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IL PIANO DEL LAVORO DELLA CAMERA DEL LAVORO DI PESARO DEL 1950 ANALISI E COMPARAZIONE CON L ATTUALITÀ di Simone Grossi

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IL PIANO DEL LAVORO DELLA

CAMERA DEL LAVORO DI PESARO DEL 1950

ANALISI E COMPARAZIONE CON L’ATTUALITÀ

di

Simone Grossi

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Sommario

Introduzione ........................................................................................................................3

1945-1949: anni difficili .....................................................................................................4

Un piano per rinascere .......................................................................................................8

Cosa accadde dopo...........................................................................................................14

Oggi come allora ..............................................................................................................16

I volti della crisi ................................................................................................................18

Un Piano del Lavoro oggi ................................................................................................20

Conclusioni .......................................................................................................................22

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Introduzione La crisi economico finanziaria che sta investendo l’Italia e la nostra Provincia sembra

non volersi placare, la disoccupazione ha ormai raggiunto livelli drammatici e l’intero

sistema economico è arrivato ad un punto di non ritorno.

Nella seconda parte di questo lavoro si cercherà di analizzare nei dettagli l’attuale

situazione della Provincia di Pesaro e Urbino sia dal punto di vista occupazionale che

economico ma per cercare di capire come affrontare tale momento faremo prima un

passo indietro di circa 60 anni.

Torneremo agli anni ’50 per analizzare la crisi che aveva colpito la nostra Provincia in

quegli anni e vedremo in quale modo la CGIL di allora era riuscita a trovare una

soluzione che ha rappresentato un punto di rottura ed un’alternativa alle fragili certezze

economiche di quel periodo. Soluzione che prende il nome di Piano del lavoro per la

rinascita economica della Provincia di Pesaro-Urbino.

Si cercherà di esaminarne, sinteticamente, i punti fondamentali e trarre da essi riflessioni

che possano essere di aiuto nell’analisi della situazione attuale.

Analisi della situazione provinciale che verrà effettuata anche sulla base della mia

esperienza lavorativa nell’Ufficio Vertenze della CGIL di Pesaro, mai come oggi

efficace osservatorio della crisi e della disoccupazione.

Infine, lecitamente ma senza la pretesa di voler trovare la soluzione a tutti i mali, ci si

chiederà che fare, trovando ispirazione ed aiuto dal pensiero attualissimo di un

importante figura politica degli anni ’70-’80 e dalle teorie di un’economista francese

contemporaneo.

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1945-1949: anni difficili La situazione [economica della provincia] diviene sempre più grave ed insostenibile. Si

ha l'impressione di qualcosa che cerca di contenersi in uno spazio angusto ma che

anziché diminuire, aumenta di volume. La massa operaia vive alla giornata; lieta di

averne trascorsa una con l'indispensabile pasto ma pregna d'incubo per l'incertezza del

domani [...] La massa è in continuo orgasmo, agitata, incerta, ma minacciosa. E' la

fame, questa orribile consigliera che si delinea spaventosamente, irresistibilmente.

Come porvi riparo? Come arrestare questa orrenda valanga?

Queste poche righe tratte dalla Relazione mensile dell’agosto 1945 dell’Ufficio

Provinciale del Lavoro di Pesaro descrivono perfettamente le difficoltà della società di

quell’epoca caratterizzata da una precaria situazione abitativa e igienica, da una carenza

di beni di prima necessità e da un aumento crescente della disoccupazione.

Analizzando i dati ufficiali pubblicati nelle periodiche relazioni dell’Ufficio provinciale

del lavoro si arriva a stimare, in quell’anno, un numero complessivo di disoccupati della

provincia intorno alle 12-13.000 unità1.

Numero che aumenterà sensibilmente nel corso degli anni successivi fino a raggiungere

la drammatica cifra di 20.000 disoccupati nel 19502.

L’unica valvola di sfogo che ha in qualche modo limitato il fenomeno disoccupazionale

è rappresentata dal processo migratorio, in quegli anni infatti migliaia di lavoratori della

provincia pesarese si recarono all’estero, principalmente per lavorare come minatori in

Belgio. L’emigrazione, pertanto, ha rappresentato un argine ed in qualche modo una

delle poche soluzioni politiche alla drammaticità della situazione sociale di quell’epoca.

Nella Relazione provvisoria del mese di aprile 1948 dell’UpDL l’allora direttore Filippo

Bossi così scrive: Questo ufficio non vede come sia possibile eliminare del tutto la

disoccupazione fra la grande massa amorfa della manovalanza generica, altrimenti che

favorendo al massimo l’emigrazione all’estero e istituendo contemporaneamente

numerosi corsi professionali di specializzazione e qualificazione.

1 Cfr. Lotte sociali, sindacato e identità dal dopoguerra alla grande trasformazione di Massimo Lodovici in Lavoro, Diritti, Memoria La Camera del Lavoro della Provincia di Pesaro e Urbino dalle origini ai primi anni ’70. 2 Pag. 7 Piano del lavoro Per la rinascita economica della Provincia di Pesaro-Urbino.

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Il fenomeno migratorio, però, se da un lato ha rappresentato una valvola di sfogo

dall’altro non ha potuto certo rappresentare la soluzione al problema della crescente

disoccupazione.

Volendo sintetizzare possono aiutare le parole di chi quell’epoca e quei problemi li ha

vissuti in prima persona: Un paese distrutto, ridotto ad un cumulo di macerie.

(conseguenza della seconda guerra mondiale, NdA) Ecco di fronte a questa grave

situazione avevamo un’industria molto limitata, ma già distrutta anche quella. Affianco

l’agricoltura che si basava sul contratto mezzadrile e a fianco avevamo un esercito di

disoccupati affamati in cerca di lavoro e il lavoro non c’era.3

Sono le parole rilasciate da Elmo Del Bianco, figura storica del Sindacato pesarese, (fu

cosegretario della Camera del Lavoro Provinciale di Pesaro nel 1951) in un’intervista

recente, parole e testimonianza che, meglio di qualsiasi testo storico, possono farci

capire in che condizioni si trovava ad operare il Sindacato in quegli anni.

Dalla loro analisi si evince che il mondo del lavoro di quell’epoca era caratterizzato,

oltre che dalla drammatica mancanza di occupazione, da una società per lo più agricola

legata ancora alla mezzadria, e da uno scarsissimo livello di industrializzazione.

L’unica vera industria di quell’epoca era forse la fonderia Montecatini che occupava

circa 50.000 dipendenti in tutta Italia e che aveva acquisito la concessione di

sfruttamento di diverse miniere di zolfo, la più importante delle quali fu quella di

Perticara che risultò essere la miniera di zolfo più grande d'Europa con i suoi circa 100

Km di gallerie distribuite su 9 livelli di coltivazione per un'estensione di 7,5 Km quadrati

e con l’impiego di circa 1600 dipendenti tra cantieri sotterranei, esterni e uffici.

Gli anni del dopoguerra pertanto, dal punto di vista sindacale, sono stati contraddistinti

dalle lotte mezzadrili ma anche da molteplici manifestazioni di protesta contro la

disoccupazione quali scioperi e manifestazioni di solidarietà degli operai non

direttamente interessati al problema; andando a rileggere la cronologia4 degli eventi e

delle manifestazioni succedutesi in quegli anni emerge la sensazione della necessità di

un’iniziativa che potesse trovare una soluzione a tutto ciò:

- nei mesi di gennaio e febbraio del 1949 si tengono numerose manifestazioni di

disoccupati a Pennabilli, Novafeltria, Montecerignone, Montegrimano, Mondolfo,

Serrungarina, Mondavio, S. Ippolito, Cagli, Colbordolo, Montecalvo, Fano,

Urbino, Pesaro, Lunano, Montecalvo, Auditore, Sassocorvaro, Pietrarubbia,

rivendicano lavori pubblici, sussidi di disoccupazione, sussidi per il caropane; 3 Elmo Del Bianco intervistato da Cristina Ortolani. Biblioteca Archivio “V. Bobbato”, www.bobbato.it. 4 Fonte della cronologia: Biblioteca Archivio “V. Bobbato”, www.bobbato.it.

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- nei mesi di febbraio e maggio dello stesso anno si verificano scioperi alla rovescia

in varie località della provincia: a Fano, Pesaro (arginatura del Genica e strada

Panoramica), a Macerata Feltria;

- il 20 aprile 1949 vi è una manifestazione di donne dell'UDI dal prefetto contro il

carovita. "Nella città di Pesaro e un po' anche in tutta la provincia, perdura una

situazione, che forse non ha riscontro, almeno per la gravità, in altre parti

dell'Italia liberata". Salari molto bassi 85 lire al giorno (145 per chi lavora sotto

gli Alleati), disoccupazione, carenza alimentare, sovrappopolamento, mancanza

luce. Esasperazione popolare;

- il 21-28 ottobre 1949 si tiene la "Settimana del disoccupato" indetta dalla Camera

del Lavoro Provinciale;

- nel mese di novembre del 1949 la popolazione di Pesaro protesta per

l'insufficienza della luce. La periferia è al buio completo;

- nel mese di gennaio del 1950 la segreteria mandamentale della CGIL di Urbania

vota un Ordine del giorno in cui rileva come le case coloniche siano spesso in

condizioni deplorevoli, prive di strade e di energia elettrica e di acqua potabile e

fa appello alle autorità competenti (prefettura in primo luogo) affinchè

costringano i proprietari ad eseguire quelle opere che la legge impone loro

(richiamo alla legge 27.7.1934 n° 1265);

- il 21 gennaio 1950 si tiene in Ancona una Conferenza economica regionale,

indetta dalle 4 CGIL, per elaborare un piano economico regionale sulla scia di

quello proposto a livello nazionale;

- il 25 gennaio 1950 vi è la Riunione del Consiglio dei sindacati della CGIL. Si

discute del Piano del lavoro; del tesseramento; di pace. Il segretario Arcangeli

esorta a portare avanti una politica di alleanze e lamenta un eccessivo

corporativismo di alcune componenti sindacali, in particolare della Confederterra

con la conseguente separazione delle istanze coloniche da quelle degli operai e dei

ceti urbani;

- sempre nel mese di Gennaio 1950 manifestazioni di disoccupati a Pesaro e

Urbino;

- l’8 febbraio 1950 a Fano la polizia carica un corteo di disoccupati. Feriti, arresti.

La Camera del Lavoro proclama scioperi di protesta in tutta la provincia;

- lo stesso giorno sciopero alla Fonderia Montecatini di Pesaro per protestare contro

i fatti di Fano. A Fano lo sciopero si avrà il 9;

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- sempre nel mese di Febbraio si tengono numerose manifestazioni di disoccupati a

Novafeltria, Montecchio, Cantiano, Montecalvo in Foglia, Pergola, Fano,

mobilitazione degli operai della fonderia Montecatini contro il licenziamento di

sedici loro colleghi;

- il 5 marzo 1950 a Urbania si tiene una manifestazione di 4.000 lavoratori: contro

la disoccupazione, la riforma Segni e le disdette coloniche;

- ad Aprile sempre ad Urbania esposto della locale commissione contro la

disoccupazione alle autorità superiori affinché mettano in cantiere i lavori

promessi e non realizzati. In caso contrario, si paventano disordini ed eccessi della

popolazione esasperata.

Questo è il quadro drammatico che stava di fronte alla più grande organizzazione

sindacale dei lavoratori, la CGIL, questo grande esercito di disoccupati affamati che

non trovava un sostentamento per la propria famiglia, per se stessi. E di qui ecco che la

CGIL nazionale opera in breve una svolta strategica sul piano programmatico; passa da

una politica del giorno per giorno, cioè una politica rivendicativa spicciola, ad una

politica più organica, collegata di più alla realtà, alla ricostruzione del Paese….Di qui

il Piano del Lavoro come strumento di mobilitazione e di lotta per milioni di lavoratori.

Anche noi come CGIL a Pesaro, nell’ambito di queste linee generali della

Confederazione, tracciammo ed elaborammo insieme all’amministrazione provinciale e

ai comuni il programma collegato alla realtà provinciale di Pesaro.5

Sono ancora le parole di Elmo Del Bianco a sintetizzare perfettamente le motivazioni da

cui nacque il Piano del Lavoro e ad introdurci alla sua analisi.

5 Elmo Del Bianco intervistato da Cristina Ortolani. Biblioteca Archivio “V. Bobbato”, www.bobbato.it.

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Un piano per rinascere Possiamo assistere impassibili alla tragedia di centinaia di migliaia di lavoratori che

trovano tutte le porte chiuse? Possiamo assistere impassibili al processo di

degenerazione a cui sono condannati i nostri giovani per mancanza di lavoro?

Possiamo noi adattarci a questa prospettiva?6

La risposta a queste domande pronunciate dal Segretario Generale della CGIL Giuseppe

Di Vittorio nel corso della relazione presentata al II congresso nazionale della

Confederazione, svoltosi a Genova il 4-9 ottobre 1949 fu proprio il Piano del Lavoro,

presentato in quell’occasione. Esso rappresentò uno dei primi tentativi in Italia (se non

addirittura il primo) di traduzione delle principali politiche keynesiane fondate sul

robusto intervento dello Stato nell’economia e sul notevole incremento della spesa

pubblica. Il Piano non mirava solo a difendersi ma proponeva soluzioni concrete per il

futuro prospettando un metodo di confronto costruttivo animato da caratteri di solidarietà

e responsabilità come ci ricordano le parole pronunciate da Vittorio Foa nel corso del

suo intervento al già citato congresso:

il Piano è un richiamo alla responsabilità del governo e della classe dirigente del nostro

paese, […] un appello all’unità, che deve trovare forma concreta nel paese, perché

quelle che sono spesso aspirazioni vaghe, o un senso di malcontento generico, diventino

coscienza della necessità dell’azione e della lotta.7

Nella fase di preparazione del Piano del Lavoro8 furono chiamate a dare il loro

contributo anche le Camere del Lavoro che avevano una maggiore conoscenza dei

bisogni e delle richieste provenienti dai singoli territori, e così avvenne anche per la

Camera del Lavoro di Pesaro.

Il Piano del Lavoro per la rinascita economica della Provincia di Pesaro-Urbino venne

presentato l’11 giugno 1950 nel corso di una conferenza provinciale e rappresenta una

6 Giuseppe Di Vittorio, Intervento al II Congresso nazionale CGIL 7 Vittorio Foa, Intervento al II Congresso nazionale CGIL 8 Per un più approfondito esame del Piano del Lavoro elaborato dalla CGIL Nazionale si consiglia la lettura di Keynes e la cultura economica della CGIL. Un’analisi del Piano del Lavoro nella prospettiva della Teoria generale di Marco Gozzellino (Roma, Ediesse, 2010, p. 129)

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importante trasposizione a livello locale delle idee alla base del Piano del Lavoro

Nazionale della CGIL.

Nella breve prefazione l’allora segretario della CGIL di Pesaro Dott. Angelo Arcangeli

ci ricorda gli obiettivi del Piano: lotta contro la disoccupazione, aumento della

produzione, miglioramento del tenore generale di vita del popolo italiano, distensione

dei rapporti sociali. La parte iniziale è invece dedicata ad una analisi della stato

economico-sociale della Provincia focalizzando l’attenzione sulla grave situazione

occupazionale stimando una cifra pari a 20.000 disoccupati che comporta come

conseguenza la perdita di 5 milioni di giornate lavorative annue provocando a sua volta

una drastica riduzione dei consumi che, insieme alla diminuita capacità d’acquisto di

migliaia di famiglie, alla scarsa attività economica generale, alla crisi del settore del

mercato agricolo, ecc. trascinano progressivamente nella rovina e nel dissesto le

branche del commercio e dell’artigianato che vedono ridursi le richieste di forniture,

prestazioni, articoli vari, ecc. e che a loro volta si immiseriscono9.

A conclusione della drammatica analisi viene manifestata l’urgenza di uscire da tale

situazione fallimentare attraverso una politica di produzione e di sviluppo economico

che possa rianimare e sviluppare la nostra economia e per creare sempre una nuova

ricchezza destinata a sua volta a riprodursi con generale beneficio10.

L’attenzione si sposta poi sui settori in cui si rendono necessari gli interventi previsti dal

Piano partendo, per ognuno, dall’analisi della situazione di partenza per poi tracciare le

linee guida delle proposte.

Il settore elettrico

La produzione di energia elettrica a livello provinciale era pressoché nulla a causa delle

distruzioni operate durante la guerra alle Centrali del Furlo, Raggioli e Liscia; tale

carenza, unita ad un’eccedenza di richieste, provocava rialzi ingiustificati e manovre

speculative che andavano ad incidere sensibilmente sul livello dei prezzi e quindi sul

tenore di vita. Secondo quanto stimato dagli autori del Piano in tutta la Provincia vi era

una richiesta di energia elettrica per illuminazione di circa 7.500.000 Kwh contro un

consumo che raggiungeva appena la metà comportando, pertanto, che circa la metà delle

famiglie della Provincia era senza illuminazione o comunque insufficiente.

9 Pag. 8 Piano del Lavoro per la rinascita economica della Provincia di Pesaro-Urbino 10 Ivi

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La soluzione a tale contesto doveva partire dalla ricostruzione delle Centrali Elettriche

distrutte del Furlo e di Raggioli per poi passare alla costruzione di tre impianti di

sfruttamento idrico quali i Bacini Marecchia, Foglia e Metauro.

Attraverso la costruzione di tali opere, inoltre, si sarebbe ottenuta un’occupazione

costante di circa 2500 persone per tre anni.

Il settore agricolo

L’analisi dello stato del settore agricolo e dei conseguenti interventi da eseguire occupa

una parte importante del Piano del Lavoro, l’agricoltura, infatti, era l’attività prevalente

della Provincia ed occupava direttamente ed indirettamente il 70% della popolazione.

Viene evidenziato, inizialmente, lo stato di arretratezza del settore caratterizzato da

carenze ed inadeguatezza dei metodi di aratura e di coltivazione.

Si ipotizzavano pertanto interventi di modernizzazione e di rinnovamento nel settore

della motoaratura (con l’introduzione di un complesso di 2000 trattori onde consentire

non solo lavorazioni del terreno più profonde ma anche una maggiore razionalizzazione

e modernità del lavoro e nella produzione agricola), delle colture pregiate (attraverso un

programma minimo di incremento del patrimonio viticolo, la costituzione di Cantine

sociali, l’incremento della produzione di pomodori, barbabietola, tabacco, granoturco,

ecc.), della zootecnia (per raggiungere un livello progredito anche nel campo della

zootecnia è necessario raggiungere, anche nelle aziende di basso reddito, il carico di un

capo bovino per ettaro coltivato…mediante l’introduzione del mezzo meccanico di

aratura, traino, ecc. che consentirà di dedicare il bestiame alla riproduzione, alla

selezione, all’allevamento…), del patrimonio boschivo, delle opere di arginatura e difesa

fluviale, delle migliorie fondiarie attraverso anche l'introduzione della figura del tecnico

condotto in tutti i Comuni con funzioni di consulenza e di coordinamento.

Settore edile

L’analisi di partenza evidenzia come a Pesaro il 60% della popolazione sia sovraffollata

e pertanto, per porre riparo ad una simile situazione deficitaria si rendeva necessaria la

creazione di 10.000 vani annui in tutta la Provincia con un costo complessivo annuo di £

3.500.000.000 elevato a 5 miliardi se si considerano le spese complementari quali la

fornitura di arredamenti e gli allacciamenti stradali, idrici ed elettrici.

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Tale ritmo costruttivo andava mantenuto per 20 anni e la sua realizzazione doveva essere

affidata all’Ente Edilizio il quale avrebbe coordinato la raccolta del risparmio e delle

altre fonti di finanziamento, la effettuazione delle pratiche, avrebbe presidiato la

standardizzazione degli elementi costruttivi e si sarebbe interessato alle pratiche di

erogazione di sussidi e di contributi statali.

L’investimento edile avrebbe portato all’assunzione di circa 3000 lavoratori con una

erogazione di 375 milioni di lire per salari.

Si rendevano inoltre necessari interventi anche nel campo dell’edilizia rurale per la

ricostruzione e la riparazione di circa 25000 case coloniche attraverso anche

l’introduzione di contributi statali per la costruzione di edifici rurali.

Si valutava la possibilità arrivare a ricostruire o costruire 3000 case coloniche e ripararne

altre 2000 portando ad un occupazione pari a circa 7000 operai.

Lavori pubblici

Rifacendosi alle già citate teorie keynesiane il Piano del Lavoro provinciale prevedeva

l’intervento diretto dello Stato e degli altri enti pubblici attraverso un incremento delle

opere pubbliche.

La realizzazione delle opere di pubblica utilità avrebbe facilitato l’iniziativa dei privati e

degli enti locali.

L’intervento pubblico pertanto si rendeva necessario per la sistemazione della rete

stradale attraverso un programma di asfaltatura integrale della rete stradale provinciale in

un arco temporale di 10 anni, inoltre ciò avrebbe comportato un aumento del traffico con

la necessità di operare migliorie anche alla rete stradale statale, si ipotizzava ad esempio

l’opportunità di eliminare, mediante la già ventilata Galleria, il dislivello delle Siligate

che costituisce un notevole intralcio sulla Arteria Adriatica, specie nei periodi

invernali.11

Altri interventi si rendevano necessari per il miglioramento della rete ferroviaria, degli

edifici scolastici, degli acquedotti e degli ospedali.

Nel campo ferroviario si sollecitava il completamento dei tronchi ferroviari Urbino-

S.Arcangelo di Romagna e di Pergola-Fermignano-Urbino ed il miglioramento degli

orari e delle frequenze delle linee Pesaro-Fossombrone e Novafeltria-Rimini.

11 Ivi pag. 26

11

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In ambito scolastico, prevedendo una popolazione scolastica di circa 45000 unità era

necessario affrontare il problema delle aule e degli edifici scolastici oltre che del numero

degli insegnanti che da 1400 doveva aumentare ad almeno 1800 per poter permettere

l’affidamento ad ogni insegnante di non più di 20 alunni. Altra necessità era

rappresentata dall’aumento delle aule scolastiche attraverso la costruzione di almeno tre

palazzetti scolastici per comune.

Un’altra problematica da risolvere urgentemente era la carenza di acqua potabile, la

soluzione doveva avvenire mediante la costruzione di adeguate opere di conduttura.

Infine, in merito alla situazione sanitario-ospedaliera si rendeva necessario portare la

Provincia di Pesaro ad essere dotata di un complesso di 1750 posti letto attraverso la

costruzione di nuovi ospedali e l’ampliamento ed il miglioramento di quelli esistenti.

Finanziamento

Come si finanzia il complesso delle opere prospettate?12

Con questo quesito si apre la parte del Piano relativa al finanziamento, questione che,

anche a livello nazionale aveva attirato diverse critiche.

Innanzitutto si puntualizza come sia impossibile pensare ad un finanziamento

esclusivamente basato sulle risorse provinciali, ma ad un investimento a livello

provinciale si sarebbe dovuto affiancare un massiccio intervento statale caratterizzato da

investimenti per la esecuzione di opere pubbliche.

Il progetto prevedeva una cifra di investimento di poco inferiore ai 10 miliardi: il 20-

30% del "reddito capitalistico" dell'economia provinciale (stimato sui 9-10 miliardi), un

miliardo proveniente dal risparmio "convenientemente sollecitato", sommati ad un

intervento dello Stato per tre miliardi.

L’investimento pubblico, poi, avrebbe generato altre attività economiche (è accertato

che una lira investita nel processo produttivo–economico produce altre 6-7 lire di

ricchezza13) come teorizzato dalla già citata teoria keynesiana.

A conclusione dell’analisi si riporta di seguito un articolo apparso ne L’Unità del 10

maggio 1950 quale sintesi del Piano del Lavoro: 12 Ivi pag. 28 13 Ivi pag. 29

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Cosa accadde dopo A livello nazionale, nonostante la grande mobilitazione cresciuta attorno ad esso, il

Piano del Lavoro non fu assunto dal governo come base del proprio programma

economico e i provvedimenti presi per dare risposte alle domande in esso contenute

furono modesti.

A livello provinciale, attraverso il Piano del Lavoro, la CGIL rivendicava per il

sindacato un ruolo guida nei processi di sviluppo ma il suo tentativo fu oggetto di

critiche:

Sul Piano del lavoro è continuata una azione di popolarizzazione inadeguata. È

continuata dopo il successo della Conferenza economica provinciale, la elaborazione

dei Piani legali, piani che però hanno finora avuto più la tendenza ad appoggiare azioni

rivendicative in corso (per le migliorie a Urbino, contro i licenziamenti alla Montecatini

di Pesaro, alla raffineria di Bellisio Solfare, ecc.) che ad impostare una lotta capace di

legare larghi strati di popolazione per la valorizzazione delle zone14.

Ma le parole del già citato Elmo Del Bianco ancora una volta chiariscono che il Piano

del Lavoro dal punto di vista del movimento sindacale ha rappresentato un cambiamento

di rotta attraverso il passaggio da una fase meramente rivendicativa ad una nuova

stagione capace di elaborazione progettuale e di mobilitazione di larghi settori del

mondo del lavoro ed ha comunque dato un importante contributo allo sviluppo della

provincia:

E tra le scelte prioritarie che vanno sottolineate, quelle che rappresentano la svolta sul

piano economico, sociale, culturale, l’adeguamento culturale anche delle masse

popolari e mi riferisco al programma che abbiamo fatto collegato allo sviluppo e alla

rinascita delle vallate de Foglia e del Metauro, elaborando un programma concreto.

Progetti con obiettivi precisi, elaborati dalla provincia e dai comuni i quali oltretutto

definiscono piani urbanistici di insediamento per l’industria, per gli insediamenti

artigianali e residenziali, tutto ciò in armonia con il sindacato e i partiti della sinistra.

Per questo dico che quando parliamo dello sviluppo di Pesaro non si può sottolineare

con maggior forza l’apporto di questo movimento per lo sviluppo che c’è stato in queste

due vallate.

14 Relazione generale dell’esecutivo della Federazione provinciale del PCI giugno-luglio 1950 cit.

14

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Attorno a questi obiettivi generali si è sviluppata un’iniziativa di centinaia e centinaia di

assemblee da Pesaro fino a Belforte all’Isauro, da Fano fino a Cantiano, assemblee,

comizi, scioperi locali, alla rovescia, chi scioperava per ricostruire strade, ponti,

acquedotti, ospedali, come quello di Urbino….

C’era quindi un insieme di obiettivi, una lotta articolata che arrivò a momenti di

unificazione.

Tra i momenti unificanti più significativi ricordo le due marce della rinascita e dello

sviluppo delle vallate del Foglia e del Metauro del 1953, dove migliaia e migliaia di

lavoratori in sella alla bicicletta percorsero dal Belforte all’Isauro a Pesaro e da

Cantiano a Fano in bicicletta in due, con la moglie o con un compagno.

Manifestazioni tutte precedute da centinaia e centinaia di assemblee e di comizi lungo

tutto il percorso.15

Da queste parole si possono trovare numerosi spunti di riflessione, pensando alla

situazione della Provincia di Pesaro oggi che come allora sta attraversando un

drammatico periodo di crisi economico-sociale.

15 Elmo Del Bianco intervistato da Cristina Ortolani. Biblioteca Archivio “V. Bobbato”, www.bobbato.it.

15

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Oggi come allora Oggi come allora la situazione del lavoro è drammatica.

Oggi come allora la realtà della provincia è fatta da migliaia di disoccupati cresciuti

nell’ultimo anno con un ritmo incontrollabile; da centinaia di precari e di cassaintegrati e

part time involontari, da lavoro nero. Il dato che emerge è quello di oltre quindici mila

persone in gravissima difficoltà con il lavoro.

Allora la disoccupazione era conseguenza della miseria diffusa e dell’arretratezza

causata dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, oggi è frutto di un sistema

economico saturo non più capace da solo di creare occupazione.

La provincia di Pesaro e Urbino è tra le prime in Italia ad avere risentito della crisi e ad

avere peggiorato la propria situazione socioeconomica rispetto a delle condizioni di

partenza (precrisi) molto migliori in origine; l'intera area, al di là di poche eccezioni,

rappresenta un sistema chiuso e poco permeabile a investimenti politici, economici e

culturali efficaci e di lungo respiro.

Le parole di Simona Ricci, segretario generale della CGIL di Pesaro, ci aiutano a

comprendere la reale situazione della Provincia:

Il Censis, nel suo rapporto annuale, ha certificato come drammaticamente la provincia

di Pesaro e Urbino sia al primo posto in Italia nella graduatoria del disagio nella crisi .

Un indicatore che sintetizza un set di variabili nel periodo 2008/2011 che ad elencarle si

comprende perfettamente cosa significhi misurarlo e svettare in cima a quella classifica:

tasso di disoccupazione totale, tasso di disoccupazione giovanile, intensità dei fallimenti

dichiarati, sofferenze bancarie, indice delle infrastrutture sociali, reddito disponibile

pro-capite, delitti di criminalità diffusa denunciati, spesa famiglie pro-capite, minori

denunciati, dispersione scolastica, indebitamento delle famiglie. Su Pesaro pesano in

particolare le dinamiche negative della disoccupazione giovanile, cresciuta di oltre il

13% a fronte di una media nazionale del 9%, i fallimenti dichiarati e le sofferenze

bancarie e un crollo della spesa per consumi superiore alla contrazione del reddito

disponibile. Tradotto significa che la crisi inizialmente era “invisibile” perché confinata

entro le mura delle famiglie o dentro i capannoni e gli uffici delle imprese e perché

aveva colpito un territorio, il nostro, che poteva inizialmente erodere quel patrimonio e

quel benessere socio-economico accumulato negli anni, potendo in così attenuare gli

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effetti drammatici della crisi. Poi si è resa drammaticamente concreta nei modi che

ciascuno può vedere.16

È mancata in questi anni la capacità di progettare e programmare interventi mirati di

investimento e sviluppo.

La base produttiva si è ristretta con la chiusura di centinaia di aziende e non si è

riqualificata. Anche la qualità del lavoro esistente si è ulteriormente abbassata e vede un

forte addensamento nelle qualifiche medio basse, con fenomeni crescenti di lavoro

povero. Il lavoro è un valore sociale costituzionale e non può essere considerato alla

stregua di uno dei tanti fattori della produzione. Non può essere paragonato ad una

merce che meno costa, più facile liberarsene e meglio è. In questa situazione l’evidente

priorità è ripartire dall’occupazione: dalla sua quantità e qualità e quindi dalla qualità del

modello produttivo e di sviluppo. L’esperienza del Piano del Lavoro Provinciale ci

dimostra che i grandi avanzamenti sociali e politici della nostra società sono legati a

battaglie e conquiste nel mondo del lavoro.

L’analisi della situazione provinciale verrà ora affrontata non attraverso l’esame di

freddi numeri ma attraverso l’esperienza dell’Ufficio Vertenze della CGIL di Pesaro,

mai come oggi efficace osservatorio della crisi e della disoccupazione.

16 Simona Ricci, segretario generale della CGIL di Pesaro, intervento del 4 gennaio 2013 www.cgilpesaro.it

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I volti della crisi La mia esperienza lavorativa all’Ufficio Vertenze della CGIL di Pesaro è iniziata

nell’ormai lontano 2001 ma mai come in questi ultimi anni ci si è trovati a dover

affrontare una situazione così tragica, un dato emblematico è rappresentato dal confronto

tra il numero di pratiche aperte nel 2008, quando ancora gli effetti della crisi dovevano

farsi sentire, e nel 2013, anno in cui invece la crisi è nel pieno della propria

manifestazione: confrontando le pratiche aperte nel periodo gennaio-ottobre degli anni in

questione si evidenzia un aumento di ben mille pratiche (si passa dalle 1897 del 2008

alle 2850 di quest’anno), mille che purtroppo non è solo un numero, ma è un insieme di

volti, di vite, di persone in carne ed ossa la cui esistenza è stata travolta dal flusso

inarrestabile della crisi.

La crisi ha il volto della commessa, con scarsa istruzione e con professionalità acquisita

esclusivamente sul campo, alla quale si chiede di lavorare con le forme meno tutelate,

quali ad esempio contratti di associazione in partecipazione o di lavoro a progetto e che

si rende conto che la sua posizione sul mercato del lavoro è debolissima, che quindi

incontrerà grosse difficoltà a costruirsi una famiglia riuscendo a conciliare anche la forte

autonomia che il lavoro consegna alle donne; lavoro che pertanto soprattutto per le

donne deve tornare ad essere un diritto e non un ostacolo o un’alternativa alla vita

familiare.

La crisi ha il volto del giovane operaio qualificato di una piccola azienda

metalmeccanica che, a causa della concorrenza al ribasso del mercato estero, ha

improvvisamente chiuso, e si è trovato così senza lavoro con poche possibilità di

ricollocarsi a causa della crisi del distretto e con la necessità pertanto di riprendere gli

studi per non rimanere eterni manovali sempre meno richiesti nel settore

metalmeccanico.

La crisi ha il volto di quella persona che attorno ai 50 anni resta disoccupata perché la

fabbrica in cui ha sempre lavorato è rimasta fuori mercato e le lavorazioni che è in grado

di fare non sono richieste dalle aziende ancora in piedi.

La crisi ha il volto dell’immigrato straniero che, rimasto senza lavoro, non ha più la

possibilità di pagare l’affitto e si è trovato così costretto a far tornare moglie e figli nel

proprio paese di origine rimanendo solo alla disperata ricerca di un nuovo lavoro per

evitare di dover tornare anche lui a casa con nulla di più rispetto a quando, tanti anni

prima, era partito in cerca di un futuro migliore.

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La crisi ha il volto di quell’operaio, dipendente di una piccola azienda artigiana, che

avendo fiducia e speranza in una ripresa continua a lavorare senza percepire lo stipendio

da mesi e che, per poter pagare le spese quotidiane, è costretto ad indebitarsi.

La crisi ha il volto di quel giovane che, appena laureato, non riesce a trovare il lavoro

che ha sempre desiderato e per cui ha studiato anni e si ritrova così a dover accettare

contratti a chiamata o voucher per lavori da cameriere o barista con la speranza che la

crisi passi il prima possibile.

La crisi ha i volti di quei lavoratori rimasti disoccupati a causa della chiusura

dell’azienda del distretto del legno presso cui lavoravano, azienda, come tante del settore

del mobile, che non è riuscita a sopravvivere a causa di strutture obsolete, investimenti

in innovazione e ricerca assenti, di perdita di contatto con la realtà in trasformazione,

oppure per scelte manageriali sbagliate.

La crisi ha il volto di quell’operaio in cassa integrazione a zero ore che, nonostante nel

suo reparto si stia continuando l’attività lavorativa, non viene mai richiamato al lavoro

perché sostituito da chi, all’azienda, costa meno.

La crisi ha il volto di quel lavoratore in nero che, costretto a lavorare anche dodici ore al

giorno per uno stipendio indecente e chiedendo regolarizzazione, si sente rispondere:

fuori dall’azienda c’è la fila, se non ti va bene puoi anche andartene.

I volti di oggi, come i volti di allora, stanno attraversando momenti di grande difficoltà

ma, come allora, è necessario resistere e ritrovare quel senso di solidarietà che nella

società di oggi si è smarrito e che invece ha caratterizzato le lotte degli anni ’50.

I volti di oggi, come i volti di allora, non devono perdere la speranza come ci ricordano

queste parole di una ragazza diciottenne senza lavoro:

Sono sincera, di questi tempi non è semplice raggiungere i propri obiettivi, non è facile

nemmeno più trovare un semplice lavoro, per questo ho sempre avuto timore del futuro,

di non riuscire a realizzarmi, non perché io non lo voglia, ma perché i tempi ce lo

impediscono. È triste sapere che a 18 anni si è persa la speranza. Ma…c’è sempre una

speranza, ed è importante che, in qualsiasi modo si voglia, questa speranza venga

trasmessa. Assieme alla speranza così anche l’impegno, la passione e l’amore nel fare il

proprio lavoro.17

Naturalmente solo con la solidarietà e la speranza non si può superare la crisi ma devono

essere le basi su cui costruire le possibili soluzioni.

17 Rassegna Sindacale n. 16/2013 pag. 15

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Un Piano del Lavoro oggi Oggi, come oltre sessanta anni fa, la CGIL torna a presentare un Piano del Lavoro a

livello nazionale con due obiettivi precisi:

- creare nuovi posti di lavoro legati:

ad attività di risanamento, bonifica, ovvero di messa in sicurezza del

territorio e di valorizzazione dei beni culturali di creare nuovi posti di

lavoro legati ad attivi con proposte e obiettivi precisi e con le forme di

finanziamento necessarie;

allo sviluppo dell’innovazione tecnologica nella tutela dei beni artistici;

alla riforma e al rinnovamento della pubblica amministrazione e del

welfare;

alla economia della conoscenza;

all’innovazione e alla sostenibilità delle reti infrastrutturali (edilizia,

energia, trasporti…).

- difendere il lavoro, anche riqualificandolo, dei settori più tradizionali (agricoltura,

industria e terziario) attraverso:

la riorganizzazione e la creazione di domanda pubblica;

il sostegno alla ricerca pubblica e l’incentivazione di quella privata;

la qualificazione degli investimenti con innalzamento della

specializzazione produttiva e la qualità nell’industria e nei servizi;

una politica che riavvii il credito;

i vincoli di qualità della produzione italiana;

la regolarità e la trasparenza degli appalti (cancellando il massimo ribasso).

Mentre sessanta anni fa la priorità era creare lavoro oggi la qualità del lavoro assume la

stessa importanza della quantità (senza un lavoro di qualità non si risolvono neanche i

problemi di quantità, i prodotti che nascono da un lavoro di scarsa qualità non trovano

mercato).

A livello provinciale, infatti, è evidente come il continuo puntare sulla quantità della

produzione tralasciando e trascurando la qualità abbia prodotto invece risultati

devastanti. Ancora una volta le parole di Simona Ricci ci aiutano a capire gli obiettivi

che dovrebbe porsi la nostra provincia: occorrerebbe individuare una strategia di medio

periodo per l’uscita dalla crisi, affrontando sin da subito il nodo fondamentale della

prossima programmazione dei Fondi Strutturali europei 2014/2020 con idee e progetti

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in grado di riqualificare i settori produttivi tutti di questo territorio. Occorrerebbe

affrontare con fermezza e convinzione uno dei più gravi gap economici di questo

territorio, il sottodimensionamento, la sottocapitalizzazione e lo scarso livello di

internazionalizzazione delle nostre imprese, cogliendo il meglio che la Regione ha

saputo mettere in campo in questo senso e provando a metterci del nostro. Lo storico

sottodimensionamento di infrastrutture economiche e sociali di questo territorio va

drasticamente colmato. Ospedali e nuove strade sono solo una parte, seppur importante,

della “dotazione” complessiva che servirebbe a questa provincia per provare ad essere

all’altezza delle prossime sfide che la interesseranno. Sul come affrontare queste sfide e

su come restituire a questa comunità provinciale una visione d’insieme del proprio

sviluppo e del proprio futuro sarebbe necessario e urgente avviare una discussione

aperta e sincera, con tutto il tempo che occorre per comprendere anche laddove, in

questi anni, si è sbagliato e, se possibile, per non ripetere gli stessi errori.18

Sarebbe, inoltre, strategico curare la partecipazione dei bambini ad una scuola di qualità

(sin dall’asilo nido), il completamento della scuola dell’obbligo, la partecipazione agli

istituti tecnici professionali, la continuazione degli studi fino all’Università (con

attenzione alle facoltà da scegliere) e la partecipazione degli adulti ad un sistema

formativo di qualità.

La più grossa differenza che emerge rispetto al 1950 forse è proprio questa: oggi si

ammoniscono i lavoratori evidenziando che dovranno abituarsi a cambiare lavoro e

mansione più volte nella vita, che è finito il mito del posto fisso, che dovranno

continuare ad imparare per tutta la vita lavorativa, ma il sistema formativo purtroppo non

è molto diverso da quello di sessanta anni fa, sono pochissimi i lavoratori che vengono

formati e se un singolo lavoratore vuole esercitare autonomamente il diritto ad essere

formato normalmente non trova ascolto o soluzione.

Le figure di disoccupati sopra ricordati necessiterebbero proprio di un sistema educativo

e formativo sempre più vicino alla singola persona, capace di aiutarlo a colmare le

lacune professionali e a rafforzarne la capacità di comprendere il mondo.

18 Simona Ricci, segretario generale della CGIL di Pesaro, intervento del 4 gennaio 2013 www.cgilpesaro.it

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Conclusioni Vorrei concludere questo breve percorso attraverso il pensiero e le parole attualissime di

Enrico Berlinguer, pensiero che per alcuni aspetti ha anticipato il concetto di decrescita

di Latouche e che può offrire più di uno stimolo per trovare nuove soluzioni alla crisi.

Negli interventi di fine anni ’70 Berlinguer per la prima volta parla di “austerità”

chiarendo che cosa intenda per essa: L’austerità non è oggi un mero strumento di

politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea e

poter consentire la ripresa e il ripristino di vecchi meccanismi economici e sociali. […]

Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento

di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo […], quel sistema i cui

caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e

dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato.19

Berlinguer parla ai singoli, ai suoi militanti e al resto degli italiani, per chiedere loro di

cambiare la propria scala di valori, le proprie abitudini, stili di vita convinzioni,

votandoli a una razionalizzazione, con il duplice intento di scardinare il modello

economico vigente fondato sul consumismo e che senza di esso collasserebbe, e di

preparare il popolo al modello del futuro che per forza di cose non potrà più essere

bulimico come lo si era conosciuto, ma non per questo indesiderabile. L’austerità per

definizione comporta restrizioni di certe possibilità a cui ci si è abituati, rinunce a certi

vantaggi acquisiti: ma noi siamo convinti che non è detto affatto che la sostituzione di

certe abitudini attuali con altre, più rigorose e non sperperatrici, conduca a un

peggioramento della qualità e della umanità della vita.20

Quello di Berlinguer allora è un discorso al privato cittadino che una volta fatto proprio

si auspica porti un macro cambiamento a livello pubblico, cambiamento di cui tuttavia, a

chi lo propone, non sono ancora chiari i connotati. Se quindi la proposta della

“decrescita” è quella fondata sulle 8 “r” (rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare,

ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare/riciclare), la proposta di Berlinguer

sicuramente si basa su 4 di esse puntando ad una società in cui “rivalutando” i valori

fondanti, si arrivi a una “riconcettualizzazione” delle coppie ricchezza/povertà o

rarità/abbondanza. Ciò porterebbe poi, plausibilmente, a una “riduzione” dei consumi e

della produzione in accordo con i limiti della terra e così a una “ridistribuzione” della

19 Enrico Berlinguer. Conclusioni al Convegno degli intellettuali, Teatro Eliseo, Roma, gennaio 1977 20 Enrico Berlinguer. Conclusioni all’assemblea degli operai del Pci, Milano, gennaio 1977

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ricchezza, sia all’interno delle società occidentali, sia fra queste e quelle del Sud del

mondo.

Latouche spiega come la sfida della decrescita si svolga su due piani: (1) quello delle

parole, delle rappresentazioni, dell’immaginario; (2) quello delle cose, delle realtà

concrete. In accordo con ciò si può dire che Berlinguer avesse cominciato a porre

l’attenzione sul primo abituando la sua gente alla frugalità, in attesa di poter giungere al

secondo. Berlinguer provò ad immaginare un modello nuovo di società. Il paese avrebbe

bisogno […] di veder chiari alcuni elementi fondamentali di una prospettiva nuova. E

invece gli esponenti delle vecchie classi dominanti […] non sanno andare più in là

dell’obiettivo di riportare l’Italia sugli stessi binari su cui procedeva lo sviluppo

economico prima della crisi. […] Come se la crisi di questi anni e di oggi non fosse

esattamente la crisi di quel modello di società.21 Si trattò allora, per il Segretario, di

delineare una via per la Sinistra del futuro che fosse estranea al produttivismo capitalista,

ma estranea anche al produttivismo comunista, che uscisse in sostanza dalla stretta di

una politica economicistica qualunque fosse l’ideologia nella quale fosse compresa, e

che mantenesse però al fondo le aspirazioni più alte del marxismo, quelle impegnate in

una riforma “antropologica”, “mondiale” e “civilizzatrice” dell’umanità: questo fu la via

dell’austerità. Oggi tuttavia l’occasione si ripresenta e sembra ci siano tutti gli elementi

perché si possa prendere un treno segnalato trent’anni fa dal leader più compianto. Può

non essere la “decrescita” per come intesa oggi da Latouche, ma una seria riflessione su

un nuovo modello di sviluppo.

21 Enrico Berlinguer. Conclusioni al Convegno degli intellettuali, Teatro Eliseo, Roma, gennaio 1977