Il Natale di Gesù, Parola fatta carne · per promettere il Cristo. In Cristo Dio ci ha parlato!...

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Anno 1 - n. 10 Dicembre 2016 Periodico della Diocesi di Caserta www.ilpoliedro.info formazione | informazione | cronaca In Cattedrale, 10 Territorio, 4 MEIC, 2 Il Natale di Gesù, Parola fatta carne LA VOCE DEL VESCOVO di Giovanni D’Alise A mato fratello e amata so- rella, ti accingi a vivere il Natale del Signore Gesù, il Figlio di Dio fatto “carne”. Il Figlio di Dio fatto carne! Dunque piccolo e umile, picco- lo e fragile, piccolo e impoten- te, infatti ha rinunciato a tut- ta la sua potenza conservando per sé, per conferirla all’uomo che l’accoglie, solo la potenza dell’Amore. Gesù, potenza dell’Amore In- creato, tu hai portato l’Amore sulla terra. E lo hai calato nel- la carne, nella storia degli uo- mini, nelle relazioni, pur nella fragilità. Parlaci e guidaci! Do- naci speranza! ‹‹Questo è mio Àglio… Ascolta- telo›› (Mt. 17,5). Dio ci ha det- to: ormai non ho più argomen- to di fede da rivelare, se prima ho parlato, era unicamente per promettere il Cristo. In Cristo Dio ci ha parlato! Come si fa ad ascoltare il Cri- sto, Parola di Dio Incarnata? San Giovanni della Croce (Sa- lita al monte Carmelo) dice: ‹‹Nelle tue azioni non prende- re mai a modello l’uomo, per santo che sia… Imita invece Cristo che è sommamente per- fetto e non sbaglierai mai››. Ma quale grande confusione oggi ci investe, ci sovrasta, ci circonda! Tante parole! Mille messaggi chiassosi, di quan- tità asÀssiante, ci circondano, immagini abbaglianti ci di- struggono gli occhi e ci fodera- no le orecchie. Le parole degli uomini spesso non parlano più. Non dicono. «In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio […]. E la Parola si fece carne» (Gv. 1,1.14). È questo il Natale: la Parola si fa carne. La Parola che parla attraverso la carne di Cristo Gesù. Con- fusi e distratti, abbiamo perso anche i codici minimi per com- prendere la parola che Cristo ci rivolge. È vero che c’è tanta povertà. Povertà che ci sembrava di averla sconÀtta e che oggi ri- torna. Il progresso economico ci ha illusi. Non c’è l’accesso per tutti al benessere integra- le, allo sviluppo. C’è benessere solo per pochi. Sempre meno persone partecipano alla divi- sione della “torta” allettante del bene-essere. Vincono i pre- potenti e quanti, attraverso meccanismi anonimi e sperso- nalizzanti “succhiano” per sé il “bene comune”. Sottraggono ma non incontrano coloro ai quali viene sottratto il benes- sere. Non si incontrano coloro che soffrono e sono sfruttati. Se non si incontrano, non si vede il volto del dolore e quin- di, non faccio male a nessuno. Prima i beni erano conservati materialmente dalle singo- le persone presso di sé. Per prendere “bisognava deruba- re”, sottrarre. Oggi ci diciamo “civili” perché non vediamo in faccia coloro che sono deruba- ti. Infatti, se non vediamo, il male non esiste! Se non toc- chiamo Àsicamente le perso- ne, non abbiamo fatto male a nessuno. Stiamo falsando la realtà! Con questi pensieri sono arri- vato dinanzi alla culla di Gesù Bambino e sono desideroso di ascoltare la sua voce. Quel bimbo parla ancora! EfÀ- cacemente parla! Sono parole chiare e limpide. Inequivoca- bili. Quella carne grida, anche sen- za proferire parola. Egli è l’es- senziale, è la semplicità, è la povertà che parla. La Parola eterna, fatta carne, parla e fa pulizia dentro di me. Prima di tutto mi dice: “uma- nità”. Ritornare alla semplicità della carne, valorizzata e amata. La carne di ogni fratello è la car- ne di Cristo. Se egli si è fatto carne, tutti i fratelli hanno la stessa carne di Cristo e tutti sono dunque la continuazione della carne di Cristo Gesù. La carne, la persona, la dignità di Cristo va onorata. Sempre! Ma anche quella di ciascun fratello e sorella. Ogni per- sona va venerata, rispettata, amata. Mentre pregavo, contemplavo il Dio-Bambino, come un ritor- nello mi penetrava nel cuore quanto si legge nel Vangelo: ‹‹...ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me» (Mt. 25,40). Il Natale dentro di me e nella mia carne, dunque nella con- cretezza, non può non richia- marmi ad essere veramente uomo, più umano. Essere più umani. Come? Come Gesù! Avere gli stessi sentimenti del Cristo: umiltà, disinteresse, beatitudine (cfr. Filippesi 2,5). Imitando Cristo e vivendo gli stessi sentimenti di Cristo posso immettere nel mio agire il nuovo umanesimo che può partire solo da Gesù, il Cristo, dalla sua umanità. Questa parola detta dalla Car- ne del Cristo-Bambino si fa an- cora più eloquente guardando il Cristo, che Pilato presenta a tutti: ‹‹Ecce Homo›› (Gv. 19,5), ecco l’uomo. Ecco l’uomo per eccellenza: passato attraverso il tritacar- ne della violenza, che si pre- senta paciÀco, non violento, che tutto sopporta, che porge l’altra guancia, non arrogante, semplice, limpido, umile, tra- sparente, raccolto, silenzioso, disinteressato, gioioso che per- seguitato ama, che crociÀsso dà a tutti la vita. E la voce, ancora più forte, nel silenzio contemplativo mi di- ceva: ‹‹Ama tutti, ama sempre, ama senza aspettarti nulla›› e il Padre che vede nel segreto ti ricompenserà. Buon Natale, fratello e sorel- la. Rispondi alla “chiamata” del Dio-Bambino ad essere più umano per diventare più uomo, più gioioso, felice. Noi siamo chiamati «dalle Tenebre alla sua ammirabile Luce» (1Pt. 2,9). «Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv. 6,68). Solo Tu! Senza di te c’è solo frammentazione e caos. Carissimi, questo è il dram- ma più serio che stiamo vi- vendo. È il fondamento, è il senso vero della crisi che da ben otto anni stiamo affron- tando. La carne di ogni fratello è la carne di Cristo

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Anno 1 - n. 10Dicembre 2016

Periodico della Diocesi di Caserta

www.ilpoliedro.info

formazione | informazione | cronaca

In Cattedrale, 10Territorio, 4MEIC, 2

Il Natale di Gesù, Parola fatta carneLA VOCEDEL VESCOVO

di Giovanni D’Alise

Amato fratello e amata so-rella,

ti accingi a vivere il Natale del Signore Gesù, il Figlio di Dio fatto “carne”.Il Figlio di Dio fatto carne! Dunque piccolo e umile, picco-lo e fragile, piccolo e impoten-te, infatti ha rinunciato a tut-ta la sua potenza conservando per sé, per conferirla all’uomo che l’accoglie, solo la potenza dell’Amore.Gesù, potenza dell’Amore In-creato, tu hai portato l’Amore sulla terra. E lo hai calato nel-la carne, nella storia degli uo-mini, nelle relazioni, pur nella fragilità. Parlaci e guidaci! Do-naci speranza!‹‹Questo è mio glio… Ascolta-telo›› (Mt. 17,5). Dio ci ha det-to: ormai non ho più argomen-to di fede da rivelare, se prima ho parlato, era unicamente per promettere il Cristo.In Cristo Dio ci ha parlato! Come si fa ad ascoltare il Cri-sto, Parola di Dio Incarnata?San Giovanni della Croce (Sa-lita al monte Carmelo) dice: ‹‹Nelle tue azioni non prende-re mai a modello l’uomo, per santo che sia… Imita invece Cristo che è sommamente per-fetto e non sbaglierai mai››.Ma quale grande confusione oggi ci investe, ci sovrasta, ci circonda! Tante parole! Mille messaggi chiassosi, di quan-tità as ssiante, ci circondano, immagini abbaglianti ci di-struggono gli occhi e ci fodera-no le orecchie.Le parole degli uomini spesso non parlano più. Non dicono.«In principio era la Parola,e la Parola era presso Dioe la Parola era Dio […].E la Parola si fece carne» (Gv. 1,1.14).È questo il Natale: la Parola si fa carne.

La Parola che parla attraverso la carne di Cristo Gesù. Con-fusi e distratti, abbiamo perso anche i codici minimi per com-prendere la parola che Cristo ci rivolge.

È vero che c’è tanta povertà. Povertà che ci sembrava di averla scon tta e che oggi ri-torna. Il progresso economico ci ha illusi. Non c’è l’accesso per tutti al benessere integra-le, allo sviluppo. C’è benessere solo per pochi. Sempre meno persone partecipano alla divi-sione della “torta” allettante del bene-essere. Vincono i pre-potenti e quanti, attraverso meccanismi anonimi e sperso-nalizzanti “succhiano” per sé il “bene comune”. Sottraggono ma non incontrano coloro ai quali viene sottratto il benes-sere. Non si incontrano coloro che soffrono e sono sfruttati. Se non si incontrano, non si vede il volto del dolore e quin-di, non faccio male a nessuno.Prima i beni erano conservati materialmente dalle singo-le persone presso di sé. Per prendere “bisognava deruba-re”, sottrarre. Oggi ci diciamo “civili” perché non vediamo in faccia coloro che sono deruba-

ti. Infatti, se non vediamo, il male non esiste! Se non toc-chiamo sicamente le perso-ne, non abbiamo fatto male a nessuno. Stiamo falsando la realtà!Con questi pensieri sono arri-vato dinanzi alla culla di Gesù

Bambino e sono desideroso di ascoltare la sua voce.Quel bimbo parla ancora! Ef -cacemente parla! Sono parole chiare e limpide. Inequivoca-bili.Quella carne grida, anche sen-za proferire parola. Egli è l’es-senziale, è la semplicità, è la povertà che parla.La Parola eterna, fatta carne, parla e fa pulizia dentro di me.Prima di tutto mi dice: “uma-nità”.Ritornare alla semplicità della carne, valorizzata e amata. La carne di ogni fratello è la car-ne di Cristo. Se egli si è fatto carne, tutti i fratelli hanno la

stessa carne di Cristo e tutti sono dunque la continuazione della carne di Cristo Gesù. La carne, la persona, la dignità di Cristo va onorata. Sempre! Ma anche quella di ciascun fratello e sorella. Ogni per-sona va venerata, rispettata, amata.Mentre pregavo, contemplavo il Dio-Bambino, come un ritor-nello mi penetrava nel cuore quanto si legge nel Vangelo: ‹‹...ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me» (Mt. 25,40).Il Natale dentro di me e nella mia carne, dunque nella con-cretezza, non può non richia-marmi ad essere veramente uomo, più umano.Essere più umani. Come? Come Gesù! Avere gli stessi sentimenti del Cristo: umiltà, disinteresse, beatitudine (cfr. Filippesi 2,5).Imitando Cristo e vivendo gli stessi sentimenti di Cristo posso immettere nel mio agire il nuovo umanesimo che può partire solo da Gesù, il Cristo, dalla sua umanità.Questa parola detta dalla Car-ne del Cristo-Bambino si fa an-cora più eloquente guardando il Cristo, che Pilato presenta a tutti: ‹‹Ecce Homo›› (Gv. 19,5), ecco l’uomo.Ecco l’uomo per eccellenza: passato attraverso il tritacar-ne della violenza, che si pre-senta paci co, non violento, che tutto sopporta, che porge l’altra guancia, non arrogante,

semplice, limpido, umile, tra-sparente, raccolto, silenzioso, disinteressato, gioioso che per-seguitato ama, che croci sso dà a tutti la vita.E la voce, ancora più forte, nel silenzio contemplativo mi di-ceva: ‹‹Ama tutti, ama sempre, ama senza aspettarti nulla›› e il Padre che vede nel segreto ti ricompenserà.Buon Natale, fratello e sorel-la. Rispondi alla “chiamata” del Dio-Bambino ad essere più umano per diventare più uomo, più gioioso, felice.Noi siamo chiamati «dalle Tenebre alla sua ammirabile Luce» (1Pt. 2,9).

«Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv. 6,68). Solo Tu! Senza di te c’è solo frammentazione e caos.Carissimi, questo è il dram-ma più serio che stiamo vi-vendo. È il fondamento, è il senso vero della crisi che da ben otto anni stiamo affron-tando.

La carne di ogni fratello

è la carne di Cristo

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2 Dicembre 2016 Anno 1- n. 10il poliedro MEIC

Il convegnoNei giorni 11/13 novem-bre 2016 è stato celebrato a Caserta il Convegno na-zionale del Movimento Ec-clesiale di Impegno Cultu-rale dal titolo: Dal Sud a Nord. Un’Europa aperta al Mediterraneo. In questo numero di dicembre ven-gono riportati interventi, a rma di alcuni autore-voli ospiti, per cogliere le istanze emerse dal Conve-gno stesso.

di Raffaele Cantone

La legalità, il rispetto delle regole, è un moto-

re decisivo di sviluppo del paese, mentre un livello molto elevato di corruzione non consente alcun sviluppo economico, anzi contribui-sce a mantenere una certa dif denza da parte degli investitori soprattutto stra-nieri. Nella mia esperienza di Presidente dell’Autori-tà Nazionale Anticorruzio-ne ho tante volte veri cato come una delle ragioni di cui gli investitori internaziona-li vogliono essere sicuri è sapere, come nel caso delle commesse pubbliche, quali siano le regole che devono essere rispettate.

Il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione

Legalità: motore di sviluppo del paese

La legalità quindi è uno strumento vero di sviluppo e la s da oggi è provare a innestare nel nostro paese una cultura del rispetto del-le regole che renda più dif -cile il veri carsi di fenome-ni corruttivi. Non credo che esistono paesi al mondo nei quali il livello di corruzione sia sostanzialmente pari a zero, anche i paesi più vir-tuosi hanno oggettivamente problemi di legalità: la s da è riportare quei livelli di il-

legalità sul piano della sio-logia e non della patologia. Nel nostro paese esiste una corruzione sistemica, che in certi ambienti è diventata un vero e proprio meccani-smo di gestione del potere, una corruzione in cui si fa sempre più fatica a indivi-duare chi sia il corrotto e il corruttore, essendosi costi-tuiti veri e propri comitati d’affare che gestiscono i la-vori pubblici, il sistema del-le commesse, i nanziamen-ti e gli interessi economici del paese. Questi comitati vedono insieme faccendieri, imprenditori, rappresentanti dell’amministrazione e rap-

presentanti della politica. Un giudice, in modo particolar-mente felice, ha indicato con l’espressione “sistema gela-tinoso” il meccanismo della corruzione, in cui si fa fatica a individuare persino i ruoli. Un sistema del genere, in cui le situazioni si sono così fra loro strutturate, innervate, intervenire contro la corru-zione è oggettivamente dif -cile e a maggior ragione lo è nel pensare che si possa ri-solvere tutto eventualmente attraverso il solo meccanismo della repressione.Nel nostro paese no a poco tempo fa la repressione era l’unico strumento messo in campo per contrastare la cor-ruzione - indagini giudizia-rie, condanne, sentenze -, ma ha funzionato a fasi alterne, proprio perché interviene sempre ex post, a distanza di tempo; non dimentichiamo

quanto purtroppo molti fatti corruttivi non vengono accer-tati anche grazie ai meccani-smi della prescrizione. Dal 2012, con la legge Se-verino, il nostro paese si è dotato di un sistema di prevenzione, un provare a mettere nel sistema gli anti-corpi, utilizzando una serie di situazioni, anche inter-ne alla stessa pubblica am-ministrazione, per evitare che i fatti di corruzione si veri chino. Prevenzione si-gni ca valorizzare la parte sana dell’amministrazione e per questo la chiave di volta del cambiamento può essere rappresentata dalla logica

della trasparenza, lo stru-mento principe che nei paesi di tradizione nordeuropea ha impedito il veri carsi del-la corruzione: la trasparen-za rende visibili i fenomeni,

Legalitàe rispetto

delle regole

stimola il controllo da parte dei cittadini, mentre la cor-ruzione per sua natura è un fenomeno che ha bisogno di anfratti, di lati oscuri.È illusorio, è perdente pen-sare che accanto ad ogni ap-palto debba esserci un poli-ziotto, o peggio ancora una microspia. La strada mae-stra è quella del controllo democratico o del controllo dei cittadini o del controllo di chi voglia chiedere ai pro-pri amministratori di ren-dere conto di come operano o di quello che fanno. È un passaggio epocale che deve essere vissuto anche da par-te delle amministrazioni con

una logica completamente diversa: non un semplice adempimento formale del-le proprie funzioni, ma una rendicontazione dell’attività che si svolge per mandato

ricevuto democraticamente.C’è poi un ultimo aspetto da considerare: l’importan-za del momento educativo. La corruzione è anche una deviazione di regole cultu-rali, è un modo di intendere l’esercizio del potere na-lizzato alla logica dell’arric-chimento personale. Che cosa e chi può cambiare la cultura della legalità nel pa-ese? Certamente le scuole, le famiglie, le agenzie edu-cative e in questo io credo che il mondo ecclesiastico, la Chiesa, possa svolgere un ruolo fondamentale, soprat-tutto nel far capire i danni che fanno certi sistemi ille-citi per il paese. Da citta-dino italiano e da credente ritengo che in questo senso stiamo vivendo un cambia-mento epocale: abbiamo un Ponte ce che parla conti-nuamente della corruzione, in termini anche duri. Papa Francesco ha affermato che la corruzione è peggio del peccato, perché il peccato si perdona, la corruzione no! La corruzione fa perdere il pudore che custodisce la verità, la bontà, la bellez-za. Il corrotto spesso - dice il Papa - non si accorge del suo stato, proprio come chi ha l’alito pesante e non se ne rende conto, saranno gli altri a capirlo. La corruzione è una condizione, uno stato personale e sociale, nel qua-le uno si abitua a vivere, fa danno soprattutto ai poveri, divenendo così uno strumen-to di sottosviluppo. Abituar-si all’idea che la corruzione non è un male qualsiasi, ma uno dei problemi principali del nostro paese, obbliga a prendere coscienza che l’im-plementazione del momento educativo rappresenta uno stimolo fondamentale a ri-pristinare le regole della le-galità.

Mons. D’Alise, il dott. O. Bobbio e i convegnisti alla Reggia di Caserta

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3il poliedroDicembre 2016 Anno 1- n. 10 MEIC

Il gruppo MEIC di Caserta è stato fondato il 2 dicembre 1985 per opera del compianto avv. Giuseppe Pisanti pri-

mo presidente del Gruppo, con assistente don Pietro Fari-na, compianto Vescovo di Caserta. La Direzione nazionale del MEIC riconosceva il gruppo di Caserta nell’anno 1986.Nell’anno 1993 veniva eletta Presidente l’avv. Velia Big-giero, successivamente nell’anno 2002 l’avv. Luigi Gravina, nel 2005 il dr. Oscar Bobbio e attualmente il prof. Pasquale Anniciello.Svolge la sua attività mediante incontri mensili seguendo il calendario dell’anno liturgico con l’assistente ecclesiastico don Elio Catarcio e con incontri sulle tematiche del Concilio Vaticano II con relazione da parte dei soci.

di Oscar Bobbio

In una visione che guarda all’Europea e al Mediterra-

neo, in una comunanza d’in-tenti e di prospettive, il Con-vegno nazionale del M.E.I.C., celebrato a Caserta, ha fatto emergere tutti i positivi valo-ri e le ricchezze di cui siamo portatori, con la consapevo-lezza che, ad onta della brut-tura dei disastri ambientali, delle estese corruttele, delle devastanti e soffocatrici orga-nizzazioni criminali, esistono nel nostro Sud energie posi-tive, intelligenze, creatività, bellezza; la bellezza non solo di opere d’arte e di ambienti naturali, ma soprattutto di sentimenti e di comporta-menti. «Verum, pulchrum et bonum inter se convertun-tur»: l’espressione della sco-lastica medioevale, che gura nel sottotitolo del nostro pro-gramma, rivela lo spirito che sottende il convegno: ciò che è vero è anche buono e bel-lo; la bellezza è lo splendore del bene e della verità, ha la stessa estensione dell’essere, del vero e del bene. Noi siamo immersi nella bellezza, come è stato detto con felice sintesi.Dalla bellezza, dal vero e dal buono bisogna ripartire per ri-sanare la realtà, sapendo che in tale opera di ricostruzione abbiamo solidi punti di rife-rimento nella nostra stessa terra: non solo per l’esempio

di F. Paolo Casavola

Il Mediterraneo è il mare che bagna tre continenti -

Asia, Africa ed Europa - ed è stato una specie di ombelico del mondo, del mondo consa-pevole, attivo, capace di porsi grandi domande nella crea-zione per i popoli, è stato da sempre un luogo di dialogo per cercare di capire quale fosse il destino dei vari popoli che si erano moltiplicati e sparsi sul-la terra secondo il mito di Ba-bele, il mito della torre che gli uomini stavano edi cando nel-la concordia persino delle loro lingue, a tal punto da mettere in timore Dio stesso nel non poter più controllare questa forza che sale no al cielo. E allora Dio distrugge la torre ed i popoli cominciano a parlare ognuno la propria lingua e si diffondono per la terra. Qui co-mincia il dramma della storia: ognuno di questi popoli inizia la sua interrogazione sul senso della propria funzione collet-tiva per essere un popolo, per essere uno stato, per essere un esercito. Quei popoli erano mi-granti e cercavano una terra in cui insediarsi stabilmente e paci camente, nella ricerca del giusto, del bene, della soli-darietà tra i cittadini e la pace tra i popoli nella diversità del-le etnie, delle lingue, delle cul-ture, delle cittadinanze. Questo ha portato allora quella antichità a scegliersi una dire-zione, quella di concepire uno stato che paci casse l’univer-so, che uni casse tutti i popo-li, che realizzasse per no una

Il Convegno Nazionale MEIC a Caserta

Una solidarietàper il bene di tuttialtissimo che alcune perso-ne ci offrono, ma soprattutto perché il valore, la forza che esse sprigionano liberano an-che in noi, dal nostro interno, le energie migliori che ci aiu-tano ad affrontare nel senso giusto le dif coltà che incon-triamo sul nostro percorso ed a rafforzare la speranza che la condotta retta di ciascuno porterà ad un miglioramento delle condizioni sociali. Le immagini luminose di quanti hanno dato la vita in questa terra campana, nell’a-dempimento del loro servi-zio, come Don Peppe Diana, il “prete anticamorra”, uc-ciso mentre si accingeva a dire Messa nella sua chiesa di Casal di Principe, e come Giancarlo Siani, che trovò la morte a soli 26 anni nello svolgere no in fondo, sem-plicemente, senza clamori, ma con passione e tenacia, il suo lavoro di giornalista e collaboratore de “Il Mattino, a Torre Annunziata, in un

Il Presidente emerito della Corte Costituzionale

Un’europa apertaal mediterraneo

sorta di colloquio nalmente positivo tra il creatore e la creazione. Due documenti im-pressionanti del II secolo dopo Cristo, la Lettera a Diogneto da una parte e l’“Eis Romen” di Elio Aristide dall’altra, ci dan-no la pienezza dei signi cati, del modo con cui quell’umani-tà di allora viveva la sua vita nel rispetto del diritto, nella pace sociale, nell’avanzamento delle tecniche, delle scienze e dall’altra parte quell’idea che tutto dovesse essere in qual-che modo trasceso. “Sopra il regno di Cesare c’è quello dei cieli” è la sintesi di questi due documenti, nati da ambienti intellettuali molto distanti e molto diversi, ma stranamente coincidenti in questa diagnosi, che corrispondeva alla realtà, destinata come tutte le grandi epoche della storia a consu-marsi: cadrà l’impero, ritor-neranno i barbari, ci saranno migrazioni violente e si regi-strerà la dif coltà a navigare nel Mediterraneo. Il Mediterraneo è stato, alle origini della civilizzazione delle sue sponde, considerato, come dice Omero, infecondo, perché la civiltà era allora legata all’e-sigenza di raccogliere i prodotti della terra per sopravvivere: civiltà di contadini e di pasto-ri. La civiltà marinara, quella dei grandi viaggi attraverso il mare, era un rischio mortale, il Mediterraneo diventava il segno della paura di morire.Quando si comincia nalmen-te a passare da una sponda ad un’altra, dall’Africa all’Eu-ropa, dall’Asia all’Africa e dall’Asia all’Europa, l’unità è profonda, badate bene che sant’Agostino si vanta di esse-re un africano: «Ego sum afer». Noi oggi ci vantiamo di ave-re esaurito la frontiera della massima civilizzazione e pure siamo razzisti, non tolleriamo la combinazione migratoria dei popoli.Il Papa, chiamato «dalla ne del mondo», ha manifestato tutta la sua delusione nella trasformazione del Mediterra-

neo in un immenso cimitero, dovuto alla criminalità, alla criminalità dei traghettato-

ri, alla criminalità politica di quelle nazioni che non inten-dono svolgere un disegno per eliminare questa perpetuazio-ne di un odio animale degli uo-mini con gli uomini, in una in-differenza di fronte alla morte di migliaia e migliaia di esseri umani.

che una volta non erano nean-che immaginabili. Dov’è allo-ra oggi la costruzione del “Ve-rum, pulchrum et bonum”, che “inter se convertuntur”? È questa la s da per l’uma-nità di oggi. Siamo sollecitati a ri ettere su delle respon-sabilità che non ci toccano come persone, come italiani, come cristiani cattolici come appartenenti ad una partico-lare forma di associazionismo cattolico, ma ci interpellano come esseri umani, come uo-mini, come donne: non pos-siamo, non abbiamo diritto a riempirci la bocca di diritti umani, di politiche umanita-rie, di progresso della condi-zione umana, quando poi non siamo in condizione neppure di far sentire la nostra voce. Qui è il paradosso: far sentire la voce, perché altre voci, con altre richieste, con altre paro-le in qualche modo ci costrin-gono a zittire.

contesto altamente delin-quenziale, assumono un valo-re simbolico; non esauriscono però, la loro funzione in una mera dimensione eroica di soggetti “eccezionali”: la for-za che promana da queste persone assolutamente “nor-mali” è tale da scuoterci dalla nostra pigrizia e dall’assuefa-zione a qualsiasi negatività, inducendoci a condotte rette in ogni momento della nostra vita, in famiglia, nei posti di lavoro, nelle pubbliche ammi-nistrazioni. E così, da questa terra, un tempo chiamata dai poeti Campania felix ed ora tristemente battezzata terra dei fuochi, non può non nascere una speranza: che le belle esperienze di vita, che sempre più vanno diffondendosi, riescano pian piano a rigenerare le nostre menti offuscate dal male ed intorpidite dall’indifferenza ed a riscaldare i nostri cuori in una ritrovata solidarietà per il bene di tutti.

Siamo andati sulla luna, ades-so stiamo tentando di andare su Marte e comprendiamo cose

Don Peppe Diana Giancarlo Siani

Mons. D’Alise e don E. Catarcio nella Cappella Palatina

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4 Dicembre 2016 Anno 1- n. 10il poliedro Territorio

di F.d.C.

Prima di essere un artista nel senso pieno del termi-

ne, ossia colui che assorbe e legge il mondo attraverso una forma di espressione artistica, Antonio de Core era anzitutto un pittore. Perché sapeva di-pingere. Possedeva tecnica e talento in egual misura, rinta-nato in quei silenzi che addolci-scono l’impazienza di un’anima turbolenta. Gli artisti, i pittori, non parlano molto, non hanno bisogno di parlare molto: vivo-no di lunghe apnee in mondi altri e paralleli. De Core, que-ste apnee, sapeva accudirle e dominarle nel suo studio, stret-to e profondo come un vascello. Ha fatto così per una vita inte-ra perché ha scelto di esserlo, dagli anni giovanili di esplosi-va esuberanza no agli ultimi giorni, il buio che acceca dopo il passaggio di un lampo che tutto ingloba, risucchia, ane-stetizza. Ha vissuto una sua parabola, de Core, e di questo era felice: l’ha spesa correndo dietro ai colori, perché proprio ai colori lui sapeva rivolgersi con dolcezza e forza misurata insieme.Ecco: de Core li trovava per strada, nei volti, nei riverberi di luce, negli anfratti, nei corti-li, nei pezzi di campagna asse-diata, nel mare nelle scogliere e nelle pietre, nei tagli di cielo e nei cartelloni pubblicitari, li stanava, li recuperava persi-

di Francesco de Core

Se c’è un elemento che le pur meritorie classi che

sulla cosiddetta qualità della vita non riescono a ingabbia-re, a fotografare, a rilevare attraverso il sismografo delle cifre, questo è il sentimento di una comunità. Il suo modo di intendere ed approcciare la vita quotidiana. L’esistente, come il passato e il futuro. Ciò che si è costruito e quan-to si intende realizzare. Gli indici servono, ma non tutto

racchiudono. Sarebbe troppo semplicistico pensare che Caserta terzultima in Italia – secondo il Sole 24 Ore – sia condannata oggi e per sem-pre a un destino buio, amaro, irredimibile. Perché, come sosteneva Italo Calvino con una immagine gurata che possiamo far nostra, dalle Città invisibili, dobbiamo “cer-care e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Se esiste, pur spento o camuffato, il senti-mento di una comunità che è anche un modus vivendi,forse è giunto il momento che Caserta lo recuperi, interro-gandosi no in fondo, e con franchezza, senza calcoli, senza favoritismi, senza dar peso a clan amicali, a interessi corporativi. Serve uno scatto d’orgoglio, una visione nuova che si riconnetta al meglio di

quanto elaborato, che raffor-zi segnali già positivi (e fra questi il numero di giovani laureati e di start-up innovati-ve). Colpisce, negativamente, quanto poco incida la Reggia vanvitelliana – pur con il suo altissimo numero di visitatori – nel capitolo su cultura, tem-po libero, partecipazione. E qui forse dovrebbe aprirsi una ri essione più ampia su un capitale che la città non pare mai in grado di sfruttare no in fondo, ovvero il suo patri-monio storico-architettonico. Un tesoro che poche altre aree possono vantare. Un tesoro che non viene messo a frutto.

A vent’anni dalla scomparsaAntonio de Core, l’artistache amava i colori della vita

Caserta, un futuro che ha radici anticheModeste proposteper un nuovo volto

cultura non è una biblioteca buia e polverosa, spenta nei suoi silenzi, ma il cuore che pulsa nel delicato meccanismo corporeo di una comunità. Ecco: il suo sentimento. Che è però anche economia, svilup-po, rispetto della tradizione ma sempre guardando avanti, confrontandosi, mai rannic-chiandosi nel perimetro di uno sterile localismo.Modeste proposte e/o osser-vazioni, allora, non chiac-chiere di bottega:- Caserta sarebbe la location ideale per festival/rassegne di letteratura, cinema, teatro, arte, musica; basta prendere una mappa e tenere insieme il Palazzo Reale, il Belvedere di San Leucio, il borgo di Caser-tavecchia, la Reggia di Cardi-tello. Mantova non dispone di un contesto così affascinante, non parliamo di Pordenone o Salerno. Si tratta di semi che, messi a dimora, produrrebbero qualcosa di importante, non di ef mero, con ricadute su una economia fragile, rinsecchita. Caserta non può essere solo il “surrogato” di altri set o il pal-coscenico di uno smarrimento provinciale che diventa simbolo di una condizione più universa-le in racconti, romanzi, pièce.- Il numero di artisti, scrittori, attori, musicisti che Caserta ha prodotto in questi anni – i nomi sono noti a tutti, inutile ripeterli - è indice di una fecon-dità culturale positivamente anomala. Ma la circostanza che molti siano andati via – pur restando legati alla città d’origine – dà la misura con-creta di una storica inadegua-tezza (che peraltro sconta non solo Caserta). Si può cercare di recuperarli a una causa nuova, (ri)legarli al territorio non solo con sporadici quanto inutili premi che si esauriscono nello stretto giro di una cerimonia,

te amata, dentro quegli spazi ampi e luminosi che nora il vuoto ha riempito con la pol-vere degli anni – e venti, dalla corda spezzata, sono davvero tanti – de Core ci arriverà a passo svelto, il suo passo.E ci porterà il suo estro dirom-pente, che non smetterà di es-sere luce e gio-ia. Interrogati-vo e passione. Mano e occhio. Tecnica e senti-mento.Vita, per chiu-derci insieme – noi con lui - in una parola che non ha mai ces-sato di scandire nei suoi quadri. Fino all’ultimo. Pablo Picasso, il genio am-mirato quanto Caravagg io , disse una volta: “Mi si de nisce

no nei giocattoli e sulle statue, nel bianconero più vero che c’è. Catturava quei colori, d’i-stinto; li rimescolava in sé e li metteva a disposizione del ta-lento, restituendoli poi ltrati al reale/irreale dell’arte, in ciò connettendosi al meglio del suo tempo: la Pop art, l’informale, le avanguardie; ma anche del variabile incedere quotidiano, dove convivono scontrandosi miserie, incoerenze e continui attentati alla Bellezza e alla Natura.Ha lavorato di pennello sin da ragazzo, con l’irruenza di chi sentiva angusto l’esistente; poi, af nandosi, ha addolcito gli impeti ma non governato le ansie, rendendo commesti-bile persino la complessità (e i vuoti, le contraddizioni) dell’e-ra industriale con i suoi feticci. Così, sul perimetro a volte lar-go delle sue tele, de Core ci ha fatto capire quanta illusorietà contenesse lo Sviluppo senza

nostalgia per il passato, ma spingendo a essere più critici, e più vigili, sul nostro futuro; e cosa potrebbe accadere ai valo-ri se ci abbandonassimo passi-vamente all’onda del Consumo (ma qui sorge il sospetto che sia già troppo tardi). Lo ha detto, lo ha scritto, ovvero lo ha dipin-to, quand’era nella narrativa e nel cinema che più si avvertiva l’urgenza di denunciare il peri-colo della mutazione – si pensi a Silone come a Bianciardi, a Pasolini e Sciascia come a Vol-poni e Ottieri.De Core era un uomo del Sud fatto in questo modo: fermo e dignitoso, non ammetteva le mezze misure anche quando si interrogava, e ci interrogava. Probabilmente, a saper leg-gere in quelle pause dilatate che scandivano la giornata nel “vascello”, si immaginava un po’ come il suo Laocoonte, stri-tolato non dal serpente ma da un tubo industriale: ha reagito come il sacerdote dilaniato con la determinazione di un carat-tere schivo, ma non per questo arrendevole. Non amava le ve-trine, le s late, ciò che danneg-gia, inquina o che è super uo: apriva la sua arte a tutti, ma non voleva che la sua arte fosse alla mercé di tutti.Adesso Caserta, la città che de Core non volle abbandonare - perché partire è come morire per davvero, perdersi, prosciu-garsi (così la pensava, ed era inutile contraddirlo) – ha deci-so di dedicargli, con gesto grato e generoso del sindaco Marino e dell’assessore Borrelli, una sala del museo di arte contem-poranea nel cuore del chiostro di Sant’Agostino.A un sof o dalla Reggia così tenacemen-

uno che cerca. Io non cerco, io trovo”. De Core, da padre e da artista, proprio perché tante volte aveva trovato, lungo il suo cammino troncato di netto in un giorno lontano e freddo di dicembre, era un uomo che continuava a cercare. Sempre.

A. de Core nel suo studio

Serve uno scatto d’orgoglio, una visione nuova

di una targa e di un brindisi?- Il ruolo che deve svolgere l’università non può esaurirsi in corsi di laurea, conferenze o dibattiti a circuito chiuso (o limitato). L’ateneo deve aprirsi alla città, soggiogarla, conqui-starla, assorbirla. Altrimenti non avrebbe senso, ma si rive-lerebbe una mera operazione

A. de Core, Simbiosi, tecnica a olio, 1989

di innesto, non produttiva di effetti reali sul territorio.- Teatri, gallerie, musei, case editrici, spazi culturali, librerie debbono osare, non limitarsi a riprodurre percorsi già battuti, semplicemente a uso commer-ciale, con nessuna prospettiva, nessuna capacità di guardare al futuro, di interpretarlo, di cavalcarlo.- La città stessa, i suoi ammi-nistratori, la comunità tutta, non debbono avere un ruolo passivo. Se c’è un limite, gros-so, che ha zavorrato Caserta è stato proprio il suo distacco verso quanti, singolarmente o in gruppo, hanno provato a guardare oltre. Un atteggia-mento di boria pseudo-provin-ciale che ha nito con l’espelle-re, o il ridimensionare, gure a cui quella realtà pareva as ttica, troppo stretta.- Caserta rispetti la sua me-moria, ma nel farlo deve capire che il nuovo millennio, con le sue rapidissime convulsioni e rivoluzioni, può offrire oppor-tunità. Enormi. Servirà corag-gio, e una certa dose di follia nella concretezza delle proprie azioni. Restare ancorati a vec-chi schemi sarebbe come una sentenza di morte. Galleggiare non è vivere ma semplicemen-te spegnersi pian piano.

Cultura è econo-mia, sviluppo,

tradizione

Incredibilmente. Perché la cultura può dare da mangia-re, checché ne dica qualche ex ministro forse inaridito dalle guerre burocratiche a colpi di Pil e bilanci. E perché

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5il poliedroDicembre 2016 Anno 1- n. 10 Territorio

di Antonello Velardi*

Ringrazio molto la reda-zione del Poliedro - ormai

tribuna imprescindibile per ogni discussione sulle sorti di Terra di Lavoro - che mi offre l’opportunità di scrivere di Marcianise, la città di cui sono sindaco da pochi mesi. Ho la possibilità di racconta-re un territorio dalle grandi potenzialità, ma soprattutto ho la possibilità di fornirne un’immagine ben lontana dagli stereotipi del passato. Com’è Marcianise oggi? Come

sta cambiando? E che ruolo deve svolgere l’amministra-zione comunale per favorire questo cambiamento? Come ho già avuto modo di osservare in diverse occasio-ni, all’indomani della mia elezione, Marcianise è uno dei più interessanti territo-ri non solo della provincia di Caserta e della Campania, ma dell’intero Mezzogiorno. Il suo distretto commercia-le e industriale rappresenta una parte rilevante del pil - il prodotto interno lordo, l’indi-catore più reale del quadro economico - della regione. È perciò il “capoluogo” di un’a-rea che rappresenta la parte più avanzata e più moderna di Caserta e della Campa-nia. Non perché prima non lo fosse; anzi, negli anni del boom economico, Marcianise fu etichettata come la Milano del Sud e fu già allora oggetto di una serie di analisi che ne evidenziavano il ruolo strate-gico. Lo è sempre stata, ma non con una consapevolezza piena. E perciò la mia è sta-ta negli ultimi anni - almeno negli ultimi due decenni -

una città dalle straordinarie potenzialità ma anche dalle inespresse capacità. Un’occa-sione perduta, per due moti-vi: perché nel frattempo ha risentito - in modo più eviden-te rispetto a realtà analoghe - della crisi economica che si è palesata sullo scenario non locale ma globale; e perché non ha avuto una classe di-rigente che fosse all’altezza dei tempi e dei problemi e sa-pesse immaginare percorsi, progetti, problemi e soluzione degli stessi. Una classe diri-gente non solo municipale ma anche territoriale che sapesse perciò posizionare Marcianise al centro di un processo più ampio e ne sapesse immagi-nare la collocazione lungo le direttrici di sviluppo. Eppure la mia città ha sapu-to esercitare una certa attra-zione, attirando qui aziende di primaria importanza in-ternazionale e di fatto tutti i primi grandi gruppi economi-ci italiani quotati in Borsa. È stata favorita in questo dalla posizione baricentrica e da una straordinaria infrastrut-turazione che ne fa, per i col-legamenti, una delle aree più interessanti a livello europeo. Le infrastrutture peraltro sono supportate da un inter-porto e da uno scalo merci che rappresentano il naturale sbocco verso il mare e quin-di verso il Sud del mondo di tutte le merci che arrivano dal Nord Europa, la parte più ricca del mondo. Questa capacità baricentrica non si è accompagnata ad una visio-ne moderna e produttiva, ad un’idea progettuale fattiva e condivisa. Anzi, è stata spes-so danneggiata da pratiche molto opache e da una visione parassitaria all’interno so-prattutto dei segmenti della pubblica amministrazione. Pensate solo per un attimo

Tenendo ben presente questo quadro d’insieme, noi voglia-mo ora provare a cambiare Marcianise, quanto meno a contribuire a determinare un forte processo innovati-vo, facendo da collante con i

Marcianise città della produzioneStraordinarie potenzialità e inespresse capacità

Quindi, un riferimento forte all’interno della grande co-nurbazione casertana che in tal modo avrebbe un peso po-litico enorme, ben oltre quello del capoluogo di provincia. In quest’ottica, che cosa pos-siamo e dobbiamo fare? Come amministrazione abbiamo messo in atto già alcune pra-tiche. Intanto abbiamo sotto-scritto un accordo transattivo con la società che gestisce l’interporto ponendo ne ad un lunghissimo contenzioso con il Comune di Marcianise e mettendo le basi per il de ni-tivo rilancio di una struttura

fondamentale per lo sviluppo del territorio e per il supporto alle aziende che qui operano. Una transazione che arriva 20 anni esatti dopo l’accordo di programma. Abbiamo ri-vendicato, e continuo a farlo con orgoglio, la lungimiran-za e il coraggio di una scelta che tutte le classi dirigenti dell’ultimo decennio almeno non hanno voluto assumere, abdicando di fatto alla loro naturale funzione di guida e di orientamento. Ma non ab-biamo fatto solo questo. Ho incontrato i vertici della Re-gione Campania e l’ammini-stratore delegato di Invitalia chiedendo di poter gestire il vecchio incubatore d’imprese collocato nella nostra area industriale e ora af dato a Sviluppo Campania, società strumentale regionale in fase di smantellamento. L’accordo c’è, a stretto giro arriveremo a gestire l’incubatore e avremo quindi uno strumento impor-tante per collocare e avviare soprattutto le start up, ovve-ro quelle imprese agili che si

affacciano per la prima volta sul mercato nazionale ed in-ternazionale.Stiamo insomma lavorando per rafforzare il tessuto pro-duttivo di Marcianise, convin-ti che il Comune non produce posti di lavoro ma certamente può aiutare le imprese a cre-scere e quindi a creare occa-sioni di lavoro. È una visione nuova, moderna, che cozza con pratiche antiche, rive-latesi un grande fallimento, simbolo della negazione della politica. Noi vogliamo invece stimolare il protagonismo, la partecipazione, la voglia di

essere protagonisti. In questa nuova visione, stiamo dando spazio e forza alla parte sana della città, ai giovani soprat-tutto. Marcianise rappresen-ta un caso unico a livello re-gionale: possiamo contare in città su oltre cento associazio-ni regolarmente censite, pos-siamo vantare un associazio-nismo moderno e intelligente. Stiamo mettendo questi mon-di in rete, li stiamo facendo dialogare; stiamo, in buona sostanza, svolgendo la nostra funzione, stiamo assolvendo al nostro ruolo di classe diri-gente. Vorremmo essere, in questo, un caso da imitare: un esempio di best practices. Con l’aiuto di tutti sono con-vinto che ci riusciremo.

*Sindaco di Marcianise, giornalista

soggetti - le imprese e le isti-tuzioni innanzitutto - prota-gonisti dello sviluppo e della produzione. Personalmente ho un’idea abbastanza chia-ra di Marcianise come città della produzione, all’interno di un sistema dove Caserta è la città della cultura e dell’ar-te, dove Santa Maria Capua Vetere è la città dei servizi, e dove Maddaloni potrebbe es-sere la città della tradizione.

al grande carrozzone che è diventato progressivamente l’Asi, l’Area di sviluppo indu-striale, un organismo che do-veva funzionare da volano ed è diventato invece un luogo di interessi della politica, una grande stanza di compensa-zione utilizzata negli anni dalle classi dirigenti straccio-ni.

Contribuirea determi-

nare un for-te processo innovativo

Dare spazio e forza alla parte sana della città

Marcianise, Strada delle acque

Marcianise, La fontana dei Delfi ni (P.zza Umberto I)

Marcianise, Statua della Caritàdi Onofrio Buccini (1877)

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6 Dicembre 2016 Anno 1- n. 10il poliedro Territorio

di Paola Broccoli

Fine anno è tempo di bilan-ci, di consuntivi, di spe-

ranze e ri essioni anche in un cupo presente. A Caserta ogni giorno chiudono negozi, operai di fabbriche in crisi invocano l’appoggio delle istituzioni e della politica, immigrati chie-dono un obolo per la soprav-vivenza. Il linguaggio usato, innanzitutto dalla politica, è inadeguato a dare conto dei guasti prodotti dalla crisi. Il PIL, il de cit, lo spread… non raccontano la vita reale di gran parte della società. Come si misura il dolore di chi il la-voro lo ha perso, non lo trova e non lo cerca più? Quale indice può misurare l’emarginazione, l’angoscia, la povertà, la soli-tudine? Che Natale è quello di chi non ha casa, non può proteggere i gli, non può cu-rarsi? Elenco di seguito alcuni numeri della realtà economi-ca casertana: 91.744 sono le imprese registrate, il terziario (commercio e servizi) è il set-tore più consistente, seguito dalle costruzioni e dall’agricol-tura, l’attività manifatturiera è regredita. Caserta è 101esi-

Identità senza segni particolari di una terra marginale

di Bruno Saviani

Vivere in periferia, tra le rovine di un’illusione in-

dustriale e il disordine urbani-stico di un crocevia che separa quattro comuni limitro , per-mette di rilevare la tangibile precarietà del limite dello spa-zio comune e la legittimazione popolare della libera interpre-

tazione dello spazio vitale. Gli architetti nutrono un continuo scambio di ri essioni e spunti di ricerca con loso , storici, artisti, matematici, scrittori, circa la visione responsabile dello sviluppo urbano senza ambizione di una soluzione semplice e immediata, tutta-via mai avrei immaginato di dovermi soffermare a ri ettere sull’identità storica e sventura-ta, forse senza speranza, della località “Lo Uttaro” a con ne tra i comuni di San Nicola La Strada, Caserta, Maddaloni, San Marco Evangelista. Nei primi anni sessanta la zona “Lo Uttaro” è stata individuata quale area periferica dell’inse-diamento industriale Saint Go-bain nella quale far con uire i liquami di scarico e scarti liqui-di del processo di lavorazione del vetro. Sono stati sversati per oltre un decennio liquami e fanghi all’interno di fossati, nel rispetto delle norme di una piani cazione miope e senza pretese riservate ad un’area urbana residuale. Nasce così l’identità senza segni partico-lari di una terra marginale, un avanzo. Negli anni che seguo-no la ne della fabbrica del ve-tro e con essa la ne del sogno di sviluppo economico da agri-colo a industriale, la località Lo Uttaro viene individuata, quasi a tutela della sua voca-

zione paesaggistica e naturale, quale area di discarica dei ri- uti solidi urbani provenienti

dai comuni limitro , no agli anni novanta. Durante questo periodo le cave di tufo, anch’es-se relitto abbandonato e scarto dello sviluppo tecnologico delle costruzioni dalla pietra di tufo al calcestruzzo armato, sono ri-empite di ri uti solidi di vario genere e molto spesso maleo-doranti. Le cave saranno così riempite e rivestite con una coperta di terreno vegetale, senza storia agricola e senza futuro edilizio. Eppure la loca-lità Lo Uttaro è attraversata dalla via Appia, che unisce i territori di Caserta, San Mar-co Evangelista, Maddaloni e San Nicola la Strada ed è oggi un interessante cerniera tra i principali assi viari che con-ducono a Capua da un lato e a Napoli dall’altro. È forse l’area periferica residuale comune e in quanto tale centrale rispetto ad una macroarea intercomu-

nale. Si tratta di un’opportuni-tà urbanistica in cui nutrire la densità del vuoto, curando forse l’unico segno particolare dell’i-dentità di questo luogo, ossia il concetto dell’attraversamen-to, del transito, dell’incontro, del confronto, del temporaneo, del fragile e forse dell’ef mero. Intanto che l’attesa non ge-nera sviluppo storico-sociale, l’incertezza nutre la paura dei cittadini che, abitando questi luoghi, prendono coscienza del pericolo ambientale di una pia-ni cazione vecchia e non più rinnovabile.I facilitatori del confronto, gli operatori delle analisi critiche dei fenomeni sociali, gli ammi-nistratori locali, sono chiamati a dare un contributo alla rige-nerazione storica. La Politica è sempre stata sottile interprete della storia e attenta costrut-trice di prospettive del futuro, ma in questo momento storico, ecosostenibile ed ecocompatibi-le, è avanzato un biodigestore.

Il lavoro persoma tra le province italiane per consumi, 96esima per occupa-zione. Se siamo quasi sempre negli ultimi posti delle classi -che per vivibilità è perché i no-stri bisogni non trovano tutela e sostegno. Il disagio non viene considerato. Come scriveva l’e-conomista Amartya Sen, pre-mio Nobel nel 1998, «le pene della disoccupazione possono essere enormemente più gravi di quanto possano suggerire le statistiche sulla distribu-zione del reddito». L’articolo 1 della Costituzione sancisce che «L’Italia è una Repubbli-ca democratica, fondata sul lavoro», ma non c è corrispon-denza tra linguaggio e realtà. L’augurio sincero che cattolici e laici, possano sancire un pat-to che porti l’uomo al centro della società. La politica deve riaffermare il primato della persona sul pro tto: il Natale ci impegna per tale rivoluzione da compiere insieme, af nché tutti abbiano un lavoro ed una vita pienamente realizzata, «senza che - afferma il losofo Cacciari - il discorso venga mai meno al rigore e alla coerenza, ai problemi concreti, alla stori-cità dell’esserci».

Indice della distribuzionedei settori economici

in provincia di Casertadati uffi ciali della CCIAA Caserta

La Distribuzionedelle imprese

per natura giuridicain provincia di Caserta

dati uffi ciali della CCIAA Caserta

Vivere in periferia

Reggia di Caserta

Fotometria dall’alto della zona Lo UttaroTelai a mano, industrie seriche di San Leucio

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7il poliedroDicembre 2016 Anno 1- n. 10 Formazione

Le città e la s da dell’accoglienza

di Antimo Natale

Da sempre l’arte ha espresso il desiderio di comunicare con il trascendente. Sin dalla preistoria l’uomo primitivo rappre-

sentava nelle pitture rinvenute sulle pareti e sulle volte delle caverne, scene di danze sacre, no ad arrivare, con il Cristia-nesimo, all’arte come espressione di fede. Ciò perché, se è vero che la religione cristiana si è tramandata attraverso i dogmi, è anche vero che con l’iconogra a i cristiani hanno mostrato la loro fede. L’arte diventa, quindi, una testimonianza importan-tissima per l’insegnamento della religione Cattolica, in quanto essa è rappresentazione, tramite simboli ed immagini, dei testi della fede cristiana su Dio. Oggi l’IRC si interessa all’arte non solo in quanto espressione della fede cristiana, ma anche per-ché in essa traspare la ricerca dell’uomo, le sue domande ed il suo anelito verso l’in nito. Utilizzare l’arte nell’insegnamento della religione cattolica signi ca far memoria di un passato che è fondamentale per aiutare i ragazzi a sviluppare la propria co-scienza dell’identità e dell’appartenenza ad un gruppo cultura-le e sociale. Il testo-arte diventa così un documento che spiega come viene interpretata una verità di fede dal popolo cristiano in un particolare contesto storico e geogra co.Il compito del docente è di favorire un percorso di decodi ca di segni e simboli rintracciabili in varie forme di espressione arti-stica, proponendo itinerari di scoperta, apprendimento e com-prensione che aiutino gli studenti a cogliere il senso religioso e l’espressione di fede cristiana nelle opere d’arte. Oggi la scuola vuole introdurre gli alunni al mondo del linguaggio dei segni e dei simboli dell’arte che richiamano alla fede dei cristiani. Questa strategia didattica appare molto idonea alla nuova mentalità mediale degli allievi i quali riescono, attraverso le espressioni visive, a cogliere e ssare nella mente i messaggi del testo-arte più facilmente che non attraverso le parole.Nella strategia didattica risulta stimolante ed interessante per gli alunni l’interpretazione di alcuni simboli nell’opera d’arte come portatori di speci ci messaggi. Avviene, quindi, che il testo-arte aiuti a comprendere e ad interpretare la cultura re-ligiosa, stimolando il ragionamento e trasformando l’aula in un laboratorio in cui i ragazzi si confrontano, socializzano, si scambiano le loro esperienze ed imparano ad usare nuovi ma-teriali per costruire diverse conoscenze e competenze.

di Gianmichele Marotta

Da qualche anno la Con-ferenza Episcopale Cam-

pana ha avuto l’intuizione di celebrare a livello regionale la Giornata per la Custodia del Creato, ancora di più incorag-

Insegnare religionecattolica con l’arte

Giornata per lacustodia del creato

stati al mondo non vi sono coinvolti) oltreché per le sem-pre più gravi crisi ambientali, stiamo assistendo negli ul-timi anni a un esodo biblico di milioni di persone dai loro contesti di origine per trova-re un “rifugio” altrove, spesso in Europa. Qual è il senso di riunire i sindaci allorché gli stati appaiono impotenti di fronte alle esigenze di tutela dei migranti e dei rifugiati, quando non agiscono diretta-mente per respingerli? C’è la necessità di operare in spirito di corresponsabilità politica, dal basso, creando una rete di cittadini, associazioni e istituzioni che possano acco-gliere quanti sbarcano sulle nostre coste europee o supe-rano fortunosamente le fron-tiere dell’Unione. Immagini drammatiche ci si presenta-no quotidianamente e mai, come oggi, abbiamo bisogno in senso letterale di “pescato-ri di uomini”, di usare “reti” di accoglienza capaci di re-stituire o ricreare un futuro

ai nostri nuovi concittadini. Ecco il senso del coinvolgi-mento delle città. Una nuova politica di solidarietà che su-peri le impacciate diplomazie nazionali ed europee e rimet-ta al centro la vocazione di accoglienza e protezione che le città storicamente hanno avuto. Ancora di più nella po-litica ispirata ad una visione cristiana l’anima delle città e l’anima degli uomini si muo-vono insieme in una tensione verso l’alto (la Gerusalemme celeste) e in una imprescindi-bile prospettiva di attenzione al prossimo.Alla ne del 1955, Giorgio La Pira, allora sindaco di Firen-ze, inaugurava con queste pa-role il Convegno internazio-nale dei Sindaci, richiamando il senso politico e insieme simbolico delle città che “han-no una vita propria: hanno un loro proprio essere misterioso e profondo: hanno un loro vol-to: hanno, per così dire, una loro anima ed un loro destino: non sono cumuli occasionali

di pietra: sono misteriose abi-tazioni di uomini e più anco-ra, in certo modo, misteriose abitazioni di Dio: Gloria Do-mini in te videbitur. Non per nulla il porto nale della na-vigazione storica degli uomini mostra, sulla riva dell’eterni-tà, le strutture quadrate e le mura preziose di una città be-ata: della città di Dio!”. È in questa prospettiva che siamo chiamati a iniettare umanità continuamente nelle relazio-ni non solo interpersonali, ma anche sociali e politiche. Per superare la crisi attuale è ne-cessario reimmettere il senti-mento umano nelle scelte, im-mettere umanità delle nostre città e farle divenire spazi di accoglienza. “La crisi del no-

stro tempo - che è una crisi di sproporzione e di dismisura rispetto a ciò che è veramente umano - ci fornisce la prova del valore, diciamo così, te-rapeutico e risolutivo che in ordine ad essa la città pos-siede” (La Pira). Innestare la persona nel contesto organico della città, qualunque perso-na, senza considerare la sua lingua, razza o religione, non è solo il compito di politici eletti.Richiede il nostro (di tut-ti insieme) impegno uma-no, culturale e scienti co, la partecipazione responsabile e solidale di ciascuno per la costruzione di un percorso politico (della e nella polis)che non sia solo esecuzione di rituali amministrativi, ma so-prattutto profezia al servizio di ogni essere umano.

di Gian Maria Piccinelli

Ottanta sindaci europei si sono incontrati in Vatica-

no, presso l’Accademia delle Scienze, lo scorso 9 e 10 di-cembre. Al centro dell’evento – non il primo di questo tipo promosso da Papa Francesco – la grande s da della migra-zione e della protezione in-ternazionale dei rifugiati. Lo scorso anno, di fronte a primi cittadini provenienti da di-verse parti del mondo, all’in-domani dell’enciclica Laudatosi’, al centro del dibattito fu posto il ruolo delle città nella difesa del creato e nella tutela dell’ambiente.Il recente incontro – sotto il titolo “Europa: i rifugiati sono nostri fratelli” – ha voluto invece portare l’attenzione internazionale sulla necessi-tà di operare per la stabilità delle relazioni politiche glo-bali intervenendo sulle cause delle grandi emergenze uma-nitarie contemporanee. Per il crescente numero di con itti bellici globali (oggi solo 12

giata dalle parole del Santo Padre Francesco che, nella sua ultima Enciclica dedicata alla cura della casa comune, afferma che “non tutto è per-duto, perché gli esseri uma-ni, capaci di degradarsi no all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a sceglie-re il bene e rigenerarsi” (LS, 205). È così che i Vescovi del-la Campania hanno deciso di avviare un percorso, cercando di toccare negli anni tutte le diocesi della regione, per sen-sibilizzare ad una visione di ecologia integrale che inclu-da, prima di tutto, l’amore per la dignità di ciascuno e, quindi, per il Creato stesso; allo stesso tempo il percorso proposto vuole favorire il dia-logo con quelle istituzioni che,

Regionale, il 23 settembre 2017, che sarà celebrata nel-la nostra Diocesi. Per meglio vivere questo percorso di edu-cazione all’ecologia integra-le, il settore per i problemi sociali ed il lavoro della Dio-cesi sta programmando un accompagnamento, in varie modalità, da offrire alle par-rocchie e alle scuole per evi-tare di celebrare un “evento”

tra i tanti ma scal re i cuori in profondità, sulla spinta di una spiritualità ecologica ed una conversione ai nuovi stili di vita: “Non bisogna pensare che questi sforzi non cambie-ranno il mondo. Tali azioni diffondono il bene nella so-cietà […] l’esercizio di questi comportamenti ci restituisce il senso della nostra dignità”(LS, 212).

sovente, restano in silenzio o nascoste dietro slogan di fac-ciata. Lo scorso settembre la giornata regionale è stata ce-lebrata, in un’ottica di comu-nione e con spirito ecumenico, nella diocesi di Nola approfon-dendo la tematica della digni-tà del lavoro e della custodia del creato. Al termine di essa è stata consegnata ad ogni Vescovo una lampada, frutto della creatività dei ceramisti di Cerreto Sannita, da tenere accesa in Cattedrale - anche la nostra Cattedrale custodi-sce questo simbolo - per ac-compagnare con la preghiera, durante l’anno, le tante tap-pe e giungere alla Giornata

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8 Dicembre 2016 Anno 1- n. 10il poliedro In Cattedrale

di Gennaro D’Antò

L’evento di domenica 11 dicembre, #LasciaLa-

TuaImpronta lo paragonerei decisamente ad una tavola di colori: i volti dei ragaz-zi esprimevano festa, gioia e colori, gli stessi utilizzati per lasciare la loro impronta all’entrata della Cattedrale, i colori del cuore con cui hanno risposto all’invito del nostro Vescovo. Con i colori dei loro occhi hanno espresso viva-mente il desiderio di lasciare un’impronta non nella sabbia ma nel cemento della loro vita decidendo di mettersi in gioco, accogliere la chiamata del Vescovo a non interrom-pere, dopo il sacramento del-la cresima, il loro cammino lungo la via della Buona No-vella. Sono sempre più con-sapevole di quanto i giovani abbiano bisogno di qualcuno che stimoli i loro interessi, li incuriosisca e soprattutto non li faccia sentire giudica-ti. Sono direttore della PG da un anno e ho avuto la fortuna di incontrare molti ragazzi: ascolto le loro storie, mi piace

di Rosanna De Lucia

“Non perdiamoci di vista” sono le parole sussur-

rate all’amico ritrovato dopo tempo, quando dentro il cuo-re la gioia profonda che gode di quell’attimo, si scontra con il timore che quanto temi si realizzi. Felici, sì, di vivere quelle intenso abbraccio, ma tristi al pensiero che dovrà passare del tempo prima di riaverlo. “Non perdiamoci di vista” è la frase con cui il Ve-scovo ha prima accolto e poi

Il direttore della Pastorale giovanile

#LasciaLaTuaImpronta

Non perdiamoci di vista

confrontarmi con loro e ride-re insieme, ma spesso mi ca-pita di leggere nei loro occhi tanta insicurezza su sé stessi, sulla fede, sulla vita. Invece, vedendo tutti quei ragazzi, di ogni età entrare per la porta principale della Cattedrale, ho vissuto dentro il mio cuo-

re un nuovo giubileo, quello della speranza. Si sono incu-riositi. Hanno accolto con gio-ia la possibilità di rivedere il nostro Padre Vescovo e sono rimasti. E ci rincontreremo, come molti hanno chiesto. Vederli è stata l’ulteriore con-ferma di quanto l’incontro con il Signore smuove i cuori, la voglia di conoscerlo è grande anche per i dubbiosi. Non esi-ste fede senza dubbi, ma no-nostante tutto Dio continua a volerci bene.

L’incontro dell’11 ha aperto la programmazione della Pasto-rale giovanile e vocazionale, entrambe rivolte al discerni-mento personale, all’ascolto dell’altro e alla voglia di met-tersi in gioco con esperienze, laboratori che stimolino il giovane ad avere ducia in

se stesso e nell’altro per sen-tirsi protagonista della sua vita e di questa società, spes-so distratta e super ciale ai richiami silenziosi dei giova-ni. Essi hanno mille colori, hanno mille sfumature e, solo ascoltandoli e dandogli du-cia, capisci che la loro anima è un arcobaleno di colori che ha voglia di uscire e dire, gri-dare: io ci sono!Durante la GMG a Cracovia, il Papa si rivolgeva ai 3 milio-ni di giovani presenti renden-

congedato i giovani che han-no accettato l’invito all’in-contro dal tema “Lascia la tua impronta”, tenutosi nella chiesa Cattedrale di Caserta l’undici dicembre scorso. Una iniziativa che prevede un ca-lendario di incontri e che vede coinvolte la Pastorale Giova-nile e quella Vocazionale in-sieme al Vescovo, desideroso di riabbracciare gli ottocento giovani cresimati dell’anno che volge al termine. “Il fatto che siete presenti qui, oggi, che avete risposto a questa chiamata, signi ca che avete preso sul serio il Sacramento che avete ricevuto” ha ini-ziato il Vescovo Giovanni. “È stata un’enorme grazia di Dio conferire la cresima a otto-cento giovani della Diocesi e sarebbe un terribile misfatto rischiare di perdervi”. Dopo l’accoglienza calorosa con canti, balli, preghiere, segni e attività coinvolgenti nello stile fresco ed energico del-

la nostra diocesi, il Vescovo Giovanni ha parlato al cuore dei giovani cresimati presen-ti con il suo linguaggio chia-ro, semplice e concreto che è allo stesso tempo profondo e tagliente, così come è spesso la Parola di Dio. “Il tema di questo incontro è «Lascia la tua impronta» - ha ripreso il Vescovo - e noi di impronte siamo soliti lasciarne tante. Solo che spesso sono tracce negative”. L’impronta che do-vremmo poter lasciare è in-vece un’impronta bella, origi-nale, unica, così come siamo noi giovani cresimati, dentro il cuore dei quali lo Spirito Santo ha ormai scavato con la forza di un ume in pie-na, di una amma che arde, di un vento che sof a impe-tuoso. Solo lasciandosi attra-versare dallo Spirito Santo la nostra impronta non sarà più di semplici uomini e don-ne, ma di Cristiani. Durante l’incontro, le testimonianze dei due giovani di “Piatto matto”, il ristorante nato con il sostegno del Progetto Poli-coro, hanno incuriosito e di-

doli sempre più protagonisti di una Chiesa che li guarda, perché ha bisogno di loro, dei loro sogni, dei loro sorrisi, dei loro sguardi, delle loro sfuma-ture per crescere e imparare anche da essi. E la program-mazione di quest’anno è im-prontata sulle parole di Papa Francesco, ai messaggi d’a-more che ha lanciato ai giova-ni di tutto il mondo. Il Papa, per ottobre 2018, ha indetto il sinodo «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Questi due anni saranno ri-

volti alla preparazione di que-sto importante evento per ri-scoprire i valori dell’incontro, della solidarietà, dell’ascolto, della condivisione, ma soprat-tutto per generare un proces-so nuovo che aiuti i giovani a lasciare un’impronta forte e decisiva nella loro vita.Ci aspetta un nuovo anno ricco di gioia sui passi della Buona Novella, perché ricor-datevi che trovarsi insieme è un inizio, restare insieme un progresso, lavorare insieme un successo.

vertito la giovane assemblea, spingendola allo stesso tem-po a ri ettere sulla possibi-lità che ognuno ha in questo tempo di lasciare un’impron-ta, di scegliere il bene, di fare della propria vita un’opera d’amore, grazie all’impegno personale ma anche comu-nitario e con la ducia cieca verso il Padre celeste che mai abbandona. E così, ogni giovane presente che prima di entrare aveva lasciato la propria impronta colorata su un enorme foglio di carta, all’ingresso della cattedrale, è stato chiamato a pensare seriamente e con coscienza all’impronta da lasciare in questa società, che ha biso-gno di giovani profeti e testi-moni perché, come il Vescovo ha più volte sottolineato, “i giovani si attirano a Dio con altri giovani” in questo silen-zio assordante che non parla più di Gesù e della concretiz-zazione del Cristianesimo. Rinnovato l’invito ai prossimi appuntamenti del percorso, l’incontro si è concluso nello stesso festoso clima in cui ha

avuto inizio. Musica, canti, mani intrecciate, abbracci, sorrisi profondi e il cuore pie-no, inquieto per le nuove con-sapevolezze. “Come cristiani, non possiamo stare tranquilli no a che le chiese sono piene

di anziani e latitano i giovani”. Con queste parole, il Vescovo ha chiesto ai presenti di unir-si ai sacerdoti e alle comunità per riscoprire la vera missione: quella di ricambiare l’amore di Dio del quale siamo ricolmi, portandolo fuori dalle nostre mura, agli altri giovani che aspettano una chiesa fresca, esuberante, “chiassosa e crea-tiva” perché mossa dallo Spiri-to Creatore. Poi, con gli occhi pieni di speranza, ha salutato le sentinelle del mattino “Vi supplico, non lasciateci soli. Dateci una mano. Anzi, stase-ra è Cristo Gesù che ve lo sta chiedendo. Dategli una mano”. E così, come nell’abbraccio all’amico ritrovato, tutti quei cuori pulsanti della Chiesa viva di Caserta lo hanno silen-ziosamente e vicendevolmente gridato: Mi raccomando, non perdiamoci di vista!

Mons. D’Alise con i cresimati in Cattedrale

Cattedrale di Caserta, un momento dell’incontro

Coro di animazione

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9il poliedroDicembre 2016 Anno 1- n. 10 In Cattedrale

alla gioia, è lasciare la propria impronta in questo mondo. Spesso i giovani avvertono lo smarrimento dinanzi alle il-lusioni che il mondo propone, si cerca un senso che sembra svanire sotto le proprie mani; si provano mille strade, si fan-no tante cose ma tutte sem-brano non avere senso pieno, tutte fanno precipitare nel ba-nale della vita e nella insoddi-sfazione no a quando non si fa esperienza di Colui che per primo ama e non tradisce, Co-lui che offre il senso pieno del-la vita ed insegna ad Amare. Lo slogan che accompagna il percorso di pastorale vocazio-nale dell’anno è “Alzati, va’ e

Anna Lucia, 25 anni, parrocchia San ClementeStasera ho provato una gioia particolare nel momento in cui ho scritto su quel pezzetto di carta “l’impronta” che volevo lasciare. Ho sentito una grande gioia, ma anche tutta la respon-sabilità dell’impegno che stavo assumendo davanti a Dio e ai miei coetanei. Mi impegnerò a far frutti care i doni che il Signore mi ha dato: fede, amore e capacità di fare musica, portan-do felicità lì dove ce n’è più bisogno. Soprattutto negli ospedali, ai bambini malati terminali. Voglio che arrivi loro tutta la gioia della vita.

Assunta, 23 anni, Santa So a in MaddaloniMi hanno colpito molto le parole di Papa Francesco che hanno dato il tema a questo incontro. Io sento fortemente il dovere di “lasciare una impronta” in questo tempo che vivo. Il mio desiderio è quello di conoscere sempre di più la Parola di Dio, infatti sono iscritta all’Istituto di scienze religiose che in questo senso mi aiuta tanto. E il mio impegno sarà quello diportarla a chi non la conosce. Molti non ne comprendono la bellezza e non sanno quanto amore può sprigionare. È questo ciò che desidero: portare a tutti l’amore di Gesù attraverso la Sua Parola, perché è da lì, per me, che tutto ha inizio.

Mariangela, 33 anni, Maria Santissima del Carmine e San Giovanni BoscoCiò che stasera mi ha stupita è stato, anzitutto, l’affetto del nostro Vescovo. Dalle sue parole traspariva la gioia di incontrare noi giovani, una parte del popolo di Dio spesso trascurata dalla Chiesa istituzione. Ed è per questo che mi ha tanto colpito la testimonianza dei due giovani di “Piatto matto”. Dalla loro esperienza è emerso che Dio, attraverso la Chiesa, interviene concretamente nella vita delle persone. Stasera vado via con la speranza, anzi, con la certezza che tutto è possibile se ci mettiamo nelle Sue mani.

Umberto e Federica, 22 e 23 anni, Santa Maria della Pietà Siamo educatori di Azione Cattolica e siamo stati invitati dai membri della pastorale giovanile diocesana a partecipare all’organizzazione dell’incontro di questa sera insie-me ad altri ragazzi. Noi l’abbiamo vissuto come esperienza di crescita e condivisione, ed è stato bello vedere i giovani “muoversi” per la Chiesa. Vedere giovani provenienti da parrocchie ed esperienze diverse ma con un sigillo comune. Sarebbe importante vedere questo realizzarsi ogni giorno nella nostra Chiesa, particolare e universale. La collabo-razione e la sinergia tra le diverse comunità.

don Antimo Vigliotta, 32 anni, parroco dell’unità pastorale S. Maria Madre della ChiesaStasera, vedendo la cattedrale piena di giovani, non ho potuto fare a meno di ripensare a Cracovia, la terza giornata mondiale della gioventù che ho vissuto da vicino. Ed ho ripensato al motto col quale il Papa ci ha lasciati in quella occasione: “Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro di misericordia”. Ecco, io penso che, accettando l’invito a questo incontro e impegnandosi a lasciare ognuno la propria impronta nella società, questi giovani lo stiano facendo. E ciò che più mi colpisce è che mentre per me è quasi “d’ob-bligo” essere qui stasera, essendo io un sacerdote e dunque un uomo che ha fatto la scelta di dedicare totalmente la vita a Dio, per loro, giovani laici, pieni di interessi, impegni e richiami mondani, rispondere “eccomi” alla chiamata di Dio non è per nulla scontato. Ed è, per noi sacerdoti, fonte di gioia profonda vederli qui. Grazie a Dio, al Vescovo e alla Chiesa di Caserta per questi momenti di grazia.

Alzati, va’ e non temereIl direttore della Pastorale vocazionale

non temere”; siamo chiamati ad uscire da noi stessi, a vive-re un esodo, dandoci di Gesù che ci invita a compiere una missione, anzi a fare della no-stra vita una missione. Non a caso, Papa Francesco nell’e-sortazione Evangelii Gau-dium ricorda che “io sono una missione su questa terra e per questo mi trovo in questo mon-do” (n.273). Cinque giovani della nostra diocesi hanno de-ciso di darsi di Gesù e stanno provando a lasciare la propria impronta attraverso la voca-zione sacerdotale; una propo-sta che il Signore continua a fare oggi, forse proprio a te che leggi! Se così fosse, il Centro

di Gianmichele Marotta

Gioia e sof o dello Spiri-to hanno contrassegnato

l’incontro del Vescovo con i giovani, lo scorso 11 dicembre, che ha visto il lavoro congiun-to della pastorale giovanile e quella vocazionale. Un incon-tro per invitare i tanti giovani della diocesi a “lasciare la pro-pria impronta” di bene nella vita. Scoprire che la vita è vo-cazione, una chiamata di Dio

Diocesano Vocazioni è pronto a sostenerti ed accompagnarti in questa splendida avventura d’Amore. Contattaci su www.seminariodicaserta.it.

Testimonianze a cura di R.D.L.

Mons. D’Alise con i giovani

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10 Dicembre 2016 Anno 1- n. 10il poliedro Caritas

Si informano le comunità parrocchiali, circa l’avvio del nuo-vo Corso di “Formazione di base” per operatori Caritas, da giovedì 12 gennaio 2017, con cadenza settimanale dalle ore 18 alle 20, presso la parrocchia del Buon Pastore. Il corso sarà composto da otto incontri, suddivisi in lezioni “frontali” e “laboratori” e verrà completato da un breve esame di va-lutazione, cui seguirà la consegna dell’attestato. Si invita, pertanto, i parroci a segnalare i nominativi delle persone interessate, purché motivate, entro e non oltre la data del 6 gennaio. Provvederanno i coordinatori di forania a distribu-ire i moduli per la iscrizione al corso.

Agenda Caritas Diocesana

di Antonello Giannotti

Quando ci si lascia in-terpellare dai bisogni

del nostro tempo, si scopre sempre più come sia estre-mamente faticoso, a volte impossibile, dare soluzioni ai problemi e prendere in carico i numerosi volti di povertà. Da qui la necessità di indivi-duare cammini di speranza che aiutino a costruire un mondo e una comunità eccle-siale in cui i poveri si sentano veramente a casa loro, cam-mini che devono sempre più “scommettere sulla carità”. Come? È urgente promuove-re una ”fantasia della carità”, che aiuti a inventare nuove modalità per essere solidali con un mondo sempre più ca-rico di sofferenze.Dobbiamo imparare a far parlare i fatti, i gesti, le scel-te e a collegarli in percorsi educativi capaci di creare una nuova mentalità auten-ticamente orientata alla te-stimonianza evangelica della carità, in grado di dar vita a stili e comportamenti rinno-vati nel proprio quotidiano. È necessario passare da una carità di pochi a una carità di molti, a una carità di popolo, perché tutti riscoprano il loro essere credenti e testimoni di una carità giusta: “non sia dato per carità ciò che è do-vuto per giustizia” (AA 8).Tutto questo richiede un “supplemento d’anima” da parte della Caritas diocesana e delle Caritas parrocchia-li, perché siano sempre più all’altezza dei loro compiti in un contesto ecclesiale e civile in costante mutamento. Una marcia in più è chiesta anche ad ognuno di noi, nella dispo-nibilità a conoscere e a condi-videre ogni forma di povertà e disagio del territorio. Buon Natale a tutti.

La Fantasiadella Carità

di Mimmo Iannascoli

Come ogni anno, si rinnova il rito delle celebrazioni natalizie e come di abitudine si accendono i ri ettori sulle famiglie

più indigenti, tant’è che sovente proliferano iniziative di vario genere, più all’insegna della ritualità, che non espressione di un progetto solidale portato avanti nel corso dell’anno. Proprio per questa ragione, crediamo assuma una valenza particolar-mente indicativa, al contrario, la programmazione degli eventi natalizi rivolti alle famiglie assistite, organizzati dalle Parroc-chie e dai Centri di Ascolto in rete della Caritas diocesana, in un’ottica di condivisione con le rispettive comunità. Per necessità di sintesi, abbiamo riportato le “buone prassi” più signi cative di una parte delle Caritas Parrocchiali in rete, suddivise per forania:

PARROCCHIE FORANIA DI CENTROGesù Buon Pastore: cena ed evento musicale con gli “assi-stiti”, raccolta viveri supermercati. Raccolte derrate alimentari presso i supermercati.S. Vitaliano: raccolta alimentare fatta dai bambini del cate-chismo, pranzo di Natale con i “senza ssa dimora” e gli “as-sistiti”.S. Michele Arcangelo: mercatini natalizi, pesca di bene cen-za, distribuzione derrate alimentari “assistiti” e consegna dol-ciumi al domicilio dei malati, evento musicale con cena per gli “assistiti” e comunità.SS. Nome di Maria: celebrazione e consegna doni con “assi-stiti”, distribuzione pasti caldi immigrati, raccolta viveri super-mercati e raccolta viveri in cesti disposti all’altare, distribuzio-ne giocattoli per i bambini della comunità ed “assistiti”.S. Antonio: tombolata con i bambini del catechismo, ricavato per arricchimento derrate alimentari per gli “assistiti”. Adesio-ne a colletta alimentare che ha consentito di ampliare la distri-buzione a famiglie indigenti extra parrocchiali.

PARROCCHIE FORANIA DI MARCIANISEN.S. di Fatima: cena per “assistiti”, tombolata comunità per raccolta fondi. S. Giuliano: un pranzo con gli “assistiti” in parrocchia.S. Maria degli Angeli: raccolta alimenti intorno all’altare, vendita stelle di Natale, calze per bambini famiglie indigenti. S. Maria della Pietà: cena di solidarietà con “assistiti”, cena di bene cenza con comunità.

PARROCCHIE FORANIA DI CASERTAVECCHIAS. Vincenzo M. (Briano): “mercatino di Natale”, espongono privati, il ricavato nanzierà l’oratorio.S. Simeone P. (Sala): aperitivo conviviale per la comunità; mercatino del manufatto, la festa del dolce artigianale, per le adozioni a distanza; “Rappresentazione Natalizia” curata dalle catechiste, dai genitori e ragazzi del catechismo; Auguri di Na-tale agli anziani ed ammalati della comunità; spettacolo della Epifania a cura dell’Azione Cattolica.S. Maria delle Grazie (Vaccheria): raccolta alimentare; vendita stelle di Natale per l’AIL.

PARROCCHIE FORANIA DI MADDALONIS. Maria Madre della Chiesa: celebrazione messa con gli “assistiti”. Al termine momento di festa e scambio di auguri con un piccolo pensiero per ogni famiglia, alcuni pranzi solidali.N.S. di Loreto: raccolta generi alimentari; spese per lumina-rie devolute alla carità parrocchiale. Maria SS. Immacolata - S. Pietro: in date diverse, era del dolce, pesca di bene cenza, cenone comunità, befana ai bam-bini.S. Alfonso dei Liguori: pesca e mercatino di bene cenza, se-rata con spettacolo.S. Aniello: mercatino solidale, pranzo solidale in collaborazio-ne con altre associazioni.

PARROCCHIE FORANIA DI NORD-ESTS. Matteo: festa del dolce e messa di ringraziamento con tutte le famiglie degli “assistiti” caritas.SS. Giuseppe e Gennaro: per tutto il periodo dell’avvento raccolta nella cesta di viveri che verrano poi distribuiti alle fa-miglie bisognose della parrocchia.S. Bartolomeo: raccolta alimentare e distribuzione dei pacchi del banco delle opere consegnati a domicilio presso le famiglie bisognose dal gruppo scout della parrocchia, oltre a panettoni e spumanti. Per la festa dell’epifania come consuetudine arrivo della befana e distribuzione di giocattoli ai bambini.

Dalle parrocchie “in rete”Natale di Carità 2016

di Luigi Caputo

Il pranzo di Natale con i po-veri, anche quest’anno ha

avuto luogo il 24 Dicembre, è diventato una tradizione della Parrocchia dei Santi Vi-taliano ed Enrico e Santuario di S. Anna quando, nel 2012, il Vescovo Farina insieme a don Giovanni Gionti parroco della comunità, ha voluto for-temente questo evento, grazie anche un piccolo gruppo di vo-lontari che per la prima volta nel Santuario di S. Anna, cir-ca 120 persone povere furono accolte attorno alla tavola nel giorno della Vigilia di Natale, c’erano anziani del quartiere, che in quel giorno sarebbero rimasti soli, e persone senza ssa dimora. Sono passati

cinque anni da quel primo pranzo: da allora la tavola si

S. Anna: pranzo diNatale con i poveri

è la grande famiglia raccolta dal Vangelo. Per questo a Na-tale, quando in tutto il mon-do le famiglie si riuniscono attorno alla tavola, la comu-nità fa festa con i poveri, che sono i nostri parenti e i nostri amici. Il Natale la “festa delle feste”, è l’occasione per com-prendere profondamente il suo signi cato nell’accogliere il Bambino Gesù nella pover-tà del presepe e per ricordare che alla festa, sono invitati gli ultimi, i poveri. La Parrocchia desidera, proprio in questo giorno in cui Gesù nasce po-vero per la salvezza del mon-do, ritrovarsi insieme come una grande famiglia, dove tutti si possano sentire a casa loro. Ancora abbiamo chiesto:Chi sono gli amici che hanno partecipato a questa festa?-Sono soprattutto persone che

è allargata di anno in anno e dal Santuario di S. Anna in tante altre parrocchie della Diocesi è presente, coinvol-gendo sempre più volontari, giovani e famiglie intere, di-sponibili e solidali a farsi ca-rico dei bisogni e delle soffe-renze dei poveri. Il pranzo di Natale ha coinvolto circa 150 persone in rappresentanza di paesi diversi: gente che vive nella strada, tutti quei poveri che la Parrocchia, attraver-so il Centro Caritas Parroc-chiale e l’Opera di S. Anna, aiuta durante l’anno e molti altri che si sono aggiunti per la festa. Abbiamo chiesto al parroco don Giovanni Gion-ti: Perché proprio a Natale la Parrocchia vuole ritrovarsi con i poveri attorno alla tavo-la della festa? La Parrocchia

vivono nella strada: i nostri amici senza dimora, profughi senza tetto, i bambini di stra-da, mendicanti, stranieri, e ancora anziani soli e famiglie povere. Accanto ai poveri si è raccolta anche tanta gente comune alla ricerca di un sen-so vero del Natale, diventato spesso solo un rito vuoto, che ha chiesto di dare una mano, aiutare a preparare, a racco-gliere ciò che è necessario o a servire il pranzo. Un grazie al nostro Vescovo Mons. Gio-vanni D’Alise che, dal primo momento della sua venuta a Caserta, ha condiviso e vo-luto continuare la tradizione del “Pranzo di Natale” ed ha voluto essere presente insie-me a queste persone povere, ricche della loro umanità e della propria dignità. La pre-senza del nostro Vescovo, al pranzo di Natale, signi ca l’impegno di tutta la Diocesi ad essere vicino a quanti sono nella sofferenza e nel biso-gno, gli emarginati non sono materiale di scarto. Il nostro Pastore non ha fatto mancare il suo abbraccio e il suo affetto paterno. Il pranzo di Natale infatti è l’immagine concreta che è possibile vivere insieme tra genti diverse con grande rispetto e amicizia: questo è il vero senso della festa.

Santuario di Sant’Anna

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11il poliedroDicembre 2016 Anno 1- n. 10 Marcia della Pace

«Questo è il Messaggio per la 50ª Giornata

Mondiale della Pace. Nel pri-mo, il beato Papa Paolo VI si rivolse a tutti i popoli, non solo ai cattolici, con parole inequivocabili: «È nalmen-te emerso chiarissimo che la pace è l’unica e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi na-zionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile)». Metteva in guardia dal «pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trat-tative fondate sul diritto, la

Dal messaggio di Papa Francesco per la celebrazionedella 50ª Giornata Mondiale della Pace

La nonviolenza: stile di unapolitica per la pace

di Nicola Lombardi

L’annuale marcia della Pace, organizzata dal

Comitato “Caserta città di Pace”, è uno stimolo per tutti a riscoprire il vero signi cato del Natale. Questo è il moti-vo per cui essa si tiene inin-terrottamente, da 22 anni, in prossimità della festività li-turgica della natività di Gesù. Il Figlio di Dio si è fatto uomo per insegnarci ad amare tutti, a perdonare i nostri nemici, a vivere, anche se diversi, nel-la pace. Ogni uomo e donna della terra, nessuno escluso, è prezioso agli occhi di Dio. Il Cristo ha assunto la nostra natura umana e ha donato la sua vita divina per affermare che “la gloria di Dio è l’uomo vivente” (S. Ireneo). “Sono ve-nuto – dice Gesù – af nché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10). La guerra, invece, è sempre generatrice di odio, di distru-zione, di morte. La guerra non solo è qualcosa di irra-zionale, folle, “aliena alla

Una marcia per mettere il nostro cuoreaccanto a quello del popolo siriano

Il Presidente del Comitato “Caserta Città di Pace”

Cari amici,grazie per il vostro impegno, grazie per essere dalla par-

te della ragione e della solidarietà.In un clima sempre più cupo, troppo spesso inquinato da intolleranza ed egoismi, rappresentate la speranza di far prevalere i nostri valori; valori fatti di attenzione e di aiuto all’altro, di consapevolezza che la qualità della nostra vita è data dall’onesta’ dei sentimenti e dei comportamenti.Un impressionante e crudele usso di donne, uomini e bam-bini guardano all’Europa come il continente dove costruire un progetto di vita.Quanta disponibilità stiamo offrendo? Quanto coraggio di contrastare i fantasmi della discriminazione, dell’emargi-nazione e delle tante povertà che ci assediano?Baumann ci ricorda “siamo ostaggio del nostro benessere; i nuovi immigrati sono percepiti come messaggeri di cattive notizie, avanguardie di un esercito ostile che sta piantando le tende in mezzo a noi”.Occasioni come quelle di stasera, invece, rinnovano energia e volontà di stare assieme, di riconoscerci come comunità, di sostenerci l’un l’altro.Il Natale è ormai di fronte a noi; dobbiamo viverlo come impegno verso la conquista della libertà dal timore e dal bi-sogno, verso il riconoscimento per tutti noi di eguali dignità e diritti.Sono con voi, questa sera, sotto il braccio ad ognuno di voi anche se non mi vedete, perché solo la nostra determina-zione e la nostra consapevolezza, il nostro ri uto, gridato ad alta voce, della sopraffazione e della guerra può essere fonte di un futuro autenticamente migliore.Buon Natale a tutti voi!

Mario Morcone

Il messaggio del Capo del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Im-migrazione - Ministero dell’Interno

ragione umana” (Giovanni XXIII, Pacem in terris) ma è anche sempre una realtà che si oppone alla volontà di Dio. Nessun credente, a qualsia-si credo appartenga, può in nome di Dio usare la violenza. I veri e autentici gli di Dio sono unicamente gli operatori di pace (cf Mt 5,9). La guer-ra è la negazione permanente nella storia da parte dell’uo-mo del progetto del Padre che

vuole salvi e liberi tutti i suoi gli. È l’antitesi del “natale

eterno dell’uomo” (Nogaro). La marcia di quest’anno è stata caratterizzata da un forte grido di denuncia per il genocidio che si sta consu-mando ogni giorno in Siria. Una marcia per gridare con forza: basta con i bombarda-menti su Aleppo e sulle altre città siriane. Una marcia per implorare aiuto da parte di tutti gli Stati: fate presto nel soccorrere i quattro milioni di civili siriani. Sono per la maggior parte anziani, donne e bambini. Hanno, quotidia-namente, hanno bisogno di cibo e di assistenza medica. Di fronte a questa terribile situazione sperimentiamo la nostra più totale impotenza. Ma noi non ci rassegniamo e non ci rassegneremo nel sen-tire e nel vedere tutto il male che stanno procurando al po-polo siriano. Una marcia per

accendere una ammella di speranza e per mettere il no-stro cuore, e non solo in que-sti giorni di Natale, accanto a quello del popolo siriano, lì dove sono, tra le macerie e gli stenti, nel dolore e nella dispe-razione, tra i feriti e i morti. Tante le associazioni che han-no partecipato alla marcia insieme a un folto numero di migranti. Il prefetto Morco-ne, impossibilitato a parteci-pare all’ultimo momento per la situazione di emergenza umanitaria dovuta agli sbar-chi di migranti che ancora continuano sulle nostre co-ste, ci ha fatto pervenire un

monianza di Mamadou Plee, un profugo della Costa d’Avo-rio, rifugiato in Italia a causa della guerra civile presente nel suo Paese. È seguito, poi, l’in-tervento del prof. Marco Rossi, responsabile della comunità di S. Egidio di Napoli, che ha rac-contato l’impegno fattivo della comunità, insieme alla Tavola Valdese, nel soccorrere fami-glie siriane tramite i corridoi umanitari. Ad oggi più di 500 siriani hanno trovato asilo in Italia. Era presente alla Marcia anche il sindaco di Caserta, il quale ha voluto salutare e rin-graziare i partecipanti, e padre vescovo Raffaele Nogaro a cui è

giustizia, l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali». Al contrario, citan-do la Pacem in terris del suo predecessore san Giovanni XXIII, esaltava «il senso e l’a-more della pace fondata sulla verità, sulla giustizia, sulla libertà, sull’amore».[2] Colpi-sce l’attualità di queste pa-role, che oggi non sono meno importanti e pressanti di cin-quant’anni fa. In questa oc-casione desidero soffermarmi sulla nonviolenza come stile di una politica di pace e chie-do a Dio di aiutare tutti noi ad attingere alla nonviolen-za nelle profondità dei nostri sentimenti e valori personali.

Che siano la carità e la non-violenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interper-sonali, in quelli sociali e in quelli internazionali. Quando sanno resistere alla tentazio-ne della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di co-struzione della pace. Dal li-vello locale e quotidiano no a quello dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventa-re lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme».

suo messaggio: “Sono con voi, questa sera, sotto il braccio ad ognuno di voi anche se non mi vedete, perché solo la no-stra determinazione e la no-stra consapevolezza, il nostro ri uto, gridato ad alta voce, della sopraffazione e della guerra può essere fonte di un futuro autenticamente mi-gliore”.Al termine della Marcia, in Cattedrale, vi è stata la testi-

stato chiesto di rivolgere a tutti un augurio di pace. Il Vescovo di Caserta, Mons. Giovanni D’Alise, impedito da problemi di salute, ha fatto pervenire ai presenti il suo messaggio di pace tramite il presidente del Comitato.Finita la marcia non nisce il nostro impegno: noi non ci stancheremo mai di operare fattivamente ogni giorno per un mondo di pace per tutti.

Cattedrale di Caserta, Mons. R. Nogaro e altri partecipanti alla Marcia

Da sx il Sindaco C. Marino, il consigliere D. Fumante, il dott. E. Olimpo e don N. Lombardi

Parrocchia Buon Pastore, partenza della Marcia della Pace

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12 Dicembre 2016 Anno 1- n. 10il poliedro Informazione

a cura della redazione

Il giorno 7 dicembre scorso si è svolta presso la sala

S. Augusto dell’Episcopio di

Il nuovo Comitato zonale-provincialeANSPI di Caserta

Rinnovo delle cariche del Presidente e dei Consiglieri

Inaugurazione oratorio“Magni cat Mariae”

amicizia, di condivisione ne fa da sempre padrone più che la formalità giuridica del-le elezioni in quanto tali. Al nuovo consiglio, che come da statuto dovrà riunirsi nei suc-cessivi 15 giorni, per determi-nare le cariche di Vice presi-dente, tesoriere e segretario, spetterà un gravoso compito, quello di festeggiare nel 2017, il 40° anno delle fondazione dell’Anspi in Diocesi di Caser-ta. Infatti l’Anspi fu costituito in Diocesi per volere dell’allo-ra Vescovo Mons. Vito Rober-ti, che conferì l’incarico di far conoscere i servizi dell’Anspi alle Parrocchie della Diocesi al compianto don Francesco Errico, per tutti conosciuto come il mitico “don Peppino”, che ha dato tutto se stesso per gli Oratori sia in Diocesi di Caserta che nella Regione Campania ed anche a livello

Nazionale, ponendo le basi per quanto poi l’Anspi costitu-isce come riferimento attual-mente per tutti gli oratori. Da sempre l’Anspi è a servi-zio delle Parrocchie e delle Diocesi, confortando i parroci nelle loro attività pastorali, e raggiungendo i migliori ri-sultati soprattutto laddove la locale comunità educante ha già posto le basi per la nasci-ta dell’Oratorio, credendo nei suoi principi e nei suoi valo-ri, più volte esaltati da sante gure della Chiesa, da Don

Bosco e San Filippo Neri, Da Paolo VI a Giovanni Paolo II, vero “ponte tra la strada e la Chiesa”. Attualmente il Co-mitato Zonale Anspi di Caser-ta, anche grazie alla benedi-zione ed all’incoraggiamento del Vescovo di Caserta, Mons. Giovanni D’Alise, conta circa 6500 tesserati, con circa 3500

minori, e coordina più di 50 tra Oratori ed associazioni che hanno deciso di af darsi ala cura ed ai servi dell’An-spi, ed anche appartenenti a limitrofe Diocesi, come quella di Capua, Acerra, Aversa e Sessa Aurunca, contribuendo in queste realtà a far nascere il seme dell’Oratorio.I festeggiamenti per il 40° sono in parte già program-mati, come l’annuale “Festa dell’Impegno” nel mese di Gennaio, così come il tradi-zionale Campionato di Cal-cetto “Gioca con il sorriso”, e la Rassegna Teatrale previ-sta per il mese di Giugno, così come i tradizionali Corsi di formazione degli animatori e dei formatori, già avviati ma che continueranno per l’inte-ro prossimo anno sociale.Certamente, i risultati rag-giunti, con l’aiuto del Signore, rappresentano solo uno spro-ne per continuare nella splen-dida missione ricevuta.

di Domenicantonio Matri-sciano

Sabato 17 dicembre, con la benedizione del nostro

Vescovo Mons. Giovanni D’Alise, la Parrocchia “S. Mi-chele Arcangelo” nella Chie-sa Cattedrale di Caserta ha inaugurato l’Oratorio “Ma-gni cat Mariae”. Il pomerig-gio, iniziato con una serie di giochi, ha visto l’arrivo di un singolare Babbo Natale, che ha entusiasmato bambini e genitori al punto tale da “ca-pitanare” una delegazione che ha affettuosamente scor-tato Padre Vescovo no alla sede dell’Oratorio, la Sala “Giovanni Paolo II”. Il parro-co, Don Vincenzo De Caprio, dopo il saluto di benvenuto al Vescovo e a tutti i conve-nuti, ha lasciato al Diacono Don Domenicantonio Matri-sciano - ideatore e promotore dell’oratorio - presentare il progetto. Con semplici parole cariche di emozioni, ha così iniziato: “In questi quattro anni ho visto e ascoltato at-tentamente le esigenze dei ragazzi, genitori, giovani ed adulti…. e tutti hanno chie-sto di avere un luogo sano, nel quale poter, in comunio-ne e condivisone, esprimere attraverso attività, non solo religiose ma anche sociali,

il meglio di se stessi, per la crescita della comunità”. Al termine della presentazione è stata impartita la benedi-zione dal Vescovo e il taglio del nastro, al quale Padre Giovanni ha voluto accanto a sé Don Domenicantonio e un genitore. “L’oratorio non è un asilo o un intrattenimen-to per bambini da parte di genitori che non sanno dove parcheggiarli” - ha dolcemen-te ma fermamente ricordato Padre Vescovo - “ma un vi-vere sociale insieme, cioè un esprimere nel sociale ciò che apprendiamo nel cammino di Fede”. Il Vescovo ha richia-mato, inoltre, l’attenzione dei genitori sulla necessità di “fare squadra” con la Parroc-chia, per far sì che la crescita di Fede dei loro gli e di tut-ta la famiglia possa avere un senso unico, quello di Cristo Gesù. La serata di festa si è nita con la distribuzione dei doni da parte di Babbo Natale, che non ha dimenti-cato nessuno… nemmeno il Vescovo! Ringraziamo il Si-gnore per questa grazia che ha concesso alla Cattedrale, impegnandoci a servirlo con entusiasmo e mettendo le attività dell’Oratorio nelle amorevoli mani di Maria, Re-gina e Madre dei casertani, cui l’Oratorio è dedicato.

Caserta l’assemblea elettiva del Comitato zonale-provin-ciale Anspi di Caserta per il rinnovo della carica a Presi-dente ed a consigliere, alla scadenza naturale del man-dato che dura un quadrien-nio. Il risultato delle elezioni ha confermato alla carica di Presidente, l’avv. Giuseppe Dessì, già Presidente uscente ed alla nomina a consiglieri nella persona di Don Genna-ro D’Antò, Don Biagio Saiano, Don Antonio Traviso, Padre Saverio Fabiano, sig. Umber-to Izzo, sig. Marco Melchiorre e Cav. Angelo Di Guida. La partecipazione all’assemblea è stata come sempre molto partecipata, ove il senso di

Avv. Giuseppe Dessì

di Ornella Mincione

Una festa. Per tutti. Grandi e piccoli. Quella di sabato

17 dicembre è stata una gior-

nata particolare all’ospedale di Caserta dove tutti hanno partecipato alla grande festa natalizia. Incluse le autorità. A dare il La alla giornata è stata la fanfara and Emilio’s band che si è esibita prima nel piaz-zale di fronte alla direzione amministrativa dell’azienda ospedaliera. Da qui è partito il corteo, con due commissari straordinari Michele Ametta e Cinzia Guercio ed il diretto-re sanitario Giulio Liberatore in prima la insieme alle più alte cariche istituzionali del-la città, come il sindaco Carlo Marino, il vescovo di Caserta Giovanni D’Alise, il questore di Caserta Antonio Borrelli, il generale della Brigata Ber-saglieri Garibaldi di Caserta Nicola Terzano e altri rap-presentanti istituzionali delle forze armate. Prima fermata nella cappella dell’ospedale dove è stato il vescovo D’Alise a celebrare un breve momento spirituale e a dare il suo saluto alle autorità e ai cittadini. Due gli appelli rivolti da sua Eccel-lenza alle istituzioni: «Innan-

fascia tricolore: «Quest’azien-da è stata rappresentata mol-to bene dalla ‘triade’, tanto da dare input ad una nuova storia ad un nuovo sviluppo di questa realtà». Poi, il ringraziamento da parte del vescovo di Caser-ta alla Brigata Bersaglieri che, «come ogni anno, spinge tutti noi con gioia a questo pelle-grinaggio all’interno del noso-comio». Da qui, poi, è iniziato il breve pellegrinaggio nei re-parti dell’ospedale casertano. Prima in quello di Pediatria, guidato dal responsabile Pa-squale Femiano (anche diret-tore del Dipartimento Materno Infantile del nosocomio) con la fanfara e un babbo Natale che ha distribuito doni e sorrisi ai piccoli degenti del reparto. In particolare nella ludoteca del reparto, sono stati distribuiti sacchetti di caramelle, ciocco-lata e gli zainetti della Polizia di Stato ai cuccioli in degenza. Alla ne, l’apertura della gran-de torta a forma di caramel-la, davanti cui si è fermata il commissario Cinzia Guercio che, oltre ai ringraziamenti al medico Emilio Lombardi, della Neurologia, che ha collaborato all’organizzazione della gior-nata, ha ringraziato «medici e infermieri, impegnati in un

zitutto, dobbiamo lavorare per quest’ospedale. Bisogna mette-re fuori da qui quelle persone non adeguate a questo servizio e mantenere all’interno solo

quelle personalità altamente professionali, altamente ‘uo-mini’ e altamente onesti». Poi, altro appello alle autorità pre-senti (e non solo): «amate la città. Questo signi ca dare dei servizi e offrire onore alla cit-tà». Dopo il saluto del vescovo è stata la volta del commissario straordinario Michele Ametta, che è intervenuto evidenzian-do «il senso di appartenenza all’azienda» da parte della commissione, che terminerà il suo compito al San Sebastiano all’inizio del marzo 2017. Poi, è stata la volta del sindaco Ma-rino, al suo primo Natale con

mission importante tutti i gior-ni, così come gli stessi commis-sari. A febbraio concludiamo il nostro lavoro e stileremo un bi-lancio di quanto fatto in questo luogo, da un lato, di sofferenza e, dall’altro, di gioia». Il tour delle istituzioni e del vescovo di Caserta è proseguito prima

in Tim (Terapia Intensiva Ne-onatale), dove il responsabile Attilio Romano ha accolto i visitatori insieme alle associa-zioni “Il Cucciolo Frettoloso” e l’Ail. Dopo, il sindaco Marino ha salutato i degenti del repar-to di Geriatria, guidato dal re-sponsabile Mario Parillo.

Il Vescovo al reparto pediatrico

Mons. D’Alise con il personale del reparto

Mons. D’Alise e le autorità con la fanfara dei Bersaglieri

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13il poliedroDicembre 2016 Anno 1- n. 10 Beni culturali

di Luca Palermo

Il dare ospitalità disinteres-sata, l’accogliere lo stranie-

ro e considerarlo un fratello ha radici ben radicate nella tradizione storica e lettera-ria, prima che artistica: non si può non rivolgere la men-te all’episodio, raccontato da Omero nell’Odissea, relativo al momento dell’incontro tra Ulisse che torna a Itaca sot-to le mentite spoglie (grazie all’incantesimo di Atena) di un mendicante e il suo vec-chio e fedelissimo servo Eu-meo, il quale nonostante non riconosca il padrone che si cela sotto quei poveri stracci

di Franco Arminio

Siamo fatti per credere, per fare il bene, per essere devoti, per inginocchiarci. Non siamo fatti per essere chiusi a

chiave nel nostro corpo. Facciamo fatica a capire che siamo li dello stesso lenzuolo, mattoni della stessa casa. Faccia-

mo molta fatica a stare assieme. Bisogna essere semplici, osare la chiarezza e la semplicità, bisogna scendere dentro il nostro corpo, nella piccola crepa di assoluto che ci è data. La vita non si fa in casa, la vita si fa nella casa del mondo, che è sempre una casa di tutti, degli uomini e delle donne, la casa di tutti gli animali, la casa dei vivi e dei morti, la casa della notte e del giorno.Bisogna darsi da fare per uscire dallo stampo, per non ave-re il pro lo della stessa chiave. Ognuno faccia uno sforzo per stare tra gli uomini con coraggio, con onestà assoluta, basta con le minuzie, con le cose che durano una sola sera, basta con le furbizie e con le adulazioni del vuoto. Stiamo nel miracolo della terra, facciamone davvero una casa per tutti, aperta al fulmine e al raggio di sole, al vento, al ca-lore delle madri, alla furia nera della morte. Senza una terracasa fatta di amore e natura non c’è respiro, c’è solo paura. Bisogna fare pace, darsi pace, bisogna accorgersi che passa la vita, che ogni giorno ci invecchia, bisogna ac-corgersi di chi sta senza casa, di chi è senza salute, senza lavoro. Bisogna azzardarsi a trovare una soluzione nel no-stro cuore, siamo noi i luoghi dove passa la pace del mondo, la poesia, la quiete, la luce. Siamo centro e margine, siamo operai della terracasa, facciamo che sia casa ogni strada, ogni abbraccio.Il tutto sia svolto con un lo di riservatezza, con il corpo che non urla ma parla a bassa voce come si fa in una casa in cui c’è una salma. Ci vogliono nuove purezze, nuove epifanie.

Vagito di terra, impasto di cielola Gloria si veste di paglia,

sogna da ora ogni erba riscatto.Il cielo, la terra unico incanto,la notte abbatte frontiere,il cielo sposa la terra , la terra lo abbraccia.Vagito di bimbo tra mani adoranti, capovolto il destino,gli ultimi in festa, de nitivo riscatto.Non pianto, non lutto,un vagito di paglia rende nuova la storia.Il tempo divora le ore non più spazio d’inganno,i potenti perdenti, perduto il potere,la sorte dei poveri nelle mani Dio.La Gloria ha vestito la paglia,ogni erba del mondo aspetta di gloria vestire la propria.Venite, accorrete a Betlemme di Giuda, il re della vita,troverete vestito di paglia che ha sceltoper casa la vita dell’uomo.

Gennaro Matino

Et Habitavit

Terracasa

lo tratta con dolce benevolen-za, proprio in forza del rispet-to e dell’onore che si deve con-cedere agli stranieri.Il sistema attuale, la società contemporanea nella quale viviamo e con la quale quo-tidianamente ci confrontia-mo, porta, tuttavia, il singolo all’impossibilità di adottare l’ospitalità nella sua accezio-ne onesta e corretta. Ancora una volta sono i ragiona-menti di Derrida ad aiutarci nella comprensione di questo “strano fenomeno”: secondo il losofo francese il concetto di ospitalità nasconde in sé sempre una piccola presenza

di ostilità che costituisce ciò che de nisce “ostipitalità”. Espressioni come “benvenu-to” o “fai come se fossi a casa tua” sono inviti che si autoli-mitano: sentiti a casa, com-portati come se fossi a casa, ma ricorda che non è casa tua.Tuttavia, a doverci far ri- ettere è l’etimologia stessa

della parola ostilità: il termi-ne latino hostis che indica lo straniero – in opposizione al termine in-genuus che desi-gna il cittadino, ovvero colui che appartiene per sangue e cultura alla comunità d’origi-ne – non contiene in sé nessu-na sfumatura di ostilità, come invece accadrà più tardi, no ad arrivare a quell’ambiguo binomio, sopra descritto, di ostilità-ospitalità. L’hostis

inizialmente non era visto, dunque, come un nemico che giunge dall’esterno con inten-zioni bellicose, ma era sem-plicemente l’altro, un altro che però non aveva niente di negativo. A cambiare, nella nostra contemporaneità, non è solo il concetto di ospitalità, ma anche (e di conseguenza) anche quelli di abitazione, dimora e casa. Quest’ultimo ha subito un radicale ripen-samento: si è ampliato e al contempo disintegrato, così

che ogni essere umano, indi-pendentemente dal suo back-ground socio-economico, si sente al contempo straniero ed ospite. Da tale mutamento è derivata la cruciale dif col-tà del non essere più (o anco-ra) in grado di riconoscere chi davvero necessità di ospitali-tà. L’abitazione non fa la casa è stato sostenuto; del resto il verbo latino habitare, così come il sostantivo habitus (stato, disposizione), deriva dal verbo habeo che, oltre al signi cato di possedere, ha anche quello di “trovarsi in un posto, stare”. Quindi habitarepuò essere interpretato come “avere l’abitudine a trovarsi in un determinato luogo”.Abitare in un posto, inteso come mero alloggio, non è lo stesso di abitarlo, cioè fre-quentarlo con assiduità. Allo stesso modo, quindi, non ri-siedere in un luogo non vuol dire però non sviluppare un senso di appartenenza nei confronti di esso: “lo spazio abitato trascende lo spazio geometrico”.Da quanto detto si dedu-ce che, l’ospitalità è sempre qualcosa di dinamico; qual-cosa che implica necessaria-mente l’incontro e il confron-to tra almeno due persone completamente differenti: è, dunque, di per sé un concetto duale ed ambiguo.Della necessità di mettere in atto un confronto che sia co-struttivo tanto a livello etico che a livello estetico si è fatto portavoce Franscesco Venezia per il quale la pratica architet-tonica non è soltanto interpre-tazione del genius loci, ma an-che scoperta di un tempo altro dal tempo sico, una forma di resistenza al divenire e per-manenza della memoria alla

quale conferisce nuove valenze estetiche. Con l’architetto cam-pano dialogheranno gli artisti coinvolti: dalla pittura (Bat-tista Marello e Giovanni Ta-riello), alla scultura (Battista Marello), passando per l’archi-tettura (Mario Festa), la poesia (Gennaro Matino) e la scrittura (Franco Arminio), la poietica ha interpretato il concetto di casa e quello ad esso stretta-mente connesso di ospitalità. L’arte, nella concezione più am-pia del termine, riesce, dunque, dove l’uomo contemporaneo sta fallendo: trovare un linguaggio comune anche laddove si parli-no lingue diverse.

Poesia

B. Marello, Da Manila a Calais, 2016(in alto a dx, particolare)

G. Tariello, Lo mio paese, 2002

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14 Dicembre 2016 Anno 1- n. 10il poliedro Recensioni

Nelle tue mani affido la mia vita». Dirlo esprime

la nostra fede, il nostro « con-fidare nella presenza di Dio sempre e comunque; è la ri-sposta del credente al Signo-re: «Nelle tue mani mi sono arreso». Raccolti in questa notte desideriamo celebrare insieme il più grande mistero, che ha cambiato la faccia del-la terra: Dio si è reso accessi-bile, cammina con noi, affin-ché i nostri passi non siano più avvolti dalle tenebre, ma abbiano la certezza della luce che orienta la nostra faticosa ricerca della verità e della li-bertà. Luca, nella parola del Vangelo, non intende spiega-re il mistero, ma condurre i fedeli ad accoglierlo nella pro-pria esistenza.La storia umana, infatti, è guidata da Dio nonostante le logiche dei potenti: così che il censimento, disposto dall’im-peratore come uno strumen-to di potere e di controllo dei sudditi, diviene il mezzo del compiersi della volontà di Dio. Giuseppe e Maria si recano a Betlemme per adempiere alle Scritture, non semplicemen-te per obbedire a un ordine. I protagonisti della storia di Dio sono i poveri, gli anawim,che attendono la salvezza dal Signore e non dai poteri uma-ni. La nascita di Gesù, quindi,

Nelle tue mani af do la mia vitaUna delle ultime omelie di don Antonio Serra, 25 dicembre 2015 Antonio Serra

CON IL SORRISO DI DIOVivere alla luce del Vangelo

Edizioni paoline

Èun testo che raccoglie – postume – le omelie, le

catechesi, le ri essioni di don Antonio Serra, sacer-dote della diocesi di Napoli, educatore, padre spirituale: un pastore innamorato del suo popolo, dalle cui parole, ogni credente può ricevere input, provocazioni, indica-zioni per camminare sulle vie del Vangelo. Il testo, avendo come intelaiatura lo scorrere di tutto l’anno liturgico – e in particolare i tempi forti di Avvento – Na-tale e Quaresima – Pasqua –, offre al lettore un accom-pagnamento spirituale per dare alle proprie scelte un senso cristiano, per dare profondità ai momenti li-turgici, per vivere il tempo come risposta a Dio. Può essere consigliato a tutti coloro che desiderino capire come vivere «concretamen-te» il Vangelo; anche a gio-vani in ricerca vocazionale, religiose/i, seminaristi, sa-cerdoti.ANTONIO SERRA (Tor-re del Greco 1967 – Na-poli 2015) è stato presbi-tero della Chiesa di Napoli dal 1992. Ha conseguito la licenza in Pastorale Giova-nile e Catechetica e il dotto-rato in Teologia Pastorale; è stato parroco nelle Chiese dell’Immacolata Concezio-ne di Portici (NA) e di S. Maria Apparente a Napoli (2014–15). Dal 2007 ha ri-coperto il ruolo di Rettore del Seminario Arcivescovile di Napoli.

Il Natale deve accendereil desiderio di Dio

di Ciro D’Alesio

In presenza di un mondo seco-larizzato, di un sistema socia-

le multietnico, multiculturale e interreligioso, di un’economia informata a logiche di pro tto e di mercato, di fronte a crisi e cambiamenti sofferti e radicali, come è evoluta la funzione del-la Chiesa, e del parroco e della parrocchia in particolare?Date le crescenti e variegate necessità di una comunità par-rocchiale e, di contro, le aumen-tate ristrettezze e dif coltà di ordine economico e materiale, il parroco, al ne di “far quadrare i conti”, è da considerarsi ormai un manager?Per attirare sempre più gente e fedeli in chiesa, per promuove-

Taccuino di un parroco di città, Guida editori

“Soltanto una parola”re una crescita non solo religio-sa della propria comunità, per “stare e resistere sul mercato”, il parroco è diventato anche un organizzatore di eventi, un ge-store di risorse, beni materiali e servizi da istituire e distribuire sul territorio? Tutto ciò non lo distoglie forse in modo signi cativo dalla fon-damentale missione di “curato-re di anime” della quale egli è stato primariamente investito?Recenti disposizioni canoniche vorrebbero che il luogo e il po-tere di scelte e decisioni si spo-stino dalla gura del parroco al ruolo del Consiglio Pastorale: ma ciò avviene veramente?Una parrocchia non è un’azien-da il cui successo si misura in termini di grandezze economi-che (pro tti, perdite, utili, rica-vi, avanzi, disavanzi) e quindi la pro cuità di una parrocchia dovrebbe misurarsi solo in ter-mini di crescita ed emancipa-zione religiosa, sociale, civile e culturale della propria comuni-tà.Venendo al protagonista del li-bro, egli è un sacerdote di oggi,

che viene trasferito da una parrocchia di campagna, dove resiste una fede viva, semplice e genuina, ad una parrocchia situata nel pieno centro di una città, circondata da quartieri ricchi ed eleganti, dove però do-minano indifferenza ed aridità spirituale, per la presenza di una particolare platea dei fede-li, composta da famiglie bene-stanti, che hanno poco da chie-dere ad una fede fatta invece di speranza e lotta per un mondo migliore.Ma ciò che salva il sacerdote è una fede pura, forte, autentica, ed egli persegue nella comuni-cazione dei valori da sempre creduti, la mitezza, la carità, l’accoglienza, la preghiera.Si riscopre così che solo que-sti valori, possono ride nire la Parrocchia non più e non solo come “comunità autoreferenzia-le”, chiusa in un proprio benes-sere, o come un mero “centro di servizi” o di “amministrazione di sacramenti”, ma quale luo-go privilegiato per incontrare nalmente l’amore di Dio nei

fratelli.

diviene ponte che unisce, per sempre, Dio all’uomo; e so-prattutto svela l’amore divino che proprio in Gesù si fa dono.Le parole dell’angelo: «Oggi è nato per voi un Salvatore», annunciano un evento atteso e portato a compimento per dare all’umanità un’ancora sicura a cui agganciare le no-stre fragili esistenze, tante volte agitate dai flutti con-trari della storia. Papa Leone Magno affermava: «Il nostro Salvatore è nato, rallegriamo-ci! Non c’è spazio per la tri-stezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità» […].Il Natale deve accendere il de-siderio di Dio, che non è mera nostalgia: deve portarci a spe-rimentare che senza di lui niente può dare compimento, luce, senso, certezza, gioia. Dio non si può spiegare, non può essere ridotto a una dot-trina da apprendere: di Dio si fa esperienza, con semplicità, per mezzo di un sereno affida-mento a lui nella quotidiani-tà.Dovremmo dire: «Alle tue mani affido la mia vita », poi-ché in Dio la vita di ognuno trova il suo significato più vero e più alto.

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15il poliedroDicembre 2016 Anno 1- n. 10

presentanti delle altre denomi-nazioni Cristiane

20 Gennaioore 10:00 - Cattedrale: Cele-

brazione Eucaristica in occa-sione di San Sebastiano, Santo Patrono della Città di Caserta, con la partecipazione del Corpo dei Vigili Urbani della città di Caserta

Dalle ore 17:30 alle ore 21:00 - Sala della Biblioteca Diocesa-na: il Vescovo presiede il ritiro mensile dei diaconi permanenti della Diocesi

21 Gennaioore 16:00 - Sala della Bibliote-

ca Diocesana: il Vescovo parteci-pa al Premio “Le Buone Notizie”

22 Gennaioore 18:00 - Parrocchia S. Ma-

ria Assunta in Mezzano (CE): Sante Cresime

23 Gennaiodalle ore 10:00 alle ore 13:00

- Curia Vescovile: il Vescovo ri-ceve in udienza i Sacerdoti

24 gennaiodalle ore 9:30 alle ore 13:00 -

Ore 20:00 - Cattedrale: il Ve-scovo presiede il corso in prepa-razione al matrimonio

14 Gennaioore 18:00 - Cattedrale: Cele-

brazione Eucaristica e chiusura delle quarant’ore

15 Gennaioore 11:30 - Cattedrale: Ce-

lebrazione Eucaristica nella “Giornata del Migrante”

16 Gennaiodalle ore 10:00 alle ore 13:00

- Curia Vescovile: il Vescovo ri-ceve in udienza i Sacerdoti

dalle ore 16:30 alle ore 19:00 - il Vescovo riceve in udienza i Sigg. Laici

17 Gennaioore 10:00 - il Vescovo parteci-

pa all’incontro dei Sacerdoti del-la Forania di Casertavecchia

18 Gennaiodalle ore 10:00 alle ore 13:00

- Curia Vescovile: il Vescovo ri-ceve in udienza per gli Uf ci di Curia

Ore 18:00 - Cattedrale: Pre-ghiera Ecumenica alla quale partecipano il Vescovo e i rap-

Notizie

Direttore ResponsabileLuigi Nunziante

Direzione - RedazioneAmministrazioneCaserta, Piazza Duomo, 11Tel. e Fax 0823 448014 (int. 70)e-mail: [email protected]

EditriceDiocesi di Caserta

StampaDepigraf s.n.c.Caserta, Via Cifarelli, 14

Si ringrazia per la realizzazione di questo numero:Mons. Giovanni D’AliseFranco ArminioOscar BobbioPaola BroccoliRaffaele CantoneLuigi CaputoF. Paolo CasavolaCiro D’AlesioGennaro D’AntòFrancesco de CoreRosanna De LuciaAntonello GiannottiMimmo IannascoliNicola LombardiGianmichele MarottaGennaro MatinoDomenicantonio MatriscianoOrnella MincioneMario MorconeAntimo NataleLuca PalermoGian Maria PiccinelliBruno SavianiAntonello Velardi

Foto Marcia della Pace:Laura Bocciero

Reg. Trib.S. Maria C.V.n. 839, 28/09/2015

Iscritto a

Periodico della Diocesi di Caserta

Agenda del Vescovo GennaioSala della Biblioteca Diocesana: Ritiro di Clero

25 Gennaiodalle ore 10:00 alle ore 13:00 -

Curia Vescovile: il Vescovo riceve in udienza per gli Uf ci di Curia

26 Gennaioore 17:00 - Padri Salesiani di

Caserta: Sante Cresime

28 Gennaioore 15:30 - Teatro “Don Bosco”

Salesiani di Caserta: il Vescovo partecipa alla presentazione del percorso di Iniziazione Cristiana “Cristiani per Scelta”

29 Gennaioore 17:30 - Casa delle Suore

Catechiste del Sacro Cuore in Marcianise: il Vescovo incontra e Celebra la Santa Eucaristia con le realtà associative e le famiglie che collaborano con le Suore Ca-techiste del Sacro Cuore

30 Gennaioore 10:00 - Pompei: il Vescovo

partecipa alla Conferenza Episco-pale Campana

1 Gennaioore 11:30 - Cattedrale: Cele-

brazione Eucaristica

6 Gennaioore 11:30 - Cattedrale: Cele-

brazione Eucaristica

7 Gennaioore 18:00 - Cattedrale: In-

contro di Preghiera in occa-sione della festa dell’”infanzia missionaria”

8 Gennaioore 11:30 - Cattedrale: Ce-

lebrazione Eucaristica e am-ministrazione del Sacramento del Battesimo ai bambini

9 Gennaioore 10:00 - Curia Vescovile:

il Vescovo incontra tutti i Di-rettori degli Uf ci di Curia

11 Gennaiodalle ore 10:00 alle ore 13:00

- Curia Vescovile: il Vescovo riceve in udienza i Sacerdoti

13 Gennaiodalle ore 10:00 alle ore 13:00

- Curia Vescovile: Il Vescovo riceve in udienza i Sigg. Laici

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