Il pesce allevato in recinti in mare aperto, come queste...

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84 Le Scienze 512 aprile 2011 www.lescienze.it Le Scienze 85 Masa Ushioda/CoolWaterPhoto.com Rivoluzione blu SVILUPPO SOSTENIBILE Nuovi allevamenti di pesce in mare aperto e operazioni più pulite lungo la costa potrebbero fornire al mondo la ricca riserva di proteine di cui ha tanto bisogno IN BREVE Il consumo di carne sta aumentando in tutto il mondo, ma la sua produzione coinvolge enormi quantità di energia, acqua ed emissioni. Allo stesso tempo, i bacini di pesca si stanno esaurendo. L’acquacoltura potrebbe diventare la fonte più sostenibile di proteine. La metà della produzione ittica globale arriva da allevamenti, la maggior parte dei quali si trova lungo le zone costiere, elemento che favorisce l’inquinamento del mare. I grandi recinti ittici in mare aperto ancorati al fondo sono più puliti. Gli allevamenti d’altura, le altre nuove forme di acquacoltura e le innovazioni che contribuiscono a ripulire le installazioni costiere potrebbero favorire un’espansione significativa dell’acquacoltura. Si deve capire quanto i diversi approcci possano essere sostenibili ed economicamente vantaggiosi. di Sarah Simpson Il pesce allevato in recinti in mare aperto, come queste ricciole a Kona Blue Water Farms vicino all’Isola di Hawaii, potrebbe diventare una fonte più sostenibile di proteine rispetto al pesce non allevato o alla carne.

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Nuovi allevamenti di pesce in mare aperto e operazioni più pulite lungo la costa

potrebbero fornire al mondo la ricca riserva di proteine di cui ha tanto bisogno

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Il consumo di carne sta aumentando in tutto il mondo, ma la sua produzione coinvolge enormi quantità di energia, acqua ed emissioni. Allo stesso tempo, i bacini di pesca si stanno esaurendo.

L’acquacoltura potrebbe diventare la fonte più sostenibile di proteine. La metà della produzione ittica globale arriva da allevamenti, la maggior parte dei quali si trova lungo le zone costiere, elemento che

favorisce l’inquinamento del mare.I grandi recinti ittici in mare aperto ancorati al fondo sono più puliti. Gli allevamenti d’altura, le altre nuove forme di acquacoltura e le innovazioni che contribuiscono a

ripulire le installazioni costiere potrebbero favorire un’espansione significativa dell’acquacoltura.Si deve capire quanto i diversi approcci possano essere sostenibili ed economicamente vantaggiosi.

di Sarah Simpson

Il pesce allevato in recinti in mare aperto, come queste ricciole a Kona Blue Water Farms vicino

all’Isola di Hawaii, potrebbe diventare una fonte più sostenibile

di proteine rispetto al pesce non allevato o alla carne.

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N eil Sims fa la guardia al suo allevamento, solo che non monta a cavallo come gli al-levatori di pecore australiani con i quali è cresciuto. Per domare il suo gregge, sims si mette maschera e boccaglio: 480.000 pesci raccolti in un recinto a quasi un chilometro dalla costa di Kona, sull’Isola di Hawaii. Na-

scosto sotto le onde, l’allevamento di Sims è una delle 20 strutture al mondo che cercano di sfruttare l’ultima grande frontiera alimen-tare del pianeta: l’oceano. La posizione al largo della costa offre un vantaggio su migliaia di allevamenti ittici convenzionali, cioè re-cinti che abbracciano la linea costiera. Troppo spesso gli alleva-menti vecchio stile, accusati di essere esteticamente inguardabili e di inquinare gli oceani, producono escrementi di pesce e scar-ti di cibo sufficienti a intorpidire le acque calme e poco profonde, alimentando fioriture algali nocive o soffocando la vita sotto i re-cinti. Nei siti come quello di Kona Blue Water Farms, invece, l’in-quinamento è fuori questione, spiega Sims. I sette recinti sommer-si, ciascuno grande come la palestra di una scuola, sono collocati in aree soggette a forti correnti: in questo modo i rifiuti sono subi-to diluiti in mare aperto a livelli innocui.

Invece di fidarmi delle parole di Sims, indosso maschera e pin-ne, e mi tuffo. Vista dall’acqua, la gabbia a forma di doppio cono si accende come un’enorme lanterna cinese, con scintillanti fasci di luce solare e luccicanti forme di pesci guizzanti. Al tatto, il ma-teriale teso che avvolge il telaio della gabbia ha più la consisten-za di una recinzione che quella di una rete. Questo materiale simile al kevlar respinge gli squali con la stessa efficacia con cui confina masse brulicanti di Serio la rivoliana, una specie locale di ricciola che Kona Blue ha addomesticato come alternativa al tonno.

Perché la ricciola? Molte aree di pesca del tonno si stanno esau-rendo e la ricciola adatta al sushi si vende a prezzo elevato. Sims e il biologo marino Dale Sarver hanno fondato Kona Blue nel 2001 per allevare pesce pregiato in modo sostenibile. Ma la tecnica del-la loro azienda si potrebbe applicare anche a pesce meno costoso. Potremmo davvero averne bisogno. Si prevede infatti che la po-polazione mondiale, oggi di 6,9 miliardi di persone, arriverà a 9,3 miliardi entro il 2050, oltre al fatto che uno stile di vita più elevato porta a un maggiore consumo di carne e di pesce. Negli ultimi die-ci anni, però, il pescato globale è rimasto costante o è diminuito. Allevare mucche, maiali, polli e altri animali consuma vaste quan-tità di terreno, acqua dolce, carburanti che inquinano l’aria e ferti-lizzanti che si riversano in fiumi e oceani soffocandone la vita.

Da dove prenderemo tutte le proteine di cui abbiamo bisogno? La risposta potrebbe proprio arrivare dai nuovi allevamenti in ma-re aperto, ammesso che funzionino in modo efficace, e dagli alle-vamenti costieri, a patto che si riesca a tenerli puliti.

Più pulito è meglioPer alcuni scienziati alimentare il mondo significa trasferire la

produzione delle nostre proteine di origine animale nei mari. Ma se questa rivoluzione blu vorrà soddisfare i palati raffinati dovrà operare in modi ecosostenibili, e far conoscere meglio i suoi van-taggi sia all’opinione pubblica annoiata sia ai decisori politici che hanno il potere di accelerarne o ritardarne la diffusione.

Nel passato, la disapprovazione poteva anche essere giusta. Quando la piscicoltura costiera moderna prese il via circa trent’anni fa, quasi nessuno operava in modo corretto sia in termini ambien-tali sia rispetto alla sostenibilità dell’industria nel lungo periodo. La produzione di rifiuti era una delle tante questioni. Gli allevatori di gamberi nel Sudest asiatico e in Messico abbattevano le foreste co-stiere di mangrovie per ricavare pozze in cui coltivare il pesce. Ne-gli allevamenti di salmone europei e statunitensi, spesso i pesci era-no troppo ammassati, situazione che contribuiva alla diffusione di malattie e parassiti. A volte il pesce che fuggiva dagli allevamen-ti diffondeva malattie alle specie native. E ancora, a peggiorare le cose, l’industria dell’acquacoltura rappresentava (ed è ancora così) una perdita netta in termini di massa ittica; il pesce foraggio – spe-cie piccole ed economiche che non amiamo sulla nostra tavola ma di cui si nutrono i pesci non allevati – è catturato in grandi quantità e trasformato in alimento per i pesci di allevamento più grandi, più gustosi e più costosi preferiti dai consumatori.

Chiaramente questi problemi non erano un bene per gli affa-ri, e l’industria ha studiato soluzioni innovative per affrontarli. Un esempio è la strategia di Kona Blue: allevare in aree con forti cor-renti del mare aperto. Altri piscicoltori stanno iniziando ad alleva-re alghe e animali che si nutrono per filtrazione, come i molluschi, vicino ai recinti ittici per assorbire i rifiuti. In tutta l’industria del settore, compresi i recinti in acqua dolce, i progressi nella zootec- M

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nia e nella composizione del mangime stanno riducendo le malat-tie e contribuiscono a far crescere gli esemplari più rapidamente, usando meno pesce foraggio nella loro dieta.

C’è anche chi sperimenta una mossa ancora più audace. I pae-si esercitano diritti esclusivi nella gestione delle acque fino a 200 miglia nautiche dalle proprie coste, una vasta frontiera ancora non sfruttata per la produzione di cibo allevato. Intorno agli Stati Uni-ti, questa frontiera misura 3,4 milioni di miglia quadrate. I recin-ti ittici sommersi, alimentati da grosse eliche, potrebbero spostar-si seguendo le correnti oceaniche, tornando mesi dopo al proprio punto di partenza o raggiungendo una destinazione remota per consegnare pesce fresco da mettere sul mercato.

L’ingegnere oceanografico Clifford Goudey ha testato il primo recinto ittico sommergibile semovente del mondo al largo di Puer-to Rico alla fine del 2008. La gabbia, una sfera geodetica del dia-metro di 20 metri, si è dimostrata manovrabile una volta attrezza-ta con un paio di eliche da 2,5 metri, spiega Goudey, ex direttore del Sea Grant’s Offshore Aquaculture Engineering Center del Mas-sachusetts Institute of Technology. E ipotizza di lanciare dozzine di allevamenti mobili in successione ogni nove mesi in una corrente che attraversa il Mar dei Caraibi.

Frenesia famelicaL’aspetto più arduo da affrontare nell’acquacoltura marina è

stato l’uso di piccoli pesci come mangime per i pesci più grandi al-levati. (I pesci piccoli non sono allevati, visto che già c’è un settore industriale ben avviato che li cattura e li trasforma in farina di pe-sce e olio.) Riesco a mettere bene a fuoco la questione solo quando con Sims saliamo a bordo di una vecchia nave da trasporto della

marina militare degli Stati Uniti trasformata in chiatta portaman-gime. L’ondeggiare del mare mi fa barcollare da un lato all’altro mentre mi dirigo a prua, facendomi ripensare a un viaggio turbo-lento su un pickup di molto tempo fa, attraverso un pascolo semi-congelato del Missouri. Il ricordo dell’odore dolce dell’erba secca svanisce quando sollevo una manciata di mangime marrone ole-oso da un sacco da nove quintali lasciato aperto sul ponte. Quel-le palline hanno l’aspetto di crocchette per cani, ma puzzano come una scatoletta di acciughe vuota.

L’odore non mi sorprende. Il 30 per cento del mangime di Kona Blue è costituito da acciughe peruviane macinate. Sims mi spiega che le ricciole potrebbero sopravvivere anche con una dieta vege-tariana, ma perderebbero sapore, e la loro carne non conterreb-be gli acidi grassi e gli amminoacidi che ne fanno un alimento sa-no. Quegli ingredienti arrivano dalla farina e dall’olio di pesce, e il punto è proprio questo. «Spesso siamo messi in croce perché ucci-diamo pesci per allevare pesci», dice Sims.

I detrattori temono che la crescente domanda da parte degli al-levamenti ittici spazzi via acciughe, sardine e altri tipi di pesce fo-raggio. Prima della moderna piscicoltura la maggior parte della farina di pesce era usata per nutrire maiali e polli, ma oggi il 68 per cento è destinato all’acquacoltura. Il consumo è però diminui-to grazie a mangimi avanzati. Quando Kona Blue ha iniziato ad al-levare le ricciole, nel 2005, il mangime era costituito per l’80 per cento da acciughe. Ma già nei primi mesi del 2008 l’azienda aveva ridotto la quota al 30 per cento – senza sacrificare il gusto o i be-nefici per la salute, afferma Sims – aumentando la concentrazio-ne di farina di soia e aggiungendo olio di pollame, un sottopro-dotto della lavorazione avicola. Le palline di mangime composito

Sarah Simpson è una giornalista freelance e collaboratrice di «Scientific American».

A l I m e n tA r e I l m o n d o

Equatore

OCEANO PACIFICO

OCEANOATLANTICO

OCEANO ARTICO

IsoleMidway

Isoladi Wake

Isola Howland,Isola di Baker

Samoaamericane

Isola Jarvis

Kingman Reef,Atollo Palmyra

JohnstonAtoll

Isole MarianneSettentrionali

Guam

Stati Uniti

Alaska

Puerto Rico,Isole Vergini Americane

IsolaNavassa

IsoleHawaii

19700

10

20

1980 1990 2000

30

Acquacoltura

Cattura

Proteine: da terra o mare?

Chi ha i numeri per fornirle?

l’enorme potenziale degli Stati Uniti

Gli allevamenti costieri, in mare aperto e nelle profondità oceaniche, potrebbero espandersi alle acque federali (in blu).

Il mondo ha bisogno di più proteine

La «zona economica esclusiva» di una nazione si estende fino a 200 miglia nautiche dalla costa. Quella statunitense (in blu) è la più estesa del mondo e copre

una superficie di 3,4 milioni di miglia quadrate, cioè una superficie più grande del territorio degli Stati Uniti.

Cibo derivato dall’industria ittica mondiale (chilogrammi pro capite)

IL PESCE produce solo il 7 per cento

delle proteine mondiali.

I PAESI ASIATICI producono la grande maggioranza di pesce e crostacei da acquacoltura.

LE AREE DI COLTIVAZIONE E PASCOLO, alle rese attuali, dovranno crescere del 50-70 per cento per dare il cibo necessario entro il 2050.

LA POPOLAZIONE MONDIALE aumenterà da 6,9 a 9,3 miliardi entro il 2050. 2010 2050

L’ACQUACOLTURA produce il 47 per cento del pesce consumato a livello mondiale. Se continua a crescere al tasso attuale del 7,4 per cento all’anno, e se l’agricoltura continua a crescere con il tasso del 2,0 per cento, potrebbe produrre in modo sostenibile il 62 per cento delle proteine globali totali entro il 2050.

2010 2050

Asia (88,9%)

Altri

Oceania (0,3%)

Africa (1,8%)

Europa (4,4%)America (4,6%)

Tasso di crescita previsto: 7,5%

Vegetale

Pesce

Animale

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sono un miglioramento rispetto alle sardine, che però sono ancora la norma tra gli allevatori meno responsabili.

Un obiettivo per gli imprenditori più attenti è un rapporto in cui la quantità di pesce in mangime equivale al peso del pesce prodot-to. Gli allevatori di tilapia di acqua dolce e pesce gatto hanno rag-giunto questa proporzione, ma i piscicoltori marini non ci sono riusciti. Dato che il 70 per cento del mangime di Kona Blue è costi-tuito da proteine e olio agricolo, l’azienda di Sims ha bisogno so-lo di una quantità di acciughe compresa tra 720 e 910 grammi per produrre 0,5 chilogrammi di ricciola. Per l’industria del salmone di allevamento, la media è di circa 1,36 chilogrammi. Per eliminare qualsiasi perdita netta di proteina marina, l’industria dovrebbe ri-durre quel rapporto. Tuttavia il pesce di allevamento mangia assai meno rispetto al suo equivalente non allevato: un tonno può con-sumare circa 90 chilogrammi di cibo, solo pesce, per ogni chilo-grammo del suo peso acquistato durante tutta la sua vita.

La pressione per ridurre il pescato di sardine e acciughe cresce-rà con l’aumentare degli allevamenti ittici. L’acquacoltura è il set-tore di produzione alimentare che sta crescendo di più al mondo, a un tasso del 7,5 per cento all’anno dal 1994. A questo ritmo, entro il 2040 le risorse di farina e olio di pesce potrebbero essere esauri-te. Un obiettivo ancora più importante, quindi, è eliminare il pesce dal mangime entro una decina d’anni, dice l’ecologo marino Car-los M. Duarte, direttore del Laboratorio Internacional de Investiga-ción del Cambio Global a Majorca.

Una svolta potrebbe essere estrarre il tanto richiesto acido gras-so omega-3 DHA da alghe microscopiche, che potrebbe sostituire parte del contenuto in pesce nel mangime. Advanced BioN utrition, un’azienda di Columbia, nel Maryland, sta testando mangime con DHA ottenuto da alghe e usato anche per omogeneizzati, latte e succhi venduti nei negozi. Lo scorso anno i ricercatori dell’Austra-lia’s Commonwealth Scientific and Industrial Research Organiza-tion per la prima volta hanno estratto DHA da piante cresciute su terraferma. Duarte suggerisce che la feroce competizione per la di-sponibilità di terra da coltivare e acqua dolce costringerà i pisci-coltori a eliminare soia, olio di pollo e altri prodotti di derivazione terrestre, e ad alimentare i pesci con zooplancton e alghe marine, che si coltivano facilmente. (Già oggi le alghe costituiscono quasi un quarto del valore complessivo dell’acquacoltura marina.)

Nonostante i progressi, però, la piscicultura continua a essere criticata. L’ecologo marino Jeremy Jackson, della Scripps Institu-tion of Oceanography, afferma di essere «fermamente contrario» all’acquacoltura di pesci predatori e gamberi, in pratica di qualsia-si pesce che le persone amino mangiare in stile sashimi. Definisce questa pratica «catastrofica da un punto di vista ambientale» ri-spetto alla pressione che impone sulle riserve di pesce non allevato e insiste sul fatto che dovrebbe essere dichiarata «illegale».

Meglio del vitelloIl punto di vista di Jackson, ripreso anche da altri critici, è che

il rischio di esaurire le aree di pesca del pesce foraggio, già sovra-sfruttate, è troppo grande per giustificare la possibilità di servire in tavola cibo di lusso che la maggior parte del mondo non assagge-rà mai. Sarebbe molto meglio mangiare sardine e acciughe diretta-mente invece che predatori di allevamento pregiati.

Sims concorda sul fatto che dovremmo pescare più in basso nel-la rete trofica, ma afferma che ciò non equivale a mangiare pro-dotti di qualità inferiore. «Diciamo le cose come stanno. Mangio le acciughe sulla pizza, ma non riesco a farlo fare a nessun altro in famiglia», dice. «Se riusciamo a ottenere 0,5 chilogrammi di sushi

Gabbie in oceano apertoIn futuro, una serie di recinti mobili e sommersi, manovrati da eliche, potrebbero muoversi seguendo correnti prevedibili, giungendo a destinazioni remote nei mesi successivi, quando il pesce è maturo. Alcuni macchinari distribuirebbero il mangime conservato nel pilone al centro del recinto.

Collari per turbineMolluschi e alghe si attaccano spontaneamente a strutture lineari sintetiche e crescono in modo naturale. Le strutture potrebbero essere collocate intorno e negli spazi tra turbine eoliche al largo della costa per attirare investimenti e ridurre la competizione per lo spazio in mare.

Serbatoi sulla terrafermaI pesci iniziano a crescere in serbatoi terrestri, poi la maggior parte è spostata in recinti ittici. Alcuni aziende però hanno iniziato ad allevare il pesce portandolo alla taglia desiderata in serbatoi a terra, dove inquinanti, malattie ed eventualità di fuga possono essere tenute sotto controllo.

recinti ittici costieriPesanti recinti di rete metallica si possono ancorare e mantenere con relativa facilità. I distributori automatici di nutrienti possono minimizzare gli sprechi spegnendosi quando sensori a infrarossi sul fondo marino rilevano la presenza di mangime. Alghe e molluschi che

si nutrono di rifiuti ittici possono, se coltivati

immediatamente «a valle», ridurre l’inquinamento e aumentare i profitti. Inoltre, sotto i recinti ittici si possono collocare vasche con

organismi mangia-rifiuti, come i ricci di

mare.

Gabbie al largo della costaI pesci giovani sono messi in una gabbia ancorata e con dimensioni di una palestra. Allagando il pilone, si sommerge il recinto fino a quando il pesce è cresciuto al punto giusto. Una barca invia il cibo nella gabbia mediante tubi, e le correnti marine portano via gli escrementi. Il recinto è sollevato per la pesca e la pulizia.

Ingresso a cerniera per i sub

Tubo di alimentazione

Pilone (può essere riempito d’aria per aumentare la galleggiabilità)

Boa di superficie

Antenna

Linee di alimentazione

Eliche

Alghe

Molluschi

Distributore automatico di cibo

Sistema di circolazione

Collare

Molluschi

C o m e F U n Z I o n A

Cinque modi per allevare pesce

La maggior parte del pesce di allevamento è fat-ta crescere in serbatoi sulla terraferma e in re-cinti ittici costieri, ma sempre più spesso le gab-bie sono ancorate in mare aperto. Almeno un prototipo di recinto, sommerso e manovrato da eliche, è stato testato in oceano aperto. Inoltre si stanno coltivando alghe e molluschi su strutture collocate accanto ai recinti ittici costieri e si po-trebbe fare lo stesso intorno alle turbine eoliche in mare aperto.

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allevato ogni 0,5 chilogrammi di acciughe, perché non dare alle persone ciò che desiderano mangiare?».

Ci sono persone che snobbano il pesce, di allevamento o me-no, perché pensano che il pianeta e i suoi abitanti sarebbero più sani se si mangiassero più vegetali. Ma la società non sta diven-tando vegetariana. Più persone mangiano più carne, in particolare a causa della crescita costante di benessere, urbanizzazione e sti-li di vita occidentali delle popolazioni nei paesi in via di sviluppo. L’Organizzazione mondiale della Sanità prevede entro il 2050 un aumento del 25 per cento nel consumo pro capite di carne. Anche se il consumo rimanesse stabile, con le rese attuali le aree destina-te all’agricoltura e al pascolo dovrebbero aumentare tra il 50 e il 70 per cento per produrre le risorse alimentari necessarie nel 2050.

Questa realtà richiede un confronto che si fa raramente: pisci-coltura contro allevamento terrestre. Gestita in maniera corretta, la piscicoltura potrebbe fornire le proteine di cui il mondo ha biso-gno riducendo al minimo l’espansione della zootecnia tradizionale e i costi ambientali collegati.

Gli allevatori tradizionali hanno già trasformato il 40 per cen-to della superficie terrestre del pianeta. E dopo 10.000 anni passati a sciogliere i nodi di fondo restano ancora tanti grossi problemi. Il bestiame mangia enormi quantità di raccolti altamente fertilizza-ti, gli allevamenti suini e avicoli sono fortemente inquinanti. Le zone morte dovute agli allevamenti ittici costieri sono niente in confronto alle gigan-tesche zone morte che l’uso di fertilizzanti cau-sa nel Golfo del Messico, nel Mar Nero e in altre aree, e in confronto alle dannose fioriture alga-li che gli effluenti degli allevamenti suini hanno causato nella baia di Chesapeake, sulla costa occi-dentale degli Stati Uniti.

Un numero crescente di scienziati sta confron-tando gli impatti ambientali dei sistemi di pro-duzione di proteine, in modo da «concentrare le energie per risolvere efficacemente i problemi più pressanti», scrive Kenneth M. Brooks, consulente ambientale di Port Townsend, nello Stato di Wa-shington. Brooks stima che allevare bovini Angus richieda 4400 volte più terreno per pascoli di alta qualità rispetto al fondo marino necessario per il peso equivalente di filetti di salmone atlantico da allevamento. Ma c’è di più: l’ecosistema al di sotto di un allevamen-to di salmone può riprendersi in meno di dieci anni, mentre occor-rono secoli affinché un pascolo torni a essere una foresta matura.

Una ragione più convincente per coltivare proteine in mare po-trebbe essere la riduzione del consumo di acqua dolce. Come evi-denzia Duarte, la produzione di carne animale rappresenta solo il 3,5 per cento della produzione alimentare, ma consuma il 45 per cento dell’acqua usata in agricoltura. Spostando la maggior parte della produzione proteica nell’oceano, dice, «l’agricoltura potrebbe crescere molto senza superare gli attuali livelli di consumo idrico».

Naturalmente, anche la raccolta e il trasporto della farina di so-ia e dell’olio di pollo e l’alimentazione dei banchi di pesce richie-dono energia e creano emissioni. Il consumo di combustibili e le emissioni sono maggiori per gli allevamenti più lontani dalla co-sta, ma comunque incidono meno rispetto a quelli della maggior parte delle flotte di pesca. Oggi l’unico modo sicuro per avere pro-fitti da un allevamento d’altura è allevare pesci pregiati, ma i costi si possono ridurre: alcuni allevamenti sperimentali stanno già col-tivando molluschi a costo competitivo in oceano aperto.

Distinzioni ambientaliSe una delle risposte alla domanda globale di proteine è un au-

mento dell’offerta di pesce, perché non limitarsi a pescare di più? Molte zone sono al massimo dello sfruttamento, mentre la popo-lazione globale, insieme alla domanda pro capite di pesce, sta cre-scendo esponenzialmente. In Nord America, per esempio, si segue il consiglio di esperti per cui si deve mangiare pesce per ridurre il ri-schio di attacco cardiaco e migliorare la funzionalità del cervello.

In più, le flotte di pesca consumano grandi quantità di carbu-rante ed emettono grossi volumi di gas serra e inquinanti. Metodi di pesca ampiamente usati, come la rete a strascico e il dragaggio, uccidono milioni di animali; gli studi indicano che almeno la me-tà del pescato catturato in questo modo è scartata perché troppo piccola, perché supera le quote o è della specie sbagliata. Inoltre, spesso quando viene rigettato in mare questo pescato inutile è già morto. L’acquacoltura elimina questa perdita: «Gli allevatori “colti-vano” il pesce solo nei recinti marini», osserva Sims.

Goudey sottolinea un’altra realtà spesso sottovalutata: si può coltivare pesce in modo più efficiente rispetto a come lo si pesca. Il pesce di allevamento converte il cibo in carne in modo più ef-ficace rispetto alle controparti non allevate, che spendono enormi quantità di energia per mangiare e sfuggire ai predatori, cercare un

compagno e riprodursi. Il pesce di allevamento ha vita più facile, così la maggior parte della dieta è investita nella crescita.

Al momento della pesca la ricciola di Kona Blue e la maggior parte del salmone allevato hanno da uno a tre anni di età, un terzo dell’età del tonno per il sushi. L’età più giovane implica anche che il pesce di allevamento ha meno occasioni di accu-mulare mercurio e altri inquinanti persistenti che possono rendere tonno e pesce spada una poten-ziale minaccia per la salute.

In effetti, oggi gli allevamenti producono il 47 per cento del pesce consumato nel mondo, rispetto al 9 per cento del 1980. Gli esperti prevedono che entro il 2050 si potrebbe salire al 62 per cento del consumo totale di proteine. «L’acquacoltura è de-stinata a durare. Le persone contrarie non hanno afferrato il concetto», afferma Jose Villalon, diret-tore del programma acquacoltura del WWF. Guar-

dare solo ai problemi è fuorviante, se non li si confronta con i pro-blemi di altre produzioni alimentari. L’acquacoltura ha un impatto sulla Terra, e i progressi non elimineranno tutti i problemi. Ma ogni sistema di produzione alimentare impone una tassa sull’am-biente, e i produttori di pesce non allevato, manzo, maiale e polla-me impongono alcune delle tasse più pesanti.

Per incoraggiare le buone pratiche e contribuire a distinguere gli allevamenti ittici puliti dai peggiori inquinatori, il WWF ha contri-buito alla fondazione dell’Aquaculture Stewardship Council (ASC), che deve stabilire standard globali per pratiche responsabili e con-trolli indipendenti per la certificazione degli allevamenti adem-pienti. La prima serie di standard è attesa per quest’anno. L’ASC ritiene che la certificazione potrebbe motivare i 100-200 grandi ri-venditori globali di pesce ad acquistare la merce da allevamenti certificati invece che trattare con migliaia di produttori.

George Leonard, direttore dell’acquacoltura per Ocean Conser-vancy, concorda sul fatto che queste certificazioni dall’allevamento al piatto siano importanti per incoraggiare i piscicoltori a seguire pratiche migliori di sostenibilità. Come in qualsiasi altra industria M

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globale, afferma Leonard, ci saranno sempre fornitori economici e senza scrupoli. Stabilire una «piattaforma» normativa potrebbe ri-chiedere agli allevatori statunitensi di comportarsi in maniera re-sponsabile «senza impedire di essere competitivi».

Si tratta di un punto centrale. Solo 5 dei 20 allevamenti d’altura si trovano in acque statunitensi. Goudey pensa che in questo set-tore ci sarebbero più imprenditori, se gli Stati Uniti adottassero un sistema di licenze per le acque federali, dalle 3 a 200 miglia nau-tiche dalla costa. «Nessun investitore finanzierà un’operazione del genere fino a quando non ci saranno statuti che garantiscano i di-ritti di proprietà di quell’operazione», afferma Goudey. Gli alleva-menti statunitensi si trovano all’interno della fascia delle 3 miglia controllate dagli Stati federali, e sono pochi gli Stati, come le Ha-waii, ad autorizzarli. La California non ha ancora concesso per-messi, sebbene il governo stimi che un’industria d’altura sostenibi-le in meno dell’uno per cento delle acque della California potrebbe generare entrate fino a un miliardo di dollari l’anno.

Politica delle proteinePer crescere in maniera sostenibile, l’industria degli allevamen-

ti ittici avrà bisogno di politiche adeguate e di maggiore equità. Per ora il governo degli Stati Uniti sovvenziona pesantemente il carburante per le flotte che praticano strascico e dragaggio, no-nostante sia risaputo che questi tipi di pesca distruggono il fon-do marino e portano a una spaventosa quantità di by-catch morto. I sussidi per la zootecnia aiutano a mantenere redditizie la produ-zione bovina, suina e avicola. E potenti lobby agricole continua-no a bloccare i tentativi di ridurre il flusso di fertilizzante ricco di azoto nel fiume Mississippi. «Quasi nessuna di queste vie tradizio-nali di produzione alimentare ha subito lo stesso esame approfon-dito dell’acquacoltura», afferma Brooks. L’opinione pubblica ha ac-cettato lo sfruttamento della terra, ma ritiene che l’oceano sia una frontiera selvaggia inviolabile, anche se questo squilibrio potrebbe non essere il progetto più sostenibile per nutrire il mondo.

Presto i cambiamenti delle politiche a livello federale e regiona-le potrebbero rendere disponibili le acque federali degli Stati Uniti. Nel gennaio 2009 il Gulf of Mexico Fish ery Management Council

ha votato a favore di un progetto senza precedenti per consenti-re l’acquacoltura d’altura nella propria giurisdizione, in attesa di un’approvazione della U.S. National Oceanographic and Atmo-spheric Administration (NOAA). La NOAA valuterà il progetto so-lo dopo aver definito la nuova politica nazionale sull’acquacoltura, che si occupa di tutti i tipi di industria e che probabilmente inclu-derà direttive per lo sviluppo di una rete nazionale coerente per la regolamentazione delle attività commerciali. «Non vogliamo che la rivoluzione blu ripeta gli stessi errori della rivoluzione verde», af-ferma Jane Lubchenco, direttore della NOAA. «È troppo importante per commettere uno sbaglio, e ci sono tante possibilità di errore».

Con una domanda che cresce senza sosta, è necessario fare scel-te difficili su dove stabilire la fetta più grande della produzione di proteine. «Uno dei miei obiettivi è stato arrivare a un punto in cui, quando le persone parlano di sicurezza alimentare, non intendono solo cereali e bestiame, ma anche bacini di pesca e acquacoltura», afferma Lubchenco. Duarte suggerisce di allentare la pressione dal-la terraferma e rivolgere l’attenzione al mare, dove abbiamo l’op-portunità di fare acquacoltura nel modo giusto, e per non doverlo rimpiangere quando fra quarant’anni ci guarderemo indietro.

Per quanto riguarda il ruolo di Neil Sims nella rivoluzione blu, sta corteggiando le aziende tecnologiche per ottenere cospicui mi-glioramenti. Strumenti come robot per pulire le reti, alimentato-ri automatici e videocamere a controllo satellitare per monitora-re la salute dei pesci e i danni alle gabbie aiuterebbero Kona Blue a gestire gli allevamenti a distanza. «Non solo perché così possia-mo coltivare più pesce», dice Sims. «Ma anche perché così possia-mo coltivare più pesce e meglio». n

The State of World Fisheries and Aquaculture 2008. FAO, 2009.

Will the Oceans Help Feed Humanity? Duarte C.M. e altri, in «BioScience», Vol. 59, n. 11, pp. 967-976, dicembre 2009.

Sustainability and Global Seafood. Smith M.D. e altri, in «Science», Vol. 327, pp. 784-786, 12 febbraio 2010.

Will Farmed Fish Feed the World? Analisi del Worldwatch Institute: www.worldwatch.org/node/5883.

p e r A p p r o F o n d I r e

la ricciola allevata cresce in modo più efficiente del pesce non allevato, che consuma più energia per cacciare e fuggire dai predatori.

Le zone morte causate dagli allevamenti

ittici presso le coste sono nulla

rispetto alle zone morte

causate in tutto il mondo dall’uso

intensivo di fertilizzanti