario sono presenti tributi immobiliari di rilevante entità, tra i quali particolare importanza riveste l’IMU (Imposta Muni-cipale Unica), che ha sostituito, dall’anno 2012, l’ICI (Imposta Comu-nale sugli Immobili) (23). Il nuovo tributo locale, infatti, colpendo il possesso di fabbricati, aree fabbricabili e terreni siti nel territorio dello Stato, può essere qualificato come un’imposta ordinaria sul patrimonio (24) di tipo reale (25), avente carattere di periodicità, in quanto idonea a colpire gli immobili presenti sul territorio comunale e commisurata al loro valore, cui il soggetto passivo è tenuto per il solo fatto di esserne titolare (26). giur. trib., 2001, 1059 ss.), tesi tuttavia respinta sia dalla Corte di Giustizia (27 otto-bre 1998, C-4/97) sia, recettiziamente, dalla Corte di Cassazione (Cass. 11 maggio 2004, n. 8907).

23 Nonostante l’entrata in vigore dell’IMU fosse originariamente prevista dal 2014, l’art. 13 del recente d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, ne ha anticipato l’applicazione, in via sperimentale, a decorrere dall’anno 2012, posticipandone l’entrata in vigore a regime al 2015. Dall’a-nalisi della normativa richiamata, è possibile sostenere una tendenziale coincidenza tra l’IMU e l’ICI, della quale il nuovo tributo locale mantiene gli stessi aspetti strutturali della fattispecie imponibile, sia sotto il profilo oggettivo, che sotto quello soggettivo. Per approfondimenti si rinvia a: SERVIDIO, L’imposta municipale propria, in Boll. trib., 2012, 177 ss.; ORSI, La nuova IMU sperimentale. Primi dubbi applicativi e le possibili soluzioni, ivi, 2012, 101 ss. Per la specifica tematica relativa all’applicazione dell’IMU nei porti turistici, v. MENCARELLI, Demanio marittimo e imposizione tributaria, Torino, 2012; MENCARELLI, Portualità turistica e fiscalità locale. Profili giuridici, Padova, 2018.

24 In dottrina, nell’ambito dell’imposizione sul patrimonio, si distingue generalmen-te tra imposte ordinarie ed imposte straordinarie: le prime colpiscono il patrimonio del soggetto quale esiste alla scadenza di periodi di tempo successivi, di durata pari a quel-la presa a base del bilancio dello Stato; le seconde colpiscono il patrimonio una sola volta, quale esiste ad una data determinata, prescelta discrezionalmente dal legislatore (sul punto cfr. MAFFEZZONI, Patrimonio (imposte sul), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 325).

25 Si osserva, tuttavia, che il sistema delle agevolazioni, presente sia nell’ICI che nel-l’attuale IMU, dando rilievo agli aspetti che attengono alla persona del soggetto passi-vo, tende a connotare l’imposta anche in modo “personalistico”, attenuando il suo carattere reale. Circa tale assunto, con riferimento all’ICI, v. BASILAVECCHIA, Profili generali dell’imposta comunale sugli immobili, in Rass. trib., 1999, 1367.

26 Tra le definizioni di imposte sul patrimonio fornite dalla dottrina si vedano, a ti-tolo esemplificativo, quelle di: FALSITTA, Note a Corte Cost. n. 263 del 1994, in Riv. dir. trib., 1994, II, 542, che le definisce come «quelle imposte il cui presupposto e parametro è rappresentato dal patrimonio del contribuente»; TRAMONTANA, Aspetti e problemi del-

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Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche 12

Sono, tuttavia, esclusi dal concetto di reddito gli incrementi patri-moniali conseguiti a titolo gratuito, a meno che non si inseriscano, a lo-ro volta, in un contesto produttivo, come, ad esempio, è l’ipotesi delle erogazioni liberali a favore dei lavoratori dipendenti (27) o le indennità e liberalità a favore di soggetti esercenti attività d’impresa (28), proventi che, benché conseguiti a titolo gratuito, concorrono alla formazione del relativo reddito sullo specifico presupposto dell’attività esercitata dal beneficiario.

Come si è detto, le variazioni patrimoniali costituiscono reddito non solo quando sono frutto di un investimento o di un’attività produttiva, ma anche quando derivano da semplici differenze di valore di un bene, l’imposizione ordinaria sul patrimonio, Padova, 1974, 2, secondo il quale le imposte or-dinarie sono quelle «imposte che colpiscono un soggetto per il solo fatto che possiede un patrimonio e lo colpiscono con carattere di periodicità, commisurandosi al valore del pa-trimonio complessivo netto o al valore di singoli cespiti patrimoniali». Sulla natura pa-trimoniale dell’ICI cfr.: MARINI, Contributo allo studio dell’imposta comunale sugli im-mobili, Milano, 2000, 124; TOSI, Principi generali del sistema tributario locale, in AA.VV., L’autonomia finanziaria degli enti locali territoriali, Roma, 1994, 37; GASPARI-

NI, L’imposta comunale sugli immobili, in Trattato di diritto tributario, a cura di AMA-

TUCCI, vol. IV, Padova, 1994, 436-437; REY, La scelta della materia imponibile da decen-trare agli enti locali, con particolare riguardo al settore immobiliare, in Fin. loc., 1994, 98; LECCISOTTI-GIANNONE, La finanza locale tra Scilla e Cariddi, in AA.VV., L’autonomia finanziaria degli enti locali territoriali, cit., 413; PERRONE, L’imposta comunale sugli im-mobili: primi spunti critici, in Riv. dir. trib., 1994, I, 744; MARONGIU, Storia dei tributi degli enti locali (1861-2000), Padova, 2001, 321; FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, 1051; RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2009, 462; LA

ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2006, 145; MARELLO, Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, Milano, 2006, 107 ss.; FEDELE, L’imposizione immobiliare. Dalla metafora della “fonte” all’intenzionalità del risultato produttivo, in La fiscalità im-mobiliare, atti del convegno di Siena del 12 febbraio 2010, Milano, 2011, a cura di PI-

STOLESI, 5 ss. Sul carattere patrimoniale dell’IMU, v. MENCARELLI, Demanio marittimo e imposizione tributaria, cit., 128; MENCARELLI, Portualità turistica e fiscalità locale. Pro-fili giuridici, cit., 149 ss.

27 Ai sensi dell’art. 51, comma 1 del TUIR, il reddito di lavoro dipendente è costi-tuito da tutte le somme e valori a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.

28 Rientrano in tale fattispecie le indennità conseguite per la perdita o il danneggia-mento dei c.d. beni merce (costituenti ricavi ex art. 85, comma 1, lett. f)); i contributi spettanti in base a contratto nonché quelli in conto esercizio (costituenti entrambi rica-vi ex art. 85, comma 1, lett. g) e lett. h)); i contributi in conto capitale (costituenti so-pravvenienze attive ex art. 88, comma 3, lett. b)).

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 13

come si verifica per le plusvalenze patrimoniali (29) od i c.d. scarti di emissione (30).

Inoltre, alla luce di quanto disposto dall’art. 1 del TUIR in tema di presupposto dell’IRPEF, i redditi attratti ad imposizione possono essere monetari, quindi in denaro, oppure non monetari, vale a dire in natura.

I redditi in natura trovano frequente disciplina nell’ambito della tas-sazione del reddito di lavoro dipendente e sono costituiti generalmente da beni o servizi, compresi nella retribuzione erogata dal datore di lavo-ro. Il valore monetario ad essi attribuito, ai fini dell’IRPEF, corrisponde al valore normale che, ai sensi dell’art. 9, comma 3 del TUIR, coincide con «il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al me-desimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni e servizi sono stati acquistati o prestati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi». Tale valore individua, sostanzialmente, il valore di mercato dei beni e servizi, per la cui determinazione occorre fare rife-rimento ai listini ed alle tariffe del soggetto che li ha forniti e, in man-canza, alle mercuriali ed ai listini delle camere di commercio e alle tarif-fe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso.

Il principio della valutazione a valore normale rappresenta un crite-rio di determinazione alternativo del reddito che si rende applicabile quando quest’ultimo non è espresso in moneta di conto e trova applica-zione anche nel calcolo di taluni componenti del reddito di impresa, come, ad esempio, i ricavi o le plusvalenze patrimoniali derivanti da au-toconsumo dei beni dell’impresa (artt. 85, comma 2 e 86, comma 3) op-pure le sopravvenienze attive in caso di cessione del contratto di loca-zione finanziaria (art. 88, comma 5).

Diverse sono le problematiche che, invece, discendono dai redditi espressi in moneta di conto, tra le quali particolare evidenza assume il fenomeno del deprezzamento monetario. In effetti, l’inflazione, provo-

29 Ai sensi dell’art. 86, comma 2 del TUIR, la plusvalenza patrimoniale è costituita dalla differenza fra il corrispettivo o l’indennizzo conseguito, al netto degli oneri acces-sori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato del bene.

30 L’art. 45, comma 1 del TUIR, include tra i redditi di capitale anche la differenza tra la somma percepita o il valore normale dei beni ricevuti alla scadenza e il prezzo di emissione o la somma impiegata, apportata o affidata in gestione, ovvero il valore nor-male dei beni impiegati, apportati o affidati in gestione.

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Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche 14

cando un aumento del livello dei prezzi, comporta un incremento anche del livello dei redditi in termini solo puramente nominali, producendo seri effetti distorsivi sul sistema tributario a causa della progressività dell’imposizione, dalla quale può discendere uno scatto di aliquota a parità di reddito effettivo (c.d. fiscal drag).

Il nostro sistema impositivo non dà rilievo, in via generale, a tali fe-nomeni monetari, non consentendo di sottrarre dall’imposta, in via permanente, gli incrementi di reddito puramente nominali (31). A tal fine si interviene, invece, con appositi provvedimenti normativi per dare rilievo alle conseguenze dell’inflazione i quali, solitamente, consistono in leggi di rivalutazione monetaria dei beni aziendali, che subordinano la rivalutazione dei beni d’impresa a rigorosi limiti temporali, tipologici e quantitativi (32).

Per attenuare gli effetti del cosiddetto “drenaggio fiscale”, vale a dire l’aumento dell’imposta progressiva in ragione dell’incremento pura-mente nominale del reddito, è inoltre prevista la revisione di alcuni pa-rametri di liquidazione dell’imposta, quali l’importo delle detrazioni e degli scaglioni di reddito, quando la variazione degli indici Istat supera una certa soglia (33).

31 FALSITTA, Svalutazione monetaria e tassazione del reddito da lavoro dipendente, in Rass. trib., 1985, II, 10; CROVATO, Inflazione e crediti di lavoro dipendente, in Riv. dir. trib., 1992, I, 247.

32 Tra i motivi di convenienza ad effettuare la rivalutazione monetaria vi è la possi-bilità di cedere i beni rivalutati e di assoggettare il loro maggior valore ad imposta sosti-tutiva, anziché all’imposizione ordinaria. Numerose sono state le leggi di rivalutazione monetaria, le ultime delle quali hanno consentito di effettuare la rivalutazione di parte-cipazioni e terreni detenuti da soggetti non imprenditori mediante il pagamento di una imposta sostitutiva dell’8 per cento del valore rideterminato (da ultimo, si veda la legge di bilancio per l’anno 2018 del 27 dicembre 2017, n. 205).

33 Ai sensi dell’art. 3 del d.l. 2 marzo 1989, n. 69, «a decorrere dall’1 gennaio 1990, quando la variazione percentuale del valore medio dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati relativo al periodo di dodici mesi terminante al 31 agosto di ciascun anno supera il 2 per cento rispetto al valore medio del medesimo indice rilevato con riferimento allo stesso periodo dell’anno precedente, si provvede a neutralizzare inte-gralmente gli effetti dell’ulteriore pressione fiscale non rispondenti a incrementi reali di reddito. Ai fini della restituzione integrale del drenaggio fiscale si provvederà mediante l’adeguamento degli scaglioni delle aliquote delle detrazioni e dei limiti di reddito previsti negli articoli 11, 12 e 13 del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. 2. Entro il 30 settembre di cia-

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 15

Nel sistema dell’imposizione sui redditi è tendenzialmente tassato il reddito netto, cioè il reddito determinato al netto dei costi sostenuti per la sua produzione, come nel caso dei redditi di impresa e di lavoro au-tonomo. Tuttavia, in alcuni casi i costi di produzione non sono ammessi in deduzione, come avviene per i redditi di capitale, oppure si deduco-no in misura forfetaria, come si verifica nei redditi di lavoro dipendente.

4. Le regole generali in tema di individuazione del reddito. I redditi sostitutivi

La prevalenza della concezione di reddito inteso come prodotto nell’ambito dell’imposizione sui redditi risulta indirettamente confer-mata anche da alcune regole generali in tema di individuazione del red-dito contenute nel TUIR.

La prima regola in tal senso è fissata dall’art. 6, comma 2 del Testo Unico, secondo il quale «i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti».

Tale disposizione, che disciplina i c.d. proventi sostitutivi di redditi, attrae ad imposizione manifestazioni economiche di per sé non rien-tranti nelle categorie reddituali ma strettamente connesse ad una fonte tipizzata, della quale mutuano le regole di individuazione e di determi-nazione. I proventi sostitutivi, in particolare, conseguono ad una ces-sione dei crediti derivanti dalla fonte reddituale oppure ad un’indennità di tipo risarcitorio connessa alla perdita di redditi e quindi possono ave-re fonte negoziale o legale. scun anno con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, si procede alla ricognizione della variazione percentuale di cui al primo comma e si stabiliscono i conseguenti adeguamenti degli scaglioni delle aliquote, delle detrazioni e dei limiti di reddito; gli importi degli scaglioni delle aliquote e dei limiti di reddito sono arrotondati a lire 100 mila per difetto se la frazione non è superiore a lire 50 mila o per eccesso se è superiore. Il decreto ha effetto per l’anno successivo. Il primo decreto sarà emanato entro il 30 settembre 1989. 3. Nella legge finanziaria relativa all’an-no per il quale ha effetto il decreto di cui al secondo comma si farà fronte all’onere deri-vante dall’applicazione del medesimo decreto».

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Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche 16

Per quanto riguarda le indennità risarcitorie, esse assumono rilevan-za solamente nei casi in cui il risarcimento abbia una funzione sostituti-va di un reddito astrattamente sussumibile nelle categorie tipizzate nel comma 1 del medesimo art. 6. La disposizione si fonda su una conce-zione di reddito concepito quale incremento del patrimonio e, secondo la maggior parte della dottrina, consente di escludere dalla tassazione quei proventi che costituiscono una mera reintegrazione del patrimonio già posseduto, che non comporta alcun incremento di ricchezza (34).

In tal senso, quindi, il legislatore tributario avrebbe fatto propria la distinzione civilistica tra danno emergente (ovvero volto ad una reinte-grazione patrimoniale) e lucro cessante (diretto invece a reintegrare una perdita di redditi), attribuendo rilevanza reddituale ai soli risarcimenti corrisposti a fronte di quest’ultimo (35).

La fattispecie del risarcimento sostituivo del reddito ha formato og-getto di dibattiti giurisprudenziali per lo più con riferimento alle somme percepite a titolo risarcitorio dai lavoratori dipendenti (36), in relazione alle quali è stata sostanzialmente codificata la regola secondo cui il ri-sarcimento dei danni rappresenta reddito per il lavoratore solo quando possa configurarsi come riconosciuto a fronte di un lucro cessante, non potendosi invece considerare rilevante ai fini IRPEF il risarcimento del danno emergente che non realizza alcuna forma di nuova ricchezza. Al-la luce di tale distinzione, pertanto, non sarebbero soggette ad imposi-

34 POTITO, Il sistema delle imposte dirette, Milano, 1989, 11; TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, cit., 19.

35 Tale criterio distintivo era stato adottato da dottrina e giurisprudenza già in epo-ca precedente all’emanazione del TUIR sostenendo che, nell’ambito delle somme otte-nute a titolo di indennizzo, fosse necessario distinguere la parte destinata a reintegrare una diminuzione patrimoniale (come tale tassabile) da quella destinata a sostituire un guadagno futuro, ma certo, non verificatosi a causa dell’illecito (A.D. GIANNINI, Istitu-zioni di diritto tributario, cit., 362). Alla stessa logica risponde, peraltro, il regime impo-sitivo delle pensioni le quali, in linea di massima, sono tassabili quando sono collegate ad un rapporto di impiego o di servizio, mentre non lo sono quelle aventi natura risar-citoria quali, ad esempio, le pensioni di guerra (Corte Cost. 11 luglio 1989, n. 387, in Giur. it., 1991, I, 21). Anche la prassi amministrativa si è pronunciata in tal senso me-diante la R.M. 27 maggio 2002, n. 155/E, in Banca dati Fisconline.

36 Sulla rilevanza di tale distinzione nei redditi di lavoro dipendente vedi DELLA

VALLE, Appunti in tema di erogazioni risarcitorie ed indennità sostitutive, in Riv. dir. trib., 1992, I, 821 ss.; RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, cit., 60.

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 17

zione né l’indennità supplementare per licenziamento ingiustificato (37), né l’indennità per ferie non godute (38).

37 Sull’argomento si veda PURI, A proposito del trattamento fiscale dell’indennità supplementare per licenziamento ingiustificato, in Riv. dir. trib., 1992, II, 252; BATOC-

CHI, L’indennità supplementare per ingiustificato licenziamento del dirigente d’azienda, in AA.VV., Il reddito di lavoro dipendente, a cura di FICARI, Torino, 2002, 429 ss. In giurisprudenza si registrano orientamenti contrastanti, volti ora a ritenere tassabili le indennità derivanti da ingiustificato licenziamento (Cass. 30 gennaio 2003, n. 1431, in Corr. trib., 2003, 1491; Cass. 24 luglio 2003, n. 11501), ora a negarne rilevanza ai fini impositivi (Cass. 23 novembre 1992, n. 12511, in Corr. trib., 1992, 3571; Cass. 17 ago-sto 2004, n. 16014, in Riv. giur. trib., 2005, 127 e, di recente, Cass. 10 aprile 2006, n. 8366, in Il fisco, 2006, 3298).

38 Anche sulla tassabilità dell’indennità per ferie non godute la giurisprudenza e la dottrina hanno manifestato posizioni discordanti. La giurisprudenza di merito si è pro-nunciata generalmente soprattutto a favore della non tassabilità (in tal senso si vedano: Comm. trib. reg. Gorizia 18 gennaio 1990, n. 144, in Rass. trib., 1990, II, 735; Comm. trib. reg. Roma 17 febbraio 1994, n. 94150018, in Boll. trib., 1994, 723 e in Not. giur. lav., 1994, 440; Comm. trib. prov. Genova 24 gennaio 1995, n. 620, in Dir. prat. trib., 1995, 789; Comm. trib. prov. Macerata 25 ottobre 1994, n. 32111, in Boll. trib., 1995, 1118; Comm. trib. prov. Bologna 22 ottobre 1994, n. 6768, ivi, 1994, 223; Comm. trib. prov. Milano 15 marzo 1994, n. 179, ivi, 1994, 723; Comm. trib. prov. Genova 22 di-cembre 1993, s.n., in Not. giur. lav., 1994, 695; Comm. trib. prov. Alessandria 14 otto-bre 1993, n. 137, in Giur. piemontese, 1994, 128, con nota di PETRUCCI; Comm. trib. prov. Treviso 6 settembre 1993, n. 359, in Il fisco, 1994, 741; Comm. trib. prov. Milano 15 febbraio 1993, n. 941, in Boll. trib., 1993, 133, con nota di ZOPPINI; Comm. trib. prov. Venezia 23 settembre 1992, n. 243, in I quattro codici della riforma tributaria, CD-ROM Versione 2, 5195, Ipsoa; Comm. trib. prov. Milano 24 aprile 1999, s.n., in Dir. prat. trib., 1993, II, 27 e in Corr. trib., 1991, 3289, con nota di FERRAÙ; Comm. trib. prov. Roma 23 maggio 1991, s.n., in Not. lav., 1991, 389; Comm. trib. prov. Pordenone 13 maggio 1991, s.n., ivi, 1991, 523; Comm. trib. prov. Milano 25 marzo 1991, n. 17301, in Corr. trib., 1991, 3289, con nota di FERRAÙ; Comm. trib. prov. Torino 25 giugno 1990, n. 1088189, in Rass. mens. imp., 1990, 965, con nota di PACITTO; Comm. trib. prov. Ragusa 5 maggio 1990, in Corr. trib., 1990, 1893; Comm. trib. prov. Milano 14 dicembre 1989, s.n., in Dir. prat. trib., 1989, II, 481, con nota di MARONGIU; Comm. trib. prov. Teramo 9 novembre 1987, n. 1346, ivi, 1988, II, 659, con nota di VENEGONI. In senso contrario v. Comm. trib. reg. Milano 2 giugno 1995, s.n., in Boll. trib., 1995, 7; Comm. trib. reg. Firenze 3 gennaio 1994, s.n., in Foro it., 1994, III, 167; Comm. trib. reg. Treviso 13 dicembre 1993, n. 1187, in Boll. trib., 1995, p. 223; Comm. trib. prov. Roma 8 giugno 1995, n. 473/17, in Il fisco, 1996, 823; Comm. trib. prov. Pordenone 9 luglio 1994, n. 220/01, ivi, 1995, 223; Comm. trib. prov. Macerata 6 aprile 1993, n. 48, ivi, 1993, 7153; Comm. trib. prov. Salerno 21 novembre 1991, n. 916, in Corr. trib., 1992, 2361). La Suprema Corte ha, invece, prevalentemente sostenuto la tassabilità del-

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Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche 18

Invero, in dottrina è stata sottolineata anche la finalità antielusiva della disposizione in commento (39), volta a contrastare il tentativo di qualificare pattiziamente come risarcimento di danni le vere e proprie erogazioni di reddito, attribuendo rilievo alla fattispecie reddituale og-getto di sostituzione mediante, appunto, la previsione che tutte le som-me sostitutive hanno la stessa natura di quelle sostituite, in modo da ot-tenere la detassazione delle stesse (40).

5. La disciplina degli interessi

La seconda regola generale relativa all’individuazione del reddito è disposta dalla seconda parte dell’art. 6, comma 2 del TUIR, secondo cui «gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costitui- le indennità in considerazione del carattere onnicomprensivo del reddito di lavoro di-pendente (Cass. 9 luglio 1999, n. 7188, in Dir. prat. trib., 2000, II; Cass. 29 marzo 2000, n. 3847, in Cons. Stato, I, 1693; Cass. 7 aprile 2000, n. 4405; Cass. 26 luglio 2001, n. 10243; Cass. 29 marzo 2002, 4591, in Banca dati Fisconline; Cass. 25 marzo 2002, n. 4261, in IPSOA, I quattro Codici della riforma tributaria, CD Rom, vers. 2; Cass. 26 set-tembre 2003, n. 14304, in Boll. trib., 2004, 787; contra Cass. 27 agosto 2003, n. 12580, in Giur. imp., 2004, 298). Sull’argomento si veda MARONGIU, La intassabilità dell’inden-nità sostitutiva delle ferie non godute, in Dir. prat. trib., 1993, I, 32; FICARI, Note critiche sulla natura fiscale delle indennità per ferie non godute, in Riv. dir. trib., 1994, II, 790; GALATERIA, L’indennità per ferie non godute nell’imposizione sul reddito, in Rass. trib., 2006, 1118.

39 In tal senso vedi FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 781; LA ROSA, Principi di di-ritto tributario, cit., 45.

40 Parte della dottrina (TINELLI, Il reddito di impresa nel diritto tributario, cit., 58) attribuisce a questa norma una portata oggettiva ancora più ampia rispetto a quella tra-sparente da una sua prima lettura, ravvisandovi la disciplina di una disponibilità volon-taria dei redditi e la conseguente cedibilità a titolo oneroso dei crediti futuri. Dalla norma sembrerebbe, infatti, potersi affermare che un soggetto possa cedere ad un ter-zo, a fronte di un corrispettivo, il proprio reddito relativo ad un determinato periodo di imposta, al lordo o al netto delle spese occorrenti. In tal caso il cedente sarà tassato sul provento sostitutivo, mentre il reddito sarà tassabile, al netto del prezzo pagato, a carico dell’acquirente. Sulla portata di tale disposizione si veda anche MICCINESI, Red-dito delle persone fisiche (imposta sul), in Dig. IV, Disc. priv., sez. comm., VI, Torino, 1991, 175; NUSSI, L’imputazione del reddito nel diritto tributario, Padova, 1996, 113; TINELLI, Commento all’art. 6, in AA.VV., Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, a cura di TINELLI, cit., 72-73.

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 19

scono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati».

In forza di tale disposizione gli interessi moratori e quelli per dila-zione di pagamento vengono qualificati come accessori della fattispecie reddituale individuata dalla fonte del credito (ovvero dalla fonte reddi-tuale di provenienza) e viene, quindi, enunciato il principio secondo cui i medesimi si inquadrano nella stessa categoria di reddito alla quale si riferiscono, seguendone le regole di determinazione e di imputazione temporale.

In tal modo, ad esempio, se gli interessi moratori maturano in conse-guenza di una dilazione di pagamento concessa a fronte di un compen-so derivante dall’attività di lavoro autonomo, per effetto della qualifica-zione disposta in via normativa tali interessi saranno assoggettati alla medesima disciplina fiscale dei redditi di lavoro autonomo. Allo stesso modo, gli interessi corrisposti sulle retribuzioni pagate in ritardo, es-sendo sostitutivi del credito principale e, quindi, addendi del reddito di lavoro dipendente, sono tassabili secondo le regole di tale categoria red-dituale (41).

La norma in commento ha, pertanto, contribuito a risolvere il pro-blema della qualificazione giuridica degli interessi in materia tributaria posto sotto il vigore del d.p.r. n. 597 del 1973 che assoggettava ad IRPEF, quali redditi di capitale, gli interessi moratori ed, in generale, tutti i tipi di interessi, con espressa esclusione degli interessi compensativi (42).

Vista l’assenza di una puntuale definizione legislativa di questi ultimi in materia tributaria, si era reso necessario stabilire l’intrinseca natura di talune tipologie di interessi per verificarne la riconducibilità o meno tra quelli per i quali non sussisteva il presupposto di imponibilità.

La giurisprudenza, pronunciata in ordine a determinate fattispecie di interessi, ha così elaborato una definizione di interessi compensativi diversa da quella fornita dal codice civile (art. 1499 c.c.) (43), conside-

41 In tal senso vedi Cass. 27 gennaio 2004, n. 1381, in Riv. giur. trib., 2004, 731. 42 L’art. 41, lett. i), d.p.r. n. 597 del 1973 prevedeva che, oltre alle fattispecie prece-

dentemente menzionate nel medesimo articolo, costituissero reddito di capitale «gli altri interessi non aventi natura compensativa e ogni altra rendita o provento in misura definita derivante dall’impiego di capitale».

43 Gli interessi compensativi disciplinati dal codice civile, infatti, sono solamente quelli che si producono nell’ambito della compravendita: qualora la cosa venduta sia

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rando come tali quegli interessi che vengono corrisposti nel caso di ri-sarcimento di un danno, quindi finalizzati a ripristinare il patrimonio di un soggetto al quale viene sottratto, per un lasso di tempo, il proprio patrimonio e che, conseguentemente, non costituiscono un vero e pro-prio investimento (ad esempio, gli interessi sui crediti di lavoro dipen-dente, gli interessi dovuti in caso di risarcimento del danno alla perso-na o, in generale, in caso di ritardato pagamento di illeciti extracontrat-tuali) (44).

Una delle fattispecie per le quali si è posto il problema della possibile qualificazione nell’alveo degli interessi compensativi è quella degli inte-ressi dovuti dall’amministrazione finanziaria per il ritardato rimborso d’imposte versate o riscosse in misura superiore al dovuto, che costitui-scono una forma di tutela del credito del contribuente, cui corrisponde un’obbligazione pecuniaria dell’ente impositore (45). Secondo il preva-lente orientamento giurisprudenziale, questi interessi hanno proprio na-

stata consegnata al compratore prima del pagamento e la cosa produca un qualsiasi provento, sul prezzo della compravendita decorrono gli interessi, anche se lo stesso non è ancora esigibile. Attraverso questi interessi il legislatore, quindi, ha voluto pre-vedere una forma di compensazione a favore del venditore per il mancato pagamento sia della cosa che del suo valore capitale. Questa categoria, tuttavia, non ha nulla a che fare con quella degli interessi compensativi di elaborazione giurisprudenziale, dovuti per mantenere intatto un valore patrimoniale dal decorrere del tempo nel caso di un’obbligazione di risarcimento del danno (cfr. LIBERTINI, voce Interessi, in Enc. dir., Milano, 1972). Sull’inidoneità di trasporre le categorie giuridiche elaborate dalla giuri-sprudenza sugli interessi compensativi si veda, di recente, Comm. trib. reg. Lazio 27 marzo 2006, n. 48, in Banca dati Fisconline.

44 Cfr. LUPI, Gli interessi non derivanti da un “impiego di capitale” nelle imposte di-rette; dalla natura compensativa al nuovo testo unico Irpef, in Rass. trib., 1987, I, 98. ss. In giurisprudenza Cass. 14 marzo 1959, n. 761; Cass. 20 gennaio 1981, n. 469, in Rass. trib., 1981, 2, 92; Cass., 13 luglio 1983, n. 4771, in Dir. prat. trib., II, 1985, 368; Cass. 29 marzo 2004, n. 6241, in Il fisco, 2004, 3739. Per ulteriore bibliografia sugli interessi compensativi in ambito tributario si rinvia a CICOGNANI, Imputazione “per cassa” e dirit-to intertemporale in una recente sentenza della suprema Corte in tema di interessi matu-rati sui redditi di lavoro dipendente ex art. 429 c.p.c., in Riv. dir. fin. sc. fin., 2006, 84 (note nn. 15 e ss.).

45 Cfr. artt. 44 del d.p.r. n. 602 del 1973 (interessi dell’1 per cento semestrale per le imposte sui redditi) e 38-bis del d.p.r. n. 633 del 1972 (interessi del 2 per cento annuo per l’IVA). Per la giurisprudenza in materia v. AMODEO, I rimborsi delle imposte, rasse-gna di giurisprudenza (parte I), in Dir. prat. trib., 2002, II, 82; rassegna di giurispru-denza (parte II), in Dir. prat. trib., 2003, II, 713.

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 21

tura compensativa, assolvendo una funzione ripristinatoria degli inte-ressi sui crediti di imposta (46).

Il Testo Unico non contiene espressi richiami agli interessi compen-sativi, ma la dottrina ne esclude generalmente la tassazione, almeno per le persone fisiche che non svolgono attività d’impresa, in quanto non derivanti da rapporti aventi ad oggetto l’impiego del capitale, secondo la definizione fornita dall’art. 44, lett. h) del TUIR (in materia di redditi di capitale), ma aventi funzione prevalentemente risarcitoria (47).

Invero, fino alla riforma operata con il d.lgs. n. 344 del 2003, gli inte-ressi compensativi erano tassati solamente se percepiti da soggetti eser-centi attività di impresa; in tal caso, infatti, essi erano attratti nell’ambi-to del reddito di impresa in forza dell’art. 56 (nella numerazione antece-dente al citato decreto), che prevedeva espressamente la tassazione degli interessi, a qualunque titolo percepiti, nell’attività imprenditoriale, indi-pendentemente dalla loro natura (48).

46 Comm. trib. centrale 16 ottobre 1985, n. 8656, in Dir. prat. trib., 1985, II, 1374; Cass. 19 febbraio 1990, n. 7091, in Il fisco, 1990, 5066; Avvocatura dello Stato, nota 27 febbraio 1979, n. 8/1102, in Dir. prat. trib., 1980, I, 1189 che, in particolare, distingue gli interessi percepiti da parte di imprenditori, per i quali vi sarebbe imponibilità in forza del c.d. principio di attrazione, dagli interessi percepiti da soggetti non imprendi-tori, che sarebbero redditualmente irrilevanti in quanto aventi la funzione di reintegra-re il patrimonio del contribuente. Sulla questione si è pronunciata anche l’amministra-zione finanziaria mediante la circolare del 22 dicembre 1980, n. 40 (in Banca dati Fi-sconline), con la quale ha escluso alle somme in questione la natura di interessi morato-ri e di interessi corrispettivi, nonché mediante la circolare 20 dicembre 1983, n. 56 (in Banca dati Fisconline), con cui ha sostanzialmente ripreso la distinzione operata dal-l’Avvocatura dello Stato tra interessi percepiti da imprenditori e interessi percepiti da non imprenditori. Più di recente si veda Cass. 6 luglio 2004, n. 12405, in Rep. Foro it., 2004, voce Redditi (imposte), n. 993, e Comm. trib. centr. 14 giugno 2004, n. 5288. Sul-la disciplina degli interessi nel caso di ritardati rimborsi di imposte, v. di recente PEL-

LEGRI, Danno da svalutazione monetaria e compensatio cum damno, in Dir. prat. trib., 2016, 2542 ss.

47 Sull’argomento si veda TINELLI, Osservazioni sulla pretesa tassabilità degli interes-si di mora maturati sui crediti di imposta, in Rass. trib., 1984, II, 337; RINALDI, Contribu-to allo studio dei redditi di capitale, Milano, 1989 85; CECCACCI, Il regime degli interessi non derivanti da impiego del capitale, in AA.VV., Il reddito d’impresa, vol. II, Saggi, a cura di TABET, Padova, 1997, 334 ss.

48 Si trattava dell’art. 56 del TUIR che, nella versione precedente a quella risultante dalla riforma del 2003, prevedeva che «gli interessi, anche se diversi da quelli indicati alle lettere a), b) e h) del comma 1 dell’art. 41, concorrono a formare il reddito per l’am-

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Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche 22

Tuttavia, nel “nuovo” Testo Unico non è stata riproposta la disposi-zione dell’art. 56 nell’ambito dell’attuale art. 89, che riguarda appunto la disciplina degli interessi nel reddito d’impresa, né sembra essere stata inserita in altre disposizioni del TUIR.

Con la mancata riproduzione di tale norma nella nuova disciplina delle imposte dirette sembrerebbe, quindi, che gli interessi non deri-vanti da un impiego di capitale percepiti nell’esercizio dell’attività d’im-presa, ed in particolare gli interessi sui rimborsi di imposta, non siano più attratti a tassazione. Tuttavia, è anche vero che tutti i proventi ri-conducibili all’attività di impresa sono tassabili, in forza del “princi-pio di attrazione”, da cui si potrebbe diversamente argomentare che lo scomparso riferimento della tassazione, come reddito di impresa, di tutti i tipi di interessi lasci in realtà impregiudicata la precedente di-sciplina (49).

Quanto agli interessi moratori, dovuti in caso di inadempimento del-l’obbligazione pecuniaria (art. 1224 c.c.), si deve concludere per la loro tassabilità e per la loro attrazione nella medesima categoria reddituale cui appartiene il credito da cui provengono, come prevede l’art. 6, com-ma 2 del TUIR.

6. La tassazione dei proventi derivanti da attività illecite

Sempre con riferimento alla nozione positiva di reddito, assume par-ticolare rilevanza anche la questione relativa alla tassabilità dei redditi provenienti da attività illecite, problema su cui, soprattutto in passato, si erano formate due tesi contrapposte (50).

montare maturato nell’esercizio. Se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio legale».

49 Sul punto vedi COVINO, Di nuovo intassabili, anche per le imprese, gli interessi non derivanti da impiego di capitale?, in Dial. dir. trib., 2006, 103 ss.

50 Gli studi sulla tassazione dei redditi illeciti risalgono già al tempo dell’imposta di ricchezza mobile (QUARTA, Commento alla legge sull’imposta di ricchezza mobile, Mila-no, 1971, 210; TESORO, Principi di diritto tributario, Macrì, 1938, 175). Sull’evoluzione normativa che ha caratterizzato la disciplina di tali redditi si rinvia a TINELLI, Sui limiti temporali di operatività della causa di esclusione dell’imponibilità dei redditi illeciti, in Riv. giur. trib., 2006, 46.

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 23

L’una argomentava che anche i proventi derivanti da attività illeci-te dovessero essere tassati, sempre in quanto riconducibili al novero dei redditi sottoposti a tassazione dal legislatore, poiché altrimenti si sarebbe finito per riservare a tali ricchezze un trattamento di favore. Secondo tale teoria nulla poteva impedire, in linea di principio, che un fatto qualificato come illecito da altre norme dell’ordinamento po-tesse considerarsi espressivo di attitudine a contribuire alle pubbliche spese e che, conseguentemente, anche i redditi derivanti, ad esempio, dal contrabbando di sigarette, dallo spaccio di stupefacenti, dallo sfruttamento della prostituzione potessero costituire presupposti d’im-posta (51).

Un’opposta teoria, invece, escludeva la tassabilità dei redditi prove-nienti da fonte illecita, sia in quanto il legislatore non prevedeva espres-samente l’attività illecita tra le fonti di reddito, sia in considerazione del fatto che un reddito illecito, in quanto soggetto a confisca o ad obblighi di restituzione, non avrebbe potuto essere oggetto di “possesso” da par-te del contribuente, facendo quindi venire meno ogni collegamento tra questi ed il reddito medesimo (52).

Quanto alla giurisprudenza, la Corte di Cassazione si era costante-mente orientata nel ritenere presente nel nostro ordinamento il princi-pio della non tassabilità dei proventi derivanti da reato in base all’affer-mazione che il pretium sceleris non potesse considerarsi reddito in senso tecnico-tributario (53).

51 Sulla tassazione dei redditi da illecito cfr. DELLA VALLE, Proventi illeciti e ob-bligazione tributaria, in Riv. trim. dir. pen., 1991, 573; BORIA, La tassazione delle atti-vità illecite, in Riv. dir. trib., 1991, I, 507; MARCHESELLI, Le attività illecite; presun-zioni e fisco, Padova, 2001, TOSI, La tassabilità dei redditi da attività delittuose, in Dir. prat. trib., 1994, I, 7; GIOVANNINI, Provento illecito e presupposto dell’imposta persona-le, Milano, 2000; NUSSI, Proventi illeciti, tangenti e riferibilità soggettiva del presuppo-sto delle imposte sui redditi (Nota a Cass. 18 gennaio 2008, N. 1058, in Rass. trib., 2008, 495); BORIA, La nozione di reddito ed il regime dei proventi illeciti nel sistema, in Riv. dir. trib., 2015, 1 ss.

52 Escludono la rilevanza reddituale dei proventi illeciti A.D. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, cit., 325; BERLIRI, Principi di diritto tributario, II, Milano, 1957, 229; COCIVERA, Guida alle imposte dirette, Roma, 1956, 304.

53 Cfr., per tutte, Cass. n. 9405 del 1992, in Corr. trib., 1992, 2809. Per una appro-fondita rassegna della giurisprudenza sul tema, cfr. CHERCHI, La tassazione dei proventi illeciti (1990-2005: rassegna di giurisprudenza), in Dir. prat. trib., 2005, II, 417.

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A seguito dell’affermazione giurisprudenziale di tale principio veniva provocato l’intervento delle Sezioni Unite penali le quali ribadivano la non tassabilità dei proventi da reato, sulla considerazione che la ricchez-za derivante dall’esercizio di un’attività illecita non potesse essere ri-condotta al concetto di reddito in senso tecnico al quale si riferivano le norme tributarie (54).

Successivamente il legislatore ha posto definitivamente fine alla que-stione disponendo, mediante l’art. 14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, che nelle categorie di reddito soggette a imposta (quelle indicate nell’art. 6 del TUIR) «devono ricomprendersi, se in esse classifi-cabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguar-danti ciascuna categoria» (55).

54 Cass., SS.UU. pen., 7 marzo 1994, n. 2798, in Corr. trib., 1994, 822. Le Sezioni Unite confermavano concetti già noti, come quello secondo il quale il fatto-reato si po-ne nell’ordinamento come un vulnus più o meno lacerante, cui la legge collega precise conseguenze, quali «la restituzione, il risarcimento del danno, l’obbligatorietà della con-fisca in alcuni casi e l’esercizio del potere discrezionale di disporla in altri casi, che non lasciano spazio al legislatore tributario per apprezzare in un certo modo la “novella ric-chezza” che abbia la sua genesi nel reato e per selezionarla come reddito». Talché queste misure appaiono «incompatibili con il prelievo fiscale, il quale, per sua natura, importa l’assorbimento di una parte e non la eliminazione, mediante ablazione, di tutta la ricchez-za». Ne derivava, così, che la pretesa tributaria sui proventi da illecito veniva conside-rata di carattere residuale e accessorio, subordinata alle decisioni assunte in sede pena-le. Aggiungevano le Sezioni Unite che non vale a richiamare neanche il principio enun-ciato dall’art. 53 Cost., in tema di capacità contributiva, posto che esso perde tutta la sua pretesa indifferenza rispetto alla fonte della ricchezza se viene collegato, come deve esserlo, ad altri principi, in particolare a quelli enunciati negli artt. 1, 2 e 41 dello stesso testo costituzionale.

55 La successiva giurisprudenza della Corte di Cassazione ha preso atto del dato le-gislativo anzidetto e, sostenendone la natura interpretativa e, perciò, la sua applicazio-ne retroattiva, ha affermato il principio della tassabilità dei proventi da illecito, modifi-cando, sotto il profilo sistematico, la soluzione del problema che era stata in preceden-za fornita dalla stessa Cassazione a Sezioni Unite. Si vedano, in particolare: Cass. civ., Sez. I, 19 aprile 1995, n. 4381, in GT, 1995, 873, con commento di GLENDI, Sulla tassa-zione dei proventi illeciti, e in Giur. imp., con commento di CONTESTABILE; Cass. 13 di-cembre 1995, n. 12782, in Il fisco, 1996, 3678; Cass., Sez. III pen., 2 maggio 1996, n. 408, in Corr. trib., 1996, 2381, con commento di CORSO; Cass. 16 aprile 1997, n. 3259, in Corr. trib., 1997, 2217, con commento di CORSO; Cass., Sez. trib., 13 maggio 2003, n.

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 25

La suddetta disposizione, in definitiva, disciplina l’imponibilità di quelle attività illecite (si pensi, ad esempio, anche all’esercizio abusivo della professione) riconducibili ad una delle fattispecie imponibili indi-viduate dal legislatore (56), compresa quella di portata applicativa piut-tosto vasta contemplata dall’art. 67, comma 1, lett. l) del TUIR, secondo il quale sono tassabili, come redditi diversi, i redditi «derivanti dall’as-sunzione di obblighi di fare, non fare, permettere».

In forza di tale norma, i redditi illeciti non costituiscono una catego-ria reddituale diversa da quelle tipizzate dal legislatore, ma redditi in-quadrabili tra quelli indicati nell’art. 6 del TUIR (redditi di impresa, di lavoro autonomo, redditi diversi, ecc.).

Invero, anche qualora i proventi illeciti non potessero essere classifi-cati nelle categorie reddituali di cui al citato art. 6, essi sarebbero comun-que soggetti ad imposizione, in forza della disposizione contenuta nel-l’art. 36, comma 34-bis del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, che in via di inter-pretazione autentica dell’art. 14 della legge n. 537 del 1993, recita: «In deroga all’articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, la disposizione di cui al comma 4 dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, si

7337, in Corr. trib., 2003, 2563, con commento di MARCHESELLI; Cass. 29 settembre 2005, n. 19078, in Riv. giur. trib., 2006, 43, con commento di TINELLI (il quale propone di attribuire all’art. 14, comma 4, legge n. 537 del 1993, limitatamente alla previsione della causa di esclusione della tassabilità del reddito illecito, una portata procedurale); Cass. 10 novembre 2006, n. 24085, in Corr. trib., 2007, 140; Cass. 10 gennaio 2008, n. 1058, in Rass. trib., 2008, 488; Cass. 2 dicembre 2008, n. 28574, in Banca Dati Fiscon-line; contra Cass. 7 marzo 1994, n. 2798, in Corr. trib., 1994, 822, con commento di CORSO. Anche la dottrina prevalente sostiene la natura interpretativa di questa norma (cfr. FALSITTA, La tassazione dei proventi da reato nell’analisi della giurisprudenza dell’ultimo decennio, relazione al Convegno di Studi: La sezione tributaria della Corte di Cassazione nel sistema della giustizia tributaria: bilancio e prospettive ad un anno dalla sua istituzione, Roma, 14 novembre 2000; contra AMATUCCI, La natura innovativa del regime impositivo dei proventi illeciti, in Dir. prat. trib., 1999, II, 659; GIOVANNINI, Pro-vento illecito e presupposto dell’imposta personale, Milano, 2000).

56 Recentemente la Corte di Cassazione, mediante la sentenza 17 novembre 2006, n. 24471 (in Riv. giur. trib., 2007, 115), considerando l’art. 14, comma 4, legge 24 dicem-bre 1993, n. 537 come una norma di principio, ha ritenuto i proventi derivanti dal-l’attività illecita soggetti anche ad IVA. Sul tema v. STRADINI, L’imponibilità ai fini dell’imposta sul valore aggiunto dei proventi illeciti: tra norme interne e principi comuni-tari, in Rass. trib., 2007, 1197; MARCHESELLI, Proventi illeciti e imponibilità iva, in Dir. prat. trib., 2003, II, 389.

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interpreta nel senso che i proventi illeciti ivi indicati, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono comunque considerati come redditi diversi» (57).

In sostanza, in seguito all’introduzione di tale norma sono assogget-tati a prelievo fiscale tutti gli arricchimenti patrimoniali (non sottopo-sti a sequestro o confisca) derivanti da illeciti civili, penali o ammini-strativi, non solo quelli inquadrabili in una delle categorie previste dal Testo Unico, ma anche quelli di non agevole qualificazione all’interno delle medesime. Basti pensare, ad esempio, alle “tangenti”, percepite da un pubblico funzionario che si lascia corrompere, o che si rende autore di concussione, di dubbia riconducibilità ad una delle ipotesi reddituali contemplate dal Testo Unico (58) le quali, in forza della no-vella legislativa, devono comunque essere considerate come redditi di-versi.

Inoltre, sempre riguardo alla tematica in questione, particolare im-portanza riveste il regime tributario dei c.d. “costi da reato”, vale a di-

57 Con questa nuova disposizione sembrerebbe, dunque, essere stata attuata quella volontà che era emersa già antecedentemente alla legge n. 537 del 1993 e che è ben riassunta nella relazione di accompagnamento al disegno di legge 22 giugno 1993, n. 1325, ove, appunto si palesa l’intenzione «di introdurre un’ulteriore fattispecie residuale da includere nell’articolo 81» (corrispondente all’attuale articolo 67) «del T.U.I.R. che avesse consentito, data la peculiarità della materia, di avocare a tassazione anche proventi illeciti sforniti dei caratteri reddituali tipici previsti nelle fattispecie attuali (ad esempio furti, tangenti), con lo scopo di ampliare in questo settore le ipotesi per tassazione rispetto a quelle già esistenti». Per un primo commento di questa disposizione v. TOMASSINI, I redditi diversi accolgono sempre i proventi da illecito, in Corr. trib., 2006, 3163, il quale sembra prospettare dubbi di costituzionalità della norma, giacché dal tenore letterale dell’art. 36, comma 34-bis, d.l. n. 223 del 2006 sembrerebbe che vi sia una nuova cate-goria di redditi diversi, di carattere residuale. Sulla portata di tale norma si è pronun-ciata anche l’Agenzia delle entrate mediante la C.M. 4 agosto 2006, n. 28/E, in Corr. trib., 2006, 2872.

58 Esclude la possibilità di ricondurre le tangenti alle categorie reddituali tipizzate dal legislatore TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, cit., 25 (nota 31). Da altre parti, invece, si sostiene la riconducibilità delle tangenti nella categoria dei redditi diversi e, precisamente, dei redditi derivanti «dalla assunzione di obblighi di fare» (art. 67, lett. l) del TUIR) (in tal senso, Comm. trib. reg. Lazio, 24 maggio 1999, n. 108, in Il fisco, 1999, 13249; Cass. 18 gennaio 2008, n. 1058, in Corr. trib., 2008, 1131).

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 27

re dei costi ed oneri direttamente correlati al compimento di attività illecite. Al riguardo, il comma 4-bis dell’art. 14 della citata legge n. 537 del 1993, come di recente modificato dall’art. 8, comma 1, d.l. 2 mar-zo 2012, n. 16, dispone l’indeducibilità dei costi e spese direttamente utilizzati per il compimento di fatti, atti o attività, qualificabili come delitto non colposo. Tale disposizione rispecchia la volontà di legislato-re di disincentivare le attività criminose mediante l’applicazione di una sanzione indiretta, volta ad assoggettare ad imposta la ricchezza novel-la derivante da attività illecite la quale produce, in ogni caso, l’effetto di aumentare per il possessore l’indice di capacità contributiva (59). Rispetto alla sua versione originaria (60), criticata soprattutto sotto il profilo della violazione del principio di inerenza nel reddito di impre-sa, con conseguente violazione del divieto di doppia imposizione (61), il legislatore sembra, tuttavia, avere mitigato la “severità” della disci-plina della indeducibilità dei costi da reato, avendola limitata al solo

59 Sulla disposizione in commento, v. PROCOPIO, La c.d. riforma dei costi illeciti e la sua aderenza ai principi di capacità contributiva, in Dir. prat. trib., 2012, 531 ss.; MAN-

ZITTI, FANNI, La nuova disposizione sui “costi da reato” e la soggettiva inesistenza al “test” delle prime (timide) applicazioni giurisprudenziali, in Riv. giur. trib., 2012, 750 ss.; CARACCIOLI, Il ripristino delle pregiudiziali nella nuova disciplina dei costi da reato, in Riv. dir. trib., 2012, 567 ss.; CARINCI, La nuova disciplina dei costi da reato: dal supera-mento del doppio binario alla dipendenza rovesciata (con diversi dubbi e numerose in-congruenze), in Rass. trib., 2012, 1459.

60 Tale norma ha apportato significative modifiche al comma 4-bis dell’art. 14 della legge n. 537 del 1993 (introdotto dall’art. 2, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289), che, nella precedente formulazione, prevedeva l’indeducibilità delle spese e degli oneri riconducibili a “fatti, atti o attività qualificabili come reato”. Sull’individuazione dei costi deducibili, v. Cass. 3 dicembre 2014, n. 50847; Cass. 5 novembre 2014, n. 23550; Cass. 29 ottobre 2014, n. 22945; Cass. 10 febbraio 2014, n. 2144; Cass. 24 feb-braio 2016, n. 3580.

61 Anche la C.M. 26 settembre 2005, n. 42/E (in Corr. trib., 2005, 3188, con commento di LIBURDI), aveva precisato che con tale disciplina il legislatore tributario aveva inteso introdurre una deroga al principio di inerenza, prevedendo l’indeduci-bilità di componenti negativi di reddito, pur essendo concettualmente inerenti all’esercizio dell’attività, seppure illecita. Sull’argomento si veda, in dottrina, LUPI, Redditi illeciti, costi illeciti, inerenza ai ricavi e inerenza all’attività, in Rass. trib., 2004, 193; SCREPANTI, L’indeducibilità dei costi da reato, ivi, 2004, 958; TOMASSINI, I costi riconducibili ad attività penalmente illecite, in Riv. dir. trib., 2005, I, 1239 ss.; TINELLI, Il principio di inerenza nella determinazione del reddito di impresa, in Riv. dir. trib., 2002, 465.

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compimento di fatti qualificabili come delitti non colposi, quindi ai soli casi in cui l’evento criminoso sia voluto dall’agente. In altri termi-ni, non è ammessa la deducibilità dei componenti negativi di reddito utilizzati per il compimento di un’attività delittuosa, ove sia presente l’intenzionalità del soggetto passivo di trarre beneficio da un atto ille-cito (tra i quali la dottrina riconduce, ad es., l’illecita intermediazione della manodopera, nella quale i costi sostenuti non sono diretti al compimento di un reato non colposo (62)).

7. Il profilo soggettivo del presupposto: il possesso del reddito

L’art. 1 del TUIR, nel descrivere il presupposto dell’IRPEF, individua nel possesso la relazione giuridica che deve intercorrere tra il reddito ed il soggetto passivo. Questo termine, quindi, rappresenta sia il collega-mento tra l’elemento oggettivo (reddito) e l’elemento soggettivo (soggetto passivo) della fattispecie impositiva, sia lo strumento per l’identifica-zione di quest’ultimo.

Ai fini dell’attribuzione del reddito ad un soggetto, quindi, non rile-verà la disponibilità finanziaria o “di fatto” del reddito, ma il suo “pos-sesso”, individuato secondo le regole giuridiche che disciplinano le sin-gole categorie reddituali.

Invero, il riferimento al possesso aveva suscitato, fin dai tempi del-l’imposta complementare progressiva sul reddito, nell’ambito della qua-le pure costituiva un elemento del presupposto (63), rilevanti incertezze interpretative, derivanti sia dall’assenza di una definizione generale di reddito e, quindi, dalla difficoltà di definire giuridicamente il nesso tra quest’ultimo ed il possesso, sia dall’accostamento di due concetti tra lo-ro incompatibili, l’uno espressione di un potere materiale (il possesso), l’altro di un concetto puramente astratto (il reddito) (64).

62 MANZITTI, FANNI, L’indeducibilità dei “costi da reato”: quando la soluzione genera (potenziali) nuovi problemi, in Corr. trib., 2012, 1901.

63 Cfr. art. 130 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645. 64 Al riguardo si veda FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 783. Sull’argomento speci-

fico cfr. D’AMATI, Il “presupposto” dell’imposta complementare, in Giur. imp., 1963, 712; CICOGNANI, L’imposizione del reddito d’impresa, Padova, 1980, 18.

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 29

Dagli studi condotti dalla dottrina sono emersi sostanzialmente tre diversi filoni interpretativi: il possesso ricostruito secondo la base civili-stica ex art. 1140 c.c.; il possesso inteso come disponibilità (o fruibilità); il possesso identificato con la “titolarità”.

Quanto alla prima soluzione, è stato sostenuto, invocando il princi-pio dell’“unità dell’ordinamento giuridico”, che quando una branca del diritto recepisce un istituto appartenente ad un altro ramo dell’ordina-mento, tale rinvio debba intendersi avvenuto senza modificazioni. Alla luce di ciò si è, quindi, concluso che la norma tributaria, nell’identifi-care il presupposto delle imposte sui redditi, abbia recepito l’istituto ci-vilistico del possesso, inteso, quindi, come l’esercizio di fatto sulla cosa dei poteri corrispondenti al diritto di proprietà o di altro diritto reale su cosa altrui (65).

Tale impostazione, tuttavia, è stata respinta dalla maggior parte della dottrina, giacché accogliendola avrebbero perso rilevanza nel diritto tri-butario talune situazioni giuridiche insuscettibili di apprensione mate-riale (66). In particolare, si è sostenuto che mentre in certi casi potrebbe configurarsi un possesso in senso civilistico, come ad esempio in talune fattispecie di reddito di capitale, dove la res sarebbe rappresentata dal denaro percepito ed è la stessa rituale successione degli eventi a mate-rializzare l’immagine di un potere di fatto (67), le prospettive cambie-rebbero in altri contesti.

65 Questa teoria recepisce, in sostanza, la definizione di possesso di cui all’art. 1140 c.c., quindi il «potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale». In senso favorevole a tale ricostruzione teorica si sono espressi: GALEOTTI FLORI, Il possesso del reddito nell’ordinamento dei tributi diret-ti. Aspetti particolari, Padova, 1983; PIGNATONE, Il possesso dei redditi prodotti in forma associata, in Dir. prat. trib., 1982, I, 632; PUOTI, Il lavoro dipendente nel diritto tributa-rio, Milano, 1975, 165 ss.

66 In senso critico verso tale interpretazione si vedano: DOLFIN, Profili tributari del trattamento del gruppo europeo di interesse economico, in Giur. cost., 1976, 2164 ss. (no-te da 9 a 12); FALSITTA, La tassazione delle plusvalenze e delle sopravvenienze nelle im-poste sui redditi, Padova, 1986, 298; TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, cit., 18; LA ROSA, Principi di diritto tributario, cit., 47; RUSSO, Manuale di diritto tributario. Par-te speciale, cit., 63; TINELLI, L’accertamento sintetico del reddito complessivo nel sistema dell’Irpef, Padova, 1993, 59 ss.

67 Si pensi agli interessi relativi ad un prestito obbligazionario, alla cui percezione

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Ciò accadrebbe, ad esempio, per i redditi prodotti dalle società di persone che vengono imputati per “trasparenza” ai soci, indipendente-mente dalla loro distribuzione (ai sensi dell’art. 5 del TUIR), da cui sembrerebbe desumersi che a ciascun socio sia attribuito il “possesso” di redditi in realtà “non percepiti” (68).

Inoltre, non solo certi tipi di reddito non coincidono con una res, come è il caso del reddito di impresa, che è costituito da un dato conta-bile (art. 83 del TUIR) (in relazione al quale, invero, si dovrebbe parlare non di possesso del reddito, ma dell’apparato produttivo), ma è anche il termine stesso di possesso che può assumere diversi significati nell’am-bito delle singole categorie reddituali.

Si pensi, ad esempio, ai redditi di capitale, di lavoro o diversi, i quali sono tassabili quando sono percepiti (c.d. “principio di cassa”) ed in re-lazione ai quali, quindi, il possesso coincide con la “percezione” del reddito. Oppure, ancora, si può prendere in considerazione la categoria dei redditi fondiari, dove il possesso non è riferito al reddito, ma alla fonte produttiva, vale a dire all’immobile da cui il reddito stesso deriva (terreno o fabbricato).

Per tali ragioni altra parte della dottrina, superando tale prima inter-pretazione, ha quindi ritenuto di dover intendere il possesso nel senso di “materiale disponibilità” (69) o “concreta disponibilità” (70) del me- sono collegati il “possesso” del certificato, lo stacco della cedola, la presentazione di questa allo sportello della banca, ecc. Con particolare riferimento al possesso dei titoli di credito cfr. MENGONI, La regola “possesso vale titolo” nella circolazione dei titoli di credito fra l’art. 1994 e l’art. 1153 cod. civ., in Banca, borsa e titoli di credito, 1949, I, 12 ss.; PANZARINI, La tutela dell’acquirente nella vendita dei titoli di credito, in Riv. dir. comm., 1959, I, 269.

68 Anche nei redditi fondiari il possesso è riferito a redditi meramente figurativi che non solo non si materializzano in una somma di denaro, ma possono anche non essere mai traducibili in utilità economicamente valutabili. In tal senso cfr. TABELLINI, Libertà negoziale ed elusione d’imposta. Il problema della “titolarità ingannevole” dei redditi, Padova, 1995, 291-292; LA ROSA, Principi di diritto tributario, cit., 47.

69 Cfr. MICHELI, Corso di diritto tributario, Torino, 1970, 371; BERLIRI, Il Testo Uni-co delle imposte dirette, Milano, 1960, 345.

70 Cfr. POTITO, L’ordinamento tributario italiano, Milano, 1978, 181 ss.; D’AMATI, Diritto tributario. Lineamenti legislativi, Torino, 1981, 128; FERLAZZO NATOLI, Il fatto rilevante nel diritto tributario. Contributo allo studio del “presupposto di fatto” del tribu-to, in Riv. dir. trib., 1994, I, 454.

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 31

desimo, quindi come disponibilità effettiva, indipendentemente dalla titolarità giuridica (71).

Una simile impostazione affonda le sue radici nell’art. 3 del decreto n. 597 del 1973, oltre che nella normativa precedente (72), che faceva ricomprendere nella base imponibile IRPEF, non solo i redditi propri del contribuente, ma anche i redditi altrui dei quali egli avesse avuto la disponibilità o l’amministrazione, senza obbligo della resa dei conti. Se-condo tale orientamento, che peraltro ha trovato un valido riferimento anche nella relazione ministeriale al decreto istitutivo dell’IRPEF (73), il possesso dei redditi dovrebbe identificarsi più che nella loro titolarità giuridica nella materiale disponibilità dei medesimi da parte del sogget-to d’imposta.

Questa teoria, in sostanza, ricostruisce il concetto di possesso in chia-ve meramente economica, escludendo la necessità di dover constatare la giuridica disponibilità della fonte, per attribuire rilevanza a tutti quei comportamenti non incidenti direttamente su quest’ultima ma che si collocano nella successiva fase di utilizzazione o consumo del reddito. In tal modo la soggettività passiva si indirizza dal titolare “di diritto” del reddito al titolare “di fatto”, cioè al soggetto che, pur non risultando giuridicamente il titolare del reddito, dimostri, con il proprio compor-tamento, di disporre dello stesso, utilizzandone i frutti o ponendo in es-sere atti di gestione (74).

71 Cfr. LEO-MONACCHI-SCHIAVO, Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, vol. I, 2007, 4.

72 Ci si riferisce all’art. 131 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, in materia di imposta complementare, a commento del quale l’amministrazione finanziaria aveva precisato che «nel ricercare il soggetto dell’imposta bisogna avere riguardo alla persona a cui il red-dito effettivamente appartiene e non alla persona che comunque tale reddito material-mente percepisca od amministri» (C.M. 12 marzo 1925, in DE ANGELIS-POTENZA-TESTA, Testo Unico delle leggi sulle imposte dirette, Milano, 1959, 457).

73 In Boll. trib., 1973, 2022. 74 Cfr. in tal senso TINELLI, L’accertamento sintetico del reddito complessivo nel si-

stema dell’Irpef, cit., 295, il quale considera, a titolo esemplificativo, l’ipotesi del sog-getto che, pur non essendo titolare di una fonte di reddito, ne riscuota e ne consumi i frutti, sulla base di una situazione di fatto caratterizzata dal disinteressamento del tito-lare effettivo del reddito nella gestione dei frutti stessi. Sulle ragioni sottese alla tesi del-la “effettiva disponibilità” si vedano anche TABELLINI, Libertà negoziale ed elusione

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Infine, secondo una terza teoria il possesso del reddito congloba, nella sua voluta atecnicità, i diversi criteri di imputazione soggettiva che risultano concretamente stabiliti all’interno della disciplina dei singoli redditi (75), la quale ultima viene di solito tradotta nella titolarità delle situazioni soggettive nelle quali i singoli redditi si concretizzano, che conferiscono il potere di godere e di destinare il reddito (76). Si tratta di situazioni soggettive di diversa natura come, ad esempio, la proprietà o l’usufrutto, con riferimento ai redditi fondiari, oppure di meri diritti di credito, oppure ancora si può trattare di situazioni giuridiche più complesse, quale può essere la titolarità dell’impresa, in relazione ai re-lativi redditi (77).

Invero, l’erroneità dell’impostazione diretta a ricostruire il concetto di possesso in chiave sostanzialmente economica è stata riconosciuta anche in sede normativa. Dal testo dell’art. 3 del TUIR, concernente la definizione della base imponibile dell’IRPEF, è stato, infatti, eliminato ogni riferimento alla libera disponibilità dei redditi altrui, conferman-dosi l’esclusiva rilevanza del possesso della fonte reddituale (78).

Attualmente, quindi, appare preferibile la tesi elaborata dalla dot-trina più recente, secondo la quale il possesso indica la relazione, inte-sa in senso astratto, tra il soggetto e la fonte di reddito idonea ad at-tribuire a quest’ultimo il potere di disporre, con un proprio atto di vo-lontà, della fonte reddituale, di incidere quindi sulla dimensione del

d’imposta. Il problema della “titolarità ingannevole” dei redditi, cit., 294-295; FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 784.

75 LA ROSA, Principi di diritto tributario, cit., 47; TESAURO, Istituzioni di diritto tribu-tario, Vol. II, parte speciale, cit., 18.

76 In tale prospettiva cfr. FEDELE, “Possesso” di redditi, capacità contributiva ed inco-stituzionalità del cumulo, cit., 2164.

77 In questo senso cfr. FEDELE, “Possesso” di redditi, capacità contributiva ed incosti-tuzionalità del cumulo, cit., 2164 (nota 9).

78 Al riguardo si vedano MICCINESI, L’imposizione sui redditi del fallimento e nelle altre procedure concorsuali, Milano, 1990, 89 e 92; TOSI, La nozione di reddito, in L’imposta sul reddito delle persone fisiche, a cura di TESAURO, in Giurisprudenza siste-matica di diritto tributario, cit., 47; TINELLI, L’accertamento sintetico del reddito com-plessivo nel sistema dell’Irpef, cit., 59 e 62-63. Questa interpretazione è stata accolta anche in sede amministrativa (cfr. al riguardo, R.M. 9 novembre 1991, n. 7/2206, in Boll. trib., 1992, 276).

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Cap. I – Il presupposto e la nozione di reddito 33

fatto economico rappresentato, in termini giuridici, dal presupposto impositivo (79).

79 In tal senso TINELLI, L’accertamento sintetico del reddito complessivo nel sistema dell’Irpef, cit., 59, e ID., Commento all’art. 6, in AA.VV., Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, a cura di TINELLI, cit., 72-73, secondo il quale il significato di possesso, inteso quale relazione del soggetto con la fonte reddituale, troverebbe con-ferma nell’art. 6, comma 2 del TUIR, ai sensi del quale: «I proventi conseguiti in sosti-tuzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità consegui-te, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti». Secondo l’Autore tale norma, che regola gli effetti di una disposizione volontaria o involontaria del reddito ad un soggetto, riconosce la rilevanza fiscale del rapporto giuridico intercorrente tra la fonte reddituale ed il titolare il quale, con una propria manifestazione di volontà, può incide-re positivamente sulle caratteristiche del reddito stesso, trasferendone ad altri la giuri-dica titolarità.

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CAPITOLO II

I SOGGETTI PASSIVI E LA TERRITORIALITÀ

SOMMARIO

1. Il carattere personale dell’IRPEF. – 2. I diversi criteri di applicazione dell’imposta per i residenti e per i non residenti. La nozione di residenza. – 3. La localizzazione dei reddi-ti. – 4. Il concetto di stabile organizzazione. – 5. Il regime delle società di persone resi-denti ed il principio di trasparenza. – 6. Il nuovo regime impositivo degli imprenditori individuali e delle società di persone. – 7. Le imprese familiari. – 8. Il Gruppo europeo di interesse economico. – 9. L’associazione in partecipazione. – 10. I redditi della famiglia.

1. Il carattere personale dell’IRPEF

Ai sensi dell’art. 2, comma 1 del TUIR «Soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Sta-to». Con tale norma la disciplina IRPEF completa la definizione della fattispecie sostanziale del tributo, individuando il soggetto cui si riferi-sce l’effetto impositivo derivante dal verificarsi della fattispecie imponi-bile, ma anche il soggetto cui deve, di regola, imputarsi il reddito.

La nozione di persona fisica non dà luogo a particolari problemi, es-sendo identificabile sostanzialmente sulla base dei principi civilistici. Per l’individuazione della persona fisica, inoltre, non assumono rilevanza l’e-tà, la capacità di agire (in quanto agli adempimenti tributari provvedono tramite i rappresentanti legali), il sesso, lo stato civile, la cittadinanza (1).

Tutta la tematica relativa ai soggetti passivi dell’IRPEF, dunque, non

1 LEO-MONACCHI-SCHIAVO, Le imposte sui redditi nel testo unico, vol. I, Milano, 2007, 19; FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, 785; POTITO, Soggetto passivo d’imposta, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 1246 ss.

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Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche 36

coinvolge tanto la definizione di persona fisica, quale centro di imputa-zione dell’obbligazione tributaria, quanto piuttosto lo studio di quegli aspetti dell’imposta per i quali assume rilevanza la posizione personale del contribuente.

Ciò discende dal carattere personale del tributo in questione, da cui deriva tutta una serie di regole, quali l’imputazione alla persona fisica dei soli redditi dalla medesima posseduti, i diversi criteri di tassazione dei residenti e dei non residenti, il regime tributario della famiglia, la tassazione dei redditi prodotti in forma associata.

Ed, in effetti, si è visto come il primo criterio direttivo posto dalla legge delega per la riforma tributaria n. 825 del 1971 riguardasse pro-prio il carattere personale e progressivo dell’IRPEF, elementi caratteriz-zanti idonei a contraddistinguere tale imposta da quelle precedente-mente in vigore.

In tal modo il legislatore realizzava in modo più compiuto i principi contenuti nell’art. 53 Cost.; in primo luogo quello di capacità contribu-tiva (comma 1), in quanto il tributo personale, tassando il reddito com-plessivo del soggetto e tenendo conto, al contempo, delle sue esigenze primarie, meglio di qualunque altra forma di imposizione determina l’onere tributario della persona corrispondente alla sua concreta attitu-dine alla contribuzione; in secondo luogo, quello della progressività del sistema tributario (comma 2), più facilmente attuabile mediante un tri-buto a carattere personale (2).

Il principio della personalità dell’IRPEF, sancito dalla legge delega, si sviluppa, in particolare, sotto diversi aspetti della disciplina quali, ad esempio, l’inserimento di tutti i redditi posseduti dal soggetto passivo in un’unica base imponibile e l’attribuzione della soggettività passiva so-lamente alle persone fisiche, da cui discende che quando il reddito è prodotto da entità plurisoggettive, soggetti passivi dell’imposta riman-gono pur sempre le persone fisiche che le compongono.

2 Il carattere personale di un’imposta è generalmente desumibile, secondo la dottri-na, dalla rilevanza di elementi concernenti la situazione personale o familiare del con-tribuente, che si traduce nella previsione legislativa di deduzioni e detrazioni, in con-trapposizione a quanto avviene nelle imposte reali, commisurate ad un dato reddito o patrimonio, oggettivamente considerati (FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 61). Questa contrapposizione, tuttavia, non deriva da espliciti riferimenti normativi, ma è una diret-ta conseguenza delle caratteristiche strutturali delle fattispecie imponibili da esse evo-cate. Sulla distinzione fra imposte personali e reali v. FEDELE, Appunti delle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 171 ss.

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Cap. II – I soggetti passivi e la territorialità 37

Inoltre, dal carattere di personalità dell’imposta deriva che la persona fisica è tassata unicamente per i suoi redditi personali, non assumendo rilievo alcuno i legami di tipo personale o familiare del soggetto passivo.

2. I diversi criteri di applicazione dell’imposta per i residenti e per i non residenti. La nozione di residenza

La natura personale dell’IRPEF si esprime anche nella disciplina dei suoi rapporti con il territorio, improntata al superamento della realità dell’imposizione ed al collegamento della tassazione alla residenza della persona fisica nel territorio dello Stato, ferma restando, invece, una tas-sazione su base reale per i soggetti non residenti nel territorio stesso. L’art. 2 del TUIR fornisce, al comma 2, la nozione di residenza ai fini dell’IRPEF, concetto da cui discendono, ai sensi del successivo art. 3, diversi criteri di determinazione della base imponibile.

In particolare, in forza di tale ultima disposizione «L’imposta si ap-plica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10, e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato». Me-diante questo disposto normativo il legislatore ha introdotto, dunque, la fondamentale regola secondo la quale nei confronti dei soggetti residen-ti l’IRPEF si applica su tutti i redditi posseduti, indipendentemente dal luogo di produzione degli stessi (worldwide income taxation o principio della tassazione del reddito mondiale), mentre per i non residenti con-corrono alla formazione dell’imponibile solamente i redditi prodotti nel territorio dello Stato (principio della territorialità).

Con riferimento ai soggetti residenti, la tassazione della ricchezza ovunque prodotta trova giustificazione nella natura personale e pro-gressiva dell’IRPEF. Per converso, nei confronti dei non residenti la ne-cessità di non arrivare a colpire fattispecie impositive prive di collega-mento, oggettivo e soggettivo, con la potestà impositiva dello Stato, ha indotto il legislatore a tassare i soli redditi prodotti nel territorio dello Stato, e ciò alla stregua dei criteri di localizzazione dettati dall’art. 23 del TUIR, di cui si parlerà più avanti (3).

3 La ratio di tale criterio impositivo, largamente diffuso anche negli ordinamenti di altri paesi, si giustifica, quindi, con la necessità di attribuire rilevanza solo alle fattispe-

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Le regole di applicazione dell’imposta ora descritte, fondate sulla di-stinzione tra soggetti residenti e non residenti, trovano giustificazione ancora nell’art. 53 Cost.; se, infatti, da un lato l’obbligo del concorso al-le pubbliche spese è esteso a “tutti”, sia cittadini che stranieri, in ragio-ne di ogni forma di manifestazione di ricchezza del soggetto passivo, anche se localizzata fuori dal territorio dello Stato, dall’altro lato occor-re un ragionevole legame di collegamento del contribuente con l’ordi-namento, il quale può essere di natura personale (come la residenza) o economica (come lo svolgimento di un’attività nel territorio dello Stato o la titolarità di diritti su beni ivi situati, secondo le regole disciplinate dall’art. 23 del TUIR) (4).

Invero, la presenza dei due diversi criteri di localizzazione del reddi-to può creare problemi di doppia imposizione in relazione alla stessa espressione di ricchezza, poiché il soggetto che produce un reddito all’estero potrebbe essere tassato sia nello Stato di residenza, sia nello Stato in cui il reddito medesimo viene prodotto. Per impedire o atte-nuare la doppia imposizione internazionale, il nostro ordinamento ha previsto la concessione di un credito di imposta per i redditi prodotti al-l’estero, disciplinato dall’art. 165 del TUIR, che riconosce ai residenti il diritto di detrarre dall’imposta dovuta in Italia le imposte pagate a titolo definitivo (5) nello Stato estero, sino a concorrenza della quota di impo-sta italiana corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e quello complessivo (6).

cie impositive dotate di un collegamento apprezzabile con il territorio dello Stato (FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 794).

4 In tal senso MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973, 214 ss. 5 Imposte pagate a titolo definitivo non sono quelle versate in acconto o in via

provvisoria e quelle per le quali è prevista la possibilità di rimborso totale o parziale (in tal senso, cfr. C.M. 12 giugno 2002, n. 50/E, in Boll. trib., 2002, 912; sul tema v. anche AVELLA, La definitività dell’imposta estera per beneficiare del credito di imposta per i redditi prodotti all’estero e la (mancata) decadenza del diritto, in Riv. dir. trib., 2012, V, 6). Per ulteriori chiarimenti in merito alle regole di tassazione dei redditi prodotti all’e-stero v. R.M. 1 giugno 2005, n. 69, in Banca dati Fisconline; R. RUSSO, Nozione di reddi-to prodotto all’estero: brevi riflessioni a margine di un recente pronunciamento ministe-riale, in Dir. prat. trib., 2004, I, 1151.

6 Recentemente l’art. 15 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. decreto interna-zionalizzazioni) ha fornito un’interpretazione autentica dell’art. 165 del TUIR, volta a chiarire che le imposte estere, per le quali il contribuente può ottenere il riconoscimen-

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Cap. II – I soggetti passivi e la territorialità 39

In buona sostanza, se il reddito estero è, ad esempio, pari al 30 per cento del reddito complessivo, l’imposta pagata allo Stato estero sarà de-traibile solo nei limiti del 30 per cento di quest’ultima e l’eventuale parte di imposta eccedente tali limiti rimarrà a carico del contribuente (7).

Da un punto di vista normativo, i criteri di applicazione dell’imposta appena descritti comportano la necessità di soddisfare due esigenze, e cioè:

a) stabilire a quali condizioni un soggetto possa essere considerato “residente”;

b) determinare quando un reddito possa essere considerato “prodot-to nel territorio dello Stato”.

Quanto alla prima questione, occorre subito rilevare che la nozione fiscale di residenza è più ampia rispetto a quella di residenza civilistica; infatti, l’art. 2, comma 2 del TUIR precisa che, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta:

– sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente; – oppure hanno nel territorio dello Stato il domicilio (8), cioè la sede

principale delle relazioni morali e materiali e degli affari, ai sensi dell’art. 43, comma 1, c.c.;

– oppure sono residenti in Italia, nel senso inteso dall’art. 43, comma 2, c.c. (dimora abituale) (9). to del credito di imposta, sono sia quelle oggetto di una convenzione contro le doppie imposizioni, sia le altre imposte gravanti sul reddito.

7 Sul fenomeno della doppia imposizione internazionale e sui metodi per la sua eli-minazione si veda ARDITO, La cooperazione internazionale in materia tributaria, Padova, 2007, 31 ss.; TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, Padova, 2013, 119 ss., cui si rinvia anche per la bibliografia citata; con particolare riferimento al meccanismo del credito di imposta per i redditi prodotti all’estero si rinvia a ARDITO, Commento all’art. 165, in AA.VV., Commentario al testo unico delle imposte sui redditi, a cura di TINELLI, Pado-va, 2009, 1403 ss.; CONTRINO, Credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, Agg. 2007. In giurisprudenza, v. Cass. 11 maggio 2012, n. 7355, in Mass., 2012, 392; Cass. 31 gennaio 2011, n. 2277, in Foro it., 2011, I, 1739; PISTONE, Diritto tributario internazionale, Torino, 2017, 61 ss.

8 Sulla definizione di domicilio ai fini dell’individuazione del residente nell’ambito dell’imposizione sui redditi, v. VITALE, La vexata quaestio dell’individuazione del centro degli affari e degli interessi e l’onere della prova nei trasferimenti di residenza, in Dir. prat. trib., 2017, 276 ss.

9 Tale nozione di residenza diverge, pertanto, da quella fornita dal d.p.r. n. 597 del

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La norma, quindi, riconduce la determinazione della residenza fisca-le delle persone fisiche a tre presupposti fondamentali tra loro alternati-vi (10), i quali devono sussistere per più di sei mesi (quindi per almeno 183 giorni): il primo, di tipo formale, consistente nell’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente; gli altri due di tipo sostanziale, co-stituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice ci-vile, da utilizzare in carenza del primo requisito (11).

Invero, anche la più recente giurisprudenza considera l’iscrizione nel-le anagrafi della popolazione residente un dato decisivo e preclusivo di ogni ulteriore accertamento ai fini dell’individuazione del soggetto pas-sivo d’imposta e ritiene, quindi, che l’elemento formale prevalga su quel-lo sostanziale. Viceversa, in assenza dell’iscrizione anagrafica la soggetti-vità passiva ai fini IRPEF è subordinata alla verifica nel territorio dello Stato degli altri elementi (domicilio o residenza) (12), dal che discende

1973, istitutivo dell’IRPEF. In primo luogo, ai sensi dell’art. 2 di tale corpo normativo, il requisito di durata («per più di sei mesi all’anno») era riferito solamente alla dimora; in secondo luogo, non vi era un vero e proprio rinvio alla disciplina del codice civile; infine, venivano considerati residenti in Italia anche i residenti all’estero per ragioni di servizio nell’interesse dello Stato o di altri enti pubblici (TESAURO, Giurisprudenza si-stematica di diritto tributario, vol. II, Torino, 1994, 60-63).

10 Secondo l’Amministrazione finanziaria (C.M. 2 dicembre 1997, n. 304, in Corr. trib., 1997, n. 3685), dal dettato testuale della norma emergerebbe chiaramente che i tre requisiti sono tra loro alternativi e non concorrenti e che, pertanto, è sufficiente il verificarsi di uno solo di essi affinché un soggetto possa essere considerato fiscalmente residente in Italia. Anche la giurisprudenza ha accolto la medesima tesi, asserendo che i ricordati requisiti sono autonomi, per cui, ai fini della continuità della “residenza fisca-le” è sufficiente che si verifichi anche uno di essi (Comm. trib. prov. Modena 9 feb-braio 1999, n. 985, in Riv. giur. trib., 1999, 785; Cass. 7 novembre 2001, n. 13803, in Giur. imp., 2002, 13). Sulla stessa linea è schierata anche la dottrina (FANTOZZI, Il dirit-to tributario, cit., 794; TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte Speciale, Torino, 2008, 27).

11 Parte della dottrina ha dubitato della costituzionalità di questa regola, considera-ta come una “presunzione assoluta di residenza fiscale”, ritenendo non possibile attri-buire ad un dato meramente formale il ruolo così importante da determinare l’obbligo di contribuire alle pubbliche spese in capo ad un soggetto non avente né il domicilio, né la dimora abituale in Italia (PUOTI, Imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), in Enc. giur. Treccani, XVI, Roma, 1989, 6; LEO-MONACCHI-SCHIAVO, Le imposte sui redditi nel testo unico, vol. I, Milano, 2007, 20 ss.).

12 Cass. 20 aprile 2006, n. 9319, in Banca dati Fisconline; conformi anche Cass. 6 febbraio 1998, n. 1215, in Foro it., 1998, I, 1128, e Cass. 3 marzo 1999, n. 1783, in

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Cap. II – I soggetti passivi e la territorialità 41

che anche i soggetti non iscritti all’anagrafe sono considerati “residenti” ai fini dell’IRPEF qualora abbiano stabilito nel territorio nazionale la se-de principale dei loro affari ed interessi o l’abituale dimora (13).

Inoltre, per l’acquisto della qualità di residente non è richiesta la permanenza continuativa di tali posizioni nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo di imposta, poiché le regole sostanziali per determinare la relazione tra il soggetto ed il luogo degli affari ovve-ro la dimora fanno riferimento a criteri di tipo qualitativo e non quanti-tativo (14).

Quanto ai concetti di domicilio e residenza, essi devono essere inter-pretati ai sensi del codice civile e, conseguentemente, secondo l’elabora-zione dottrinale e giurisprudenziale ad essi relativa (15).

Banca dati Fisconline. Per la giurisprudenza di merito vedi Comm. trib. reg. Toscana 9 gennaio 2003, n. 96 e Comm. trib. reg. Campania 11 aprile 2004, n. 61 (tutte in Servizio di Documentazione economica e tributaria del sito www.finanze.it).

13 In giurisprudenza, v. Cass. 15 marzo 2013, n. 6598, in Quotidiano on line, 2013; Cass. 14 aprile 2012, n. 5382, in Boll. trib., 2012, 1413; Cass. 25 marzo 2011, n. 6934, in Fisconline, 2011.

14 MARONGIU, Domicilio, residenza, dimora nel diritto tributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., V, Torino, 1990, 142. Per l’analisi di altri particolari aspetti connessi al concetto di residenza ai fini fiscali v. MARINO, La residenza nel diritto tributario, Pado-va, 1999; IASCONE, Note in tema di residenza fiscale delle persone fisiche e connesse pro-blematiche processuali, in Dir. prat. trib., 2004, I, 1157; MELIS-Il trasferimento della re-sidenza fiscale nell’imposizione sui redditi, Roma, 2008; DELLI FALCONI-MARIANETTI, La rilevanza degli interessi familiari nella determinazione della residenza fiscale, in Riv. giur. trib., 2011, 117; DELLA VALLE, Come gli interessi familiari incidono sulla residenza fisca-le, in Corr. trib., 2011, 302; GIANGRANDE, Ancora sul concetto di residenza fiscale delle persone fisiche: profili applicativi ed aspetti probatori, in Riv. dir. trib., 2015, 261 ss.; MELIS, Le interrelazioni tra la nozione di residenza fiscale e stabile organizzazione: pro-blemi ancora aperti e possibili soluzioni, in Dir. prat. trib., 2014, 29 ss.

15 In particolare, il domicilio è costituito da un elemento oggettivo, vale a dire la concentrazione di affari ed interessi in un centro “principale”, nonché da uno soggetti-vo, dato dall’intenzione di operare tale concentrazione, manifestata espressamente o desumibile dal comportamento della persona. Anche per la residenza si ritiene che essa sia caratterizzata, oltre che dall’elemento oggettivo della permanenza tendenzialmente stabile in un certo luogo, da quello soggettivo dell’intenzione di dimorarvi abitualmen-te e che, quindi, non sia necessaria una continua presenza materiale in tale luogo. Sui concetti civilistici di domicilio e residenza si rinvia a FORCHIELLI, Domicilio, residenza e dimora (dir. priv.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 847; MONTUSCHI, Del domicilio e della residenza, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, Bologna-

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Il principio di tassazione su base mondiale applicabile ai soggetti re-sidenti ha di recente subito una deroga per effetto dell’art. 1, comma 152, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017), il quale, introducendo il nuovo art. 24-bis del TUIR, consente ora alle persone fisiche che intendano trasferire la propria residenza fiscale in Italia di poter optare per l’assoggettamento ad un’imposta sostitutiva dell’IRPEF dei redditi prodotti all’estero. Per ciascun periodo d’impo-sta, in particolare, è dovuta un’imposta sostitutiva forfettaria di 100 mila euro, a prescindere dall’importo dei redditi esteri, da versare in un’unica soluzione entro la data prevista per il versamento del saldo delle impo-ste sui redditi (16).

Per poter esercitare l’opzione, è necessario aver ricevuto la risposta favorevole ad un apposito interpello presentato all’Agenzia delle Entra-te (ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. b), legge 27 luglio 2000, n. 212) entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è trasferita la residenza in Italia (17).

L’accesso al regime agevolativo è subordinato al riscontro di una se-rie di condizioni, tra le quali la mancata residenza fiscale in Italia per un Roma, 1979, 9 ss.; AMICO, Domicilio (residenza e dimora), in Enc. dir., V, Milano, 2007, 611. In giurisprudenza v. Cass. 14 marzo 1986, n. 1738, in Rep. Foro it., 1986, voce Domicilio, n. 1; Cass. 5 febbraio 1985, n. 791, ivi, 1985, n. 1; Cass. 6 luglio 1983, n. 4525, ivi, 1983, n. 2; Cass. 5 maggio 1980, n. 2936, ivi, 1980, n. 4.

16 Il nuovo regime impositivo in questione ha da subito sollevato dubbi di legittimi-tà costituzionale in relazione al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., in considerazione del diverso trattamento fiscale riservato alle persone fisiche residenti, che sono tassate per il reddito ovunque prodotto secondo criteri di progressività, rispet-to a quello delle persone fisiche originariamente residenti all’estero che si traferiscono in Italia, ai quali il concorso alle spese pubbliche secondo criteri di progressività è richiesto solo per i redditi prodotti in Italia, mentre per quelli prodotti all’estero (che potrebbero anche essere la parte preponderante) si applicherebbe un’imposizione forfetaria fissa (DELLA VALLE-CARDELLA, Per la sostitutiva sul rientro interpelli senza linee guida, in Il Sole 24 Ore, 7 gennaio 2017). Per approfondimenti, v. ASCOLI-PELLECCHIA, Il nuovo re-gime per le persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia, in Il fisco, 2017, 507 ss.; vedi anche c.m. 17/E/2017 dell’Agenzia delle Entrate.

17 Nel caso specifico, si tratta di un interpello probatorio, che si sostanzia nella ri-chiesta di un parere all’Amministrazione finanziaria sulla sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti. Per approfondimenti sul dirit-to di interpello, si rinvia a TINELLI, Istituzioni di diritto tributario. I principi generali, Padova, 2016, 133 ss.

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periodo di tempo almeno pari a 9 periodi d’imposta nel corso dei 10 precedenti l’inizio del periodo di validità dell’opzione. Anche i familiari di cui all’art. 433 c.c. possono beneficiare del regime agevolativo su ri-chiesta del soggetto che esercita l’opzione – a condizione che soddisfino le medesime condizioni di residenza – ma in questo caso l’imposta sosti-tutiva è di 25 mila euro per ciascun periodo di imposta.

L’agevolazione in questione, inoltre, può essere riconosciuta per un periodo massimo di 15 anni ed è revocabile; gli effetti dell’opzione ces-sano in caso di omesso o parziale versamento dell’imposta sostitutiva nella misura e nei termini previsti. La revoca o la decadenza dal regime precludono l’esercizio di una nuova opzione.

Le nuove disposizioni prevedono, ad ogni modo, la possibilità di non avvalersi, per sé o per uno o più familiari, dell’applicazione dell’im-posta sostitutiva con riferimento ai redditi di uno o più Stati o territori esteri (cherry picking clause), dandone specifica indicazione in sede di esercizio dell’opzione, o con successiva modifica della stessa. Per tali redditi, dunque, troverà applicazione la tassazione ordinaria e si potrà beneficiare del credito di imposta per i redditi prodotti all’estero, previ-sto dall’art. 165 del TUIR.

Altra importante disposizione in tema di residenza delle persone fisi-che, ai fini dell’IRPEF, è quella che tiene conto del frequente verificarsi di condotte elusive basate su trasferimenti fittizi della residenza all’estero da parte di persone fisiche, soprattutto famosi artisti e sporti-vi. Al riguardo il legislatore, mediante l’art. 10, comma 1, legge 23 di-cembre 1998, n. 448, modificato dall’art. 1, comma 83, lett. a), della leg-ge 24 dicembre 2007, n. 244, ha aggiunto il comma 2-bis all’art. 2 del TUIR disponendo, con presunzione relativa, che si considerano residen-ti i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente (18) e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, i c.d. paradisi fiscali (ad esempio, Montecarlo).

18 A norma del d.p.r. 30 maggio 1989, n. 223 (regolamento anagrafico della popola-zione residente), la cancellazione dall’anagrafe interviene a seguito di apposita dichia-razione resa dall’interessato circa il trasferimento all’estero. Ad essa consegue, a norma della legge 27 ottobre 1988, n. 470, l’iscrizione nell’anagrafe dei cittadini residenti al-l’estero (AIRE), tenuta da ciascun comune e, a livello centrale, presso il Ministero del-l’Interno.