Il metodo · Perché non ti lamenti mai? Me ne rendo conto, sai, a volte sono scorbutico con te,...

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Il metodo (Rivelazioni e liberazioni da rilevazioni). Atto Unico di Alessandro Iori 1

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Il metodo

(Rivelazioni e liberazioni da rilevazioni).

Atto Unico

di

Alessandro Iori

1

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Personaggi:

Alfredo il pittore, Erika la compagna del pittore, Monica la visitatrice.

Scena:

Al centro: un divano e due poltrone.

Ai lati: un divanetto, un cavalletto, tele ed altre cose che rivelino lo studio di un

pittore.

La storia:

L’incontro con un pittore, che vive un grande amore con la sua modella e conoscitore di

un particolare metodo, consente ad una donna di mettersi completamente a nudo fino

a svelare segreti da sempre sopiti nell’ anima.

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Alfredo sta lavorando al suo quadro, Erika, la modella, è in posa nuda sul divanetto.Dopo qualche attimo Alfredo si alza e le si avvicina. Le sposta un po’ il corpo come perritrarla meglio e, baciandola con affetto:eh, cara Erika, sei sempre la mia modella

preferita!

E:lo so, Alfredo, l’ho sempre saputo. Contraccambiando il bacio appassionatamente.A:ma perché fai sempre tutto quello che ti chiedo? Perché non ti lamenti mai? Me ne

rendo conto, sai, a volte sono scorbutico con te, insopportabile direi.

Erika: Contraccambiando il bacio appassionatamente: certo, sei scorbutico,

insopportabile, ma io ti conosco e, soprattutto, ti amo.

A:anche io ti amo, ma non so se riuscirei a sopportarti se ti comportassi con me come

io mi comporto con te.

E:anch’ io non ti sopporterei se ti comportassi con me come io mi comporto con te…non

sopporterei un amante schiavo!!

A:già! Io sono il padrone e tu la schiava!

E:esatto.

A:anche se poi, fuori dal letto, si finisce sempre per fare tutto quello che vuoi tu!

E:certo. Io sono la tua schiava a letto…mica fuori!

A:già, credo che tra noi funzioni proprio così.

E:l’importante è che funzioni, no?

A:senza dubbio amore mio. Piuttosto, è tanto che ho voglia di chiederti una cosa.

E:dimmi.

A:perché quando perdo le staffe per qualcosa tu non dici mai niente… ma come è

possibile che non ti saltino i nervi?

E:e a cosa servirebbe? Si dice chi ha più cervello lo usi. In quei momenti,

evidentemente, ne ho più di te!

A:già.

E:sì ma poi ti dico sempre tutto ciò che sento dentro. Scelgo solo il momento ed il

modo adatti per dirlo. Tutto qui.

A:sei una donna eccezionale amore mio. Abbracciandola e baciandola sulle labbra. E:sono solo la tua compagna!

A:ed il mio amore!

E:stare con te mi rende felice.

A:certo! Fai tutto quello che ti pare!

E:perché tu no?

A:vorrei anche vedere! Sai quanto conta per tutti e due la libertà.

E:vero, non potrei vivere con qualcuno che mi tenga prigioniera.

A:nemmeno io.

E:ti scelgo ogni giorno, sai?

A:la cosa vale anche per me.

E:non ho dubbi, vecchio mio.

A:beh? Ti sei stufata di posare?

E:nient’ affatto, ma non aspettavi qualcuno?

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A:ah già…quella tizia che mi ha telefonato ieri. Guarda l’orologio. A:a proposito,

dovrebbe arrivare da un momento all’altro!

E:ma si sa perché viene?

A:non ne ho la più pallida idea. Mi ha detto solo che aveva avuto il mio numero da

Marta e che voleva vedermi.

E:e non ti ha detto perché?

A:no, mentre stavo al telefono con lei ha squillato il cellulare e così ho chiuso in fretta

e furia. Suppongo voglia vedere i miei quadri e magari comprarne uno.

E:speriamo!

A:sei preoccupata per i soldi, eh?

E:non particolarmente, abbiamo passato momenti peggiori, ricordi?

A:già, quando non ero ancora conosciuto e dovevo adattarmi a fare tremila lavoretti

per vivere!

E:esatto! Ti ricordi quel periodo in cui gli amici, con la scusa di venire a cena da noi, ci

portavano da mangiare?

A:e chi se lo dimentica! Certo è stata dura, ma tu hai sempre creduto in me. Era come

se sapessi che un giorno avrei sfondato.

E:non solo io. Tutti i nostri amici hanno sempre creduto in te e nel tuo talento.

A:è vero. Beh, sono stato fortunato.

E:no, sei stato giusto…hai lottato per ciò in cui credevi e, alla fine, hai vinto.

A:peccato che tuo padre e tua madre non abbiano capito!

E:non pensarci ora. I miei genitori sono morti prima di poter assistere al tuo successo.

Quel maledetto incidente…se penso che avrei dovuto essere lì, in macchina con

loro!

A:non farmici pensare…saresti morta anche tu ed io ti avrei perduta per sempre!

E:non per sempre…solo per un po’. Ci saremmo incontrati di nuovo dopo la tua morte…

credo.

A:sempre ottimista eh?

E:sempre!

A:è per questo che ti amo tanto, perché, per dirla da pittore, riesci a colorare la mia

vita.

E:e tu illumini la mia di coraggio e speranza.

A:ah, attenta alle speranze ed alle aspettative! Dovremmo avere solo aspirazioni.

E:perché?

A:perché se aspiriamo a qualcosa possiamo ottenerlo con il nostro impegno, mentre il

realizzarsi delle speranze è in mano al destino e le aspettative dipendono dagli

altri!

E:certo che sei proprio un saggio! E ride.I due si abbracciano. Suona il campanello della porta. A:dev’essere quella tipa. Va di là. E. si copre con una vestaglia:mi raccomando fatti pagare. Ed esce di scena..

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Alfredo va ad aprire. Entra Monica.A:buongiorno, Monica vero?

M:sì, buongiorno, e lei è Alfredo?

A:in persona, si accomodi, prego.

M: grazie.

Si siedono sulle due poltrone, come indicato da Alfredo.A:vuol bere qualcosa, che so, un caffé, un’aranciata?

M: no, grazie, per ora va bene così, semmai più tardi.

A:come crede….allora come mai ha voluto questo incontro con me?

M:come le ho anticipato per telefono ho sentito parlare di lei da una mia amica di nome

Marta. Ci conosciamo da sempre e così non ho potuto far a meno di notare quanto

ultimamente sia profondamente cambiata.

A:in che senso?

M:non saprei dirle esattamente ma…la vedo più sicura di se stessa…più libera…più

spontanea. Anche nei rapporti con gli amici è diversa. Prima era silenziosa,

sembrava timida, impacciata. Ora parla con tutti, scherza, ride, come se i suoi

timori fossero spariti di colpo. Insomma sembra sbocciata ad una nuova

consapevolezza.

A:mi fa piacere saperlo, mi rallegro per lei, ma non vedo il nesso tra quanto mi sta

dicendo ed il motivo della sua visita.

M:ora le spiego. Alla mia richiesta su cosa le fosse accaduto mi ha raccontato di aver

vissuto con lei un’esperienza che le aveva consentito di entrare in profondo

contatto con se stessa. Tale esperienza le aveva permesso di superare tutta una

serie di problemi legati all’accettazione della sua persona e delle sue emozioni. A

quanto mi ha detto Marta lei sarebbe in possesso di un metodo che

consentirebbe a chiunque di ottenere lo stesso risultato. Insomma, sono qui

perché vorrei che lei mi facesse vivere la stessa esperienza utilizzando quel

metodo anche con me.

A:senta Monica, non so cosa le abbia raccontato Marta, ma la cosa non è così semplice.

Innanzi tutto io non sono uno psicologo, né uno psichiatra, anzi non sono nemmeno

laureato, poi con Marta tutto è successo per caso. Ci siamo conosciuti ad una

cena di comuni amici, siamo entrati in confidenza e dopo, molto tempo dopo,

avendole raccontato per caso di quel metodo cui le ha accennato, ha deciso di

sperimentarlo con me. Non le nego che ero molto titubante, dato che ne temo i

risvolti, ma, vista la sua insistenza, ho deciso di farglielo conoscere. Mi fa

piacere sentire che ora sta bene con se stessa, ma non vorrei che mi mandasse

tutti i suoi amici. Vede, io sono un pittore che, per lavoro, ha girato mezzo mondo

ed è venuto in contatto con tanta gente. Il metodo di cui parliamo mi è stato

trasmesso tanti anni fa da una persona che ha cambiato la mia vita, ma non so

quanto possa essere utilizzato con tutti. Insomma, non è il mio mestiere e non ho

voglia di prospettarlo a chiunque.

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M: non le sto chiedendo di prospettarlo a chiunque, ma a me. Glielo giuro non ne

parlerò con nessuno…resterà un segreto tra noi.

A: e cosa cambia? Si ritiene forse speciale? E poi cosa le ha raccontato Marta?

M: non mi ritengo assolutamente una persona speciale, né Marta mi ha detto granché.

Una sera stavamo parlando del suo cambiamento e, dietro mia insistenza, mi ha

detto di come debba il suo cambiamento al metodo ed a lei. A quel punto le ho

chiesto il suo numero di telefono e l’ho chiamata. Ed ora eccomi qui.

A: pensi…ero convinto fosse una cliente che voleva acquistare uno dei miei quadri!

M:ma io sono disposta a pagare la sua prestazione! Magari acquistando un suo quadro.

A: non lo dica nemmeno per scherzo! Io sono un pittore, non uno psichiatra, ed i miei

quadri non si acquistano per pagare strane prestazioni, ma perché piacciono e si

desidera possederli. Ciò che ho fatto con Marta non è necessariamente

riproducibile all’infinito, via, e di certo non prevede un pagamento come lei dice!

M:come vuole, ma prima di andarmene voglio farle una domanda. Lei crede nel metodo?

A:non saprei risponderle. A me ha cambiato la vita e, a quanto mi dice, l’ha cambiata

anche a Marta, ma non credo sia sufficiente per dare al metodo una valenza

scientifica, non crede?

M:vero, ma sono due successi su due casi, cioè il cento per cento!

A:ma lei ha una vaga idea di cosa stiamo parlando?

M:no, ma sento che ho voglia di provare.

A:forse sarà il caso che gliene parli prima un po’ io, magari poi cambierà idea.

M:mi ha anticipato, stavo per chiederle proprio questo.

A:allora, la partenza è facile da comprendere:esprimiamo noi stessi fino in fondo solo

se riusciamo a rappresentarci agli altri per quel che realmente siamo. In altre

parole le nostre interpretazioni degli io (padre, madre, professionista, amico,

amante, marito, moglie, ecc.) per essere vere e credibili devono nascere dal

nostro sé profondo e non da uno schema predefinito. Ma per riuscirci dobbiamo

prima accettare totalmente noi stessi, sia fisicamente che mentalmente. In altre

parole dobbiamo accettare il nostro corpo ed il nostro patrimonio intellettuale, le

nostre opinioni, le nostre emozioni, i nostri sentimenti.

M: ma questo è ovvio!

A: sì ma non sempre ciò che è ovvio è scontato! Quanta gente si accetta davvero per

quel che è?

M:mmh, pochi, penso.

A:appunto! O perché non ci conosciamo, e, spesso, non tentiamo nemmeno di farlo, o,

peggio, perché non risponderemmo ai canoni che via via ci vengono imposti dalla

società.

M:ma molta gente si ribella e tenta strade alternative per apparire diversa dagli altri!

A:esatto, apparire…non essere!

M:d’accordo, ma cosa si può fare allora per essere diversi?

A:ma è davvero tanto importante essere diversi, o si potrebbe invece scoprirsi simili

in una diversa visione?

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M:sì, ma quale?

A:semplice, una visione di totale libertà d’espressione, dove l’unico limite sia dato dal

rispetto degli altri.

M:facile a dirsi, ma a farsi?

A:per capire l’altro occorre capirne l’altrove, cioè il suo mondo, i suoi valori, il suo

modo di pensare, in altre parole…il suo noto.

M:d’accordo, ma come?

A:chi è sicuro di sé non si preoccupa di come appare, ma cerca di capire chi ha di

fronte, in altre parole non è centrato su se stesso, ma sugli altri. Si comporta

per quello che è, ma stando attento a non prevaricare gli altri né a farsi

prevaricare.

M:ci sto, ma come si diventa sicuri di sé?

A:le ripeto, semplicemente accettandosi per quel che si è, conoscendosi ed amandosi

anche per i propri limiti.

M:non semplice in un mondo che ci chiede di essere sempre al massimo!

A:ed in cui non lo siamo, comunque, mai.

M:vero.

A:ma cos’è essere al massimo, secondo lei?

M, sorridendo ironica: essere belli, ricchi e, magari, famosi.

A:da me e dal metodo non può ottenere niente di tutto questo.

M:scherzavo, certo che no!...Ma Marta è serena!

A:ma non è diventata più bella, ricca, né famosa per questo.

M:no, ma è serena!

A:certo ha imparato ad accettarsi per quel che è, tutto qui!

M:sì, ma come?

A:semplicemente cambiando la sua visione di sé e del mondo circostante.

M:detto così sembra facile!

A:esatto… “sembra”, perché non lo “è”.

M:e cosa ha fatto, dunque?

A:si è messa a nudo ed ha affrontato e demolito il noto comune per entrare in una

diversa dimensione, la sua.

M:come?

A:abbattendo i suoi pudori fisici e mentali.

M:tutto qui?

A:davvero le sembra poco?

M:non ritengo di avere particolari pudori, ma ciò non mi rende più sicura!

A:cos’è per lei il pudore?

M:beh…la vergogna.

A:lei quindi non avrebbe nessun problema a spogliarsi ora davanti a me!

M:non saprei, certo sono timida, quindi…

A:timida? Ha mai pensato che la timidezza possa essere figlia della presunzione?

M:in che senso?

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A:certo, il timido spesso è solo una persona che teme di mostrarsi, cioè di fare brutta

figura, perché ha un’alta considerazione di sé. Grande è colui che non ha paura di

sbagliare!

M:ammettiamo che lei abbia ragione, comunque, che senso avrebbe spogliarmi qui, ora,

davanti a lei?

A:nessuno, secondo i comuni parametri del pudore, anzi, sarebbe disdicevole!

M:certo!

A:appunto, ma secondo i comuni parametri del pudore, non in senso assoluto!

M:che vuol dire?

A:provi a chiedersi quanta gente non esprima le proprie idee, non racconti le cose più

intime e personali in nome della riservatezza, coprendo agli altri le sue nudità in

nome del rispetto e quanto usi le parole “riservatezza” e “rispetto” per

nascondere “complessi fisici” e “paura di raccontarsi”.

M:ma il mondo, la società, la cultura vogliono questo!

A:anche molte religioni, se è per questo, ma lei?

M:non capisco.

A:non mi sorprende. Quanto non si spoglierebbe e non si racconterebbe davanti ad uno

sconosciuto per complessi fisici o mentali personali e quanto per riservatezza e

rispetto della sua persona?

M:non saprei proprio, non me lo sono mai chiesta.

A:bene, ci pensi e poi mi risponda.

M:non capisco, mi creda.

A:è per questo che desidero che se ne vada. Perché il metodo presuppone questa

domanda ed esige una risposta precisa che forse non le appartiene e che non sta

a me suggerirle, ma solo al suo cuore ed al suo intelletto. Immaginare di vivere

qualcosa non è come viverlo realmente. Tutti sognano di partire e di andare a

vivere altrove, ma quanti lo vogliono al punto da farlo realmente? E tra coloro che

lo fanno, quanti realizzano un sogno e quanti sfuggono da una realtà che non

sopportano più? Ammetterà che c’è una bella differenza tra scegliere di

andarsene e fuggire!

M:senza dubbio! Non è difficile da comprendere!

A:bene! Affronterebbe il metodo per entrare in profondo contatto con se stessa o

per fuggire da se stessa?

M:non me lo sono chiesta, per la verità.

A:se lo chieda allora, o mollerà alla prima difficoltà perdendo e facendomi perdere

tempo. In questa fase, puramente conoscitiva, è più importante che io mi fidi di

lei che non lei di me, mi creda.

M:continuo a non capire.

A:è semplice da spiegare, se dovessimo cominciare la porta sarebbe sempre aperta e

lei potrebbe interrompere il metodo ed andar via quando volesse, ma l’immagine

che lei si farebbe di me potrebbe comportare problemi seri per la mia persona se

non venissi capito fino in fondo, perché ciò che, in nome del metodo, le chiederei

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potrebbe essere interpretato male da molti punti di vista, secondo il comune

modo di pensare.

M:perché, cosa mi chiederà?

A:di mettersi a nudo fisicamente e mentalmente davanti a me, tanto per cominciare.

M:e perché?

A:questo lo capirebbe solo vivendo il metodo e stando nella situazione.

M:non può farmi un esempio?

A:facendolo inizierei di fatto ad usare il metodo.

M:lo faccia allora, la prego.

A:bene, tenterò, ma ad un patto: che alla prima difficoltà o al primo dubbio da parte

sua lei sospenda immediatamente. Voglio che tutto avvenga con il massimo del

consenso. D’accordo?

M:va bene…d’accordo.

A:allora…tra spogliarsi e raccontare i suoi pensieri più intimi, cosa pensa le peserebbe

meno?

M:penso raccontarmi.

A:bene. Provi a pensare alle sue fantasie sessuali più intime ed immagini di raccontarle

a me. Potrebbe farlo senza problemi secondo lei o le comporterebbe qualche

difficoltà?

M:mi sembrerebbe strano, ma non credo che avrei problemi a farlo.

A:allora lo faccia.

M:debbo?

A:non ci siamo capiti. Lei non deve niente né ora né mai. Lo faccia solo se ritiene

opportuno farlo.

M:va bene. Immagino un uomo senza volto che mi compra come schiava e che mi usa

come vuole solo per il suo piacere.

A: mentre immaginava di raccontarlo ha provato imbarazzo?

M:sì, un po’.

A:e dopo averlo fatto?

M:no, passato. Ora l’averlo raccontato non è più importante.

A:bene, siamo già nel metodo, vuole continuare o ci fermiamo qui?

M:continuiamo.

A:le ricordo che può interromperlo in qualunque momento, capito?

M:capito.

A:può raccontarmi un’altra fantasia sessuale?

M:sì, a volte immagino di essere posseduta da più uomini contemporaneamente.

A:l’ha mai fatto nella realtà?

M:sì una volta, ma fu molto diverso e molto meno appagante di quanto avessi

immaginato.

A:già, la nostra fantasia a volte supera la realtà! Eppure, mi creda, a volte avviene il

contrario.

M:mi faccia un esempio.

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A: l’amore!…Esistono amori nella vita reale che ci donano un benessere ed un senso di

pienezza che nemmeno la più fervida fantasia riuscirebbe ad immaginare.

M:a me non è mai successo.

A:a me sì e, mi creda, se me lo avessero descritto prima, non ci avrei mai creduto. Il

bello è che è successo proprio quando non ci credevo più, quando pensavo che non

avrei mai più provato un sentimento così forte per una donna.

M:non è il primo a dirmelo. Ora che mi ci fa pensare credo che anche l’amore di una

madre per un figlio possa raggiungere livelli di profondità che non riusciremmo

mai ad immaginare.

A:brava! Bell’esempio!

M:grazie…ma torniamo al metodo?

A:giusto. Beh, come si sente ora, dopo avermi raccontato le sue fantasie sessuali?

M:tranquilla, nient’affatto imbarazzata, perché?

A:perché possa notare come tra immaginare qualcosa e viverla ci sia una bella

differenza!

M:devo riconoscerlo. Pensare di raccontare una cosa così intima ad uno sconosciuto mi

ha lasciato titubante, pensavo che dopo magari mi sarei vergognata, invece è

stato facile. Forza continuiamo.

A:aspetti…prima di continuare devo dirle una cosa. Durante la sperimentazione del

metodo lei potrebbe essere concentrata, attenta o abbandonata. Capisce la

differenza?

M:non proprio.

A:bene…se sarà concentrata, penserà solo a ciò che fa e, alla prima difficoltà, tenderà

ad abbandonare. Se sarà attenta, riuscirà a mantenere meglio il controllo della

situazione, ma potrebbe non arrivare ugualmente in fondo al percorso. Solo

lasciandosi andare potrà “stare” qui ed ora e provare realmente l’esperienza che

il metodo le propone. Sono stato chiaro?

M:sì, adesso è più chiaro. Proverò.

A:bene…quanti capi di vestiario indossa in questo momento?

M:comprese le scarpe?

A:comprese le scarpe.

M:sei.

A:bene. Immagini di toglierseli ora e qui. Quanti pensa potrebbe togliersi senza

problemi?

M:due.

A:quali?

M:scarpe e calze.

A:se la sente di farlo?

M:non è un problema, gliel’ho detto.

A:lo faccia, se vuole.

M:posso farlo certo, ma perché?

A:il perché non è dentro di me ma, se c’è, è dentro di lei. Lo faccia solo se vuole.

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M:ci pensa un po’. Lo faccio. Si toglie scarpe e calze. Fatto.

A:come si sente rispetto a prima di farlo?

M:non è cambiato niente.

A:ora se dovesse togliersi un altro indumento cosa si toglierebbe?

M:devo farlo?

A:ripeto, lei non “deve” niente. Le ho chiesto: “se” dovesse togliersi un altro indumento

cosa si toglierebbe con minor difficoltà?

M:penso la camicia.

A:bene. Immagini come si sentirebbe davanti a me senza.

M:credo mi sentirei in imbarazzo.

A:se la sente di togliersela?

M:non lo so, non capisco il motivo.

A:allora torni a casa.

M:dopo un attimo di silenzio: aspetti, voglio provarci.

A:allora lo faccia.

M:mica è così facile…mi aiuti.

A:va bene, andiamo per gradi, si sbottoni la camicia ma la tenga addosso.

M. esegue.A:ora faccia un bel respiro, conti fino a tre e poi se la tolga.

M. si toglie la camicia: fatto.

A. aspetta un attimo, poi: come si sente ora?

M:beh, mi sembra strano ma…sono tranquilla, tutto sommato.

A:ripensi a come immaginava sarebbe stata prima di togliersela e a come sta ora.

Percepisce differenza tra ciò che immaginava e ciò che è?

M:certo, una differenza enorme.

A:me la descriva.

M:immaginavo che sarei stata in imbarazzo, invece, devo ammettere che mi sento

quasi a mio agio.

A:ne sono contento. Vuol continuare?

M:sì.

A:cosa si toglierebbe ora tra pantaloni e reggiseno?

M:i pantaloni, ma non so se me la sento.

A:non lo faccia se non se la sente.

M:sì, ho capito che non debbo, ma voglio continuare.

A:faccia lei.

M. si toglie i pantaloni. Fatto.

A:come si sente?

M:bene, non pensavo ma sono abbastanza tranquilla. In fondo anche al mare sono in

una situazione simile, no?

A:non chieda a me se è giusto o no quello che fa. Io sono qui solo per provocare, non

per aiutarla. Si rilassi un attimo e poi decida lei se andare avanti o fermarsi qui.

M. riflette un attimo, poi: voglio andare avanti.

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A:come vuole. Cosa intende togliersi ora?

M:nulla.

A:bene. Abbiamo finito.

M:come…finito!

A:certo…finito. Il metodo prevede che lei si spogli e rifletta man mano su ciò che

prova prima di togliersi qualcosa e dopo averlo fatto. Ora, rifiutandosi di

proseguire…abbiamo finito.

M:vuol dire che me ne debbo andare?

A:esattamente, a meno che non abbia altri motivi per restare. Scusi ma non era venuta

qui per conoscere il metodo?

M:certo, ma non c’è un altro modo per continuare?

A:no, che io sappia.

M:vuol dire che a questo punto dovrei rivestirmi ed andarmene?

A:sì, penso sia la cosa migliore da fare.

M:aspetti, non voglio interrompere…mi dia un secondo e continuiamo.

A:ma perché ci tiene tanto, scusi?

M:non lo so, c’è qualcosa che mi dice che, anche se è tutto assurdo, valga la pena di

tentare.

A:allora, faccia quel che vuole ma…si rende conto che le sto chiedendo di spogliarsi

davanti a me…ad uno sconosciuto?

M:sì, ma se lei mi aiuta penso di farcela a superare la vergogna.

A:va bene, l’aiuto. Allora mi dica…quanto tempo pensa d’ impiegare a sganciarsi il

reggiseno?

M:beh, due secondi, credo.

A:allora respiri profondamente e se lo sganci.

M. esegue tenendo il reggiseno contro di sé con l’altra mano.A:facile, no?

M:certo, sono ancora coperta!

A:ora respiri profondamente e liberi le braccia dalle spalline.

M. esegue.A:ora lo lasci cadere da sotto le braccia. Facendo un gesto di incitamento. M. esita un

attimo ed esegue coprendosi il seno con le braccia.A:come sta?

M:se mi copro bene.

A:provi ad allargare le braccia.

M:oddio non è facile.

A:provi!

M. esegue scoprendo il busto e poggiando le braccia sulle cosce.A:attende un attimo, poi:ora come si sente?

M:sono tranquilla.

A:la sorprende?

M:sì, pensavo sarei stata molto imbarazzata, invece mi sento bene.

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A: vuol lasciar perdere, togliersi le mutande, o l’aiuterebbe se mi spogliassi anch’io?

M:credo mi aiuterebbe se si spogliasse anche lei, ci metterebbe sullo stesso piano.

A:bene lo faccio?

M:lo faccia.

A. si spoglia restando in mutande: come sta?

M:mi rasserena saperci nella stessa situazione.

A:se la sente di togliersi le mutande dunque?

M:solo se lo facciamo insieme.

A:ok. Al tre. Uno, due, tre. Entrambi si denudano e tornano a sedere sulle rispettive poltrone.

A:ora siamo nudi entrambi. Come si sente?

M:tutto sommato…bene.

A:si rende conto dell’assurdità della situazione?

M:sì, ma sto bene, incredibilmente.

A:mi descriva le sue sensazioni, ciò che prova in questo momento.

M:la situazione mi fa sorridere…lei ed io, due sconosciuti, nudi uno di fronte all’altro a

parlare di emozioni …ammetterà che è alquanto surreale! E ride nervosamente.A:secondo quali parametri?

M:beh, ammetterà che non è una cosa comune il fatto che due sconosciuti si denudino

e si guardino l’un l’altro senza una ragione reale.

A:e quali sarebbero le ragioni reali?

M:beh, che si desideri stare insieme, che ci sia un’attrazione, no?

A:e il metodo?

M:ah, giusto, il metodo…Beh, ora che succede?

A:intende dire che se la sente di proseguire? Non preferirebbe rivestirsi ed

andarsene, piuttosto?

M: Veramente sono stanca, il cervello mi scoppia, ma non ho voglia di andare. Senta,

ma solo per curiosità, fino a dove si arriva?

A: Come mai si chiede dove arriveremo… perché non si ferma al qui ed ora e vive la

situazione per quel che è, senza pensare al dopo? Arriveremo fin dove lei si

sentirà di arrivare.

M:ok!

A:Come si sente?

M:Come le ho detto prima ho un lieve mal di testa, ma è sopportabile.

A:Capisco. La causa del suo mal di testa sono gli schemi che arrivano, la invadono e le

urlano: “che cosa stai facendo, vergognati!”. Ora appena andrà via e varcherà

quella porta saranno lì e l’assaliranno ed è in quel momento che lei dovrà

combattere contro la sua cultura, il suo mondo. Gli schemi le hanno sempre detto

come bisogna comportarsi, cosa è lecito fare e cosa no. Uscita da qui è probabile

che metterà in discussione tutto quello che ha vissuto con me. E’ bene che lei lo

sappia.

M: Ma quel che ho fatto l’ho fatto volontariamente!

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A: Certo, ma, se dovesse pentirsene, le sarebbe facile dare la colpa a me e dire a se

stessa che sono stato io a spingerla a farlo.

M:niente affatto! Non sono una vigliacca o una bambina! Se decido di fare qualcosa so

assumermene la responsabilità. Sono arrivata fin qui, e, non foss’ altro per

curiosità, voglio vedere come andrà a finire.

A:bene. Allora devo spiegarle ancora una cosa. Nel proporle qualcosa d’ora in poi userò

un tono di comando. Resta inteso che se non vorrà potrà evitare di farla, ma, ai

fini della funzionalità, darle degli ordini precisi ci permetterà di risparmiare

tempo rispetto al chiederle ogni volta se se la sente. Mi comprende?

M:se ho capito bene lei mi dirà cosa fare ed io lo farò solo se me la sento. Cambierà

solo il modo di chiederlo. E’ così?

A:esattamente. Siamo d’accordo?

M:ok. Proseguiamo.

A:bene, allora si alzi in piedi e passeggi davanti a me.

M:cosa? Così…nuda?

A:preferisce che lo faccia prima io?

M:beh, forse dopo mi sarebbe più facile.

A:ok, posso?

M. sorridendo nervosamente:vediamo che succede.

A:si alza e passeggia velocemente davanti a lei, poi torna a sedersi.A:ora tocca a lei.

M:va bene. Fa altrettanto.A:come si sente?

M:bene. Ho avuto un po’ d’imbarazzo all’inizio, ma ora è tutto ok.

A:lo rifaccia.

M:di nuovo?

A:sì, di nuovo.

M. si alza e ripete la scena.A:è stato più facile, ora?

M:sì, molto più facile.

A:lo faccia un’altra volta.

M. si alza e ripete la scena.A:ancora più facile?

M:sì, una cavolata. E ride.A:vede? Un’abitudine è un’abitudine. Se ci abituiamo ad un comportamento ogni volta

ripeterlo ci sembra più facile. Il problema è stabilire quali siano i comportamenti

buoni e quelli cattivi per noi e scegliere di reiterare solo i primi.

M:semplice a dirsi ma su quali parametri?

A:non credo esista un parametro. Ma potremmo definire buoni tutti quei

comportamenti che ci consentono di esprimere noi stessi nel rispetto degli altri.

Penso che i nostri pensieri e le nostre azioni abbiano valore solo se ci

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appartengono e trovino l’unico limite espressivo nel rispetto profondo dei

pensieri e delle azioni degli altri.

M:capisco. In altre parole come la libertà individuale che finisce quando invade quella

altrui.

A:esattamente, ma attenzione! Riuscire ad esprimere noi stessi fino in fondo

presuppone accettazione, rispetto ed amore per chi realmente siamo, insieme ad

una grande consapevolezza dei nostri limiti ed un costante impegno per superare

le nostre paure.

M:e le nostre debolezze!

A:questa è una scelta individuale. A volte accettare le nostre debolezze è un modo per

volerci bene!

M:già, non ci avevo pensato! Comunque, facile a dirsi, ma la società c’impone

costantemente la sua cultura, le sue regole, insomma ci condiziona

continuamente.

A:accettare le regole della società, cosiddetta civile, non ci impedisce però di avere le

nostre opinioni e di poter “vivere secondo noi”! Possiamo comprendere qualcuno,

ma nessuno ci obbliga necessariamente ad essere d’accordo con lui. Ora però si

alzi in piedi, venga qui e si metta con le gambe divaricate e le mani sulla testa. M. esegue. Ora chiuda gli occhi. A. la tocca dappertutto velocemente. Bene. Torni

pure a sedere. Entrambi si siedono.A:cosa ha provato?

M:niente di particolare, devo dire.

A:si alzi di nuovo, come prima. M. esegue. A. la tocca di nuovo ma con forza.A:ed ora?

M:beh, è stato diverso.

A:ha capito cosa tentavo di dirle con le mani?

M:sì, ho percepito un messaggio di forza.

A:esattamente. Ora faccia lo stesso a me. Si alza e si mette in posizione. M. esegue ma non tocca i genitali.

A. sorridendo: no, no, io l’ho toccata dappertutto, lo faccia anche lei. Non abbia

paura…non la mangio mica! Sia pur con qualche titubanza M. velocemente esegue.A:visto? Un corpo è un corpo ma i condizionamenti sociali e culturali ce lo fanno

spezzare in zone buone e cattive. E’ stato così terribile?

M:onestamente no, ma lei capisce, non è tanto normale una simile intimità tra

sconosciuti!

A:certo, ma è per questo che siamo qui, per far crollare i luoghi comuni, non lo

dimentichi. Ma non voglio anticiparle nulla. Capirà vivendo il metodo. Vuol

continuare?

M:proviamo.

A:allora. Abbiamo utilizzato sicuramente tre dei cinque sensi. La vista, ci siamo

guardati, l’udito, ci siamo ascoltati, il tatto, ci siamo toccati. Lo abbiamo fatto sia

in forma passiva quando ci sentivamo guardati, toccati o ascoltavamo, che in

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forma attiva, quando stavamo nella situazione opposta. Ora facciamolo insieme,

cercando cioè di ascoltare le sensazioni dell’altro mentre parliamo, tentando di

capire cosa prova mentre lo guardiamo o lo tocchiamo. Dovremmo provare,

inoltre, a comunicare tra noi anche attraverso le mani. Venga.

I due si alzano e si toccano alternativamente due volte comunicando prima tenerezza, poi passione.

A: tutto chiaro?

M:chiarissimo.

A:ora insieme. I due si abbracciano e si accarezzano frontalmente stringendosi forte l’un l’altro. Poi si sorridono e tornano a sedere. M. di colpo scoppia in un pianto dirotto.

A:che succede? Metta via la riservatezza! Mi dica cosa prova e perché piange.

M. asciugandosi le lacrime: non so. Credo derivi da mio padre, dagli uomini che ho

conosciuto, non so.

A:si sfoghi, la prego, mi metta al corrente dei suoi sentimenti e delle sue emozioni, è

parte del metodo, non si preoccupi, succede spesso, capirò, vedrà che capirò.

M:la tenerezza…la tenerezza, non sono abituata alla tenerezza. Mio padre era un

generale e non è mai stato molto affettuoso con me. I miei compagni lo stesso.

Non è la passionalità delle sue mani che mi ha turbato, ci sono abituata, ma la

tenerezza, quella no, mi creda, mi disorienta, mi fa paura.

A:venga qui. Si alza, la fa alzare e l’abbraccia di nuovo. Mentre la stringe e l’accarezza, le sussurra: tranquilla… si lasci andare… nessuno vuol farle del male o

usarla….si lasci andare alle emozioni….esse sono la parte di lei che ha sempre

tenuta nascosta, lasci che emerga… che la pervada… senza remore…senza paure.

M. si sfoga in un pianto dirotto stringendosi a lui. Dopo un po’ lui l’accompagna a sedere, esce e torna in accappatoio con un accappatoio per lei.

A:tenga se lo metta. M. indossa l’accappatoio e torna a sedersi. A. fa altrettanto.A: va meglio ora?…Ho del caffè americano, ne vuole un po’?

M:sì grazie…ma come mai americano?

A. prendendo e versando il caffé per entrambi: non lo amo, ma, quando dipingo, non mi

va d’interrompere il lavoro per fare un caffè, così ho sempre pronto questo. Non

è un granché, ma regala un po’ d’energia.

M:capisco. Sorseggiano il caffè in silenzio.A:va meglio ora?

M:sì, tutto a posto.

A:allora…mi stava raccontando…

M:sì, la tenerezza, il mio incubo!

A:se la sente di continuare? Preferisce fermarsi qui, non so, tornare un altro giorno?

M:no, no continuiamo, la prego, se mi fermassi ora non credo che riuscirei a tornare

mai più.

A:come vuole. Ma prima mi parli di lei, del suo mondo, della sua vita , dei suoi sogni,

delle sue paure…insomma…di quello che vuole.

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M: e perché dovrei! Scusi ma cosa gliene importa?

A:ricordandole che non deve nulla, sappia che m’interessa conoscerla, comprenderla e,

soprattutto, sentirla. E’ parte del metodo. Sentire qualcuno, riconoscersi al di là

degli schemi, entrare in sintonia profonda con l’altro, è la vera magia degli

incontri tra esseri umani, per me.

M:ma io non sono niente per lei!

A:neanche io per lei, ma ora siamo qui con il preciso scopo di tentare, almeno per una

volta, di metterci a nudo, di aprirci, di raccontarci, di viverci al di fuori dei

canoni. La nostra forza è proprio quella di essere due sconosciuti, lo comprende?

M:non so…

A:mi spiego meglio. Generalmente ci apriamo agli altri solo a determinate condizioni.

Lo facciamo con gli amici, con i parenti, con i partners, e, comunque, mai del

tutto, per paura che gli altri, conoscendo le nostre debolezze, possano

approfittare di noi. Ci muoviamo come se tutto il nostro mondo emotivo

rappresenti un pericolo per le nostre relazioni umane e per noi stessi. Siamo

come dei guerrieri che, armati di tutto punto, nascondano sotto impenetrabili

armature la loro vera identità. Le nostre armi, i nostri strumenti di difesa nella

costante guerra della vita, sono sempre sguainate e pronte ad offendere

chiunque osi avvicinarsi, come se tutti quelli che ci circondano siano nemici pronti

a ferirci, a farci del male. Ma così la nostra stessa vita diventa una grande

mascherata, dominati dalla paura di essere offesi e pronti ad offendere, alla

minima provocazione, chiunque entri in contatto con noi.

M:ma lei esagera!

A:sicuramente, ma anche se in quel che dico c’è una visione estremizzata della realtà,

resta innegabile che tutti ci poniamo in qualche modo per accondiscendere a ciò

che ci si aspetta da noi, invece di presentarci per quello che realmente siamo.

M:ma non si può vivere diversamente in questa società!

A:crede?

M:ma se l’immagina come sarebbe un mondo senza regole?

A:certo. Un caos. Ma tra il rispettare le regole e l’esser finti ci corre!

M:e allora, quale sarebbe la sua proposta?

A:molto semplice. Essere noi stessi. Non aver paura di esprimere le nostre emozioni, i

nostri sentimenti, tutto qui.

M:facile a dirsi!

A:anche a farsi…se lo decidiamo. Da tempo ho imparato a non nascondere le mie

emozioni. Controllarle sì, ma non vietandomi di provarle col rischio che esplodano

prima o poi inesorabilmente, creando danni irreparabili. Basterebbe essere

sempre sinceri con noi stessi e con gli altri. Potremmo, per esempio, stare più

attenti a come e quando dire ciò che pensiamo, piuttosto che preoccuparci se

dirlo o no in funzione di inutili convenzioni e formalità.

M:ma lei rappresenta un mondo impossibile!

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A:perché? Se posso essere finto, faticando a decidere su come pormi momento per

momento, posso essere me stesso con molta più facilità, decidendo soltanto i

limiti entro cui esprimermi nel rispetto degli altri, non le pare?

M:l’idea mi piace, la difficoltà è riuscirci!

A:basta volerlo.

M:può darsi. Ma ci vuole un bel coraggio!

A:appunto. Ma meno di quel che immagina. Pensi ad un attore. Interpreta tanti

personaggi usando le sue emozioni ed i suoi sentimenti, ma come interpreterebbe

se stesso? E’ relativamente facile nascondersi dietro ad un personaggio, ma

rappresentare noi stessi è molto più complesso…eppure saremmo soltanto onesti,

niente di più. Alla fine, rispetteremmo maggiormente non solo noi stessi ma anche

gli altri, non le pare?

M:può darsi.

A:ma le sembra giusto pretendere costantemente dagli altri che ci capiscano, come

comunemente avviene, o non sarebbe meglio farci capire?

M:è una parola!

A:no, mi creda, è un modo di essere! Capire gli altri è un dono, farci capire una

capacità che si può acquisire.

M:le credo.

A:grazie. Scusi l’ardore che ho messo nelle mie parole, ma io credo fermamente in quel

che ho detto.

M:lo so. L’ho percepito. Va bene. Le parlerò di me. Cosa dirle? Ah, sì…la tenerezza. E’

una cosa che mi accompagna da sempre. Mio padre, come le dicevo, era un

generale e per lui mostrare i sentimenti era un segno di debolezza. Ecco perché

con me e con mia madre non è mai stato particolarmente affettuoso. Quando

rientrava a casa la sera ci salutava al massimo con un bacio sulla guancia, e, da

quando cominciai a camminare, non ricordo che mi abbia più preso in braccio. Non

che non fosse presente ed interessato alla nostra vita.. anzi, era sempre attento

a sapere cosa facessimo e dove andassimo la mamma ed io, ma con lui si poteva

parlare solo di comportamenti, di fatti, non delle emozioni che provavamo. Per lui

era sempre tutto chiaro, il bene ed il male, il giusto e lo sbagliato…mai un

dubbio…mai un’incertezza. La vita era un insieme di regole che andavano

rispettate e basta…discuterne era impossibile. Era fatto così ed è rimasto così

fino alla fine. Io l’amavo… sapesse quante volte avrei voluto stringermi a lui,

accoccolandomi tra le sue braccia come una bambina piccola…ma non ne avevo il

coraggio, perché le rare volte che ci avevo provato aveva sempre reagito con

molta durezza affermando che la nostra famiglia non aveva bisogno di

manifestare i sentimenti attraverso inutili smancerie. Già, per lui erano “inutili

smancerie”…l’amore si dimostra con i fatti, diceva, non con “ inutili smancerie”!

A:e sua madre in tutto questo?

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M:lei era diversa, povera donna, ma adorava a tal punto suo marito che, pur di

compiacerlo, lasciava che in casa si vivesse come voleva lui, così, alla fine, anche

lei smise di farmi le coccole.

A:capisco…ma…gli uomini che ha poi incontrato nella vita?

M:è strano…appena si accorgevano della mia difficoltà a lasciarmi andare, si

prodigavano in mille attenzioni ottenendo l’effetto contrario. Già perché per me

erano solo “inutili smancerie” e così, finivo per dubitare di loro e dei loro

sentimenti nei miei confronti e li lasciavo….Andò così finché conobbi Marco. Con

lui fu tutto diverso. Avevo circa 24 anni quando ci mettemmo insieme e lui riuscì

a farmi innamorare. Pian piano mi aiutò a sciogliere le mie resistenze ed io mi

donai a lui. Con lui riuscii ad essere diversa…ero tenera, appassionata, gentile,

persino coccolona…vivevo per lui. Ma le cose durarono solo un anno. Poi mi lasciò

per un’altra e, per di più, poco dopo scoprii di aspettare un bambino suo.

A:e glielo disse?

M:no, era finita e poi…non ero certa di volerlo.

A:e che fece? Del bimbo intendo.

M:cosa vuole che facessi? Ero molto giovane, con lui era finita, le ripeto…e, per di più,

non me la sentivo di crescere un figlio senza padre. Insomma…abortii.

A. dopo un attimo di silenzio:è successo anche a me.

M:come mai?

A:all’epoca la mia compagna ed io eravamo poveri, faticavamo a tirare avanti e così

decidemmo che non era il caso di far crescere un figlio in quelle condizioni.

M:ma vi amavate!

A:certo, ci amiamo ancora, se è per questo, ma, sia pur con la morte nel cuore,

decidemmo che non era il momento.

M:e poi, avete avuto figli?

A:no…qualcosa durante l’aborto andò storto e lei non fu più in grado di averne.

M:mio Dio, dev’essere stato terribile!

A:lo è ancora, ma forse è il prezzo pagato per la nostra scelta. D’altronde, ogni scelta

prevede un prezzo da pagare, no?

M:già…ma la sua compagna, gliel’ha mai rinfacciato?

A:non dimentichi che lo decidemmo insieme.

M:certo, ma per noi donne è diverso, secondo me.

A:questo lo immagino, ma, creda, nemmeno per me fu facile accettare l’idea.

M:non volevo dir questo. Mi perdoni.

A:la smette di chiedere perdono? Perdoni se stessa piuttosto!

M:ha ragione, credo sia tempo di perdonarmi…anche se, da allora, sono tornata quella

di prima. Chissà…pensai…forse aveva ragione mio padre…abbandonarsi produce

solo dolore.

A:è così che la pensa?

M:no…in fondo no…ma lasciarmi andare mi fa paura…forse per questo sono venuta da

lei…ma torniamo al metodo?

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A:certo, ma non dobbiamo “tornarci”…noi “siamo” nel metodo! ….Allora…ci siamo

parlati, guardati, toccati…ora si tolga l’accappatoio e si rimetta in piedi nella

stessa posizione di prima.

M:obbedisco. Ed esegue. A. si toglie l’accappatoio e comincia ad annusarla in ogni parte del corpo, poi, messosi a

sua volta in posizione: bene, ora faccia altrettanto, mi annusi dappertutto

cercando di concentrarsi in modo da ricordare il mio odore. M. esegue con gli occhi chiusi annusandolo a sua volta dappertutto.

A:beh, è stato così difficile?

M:no, onestamente mi sembrava normale.

A:bene, ora si rimetta in posizione. A. la bacia e la lecca dappertutto, tranne che sulla bocca, poi: ora faccia altrettanto. M. esegue tranne che sui genitali.

A: anche lì. M. lo guarda per un attimo, poi s’inginocchia e lo fa. A. si siede sul divano e le chiede di montare a cavallo su di lui in modo che i genitali si tocchino, poi la prende per un braccio la stende sul divano e le monta sopra alzandole le gambe in modo che gli organi genitali possano entrare in contatto. Mentre sono in questa posizione A. l’accarezza dolcemente dappertutto e la bacia sul collo, poi, dopo poco, si solleva ed invertono di nuovo la posizione.

A: bene cosa sta provando lì?

M: calore, tanto calore.

A: esatto…calore…solo tanto calore. La sposta da sopra di lui e: può rivestirsi, abbiamo

finito. M. resta un attimo interdetta, poi si solleva e comincia a rivestirsi mentre A. fa altrettanto. Alla fine entrambi tornano a sedersi.

A:ancora un sorso di caffé?

M:sì grazie.

A. va a prendere il bricco e versa altro caffé nelle tazze.Entrambi sorseggiano il caffé senza guardarsi, immersi nei loro pensieri. Poi riprende

il dialogo tra i due. A:abbiamo finito. Ora mi dica, com’ è stato vivere quest’ esperienza?

M:a caldo non saprei. Certo strana, fuori dalle righe…

A:degli schemi e della cultura sicuramente, ma…per lei?

M:forse liberatoria, sì, direi decisamente liberatoria.

A:attenzione però, l’avverto, uscita da qui potrebbe sentirsi oppressa dal senso di

colpa, domandarsi: ma cosa ho fatto? Perché? Ecc. E magari colpevolizzerà me

dei suoi comportamenti. Spero tutto sia accaduto con il suo pieno consenso.

M:ne sia certo. Non ho fatto niente di cui non fossi consapevole.

A:bene. Questo mi tranquillizza. Si metta nei miei panni, non vorrei…

M:sereno. Non sono una bastarda che accusa gli altri per ciò che fa. Sono io che le ho

chiesto di vivere il metodo, no?

A:esatto. C’è qualcosa che sente di volermi dire, ancora?

M:perché?

A:non saprei…una sensazione.

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M:sì, in effetti qualcosa ci sarebbe, ma non è ho mai parlato con nessuno e non vedo

perché dovrei farlo con lei.

A:le ripeto che non deve un bel niente, ma, se ne ha voglia, lo faccia.

M:non so perché…ma sì…con lei ne ho voglia.

A:avanti allora, parli pure senza peli sulla lingua.

M:da piccola sono stata violentata.

A. rimane basito in silenzio.M:è stato all’età di nove anni. Mio zio, il fratello di mio padre. Non ne ho un ricordo

preciso ma so che fu così.

A:come andò…se posso.

M:può, può. Dimentica che ho deciso io di raccontarlo?

A:ha ragione, allora vada avanti.

M:ricordo un pomeriggio d’estate. Eravamo in vacanza al mare come ogni anno. I miei

dormivano sotto l’ombrellone ed io ero andata in cabina a prendere qualcosa, una

bambola, credo. Mio zio arrivò, entrò in cabina con me e chiuse la porta a chiave.

Non so esattamente cosa mi disse ma ricordo che mentre parlava mi toccava

dappertutto. Pian piano mi tolse il costume ed abbassò il suo poi si fece toccare

anche lui.

A:e lei?

M:appunto io. Da allora non faccio che chiedermi come mai lo permisi. Quel porco mi

fece fare le cose come se fosse stato tutto un gioco. Sentivo che la situazione

non era normale, avrei voluto urlare, chiedere aiuto, ma avevo paura che i miei mi

avrebbero sgridata. Inoltre mio zio mi minacciava di cose terribili se non avessi

fatto tutto quello che voleva lui. Ero terrorizzata. Una situazione orribile…non

volevo star lì ma avevo paura che sarebbe andata peggio se avessi solo tentato di

fuggire. Il mio cuore era spezzato in due. Vede, fino a quel momento io avevo

adorato mio zio. Spesso la sera mi raccontava delle storie prima di

addormentarmi, scherzava sempre con me ed era pronto a giocare ogni volta che

glielo chiedevo. Anche in passato mi aveva toccato, ma mai in quel modo e,

soprattutto, ora mi chiedeva di fare cose che non capivo, che non mi piacevano…

diceva che era un gioco…ma non mi piaceva quel gioco, all’inizio mi faceva schifo e

poi mi faceva male. Io ero lì, come in un incubo, ma non piangevo né urlavo, non so

perché, era come se non avessi voce né lacrime.

A:dev’essere stato atroce.

M:non lo so più. Ho deciso da tempo di non pensarci e, le ripeto, non ne avevo mai

parlato con nessuno prima d’ora.

A:come mai ha deciso di farlo proprio con me, con uno sconosciuto?

M:mi è venuto e l’ho fatto. Non è stato proprio lei a parlarmi dell’inutilità dei pudori?

A:lo confermo…ma il riportare alla mente quei ricordi…

M:no… mi sento bene, mi creda… piuttosto, mi tolga una curiosità.

A:prego…dica.

M:perché ci diamo del lei?

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A:il lei ci serve a ricordare che tutto ciò che viviamo durante il metodo è con una

persona sconosciuta, con cui, secondo la norma, non dovremmo avere l’intimità

che invece abbiamo creato noi due. Le sembrerà strano, specie dopo le

confessioni fatte, ma ritengo questo uno dei punti di forza del metodo.

M:capisco e, onestamente, non sento di poterle dar torto. Sa, mi sento in colpa da

sempre per quella violenza…avrei dovuto difendermi, piangere, urlare…non

restare passiva a sottostare a tutte quelle angherie…invece mi sono comportata

da vile. Mi sono sempre vergognata dell’accaduto e non l’ho mai raccontato perché

credo che nessuno potrebbe mai perdonare una simile vigliaccheria.

A:questo è certo. Nessuno infatti può perdonarla per qualcosa di cui non è colpevole e,

soprattutto, nessuno può perdonarla se non è lei a perdonarsi per prima.

M:ma come posso perdonarmi? Si rende conto di quello che ho fatto?

A:sicuro. Mi rendo perfettamente conto di “ciò che le è stato fatto”. Lei piuttosto, si

rende conto che aveva solo nove anni? Era una bambina indifesa che amava suo

zio e si fidava ciecamente di lui. Non pensa che sarebbe proprio lui a doverle

chiedere perdono?

M:per la verità l’ha fatto. Appena raggiunsi l’età di 14 anni volle incontrarmi apposta

per spiegarmi le ragioni del suo gesto e chiedermi di perdonarlo.

A:e lei? Lo perdonò?

M:sì, in fondo era accaduto una volta sola e così pensai che le sue ragioni fossero

comprensibili…a tutti può succedere di perdere la testa, una volta nella vita!

A:anche a lei?

M:che c’entra questa domanda?

A:semplice, se si può perdonare un adulto che, “perdendo la testa”, violenta una

bambina di nove anni, la quale, per di più, è sua nipote, a maggior ragione si potrà

perdonare quella bambina che, spaventata, non è riuscita a reagire, no?

M:beh, messa su questo piano!

A:mi creda è su questo piano che va messa. Si perdoni una buona volta e non permetta

ad un unico episodio, per quanto terribile possa essere, di rovinare tutta la sua

esistenza.

M:ma io non ci penso più, ormai! E lei, comunque, non può capirmi!

A:crede davvero?

M:certo, certe cose bisogna provarle sulla propria pelle per comprenderle appieno!

A:vero…è proprio per questo che la capisco benissimo.

M:che vuol dire?

A:che è successo anche a me. M. lo guarda stupita. Vede, io sono stato abbandonato da

piccolo in un orfanotrofio, è lì che sono cresciuto…beh, un prete, cui peraltro ero

affezionatissimo, abusò di me all’età di dodici anni.

M:e lei denunciò l’accaduto?

A:no…credo per i suoi stessi motivi.

M:allora vede che abbiamo agito allo stesso modo?

A:sicuramente, ma non abbiamo “reagito” allo stesso modo.

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M:che vuol dire? Non la capisco.

A:provi a riflettere su questo allora: è meglio cercare di dimenticare ciò che ci fa

male tenendolo rinchiuso in noi stessi come un segreto inconfessabile o

accettarlo perdonandoci e non avendo paura di parlarne, secondo lei?

M:beh, sicuramente la seconda ipotesi, che c’entra!

A:meno male…allora lo faccia una buona volta e non pensi di essere la sola a ritenere di

doversi perdonare qualcosa. Mettiamola così, tutti gli esseri umani sono deboli,

ma alcuni lo sono meno di altri proprio perché hanno imparato ad ammettere le

loro fragilità e lottano costantemente per superarle.

M:grazie…le sue parole mi danno coraggio.

A:no…lei è una donna coraggiosa. Io non sarei riuscito a tenermi dentro per tanto

tempo un segreto così grande senza confidarmi con qualcuno.

M:con lei io l’ho fatto.

A:sia pronta a farlo con chiunque quando vuole e vedrà che non le farà più paura.

M:lo farò…ci conti.

A:allora arrivederci, si alza e l’accompagna alla porta, mi faccia sapere come andrà

d’ora in poi.

M:seguendolo verso l’uscita,può scommetterci, arrivederci e…grazie.

A:di cosa?

M:di non aver approfittato della situazione per tentare di far l’amore con me.

A:come ha capito che non l’avrei fatto? In altre parole come mai si è fidata di me…di

uno sconosciuto?

M:un po’ per le parole di Marta ma un po’ anche per istinto…sì credo soprattutto per

istinto.

A:già, la fiducia è a pelle…non come la stima che va conquistata sulla base di fatti

precisi. Chissà se a seguito di questa esperienza mi stimerà anche…vedremo.

M:vedremo…maestro… comunque è proprio vero che “aver compagno al duol scema la

pena”. E sorride.A: già, guardi la casualità…abbiamo vissuto due esperienze analoghe.

M:sì ma lei ha reagito meglio di me.

A:solo perché sono più vecchio e sorride accompagnandola alla porta, poi, sulla porta: M:senta…una curiosità… perché non mi ha mai baciata sulla bocca?

A:perché un bacio, a volte, può essere più intimo che far l’amore.

M:e perché dovevamo restare due sconosciuti nel rispetto del metodo!

A:esattamente…a proposito, curiosità per curiosità, avrebbe fatto l’amore con me se

glielo avessi chiesto?

M:non credo ma, onestamente, non lo so, può essere…data la situazione, ammetto che

sarebbe potuto capitare. E lei?

A:non è importante. L’importante è che se, nonostante la situazione, non l’abbiamo

fatto, evidentemente è proprio perché non ci è capitato. Ah, se solo

permettessimo di più alle cose di capitare, invece di rifiutarle o andarcele a

cercare!

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M:già…magari vale anche per la tenerezza.

A:già…”soprattutto” per la tenerezza.

M:ma il metodo finisce qui?

A:no…è cominciato qui. Ora che si è spogliata levandosi gli strati dietro i quali si

nascondeva…ora comincia il vero percorso.

M:ma…che devo fare?

A:ah, ah,…deve…niente, fare…se vuole…tanto.

M:e cosa?

A:si prenda un tempo per sé e diventi come una talpa. Scavi dentro di sé dove è più

buio, nelle profondità più remote del suo animo, dove non vi è che silenzio…cerchi

la vera essenza di se stessa…trovi la sua vera personalità, modifichi alcuni

aspetti che ritiene negativi del suo carattere, lo plasmi a suo piacere usando

tutta la sua energia, fino a risorgere in un’altra dimensione…la sua. Il percorso

sarà doloroso, solitario, ma quando la talpa tornerà alla luce avrà finalmente

acquistato la vista e l’udito. Il metodo non è che una metafora…la porta

d’ingresso che le propone un cammino verso la ricerca della vera essenza del suo

essere. Non ci sia soltanto a questo mondo…ci “stia” nel senso più pieno della

presenza. Diventi al contempo attrice e regista di se stessa e…poi capirà.

M:lo farò.

A:ora vada e…mi faccia sapere. Arrivederci.

M:arrivederci e ancora…grazie.

A:chiude la porta e rimane un attimo pensoso poi chiama: Erika!!

Erika entra in vestaglia portando del caffé.A:hai ascoltato ed osservato tutto, vero?

E:sì.

A:beh?

E:beh, niente.

A:sei stata gelosa eh?

E:lo sai che non sono gelosa! Ritengo la gelosia un difetto…come l’invidia…figlia di un

complesso, della paura di non essere all’altezza dell’altro. I gelosi temono che

qualcuno possa portar loro via la persona amata…come se fosse una proprietà! No,

non possiamo possedere nessuno, vecchio mio…le persone scelgono se e quanto

tempo vogliono stare con noi…d’altronde noi facciamo lo stesso con loro!

A:ma non hai avuto paura che potessimo far l’amore?

E:non ci ho nemmeno pensato.

A:ma come è possibile?

E:semplice…ti conosco.

A:che vuoi dire?

E:esattamente quello che ho detto…che ti conosco…Alfredo tu sei una persona onesta,

non approfitteresti mai di qualcuno.

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A:è vero. Mi conosci davvero! E poi conosci il metodo, no? Anche per questo eri

tranquilla. Sai che per me, come per te, è una cosa seria e non un modo per

andare a letto con qualcuno.

E:esatto. Ma ho pensato tante cose mentre presentavi il metodo a quella donna.

A:cioè?

E:perché le hai mentito dicendole che avevi subito una violenza e che avevi causato un

aborto? Sai benissimo che era tutto inventato. Proprio tu che non fai che parlare

di sincerità. Non è tuo il motto: “La verità non esiste, ma la sincerità sì”?

A:hai ragione, se è per questo dico anche che preferisco una persona incoerente ma

sincera ad una coerente ma bugiarda.

E:appunto. Allora perché inventarti quelle fandonie sulla violenza e sull’aborto…tra

l’altro coinvolgendo anche me? E poi sai benissimo che se non abbiamo figli è

perché tu non puoi averne, non io. Insomma, ma che ti è preso?

A:non lo so…è stato più forte di me. Ho pensato che, se fossi riuscito a farle

comprendere di non essere sola nelle sue disgrazie, avrebbe trovato più

facilmente la strada per ritrovarsi e cominciare a vivere finalmente senza più

rimpianti né sensi di colpa. Ricordi un altro mio detto:” Qualunque cosa tu possa

immaginare accade che qualcuno l’abbia già fatta, magari meglio di te, e ne abbia

già pagato le conseguenze”?

E:già, tu e le tue “frasi celebri”! Comunque, forse hai ragione. A volte una bugia può

far del bene. Sai, la sincerità è una conquista, in fondo. Esistono persone con cui

non è possibile esser franchi. Non solo non apprezzerebbero, ma addirittura

condannerebbero la nostra onestà.

A:noi, invece, ci siamo detti sempre tutto, ci siamo anche confessati i nostri

tradimenti, ricordi?

E:ma con te non è difficile essere onesti, sei una persona che riesce a mettersi

sempre nei panni dell’altro ed a capirne le debolezze.

A:se è per questo anche tu…eppure anche a te è successo di mentire, talvolta!

E:sì, quando sapevo che tanto non sarei stata capita qualunque cosa avessi detto.

A:già, come i figli che mentono ai genitori per paura di essere puniti. Se solo gli si

facesse comprendere che possono dire tutto, che sempre e comunque verranno

ascoltati, anche se non necessariamente approvati, probabilmente non

interromperebbero il dialogo con i genitori!

E:lo vedi che ho ragione quando dico che saresti stato un buon padre?

A:già ma non posso aver figli.

E:sì, ma potremmo sempre adottarne uno, no?

A:lo vuoi davvero?

E:è un sacco che ci penso.

A:giura!

E:giuro! Portandosi due dita alle labbra.A:pensi che ce lo permetterebbero?

E:possiamo sempre provarci, no?

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A:giusto. Domani andiamo ad informarci, ok?

E:consideralo già fatto amor mio. I due si abbracciano. Sai, ho pensato a come la vita

sia come un fiume che siamo tutti costretti a discendere e come gli altri vogliano

sempre insegnarci il modo per farlo. E’ assurdo, non esiste un modo sicuro!

A:sii più chiara.

E:semplice. E’ come se gli esseri umani passassero un sacco di tempo a costruire

barche, da loro ritenute solide, che, invece, sbattendo contro gli scogli, si

sfasciano regolarmente e li rigettano in balia della corrente. Alcuni, quelli che

hanno imparato a nuotare, si salvano…gli altri vanno a fondo. Alla fine tutti

arriveranno al mare, perché è inevitabile, ma non tutti avranno vissuto il fiume…

cioè la vita.

A:sarebbe a dire che nella vita la prima cosa è imparare a sopravvivere?

E:esatto…ma non solo! Occorre che ciascuno di noi scopra il “suo” modo di

sopravvivere, che deriva dalla conoscenza dei talenti personali e dalla coscienza

dei propri limiti, in altre parole dalla profonda consapevolezza ed accettazione di

sé.

A:e il metodo?

E:il metodo, mettendoci a nudo dentro e fuori, ci fa scoprire come non c’è

sovrastruttura che regga alla forza della corrente se non l’energia che abbiamo

dentro in quanto persone. Noi costruiamo intorno a noi stessi strati di corazze

che dovrebbero difenderci ed invece ci rendono cipolle goffe ed incapaci di

muoverci. Se solo seguissimo il nostro istinto di sopravvivenza, le nostre

emozioni, i nostri veri sentimenti, la nostra vita sarebbe diversa, non so se

migliore o peggiore...ma sarebbe la nostra “vera” vita…capisci?

A:perfettamente. Vedi Erika io, invece, penso che siamo come delle automobili. Il

motore è il cuore, la ragione i freni. Chi sa guidare li usa entrambi, eppure

sembra che questo mondo sia pieno di gente che sa solo frenare, e non va da

nessuna parte, e gente che corre all’impazzata, andandosi a schiantare alla prima

curva. I due paragoni sono diversi ma, a pensarci bene, dicono la stessa cosa. E’

vero…dovremmo conoscere meglio la nostra automobile e sapere come guidarla!

E:già, come discorso in generale funziona, ma tu sai che non siamo tutti uguali…simili sì

ma non uguali.

A:esatto! Prendiamo il metodo, per esempio. Vivendolo ho appreso che alcuni vivono il

sesso come un fatto fisico, altri mentale. Mi spiego meglio. In alcuni il solo

contatto fisico fa scattare il desiderio, per altri occorre un coinvolgimento

mentale perché questo accada. La differenza è tangibile, indipendentemente dal

genere. Accade a maschi e femmine eterosessuali e non. Credo ci si nasca.

E:e chi vive meglio la sessualità secondo te?

A:non saprei, ma mi è capitato di persone, diciamo “fisiche”, che si sentivano in colpa e

si proibivano la sessualità, come di persone “mentali” che temevano di non essere

all’altezza della situazione, vivendo ogni volta terribili ansie da prestazione. Alla

fine non potrei dire chi vive meglio ma penso di poter affermare che accettare la

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propria sessualità sia accettare una parte di noi che investe buona parte dei

nostri desideri. Non dico che tutto ruoti intorno al sesso, ma è innegabile che

esso abbia un peso notevole nel corso della nostra vita.

E:e, rispetto all’amore, quanto conta?

A:molto… ma molto meno di quanto comunemente si crede. L’amore, quello vero, vive di

tante cose, il sesso ne è una componente, ma non determinante quanto

comunemente si pensa. Ho conosciuto coppie che non avevano rapporti sessuali

frequenti, ma si amavano con una profondità tale da restare insieme tutta una

vita, altre che facevano l’amore tutti i giorni e che al primo calo di desiderio si

sono sfasciate. Non saprei dirti perché, ma di una cosa sono certo, affidare al

sesso tutta la solidità di un rapporto è fallimentare molto più che affidarsi alla

complicità ed alla tenerezza. Con questo non voglio togliere alla sessualità il

giusto peso, ma cercare in essa la risposta alle crisi di coppia è sciocco ed inutile.

Spesso essa non è che un campanello d’allarme di altre cose che non funzionano…

cose probabilmente molto più importanti.

E:e il metodo a te cosa ha dato?

A:tanto, decisamente tanto. Mi ha dato il senso e l’accettazione di quello che sono,

compresi i miei limiti, la voglia di cambiare mettendomi in discussione ogni

giorno…la consapevolezza, insomma. E a te?

E:le stesse cose. Ma la vita mi ha insegnato altro…

A:cioè?

E:che possiamo realizzare molte delle cose che desideriamo o in cui crediamo…ma non

tutte.

A:per esempio?

E:l’amore Alfredo…l’amore. Ci deve capitare d’incontrarlo, cercarlo è inutile.

Bisognerebbe, secondo me, vivere come se non ci fosse, cercando la serenità da

soli con noi stessi, per poi accettarlo, quando arriva, senza paure o perplessità,

accogliendolo come un dono e lottando per preservarlo. L’amore è una pianta

stagionale ma, se sappiamo curarla, può durare tutta una vita.

A:già…per questo curi con tanta attenzione il nostro, vero? Vuoi che duri per sempre.

E:perché tu no?

A:certo, amore mio. I due si guardano intensamente per qualche istante, poi si abbracciano e, mentre sono stretti l’uno all’altra, si baciano teneramente,

A:lo insegneremo al nostro bambino, se ci permetteranno di adottarne uno?

E:sicuramente, non solo le regole della buona educazione, Alfredo, ma anche, e

soprattutto, il senso della vita.

A:e qual è secondo te?

E:saper scegliere con coraggio la propria strada senza farsi condizionare…ed

accettare ciò che ne viene.

A:sono d’accordo con te, amore mio. A., cominciando a spogliarla le sussurra dolcemente:Facciamo l’amore?

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E:quando e dove vuoi.

A:ora…di là.

Mentre la solleva e la porta in camera da letto cala il sipario.

FINE

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