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LA REPUBBLICA I SABATO 2 APRILE 2005 G IOVANNI PAOLO II è stato un politico e un mistico. Noi tutti, se- condo un’ispirata espressione di André Malraux, ci muoviamo, spesso indifferenti, o inconsapevoli, tra la finitezza della condizio- ne umana e l’infinità delle stelle: Karol Wojtyla si immergeva nelle due di- mensioni con una passione, un’intensità che non era del nostro secolo. Più che un teologo era un filosofo. Per lui la scienza di Dio era la fede. Gli agiografi dicono che, in questo, era un cristiano di Galilea, del primo se- colo. Per lui la filosofia, che aveva insegnato, era l’uso del sapere a van- taggio dell’uomo. Come per Platone. Questo dualismo, in cui convivevano abbracciate la natura terrena e la natura spirituale, era probabilmente la chiave del perso- naggio. Il quale sapeva tradurre la forte religiosità in una lingua, in una rap- presentazione accessibili alle masse. Era l’interprete delle proprie opere. In questo ricordava i protagonisti del grande teatro classico, che reci- tavano sulla scena i testi di cui erano gli autori. Un famoso attore, sir John Gielgud, ammirava il suo tempismo nell’affascinare le platee, le folle, con parole e gesti semplici, grazie ai quali promuoveva iniziative elaborate e ambiziose. A volte storiche. A volte contraddittorie, perché la fedeltà agli antichi dogmi, in particolare a quelli riguardanti la vita intima, si scon- trava a un’audace modernità, in particolare in campo sociale. Il rifiuto del controllo delle nascite contrastava, ad esempio, con altre posizioni che si potevano definire progressiste. SEGUE A PAGINA IV IL PONTIFICATO CHE SEGNA UN’EPOCA FEDE, POLITICA E CORAGGIO IL MONDO DEL PAPA POLACCO BERNARDO VALLI KAROL W OJTYLA La lotta contro il comunismo, la sfida per la pace e i viaggi come “missionario” Il dialogo con le altre religioni, il record di santi e le encicliche per guidare il “popolo” ALL’INTERNO Giuseppe Alberigo, Marco Ansaldo, Giorgio Bocca, Fiametta Cucurnia, Giovanni Filoramo, Orazio La Rocca Miriam Mafai, Marco Politi, Gabriele Romagnoli, Andrea Tarquini, Sandro Viola

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LA REPUBBLICA ISABATO 2 APRILE 2005

GIOVANNI PAOLO II è stato un politico e un mistico. Noi tutti, se-condo un’ispirata espressione di André Malraux, ci muoviamo,spesso indifferenti, o inconsapevoli, tra la finitezza della condizio-

ne umana e l’infinità delle stelle: Karol Wojtyla si immergeva nelle due di-mensioni con una passione, un’intensità che non era del nostro secolo.Più che un teologo era un filosofo. Per lui la scienza di Dio era la fede. Gliagiografi dicono che, in questo, era un cristiano di Galilea, del primo se-colo. Per lui la filosofia, che aveva insegnato, era l’uso del sapere a van-taggio dell’uomo.

Come per Platone. Questo dualismo, in cui convivevano abbracciate lanatura terrena e la natura spirituale, era probabilmente la chiave del perso-

naggio. Il quale sapeva tradurre la forte religiosità in una lingua, in una rap-presentazione accessibili alle masse. Era l’interprete delle proprie opere.

In questo ricordava i protagonisti del grande teatro classico, che reci-tavano sulla scena i testi di cui erano gli autori. Un famoso attore, sir JohnGielgud, ammirava il suo tempismo nell’affascinare le platee, le folle, conparole e gesti semplici, grazie ai quali promuoveva iniziative elaborate eambiziose. A volte storiche. A volte contraddittorie, perché la fedeltà agliantichi dogmi, in particolare a quelli riguardanti la vita intima, si scon-trava a un’audace modernità, in particolare in campo sociale. Il rifiuto delcontrollo delle nascite contrastava, ad esempio, con altre posizioni che sipotevano definire progressiste. SEGUE A PAGINA IV

IL PONTIFICATO CHE SEGNA UN’EPOCA

FEDE, POLITICA E CORAGGIOIL MONDO DEL PAPA POLACCO

BERNARDO VALLI

KAROLWOJTYLA

La lotta contro ilcomunismo, la sfidaper la pace e i viaggicome “missionario”

Il dialogo con le altrereligioni, il record disanti e le enciclicheper guidare il “popolo”

ALL’INTERNOGiuseppe Alberigo, Marco Ansaldo, Giorgio Bocca, Fiametta Cucurnia, Giovanni Filoramo, Orazio La Rocca

Miriam Mafai, Marco Politi, Gabriele Romagnoli, Andrea Tarquini, Sandro Viola

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LA REPUBBLICA IIISABATO 2 APRILE 2005II LA REPUBBLICA SABATO 2 APRILE 2005

Così Lolek, attore e poetadivenne Wojtyla il GrandeL’atleta di Dio contro comunismo e capitalismo

MARCO POLITI

BALLAVA il tango, giocava a pal-lone, portava gli sci all’amica

del cuore, scriveva poesie. Amavafollemente il teatro, impersonandore, malfattori e rubacuori. E non vo-leva fare il prete. «Entrerà in semi-nario, questo giovane?», chiese ungiorno al liceale diciottenne Wojty-la l’arcivescovo di Cracovia, AdamSapieha, colpito dalla sua padro-nanza del latino. «No, eccellenza,intendo studiare letteratura polac-ca».

Karol Wojtyla, il ragazzo venutoda Wadowice, dalla remota provin-cia galiziana, non pensava di ab-bracciare il sacerdozio, eppure di-venne il primo papa polacco di San-ta Romana Chiesa. Non voleva oc-cuparsi di politica e diventò guidaspirituale del sindacato indipen-dente polacco, Solidarnosc, cheaprì la prima crepa nell’impero co-munista, provocando poi il crollodella Cortina di Ferro.

È stato l’uomo delle grandi con-traddizioni. In seminario sognava ilsilenzio mistico dei Carmelitani,ma il mondo lo ha conosciuto comeil maratoneta di Dio, offerto alle fol-le dei cinque continenti in sceno-grafie hollywoodiane. Profeta me-diatico e uomo di intensa preghiera.Faraone inflessibile nei confrontidel dissenso ecclesiale e portavoceappassionato dei diritti dell’uomo.Tenero adoratore della Grande Ma-dre Celeste e duro avversario dellaDonna Moderna, che rivendica ildiritto di amministrare il Sacro e digestire la propria sessualità.

Commisurata ai tempi lenti dellaChiesa, la sua ascesa fu rapida. Na-to nel 1920, figlio di un ufficiale po-lacco che aveva servito l’imperato-re austriaco Francesco Giuseppeprima che la Polonia tornasse indi-pendente, Wojtyla a 26 anni era pre-te, a 38 vescovo, a 42 partecipava alconcilio Vaticano II, a 43 era arcive-scovo di Cracovia, a 47 cardinale, a58 pontefice. La sua formazione fudel tutto controcorrente. Non eraun chierico allevato in batteria,messo in seminario da ragazzo. Alcontrario. Lolek, come lo chiama-vano gli amici, era uno studentebrillante di una normale scuolapubblica. Religioso ma non bigotto,sportivo, compagno cavallerescodelle sue coetanee, membro dellalega antialcolica, ma non schizzino-so al punto da rifiutare un sorso digrappa durante le gite. Soprattuttoera appassionato di teatro. Piglio edisinvoltura dell’attore non gli ver-ranno meno quando salirà sul tronodi Pietro.

Nelle sue radici si rintraccianoesperienze che lo distinguono daisuoi predecessori. Dai tempi di Pie-tro nessun altro pontefice ha vissu-to a contatto così stretto con l’am-biente ebraico.A Wadowice unterzo della po-polazione era difede israelita.Ebreo il padronedi casa, ebrei isuoi compagnidi classe, ebreala vicina«Ginka», ebrei i parenti di amici fi-niti ad Auschwitz.

L’intimità intensa con i figli diAbramo, resa più acuta dalla barba-rie dell’occupazione nazista, spiegaperché Giovanni Paolo II abbia var-cato — primo papa in assoluto — lasoglia della sinagoga di Roma e piùtardi abbia riconosciuto lo stato diIsraele.

L’occupazione tedesca della Po-lonia durante la seconda guerramondiale costrinse Wojtyla adun’esistenza da operaio, prima inuna cava di pietre, poi in uno stabi-limento chimico. Il «papa obrero»,come Giovanni Paolo II verrà accla-mato in America Latina, conobbe lafatica dei turni, l’abbrutimento del-l’attività manuale ripetitiva, la rab-bia per le morti sul lavoro. Da Papa

definirà questastagione «grandegrazia della miavita» e fino all’ul-timo denuncerà«l’ideologia delcapitalismo radi-cale», che ignorala dignità del la-voratore.

Guerra, occupazione nazista, re-gime stalinista ispirarono a Wojtylauna profonda avversione per la vio-lenza e il totalitarismo. Non parte-cipò alla resistenza, si oppose conl’arma della cultura, organizzandorecite teatrali clandestine. Glimancò l’esperienza di una Resi-stenza come quella dell’Europa oc-cidentale: straordinaria scuola dicollaborazione tra uomini animatida visioni del mondo diverse. E lo sisarebbe visto da papa nella sua to-tale incomprensione per la teologiadella liberazione impegnata controle dittature dell’America latina. Delmarxismo conobbe solo la versione

sovietica in salsa polacca con cui simisurò con fermezza da cardinale aCracovia.

Il segreto del suo impatto sull’im-maginario dei contemporanei stanel essere mai stato «clericale».Quando la sera del 16 ottobre 1978 ilmondo — e il Cremlino in allarme —apprese l’elezione di un papa del-l’Est, la folla in piazza san Pietro per-cepì d’istinto di trovarsi di fronte ad

un pontefice uomo in carne e ossa.Uomo, maschio. Capace di civette-rie: «Se faccio errori nel parlare lavostra, la nostra lingua, mi corrigge-rete». E spontaneo, come il giornodella messa d’inaugurazione: «Nonabbiate paura... spalancate le portea Cristo!». Giovanni Paolo II è statol’uomo di cui la Chiesa sentiva biso-gno dopo la lunga crisi postconci-liare. Una guida sicura che ristabi-

lisse l’autorità. Wojtyla non avevacomplessi nei confronti di una cul-tura laica in crisi perché non più sor-retta dalla fede nel progresso infini-to. Non era intimidito dal marxismoche negli anni Settanta era montan-te in Occidente e nel Terzo Mondo:intuiva la sotterranea debolezza —ideale e pratica — dei regimi creatidall’Urss aveva. Tradizionalista incampo dot-trinale, è sta-to riformistasul piano so-ciale. Su pia-no ecclesia-le, seppurcon gradua-lità, ha diffu-so ad ogni li-vello del mondo cattolico gli inse-gnamenti del Concilio.

In un quarto di secolo GiovanniPaolo II ha rilanciato il ruolo del pa-pato, facendone il punto di riferi-mento di esigenze etiche e umani-tarie ben al di là dei confini del cat-tolicesimo. Quando partì per la pri-ma volta diretto al Messico nel 1979,nessuno in Curia poteva immagi-nare che avrebbe regnato in conti-nuo movimento, con un record dioltre cento viaggi. Sapeva di non po-ter governare un miliardo di cre-denti dal chiuso delle stanze vatica-ne. «Se stessi a Roma a scrivere en-cicliche — disse ad un amico di Cra-covia — mi leggerebbe solo un pu-

gno di persone. Viaggiando, incon-tro moltissima gente, che non ver-rebbe mai da me. E mi ascolteran-no».

Centinaia di milioni — dal vivo odagli schermi televisivi — lo hannoascoltato. In Africa e in Asia, in Eu-ropa, nelle Americhe e in Oceania,dalle foreste amazzoniche allegiungle filippine masse infinite dicredenti e non credenti hanno udi-to un papa, capace di unire la Buo-na Novella di Cristo alla rivendica-zione dei diritti umani fondamen-tali. Nelle metropoli dell’Occidenteha aggredito l’egoismo degli opu-lenti. Nelle bidonvilles del TerzoMondo ha dato voce ai «senza vo-ce».

Ha predicato respingendo i raz-zismi, esaltando la libertà la riconci-liazione sulle macerie delle dittatu-re, ma non mancando di denuncia-re i dittatorelli dei paesi ex colonia-li. In America latina, ma anche nelleFilippine l’opera della Chiesa è sta-ta essenziale per ristabilire la demo-

crazia.Precorrendo la

g l o b a l i z z a z i o n e ,Wojtyla ha reso glo-bale il messaggiodella Chiesa cattoli-ca. Con la sua pre-senza più che con lesue encicliche. Per-sino la «fabbrica di

santi», che gli è stata rimproverata,è servita per disseminare il pianetadi eroi cristiani da venerare.

Il suo primo viaggio in Polonianel 1979 sconvolse psicologica-mente la sua patria e tutto l’Est. Perdieci giorni in un paese comunistasparirono partito, polizia e bandie-re rosse. Chiesa e Nazione tennero ilcampo. Un anno dopo l’elettricistadi Danzica, Lech Walesa, fondò So-lidarnosc, il sindacato cattolico ar-rivato a contare 12 milioni di iscrit-ti. Quando il 13 dicembre 1981 il ge-nerale Jaruzelski proclamerà la leg-ge marziale, a Mosca il Politburoaveva già ammesso in segreto l’im-possibilità di invadere la Polonia.

Fu la prima tappa di un processo,che sarebbe culminato nel 1989 conla caduta del muro di Berlino. Per undecennio Giovanni Paolo II duellòcon tenacia e duttilità contro ilCremlino. Sullo scacchiere dell’Esteuropeo, ma anche in America lati-na dove combatté inesorabilmentei movimenti marxisti e i gruppi cat-tolici pronti ad allearsi con loro innome della lotta contro le dittaturelocali. In quegli anni il cammino delpontefice incrociò quello del presi-dente americano Ronald Reagannel segno di una convergenza stra-tegica contro l’»impero del male»,che ebbe il suo fulcro in udienze se-gretissime concesse dal pontefice alcapo della Cia, Bill Casey. Sebbenein Wojtyla rimanesse immutata ladiffidenza verso il materialismo el’individualismo della società ame-ricana.

L’attentato, subito per mano delterrorista turco Alì Agca il 13 maggio1981 in piazza san Pietro, e la cer-tezza di essere stato salvato dallamorte per inter-vento della Ma-donna lo convin-sero di avere unamissione affida-tagli dalla Prov-videnza.

Pure, liberatal’Europa dell’Este scomparsa l’U-nione Sovietica, Giovanni Paolo IInon si vanterà mai del suo ruolo.«L’albero era marcio, gli ho solo da-to una scossa», fu il suo commento.Lo preoccupava che non si stesseavverando il sogno gorbacioviano(e suo) di un nuovo ordine interna-zionale basato su forti principi mo-rali. «Distrutto l’ordine di Yalta —confidò profeticamente dopo l’89— c’è il rischio che si torni all’ordinedi Versailles» con il suo strascico dinuovi nazionalismi e conflitti etni-ci. Com’è successo in effetti nell’Esteuropeo.

Nel tumulto di un’esistenza to-talmente mediatica pochi hannoconosciuto il Wojtyla intimo, il mi-

stico capace di immergersi per sei,sette ore al giorno negli abissi dellapreghiera al punto da gemere e di-grignare i denti. Pregava spessobuttandosi sul pavimento con lebraccia aperte nel segno della cro-ce. Pregava mentre scriveva le sueencicliche. Pregava nell’aereo onelle jeep che lo portavano di luogoin luogo.

È una perso-nalità cresciutaall’ombra dellamorte. Tra i novee i ventun anni haperso madre, fra-tello e padre. Ma-ria diventò la suamadre celeste eperciò scrisse sul

suo stemma Totus Tuus, Tutto Tuo.L’afflato mistico ha continuato asorreggerlo nei lunghi anni di finepontificato, con il corpo imprigio-nato dal Parkinson e sconquassatoda ripetute operazioni. Il Papa si di-mette, chiesero in molti? «Cristonon scende dalla croce», fu la sua ri-sposta. Soffrire era per lui parteci-pare alla Passione.

Morendo Giovanni Paolo II lasciadietro di sé un’eredità di trionfi na-poleonici. Ma anche una Waterloo:la sconfitta subita nei cuori di milio-ni e milioni di cattolici, che hannorespinto l’ossessione dei suoi veticontro anticoncezionali, divorzio eleggi sull’aborto e il suo accanimen-

to contro le unioni omosessuali.Il suo no ai preti sposati, il suo no

dittatoriale persino allo studio sullapossibilità di ordinare donne sacer-dote, la proibizione di distribuire lacomunione ai divorziati risposati,hanno estraniato la Chiesa a larghistrati di credenti.

La repressione ai danni dei teolo-gi critici, contro cui negli ultimi an-ni ha persino riesumato la scomu-

nica (come nel caso del prete cinga-lese Tissa Balasuriya), ha gelato laricerca teologica costringendo allaclandestinità le menti più brillanti.Sul piano ecumenico la sua rigiditàdottrinale ha frenato il riavvicina-mento concreto fra le Chiese cri-stiane, sebbene umanamenteWojtyla abbia sempre largheggiatoin gesti di fraternità. Con contrac-colpi improvvisi, come il contesta-

tissimo documento Dominus Jesusche descrive il cattolicesimo comeunica Chiesa nel senso pieno deltermine.

Nel suo lascito resta come un ma-cigno la questione irrisolta della«collegialità», cioè l’inizio di una de-mocratizzazione della Chiesa cat-tolica, l’ultima monarchia assolutaal mondo. Giovanni Paolo II non hamai voluto ascoltare chi fra i cardi-nali e i vescovi hasuggerito una gra-duale condivisio-ne delle responsa-bilità.

Il pontificato diKarol Wojtyla èstato, dopo Pio IX,il più lungo dellastoria della Chie-sa. Il suo lentissimo tramonto, se-gnato dalla fragilità del corpo, haavuto qualcosa di eroico. Quantopiù il suo fisico appariva piegatotanto più vitale è stato il suo impul-so alla guida della barca di Pietro.

Ha occupato la scena mondialecome unico grande leader del pas-saggio di secolo. Battendosi per lagiustizia e i diritti dell’uomo in ognicontinente. Contrastando gli idolidel capitalismo selvaggio. Invocan-do nell’era dei fondamentalismi lacooperazione delle grandi religioniper la pace e la convivenza, perché èbestemmia — ha predicato inces-santemente — pretendere di ucci-

dere in nome di Dio. Prefigurando(come fece in una memorabile as-semblea interreligiosa ad Assisi nel1986) un mondo in cui i credentipregheranno insieme fraterna-mente Dio, ognuno secondo i pro-pri riti.

Mentre in tanti lo ritenevano ma-turo per le dimissioni, Papa Corag-gio si è mostrato capace di grandistrategie. Nell’anno giubilare del2000 ha pronunciato solennemen-te in San Pietro il mea culpa per glierrori e gli orrori commessi dallaChiesa nel corso dei secoli. Nessunoscorderà mai il suo incerto incedereverso il Muro del Pianto a Gerusa-lemme per infilare tra le antichepietre la preghiera di pentimentoper l’antisemitismo cristiano.

L’ultima sua battaglia è stata con-tro le ambizioni imperiali di Wa-shington, lanciata nell’avventuradella guerra all’Iraq. In nome dellalegalità internazionale il Papa ha di-feso la pace e il ruolo dell’Onu comesuprema e legittima istanza dei po-poli del mondo. Bush, fece dichia-

rare il giornod’inizio dellaguerra controBaghdad, ne ri-sponderà «di-nanzi a Dio, allasua coscienza,alla storia». Pa-role di medie-vale grandezza.

Alla sua Chiesa Giovanni Paolo IIlascerà un’ultima intuizione. L’ur-genza di riesaminare con le altreChiese cristiane la funzione del pa-pato. Così ha saldato il passato al fu-turo, restando impresso nell’im-maginario di milioni come pellegri-no di pace e testimone della speran-za e della memoria. Per questo mol-ti lo chiamano già Wojtyla il Grande

Da ragazzo ballava il tango,lavorò in una cava di pietree non voleva fare il prete

LA BIOGRAFIA

l’atleta di Dio

Karol Wojtyla viene eletto a 58 anni. È un Papa giovane con unfisico d’atleta e la sua biografia infatti racconta di una passionegiovanile per lo sport: dallo sci (che praticherà anche daPontefice) al calcio

È il 27 marzo del 2005, il giorno di Pasqua. Dopol’aggravamento delle sue condizioni, Giovanni Paolo II siaffaccia alle finestre del suo studio in piazza San Pietro ma nonriesce a parlare

il declino fisicoDifensore dei dirittidell’uomo e ferreo

nemico del dissensoecclesiale

Profeta mediaticoe uomo di intensapreghiera. Mai un

chierico tradizionale

La sua Waterloo è statoil veto ossessivoe dittatoriale aglianticoncezionali

Tenero adoratore dellaMadonna e duro

avversario della donnamoderna

DOPO L’89

L’albero dei regimicomunisti eramarcio, io gli hosoltantodato una scossa

‘‘ IL NUOVO ORDINEDistrutto l’ordinedi Yalta c’è ilrischio che si torniall’ordine diVersailles

‘‘ INTORNO AL MONDOSe stessi a Roma ascrivere enciclichemi leggerebbero inpochi. Se viaggio,mi ascolteranno

‘‘LE FRASI

DA GIOVANENella foto in alto, KarolWojtyla da giovaneduranteun’esercitazionemilitare. A fianco,sempre il Papa daragazzo mentre si fa labarba in montagna

BEATI E SANTIWojtyla batte ogni record:in 26 anni proclama 1345beati e 483 santi. Ogni volta, un bagno di folla plaudente a San Pietro

1828

L’ELEZIONEKarol Wojtyla viene elettoPontefice il 16 ottobre del1978. È il primo Papapolacco e il suo sarà unodei pontificati più lunghidella storia della Chiesa

1978

L’ATTENTATOIl 13 maggio 1981 vieneferito a piazza San Pietrodal turco Alì Agca. Damolti viene visto come un tentativo russo dibloccare Solidarnosc

1981

LE ENCICLICHELa prima è del ’79, la“Redemptor hominis”.L’ultima del 2003 sullacentralità dell’eucarestia.Fondamentale la“Evangelium vitae”

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I VIAGGINei 26 anni di pontificatone ha compiuti 104all’estero e 146 in Italia, unrecord. Giovanni Paolo II si conferma papa globe trotter

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LA STORIADEL PAPA

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LA REPUBBLICA VSABATO 2 APRILE 2005IV LA REPUBBLICA SABATO 2 APRILE 2005

È stato il primo Ponteficenon italiano dopo oltre 4secoli, il primo slavo

Il mistico e il politicola doppia anima del PapaPreghiera e azione per cambiare la “storia”

(segue dalla copertina)

BERNARDO VALLI

NELLA dottrina era terribil-mente conservatore, come la

sua Chiesa polacca; ed è stato in-vece un pioniere su altri terreni. Ildialogo tra le re-ligioni è statauna svolta nellastoria dell’uma-nità che si ri-chiama ai trem o n o t e i s m i .Tanti sono stati isuoi gesti corag-giosi su questoterreno. Lo fu inparticolare l’at-to di contrizionedavanti al Murodel Pianto a Ge-r u s a l e m m e ,quando chieseperdono agliebrei.

La miscela dipolitica e di mi-sticismo, di for-za e di dolcezza,di fede e di ra-gione (pre illu-ministica), nefaceva un sovra-no medievale.Un sovrano pervolontà divinache conoscevaHegel e Heideg-ger, e sapevamuoversi nellaciviltà delle im-magini, della tv,della comuni-cazione di mas-sa.

Dopo un imperatore di tal fatta,con tanti profili, antichi e moder-ni, ingenui e sapienti, sarà diffici-le al successore non apparire unparroco sperduto in un mondo incui si ha poco o punto tempo perpregare e pensare all’aldilà. È sta-to il personaggio atletico ed asce-tico a sedurre i vecchi cardinaliriuniti di nuovo in conclave ad ap-pena un mese didistanza daquello prece-dente, dal qualeera uscito PapaAlbino Luciani,il patriarca diVenezia. Scon-certati dal lamorte (nel son-no? ) del fragile,gracile neoeletto, schiacciato dal-l’emozione per un incarico piùgrande di lui, quei cardinali river-sarono i loro voti sul vigoroso econtemplativo Wojtyla.

Un Papa non italiano dopoquattro secoli e mezzo, il primopapa slavo in assoluto, avrebbefatto dimenticare quel segno pre-monitore di decadenza che erastata la morte improvvisa dell’en-nesimo Papa italiano, discenden-te di una dinastia forse non più al-l’altezza di una Chiesa ormai piùuniversale che romana.

L’austriaco Franz Koenig, suogrande elettore, pensava che arri-vando da un Paese comunista,dietro la cortina di ferro, Wojtylapotesse contribuire all’unione deidue mondi creatisi in Europa do-po la Seconda Guerra mondiale.L’attività pastorale di vescovo nel-lo spazio concesso dalla dittaturaatea, imposta a una Polonia di for-te identità cattolica, l’aveva certa-mente preparato a svolgere lamissione di Pontefice in mezzo al-

le tensioni del momento: tensionicreate sia dalla confusione postconciliare sia dalle pressioniesterne esercitate sulla Chiesa incrisi. Franz Koenig aveva ragione.Wojtyla era l’uomo adatto. Egli hasaputo, attraverso la sua persona,offrire un’immagine forte a unaChiesa indebolita, incapace diriempire le navate delle cattedrali

e di trovare sa-cerdoti per leparrocchie.

Una Chiesacon la casa ma-dre in un conti-nente, l’Europa,sempre più lai-co. Con i suoi ge-sti, con le sueiniziative, con la

sua presenza Wojtyla ha colmatoil vuoto. Ha occupato la ribalta,nascondendo con il suo talento leferite. Cosa resterà dopo la suascomparsa?

La cauta, accorta tattica di Pao-lo VI, tesa a salvare il salvabile neiPaesi comunisti, non si addicevaal Papa polacco. Egli ha subitopreferito la sfida. Ma, da abilissi-mo sovrano, ha affidato la Segre-teria di Stato a due prelati, Casaro-li e Silvestrini, che erano stati i pro-tagonisti dell’ostpolitk di Monti-ni. I due esperti e leali diplomaticiavrebbero inquadrato, se nontemperato, i suoi slanci. Wojtylaaveva capito il personale tormen-to dell’amletico predecessore, la-cerato, stretto tra il cuore, chespingeva a difendere apertamen-te la Chiesa oltre cortina, e la ra-gione (affiancata dalla proverbia-le prudenza diplomatica papale),che gli intimava di tentare la stra-da del dialogo, del compromesso.Ma quest’ultima per Karol Wojty-la non era una “politica di gloria”.Lui non credeva in una quietaconvivenza fra le due Europe se-parate a Yalta.

La spartizione decisa a Yalta daStalin, Roosevelt e Churchill, nel

‘45, a conclusione della SecondaGuerra mondiale, era per lui, chel’aveva vissuta in prima personafino al ‘78, anno della sua elezione,una catastrofe morale e dunquedoveva essere cancellata. Sentivache l’insubordinazione della Po-lonia cattolica faceva scricchiola-re l’intero impero sovietico. E riu-scì a trasmettere questa convin-zione allo Spirito Santo, che si di-ce guidi i cardinali in Conclavenella scelta del nuovo monarca.Quel robusto capo cattolico difrontiera, campione nella pre-ghiera e nella predicazione, intesacome azione, avrebbe contribuitoin modo decisivo a dare una spal-lata alla superpotenza comunista,che molti credevano indistruttibi-le, e che lui, invece, vedeva alla vi-gilia della decomposizione. Il mi-stico aveva un grande fiuto politi-co. Come vescovo polacco, al di làdel confine, nella grande Russia,sotto la crosta sovietica, vedeva ilmondo ortodosso, che per un cat-tolico di quella Europa rappresen-tava una sfida millenaria, assai piùantica di quella del marxismoateo, vecchio di appena un secolo.

Il suo primo desiderio rivelòquale sarebbe stato il nuovo corsoin Vaticano. Decise di passare ilsuo primo Natale a Betlemme.Nella sua mente non c’erano dub-bi: dove poteva mai andare un Pa-

pa, quel giorno, se non nel luogodove era nato Gesù? Lo slancio erairresistibile. Ma Betlemme era inCisgiordania, un territorio conte-so, occupato dagli israeliani con iquali la Santa Sede non aveva allo-ra rapporti diplomatici. Il Pontefi-ce non poteva arrivare come unpellegrino qualunque. Wojtylascalpitò, rinnovò il suo desiderio,nonostante leobiezioni dellaSegreteria diStato. Alla fine siarrese. Quel de-butto (quel “ca-priccio” inizialenon appagato)fece capire co-me egli avrebbeusato la posizio-ne giuridica del minuscolo Statovaticano. Essa non avrebbe con-dizionato, ostacolato per motividiplomatici, la sua azione di pon-tefice: al contrario gli sarebbe ser-vita come una libera tribuna dacui esprimere le preoccupazionidi ordine morale della Chiesa.

Passò all’azione dando anzitut-to una forte legittimità all’antico-munismo e al rifiuto del sindacatoSolidarnosc di piegarsi davanti alregime di Varsavia, satellite di Mo-sca. Il vescovo polacco diventatoPapa romano appoggiò la volontàpopolare, sfidò il sistema totalita-

rio. E fu un segnale per tutto l’im-pero sovietico. La prima visita inPolonia, nel giugno ‘79, durò novegiorni: ed oggi, parafrasando il ce-lebre libro di John Reed sulla Rivo-luzione d’Ottobre, si dice che an-che quel pellegrinaggio papalecambiò, sconvolse il mondo. Main senso inverso, perché quei no-ve giorni minarono il modello di

società del qua-le Reed avevaappunto de-scritto l’avventonel 1917 (con “Idieci giorni chesconvolsero ilmondo”). Diecianni dopo l’in-cursione diWojtyla in Polo-

nia ci sarebbe stato il crollo.In quella fase tra la Casa Bianca

del conservatore Reagan e il Vati-cano del polacco Wojtyla ci furo-no intensi contatti. Ci fu un conti-nuo, fitto andirivieni tra Washing-ton e la Roma papale. Il comuni-smo era un avversario comune al-la superpotenza americana e allaChiesa. Ma entrambe avevano incomune un altro fronte: l’AmericaLatina. E là, dove vive la metà del-l’universo cattolico, si abbattè lavolontà del Papa polacco che nontollerava le venature marxiste af-fiorate nel clero di quella parte del

mondo.Le preoccupazioni yankee

coincidevano con le sue. I criticipiù aspri dissero che egli detteobiettivamente una mano agli uo-mini della Cia. È un giudizio detta-to dal risentimento provocatodalla condanna delle “teologiedella liberazione”. Queste ultime,a differenza della teologia tradi-zionale, accademica, che partivadai dogmi, anteponevano «i segniattuali del tempo» e chiedevano«un impegno umano, pre teologi-co, al fine di cambiare il mondo erenderlo migliore». Si disse che sitrattava di un’interpretazione ri-voluzionaria del Concilio Vatica-no II, le cui istanze, sul piano so-ciale, erano riformiste. Le teologiedella liberazione furono accusatedi contrapporre la Chiesa del po-polo alla Chiesa gerarchica.

Quello latino-americano fuuno dei più agitati e controversicapitoli all’avvio del pontificato diWojtyla. Egli l’affrontò durante ilsuo primo pellegrinaggio all’este-ro. Subito. Nel gennaio ’79, inMessico, a Puebla, si rivolse ai ve-scovi del subcontinente riuniti di-cendo (scrive George Weigel, nel-la dettagliata biografia di Wojtyla:“Testimone della Speranza”) cheil marxismo non poteva essere perla teologia cristiana quel che erastato Aristotele per San Tommaso

d’Aquino. L’immagine di un Gesùche si batte contro la dominazio-ne romana, anzi che si impegna inuna lotta di classe, come un rivo-luzionario, come il sovversivo diNazareth, «non si compagina conla catechesi della Chiesa». I Van-geli indicano chiaramente, disseWojtyla, che Gesù non accetta leposizioni di quanti mescolano lecose di Dio conatteggiamentipolitici. La veraliberazione eranella salvezzaofferta da Cri-sto, una libera-zione messiani-ca attraverso unamore di perdo-no e riconcilia-zione.

Cosi cercò di spegnere gli ardo-ri del clero latino americano che siera schierato con i diseredati, con-tro le giunte autoritarie e predatri-ci al potere in non pochi paesi nelsubcontinente. Ma alcune ore do-po il discorso di Puebla, pronun-ciato con accenti da teologo con-servatore, deciso a estirpare ogniriferimento al marxismo, lo stessoPapa ne tenne uno molto diversoa Culiàcan, davanti a più di mezzomilione di indios delle regioni diOaxaca e del Chiapas. Denunciòcon foga le ingiustizie che aveva-no segnato la vita dei poveri inAmerica Latina, attaccò gli op-pressori, e auspicò riforme auda-ci, urgenti. Ai vescovi aveva parla-to il difensore della dottrina; aicontadini indios parlava il pro-gressista sociale e politico.

Al primo Wojtyla, il conservato-re, vanno aggiudicati i provvedi-menti, spesso severi, adottati inseguito nei confronti del clero se-dotto dalle teologie della libera-zione, e in particolare nei con-fronti dei gesuiti che ne eranospesso la punta di lancia. La Com-pagnia di Gesù, durante il suopontificato, è stata più volte ri-

L’INTERVISTA

Parla Lech Walesa: “Dal trono di Pietro ci diceva di agire e di non aver paura”

“Un uomo straordinarioper noi un dono del cielo”

‘‘,,

Avrebbe avuto il dirittodi riposarsi. Ma sa

vivere solo così, conl’impegno per gli altrifino all'ultimo respiro

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Grazie a lui la miagenerazione ha potutodare ai propri figli unmondo migliore, non

diviso in blocchi

ANDREA TARQUINI

ROMA — «Avrebbe avuto il diritto eforse anche il dovere di riposarsi inquesti ultimi mesi. Però io, LechWalesa, che lo porterò sempre nelcuore come la persona più straordi-naria che abbia mai incontrato, vidico: lui sa vivere solo così, con l’im-pegno cristiano per gli altri fino al-l’ultimo respiro. Così ci diede la for-za di lottare per la libertà”. E’ freddoa Roma mentre, in un albergo alleporte del Vatica-no, ascolto LechWalesa. La tri-stezza per il de-stino del Papavela appena ilvolto dell’“ope-raio più famosodel mondo», l’exfondatore di So-lidarnosc ed expresidente po-lacco che, insie-me a KarolWojtyla, fu il pro-tagonista dellapacifica transi-zione dell’Impe-ro del Male so-vietico alla de-mocrazia. Fuorile Mura, il rumo-roso e vivace traf-fico della capita-le, dentro le Mu-ra del Vaticano ilsilenzio dei gran-di cortili e dei via-li di ghiaia dovepasseggiano sologuardie svizzeree cardinali, op-pure ospiti illu-stri come Walesavenuti a Roma.Lui è sempre l’e-nergico e ironico“Asterix polac-co”, il tempo nonlo segna. Spigatoverde, cravatta emocassini beigeitaliani gli dannoeleganza, lamente è semprefresca.

Lei prova piùtristezza o am-mirazione perlui in queste ore?

«Lui è stato lapersona piùs t r a o r d i n a r i ache abbia maiconosciuta. Si èdato a Dio e al-l’Uomo fino al-l’ultimo, con ilpensiero, la pa-rola e l’azione.Ha sempre sapu-to mostrare almondo comeservire Dio. Conun messaggio che arriva a chiun-que. Avrebbe avuto diritto e forse ildovere di riposarsi, ma gli uomini difede come lui sanno vivere solo ope-rando. Lui è un uomo straordinario,non sa vivere altrimenti».

Come guarda indietro a questilunghi anni di papato di KarolWojtyla?

«Penso alla mia generazione e al-la generazione successiva, quelladei giovani cresciuti sotto il suo pa-pato. Noi crescemmo in un mondodiviso in blocchi, il mondo dellaguerra fredda. Grazie a lui, potem-mo dare ai nostri figli un mondo mi-gliore. Riguardo indietro alla storiastraordinaria di Karol Wojtyla e pen-so alle opere della mia generazione.Penso a lui e a Reagan, a Gorbaciov ea Eltsin, a Helmut Kohl e infine a Le-ch Walesa inteso come Solidarnosc.Ci toccò portare il mondo a conclu-dere quella che io chiamo “l’epocadella terra”: l’epoca della produzio-ne industriale e dei conflitti sociali.E passare all’epoca del mondo glo-bale, il mondo dell’informazionemondializzata e di Internet. Erava-mo in tanti, eravamo stanchi del co-munismo, ma il comunismo era an-che un potente blocco militare. E al-lora, alla fine del secondo millenniodella cristianità, ci arrivò un donodal cielo: un Santo Padre polacco».

Che cosa significò per lei la svol-

«Fu qui da voi, a Roma. Venni qui,appena eletto come capo di Solidar-nosc, per ringraziarlo. Venni qui achiedergli: e adesso come faccia-mo? Non fu un vertice politico, fu unincontro umano, segnato dal suocalore. Come del resto tutti i nostriincontri. Io raccontai a lui tutti i mieiproblemi e dubbi, che a nessun al-tro potevo esporre. Lui mi ascolta-va, a volte chiedeva qualche chiari-mento. Fu sempre un dialogo uma-no, mai un freddo incontro politico.

Non mi sono mairecato dal SantoPadre per cerca-re delle istruzio-ni ma solo per es-sere ascoltato. Eio non avrei po-tuto fare nullasenza il risveglioche il Papa portòalla Polonia e almondo».

Come visse ilmomento dram-matico dell’at-tentato al Papa?

«In quelle oreterribili ero inGiappone in visi-ta ufficiale. Nelprimo secondodopo la notiziami sentii terro-rizzato. Un se-condo dopo misoccorse la fede.Pensai: il Signoresa cosa occorre almondo, e lo sal-verà. Pregai perlui, non mi resta-va altro».

Lei cosa pen-sò: chi c’era die-tro l’attentato?

«Non mi sem-bro un atto diuna persona iso-lata. Non eranocerto i democra-tici, i leader delmondo demo-cratico, a essereinteressati allamorte del SantoPadre. No, solopersone e siste-mi disonesti .Trovare prove èun altro discor-so».

In Occidenteil Papa è anchemolto criticatoper le sue posi-zioni conserva-trici sul control-lo delle nascite,sul celibato deisacerdoti, sulruolo della don-na. Lei cosa nepensa?

«Io non sonoun esperto di questioni teologiche,sono un cattolico praticante. So so-lo dirle che se non ci fosse stato ilSanto Padre adesso non starei qui aparlare con Lei. Non so cosa potreb-be servire alla fede e cosa no. Comepolitico so che in passato la fede èstata sempre sfruttata anche per laguerra. Adesso non c’è più bisognodi sporcare la fede per la guerra e lafede ritroverà il suo posto. Il posto diuna Fede come libera scelta. Per tut-to il mondo un giorno ci sarà un so-lo Dio. Pertanto credo che il divino èimmutabile, l’umano è mutabile. Iotrovo il mio Dio anche confrontan-domi con la generazione dei com-puter, Dio è moderno, mi aiuta, io locerco anche usando i tre computerche porto sempre con me. Alcuninon riescono a trovare Dio, ma for-se non vogliono trovarlo».

La Polonia libera grazie al Papae a lei è meno credente di prima?

«No. Anche grazie a lui la nostrapatria è tornata un paese normale.Un paese in cui la Chiesa e la fedehanno il loro posto normale. Sottola dittatura la Chiesa, come istitu-zione indipendente, fu il rifugio ditutti coloro che non volevano pie-garsi alla dittatura, alla censura, al-lo strapotere del totalitarismo.Adesso gli intellettuali laici nonhanno più bisogno del rifugio dellaChiesa».

ta?«Vedemmo salire sul trono di Pie-

tro un uomo che faceva molto per lanostra fede e per Dio, ma che allostesso tempo diceva a noi tutti nonabbiate paura, cambiate il modo diagire degli uomini sulla Terra se-condo il Vangelo. Lui ha cambiato laParola, l’ha incarnata nel Corpodella gente. E così noi nell’altra Eu-ropa potemmo tradurre la Sua Pa-rola in azione. Con lui la gente da noisi svegliò, imparò a riflettere, su-però la paura. Imparò a confrontar-si col potere, organizzò la lotta, gliscioperi, la svolta».

Secondo Lei quanto della finedella guerra fredda è dovuto al Pa-pa?

«Se vogliamo parlare di percen-tuali, il 50 per cento del merito dellasvolta va alle parole del Papa, il 20per cento ad altri fattori, tra cui Gor-baciov, il 30 per cento a Solidarnosce a Lech Walesa. Gorbaciov volletentare di riformare il comunismo.Noi in Polonia già sapevamo che ilcomunismo non era riformabile».

Il Papa e lei siete stati simboli ederoi. Due vite parallele?

«Sì, ma il Santo Padre fu il Pensie-ro e la Parola, e io fui solo l’azione.Fu lui a farci capire come servirel’Uomo. Ogni suo momento pub-blico, in questi ultimi mesi, lo rive-

do oggi come un dolore e insiemecome un servizio».

Lei cosa pensò quando seppe cheKarol Wojtyla era divenuto Papa?

«Ebbi la sensazione di essere sta-to sorpreso da Dio. Ero incantato,ma anche impensierito. Pensai su-bito che il mondo sarebbe stato di-verso, che il comunismo avrebbe af-frontato problemi. Quanti e quali,in quel momento, non potevo im-maginarlo. Iniziai allora, con la suaelezione, a riflettere sul futuro deipopoli soggetti all’impero comuni-sta».

Ma nel concreto, nella sua vita dioperaio dissidente a Danzica, cosafu per lei quel giorno, quel 16 otto-bre 1978 in cui Karol Wojtyla di-venne Giovanni Paolo II?

«Nel concreto, io allora ero già daanni un attivista dell’opposizione.Ma avevo attorno a me al massimouna decina di persone o poco più:pochi operai e intellettuali corag-giosi, in una società impoverita eprostrata, umiliata, corrotta dalladittatura. La maggioranza della no-stra gente non aveva più speranza. Eall’improvviso arrivò lui. Senza di luiavrei raccolto forse altri dieci segua-ci, con lui dopo la sua prima visita inPolonia diventammo dieci milioni».

Come ricorda il suo primo in-contro con lui?

La cauta, accorta tattica diPaolo VI nei confronti deiPaesi Oltre cortina non siaddiceva ad un polacco

Appoggiò subito la volontàpopolare, sfidò il regime efu un segnale per tuttol’impero sovietico

Nell’ultimo decennio,scomparso il comunismo, èprevalso lo spirito criticocontro il capitalismo

LE ORIGINI

L’AMICO POLACCONella foto in bianconero una manifestazione di Solidarnosc.Qui sopra, a sinistra, Lech Walesa che riceve la comunione. Adestra Walesa, la moglie e la figlia salutano il Papa

messa al passo. Gli impegni socia-li e politici dei seguaci di Ignazio diLoyola sono stati frenati. Il loro“generale” di allora, padre Arrupe,ha conosciuto la severità imperia-le del Pontefice. Ma questa seve-rità non ha mai spento del tutto glislanci dei gesuiti “progressisti”.Quando l’impero comunista eraormai sepolto, e la contaminazio-

ne marxista nonera più conside-rata un pericolo,dai discorsi diWojtyla sono af-fiorati proposi-ti, di stampo po-litico e sociale,molto simili aquelli che in altritempi erano sta-

ti da lui stesso condannati.Durante il suo regno hanno ot-

tenuto evidenti privilegi l’OpusDei, in più occasioni presentatocome un contrappeso alla Com-pagni di Gesù, e altri ordini o con-gregazioni o movimenti più ligi al-la linea tradizionalista.

Nell’ultimo decennio, dopo ilfallimento comunista, è tuttaviaprevalso il profilo del Papa semprepiù critico nei confronti di alcuneforme di capitalismo, sempre piùsollecito nell’invitare a una mag-gior giustizia sociale, e nel con-dannare le guerre promosse dallasuperpotenza americana.

Questa è l’immagine che ci halasciato di sé negli ultimi soffertianni della sua intensa vita. Una vi-ta durante la quale non ha rispar-miato aperte critiche ai due gran-di imperi dell’epoca. All’imperonel frattempo defunto e a quellosuperstite. Il Papa politico ha scel-to i tempi e dosato gli accenti; il Pa-pa mistico ha parlato da una ribal-ta che (per lui) non era umana.

DA GIOVANEA sinistraKarol Wojtylain una foto del1950 quandoera inseminario. Adestra, nel1939, con lamadre

SOVRANO MEDIEVALELa miscela di forza edolcezza, di fede eragione, neha fatto una sorta disovrano medievale.Un imperatore pervolontà divina

SUL PALCOSCENICOUn famoso attore, sirJohn Gielgud,ammirava il suotempismonell’affascinare lefolle con parole egesti semplici

DIFFICILE EREDITÀDopo di lui saràdifficile a qualunquesuccessore nonapparire un parrocosperduto in unmondo in cui nonsi prega più

LA STORIADEL PAPA

Page 4: IL PONTIFICATO CHE SEGNA UN’EPOCAdownload.repubblica.it/pdf/album_papa.pdfIL MONDO DEL PAPA POLACCO BERNARDO VALLI W KAROL OJTYLA ... Lolek, come lo chiama-vano gli amici, era uno

FIAMMETTA CUCURNIA

MOSCA — «Sarà una grande perdi-ta. Non solo per il mondo cattolico,ma per l’umanità intera. Io credoche Giovanni Paolo II sia stato il po-litico più realista del nostro tempo,capace di comprenderne e racco-glierne le sfide, una delle persona-lità più significative del XX secolo».L’ultimo presidente dell’Urss,Mikhail Gorbaciov, non ha mai na-scosto l’intensità del legame che lounisce al Pontefice. Da quel lontanogiorno del 1989,quando, per laprima volta dallanascita dell’U-nione Sovietica,un leader comu-nista varcò la so-glia del Vaticano,cancellando de-cenni di sospettie rifiuti, molte in-contri si sonosusseguiti. E an-che negli ultimianni, nonostan-te il peso della sa-lute ormai infer-ma, Sua Santitàha sempre trova-to il modo di in-contrarlo nelcorso delle suevisite in Italia.«L’ho sempresentito molto vi-cino. Per me èstato una spondache mi ha offertosostegno e soli-darietà in ognimomento diffici-le».

Mikhail Ser-gheevic, i rap-porti tra l’Urss eil Vaticano nonfurono mai idil-liaci. Almeno fi-no all’avvento di Giovanni Paolo IIe della perestrojka. Come avvenneil riavvicinamento e quale fu il ruo-lo personale del Papa?

«Diciamo pure che l’Urss e il Vati-cano sono sempre stati Stati ostili.Da noi, c’era sempre stata l’abitudi-ne di presentare il Vaticano come uncovo di reazionari. Anche se neglianni Settanta sembrava che qualco-sa si fosse mosso, di fatto non aveva-mo né relazioni diplomatiche né lapossibilità e la voglia di affrontare erisolvere i problemi che nascevano.Le cose cominciarono a cambiarenel 1988, con la visita del CardinaleCasaroli a Mosca. Fu lui per primo aspiegarmi che al Vaticano c’eranouomini molto interessati a instaura-re contatti con l’Unione Sovietica,uomini che guardano con favore icambiamenti in corso. Non nascoseche c’erano anche altre forze, orien-tate in senso inverso e che esistevaancora un certo disagio, un sospet-to, diciamo, nei confronti del cosid-detto “socialismo reale”. Ma miconsegnò un messaggio di Giovan-ni Paolo II, scritto di suo pugno conparole molto amichevoli, e un pro-memoria riguardante la condizionedella Chiesa cattolica in Urss. Io glirisposi che se esistevano tanti pro-blemi ciò dipendeva, evidentemen-te, dal fatto che tutte e due le partiavevano preferito non affrontarli.Gli dissi anche che io avrei sostenu-to la libertà di culto nel nostro pae-se, ma che ero contrario all’ingeren-za della Chiesa negli affari di Stato.Ci lasciammo con la promessa cheda allora in avanti avremmo cercatodi collaborare almeno su tutto quel-lo che ci trovava d’accordo. Fu unapromessa molto fruttuosa».

l’occasione, si era messo a ripassareil russo. Parlando della grande mis-sione apostolica si Sua Santità, dissiche avevo rilevato delle somiglian-

ze, addirittura espressioniidentiche nei nostri di-

scorsi. E questo, mipare, denunciava

inevitabilmenteanche una vici-nanza del nostropensiero. Il Papami rispose che, a

suo avviso, la perestrojka rendevareale la possibilità di cercare insie-me un nuovo modo di concepire laconvivenza tra gli uomini in terra».

Quale fu la cosa che la colpì di piùnel colloquio?

«Mi colpì la sua umanità e la forzadella sua spiritualità. Disse che nonsi poteva accettare che l’Europa fos-se costretta a indirizzare i cambia-menti solo in senso occidentale. “Ionon sono critico soltanto verso il co-munismo, ma anche verso il capita-lismo, quando ignora i bisogni del-

l’uomo”, mi fecenotare. Mi ri-cordò che già nel1980 aveva ele-vato a protettoridell’Europa SanBenedetto, unrappresentantedella tradizionelatina, ma ancheCirillo e Meto-dio, in nome del-l’Oriente, dellatradizione bi-zantina, greca,slava, russa.L’Europa, disse,deve respirarecon due polmo-ni. E mi sembròun’espressioneperfetta. La cosafu talmente stu-pefacente perme, che quandotornai a casa de-cisi di leggere lesue encicliche».

Con lei inquell’occasionec’era anche Rais-sa Maksimovna.

«Alla fine del-l’incontro, an-dammo tutti edue nella Saladella Biblioteca,dove ci aspetta-

vano Casaroli, Sodano, i membridella mia delegazione e Raissa Mak-simovna. Il Papa si avvicinò adognuno e disse qualcosa a tutti. An-che Raissa Maksimovna ne fu moltocolpita e non lo dimenticò mai».

Resta un rimpianto: nonostanteabbia fatto di tutto per realizzarequesto desiderio, il Papa non è riu-scito a compiere quel viaggio a Mo-sca che avrebbe in qualche modocoronato il suo Pontificato.

«Sì, questo desiderio non ha po-tuto diventare realtà. Bisogna tene-re conto però che tutto è avvenutomolto, forse troppo in fretta. Primadella perestrojka, un viaggio del Pa-pa a Mosca era una cosa addiritturaimpensabile. Quasi fantascienza.Non esistevano le condizioni mini-me. Poi, con la perestrojka, molteporte si aprirono. Si avviò un dialo-go. Tuttavia si doveva tenere contoche questa nuova apertura avrebbeprovocato un risveglio di tutte le re-ligioni. Non solo di quella cattolica,intendo, ma anche di quella orto-dossa che nel rialzare la testa si èscoperta in qualche modo gelosadella sua prerogative, del suo terre-no di proselitismo. E dunque nono-stante i grandi passi avanti, si dove-va tener conto dei problemi che es-si avevano aperto. Si era seminato e,come sa bene ogni contadino, biso-gnava saper aspettare con pazienzail raccolto. Senza fretta, cosa che in-vece, di tanto in tanto, si è avvertita.Non poteva che essere così, perché itempi della storia non sono rappor-tabili al metro temporale della no-stra vita. Questi sono processi lun-ghi che non si possono accelerareperché attengono alla storia dei po-poli».

SANDRO VIOLA

LA MATTINA del 17 ottobre1978, a Mosca, del tutto igna-

ro che poche ore prima un cardi-nale polacco fosse asceso al so-glio di Pietro, stavo aspettandodavanti all’ho-tel National ilgiornalista so-vietico che daanni, ogni voltache approdavoin Urss, mi veni-va assegnatod a l l ’ a g e n z i aNovosti comeinterprete e ac-compagnatore.La giornata eramolto fredda,ogni tanto unaraffica di nevi-schio attraver-sava la piazzadel Maneggio, el’attesa si pro-lungava. Di so-lito puntuale,quella mattinal’interprete erainfatti in ritardod’oltre mezz’o-ra. E quando fi-nalmente ar-rivò aveva l’ariatrafelata, losguardo turba-to, come se glifosse accadutoqualcosa di gra-ve.

Mi chiese su-bito se sapevocome si fosseconcluso i lConclave ro-mano. E al miodiniego s’af-frettò, senza ce-lare l’agitazio-ne, a darmi lanotizia: «Un po-lacco, hannoeletto un papapolacco... No,non è Wyszyn-ski. È un altro, ilcardinale diC r a c o v i a . . . » .Quindi estrassedalla tasca delcappotto unpezzo di carta, evi lesse un no-me che non ave-vo mai sentito:Karol Wojtyla.«Sai chi è?», michiese. Risposiche no: che nonavevo la mini-ma idea di chifosse, e qualiposizioni rappresentasse nellaChiesa di Roma. Ma intanto riflet-tevo, cercavo di pesare la notizia,mi rendevo conto dello sconcer-to che essa stava seminando neipalazzi del potere sovietico.

Quel giorno avevo in agendaquattro appuntamenti di cui uno,nel pomeriggio, al Comitato cen-trale. Ma gli appuntamenti,m’avvertì l’interprete con un girodi frasi imbarazzate, erano statirinviati tutti e quattro a data dastabilirsi. Se però non volevo per-dere la giornata di lavoro, prose-guì il russo, si sarebbe potutocombinare un colloquio col viceministro dei Culti. La cosa m’in-teressava? L’idea d’un incontro alministero dei Culti, l’organo del-lo Stato sovietico che ammini-strava le questioni religiose, l’a-vevo avuta un paio di volte in altrisoggiorni a Mosca. Ma senza al-cun successo, perché il ministeroaveva ignorato le mie richieste.Mentre quella mattina del 17 ot-tobre ‘78 l’incontro era divenuto

improvvisamente possibile.Andai così a vedere il vice mini-

stro dei Culti, di cui ho perso il no-me, nel più piccolo e scalcinatodei ministeri moscoviti. E lì, inuna scena e attraverso un dialogoche sarebbero piaciuti a Gogol,capii che l’elezione del papa po-lacco non aveva procurato nelladirigenza sovietica, come avevo lìper lì creduto, uno sconcerto,bensì un vero e proprio sgomen-to. Il vice ministro m’accolse in-fatti quasi trepidante, con unacordialità esagerata, convintoche io, in quanto italiano e catto-lico-romano, dovessi saperequalcosa sulla scelta del Concla-ve, sulle sue possibili motivazio-ni, su eventuali retroscena. E al-l’accorgersi che delle faccende diSanta Romana Chiesa ne sapevoanche meno di lui, la sua espres-sione si faceva sempre più delusa,irritata. Forse pensò che gli na-scondessi notizie importanti sul-la politica vaticana, forse mi con-siderò uno sprovveduto. Certo èche l’incontro, da cui era sparitol’iniziale calore, finì freddamentee nei modi più sbrigativi.

La sua comicità a parte, la visi-

ta al ministero dei Culti non erastata certo inutile. A meno di ven-tiquattr’ore dalla fumata bianca,avevo colto pienamente che lanotizia dell’elezione di KarolWojtyla s’era abbattuta sull’Ursscome un colpo di maglio. Chenella Mosca di quell’ultima,asmatica fase brezneviana, men-tre già s’andavano profilando tut-ti i fattori che avrebbero condot-to al disfacimento della «patriadel comunismo» (l’irrimediabi-lità della crisi economica, la scle-rosi del sistema politico, l’enor-me divario tecnologico e militarecon l’Occidente), l’avvento deltutto inatteso d’un papa polaccogiungeva come un cupo presagiodi nuovi ostacoli e sventure.

Mi chiedevo cosa stesse avve-nendo in quelle ore nel palazzonerossastro della Lubianka, ai verti-ci del Kgb. Il mastodontico appa-rato spionistico dell’Urss era sta-to anch’esso preso alla sprovvistacome il grigio, insignificante viceministro dei Culti, o era più infor-mato sugli orientamenti dellaChiesa cattolica? In ogni caso, erafacile immaginare che l’atmosfe-ra al Kgb, e in specie al diparti-

mento Polonia, dovesse esserequella mattina febbrile. Toccavaagli uomini di Jurij Andropov, in-fatti, preparare per i gerontocratidel Cremlino le «schede informa-tive» sull’elezione a pontefice delcardinale di Cracovia: e quelleschede non potevano non conte-nere una prognosi funesta sulleconseguenze che l’avvenimentoavrebbe avuto da allora in poi sul-la Polonia in particolare, e quindisulla stabilità del campo comuni-sta nel suo complesso.

Oggi, in sede di bilancio, la do-manda cui si vorrebbe risponde-re è sin troppo elementare: in chemisura, e quanto direttamente, ilPapa polacco contribuì al crollodel comunismo? Ma se la si vuoleprecisa, la risposta dovrà ancoratardare.

Testimonianze cruciali, docu-menti decisivi verranno fuori apoco a poco, e solo tra qualcheanno si potrà formulare una valu-tazione attendibile. Il giudiziostorico, cioè, sulla parte che KarolWojtyla ebbe nello scardinamen-to dell’impero sovietico.

Quel che oggi sappiamo, quelche è certo, è che il nuovo Papa

non perse tempo. Non cercò didissimulare le sue posizioni. Giànelle prime settimane dopo la suaascesa, infatti, lasciò trasparireche al centro della sua visione c’e-ra la sfida al marxismo. Il rigettodella spartizione dell’Europa de-cisa a Yalta oltre trent’anni prima.La certezza che lo statu quo usci-to dalla Seconda guerra mondia-le non dovesse essere considera-to definitivo, e anzi potesse esse-re modificato senza conseguenzecatastrofiche. E in questa visionec’era, fondamentale, la sua espe-rienza di prelato in un paese co-munista. Nessuno come KarolWojtyla (non nelle cancellerie eu-ropee, e neppure alla Casa Biancae alla Cia) sapeva infatti come fos-sero ormai tarati, barcollanti, i si-stemi comunisti. Come avesseroperso qualsiasi consenso dellepopolazioni, ogni energia, ognisperanza di rinnovamento.

E la prova, a chi poteva ancoradubitare delle sue certezze, ladette con il suo primo viaggio inPolonia nel giugno del ‘79. Fu lì,col suo trionfale ritorno nel paesenatale, che Giovanni Paolo IIsferrò la prima spallata contro la

dominazione sovietica in Euro-pa. Bastarono poche ore dopo ilsuo arrivo a Varsavia, e già noi te-stimoni avevamo percepito gli ef-fetti dirompenti della comparsad’un papa — polacco per giunta— nel più cattolico tra i paesi del-l’impero sovietico. Poche ore, e fuinfatti chiaro che per quanto «sto-rica» e strutturale, per quanto giàavanzata e ormai quasi tangibile,la fase decadente del comunismoaveva conosciuto con l’apprododi Karol Wojtyla sulle rive della Vi-stola un’accelerazione improvvi-sa e decisiva. Il passaggio, si po-trebbe dire, dalla crisi all’agonia.

Quelle giornate del giugno1979 furono infatti come unaventata su un castello di carte. LoStato comunista — che già avevaperso da anni ogni legittimità —scomparve letteralmente. Nes-suna forza di polizia, nessuna in-timidazione, nessun limite postoa priori nel programma della visi-ta, riuscirono a frenare la mareaumana che si mosse ad ogni tap-pa o passaggio del papa, in unamanifestazione impressionantedi rifiuto dell’ideologia di Stato, didistacco irrimediabile tra gover-

nati e governanti, insomma dirottura politica. Milioni di polac-chi cadevano in ginocchio alla vi-sta del corteo papale, gridando incoro «Viva il papa» oppure «Restacon noi, resta con noi». E già al se-condo giorno, superata ogni pau-ra, i polacchi presero a scandireinsieme ai «Viva il papa», «De-mo-kra-cja, de-mo-kra-cja».

Da Mosca a Berlino-Est, da So-fia a Budapest, da Bucarest a Pra-ga, lo scossone fu violento. La vi-sita del papa in Polonia aveva in-fatti dimostrato che ai regimi im-posti dall’Urss nell’Europa cen-tro-orientale restava ormai, neiconfronti dei propri cittadini,una sola risorsa: la forza. Essi po-tevano forse, ancora, tentare unarepressione violenta, sparare sul-la folla. Ma con le loro folle nonpotevano più dialogare. E poichéera diventato molto difficile, inquella fine dei Settanta, ripetere

quanto era avvenu-to a Budapest nel‘56 e a Praga nel ‘68,gli Stati comunistiapparvero di colpoinermi.

L’anno doposcoppiavano gliscioperi di Danzi-ca, nasceva Soli-darnosc. Dal Vati-cano, attraversocontatti continuicon l’amministra-zione di Washing-ton (e a quanto si

disse, anche con la Cia) il papapolacco seguiva giornalmente glieventi e ne sosteneva i protagoni-sti, il gruppo d’operai e intellet-tuali che s’erano posti a capo del-la rivolta polacca. La Polonia ini-ziò così la sua lenta, accidentatafuoruscita dal comunismo. E neinove anni successivi sino alla ca-duta del Muro di Berlino, fu sem-pre dalla Polonia, e sempre conl’implicito appoggio del capo del-la Chiesa cattolica, che vennero icolpi d’ariete contro quel che an-cora restava in piedi, dopo tantifallimenti, dell’impero sovietico.

Su un punto, tuttavia, KarolWojtyla si sbagliò. Aveva creduto,e teorizzato, che dalla sofferenzadei popoli dell’Est europeo sotto-posti per quasi mezzo secolo alladominazione comunista, sareb-be affiorata una «civiltà».

Un mondo diverso da quellooccidentale: meno materialista,temprato dal confronto con le av-versità, assetato dei valori spiri-tuali e culturali che nella notte delcomunismo erano stati imprati-cabili. Capace d’una moralità,d’una nettezza d’animi, scom-parse da tempo nei paesi dettiavanzati.

Un mondo ancor più religiosodi quanto la Polonia non fossestata nel suo mezzo secolo di cat-tività.

Il «dopo ‘89» fu invece del tuttodiverso. Giovanni Paolo II ebbetutto il tempo di vedere i popolidell’Europa ex comunista dive-nire sempre più laici, mentre sigettavano a corpo morto nel fiu-me del consumismo, del capita-lismo più selvaggio, della cosid-detta liberazione sessuale. Videquindi sorgere, invece che unanuova spiritualità, la più sfronta-ta e indecente delle modernità.Ed è stata questa, forse, la sorpre-sa che ha più amareggiato i suoiultimi anni.

LA REPUBBLICA VIISABATO 2 APRILE 2005VI LA REPUBBLICA SABATO 2 APRILE 2005

Al Cremlino lo sgomento fusubito palpabile: era statoeletto un cardinale polaccodi cui nessuno sapeva nulla

Quel giorno Mosca tremòI leader del Pcus accolsero con paura la sua nomina

L’INTERVISTA

L’ex leader racconta il riavvicinamento con il Papa: “Un rimpianto il mancato viaggio a Mosca”

L’emozione di Gorbaciov“Fu un alleato prezioso”

IL COMUNISMO

Il nuovo Pontefice nonperse tempo, misesubito al centro la lottacontro il marxismo

La storia ci spiegherà ilsuo ruolo nella fine delcomunismo, di certone accelerò l’agonia

La visita in Polonia nel1979 ebbe un effettodirompente, e scardinòdecenni di certezze

Gli scogli: dottrina e proselitismo

Il no di Alessio IIbloccò il dialogocon gli ortodossi

il caso

E’ RIMASTO uno dei suoipiù grandi rimpianti: nonessere mai riuscito a orga-nizzare una visita a Mo-sca. Nella Russia del co-munismo che contribuì asconfiggere, ma anchepatria di quella Chiesa or-todossa che si è rivelatol’unico scoglio incontra-to da GiovanniPaolo II nellasua polit icaecumenica.

“Niente in-contro, se pri-ma non risol-viamo le con-troversie”. Il nodi Alessio II è ri-masto irremo-vibile: il pa-triarca orto-dosso si è sem-pre sottrattoagli inviti e alleproposte di dialogo diWojtyla. Oltre alle diver-genze dottrinarie, la chie-sa ortodossa russa è infa-stidita dal proselitismodel cattolicesimo. Questocontrasto ha di fatto resoirrealizzabile un viaggioal quale il ponteficeavrebbe tenuto molto, eche sarebbe comunquestato possibile solo in an-ni recenti. Prima della pe-restrojka di Gorbaciov,infatti, i rapporti tra Ursse Vaticano erano troppotesi per poter anche soloipotizzare una visita delPapa a Mosca.

IL PRIMO INCONTRORicordo quel giornocon chiarezza. Io elui, da soli. Mi disseche la perestrojkarendeva possibileuna nuovaconvivenzatra i popoli

‘‘L’URSS E LA CHIESAAffrontammo ilproblema con unoscambio di lettereche si concluse conla promessa, che sirivelò moltofruttuosa,di collaborare

‘‘

‘‘ ’’LA NUOVA EUROPAMi spiegò che non si potevaaccettare che l’Europafosse costretta a indirizzarei cambiamenti solo insenso occidentale

Come ricorda il suo primo in-contro con Giovanni Paolo II?

«Fu una grande emozione. Ac-cadde nel corso di una visita ufficia-le in Italia, nel 1989. Di quelgiorno, di quell’incon-tro, mi ricordo tuttocon grande chiarez-za, come fosse og-gi. Fu un incontroa due. Io e il Papa,da soli. Mi con-fessò che, per

L’INCONTROIl 1 dicembre del 1989

il premier russocompie una visita

ufficiale non di Statoin Vaticano. Qui consua moglie, Raissa, e

il Pontefice

A destra Karol Wojtyla si affaccia al balcone dipiazza San Pietro il giorno della sua elezione. Sottole immagini di Berlino, il 9 novembre del 1989, ilgiorno della caduta del muro che divideva la parteOvest da quella Est della città tedesca. Sul muro,simbolo dell’oppressione, si riuniscono i berlinesiper festeggiare la libertà ritrovata. Giovanni Paolo IIha svolto un ruolo decisivo nella lotta alcomunismo e al blocco dei Paesi sovietici

la caduta del muro

CASTROIl dittatore cubano è stato il primoleader dichiaratamentecomunista a esserericevuto in Vaticanodopo il crollo del muro diBerlino. L’incontro tra Fidel Castro e Giovanni Paolo II avvennenel 1996

JARUZELSKIDi grande impatto,anche emotivo,l’incontro nel 1992 conl’ex presidente polacco,che come capo di Statoaveva gestito la delicatatransizione verso lademocrazia, ma che dapremier, nel 1981,promulgò la leggemarziale per bloccare lamarcia di Solidarnosc

CALFA ED ELTSINE’ la fine del 1991. Nelgiro di due giorniGiovanni Paolo II ricevela visita di due leader dipaesi ex comunisti. Il19 dicembre arriva inVaticano Calfa, ilpremier dellaCecoslovacchia. Ilgiorno successivo è ilturno del premierrusso, Boris Eltsin

PUTINIl presidente russoVladimir Putin, excomunista che ha nelsuo passato una lungamilitanza nel Kgb, iservizi segreti sovietici, èstato ricevuto in Vaticanodal Pontefice per duevolte, nel giugno del 2000 e nel novembre del 2003

LA STORIADEL PAPA

Page 5: IL PONTIFICATO CHE SEGNA UN’EPOCAdownload.repubblica.it/pdf/album_papa.pdfIL MONDO DEL PAPA POLACCO BERNARDO VALLI W KAROL OJTYLA ... Lolek, come lo chiama-vano gli amici, era uno

GIORGIO BOCCA

ORE diciassette e diciassettedel 13 maggio 1981. Piazza

San Pietro è gremita di pellegri-ni, la jeep bianca scoperta delPapa avanza lentamente e si fer-ma davanti al portale di bronzo,il Papa è diritto in piedi, le brac-cia protese per sollevare unabambina. Due colpi secchi nelclamore, il Papa cade, scompa-re mormorando in polacco«Madonna mia» la jeep invertela marcia, sopra un grumo dipersone chine sul ferito, traver-sa la piazza sparisce oltre l’arcodelle campate. Un uomo, l’at-tentatore, si sta dibattendo fra ipoliziotti, interra due turi-ste americaneuna colpita inpieno petto e lapistola Brow-ning.

Chi è l’atten-tatore? Si sca-tenano le vocipiù disparate:un terroristapalestinese, noun “Lupo ne-ro” turco, mano un armenoche vuole ven-dicarsi del ge-nocidio del suopopolo da par-te dei turchi. Eallora perché ilPapa? Per lapolit ica f i loturca dellaSanta Sede. Poisi fa un po’ diluce: si chiama Mehemet Ali Ag-ca, ha 23 anni, è un terroristaevaso dalle prigioni turche. Co-me non si sa, non è facile fuggi-re dalle prigioni turche: evaso olasciato andare? Comincia la se-rie dei misteri. Ali Agca è uno percui le frontiere non esistono, èentrato e uscito dall’Italia conun passaporto falso, con una pi-stola che passa inosservata aicontrolli elettronici. Alloggiavaa Roma in una piccola pensio-ne. Ha agito da solo o aveva deicomplici? Di certo il suo nomeera nell’elenco dei sovversivistilato dai servizi di sicurezzaturchi. Di lui si sa tutto e niente:fa parte di un movimento nazio-nalista di estrema destra, la suarivoltella arriva dalla Bulgaria,gliela ha venduta un siriano. Co-me ha fatto a trovarsi quel po-meriggio in piazza San Pietro sel’ambasciatore turco presso leNazioni Unite aveva segnalatogiorni prima alla nostra poliziache si trovava in Italia?Chi lo ha protetto? Chilo ha mandato? I so-spetti si indirizzanoverso il mandante so-vietico che ha usato iservizi bulgari. Il Papaè il grande sostenitoredel movimento anti-comunista di Solidar-nosc il suo finanziato-re, colui che ha intuitoche la dissidenza inuno degli Stati satellitipuò far saltare la gran-de macchina del co-munismo mondiale, eaccanto le ipotesi me-no credibili: è statomandato dagli sciiti odall’Ela l’esercito di li-berazione armeno e,perché no?, dalla Ciaamericana.

Viene persino indi-viduato un moventemediatico: l’attentato al Papaviene dopo quelli di Reagan edel cantante Lennon cioè di

LA REPUBBLICA IXSABATO 2 APRILE 2005LA REPUBBLICA VIIISABATO 2 APRILE 2005

Piazza San Pietro, 17.17del 13 maggio 1981:il Papa, colpito, si accascia

Spari nella folla, poi troppi misteriDai mandanti al movente: i dubbi mai chiariti sul ferimento

due, sovraesposti sui media, uc-cisi da gente che vuole arrivareper mezzo loro alla notorietàmondiale. Scrive Umberto Eco:«Un personaggio come il Papadiventa un polo di amore-odiosu cui le menti più instabili ri-versano aspirazioni e frustra-zioni. Infine un individuo debo-le ed esaltato passato per unaserie di avventure ideologica-mente confuse dall’una all’altradelle barricate politiche può uc-cidere il suo personaggio-sim-

bolo. La naturalezza con cui ci siè accordati su queste interpre-tazioni mediologiche ci dice chela pubblica opinione accetta or-mai come ovvio e fatale questomeccanismo dell’universo del-l’informazione di massa».

Come sta il Papa? Alle ore 20 ilprimo comunicato del policli-nico Gemelli autorizza le spe-ranze di «lesioni intestinali mul-tiple». Dunque nessun organovitale è stato colpito. La cautelaperò è d’obbligo, l’incubo di

uno shock cardiaco rimane. Ilpontefice lascia la sala operato-ria alle 23.25, il mondo è comeattanagliato da una paura delpeggio, come se stesse peraprirsi una catena di sciagure.

Non può mancare un richia-mo alle fosche profezie di No-stradamus. Nell’ora dell’atten-tato gli esponenti politici dellasinistra, da Berlinguer a Craxi,erano a una manifestazione afavore dell’aborto in piazza delPopolo e si sa che papa Wojtyla

è uno dei più decisi oppositoridell’aborto. Qualcuno cerca diusare la coincidenza per insi-nuare che c’è stata una sorta dimandato morale ma il tentativofallisce. La manifestazione vie-ne sospesa, i politici sonoprofondamente turbati cometutti gli italiani, come il mondo.Anche senza la spiegazione me-diologica l’attentato a un uomocarismatico, a un capo, è cosanormale. I grandi dittatori sonosopravvissuti ad attentati lun-

gamente premeditati, come Hi-tler nella «tana del lupo» e alcu-ni sono morti come i Kennedycome Martin Luther King. Unattentato ha scatenato la primaguerra mondiale, un altro si èopposto alla monarchia di Ce-sare, Napoleone è sfuggito perun attimo a una bomba controla sua carrozza.

Ma l’attentato a un papa, auna persona sacra che si pensafuori dalle minacce del mondodesta stupore ed esecrazione.

Il mondo politico si è interro-gato sui moventi e sulle ragionidell’attentato senza venirne acapo. Papa Wojtyla non rientra-va in nessuno schema di comu-ne politologia. Era gradito osgradito agli Stati Uniti? Era uncampione della liberazione dal-la dominazione sovietica o unoche predicava l’intesa pacificacon l’Urss deprecata da Reagane dalla destra americana? Eraodiato o benvoluto dal mondo

islamico? Ledue cose, eraun papa orto-dosso schiera-to per il destinoe c u m e n i c odella Chiesacattolica maera anche l’uo-mo dell’aper-tura agli Statiarabi del Me-dio Oriente, ilPapa cheavrebbe dettono alla guerraa m e r i c a n acontro l’Iraq.

Wojtyla in-contrerà in car-cere il suo at-tentatore e loperdonerà. Mail mistero non èstato sciolto. Èvero che il mo-

vente più probabile è stata la fol-lia di Ali Agca ma anche le folliehanno una loro matrice. E anco-ra non la conosciamo.

Il killer turco del Papa ha dato sempre versioni contraddittorie sui mandanti e sul movente

Dai lupi grigi al complottole mille verità di Ali Agca

DAL NOSTRO INVIATOMARCO ANSALDO

ISTANBUL — A una sola cosa è ri-masto fedele Mehmet Ali Agca nel-la sua vita sbandata: alla consegnadel silenzio su movente e mandan-ti dell’attentato al Papa. Il “lupo gri-gio” impenetrabile e glaciale, il kil-ler capace di portare a termine unodegli attentati più clamorosi dellaStoria, il detenuto modello in gradodi sopportare lustri dopo lustri incarcere — da quello di sicurezza diAncona alla prigione turca di KartalMaltepe da dove già fuggì in vistadel suo progetto — è riuscito a nondire mai una parola men che sicu-ra, attendibile, sui perché del suogesto e su chi gli armò la mano checolpì il Pontefice.

Il Papa e il killer turco. Due figu-re così lontane l’uno dall’altro, peruna volta sola riunite in un collo-quio ricordato da quella straordi-naria immagineche ritrae il pon-tefice vestito dibianco, sedutonel carcere di Re-bibbia, davantial suo attentato-re in maglione escarpe da ginna-stica. Ora cheGiovanni PaoloII sta morendo,Agca resta rin-chiuso con i fan-tasmi dei suoi pensieri e un misteroda svelare, se e quando vorrà farlo.

Ma quasi venticinque anni dicarcere spesso duro, fatto di isola-mento, pressioni, interrogatori,minacce da parte di agenti sovieti-ci e bulgari non lo hanno scalfito néportato a rivelare una qualche ve-rità credibile circa il suo piano effe-rato. La scorza del sicario, benchéprovata dall’internamento, è rima-sta intatta. E un’insondabile forzainteriore non lo ha mai abbando-

nato, confermando quel che gli in-vestigatori di mezzo mondo hannosempre detto di lui, con una puntadi ammirazione: «È un uomo fred-do, con un animo glaciale. Un tipodalla volontà ferrea».

Il miglior killer in circolazione inTurchia, alla fine degli anni Settan-

ta. E Agca di que-sto ne aveva datoa m p i a m e n t eprova con l’as-sassinio (perquesto finì den-tro una primavolta a KartalMaltepe, benchèabbia sempregiurato di aversolo fatto partedel commando)del direttore del

quotidiano Milliyet, Abdi Ipekci.A Malatya, la città d’origine dov’è

nato il 9 gennaio 1958, il giovane Alìsi era legato agli ambienti di estre-ma destra che con il sostegno deimilitari e dei servizi segreti portaro-no al colpo di stato del settembre1980. Si avvicinò quindi ai boss deiLupi grigi, gruppo emergente inTurchia, ad Alparslan Turkes, lea-der del partito, ma soprattutto aicapi che organizzavano i lavorisporchi e delicati. Come AbdullahCatli, interrogato più volte in Italiadurante le inchieste sull’attentato,e morto nel ‘97 in misterioso inci-dente stradale a Susurluk.

Dopo l’omicidio Ipekci, Agcaverrà condannato a morte. Ma il 25novembre 1979 riesce a evadere dalcarcere di massima sicurezza, aiu-tato molto probabilmente dai “lupigrigi”, in collaborazione con i mili-tari. All’uscita, Mehmet Ali, alla vi-gilia del viaggio in Turchia di Gio-vanni Paolo II,minaccia il pon-tefice di morte. IlPapa definiràquelle parole ilgesto «di un po-ver’uomo, unpovero ragaz-zo», affermandodi non temereper la sua vita.Ma l’attentatoreporterà a termi-ne il suo propo-sito, due anni più tardi. La motiva-zione della sentenza che lo con-danna all’ergastolo rileva che l’at-tentato «non fu opera di un mania-co, ma venne preparato da un’or-ganizzazione eversiva rimastanell’ombra».

Per la difesa Agca avrebbe inveceagito da solo, in preda a una schizo-frenia paranoica che gli faceva de-siderare di diventare un eroe. Nel1982 l’attentatore cambia versio-ne, comincia a collaborare e parladi una “pista bulgara” che colle-gherebbe l’attentato ai servizi se-greti di Sofia, legati alla mafia turcae all’organizzazione dei “lupi gri-

gi”. Viene individuato anche unpresunto complice in Oral Celik, ilcosiddetto “secondo uomo” diPiazza S. Pietro, il quale sarebbe in-tervenuto se il killer avesse fallito.Ma la sentenza del 1986 non riescea dimostrare l’esistenza del com-plotto, o la colpevolezza di bulgarie turchi.

Agca però non si ferma alla pistabulgara. Coinvolge il faccendiereFrancesco Pazienza, che lo quere-la. Parla di ufficiali dei servizi segre-ti americani che gli avrebbero chie-sto di chiamare in causa i Paesi del-l’Est Europa quali mandanti. Cercadi cavalcare il collegamento dellasua vicenda alla scomparsa di Ema-nuela Orlandi. Lega l’attentato aimisteri del terzo segreto di Fatima.Torna di nuovo sulla pista bulgara,alternando le dichiarazioni con-crete e le richieste di perdono ad at-teggiamenti «profetici» in cui so-stiene di essere un nuovo Messia, la

«reincarnazionedi Gesù Cristo».

Inaugura infi-ne una nuova pi-sta, quella vati-cana, alludendoa responsabilitàall’interno dellaSanta Sede nelc o n f e z i o n a -mento dell’at-tentato. Negli ul-timi anni chi rie-sce a visitarlo in

carcere lo trova fisicamente e psi-cologicamente in forma. Battaglie-ro. Ma triste.

Ali oggi ha i capelli bianchi e so-stiene di essere un altro uomo ri-spetto al killer degli Anni Ottanta.Confessa di essere stanco: «Questacondanna per me è diventata unapena di morte. Quel che mi ha lega-to a Wojtyla è un destino ineffabile,disegnatomi da Allah. Ma ora mi la-scino andare — chiede — la mia li-berazione sarà un bene per tutti».

GLI SPARI. DUE COLPI PARTONO DALLA PISTOLADELL’ATTENTATORE E COLPISCONO IL PAPA

IL FERIMENTO. GIOVANNI PAOLO II SI ACCASCIA DOPOESSERE STATO COLPITO DALLE PALLOTTOLE

LA PAURA. NONOSTANTE GLI INVITI ALLACALMA LA FOLLA È TERRORIZZATA

LA PREGHIERA. “IL SANTO PADRE ÈFERITO”, DICE UNA VOCE AL MICROFONO

LA CORSA. IL PONTEFICE ARRIVA IN OSPEDALECOSCIENTE, MA HA PERSO MOLTO SANGUE

Presidente degli Stati Uniti

RONALD REAGANPrego per la vitadel Ponteficeed esprimo il doloredel popolo americanoe il mio personaleper l’accaduto

‘‘Presidente dell’Unione sovietica

LEONID BRE NEVSono profondamenteindignato per il criminaleattentato che ha messoin grave pericolola vita di PapaGiovanni Paolo II

‘‘Missionaria a Calcutta

MADRE TERESAPreghiamo. È il migliormodo di testimoniareil nostro amoreper il Papa che ciha amato. Preghiamoper perdonare

‘‘

‘‘,,

LE PAROLE DI WOJTYLAQuello di Ali Agca èstato il gesto di unpover’uomo, di un

povero ragazzo

‘‘,,

LE PAROLE DEL KILLERQuel che mi ha legatoal Papa è un destino

ineffabile disegnatomida Allah

L’ATTENTATO

LE REAZIONI

IL PROTAGONISTA

ROMA — Il mistero avvolge ancoraquei colpi di pistola. Due mesi dopoil fatto, i giudici della prima corted’assise condannarono l’attentato-re all’ergastolo alla fine di un proces-so durato tre giorni. Agca rinunciòall’appello. A novembre la procuragenerale presso la corte d’appello af-fidava al giudice Ilario Martella unsupplemento d’istruttoria. La svoltaavvenne l’anno seguente, quando lagiornalista americana Claire Ster-ling pubblicò un’inchiesta sulla co-siddetta pista bulgara. L’attentatoera descritto come un complottodell’“Impero del male” per elimina-re il Papa polacco che guardava inquegli anni guardava oltrecortina. Il25 novembre 1982 la Digos arrestòSergei Antonov, caposcalo dellaBalkan Air. Altri bulgari e turchi ven-nero coinvolti nell’inchiesta. Moscaa questo punto sostiene che la pistabulgara è un’invenzione della Cia,che avrebbe invece responsabilità

nell’attentato. Nel 1986 la corte d’assise assolve i princi-pali imputati. Nel 1985 la procura avvia una terza in-chiesta, affidata ad Antonio Marini e Rosario Priore, chesi conclude con l’archiviazione. Poi gli ultimi sviluppicon le dichiarazioni di Agca che accusano il Vaticano ele richieste di rogatorie per acquisire nuovi documentiin Bulgaria.

Il killer Ali Agca

La magistratura non è riuscita a scoprire chi armò il killer

Tre inchieste, nessuna veritàil giallo della pista bulgara

le indagini

ROMA — Ali Agca non è stato il soload aver attentato alla vita di papaWojtyla. Dopo di lui, ci sono stati al-tri due tentativi di assassinio, en-trambi però andati a vuoto. Il primofu sventato esattamente un anno do-po il ferimento di Giovanni Paolo II inpiazza San Pietro, il 13 maggio 1982nel santuario di Fatima, in Portogal-lo, dove il Papa era andato per rin-graziare la Madonna per avergli sal-vato la vita. Don Joan Fernandez Kh-ron, 32 anni, un sacerdote spagnoloseguace del vescovo tradizionalistaMarcel Lefebvre tentò di aggredireWojtyla al grido di «Abbasso il Papa!Abbasso il Concilio Vaticano II». Fubloccato a pochi metri dal Pontefice:nella borsa aveva una baionetta lun-ga almeno quaranta centimetri.

Il secondo tentativo è avvenuto aManila, durante il secondo viaggiodel Papa nelle Filippine per la Gior-nata mondiale della gioventù che si ètenuta dall’11 al 21 gennaio del 1995.In quella occasione fu arrestato un terrorista islami-co accusato di aver progettato, insieme ad altri com-plici, un attentato all’aereo. Due anni dopo fu sven-tato un altro attentato, a Sarajevo, durante una visi-ta ufficiale in Bosnia-Erzegovina, il 12 e 13 aprile1997. La polizia trovò 23 mine sotto un ponte sul qua-le sarebbe dovuto passare il Papa.

Il Papa poco prima dell’attentato

Dopo il tentativo di Agca, due attacchi sventati in extremis

Da Fatima alle Filippineuna vita sempre in pericolo

gli allarmi

Il 27 dicembre del 1983 papa Wojtyla va atrovare Ali Agca nel carcere romano diRebibbia. «Quello che ci siamo detti - spiegòil Pontefice - è un segreto tra me e lui. Gli hoparlato come si parla ad un fratello che hoperdonato».

l’incontro a Rebibbia

GLI SPARISono le 17,17 del 13maggio 1981: il Papasta salutando la follaa San Pietro a bordodella sua autoscoperta. Nel cerchiobianco si vede lamano di Ali Agca cheimpugna la pistola,un attimo doposparerà contro ilPontefice

LA STORIADEL PAPA

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LA REPUBBLICA XISABATO 2 APRILE 2005X LA REPUBBLICA SABATO 2 APRILE 2005

La predicazione a favoredel valore della vita sempreminacciato dall’abortoe dall’eutanasia

La preoccupazioneecumenica tra apertureal dialogo e chiusuredi stampo “tridentino”

La sua sfida “anti-moderna”nella decadenza dell’Occidente

La via della canonizzazione“aperta al popolo di Dio”

GIUSEPPE ALBERIGO

NON sembra privo di significa-to il fatto che l’uso delle lette-

re encicliche si sia progressiva-mente rarefatto durante il ponti-ficato, soprattutto dopo la grandesvolta del 1989. Infatti, dopo le ot-to pubblicate nel primo decennio(1978-1989), nei successivi diecianni ne sono state pubblicate so-lo cinque, mentre l’ultimo quin-quennio ne ha vista una sola, laEcclesia de Eucharestia. Forse ilPapa ha perso progressivamentefiducia in questo strumento di co-municazione, nato in un climastorico-culturale ormai lontano esuperato dalla comunicazioneorale e visiva. La preferenza peruna comunicazione diretta e nonpaludata è stata sempre più do-minante nel pontificato e potreb-be essere l’avvio di una svolta de-stinata a ripercuotersi anche neipontificati seguenti.

Non è infatti irrilevante cheraccolte in un volume le quattor-dici encicliche pubblicate da Gio-vanni Paolo II occuperebbero ol-tre mille pagine: un complessoimponente e ormai anomalo nel-lo stile di comunicazione da par-te dei detentori di autorità. Unadocumentazione tanto più con-siderevole (e ingombrante), se visi aggiungono le numerose lette-re meno solenni e il testo delle mi-gliaia di discorsi. Non è facile rie-pilogare i messaggi che papaWojtyla ha affidato a queste occa-sioni ufficiali né fare un bilanciodell’impatto che essi hanno avu-to. Dalla Redemptor hominis, lalettera programmatica del ponti-ficato pubblicata all’inizio del1979, sino alla Ecclesia de Eucha-restiadell’aprile 2003 è riconosci-bile la continuità, ma anche unprogressivo stratificarsi di mani eorientamenti diversi, in questoimponente complesso di inse-gnamenti che si distende su unquarto di secolo.

Anzitutto due osservazioni.Tra il settembre 1981, quandoesce la Laborem exercens, eviden-temente preparata prima dell’at-tentato del maggio precedente, eil giugno 1985 — pubblicazionedella Slavorum apostoli — vi èuna lunga pausa nella serie delleencicliche. La follia di Alì Agca halasciato il segno anche qui. Da unaltro punto di vista è pure interes-sante notare come metà dellequattordici encicliche non sfuggaall’ipoteca celebrativa; ben settesono originate o sono collegate auna ricorrenza. Tuttavia la cesurapiù significativa, che ha segnato ilpontificato in tutti i suoi aspetti, èinnegabilmente costituita dallacaduta del muro di Berlino e dal-la fine dei regimi sovietici tra il1989 e il 1990.

La lettura retrospettiva di que-sta “biblioteca” mette in luce al-cuni temi ricorrenti, sui quali siconcentra l’attenzione del Papa e

Inoltre «l’anno giubilare deveristabilire l’eguaglianza tra tutti ifigli d’Israele venendo in aiuto aipiù bisognosi, in forza del princi-pio che solo a Dio spetta il domi-nio su tutto il creato e in partico-lare sulla terra che Egli ha donatoagli uomini, ma a tutti gli uomi-ni». Questa ammissione, attesa inun certo senso sin dall’inizio delXVI secolo e ripetutamente invo-cata durante il concilio VaticanoII, ha restituito un volto umano eevangelico alla chiesa cattolica.

È nota l’attenzione che l’opi-nione pubblica ha mostrato versoi maggiori temi sviluppati da Gio-vanni Paolo II. Ovviamente atten-zione non implica consenso, anzitalora il dissenso è stato esplicitoancorché sempre accompagnatodal riconoscimento dell’autore-volezza che il Papa si è guadagna-to. Può essere ritenuto singolareche Giovanni Paolo II, il qualemediante i suoi viaggi ha percor-so l’intero globo, abbia invececoncentrato le sue encicliche suproblemi tipici dell’Occidente,prescindendo dai conflitti di ci-viltà e di religioni sempre piùemergenti e che aveva profetica-mente colto promuovendo il fa-moso incontro delle religioni diAssisi del 27 ottobre 1986 e rinno-vato un decennio più tardi. Para-dossalmente l’impatto più fecon-do del pontificato wojtyliano si èmanifestato in ampie aree del suddel pianeta — il caso cubano ne èsolo un esempio — anche se inve-ce si deve costatare che i conti-nenti non euro-atlantici sono ri-masti ai margini del suo insegna-mento più solenne.

Una problematica che ha se-gnato la conclusione del pontifi-cato, ma non è stata oggetto di en-cicliche, è stata quella della pacee della guerra. È sorprendenteche l’impegno crescente di Gio-vanni Paolo II per la salvaguardiadella pace e per il rifiuto dellaguerra non abbia trovato postonegli atti più solenni del suo inse-gnamento, appunto le lettere en-cicliche. Il coinvolgimento delpapato, che ancora durante laprima guerra del Golfo e nel corsodel conflitto balcanico si era atte-stato sulla plausibilità degli “in-terventi umanitari”, nel 2002-2003 di fronte alla guerra “pre-ventiva” di potenze occidentalicontro l’Iraq ha abbandonatoquella ambigua frontiera per ri-prendere con vigore la posizionedi Giovanni XXIII (Pacem in terris,1963) di rifiuto della guerra comestrumento per regolare i dissensiinternazionali.

Il cuore del pontificato wojty-liano non sta nei suoi documenti,anche i più autorevoli, ma nellatestimonianza di un cristiano,imprigionato in un ruolo scomo-do e angusto, che ha accettato lasofferenza, non ha tentato di na-sconderla e ha lottato sino all’ul-timo per la vita.

che costituiscono l’ossatura delsuo messaggio scritto. Il lettore ècolpito dalla martellante concen-trazione sul Cristo, che ricorre intutte le encicliche, mentre — aesempio — l’attenzione alla chie-sa è molto minore, almeno sinoall’ultima del 2003. L’altro polodell’attenzione wojtyliana sonopiuttosto le società contempora-nee e soprattutto la cultura domi-nante nell’Occidente. In questadirezione il confronto è continuoe serrato e porta il segno della for-mazione filosofica del papa e del-la sua lunga esperienza polaccasotto un regime ostile e alternati-vo al Cristianesimo. Infatti Gio-vanni Paolo II assume come in-terlocutore l’uomo occidentalemostrando un atteggiamento diautentica simpatia per le sueistanze, ma anche una diffidenzainsuperabile verso la sua cultura,al punto da suscitare l’impressio-ne di un’attitudine antimoderna.Nel medesimo tempo, l’attenzio-ne alla fine/inizio del millennio ècontinua e sorprende di trovarlasin dall’enciclica programmaticadel marzo 1979. Solo più recente-mente essa si è coniugata conl’annuncio del Giubileo.

In questo confronto con la cul-tura occidentale un polo signifi-cativo è stato costituito dalla stre-nua rivendicazione dei dirittiumani, soprattutto sino allascomparsa dei “socialismi reali”.Sin dalla Laborem exercens del1981, ma poi ancora nella Sollici-tudo rei socialis e nella Centesi-mus annus, èevidente l’inte-resse del Papaper la proble-matica sociale,trattata nellap r o s p e t t i v adella dottrinasociale cattoli-ca della primametà del XX secolo.

Infatti egli nota che «mentrenel periodo che va dalla Rerumnovarum alla Quadragesimo an-no di Pio XI, l’insegnamento dellaChiesa si concentra soprattuttointorno alla giusta soluzione del-la cosiddetta questione operaianell’ambito delle singole nazioni,nella fase successiva esso allargal’orizzonte alle dimensioni delglobo». Con Giovanni Paolo II ri-corrono accenti antropologici emorali nuovi rispetto a quella tra-dizione. Veniva così propostauna visione della funzione della

chiesa nella società ispirata all’i-deale preconciliare della “cristia-nità”, ma dominata, piuttostoche da un modello politico, dapreoccupazioni antropologico-morali per «porgere al mondoun’umile e cordiale parola di spe-

ranza, non soloreligiosa, ma so-ciale altresì, nonsolo spirituale,ma anche terre-na, non solo per icredenti in Cri-sto, ma egual-mente per tutti».Erano d’altron-

de gli orientamenti che il vescovoWojtyla aveva energicamente so-stenuto durante i lavori del conci-lio Vaticano II (1962-1965).

È unanimemente riconosciutoil peso che Giovanni Paolo II haavuto nel determinare il crollo deiregimi del blocco sovietico e del-la ideologia che li ispirava. Si puòaggiungere che proprio un esitotanto radicale del mandato stori-co che aveva presieduto all’ele-zione del cardinale Wojtyla nelconclave del 1978 ha forse messoin difficoltà lo stesso Pontefice,privandolo del suo scopo origina-

rio. Certamente, anche comeconseguenza di questo squili-brio, l’insegnamento successivosi è spostato su temi essenzial-mente morali con la Veritatissplendor del 1993 e l’Evangeliumvitae del 1995. Il Papa si è impe-gnato in una risposta alla crisi eti-ca, aprendo una severa polemicacon la teologia morale post-con-ciliare responsabile — secondolui — di cedimenti nei confrontidell’“etica della coscienza” e po-nendo alcune questioni fonda-mentali della dottrina moraledella chiesa. È affermata la con-nessione tra fede e morale e l’im-prescindibilità di una morale tra-scendente, sino a sostenere che lapratica della verità morale pur ri-chiedere anche il martirio. Laconcentrazione sui problemi del-la morale personale appareesclusiva di attenzione ai grandinodi della morale collettiva: vio-lenza, guerra, armi, droghe. Conl’Evangelium vitae, che il Papa hapresentato come una meditazio-ne, egli denuncia una “crisi cultu-rale” dell’Occidente per sostene-re l’importanza della legge natu-rale e il valore della vita, denun-ciando le minacce ad essa: aborto

ed eutanasia. Infine l’ultima enci-clica Fides et ratio (1998) riepilo-ga e ribadisce questa impostazio-ne.

Un altro polo è costituito dallapreoccupazione ecumenica.L’ansia per l’unione dei cristianiemerge già nel-la Slavorumapostoli del1985, dedicataal centenariodella evangeliz-zazione degliSlavi, ritorna inun altro docu-mento impor-tante come la lettera apostolicaTertio millennio adveniente(1994) per culminare nella Utunum sint(1995). Giovanni PaoloII, richiamando il concilio Vatica-no II, reitera verso gli altri cristia-ni una richiesta di perdono e sot-tolinea che per la realizzazionedella via ecumenica verso l’unitàè necessaria la conversione delcuore, sia personale che comuni-taria.

Inoltre un più esteso bisogno dipenitenza è esigito dalla «consa-pevolezza di certe esclusioni cheferiscono la carità fraterna, di cer-

ti rifiuti a perdonare, di un certoorgoglio, di quel rinchiudersi nonevangelico nella condanna degli“altri”, di un disprezzo che derivada una malsana presunzione (daparte del cattolicesimo ufficia-le)». L’opinione pubblica è statacolpita dalla disponibilità a di-scutere il primato del papa e dalriconoscimento del valore ecu-menico del martirio. Anche l’at-tenzione alla complementaritàtra Roma e i protestanti è stata let-ta come una nuova e significativadisponibilità al dialogo. Malgra-do ciò il pontificato non ha modi-ficato apprezzabilmente il pro-prio stile di governo e ha preso ocondiviso iniziative che altreChiese cristiane hanno giudicatoostili. La distanza di Roma dalmondo “ortodosso” e soprattuttoda quello russo è consistente-mente aumentata: troppo spessoatti dell’amministrazione eccle-siastica, come la nomina di ve-scovi cattolici su territori russi,hanno contraddetto l’ansia di pa-pa Wojtyla per un riavvicinamen-to. Anche l’enciclica Ecclesia deEucharestia è fondamentalmen-te sorda alle istanze della tradi-zione riformata e segue una linearigorosamente “tridentina”, pre-scindendo dalle elaborazioni del-l’ultimo mezzo secolo e dai collo-qui tra cattolici e protestanti.

Non è possibile concluderequesta sommaria analisi senzadire dell’impegno crescente diGiovanni Paolo II per un ricono-scimento degli errori della Chie-

sa. Pur evitandodi parlare di«peccato dellachiesa», il Papaha scritto che «ègiusto che lachiesa si facciacarico con piùviva consape-volezza del pec-

cato dei suoi figli», per conclude-re che «la chiesa, pur essendosanta per la sua incorporazione aCristo, non si stanca di fare peni-tenza: essa riconosce sempre co-me propri, davanti a Dio e davan-ti agli uomini, i figli peccatori».Tra i peccati che richiedono mag-gior impegno di penitenza il papaha indicato «quelli che hannopregiudicato l’unità voluta da Dioper il suo popolo», come ad esem-pio «l’acquiescenza manifestata,specie in alcuni secoli, a metodi diintolleranza e persino di violenzanel servizio della verità».

ORAZIO LA ROCCA

CITTÀ DEL VATICANO — «È colpadello Spirito Santo se ho fatto tan-te canonizzazioni». Papa Wojtylaha sempre risposto così a chi ne-gli anni passati, anche nel suo en-tourage, qualche volta gli ha fattonotare che il gran numero di san-ti e beati - per l’esattezza 1828 -proclamati nel corso del suo pon-tificato non poteva essere capitodall’opinione pubblica. In effetti,la «politica» delle canonizzazionidei santi e dei beati è stata uno deipunti più qualificanti del lungopontificato di papa Wojtyla. Maanche uno degli aspetti maggior-mente dibattuti tra favorevoli econtrari, al punto che non pochiosservatori, parlando, appunto,dei 1345 beati e dei 483 santi (sali-ti a 488 dall’ottobre 2005) procla-mati da Giovanni Paolo II hannodefinito il Vaticano «fabbrica deisanti». Espressione poco elegantesulla quale il diretto interessato,papa Wojtyla, non si è mai soffer-mato e che i suoi più stretti colla-boratori hanno sempre respintoal mittente. In particolare il cardi-nale Josè Saraiva Martins, porto-ghese, prefetto della Congrega-zione per la cause dei santi, in so-stanza il “ministro” della SantaSede in materia di santità e, quin-di, il porporato che è stato uno deipiù stretti ed ascoltati collabora-tori di Giovanni Paolo II sul deli-cato tema delle canonizzazioni.

Il porporato in più occasioni hadifeso la «politica» wojtyliana inmateria di santi e beati. Ma le pa-role più chiare le pronuncia neldicembre del 2004 alla solennepresentazione del nuovo «Marti-rologium Romanum», il libro uffi-ciale dei santi che, in genere, sirinnova ogni 4-5 anni. «È vero -ammette Saraiva Martins - le1.828 canonizzazioni fatte daGiovanni Paolo II in oltre 26 annidi pontificato superano di granlunga tutti i beati e i santi procla-mati dai suoi predecessori». Maquesta grande attenzione al cultodei vecchi e nuovi santi, fa capireil prefetto, è uno dei tratti più ca-ratterizzanti di papa Wojtyla, il

quale ha voluto, semplicemente,indicare che le vie della santità so-no aperte a tutti, laici e chierici,donne e uomini, ricchi e poveri,ladri e prostitute, nobili e schiavi,martiri e confessori. Tutto il po-polo di Dio, con i suoi pregi ed isuoi difetti, con le sue forze e lesue debolezze, è un potenziale«serbatoio» di santità. Ecco quin-di che nel corso del suo pontifica-to papa Wojtyla eleva agli onoridegli altari figure note al grandepubblico come Giovanni XXIII,Padre Pio, Escrivà de Balaguer,fondatore dell’Opus Dei, MadreTeresa di Calcutta, figure eroichecome padre Massimiliano Kolbe,il frate francescano che su suascelta morì nel campo di concen-tramento di Auschwitz al posto di

un padre di famiglia. Ma anche fi-gure umili e sconosciute ai più co-me l’ex schiava africana Giusep-pina Bakhita, missionari (Ludovi-co Pavoni, Daniele Comboni),operatori di carità (Annibale DiFrancia, Giuseppe Moscati, Gio-vanni Calabria), martiri, vittimedel nazismo, del comunismo,eroi della fede, senza dimenticarele persone normali, i padri, le ma-dri, coppie di sposati che hannotestimoniato la fede nella loroquotidianità. Elencarli tutti èquasi impossibile. Basta solo ri-cordare che i santi ed i beati ele-vati agli onori degli altari duranteil pontificato dipapa Wojtyla han-no fatto parte di tutte le compo-nenti della società.

Il cardinale Martins, a chi, di

tanto in tanto, ha criticato la gran-de corsa alla santità voluta da Gio-vanni Paolo II parlando di «infla-zione di santi» o, peggio ancora,accusando il Vaticano di essereuna «fabbrica dei santi», obiettacon una mezza battuta, ma checontiene la vera risposta a chiavanza dubbi sull’exploit dellecanonizzazioni wojtyliane: «Il Pa-pa sembra che abbia replicato “ècolpa dello Spirito Santo” ». Inrealtà, il cardinale Saraiva Mar-tins preferisce parlare di rilanciodella «vocazione universale allasantità» fatta propria dal ConcilioVaticano II con la costituzioneapostolica «Sacrosantum Conci-lium» e rilanciata in grande stiledall’instancabile azione pastora-le di Giovanni Paolo II.

Ancora il prefetto della Con-gregazione per la Cause dei santi,per spiegare le ragioni della corsaalla santità che ha caratterizzato ilpontificato di papa Wojtyla, spes-so ama citare una lettera di Gior-gio La Pira sindaco di Firenze (delquale è in corso la causa di beati-ficazione in sede diocesana) risa-lente agli anni '50: «La santità delfuturo - scriveva La Pira - sarà so-prattutto santità di laici». Profeziache Saraiva Martins è solito com-mentare così: «Allora sembravauna prospettiva irrealistica, ades-so è sotto i nostri occhi».

Nella nuova edizione del «Mar-tirologium Romanum» edito dal-la Libreria Editrice Vaticana, figu-rano in ordine alfabetico circa 7mila nomi (in grande maggioran-za “martiri” o “confessori della fe-de”) e i sacerdoti sono tenuti a ri-cordarli nella celebrazione dellaMessa in appositi giorni del ca-lendario liturgico.

Nessuna “fabbrica dei santi”,avvertono i Vaticano, ma la sem-plice presa d’atto di un Papa, Gio-vanni Paolo II, che ha voluto indi-care che le vie della santità sonodoni che Dio, se vuole, elargisce atutti i suoi figli. «Tutti i processi dibeatificazione e di canonizzazio-ni - ha sempre controbattuto ilcardinale Saraiva Martins - sonostati celebrati sempre con seve-rità e rigore».

LE ENCICLICHE I SANTI

Il netto rifiuto dellaguerra dopo

l’invasione dell’Iraqe la difesa della pace

Il dissenso di partedell’opinione

pubblica sui diktatdi morale sessuale

REDEMPTOR HOMINIS4 marzo 1979E’ la prima enciclica diWojtyla. Il nuovo Papa virilancia i temi del Concilio,della libertà religiosa e deidiritti dell’uomo

DIVES MISERICORDIA30 novembre 1980.Dedicata a Dio Padremisericordioso. Il Papa vicondanna, inoltre, le armi atomiche e ledisuguaglianze sociali

LABOREM EXERCENS14 settembre 1981.Celebra i 90 anni dellaRerum Novarum, la primaenciclica sociale di LeoneXIII. Wojtyla vi scrive che “illavoro è fatto per l’uomo”

SLAVORUM APOSTOLI2 giugno 1985.In questa enciclica, il Papaparla dei santi Cirillo eMetodio, evangelizzatoridei popoli slavi, ponti traOriente e Occidente

DOMINUM ETVIVIFICANDEM 18 maggio 1986.Con l’enciclica Dominum etVivificandem, papa Wojtylaparla della Trinità e dello Spirito Santo

REDEMPTORIS MATER25 marzo 1987.La figura centrale di questaenciclica è la Madonna,madre di Gesù, e il suocammino di fede secondole Sacre Scritture

SOLLICITUDO REISOCIALIS 30 dicembre 1987Nella Sollicitudo ReiSocialis, Wojtyla torna adaffrontare i temi sociali e del lavoro

REDEMPTORIS MISSIO7 dicembre 1990.È l’enciclica sulle missioni esui missionari, basatasull’esempio della“missione del Redentore”,Gesù Cristo

CENTESIMUS ANNUS1° maggio 1991.Il Papa celebra i cento annidella Rerum Novarum conuna nuova enciclicadedicata ai temi del lavoro edel sociale

VERITATIS SPLENDOR6 agosto 1993.Wojtyla rilancia i temi dellamorale cattolica alla lucedelle verità evangeliche. In particolare, vi condanna la contraccezione

EVANGELIUM VITAE25 marzo 1995.Anche in questa enciclica, ilPapa parla di morale,ribadendo la condanna di contraccezione, aborto e eutanasia

UT UNUM SINT25 maggio 1995.È l’enciclicasull’ecumenismo. I cristiani,sostiene il Papa, devonoritornare all’unità, senza piùdivisioni

FIDES ET RATIO14 settembre 1998.Lo spirito dell’uomo,sostiene Wojtyla in questaenciclica, è retto dalla fedee dalla ragione, due “ali”non in contrapposizione

ECCLESIA DEEUCHARESTIA 17 aprile 2003.In Ecclesia De Eucharestia,rilancia l’eucarestia,centrale per la fededell’uomo

i testi

Alle critiche e alleperplessità il Papareplicava: “È colpadello Spirito santo”

La politica di Wojtylasu santi e beati ha

segnato in manieranetta il pontificato

Beatificata a tempo direcord il 10 ottobre 2003,Madre Teresa di Calcutta èuna delle figure che più haappassionato papa Wojtyla.Tra i due c’era anche unasincera amicizia

MADRE TERESA

Giovanni XXIII, il papaBuono, il papa del sorriso,ma soprattutto il Papa delConcilio Vaticano II,beatificato il 3 settembre2000, in pieno Giubileo del2000, insieme a Pio IX

PAPA GIOVANNI XXIII

Tra i milioni di devoti chePadre Pio ha in tutto ilmondo c’era anche papaWojtyla, che lo hacanonizzato il 16 giugno2002 davanti ad oltre 300mila persone. Un record

PADRE PIO

Anche per il beato Escrivàde Balaguer, padredell’Opus Dei, lasantificazione del 6 ottobre2002 è un trionfo ed ipellegrini accorsi per luisfiorano quota 300 mila.

ESCRIVA’

LA SCHEDA

LA STORIADEL PAPA

Page 7: IL PONTIFICATO CHE SEGNA UN’EPOCAdownload.repubblica.it/pdf/album_papa.pdfIL MONDO DEL PAPA POLACCO BERNARDO VALLI W KAROL OJTYLA ... Lolek, come lo chiama-vano gli amici, era uno

LA REPUBBLICA XIIISABATO 2 APRILE 2005XII LA REPUBBLICA SABATO 2 APRILE 2005

La svolta deiraduni nella cittàdi San FrancescoLE RELIGIONI

Nell’abbraccio con gli ebreitrionfa lo “spirito di Assisi”La preghiera come ponte con le altre confessioni

L’INTERVISTA

GIOVANNI FILORAMO

È PRESTO per tentare bilanci. Èindubbio, d’altro canto, che ilrapporto con le altre religioni ab-bia occupato un posto particola-re nell’agenda dei lavori del Papa.L’impegno missionario contrad-distingue in modo decisivo l’at-tuale pontificato fin dai suoi inizi.Esso si dispiega con maggior vi-gore nella fase centrale del venti-cinquennio, riassunto nel “ Guar-dare più ampiamente, andare allargo” dell’enciclica Dominum etvivificantemn (maggio 1986), cheinaugura una stagione di rilanciodella missione alle genti, primaverso i paesi dell’est e l’Europascristianizzata, poi verso il mon-do. È il periodo della visita alla Si-nagoga di Roma (13 aprile 1986),degli Ebrei “fratelli maggiori”,dell’incontro con le folle islami-che e della predica ai giovani diCasablanca, ma anche del viaggioin India. È il periodo, soprattutto,dell’incontro di Assisi del 1986,che sembra inaugurare una nuo-va stagione di dialogo della Chie-sa cattolica con le altre religioni.

Anche se negli ultimi anni, co-me confermano la visita allagrande Moschea degli Omayyadia Damasco del maggio 2001 o ilsecondo incontro di Assisi del 24gennaio 2002, il dialogo interreli-gioso sembra aver preso il postodella missione, in realtà, nell’otti-ca evangelizzatrice del Papa, nonc’è contrasto tra i due, il primo es-sendo al servizio della seconda.Attraverso il dialogo, infatti, laChiesa può giungere in contattoin modo irenico con tutti i mondireligiosi, manifestando il suo re-spiro “cattolico”, universale. Ilcosiddetto “spirito di Assisi” sin-tetizza una prospettiva secondocui, contro ogni sincretismo e de-riva relativistica, le religioni, a co-minciare dal cristianesimo (e an-cora prima dal cattolicesimo),non debbono perdere la loroidentità, ma vivere insieme in pa-ce, esprimendo la loro dimensio-ne religiosa, che emerge soprat-tutto nella preghiera.

Se si guarda ai documenti piùsignificativi del magistero papa-le, è possibile cogliere in essi unavigorosa coerenza. Nella celebredichiarazione Nostra aetate sullerelazioni della Chiesa cattolicacon le religioni non cristiane, ilConcilio Ecumenico Vaticano IIaveva insegnato, riprendendol’antica dottrina patristica dei“semi del Verbo” presenti e ope-ranti nelle varie religioni, che «laChiesa Cattolica nulla rigetta diquanto è vero e santo in queste re-ligioni. Essa considera con since-ro rispetto quel modo di agire e divivere, quei precetti e quelle dot-trine che, quantunque in moltipunti differiscano da quanto essacrede e propone, tuttavia non ra-ramente riflettono un raggio diquella verità che illumina tutti gliuomini», (NA, 2). Riprendendol’insegnamento conciliare, sindalla prima Lettera enciclica delsuo pontificato, la Redemptor ho-minis, il Papa volle richiamarequesta dottrina patristica, ricor-dandone il fondamento cristolo-gico secondo cui questi “semi diverità” presenti e operanti nellediverse tradizioni religiose sonoun riflesso dell’unico Verbo diDio “che illumina ogni uomo”. Aquesto fondamento cristologicoegli ne aggiunse uno pneumato-logico. Questa presenza, infatti,è, nel contempo, effetto dello Spi-rito di verità operante oltre i con-fini visibili del Corpo Mistico, Spi-rito «che soffia dove vuole» (RH, 6e 12). In seguito, soprattutto in vi-sta del Giubileo del 2000, egli haapprofondito questa dupliceazione divina nei confronti del-l’umanità. Ogni ricerca dello spi-rito umano in direzione della ve-rità e del bene, e in ultima analisidi Dio, è suscitata dallo Spiritosanto; e sarebbe proprio da que-sta apertura primordiale dell’uo-

mo nei confronti di Dio che na-scono, secondo questa tipicaprospettiva teologica, le diversereligioni.

Il tema è stato ripreso e ap-profondito nella enciclica Re-demptoris missio del 7 dicembre1990. Se per un verso, secondo latradizionale dottrina cristocen-trica, vi si ribadisce che il dialogointerreligioso «deve essere attua-to con la convinzione che la Chie-sa è la via ordinaria di salvezza eche solo essa possiede la pienez-za dei mezzi di salvezza» , per unaltro, vi si può cogliere una tesi ca-ratterizzata da un afflato più uni-

versalistico, secondo cui «la pre-senza e l’attività dello Spirito nontoccano solo gli individui, ma lasocietà e la storia, i popoli, le cul-ture e le religioni» (n. 28).

Nel corso degli anni ‘90, la lineapneumatologica si è fatta promo-trice di un modo diverso di rap-

portarsi alle altre religioni, cheporta al riconoscimento dellapossibilità di salvezza dei non cri-stiani in virtù della loro apparte-nenza alle rispettive tradizioni, enon già della loro fede cristianaimplicita o della loro retta co-scienza se non della loro inevita-

bile conversione. In questa dire-zione andava l’istruzione Dialo-go e annuncio del 19 maggio 1991,pubblicata dal Pontificio Consi-glio per il dialogo interreligioso edalla Congregazione per l’evan-gelizzazione dei popoli, là doveafferma che il mistero di salvezzaraggiunge i non cristiani per vieconosciute da Dio (e non dallaChiesa!) , grazie all’azione invisi-bile di uno Spirito identificato,non a caso, con lo Spirito di Cri-sto. In questa direzione si sonomossi alcuni tentativi coraggiosidi teologia delle religioni, comequello del gesuita J. Dupuis. La di-

chiarazione Dominus Jesus, delsettembre 2000, firmata dal card.Ratzinger, ha messo fine a questeaperture e condannato ogni ten-tativo di apertura.

C’è chi ha voluto interpretarequeste oscillazioni delle posizio-ni vaticane nei confronti delle al-tre religioni come la testimonian-za di una tensione esistente tra laconvinzione personale del Papa,più aperturista, e le necessità teo-logiche di difesa dell’istituzione.Ma un’altra lettura sembra piùplausibile. Nonostante l’atteg-giamento di reale apertura versogli altri mondi religiosi, il Papa hasempre saldamente incentrato efondato teologicamente il rap-porto della Chiesa cattolica con lealtre religioni sulla dimensioneredentiva e, dunque, cristologicadella fede cristiana: Gesù Cristorimane l’unico mediatore e salva-tore del genere umano. Il dialogo,in questa prospettiva, diventauna praeparatio evangelica, unapreparazione dell’annuncio delvangelo. A conferma, si può apri-re il celebre libro-intervista Var-care la soglia della speranza(1994), là dove parla dell’islamcome di una religione senza re-denzione o sottolinea la differen-za nell’impegno concreto delbuddismo, religione non incar-nata nella storia, dal cristianesi-mo. In questo modo, la posizioneteologica di Wojtyla verso le reli-gioni, al di là di discorsi e atteg-giamenti dal forte valore simboli-co e massmediatico, non sembraaver recato reali elementi di ap-profondimento rispetto alle di-chiarazioni conciliari, rimanen-do, come per altri punti del suomagistero, all’interno della tradi-zionale politica di accettare, innome del bene finale (la conver-sione o “sintesi”) anche “tesi” aprima vista difficilmente conci-liabili con la propria visione iero-cratica e fortemente cristocentri-ca. Non occorre essere profeti perprevedere che, in un’epoca in cuisempre più il futuro del cattolice-simo sarà affidato alle Chiese del-l’Africa, delle Americhe, dell’E-stremo oriente, una riaperturacoraggiosa del dossier teologicodel rapporto con le altre religionisi iscriverà tra gli impegni premi-nenti del nuovo pontefice.

LA GIORNATA DELLA PACE, ASSISI 1986Pregano assieme il patriarca della chiesaOrtodossa, il Papa e il Dalai Lama

ISRAELE, 2001Giovanni Paolo II accolto dalle bandiere israelianeal suo arrivo a Gerusalemme

DAMASCO, 2001Giovanni Paolo II lascia la moschea di Omayyad abordo della sua papa-mobile

CON IL DALAI LAMAIl Pontefice durante uno dei suoi numerosi incontricon il Dalai Lama

Il rabbino capo della comunità di Roma: l’emozione dell’incontro in Sinagoga

Toaff: “Un amico sinceroper me come un fratello”

ORAZIO LA ROCCA

CITTÀ DEL VATICANO — «Un since-ro amico degli ebrei che profetica-mente ci definì “Nostri fratelli mag-giori”. Giovanni Paolo II, il Papa cheha avuto il merito di aver fatto cadereil muro che da 2 mila anni aveva sepa-rato ebrei e cristiani. Un grande pon-tefice e, per me, quasi un fratello». Pa-pa Wojtyla nel ricordo del professorElio Toaff, rabbino capo emerito del-la comunità ebraica di Roma, il rabbi-no che ha avuto il merito storico diaver aperto le porte del Tempio Mag-giore sul lungotevere Cenci, il 13 apri-le 1986, a Giovanni Paolo II, il primoPapa - dopo Cristo e gli apostoli - a var-care la soglia di una Sinagoga. Senzadubbio uno dei momenti più alti di unpontificato appena concluso, ma an-che data tra le più significative dei 50anni vissuti dal Toaff alla testa dellaComunità ebraica romana.

Maestro, cosa resta di papaWojtyla?

«Resta tanto. Difficile indicareuna priorità. Ma per noi ebrei resteràil pontefice che più di ogni altro suopredecessore ha saputo dialogarecol mondo ebraico, a tutti i livelli.Sarà stato, forse, per le sue radici so-cio-culturali, per la sua formazione,per le sue amicizie - tra le quali ci so-no stati diversi ebrei -, ma ha fatto ve-ramente tanto per la reciproca co-noscenza ebraico-cristiana. Ma nonsi è fermato solo alle apparenze. Hachiesto sinceramente scusa per lecolpe storiche dei cristiani nelle per-secuzioni ebraiche, ha allacciato lerelazioni diplomatiche tra il Vatica-no e Israele, ha visitato la Sinagoga,ha visitato Israele, Gerusalemme,dove ha pregato al Muro del Pianto,è stato a Betlemme. Ha fatto vera-

mente tanto, e per questo dico chegrazie a lui che i rapporti tra ebrei ecristiani si sono ormai avviati versouna felice strada senza ritorno».

Karol Wojtyla ed Elio Toaff si sonoincontrati in diverse occasioni. Fin dalprimo incontro,l’8 febbraio 1981,tra i due scoppiòun feeling desti-nato a produrregrandi frutti, sia alivello personaleche istituzionale.Nell’86 si viderodue volte e, in en-trambi i casi, inoccasioni stori-che, il 13 aprilenella Sinagoga diRoma e il 27 otto-bre ad Assisi nelprimo incontrotra i capi delle piùimportanti religioni del mondo. In se-guito, Toaff fece visita al pontefice inuno dei suoi ricoveri al Gemelli, nel lu-glio del 1992, quando a Giovanni Pao-lo II fu tolto un cancro benigno.

Durante i suoi ricoveri, sono sta-te poche le personalità ricevute dalPapa nella sua stanza d’ospedale.

Come ricorda quel giorno?«Lo ricordo con piacere, anche

perché fu proprio Giovanni Paolo IIa chiedere al suo segretario di farmientrare. Quando col mio segretarioarrivammo alla porta, ci fu detto che

il Papa riposava eche non potevaricevere nessu-no. Io insistetti,invitando congarbo e decisio-ne il nostro inter-locutore di avvi-sarlo che allaporta c’era il rab-bino di Roma.Dopo pochi atti-mi, fummo am-messi alla suapresenza e mi ac-corsi che forseaveva ripreso inqualche modo

chi ci aveva fatto fare anticamera.Fu un incontro bellissimo, tra ami-ci. Gli feci gli auguri a nome della co-munità ebraica di Roma. Lui era fe-licissimo. Come lo eravamo tuttinoi. Gli chiesi fraternamente di ri-guardarsi, di non affaticarsi troppo.Ma, poi, come abbiamo visto, ha

continuato a lavorare fino alla fine».Ma l’incontro più importante fu,

certamente, quello nella Sinagogadi Roma. Dopo circa 20 anni, cosale è rimasto di quella visita?

«Stupore, emozione, incredulità.Ancora oggi mi chiedo perché sia ca-pitata proprio a me una cosa del ge-nere: era dai tempi di San Pietro cheil capo della comunità cristiana nonentrava in una Sinagoga. Un eventoimpensabile pochi anni prima. Nel1964, a Livorno quando morì miopadre il vescovo della città gli fece vi-sita, ma si fermò davanti alla portadella Sinagoga. Lo invitai ad entrare,ma lui garbatamente mi disse chenon poteva perché non gli era per-messo. Però durante il corteo fune-bre ordinò a tutte le chiese di suona-re le campane per il mio papà».

Quel 13 aprile 1986, Wojtyla fececrollare tutte le distanze che per 2mila anni avevano separato ebrei ecristiani...

«Quanta emozione provai quelpomeriggio. Alle ore 17 in punto io eil Papa entrammo nel Tempio Mag-giore seguiti da cardinali, vescovi,rabbini e i rappresentanti della Co-munità. Dopo l’abbraccio nel corti-le, camminammo insieme, uno ac-canto all’altro, in mezzo a due ali difolla. Ero felice, in quel momento,come tutti i presenti, anche se nonriuscii a dimenticare le sofferenzedei tempi del Ghetto. Quando poiparlò degli “ebrei, nostri fratellimaggiori”, ricordo che molti si com-mossero. Parole bellissime, vere,pronunciate con fermezza e convin-zione, destinate a cambiare la storiadei rapporti tra ebrei e cristiani. Co-me in effetti è avvenuto in seguito.Per questo ora non possiamo nondirgli grazie».

LA VISITAEra dai tempidi San Pietroche il capodella Chiesanon entrava inuna Sinagoga

IN OSPEDALEUn incontrobellissimo, traamici, gli fecigli auguri elui ne fufelicissimo

Il Papa con il rabbino Toaff

La visita alla Sinagoga di Roma el’incontro con le folle islamiche a

Casablanca, ma anche il viaggio inIndia sono le tappe fondamentali

IL MURO DEL PIANTO

Il Papa davanti al Muro delpianto durante la sua visitain Israele nel 2001. Qui a sinistra il Fituch,il messaggio preghieradella tradizione ebraica,lasciato dal Pontefice: sulbigliettino c’è scritta laparola “perdono”

davanti al muro del pianto

LA STORIADEL PAPA

Ma negò sempre la libertà di decidere sul proprio corpo

Genio e dignitàla Madonna

“prima femminista”MIRIAM MAFAI

IL RAPPORTO di PapaWojtyla con le donne è

stato un rapporto aspro,contraddittorio, spessodrammatico. Mai nessunPontefice prima di lui, avevasaputo ringraziare le donneper la loro esistenza e il loro“genio” e, insieme, chiedereloro perdono per le respon-sabilità della Chiesa nell’a-verne reso difficile il cam-mino. «Il mio grazie alledonne», scriveva nella Let-tera resa pubblica alla vigi-lia della Conferenza di Pe-chino del 1995, «si fa pertan-to appello accorato perchéda parte di tutti, e in partico-lare degli stati e delle istitu-zioni internazionali si facciaquanto necessario per resti-tuire alle donne il pieno ri-spetto della loro dignità edel proprio ruolo». A patto,potremmo aggiungere, chenon venisse loro consentitala libertà di decidere delproprio corpo, di deciderese e quando essere madri.Questo è il limite che non sipuò valicare.

Un limite e una forza. Per-ché proprio qui, nella capa-cità e possibilità di dare la vi-ta, risiede secondo il Ponte-fice il nucleo forte della suaidentità, il suo “carisma”,esaltato nella “Mulieris di-gnitatem” che suscitò at-tenzione e, in qualche misu-ra persino consenso anchein ambientif e m m i n i -sti, nono-stante il te-nace rifiutodella Chie-sa di am-mettere ledonne als a c e r d o -zio. Sullaquestionefemminilei n f a t t iWojtyla haspostato completamentel’asse tradizionale del di-battito che ha alimentatoper oltre un secolo il movi-mento di emancipazione: ladonna ha un valore insosti-tuibile non in quanto ugua-le all’uomo e quindi deglistessi diritti (anche all’in-terno della Chiesa), ma invirtù della sua differenza.Una differenza e un “genio”che risiede proprio nella suacapacità di procreare, “al-l’origine della specifica sen-sibilità femminile nei con-fronti della vita e della cre-scita umana”. La Madonnadiventa così in un discorsodi Woityla del 1995 la “pri-ma femminista” della storiaumana, proprio perché por-tatrice dei più alti valori del-la maternità.

Eppure, Wojtyla non ap-partiene a quel pensierosessuofobico e misoginoche nei secoli ha contraddi-stinto la posizione dellaChiesa Cattolica. Non gliappartiene la massima di S.Geronimo che vuole «nien-te di più immondo che ama-re la propria moglie comeun’amante». Al contrario.Egli riconosce e valorizzal’importanza dei rapportisessuali, ne parla libera-mente. Ai ragazzi, di cui sioccupava da vescovo ausi-liario di Cracovia, insegna-va che «la frigidità talvolta èconseguenza dell’egoismodell’uomo che, cercando lapropria soddisfazione,spesso in maniera brutale,non sa e non vuole capire idesideri soggettivi delladonna né le leggi oggettivedel processo sessuale che sisvolge in lei». Ma — ecco dinuovo il limite che non sipuò valicare — a patto che larelazione sessuale si svolganell’ambito del matrimo-nio, e abbia come suo fine laprocreazione.

In questa materia Wojtylafu sempre inflessibile. Nel

corso della preparazionedella Humane Vitae, la ap-posita commissione istitui-ta da Paolo VI, aveva presen-tato una relazione in cui siaffermava che l’opposizio-ne della Chiesa alla contrac-cezione «non poteva esseresostenuta con ragionevoliargomenti» e che la praticadel controllo delle nascitenon era «intrinsecamenteun male». Lo stesso Paolo VIera incerto, non contrario afar proprio quell’orienta-mento, ma alla fine cedettealla pressione di quanti, tracui Ottaviani e Wojtyla,chiedevano che il divieto al-la contraccezione venisseconfermato e rafforzato. Ecosì fu. «Abbiamo aiutato ilPapa…» si compiacque ilcardinale Wojtyla alla pro-mulgazione dell’enciclica.

La condanna della con-traccezione e dell’aborto hacontrassegnato il suo pen-siero che si è manifestatocon sempre maggiore, terri-bile severità fino a negare ildiritto di legiferare sullamateria ai Parlamenti libe-ramente eletti e a parlaredell’aborto come del nuovomoderno Olocausto. Maproprio su questo tema ledonne, anche e soprattuttoquelle cattoliche, hanno ri-fiutato il suo insegnamento.Persino le donne polaccheche, dopo la fine del regimecomunista, si ribellarono inmassa (chiedendo anche

l’aiuto deimovimentifemminilioccidenta-li) contro lanuova leg-ge ispiratadai vescovicon la qua-le, in Polo-nia, si vole-va metterefuori leggel ’ i n t e r r u -zione di

gravidanza. Il viaggio diWojtyla in Polonia del 1991fu segnato da questa dispe-rata amarezza: il comuni-smo era stato sconfitto, masulle sue ceneri crescevauna società che non avevapiù nulla di cristiano. «Nonabbiamo nessun bisogno dientrare in Europa», gridònel suo discorso a Wlo-clawek. «Quali dovrebberoessere i criteri dell’europei-smo? Libertà? Che tipo di li-bertà? La libertà di toglierela vita a un bambino non an-cora nato?». La folla dei cre-denti, tra cui moltissimedonne, ascoltava ammuto-lita questo Pontefice cheaveva adottato i toni di Sa-vonarola.

Un rapporto aspro, con-traddittorio, spesso dram-matico. Può sembrare para-dossale, ma proprio i giova-ni e le donne si sono dimo-strati i più sensibili al suo fa-scino, anche quando non nehanno voluto o potuto se-guire tutti gli insegnamenti.Lo hanno amato quando liha chiamati a operare per ladifesa dei più poveri, deiperseguitati, a manifestarecontro la guerra e la inevita-bile strage degli innocenti.Hanno sfilato anche in suonome per le nostre strade eanche in suo nome hannooccupato le nostre piazzeinnalzando le bandiere del-la pace. La lunga malattiache ne ha reso incerti i mo-vimenti e impacciata la lin-gua ha cancellato l’immagi-ne della bellezza vigorosacon la quale si era presenta-to ai fedeli nei primissimianni del Pontificato (non siera mai visto prima di lui unPapa in veste di sciatore…),ma ha esaltato la tenerezzacon la quale a lui si sono ri-volte fino alla fine folle dicredenti e non credenti. UnPapa amato come pochi an-che da coloro che non han-no voluto, o potuto seguirnegli insegnamenti.

Mai nessun Papa avevameglio saputo chiedere

perdono per lediscriminazioni subite,ma sempre con alcuni

limiti invalicabili

le donne

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LA REPUBBLICA XVSABATO 2 APRILE 2005XIV LA REPUBBLICA SABATO 2 APRILE 2005

Ha cambiato il modo di fareil Papa: da rappresentatoa rappresentante

Ha mutato anche illinguaggio, diventandoun’icona popolareI VIAGGI

to Jose Martì dell’Avanaquando l’aereo del Papa at-terrò e l’ultima isola comuni-sta accolse l’uomo che avevapicconato il Muro di Berlino equel che c’era dietro. I setti-manali americani avevanoannunciato quell’abbracciotra Wojtyla e Castro comel’(ennesimo) “incontro delsecolo”. Sacerdoti esuli cheavevano celebrato l’ultimamessa a Cuba nel ’64 prima difuggire su una barca per il Ve-

nezuela erano rientrati e po-terono officiare in ambienticatacombali rispolverati perl’occasione. Giovanni PaoloII, già fragile, già allora cosìimprobabile a una vista ravvi-cinata, era trascinato da quel-la sorta di inedita avidità dellospirito e dall’onda popolare.Dall’Avana a Santiago a SantaClara. Eclissò parzialmente leliturgie di regime, sovrapposela sua figura dolente perfinoall’immagine per sempre gio-

vane del Che, vivificata attra-verso riti para-religiosi in unincongruo mausoleo. Proprioin quella città, in un camposportivo scalcinato, con lespalle alle reliquie della Rivo-luzione, strinse con la genteun abbraccio fatto di traspor-to, curiosità e inusuale alle-gria che doveva essere in qual-che modo terminale. Era la fi-ne di un secolo e di un senso.Sulla strada del ritorno i te-lefoni di tutti i reporter squil-

larono. L’(ennesimo) incon-tro del secolo era oscurato daqualcosa di più ingombrante.Alla Casa Bianca era scoppia-to lo scandalo Monica Lewin-sky. Nella notte decine di gior-nalisti corsero all’aeroporto elasciarono l’Avana per andarea seguire il nuovo evento-co-pertina. La caduta delle ideo-logie lasciava un mondo piùvacuo fin dalla prima pagina.Le «trasformazioni audaci» ele «riforme urgenti» erano già

tutte alle spalle, in quei 19 an-ni trascorsi fra il bacio alla ter-ra di Santo Domingo e l’ab-braccio di Stato in Piazza del-la Rivoluzione. Affacciandosisul palco, davanti a un mondodisattento, Papa Wojtyla e Fi-del Castro erano, a tutti gli ef-fetti, due sopravvissuti. C’èuna foto memorabile che li ri-trae alla vigilia di quella ceri-monia. Sono in uno dei palaz-zi governativi. Camminano inun corridoio. Stanno di spalle

e si sorreggono a vicenda, po-teri extratemporali condan-nati a durare quanto l’esisten-za stessa. Dalle finestre sulcorridoio spiove luce, sul fon-do attende un’oscurità che è ildestino di ogni tragitto suquesta Terra. Benché sia gira-to, è evidente che Wojtyla staguardando in quel buio e, co-me già al primo viaggio, l’ani-ma fuori dalle regole che è inlui cerca un pretesto qualsiasiper arrivare in ritardo.

GABRIELE ROMAGNOLI

NELLA hall di FiumicinoGiulio Andreotti non riu-

sciva a evitare di guardare l’o-rologio con impazienza. Il suogoverno stava cadendo per-ché la Democrazia Cristianaaveva riscoperto la pregiudi-

ziale anti-co-munista, do-veva tentareestreme me-diazioni e glitoccava star lìad aspettare ilPapa che ave-va deciso diprendere l’ae-reo. Erano le 7e 44 della mat-tina del 25gennaio 1979:Gromiko eravenuto in Ita-lia per litigarecon Berlin-

guer, Komeini aveva annun-ciato che sarebbe partito daParigi per tornare a Teheran eriprendersela, le Brigate Ros-se giustificavano in un comu-nicato l’ingiustificabile omi-cidio di Guido Rossa. E Gio-vanni Paolo II era in ritardo

per il cielo. IlDC-10 dell’A-litalia riverni-ciato con le in-segne pontifi-cie era fermosulla pista, ildecollo eraprevisto per le8, destinazio-ne Santo Do-mingo, metasuccessiva: ilM e s s i c o .«Sarà il primodi una lungaserie di viag-gi», aveva an-

nunciato sorridendo il giornoprima Karol Wojtyla. Prima diPaolo VI nessun Papa avevapreso un aereo o soltanto la-sciato l’Italia. Papa Montini loaveva fatto 9 volte. «Questopolacco vorrà battere il re-cord?», si chiese, all’annun-

cio, qualchescettico cardi-nale.

Molto dipiù, volevas e m p l i c e -mente cam-biare il mododi fare il pon-tefice: da rap-presentazio-ne a rappre-s e n t a n t e .Centoquattroviaggi , 129Stati, 620 lo-calità, un mi-lione di chilo-

metri (o 29 volte il giro delmondo o tre volte la spedizio-ne dalla Terra alla Luna). Due-milaquattrocento discorsi,perfino davanti a un’assem-blea islamica (Casablanca,1985). Centotrè volte accla-mato (anche dai musulmani,a Beirut nel 1997) una sola

c o n t e s t a t o(dai sandini-sti, in Nicara-gua, nel 1983).Cominciò inritardo, mapoi non persetempo. Alle 7 e45 finalmenteil corteo bian-covestito ap-parve nellahall dove An-dreotti facevada mezz’ora ilguardalinee aitempi supple-mentari. Per

sovraccarico di scoramento ilPapa si fermò a salutare ungruppo di turisti accalcati ol-tre le transenne, increduli che

lui partisse, come loro, perqualche destinazione carai-bica in una mattina d’inver-no, a cercare un altro mondo.«Vado come pellegrino di fe-de, messaggero del Vangelo edevoto della Madonna diGuadalupe», aveva detto. Po-teva sembrare una dichiara-zione ordinaria, contenevaun progetto.

Già con le parole scendevaun gradino, si metteva tra lagente e ne condivideva le pas-sioni. Non evocava principiteologici ma una vergine po-polare, apparsa a un indioveggente per dirgli di chiede-re al vescovo un tempio nelrione dei poveri, la “moreni-ta” dei campesinos, «NostraSignora dei diseredati», adot-

tata, anche, da Emiliano Za-pata. Il velivolo sulla pista sichiamava, opportunamente,Dante Alighieri, annuncian-do che spazi fin lì mai toccatisarebbero stati raggiunti. At-terrò a Santo Domingo alle 13e 30 locali. Lo attendevano uncapo di Stato (il presidenteAntonio Guzman), tutti i pre-lati del Sudamerica, ma so-prattutto 250mila persone ri-chiamate dalla curiosità e dalsenso innato del popolo per ilpassaggio della storia e di chila fa.

Giovanni Paolo II, ancoracapace di slanci fisici, si chinò,per la prima di innumerevolivolte, a baciare la terra. Sirialzò, disse che era lì per por-tare il messaggio della Chiesa

per “un mondo più giusto eumano”. La folla applaudìcon convinzione superiore aquella di ministri e cardinali.L’intero viaggio in Messico,durato una settimana, fu sim-bolico e rivelatore. I potenti egli intellettuali lo attendeva-no con diffidenza. La gente, abraccia aperte. Appena fuchiaro che quel Papa era un’i-cona popolare, tutti saltaronosul carro. I giornali messicanibandirono gli editoriali giaco-bini in favore di commentiestasiati. Le grandi aziendecomprarono spazi pubblici-tari per celebrare la visita. Ipolitici e i cardinali s’inchina-rono. Il pubblico al seguito furegistrato in cinque milioni.«Più che per le Olimpiadi»,

Il record del pellegrino della fedeDa Santo Domingo a Lourdes le 104 missioni all’estero

Nel maggio del 1980 il Papava in Africa, ad Abidjan inCosta d’Avorio. Qui sopraassiste ad una danza tribale

In Africa 1980

Il 2 maggio il Papa parte peruna lunga visita pastorale inEstremo Oriente. Qui è inNuova Guinea

In Nuova Guinea, 1984

Il 21 gennaio 1998 inizia lastorica visita di GiovanniPaolo II a Cuba, dove diràmessa sotto il ritratto del Che

A Cuba, 1998

A Lourdes, il 15 agosto, ilPapa affaticato durante lacerimonia dice: “Aiutatemi”.È il suo ultimo viaggio

A Lourdes, 2004

Già in quel suo primoviaggio in Sudamerica

scese un gradino: simise tra la folla

A Cuba, nel 1998,l’incontro con Castrochiude idealmente il

suo percorso

In Francia, nell’agostodel 2004, apparve

sofferente, umano giàfuori dal tempo

LE TAPPE

scrissero. Lo raccolseandando nei quartierioperai, nei villaggi in-digeni. Lo esaltò par-lando della necessitàdi «trasformazioniaudaci» e «riforme ur-genti». Mentre lui sali-va acclamato al san-tuario di una madon-nina che gli ricordavaquella di Czesto-chowa, il pci tornava

all’opposizione, Gromiko aMosca, Rockefeller all’al-dilà. Ci sarebbe stato ancoraAndreotti ad accoglierlo alrientro da quel viaggio, chefu il primo ma affermò il pas-so per gli altri 103.

L’ultimo, per la storia, ri-sulterà quello a Lourdes,nell’agosto del 2004: soffe-rente, umano, già fuori dalsuo tempo. Per una diversastoria che non tiene contodelle date ma dei significatil’ultimo vero viaggio di Gio-vanni Paolo II avvenne allafine di gennaio del 1998. Lameta era Cuba. L’ospite Fi-del Castro, che contraccam-biava un invito. Diciannoveanni dopo la prima spedi-zione in America Latina, ilpotere aveva imparato leistruzioni per l’uso delle vi-site del pontefice. Aggiun-geva il suo preventivo entu-siasmo a quello delle masse,patteggiava mutuo ricono-scimento. Eravamo centi-naia di reporter all’aeropor-

LA STORIADEL PAPA

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XVI LA REPUBBLICA SABATO 2 APRILE 2005

IL CORAGGIO

Questo coraggioso figliodella Polonia ispira ormaitutta l’umanità. Il mondo

è veramente benedetto, perchéin un momento di confusione

e grande pericolo,c’è tra noi un dirigente spirituale

di grande significato storicoRONALD REAGAN

presidente Usasettembre 1984

L’UMANITÀMi ha colpito la sua umanità e lasua grande spiritualità. Mi disse:

“Io non critico solo ilcomunismo, ma riconosco anche

gli errori del capitalismo chetiene in poco conto l’uomocomune, l’uomo semplice”

Ha sempre difeso l’umanità tuttaMICHAIL GORBACIOV

presidente Urssluglio 1990

LA SPIRITUALITÀIn tutti i colloqui con Giovanni

Paolo II parliamo di valori umanie di spiritualità perché vogliamo

promuovere l’incontro tra diversetradizioni religiose. Il Papa hadato un grande contributo allapace e all’armonia nel mondo

a dispetto dei tempiDALAI LAMA

guida spirituale del BuddismoOttobre 1999

LA COMMOZIONEAmmiro il Papa, una delle

personalità più brillanti che laChiesa ha avuto negli ultimi

secoli. Mi sono scopertocommosso ed emozionato: ho

osservato un uomo nobile, buono,gentile. Può risolvere i problemi

del mondo molto più di noiFIDEL CASTRO

presidente Cubanovembre 1996

IL SOSTEGNOGiovanni Paolo II ha sostenuto

i palestinesi sin dall’inizioÈ sempre stato un punto

di riferimento per noi, cristianied ebrei. In Vaticano gli dissiche ero il secondo palestinese

ad andare lì. Mi chiese chi fosseil primo. Risposi: San Pietro

YASSER ARAFATpresidente Anp

marzo 2000

UNA RONDINEPresidente, vuole venire con mea sciare sull’Adamello? Il Papa

mi chiamò di venerdì lasciandomiperplesso. Ma accettai l’invito

Lui sciava, io fumavo beatola pipa. E al termine gli dissi:

“Santità, Lei è un vero maestro,scia come una rondine”

SANDRO PERTINIpresidente italiano

Adamello, luglio 1984

LA MODERNITÀCon il Pontefice si è stabilitoun nuovo rapporto, secondouna volontà d’eguaglianza,collaborazione, e di dialogo

Questo Papa è più avantidella sua Chiesa. Con il viaggioin Israele ha spazzato via tanti

pregiudiziELIO TOAFF

grande rabbino di Romamarzo 1998

LA GIUSTIZIA“Vogliamo giustizia, Papa

fratello ribellati al tiranno” ...Lochiedono gli oppositori al regime

di Pinochet in Cile, durantela visita di Giovanni Paolo IIIl generale non commenteràl’incontro, che sarà definitodiplomaticamente “cortese”

OPPOSITORI CILENISantiago del Cile

Aprile 1987

LA FEDEUn uomo con una grandissima

fede, che ha sofferto tanto, senzarinunciare mai a interessarsi

di tutto. Per noi polacchi è statouna guida quando chiedevamo ilrispetto dei diritti dell’uomo, deldiritto alla fede, alla sua libera

proclamazione e alla confessioneLECH WALESA

sindacalista e presidente polacco1981

LA GIOIA

“Viva il Papa, Gesù ci ama,il Papa ci ama: siamo la Chiesa

di domani”. Due milioni digiovani per il Giubileo invadonoRoma in una festa di fede e gioia.

“Qui con lui sentiamo chenessuno annienterà la Chiesa,

nonostante le persecuzioniI GIOVANI

Giubileo Tor Vergata-RomaAgosto 2000

IL PAPA AFFACCIATO ALLA FINESTRA DEI SUOI APPARTAMENTI VATICANI