Il potere della parola · Il potere della parola (De oratore, 1,30-34) Nella parte iniziale del De...

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© Mondadori Education 1 Cicerone Il potere della parola (De oratore, 1,30-34) Nella parte iniziale del De oratore Cicerone mette in bocca a Lucio Licinio Crasso un appassio- nato elogio dell’eloquenza e del potere quasi magico della parola: è grazie ad essa che sono sorti gli stati e ha avuto inizio la civiltà. La fiducia nelle potenzialità della parola implica inevita- bilmente l’attribuzione all’oratore di una responsabilità e di un ruolo sociale straordinari: egli è infatti depositario di un sapere che può e deve essere finalizzato costruttivamente al bene della collettività. [30] «Neque vero mihi quicquam», inquit, «praestabilius videtur, quam posse dicendo tenere hominum mentis, adlicere voluntates, impellere quo velit, unde autem velit deducere: haec una res in omni libero populo maximeque in pacatis tranquillisque civitatibus praecipue semper floruit semperque dominata est. [31] Quid enim est aut tam admirabile, quam ex infinita multitudine hominum existere unum, qui id, quod omnibus natura sit datum, vel solus vel cum perpaucis facere possit? aut tam iucundum cognitu atque auditu, quam sapientibus sententiis gravibusque verbis ornata oratio et polita? aut tam potens tamque magnificum, quam populi motus, iudicum religiones, senatus gravitatem unius oratione converti? [32] Quid porro tam regium, tam liberale, tam munificum, quam opem ferre supplicibus, excitare adflictos, dare salutem, liberare periculis, retinere homines in civitate? Quid 30 Neque vero … dominata est: Neque vero … videtur: «Né in veri- tà niente a me sembra più bello»; a parlare è Crasso (a cui si riferi- sce l’inciso inquit), che così inizia la parte del suo discorso relativa all’importanza dell’oratoria. • men- tis = mentes, accusativo plurale. • impellere … deducere: «spingerli dove uno voglia, da dove voglia di- stoglierli»; velit è una terza persona singolare generica. • dominata est: il verbo dominor è deponente. 31 Quid enim … converti?: Quid enim … unum: l’infinitiva existere unum dipende da admirabile est della sovraordinata. • tam iucun- dum … auditu: sott. quid est. • aut tam potens … converti?: sempre sott. quid est; quam regge converti. • religiones: il termine religio, prima che «scrupolo, timore religioso», ha il senso generale di «scrupolosità, coscienza», e Cicerone lo applica spesso ai giudici. 32 Quid porro … possumus: reti- nere … in civitate?: «trattenere gli uomini in città [salvandoli dall’esi- lio]»; i precedenti infiniti dare (sa- lutem) e liberare sottintendono

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Il potere della parola (De oratore, 1,30-34)

Nella parte iniziale del De oratore Cicerone mette in bocca a Lucio Licinio Crasso un appassio-nato elogio dell’eloquenza e del potere quasi magico della parola: è grazie ad essa che sono sorti gli stati e ha avuto inizio la civiltà. La fiducia nelle potenzialità della parola implica inevita-bilmente l’attribuzione all’oratore di una responsabilità e di un ruolo sociale straordinari: egli è infatti depositario di un sapere che può e deve essere finalizzato costruttivamente al bene della collettività.

[30] «Neque vero mihi quicquam», inquit, «praestabilius videtur, quam posse dicendo tenere hominum mentis, adlicere voluntates, impellere quo velit, unde autem velit deducere: haec una res in omni libero populo maximeque in pacatis tranquillisque civitatibus praecipue semper floruit semperque dominata est. [31] Quid enim est aut tam admirabile, quam ex infinita multitudine hominum existere unum, qui id, quod omnibus natura sit datum, vel solus vel cum perpaucis facere possit? aut tam iucundum cognitu atque auditu, quam sapientibus sententiis gravibusque verbis ornata oratio et polita? aut tam potens tamque magnificum, quam populi motus, iudicum religiones, senatus gravitatem unius oratione converti? [32] Quid porro tam regium, tam liberale, tam munificum, quam opem ferre supplicibus, excitare adflictos, dare salutem, liberare periculis, retinere homines in civitate? Quid

30 Neque vero … dominata est: Neque vero … videtur: «Né in veri-tà niente a me sembra più bello»; a parlare è Crasso (a cui si riferi-sce l’inciso inquit), che così inizia la parte del suo discorso relativa all’importanza dell’oratoria. • men-tis = mentes, accusativo plurale. • impellere … deducere: «spingerli dove uno voglia, da dove voglia di-

stoglierli»; velit è una terza persona singolare generica. • dominata est: il verbo dominor è deponente.31 Quid enim … converti?: Quid enim … unum: l’infinitiva existere unum dipende da admirabile est della sovraordinata. • tam iucun-dum … auditu: sott. quid est. • aut tam potens … converti?: sempre sott. quid est; quam regge converti. •

religiones: il termine religio, prima che «scrupolo, timore religioso», ha il senso generale di «scrupolosità, coscienza», e Cicerone lo applica spesso ai giudici.32 Quid porro … possumus: reti-nere … in civitate?: «trattenere gli uomini in città [salvandoli dall’esi-lio]»; i precedenti infiniti dare (sa-lutem) e liberare sottintendono

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autem tam necessarium, quam tenere semper arma, quibus vel tectus ipse esse possis vel provocare integer vel te ulcisci lacessitus? Age vero, ne semper forum, subsellia, rostra curiamque meditere, quid esse potest in otio aut iucundius aut magis proprium humanitatis, quam sermo facetus ac in nulla re rudis? Hoc enim uno praestamus vel maxime feris, quod conloquimur inter nos et quod exprimere dicendo sensa possumus. [33] Quam ob rem quis hoc non iure miretur summeque in eo elaborandum esse arbitretur, ut, quo uno homines maxime bestiis praestent, in hoc hominibus ipsis antecellat? Ut vero iam ad illa summa veniamus, quae vis alia potuit aut dispersos homines in unum locum congregare aut a fera agrestique vita ad hunc humanum cultum civilemque deducere aut iam constitutis civitatibus leges iudicia iura describere? [34] Ac ne plura, quae sunt paene innumerabilia, consecter, comprehendam brevi: sic enim statuo, perfecti oratoris moderatione et sapientia non solum ipsius dignitatem, sed et privatorum plurimorum et universae rei publicae salutem maxime contineri. Quam ob rem pergite, ut facitis, adulescentes, atque in id studium, in quo estis, incumbite, ut et vobis honori et amicis utilitati et rei publicae emolumento esse possitis».

rispettivamente hominibus e homi-nes, ricavabili dal successivo reti-nere homines. • possis: come i verbi alla II persona che seguono, è un «tu» generico. • ne semper … medite-re (= mediteris): i subsellia sono per antonomasia gli scranni dei giudici, quindi, metonimicamente, «i tribu-nali»; i rostra sono le tribune da cui gli oratori pronunciavano i loro discorsi nel foro; la curia è il luogo di riunione del senato. • Hoc … uno: ablativo di limitazione prolettico rispetto a quod. • sensa: participio sostantivato da sentio.

33 Quam ob rem … describere?: Quam ob rem … arbitretur: «Per-ciò, chi non ammirerebbe a buon diritto quest’arte, e non riterreb-be (arbitretur) che in essa bisogna impegnarsi (elaborandum esse) al massimo (summe)?»; hoc … in eo: i due pronomi neutri hanno valo-re ‘riassuntivo’ rispetto al periodo precedente. • quo uno: «nella sola cosa in cui»; quo è prolettico rispet-to al successivo in hoc. • antecellat: il soggetto è sempre quis. • ad hunc … cultum: «a questo tenore di vita (cultum) umano e civile», quindi,

liberamente, «a questo grado di ci-viltà». • describere: «stabilire».34 Ac ne plura … possitis: consec-ter: da consector, intensivo di con-sequor, vale «seguitare» nell’espo-sizione. • sic enim … contineri: sic è prolettico rispetto all’infinitiva seguente; contineri: «sta in» (+ abl.; lett.: «è compreso da»). • vobis ho-nori … amicis utilitati … rei publicae emolumento: nelle tre coppie di ter-mini c’è la costruzione del doppio dativo (di vantaggio e di fine).

Guida alla lettura

strutturaUn elogio dell’eloquenza Le parole di Cras-so hanno nel complesso la forma retorica della laudatio, cioè di un discorso elogiativo. La frase iniziale precisa l’oggetto dell’elogio, l’eloquenza (dicendo), ed espone in generale le sue prerogative (la capacità di dominare e le menti e le volontà degli uomini). Questa

affermazione di apertura viene giustificata e precisata nei paragrafi successivi, in cui le diverse qualità dell’eloquenza sono messe in luce nella sequenza di interrogative reto-riche: nell’ordine, l’eloquenza viene elogiata (par. 31) per la sua meravigliosa capacità di distinguere l’oratore dalla massa degli uomi-ni (quid … tam admirabile…), per il piacere che

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può suscitare con un bel discorso (aut tam iu-cundum…), per la sua forza, capace di far mu-tare le opinioni degli ascoltatori (tam potens tamque magnificum…); ancora (par. 32), come mezzo per portare soccorso alle persone in difficoltà (quid … tam regium, tam liberale, tam munificum…) e come arma per attaccare e di-fendersi dagli attacchi altrui (quid tam neces-sarium…).Eloquenza e humanitas una variazione nella struttura (par. 32 Age vero…) sposta l’atten-zione dalla sfera pubblica a quella privata, in cui l’eloquenza appare come l’occupazione più degna e propria di una vita ispirata all’hu-manitas (quid esse potest … aut iucundius aut magis proprium humanitatis …), poiché l’ar-te della parola è per eccellenza una facoltà umana, che distingue l’uomo dalle bestie. L’elogio culmina nel paragrafo 33 (ut vero iam ad illa summa veniamus), in cui l’eloquenza figura come una disciplina civilizzatrice, ca-pace di togliere l’uomo dallo stato ferino e di portarlo a un elevato grado di civiltà.L’utilità dell’eloquenza e l’esortazione ai giovani Crasso tira adesso le fila del suo di-scorso (par. 34), riepilogando, questa volta in una frase affermativa (sic enim statuo), le virtù dell’eloquenza, utile non solo all’oratore stesso, ma anche agli altri cittadini e a tutto lo stato; egli conclude quindi con un’exhorta-tio ai giovani (pergite … adulescentes, atque … incumbite) perché, alla luce dei suoi grandi benefici, perseverino nello studio di questa disciplina.

LINGua E stILEArtifici retorici: interrogative e cola paral-leli Il tono appassionato di Crasso è ottenuto grazie all’impiego di vari artifici retorici (pri-mo fra tutti il ricorso insistito all’interrogativa retorica, che conferisce al discorso un’enfasi maggiore). La presentazione iniziale delle prerogative dell’eloquenza (par. 30) è svolta in una serie di quattro cola paralleli, chiusa

elegantemente da un chiasmo (tenere homi-num mentis, adlicere voluntates, impellere quo velit, unde … velit deducere). Nella sequenza delle cinque interrogative parallele dei para-grafi 31-32 (costruite secondo una struttura di 3 + 2: le prime tre sono legate dalla cor-relazione disgiuntiva aut … aut … aut, con la formula interrogativa quid est che non viene ripetuta; nella quarta e nella quinta riappa-re invece il quid interrogativo), un effetto di climax è determinato dalla successione de-gli epiteti elogiativi riferiti all’eloquenza: uno solo nel primo (tam admirabile) e nel secondo membro (accompagnato però da due supini: tam iucundum cognitu atque auditu), due co-ordinati nel terzo (tam potens tamque magni-ficum), tre in asindeto e con anafora di tam nel quarto (tam regium, tam liberale, tam mu-nificum), infine uno solo nell’ultimo, per un finale in calando (tam necessarium). Va inoltre notata, all’interno della terza e della quarta interrogativa, la serie asindetica di sogget-ti (populi motus, iudicum religiones, senatus gravitatem: un tricolon parallelo) e di infiniti (opem ferre supplicibus, excitare adflictos, dare salutem, liberare periculis, retinere homines), che celebrano con enfasi gli effetti dell’elo-quenza. ancora una serie di tre cola perfetta-mente paralleli esalta, al paragrafo 33, le vir-tù civilizzatrici della parola (aut … congregare, aut … deducere, aut … describere: le tre azioni sono in successione cronologica).L’esortazione conclusiva L’exhortatio finale (par. 34) è suggellata da un tricolon polisin-detico (et vobis honori et amicis utilitati et rei publicae emolumento), che riepiloga i bene-fici prodotti dall’eloquenza; la climax è data non solo dal progressivo allargamento della sfera dei beneficiati (vobis – amicis – rei pu-blicae, una sequenza che riprende quella già esposta nella frase precedente: ipsius [ora-toris] – privatorum plurimorum – universae rei publicae), ma anche dall’estensione sillabica crescente dei tre membri.

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ModELLI E tradIzIoNELa laudatio eloquentiae, un topos antico L’elogio dell’eloquenza è un topos che risale almeno ai sofisti greci (V secolo a.C.): Gorgia (dagli antichi ritenuto addirittura l’inventore della retorica), nel suo celebre opuscolo intito-lato Encomio di Elena, esalta la forza incantatri-ce e persuasiva della parola, capace di domi-nare le passioni e indirizzare in qualunque di-rezione la volontà dell’uomo. Ma è soprattutto nell’oratore attico Isocrate (436-338 a.C.) che Cicerone trova il modello per la celebrazione dell’eloquenza anche come forza civilizzatrice, che risulta non solo al servizio dell’individuo

ma anche utile alla collettività. Nella parte in-troduttiva della sua orazione Nicocle, Isocrate inserisce un vero e proprio inno al lògos («la parola»), da cui Cicerone ha certamente trat-to molti spunti per questo suo elogio. Non è del resto questa una pagina isolata nell’opera ciceroniana: analoghe laudes eloquentiae ri-corrono anche in altre opere (già nel giovanile De inventione, 1, 2-3, poi ancora in De oratore, 2,33-36 e in De natura deorum, 2,148), ripe-tendo sostanzialmente gli stessi argomenti svolti qui: il segno della fiducia profonda, che accompagnò Cicerone per tutta la vita, nel va-lore e nell’importanza dell’eloquenza.