Il monopolo di Dirac The Dirac monopole e generalizzare il formalismo matematico su cui si basa la...

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Universit ` a degli Studi di Firenze Scuola di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Tesi di Laurea Triennale in Fisica e Astrofisica Il monopolo di Dirac The Dirac monopole Candidato: Antonio De Cristofaro Relatore: Dott. Marco Tarlini Correlatore: Dott. Domenico Seminara Anno Accademico 2012/2013

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Universita degli Studi di FirenzeScuola di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Tesi di Laurea Triennale in Fisica e Astrofisica

Il monopolo di Dirac

The Dirac monopole

Candidato: Antonio De Cristofaro

Relatore: Dott. Marco Tarlini

Correlatore: Dott. Domenico Seminara

Anno Accademico 2012/2013

Indice

1 Introduzione 3

2 Trattazione fisica del monopolo 52.1 Una prima trattazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

2.1.1 Il monopolo di Wu-Yang . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82.1.2 Quantizzazione della carica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

2.2 Articolo originale di Dirac . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92.2.1 Fasi non-integrabili delle funzioni d’onda . . . . . . . . . . . . . . . . 92.2.2 Singolarita nodali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

3 Nozioni di Geometria Differenziale 133.1 Varieta differenziabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133.2 Vettori e vettori duali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

3.2.1 Vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133.2.2 Vettori duali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

3.3 Mappa differenziale e pullback . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143.3.1 Mappa differenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143.3.2 Pullback . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

3.4 Fibrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153.4.1 Fibrato tangente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153.4.2 Definizione generale di fibrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153.4.3 Fibrati principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163.4.4 Applicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

3.5 Connessioni sui fibrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173.5.1 La uno-forma di connessione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183.5.2 Derivata covariante e curvatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193.5.3 Applicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

4 Trattazione geometrica del monopolo 234.1 Teorie di gauge U(1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 234.2 Monopolo magnetico di Dirac . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 244.3 Rotazioni e stringa di Dirac . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

5 Conclusioni 27

A Forme differenziali e algebra esterna 28A.1 Tensori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28A.2 Forme differenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28A.3 Derivata esterna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

B Gruppi di Lie e algebre di Lie 30B.1 Gruppi di Lie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30B.2 Algebre di Lie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31B.3 L’azione dei gruppi di Lie sulle varieta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32B.4 Derivata di Lie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

Riferimenti bibliografici 35

2

1 Introduzione

Sin dai primi esperimenti condotti per indagare la natura dei fenomeni elettrici i fisicisi accorsero di un profondo legame che univa quest’ultimi ai fenomeni magnetici, questolegame ha condotto inizialmente a ripetuti errori o a confondere i due. Il fisico scozzeseJames Clerk Maxwell nel 1865 riuscı a dare un’adeguata formulazione unitaria scrivendole equazioni dell’elettromagnetismo.Nonostante il profondo legame esistente tra il campo elettrico e il campo magnetico risultaevidente persino ai meno esperti di fisica che si palesa un’evidente asimmetria nel mondofisico e di conseguenza nelle equazioni di Maxwell; infatti, se le cariche elettriche sono stateosservate e studiate, le cariche magnetiche non sono mai state osservate singolarmente masolo in configurazione di dipolo. Cio comporta che il flusso del campo magnetico attraversouna superficie chiusa, che contenga o meno un dipolo magnetico, e nullo; questa relazionee descritta efficacemente dalla seconda equazione di Maxwell.Nonostante lo stesso Maxwell fosse guidato dall’analogia come metodo per l’indagine teori-ca, il primo fisico che cerco di comprendere la natura di questa asimmetria fu Paul AdrienMaurice Dirac che puo essere considerato a tutti gli effetti uno dei padri della modernafisica teorica.Dirac, nel suo articolo del 1931 (vedi [1]), spiega che il metodo piu efficace per l’indaginefisica non sta sul basarsi su nuove idee sorte spontaneamente, in quanto la fisica modernapoggia le basi su una matematica molto avanzata, ma impiegare gli sforzi per perfezionaree generalizzare il formalismo matematico su cui si basa la teoria. Una volta raggiunti deisuccessi in questo ambito e necessario interpretare in senso fisico i nuovi oggetti matema-tici trovati. Del resto ci si aspetta che la matematica progredisca e diventi sempre piucomplicata, ma resti poggiata su un certo gruppo di assiomi, mentre lo sviluppo della fisicamoderna richiede una matematica che cambi continuamente le sue basi e diventi semprepiu astratta.Dirac, spinto da una ricerca di simmetria e dualita nella descrizione del mondo che cicirconda, nel 1930 pubblico un’articolo che prevedeva l’esistenza dell’antiparticella (posi-trone), ovvero una particella dotata della stessa massa dell’elettrone ma carica opposta.La conferma dell’esistenza dell’antiparticella positrone nel 1932 da parte di Carl Andersonvalse a Dirac il premio Nobel per la fisica nel 1933.Nel 1931 Paul Dirac continuo la sua opera di unificazione e simmetrizzazione del mondofisico trattando per la prima volta il monopolo magnetico; cercando non solo di dare un’a-deguata formulazione matematica del fenomeno ma anche di dare una spigazione fisica alperche questa particella non fosse stata osservata finora. Il risultato stupefacente a cuiarrivo Dirac nel suo articolo fu che, non solo la trattazione usata per descrivere il mon-polo magnetico era compatibile con i principi generali della meccanica quantistica nonrestingendo in alcuna maniera la loro interpretazione fisica, ma la quantizzazione dellacarica elettrica conduceva automaticamente alla condizione di quantizzazione della caricamagnetica e viceversa. Infatti la quantizzazione della carica elettrica e da sempre ritenutaun’evidenza sperimentale ma grazie la teoria dei monopoli che Dirac sviluppa in seguitonell’articolo del 1948 (vedi [2]) sembra aver trovato anche un fondamento teorico.Al di la dell’esistenza o meno del monopolo magnetico, la grande scoperta di Dirac non enel campo fisico ma nel campo epistemologico. Infatti la convinzione di Dirac di ricercareuna simmetria o dualita nel mondo naturale e l’interesse a far progredire di pari passomatematica e fisica ha portato i fisici delle generazioni successive a ragionare in manieracompletamente differente. Questa nuova forma mentis e stata una costante nella rapidaevoluzione e formulazione della moderna teoria dei campi e teoria delle stringhe.

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Questo lavoro di tesi sara diviso in tre sezioni diverse, ovvero:

Trattazione fisica del monopolo. Presenteremo una descrizione del monopolobasandoci esclusivamente sulle conoscenze fisiche apprese nei corsi di elettromagne-tismo. Nella seconda parte di questa sezione seguiremo e presenteremo il problemacome fece Dirac nel suo articolo del 1931.

Nozioni di Geometria Differenziale. Questa sezione e una presentazione dielementi di geometria differenziale necessari per poter affrontare la descrizione delmonopolo magnetico in maniera geometrica.

Trattazione geometrica del monopolo. Alla luce di quanto presentato nella se-zione precedente andiamo ad affrontare il problema del monopolo magnetico usandole nozioni di geometria differenziale sia come mezzo per descrivere il fenomeno siacome mezzo d’indagine fisica per casi piu complessi.

Riportiamo un passo tratto integralmente dall’articolo di Dirac del 1931 in cui l’autorepresenta la propria idea sul ruolo della matematica nella moderna fisica teorica:“Il continuo progresso della fisica richiede per la sua formulazione teorica una matematicache diventi continuamente sempre piu avanzata. [...] La matematica diventera sempre piucomplicata, ma restera permanentemente poggiata su una base di assiomi e definizioni,mentre attualmente lo sviluppo della moderna fisica teorica richiede una matematica checambi continuamente le sue basi e diventi piu astratta. [...] Questo processo di continuaastrazione proseguira nel futuro e cio in fisica e associato ad una continua modificazionee generalizzazione degli assiomi alla base della matematica piuttosto che ad uno sviluppologico di un qualsiasi schema matematico su delle basi fissate. [...] Il piu potente metodod’indagine che puo essere consigliato attualmente e di impiegare tutte le risorse che ab-biamo di matematica nel tentativo di perfezionare e generalizzare il formalismo su cui sibasa la fisica, e dopo ogni successo in questa direzione, di provare a interpretare i nuovioggetti matematici in termini di entita fisiche.”

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2 Trattazione fisica del monopolo

2.1 Una prima trattazione

Per studiare il monopolo magnetico iniziamo cercando un’analogia con il monopolo elet-trico; partiamo per prima cosa dalle equazioni di Maxwell nel caso non stazionario inpresenza di cariche elettriche, quindi:

∇ ·E = ρ

∇ ·B = 0

∇×E = −∂B

∂t

∇×B = J +∂E

∂t

dove E e B sono rispettivamente il campo elettrico e il campo magnetico, mentre ρ e ladensita di carica e J e la densita di corrente.Sfruttando la seconda e la terza equazione di Maxwell possiamo scrivere i campi esplici-tando la dipendenza dal potenziale vettore A e dal potenziale scalare φ, abbiamo quindi:

B = ∇×A (1)

E = −∂A

∂t−∇φ (2)

queste due equazioni sono invarianti per trasformazioni di gauge, ovvero:

A→ A +∇Λ (3)

φ→ φ− dΛ

dt(4)

dove Λ e una qualsiasi funzione scalare. Possiamo, inoltre, unire il potenziale vettoree il potenziale scalare in un singolo quadrivettore di Lorentz chiamato quadripotenzialeelettromagnetico definito come:

Aµ = (φ,A)

e riscriverci la trasformazione di gauge come:

Aµ → Aµ + ∂µΛ. (5)

A questa trasformazione daremo un particolare significato geometrico quando andremo adescrivere la trattazione matematica.Sappiamo dall’elettromagnetismo che la soluzione per le equazioni di Maxwell corrispon-denti ad una carica elettrica puntiforme posizionata nell’origine sara:

E(r) =qr

r3.

In analogia, se modificassimo la seconda equazione di Maxwell in modo da poter permetterel’esistenza di monopoli magnetici, ci aspetteremmo che il campo magnetico generato dauna carica puntiforme magnetica posizionata nell’origine avesse la stessa forma funzionaledel campo elettrico, quindi:

Bm(r) =gr

r3. (6)

Adesso ci chiediamo quale sia il potenziale vettore associato ad un monopolo magnetico;per fare cio supponiamo di considerare un solenoide infinitesimo con momento magnetico

5

dm = gµ0dl′, con dl′ che individua una lunghezza infinitesima in punto generico x′ del

solenoide, quindi avremo che:

dA = −µ0dm ×∇1

|x− x′|

integriamo, in modo da avere uno degli estremi del solenoide nell’origine e l’altro estre-mo all’infinito lungo l’asse z, cosı da poter considerare l’estremo nell’origine come unmonopolo:

A = −g

∫ 0

−∞dl′ ×∇ 1

|x− x′|= −g

∫ 0

−∞dz′k×∇ 1

|x− z′k|(7)

risolvendo l’integrale e scrivendo il potenziale vettore in componenti avremo:

Ax =−gy

r(r + z)Ay =

−gx

r(r + z)Az = 0

passando in coordinate sferiche (r, θ, φ) sara:1

A(r) =g(1− cos θ)

r sin θeφ (8)

Se facciamo il rotore del potenziale vettore A troviamo, grazie all’equazione (1), il campoB, partendo dalla (7), si ha che:

∇×A = g∇×∇× k

∫ 0

−∞dz′

1

|x− z′k|

= g

[∇ · ∇ ·

∫ 0

−∞

k

|x− z′k|dz′ −∇2

∫ 0

−∞

k

|x− z′k|dz′

]

= −g∇∫ 0

−∞

∂z

1

|x− z′k|dz′ + 4πgk

∫ 0

−∞δ3(x− z′k) dz′

= −g∇ 1

|x|+ 4πgkδ(x)δ(y)

∫ 0

−∞dz′δ(z − z′)

= gr

r3+ 4πgkδ(x)δ(y)θ(−z).

Notiamo subito che il rotore del potenziale vettore non e ovunque uguale al campo Bm

ma ha una singolarita sull’asse z, per z negativi; notiamo anche che questa singolaritae diretta, ricordando la nostra scelta, lungo l’asse del solenoide. Questa singolarita echiamata stringa di Dirac, ed e proprio grazie a questa singolarita che abbiamo un flussonullo attraverso una superficie chiusa che ingloba il monopolo, infatti calcolando il flussodel campo B = ∇×A abbiamo che:

Φ =

∫S

B · dS =

∫S∇×A · dS =

∫V∇ · (∇×A) dV = 0.

Andiamo ora a calcolare il valore del flusso di Bm e vediamo come sia determinante aifini del risultato finale la presenza della singolarita, il flusso del campo Bm attraverso unasuperficie chiusa sara: ∫

SBm · dS =

∫S

gr

r3· dS = g

∫V∇ · r

r3dV

1eφ = − sinφex + cosφey.

6

ma sapendo che:

∇2( r

r3

)= −∇ · ∇

(1

r

)= 4πδ3 (r)

possiamo risolvere immediatamente l’integrale:

Φ =

∫V∇ ·Bm =

∫V

4πgδ3(r)dV = 4πg. (9)

Rifacciamo adesso l’integrale della pagina precedente sfruttando la relazione (1), questavolta pero non integriamo su tutta la superficie ma su una calotta S del polo nord (θ = 0)con bordo C, avremo che il flusso uscente sara:

Φ =

∫S

B · dS =

∫S

(∇×A) · dS =

∮C

A · dl

sostituendo la relazione (8) nell’integrale otteniamo:

Φ =

∮C

A · dl =

∫ 2π

0g(1− cos θ)dφ = 2πg(1− cos θ) (10)

ovviamente abbiamo una dipendenza del flusso dall’angolo θ in quanto integrando sullacurva C abbiamo integrato in φ. Notiamo inoltre che se θ → π ritroviamo il valore delflusso calcolato in (9).Supponiamo adesso di non ricoprire interamente il monopolo con la calotta S ma di lasciareuna superficie infinitesima al polo sud (θ = π), il valore del flusso attraverso la calottanord tende al valore trovato in (9). Notiamo che il flusso attraverso la calotta sud havalore assoluto uguale al flusso attraverso la calotta nord ma segno opposto in quanto ilcammino sul bordo C questa volta sara percorso in senso contrario, quindi, se attraversola calotta nord abbiamo un flusso uscente, attraverso la superficie infinitesima abbiamoun flusso entrante di pari valore. Affinche il flusso attraverso la superficie chiusa sia nullo,dobbiamo avere un flusso uscente pari al flusso entrante e questo flusso entrante e datoproprio da quella che abbiamo chiamato stringa di Dirac.Quindi abbiamo capito che la singolarita lungo l’asse z e determinante affinche si abbia unmonopolo magnetico, dall’altro canto capiamo che A non basta a descrivere globalmenteil monopolo, in quanto la relazione (1) e una relazione locale mentre quando calcoliamoil flusso andiamo a considerare tutta la superficie sferica che ingloba il monopolo; inaltre parole, il passaggio dal locale al globale ci porta ad una singolarita. Per evitarequesto problema dobbiamo usare un’altro potenziale vettore per la calotta sud; A = AN

corrisponde al potenziale vettore per la calotta nord mentre AS e il corrispondente per lacalotta sud, quest’ultimo sara speculare al primo infatti lo scriviamo come:

ASx =

gy

r(r − z)ASy =

−gx

r(r − z)ASz = 0

in coordinate sferiche:

AS(r) = −g(1 + cos θ)

r sin θeφ. (11)

Vediamo ora come l’introduzione di AS ci permetta di calcolare il flusso senza incapparenella singolarita.

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2.1.1 Il monopolo di Wu-Yang

Nel 1975 Wu e Yang (vedi [3]) furono i primi a notare che una strada possibile per evitarela singolarita era di introdurre piu di un potenziale vettore per descrivere il monpolo; ingenere si usa AN per l’emisfero nord e AS per l’emisfero sud della sfera S contenente unmonpolo che da origine a un campo magnetico B = g r

r3senza singolarita. Notiamo che

all’equatore, dove i due emisferi si toccano, AN e AS sono legati da una trasformazionedi gauge (3):

AN −AS = ∇Λ

infatti sostituendo le relazioni (8) e (11) troviamo:

AN −AS =2g

r sin θeφ = ∇(2gφ).

Nell’ultimo passaggio abbiamo usato il gradiente in coordinate sferiche:

∇f =∂f

∂rer +

1

r

∂f

∂θeθ +

1

r sin θ

∂f

∂φeφ.

Quindi abbiamo che:Λ = 2gφ. (12)

Notiamo che, come prima, abbiamo delle singolarita per θ = 0 e θ = π ma effettuandola traformazione di gauge per θ = π

2 , passando da AN a AS , integrando su tutta la sferanon incontriamo singolarita. Quindi se ci andiamo a calcolare il flusso totale in questaconfigurazione, abbiamo:

Φ =

∫S∇×A · dS =

∫UN

∇×AN · dS +

∫US

∇×AS · dS

dove UN e US sono rispettivamente l’emisfero nord e l’emisfero sud, usando il teorema diStokes otteniamo:

Φ =

∮equatore

AN · ds−∮

equatoreAS · ds =

∮equatore

(AN −AS) · ds

=

∮equatore

∇(2gφ) · ds = 4gπ.

Il risultato trovato e uguale a quello trovato precedentemente tramite la (9).

2.1.2 Quantizzazione della carica

Consideriamo adesso una particella puntiforme di carica e e massa m che si muove inun campo generato da un monopolo magnetico di carica g. Se il monopolo e abbastanzapesante, l’equazione di Schrodinger della particella sara:

1

2m

(p− e

cA)2ψ(r) = Eψ(r)

sappiamo che per trasformazioni di gauge A→ A+∇Λ le funzioni d’onda devono cambiarenel modo seguente:

ψ → exp

(ieΛ

~c

)ψ = ψ′. (13)

Nel nostro caso:

ψS(r) = exp

(−ieΛ~c

)ψN (r). (14)

8

Nel nostro caso vogliamo vedere cosa succede sull’equatore, ovvero per θ = π2 , quindi

vediamo il comportamento delle funzioni d’onda quando percorriamo l’equatore da φ = 0a φ = 2π. Siccome la funzione d’onda deve essere a un sol valore, dalla (14) e ricordandoche Λ = 2gφ, abbiamo che:

2eg

~c= n , n ∈ Z (15)

questa e la celebre condizione di quantizzazione di Dirac per le cariche magnetiche, infattise il monopolo magnetico esistesse, data la quantizzazione della carica elettrica, la caricamagnetica sarebbe quantizzata secondo la relazione:

g =~cn2e

, n ∈ Z. (16)

2.2 Articolo originale di Dirac

Dirac, nel suo articolo del 1931 “Quantised Singularities in the Electromagnetic Field”,e stato il primo a interrogarsi sull’asimmetria esistente in natura riguardo l’assenza dicariche magnetiche isolate, per quanto osservato finora, rispetto la presenza di caricheelettriche. Quanto faremo ora sara ripercorrere l’articolo del 1931 per capire come Diracarrivo ad una formulazione del monopolo ed alla condizione di quantizzazione per le carichemagnetiche.

2.2.1 Fasi non-integrabili delle funzioni d’onda

Nella seconda sezione dell’articolo Dirac introduce la teoria di gauge elettromagneticapartendo da considerazioni sulle fasi delle funzioni d’onda. Dirac considera una partcellail cui moto e rappresentato da una funzione d’onda ψ che e in genere funzione di x, y, z et, e sempre in maniera generale, la esprime nella forma:

ψ = Aeiγ (17)

dove A e γ sono rispettivamente l’ampiezza e la fase. Come sappiamo dai principi dellameccanica quantistica, la funzione d’onda ψ sara univocamente determinata a meno diuna costante numerica reale arbitraria che si somma alla fase γ; inoltre la fase non haun valore definito in un certo punto, e solo possibile definire la differenza di fase tra duepunti. Nell’articolo Dirac fa un passo in piu e assume che questa differenza sia definitasolo per due punti vicini. Per punti lontani la differenza di fase risultera definita solo inrelazione alla curva che unisce i punti, curve differenti daranno quindi differenze di fasidiverse. In generale quindi il cambiamento totale della fase lungo una curva chiusa puonon essere nullo.Esaminiamo adesso il caso della non-integrabilita della fase, ovvero quando il cambiamen-to della fase lungo una curva chiusa non e nullo. Quanto detto finora da Dirac vale peruna singola funzione d’onda; se adesso si considerano due funzioni d’onda il loro prodot-to scalare ha un preciso significato fisico. Affinche l’integrale abbia un modulo definitol’integranda, pur non avendo una fase definita ad ogni punto, deve avere una differen-za di fase tra due punti qualsiasi definita. Questo comporta che il cambiamento in fasedell’integranda lungo una curva chiusa sia nullo. Cio implica che il cambiamento di fasedi una qualsiasi funzione d’onda lungo una qualsiasi curva chiusa deve essere opposto alcambiamento di fase della complessa coniugata di qualsiasi altra funzione d’onda lungo lastessa curva. Quindi in generale il cambiamento di fase di una funzione d’onda lungo unacurva chiusa deve essere lo stesso per tutte le altre funzioni d’onda.

9

Questo risultato porta a pensare che il cambiamento di fase sia determinato dal sistemadinamico stesso e sia indipendente dallo stato considerato; siccome il sistema dinamico euna semplice perticella, risulta che la non-integrabilita delle fasi sia connessa con il campodi forze in cui si muove la stessa particella.Possiamo scrivere la nostra funzione d’onda come:

ψ = ψ1eiβ (18)

dove ψ1 e una funzione d’onda ordinaria con una fase definita in ogni punto il cui moduloe ovunque uguale al modulo di ψ. L’incertezza sulla fase e stata raccolta tutta nel fattoreeiβ; per quanto detto prima β non ha un valore definito per ogni punto, ma le sue derivatehanno un valore definito ovunque2:

κx =∂β

∂xκy =

∂β

∂yκz =

∂β

∂zκ0 =

∂β

∂t

in genere puo non rispettare il teorema di Schwarz, o meglio le condizioni di integrabilita,ovvero ∂κx

∂y =∂κy∂x e le altre. Il cambiamento di fase lungo una curva chiusa sara, per il

teorema di Stokes:3 ∫(κ, ds) =

∫(rotκ, dS) (19)

dove ds (4-vettore) e un’elemento infinitesimo della curva chiusa e dS (6-vettore) e un’e-lemento infinitesimo delle superficie bidimensionale il cui bordo e la curva chiusa. Ovvia-mente ψ1 non entra nel cambiamento di fase.Notiamo che la non-integrabilita della fase e consistente con il principio di sovrapposizio-ne, infatti se prendessimo due funzioni d’onda entrambe con lo stesso cambio di fase suuna qualsiasi curva chiusa, allora ogni combinazione lineare di queste due dovrebbe averelo stesso cambio di fase per ogni curva chiusa. Dalla (18) otteniamo, ad esempio per lacomponente x:

−i~ ∂∂xψ = eiβ

(−i~ ∂

∂x+ ~κx

)ψ1 (20)

notiamo quindi che se ψ soddisfa l’equazione delle onde, coinvolgendo l’operatore momentop e l’operatore energia W , allora ψ1 soddisfa la corrispondente equazione delle onde incui al posto di p e W abbiamo p + ~κ e W − ~κ0, che non e altro che l’accoppiamentominimale. 4

Assumiamo che ψ soddisfi la tipica equazione delle onde per una particella libera in assenzadi campo, allora ψ1 soddisfera quindi l’equazione delle onde per una particella di carica−e che si muove in un campo magnetico in cui i potenziali sono5:

A =~ceκ , A0 = −~

eκ0.

Dato che ψ1 e un’ordinaria funzione d’onda con fase definita ritroviamo il caso conosciutodi un’elettrone che si muove in un campo elettromagnetico. Cio ci da un’interpretazionefisica della non-integrabilita della fase infatti, abbiamo visto che ψ deve soddisfare semprela stessa equazione che ci sia un campo o meno e l’effetto del campo, quando e presente,e di rendere la fase non-integrabile.

2Si pensi alla derivata come un limite della differenza di una funzione in due punti.3κ puo differire per un gradiente di uno scalare.4Qui κ indica il trivettore le cui componenti sono state definite precedentemente.5Anche qui A indica un trivettore.

10

Le componenti del 6-vettore rotκ che compare in (19) sono, a meno di coefficienti numerici,uguali alle componenti del campo elettrico e magnetico E e H, che scritte nella notazionetridimensionale sono:

∇× κ =e

~cH ∇κ0 −

∂κ

∂t=e

~E (21)

Quanto fatto finora ci mostra che la non-integrabilita delle fasi e perfettamente compatibilecon i principi generali della meccanica quantistica e non restringe in alcun modo la lorointerpretazione fisica.

2.2.2 Singolarita nodali

Finora abbiamo ripercorso il ragionamento descritto dall’articolo di Dirac per cui la non-integrabilita della fase di una funzione d’onda ha una naturale interpretazione in terminidei potenziali del campo elettromagnetico, portandoci ad una formulazione della teoria chee completamente equivalente a quella usuale di un’elettrone in un campo elettromagneti-co. Dirac nell’articolo prende in considerazione il fatto aggiuntivo che una fase e sempredeterminata a meno di un multiplo intero di 2π.Avevamo posto, per non avere ambiguita nell’interpretazione fisica, che il cambio totaledi fase lungo una curva chiusa fosse lo stesso per ogni funzione d’onda e l’avevamo in-terpretato, nelle equazioni (19) e (21), come il flusso totale attraverso la curva chiusa del6-vettore rotκ che descrive il campo elettromagnetico. Rilassiamo adesso questa relazioneammettendo che il cambiamento di fase lungo una curva chiusa possa differire di 2π perdifferenti funzioni d’onda.Si consideri inizialmente una curva chiusa molto piccola; l’equazione d’onda richiede che lafunzione d’onda sia continua quindi il cambio di fase lungo una curva chiusa piccola sarapiccolo. Quindi questo cambio non puo che differire per multipli interi di 2π per differentifunzioni d’onda e puo essere interpretato senza ambiguita in termini del flusso attraversola piccola curva chiusa, inoltre anche questo flusso deve essere piccolo.C’e un caso particolare di cui tener conto, ovvero quando la funzione d’onda si annulla e lasua fase non ha significato. Considerando la funzione d’onda complessa in tre dimensioni,in generale i punti in cui si annulla giaceranno lungo una linea, chiameremo questa linea,linea nodale. Consideriamo adesso una funzione d’onda avente una linea nodale passantedentro la nostra piccola curva chiusa, quanto detto in precedenza riguardo la continuitanon sara piu valido, infatti non possiamo piu dire che il cambio di fase lungo la curvachiusa piccola deve essere piccolo. Tutto cio che possiamo dire e che il cambio di fase saravicino a 2πn con n intero, positivo o negativo, peculiare della linea nodale. Il segno saraassociato alla direzione con cui si percorre la curva chiusa attorno la linea nodale.La differenza tra il cambio di fase lungo la piccola curva chiusa e il piu vicino 2πn deveessere uguale al cambio di fase di una funzione d’onda lungo una curva chiusa senza lineanodale dentro, e quindi questa differenza che deve essere interpretata in termini del flussodel 6-vettore (E,H) attraverso la curva chiusa. Per una curva chiusa in tre dimensionientra in gioco solo il campo magnetico, quindi il cambio di fase lungo una curva chiusapiccola sara:

2πn+e

~c·∫

(H, dS) .

Si puo trattare le curve chiuse grandi dividendole in tante piccole curve chiuse giacentisulla superficie il cui bordo e la curva grande, il cambiamento di fase lungo la curva chiusagrande sara uguale alla somma di tutti i cambi lungo le curve piccole, quindi:

2π∑

n+e

~c·∫

(H, dS) (22)

11

dove l’integrale e su tutta la superficie e la sommatoria e su tutte le linee nodali che cipassano attraverso. Il secondo termine e uguale per tutte le funzioni d’onda mentre ilprimo,come gia detto, puo essere differente per differenti funzioni d’onda.L’espressione (22) applicata a qualsiasi superficie e uguale al cambio di fase lungo il bordodi quest’ultima; quindi l’espressione (22) applicata ad una superficie chiusa deve annullar-si. Percio abbiamo che

∑n, somma su tutte le linee nodali che attraversano la superficie

chiusa, deve essere uguale per tutte le funzioni d’onda e pari a − e2π~c per il flusso magne-

tico totale che attraversa la superficie.Se∑n non si annulla implica che qualche linea nodale deve avere il punto di fine, o

estremale, all’interno della superficie; infatti una linea nodale senza punto di fine attra-versa la superficie almeno due volte, o comunque un numero pari di volte, quindi darebbecontributo uguale ed opposto alla sommatoria nei due punti di intersezione. Il valore di∑n per una superficie chiusa sara uguale alla somma dei valori di n delle linee nodali

con punti di fine all’interno della superficie. Questa somma deve essere uguale per tuttele funzioni d’onda. Segue che i punti di fine delle linee nodali devono essere gli stessi pertutte le funzioni d’onda, quindi questi punti di fine sono punti di singolarita del campoelettromagnetico.Notiamo quindi che queste linee nodali non sono altro che le stringhe di Dirac che abbiamoincontrato precedentemente. Quindi il flusso totale del campo magnetico attraverso unapiccola superficie chiusa che circonda uno di questi punti di singolarita sara:6

Φ = 4πµ = 2πn~ce

dove n e caratteristico per la linea nodale che finisce all’interno della superficie, oppure ela somma di tutti gli n per ogni linea nodale che finisce all’interno quando ce n’e piu diuna. In termini fisici, nel punto di fine ci sara un monopolo magnetico di carica:

µ =n~c2e

che e la quantizzazione della carica come trovata nella relazione (16) con µ = g. Diracnota che la carica magnetica deve essere quantizzata in relazione alla carica elettrica e inbase alla relazione:

~ceµ0

= 2 .

Dirac fa notare come viene naturale confrontare questa relazione con quella che definiscesperimentalmente la costante di struttura fine:

~ce2

= 137 . (23)

6Abbiamo assunto la carica magnetica con segno.

12

3 Nozioni di Geometria Differenziale

Prima di passare alla trattazione matematica del monopolo e necessario introdurre glistumenti necessari per una descrizione rigorosa del fenomeno. In particolare Wu, Yang eMills notarono che le proprieta geometriche e topologiche del monopolo erano efficacementedescritte dalla geometria differenziale, in particolare dai fibrati. Ma per arrivare ad avereuna visione completa sui fibrati bisogna prima definire molti altri oggetti matematici. Perle nozioni di matematica ci riferiamo ai libri [4] e [5].

3.1 Varieta differenziabili

Definizione 1. M e una varieta differenziabile m-dimensionale se

M e uno spazio topologico

M ha una famiglia di carte (Ui, ϕi)

Ui e una famiglia di aperti che ricopre M tale che ∪iUi = M . ϕi e un omeomorfismoda Ui ad un sottospazio aperto U ′i di Rm

dati Ui, Uj aperti tali che Ui ∩ Uj 6= ∅, la mappa ψij = ϕi ϕ−1j da ϕj(Ui ∩ Uj) a

ϕi(Ui ∩ Uj) e infinitamente differenziabile

Questa definizione ci serve per dire che localmente, cioe negll’aperto coordinato Ui,la nostra varieta M la possiamo vedere come un sottoinsieme di Rm grazie alla ϕi, dettaanche funzione coordinata o coordinata, che per definizione e un omeomorfismo tra Uied un sottospazio aperto U ′i di Rm; cio pero non implica che M sia un’aperto di Rmglobalmente. Ad esempio non e possibile accorgerci che ci troviamo su una sfera solamenteguardando una cartina topografica di una citta.

3.2 Vettori e vettori duali

3.2.1 Vettori

Sulla varieta M un vettore e definito essere un vettore tangente ad una curva di M , quindiprendiamo una curva c : (a, b) → M e una funzione f : M → R, con (a, b) un’intervalloaperto di R che contiene t = 0. Definiamo il vettore tangente in c(0) come la derivatadirezionale della funzione f(c(t)) lungo la curva c(t) per t = 0, quindi sara:

df(c(t))

dt|t=0

in coordinate diventa:∂f

∂xµdxµ(c(t))

dt|t=0

(da notare l’abuso di notazione, in quanto la prima derivata ∂f∂xµ in realta rappresen-

ta ∂(fϕ−1(x))∂xµ ). Abbiamo ottenuto la derivata di f rispetto a t applicando l’operatore

differenziale X a f :

X = Xµ ∂

∂xµ,

(Xµ =

dxµ(c(t))

dt|t=0

)quindi possiamo scrivere:

df(c(t))

dt|t=0 = Xµ ∂f

∂xµ= X[f ]

13

Adesso abbiamo una definizione di vettore tangente, infatti l’ultima uguaglianza definisceX. Chiameremo X = Xµ ∂

∂xµ il vettore tangente a M in p = c(0) lungo la curva c(t). Que-sto vettore appartiene allo spazio tangente denotato come TpM con dimTpM = dimM ; ilnostro vettore ha componenti Xµ e TpM e generato dai vettori di base ∂

∂xµ .

3.2.2 Vettori duali

Siccome abbiamo visto che TpM e uno spazio vettoriale, esistera uno spazio vettoriale dualea TpM , di dimensione uguale, i cui elementi sono funzioni lineari che vanno da TpM a R.Lo spazio duale lo chiameremo spazio cotangente denotato da T ∗pM , un’elemento dellospazio denotato con ω : TpM → R si chiama vettore duale, vettore cotangente oppureuno-forma. Il piu semplice esempio di uno-forma e il differenziale df con f definita comein precedenza. Definiamo l’azione di df ∈ T ∗pM su X ∈ TpM come:

〈df,X〉|p ≡ X[f ]|p = Xµ ∂f

∂xµ|p ∈ R

se esprimessimo il differenziale nelle sue coordinate df =(∂f∂xµ

)dxµ noteremmo che e

naturale considerare dxµ come base di T ∗pM , con:

〈dxµ, ∂

∂xµ〉 =

∂xν

∂xµ= δνµ

quindi uno uno-forma arbitraria ω si scrivera:

ω = ωµdxµ

dove ωµ sono le componenti di ω.

3.3 Mappa differenziale e pullback

3.3.1 Mappa differenziale

Una mappa smooth, o differenziabile, f : M → N induce naturalmente una mappa f∗chiamata mappa differenziale o tangente:

f∗ : TpM → Tf(p)N.

Volendo vedere come agisce la mappa, se prendiamo g : N → R, ovvero g ∈ F(N), quindig f ∈ F(M) e un vettore V ∈ TpM possiamo definire f∗V ∈ Tf(p)N come:

(f∗V )[g] ≡ V [g f ]

in termini di carte (U,ϕ) su M e (V, ψ) su N :

(f∗V )[g ψ−1(y)] ≡ V [g f ϕ−1(x)]

dove x = ϕ(p) e y = ψ(f(p)).

3.3.2 Pullback

Un’altra mappa indotta naturalmente dalla mappa f : M → N e:

f∗ : T ∗f(p)N → T ∗pM

notiamo che f∗ va nella stessa direzione di f , mentre f∗ va nella direzione contraria daqui il nome pullback. Se prendiamo V ∈ TpM e ω ∈ T ∗f(p)N il pullback di ω tramite f∗ edefinito come:

〈f∗ω, V 〉 = 〈ω, f∗V 〉.Questa mappa ci sara molto utile nel proseguo.

14

3.4 Fibrati

Abbiamo visto che una varieta e uno spazio topologico che localmente puo essere vistocome Rm ma non necessariamente globalmente. Adesso andiamo a vedere cosa possiamocostruire sopra la nostra varieta, partiamo da un esempio semplice per arrivare al casogenerale.

3.4.1 Fibrato tangente

Il fibrato tangente TM su una varieta m-dimensionale e un unione di tutti gli spazi tangentidi M :

TM ≡⋃p∈M

TpM.

Sia Ui un ricoprimento aperto di M , se xµ = ϕi(p) e la coordinata su Ui, un’elemento di:

TUi ≡⋃p∈Ui

TpM

e determinato da un punto p ∈M e un vettore V = V µ(p) ∂∂xµ |p ∈ TpM . Quindi un punto

appartenente al fibrato tangente in componenti sara (p, V ). Notiamo che di conseguenzaTUi sara identificato con il prodotto diretto Rm × Rm in quanto Ui e omeomorfo ad unaperto di ϕ(Ui) di Rm e ogni TpM e omeomorfo a Rm. In sostanza TUi e una varietadifferenziabile 2m-dimensionale che puo essere decomposta in Ui × R.7

Preso un punto u ∈ TUi possiamo sempre separare le informazioni che u contiene riguardoa p ∈M e V ∈ TpM . Possiamo definire naturalmente la proiezione come:

π : TUi → Ui

ogni punto u ∈ TUi viene portato tramite π(u) in p ∈ M . Abbiamo che π−1(p) = TpM ,chiamaremo TpM la fibra in p.In generale una varita e l’unione di piu aperti percio vogliamo vedere come si comportaun vettore V definito in p ∈ Ui ∩ Uj , questo infatti avra due rappresentazioni in due setdi coordinate diverse. Siccome il vettore e lo stesso, esistera una traformazione che cipermettera di passare da una base all’altra (o da un set di coordinate all’altro); questatrasformazione sara una matrice che apparterra a GL(m,R), questo gruppo (Vedi Appen-dice B) si chiamera gruppo di struttura di TM .Definiamo ora una mappa M → TM , che ci permette di assegnare un vettore X|p ∈ TpMad ogni punto p ∈ M . Questa mappa inversa si chiama sezione o campo di vettori ed edefinita come una mappa smooth, o differenziabile, s : M → TM tale che π s = idM . Seuna sezione e definita solo su una carta Ui si chiama sezione locale si : Ui → TUi.

3.4.2 Definizione generale di fibrato

Diamo adesso una definizione generale dei fibrati.

Definizione 2. Un fibrato (E, π,M,F,G) e composto dai seguenti elementi:

1. Una varieta differenziabile E chiamata spazio totale

7Un’esempio tratto dall’esperienza quotidiana che ci ricorda il concetto di fibrato e la spazzola; infattila base la possiamo vedere come una varieta e le setole come dei vettori normali (fibre) la cui unionerappresenta il fibrato.

15

2. Una varieta differenziabile M chiamata spazio di base

3. Una varieta differenziabile F chiamata fibra

4. Una mappa π : E →M chiamata proiezione, l’immagine dell’inversa π−1 = Fp ∼= Fe chiamata la fibra in p

5. Un gruppo di Lie G chiamato gruppo di stuttura che agisce su F a sinistra

6. Un ricoprimento aperto Ui di M e un diffeomorfismo φi : Ui×F → π−1(Ui) tale cheπ φi(p, f) = p. La mappa φi e chiamata trivializzazione locale

7. Se scriviamo φi(p, f) = φi,p(f) la mappa φi,p : F → Fp e un diffeomorfismo. Seprendiamo Ui ∩ Uj 6= ∅ richiediamo che tij(p) ≡ φ−1

i,p φj,p : F → F sia un’elementodi G. Quindi abbiamo la relazione:

φj(p, f) = φi(p, tij(p)f)

data dalla mappa smooth tij : Ui ∩ Uj → G chiamata funzione di transizione.

Andiamo a caratterizzare le nostre funzioni di transizione, infatti vogliamo che questerispettino le seguenti condizioni di consistenza:

tii(p) = mappa identita (p ∈ Ui)tij(p) = t−1

ji (p) (p ∈ Ui ∩ Uj)tij(p) · tjk(p) = tik(p) (p ∈ Ui ∩ Uj ∩ Uk)

queste proprieta sono necessarie affinche i pezzi del fibrato possano essere incollati coe-rentemente. Se tutte le funzioni di transizione possono essere la mappa identica allora ilfibrato si chiama fibrato triviale o banale.Riesaminando, alla luce della definizione, quanto detto precedentemente sulle sezioni nelcaso del fibrato tangente abbiamo che l’insieme delle sezioni su M e identificato conl’insieme dei vettori definiti su M .

3.4.3 Fibrati principali

I fibrati principali sono quei fibrati che hanno per fibra F il gruppo di struttura G. Ilfibrato principale P →π M si indica anche con P (M,G) e si chiama fibrato G su M .Come gia detto nella definizione le funzioni di transizione agiscono a sinistra, ma possiamodefinire anche l’azione su F a destra. Sia φi : Ui×G→ π−1(Ui) una trivializzazione localequindi la azione a destra di G su π−1(Ui) e definita come:

ua = φi(p, gia) a ∈ G , π(u) = p

si dimostra che questa definizione e indipendente dalla trivializzazione scelta, infatti:

ua = φi(p, gia) = φj(p, gja).

Questa azione a destra e transitiva cioe per ogni u1, u2 ∈ π−1(p) esiste a ∈ G tale cheu1 = u2a, quindi la fibra e costruita come π−1(p) = ua | a ∈ G, dato un’elemento u taleche π(u) = p. Data una sezione si(p) definita su Ui, definiamo una trivializzazione localepreferenziale φi : Ui ×G→ π−1(Ui) chiamata trivializzazione locale canonica come:

si(p) = φi(p, e)

16

con e che e l’elemento neutro o identita di G 8, si ha che:

φi(p, g) = φi(p, e)g = si(p)g.

Se p ∈ Ui ∩ Uj le due sezioni si(p), sj(p) sono legate dalla funzione di transizione tij(p)come segue:

si(p) = φi(p, e) = φj(p, tji(p)e) = φj(p, tji(p)) =

= φj(p, e)tji(p) = sj(p)tji(p).

3.4.4 Applicazione

Sia P un fibrato principale con fibra U(1) = S1 e spazio base S2. Questo fibrato principalerappresenta la struttura topologica del monopolo di Dirac. Siano [UN , US ] due ricoprimentiaperti di S2 dove i pedici indicano se si tratta dell’emisfero nord o sud. Se parametrizziamoS2 con le classiche coordinate sferiche abbiamo:

UN =[(θ, φ) | 0 ≤ θ ≤ π

2+ ε, 0 ≤ φ < 2π

]US =

[(θ, φ) | π

2− ε ≤ θ ≤ π, 0 ≤ φ < 2π

]l’intersezione UN ∩ US e essenzialmente l’equatore. Siano φN , φS le trivializzazioni localitali che:

φ−1N (u) = (p, eiαN ) φ−1

S (u) = (p, eiαS )

dove p = π(u). La funzione di transizione tNS(p) sara nella forma einφ dove n deve essereun numero intero cosicche tNS(p) sia ad un sol valore sull’equatore. Per la definizione difunzioni di transizione le fibre sull’equatore saranno legate dalla relazione:

eiαN = einφeiαS

Se n = 0 la funzione di transizione e l’elemento identita di U(1) e abbiamo un fibratotriviale P0 = S2 × S1. Se n 6= 0 il fibrato U(1) Pn e non banale (attorcigliato). Notiamoche la struttura topologica del nostro fibrato e data da un numero intero9, quest’intero cidice come sono incollate le due sezioni all’equatore.Dal momento che U(1) e un gruppo abeliano, la azione a destra e la azione a sinistra sonoequivalenti; applicando una azione a destra g = eiΛ otteniamo:

φ−1N (ug) = (p, ei(αN+Λ))

φ−1S (ug) = (p, ei(αS+Λ)).

L’azione a destra corrisponde ad una trasformazione di gauge U(1).

3.5 Connessioni sui fibrati

Le connessioni sulle varieta riemanniane sono oggetti geometrici che ci permettono di con-frontare vettori di spazi tangenti differenti, in questa sezione invece daremo una definizionepiu astratta ma piu adatta ad applicazioni fisiche in cui compaiono le trasformazioni digauge.Sia u un’elemento del fibrato principale P (M,G) e sia Gp la fibra a p = π(u), definiamo

8Vedi Appendice B.2-B.3.9Questo intero assume un preciso significato geometrico nella teoria delle classi di omotopia.

17

il sottospazio verticale VuP come quel sottospazio di TuP che e tangente a Gp in u.10

Vediamo adesso come possiamo costruire VuP . Preso un’elemento A ∈ g, dove g = Lie(G),l’azione a destra (vedi Appendice B) definisce una curva in P :

Rexp(tA)u = u exp (tA)

siccome π(u) = π(u exp (tA)) = p, questa curva giace sulla fibra Gp. Definiamo un vettoreA] ∈ TuP come:

A]f(u) =d

dtf(u exp (tA))|t=0

dove f : P → R e una qualsiasi funzione differenziabile. Il vettore A] e tangente a P in u,inoltre essendo tangente ad una curva che giace su Gp, appartiene al sottospazio verticale,quindi A] ∈ VuP . In questo modo abbiamo definito un campo di vettori A] chiamatocampo vettoriale fondamentale generato da A. Inoltre l’applicazione ] : g→ VuP data daA 7→ A] e un’isomorfismo tra spazi vettoriali.Una connessione su P determina univocamente il sottospazio orizzontale HuP complemen-tare di VuP in TuP .

Definizione 3. Sia P (M,G) un fibrato principale. Una connessione in P e un’unica se-parazione dello spazio tangente TuP in sottospazio verticale VuP e sottospazio orizzontaleHuP tale che:

1. TuP = VuP ⊕HuP

2. Un campo vettoriale X su P e separato in due campi vettoriali XH ∈ HuP e XV ∈VuP tali che X = XV +XH .

3. HugP = Rg∗HuP per qualsiasi u ∈ P e g ∈ G

La condizione 3. afferma che i sottospazi orizzontali HuP e HugP sulla stessa fibrasono collegati dalla mappa lineare Rg∗ indotta dalla azione a destra, di conseguenza unsottospazio HuP in u genera tutti i sottospazi orizzontali sulla stessa fibra.

3.5.1 La uno-forma di connessione

Un modo per separare lo spazio tangente TuP in sottospazio verticale e sottospazio oriz-zontale e introdurre la uno-forma a valori su un’algebra di Lie ω ∈ g ⊗ T ∗P chiamatauno-forma di connessione.

Definizione 4. La uno-forma di connessione ω ∈ g⊗ T ∗P e una proiezione di TuP nellacomponente verticale VuP ' g. Le proprieta della proiezione sono riassunte nelle seguentirelazioni:

1. ω(A]) = A A ∈ g

2. R∗gω = Adg−1ω

cioe per X ∈ TuP :R∗gωug(X) = ωug(Rg∗X) = g−1ωu(X)g.

10TuP e lo spazio tangente al fibrato P e non va confuso con lo spazio tangente TpM alla varieta M .

18

Definiamo il sottospazio orizzontale HuP come il kernel di ω:

HuP ≡ X ∈ TuP | ω(X) = 0

si puo per far vedere che la definizione ora data di connessione e consistente con quelladata precedentemente, in particolare che il sottospazio orizzontale definito come soprasoddisfa:

HugP = Rg∗HuP.

La uno-forma di connessione ω e anche chiamata connessione di Ehresmann.Sia Ui un ricoprimento aperto di M e sia σi una sezione locale definita per ogni Ui.Conviene introdurre la uno-forma Ai a valore su un’algebra di Lie su Ui come:

Ai ≡ σ∗i ω ∈ g⊗ Ω1(Ui)

un teorema ci assicura che al contrario, data un’uno-forma Ai a valore su un’algebra diLie su Ui, possiamo ricostruire una uno-forma di connessione ω il cui pullback dato da σ∗isia Ai.

Teorema 1. Data un’uno-forma a valore sull’algebra di Lie g Ai su Ui e una sezionelocale σi : Ui → π−1(Ui), allora esiste una connessione uno-forma tale che Ai = σ∗i ω.

Affinche ω sia definita in maniera univoca su P , la separazione TuP = VuP⊕HuP deveessere unica, quindi dobbiamo avere ωi = ωj su Ui ∩ Uj . Per soddisfare questa condizioneAi deve avere particolari proprieta di trasformazione.

Lemma. Sia P (M,G) un fibrato principale e siano σi, σj sezioni locali su Ui, Uj tali cheUi ∩ Uj 6= ∅. Per X ∈ TpM (p ∈ Ui ∩ Uj), σi∗X e σj∗X soddisfano:

σj∗X = Rt∗ij (σi∗X) + (t−1ij dtij(X))]

dove tij : Ui ∩ Uj → G e la funzione di transizione.

Se applichiamo la uno-forma di connessione alla tesi del lemma sopra esposto, otteniamo:

σj∗ω(X) = Rt∗ijω(σi∗X) + t−1ij dtij(X)

= t−1ij ω(σi∗X)tij + t−1

ij dtij(X)

l’equazione si riduce a:Aj = t−1

ij Aitij + t−1ij dtij

e questa e la condizione di compatibilita che stavamo cercando. Ai viene interpretato comeil potenziale di gauge e questa e la trasformazione di gauge.

3.5.2 Derivata covariante e curvatura

Partendo da come e stata definita la derivata esterna in Appendice A.3, questa si puogeneralizzare a forme a valore su uno spazio vettoriale φ ∈ Ωr(P ) ⊗ V . Questo ci portaalla definizione di derivata covariante.

Definizione 5. Sia φ ∈ Ωr(P ) ⊗ V e X1, . . . , Xr+1 ∈ TuP . Data una uno-forma diconnessione ω su un fibrato principale P , la derivata covariante di φ e definita:

Dφ(X1, . . . , Xr+1) ≡ dpφ(XH1 , . . . , X

Hr+1)

dove dpφ ≡ dpφα ⊗ eα, con eα una base di V e XH

i e la componente orizzontale delladecomposizione data da ω.

19

Grazie alla derivata covariante possiamo dare una definizione di curvatura che verificaimportanti proprieta.

Definizione 6. La due-forma di curvatura Ω e la derivata covariante della uno-forma diconnessione ω:

Ω ≡ Dω ∈ Ω2(P )⊗ g.

La due-forma Ω soddisfa le due seguenti proprieta:Proprieta 1. La due-forma di curvatura soddisfa:

R∗aΩ = a−1Ωa a ∈ Ω.

Proprieta 2. Siano X,Y ∈ TuP . Allora Ω e ω soddisfano l’equazione di struttura diCartan:

Ω(X,Y ) = dpω(X,Y ) + [ω(X), ω(Y )]

che si puo anche scrivere come:

Ω = dpω + ω ∧ ω.

La forma locale F della curvatura Ω e definita come:

F ≡ σ∗Ω

dove σ e una sezione locale. Se esprimiamo F in termini del potenziale di gauge A = σ∗ωabbiamo:

F = dA + A ∧A

infatti partendo dall’equazione di struttura di Cartan, otteniamo:

F = σ∗(dpω + ω ∧ ω) = dσ∗ω + σ∗ω ∧ σ∗ω = dA + A ∧A.

Sia A = Aµdµ il potenziale di gauge, se scriviamo F = 1

2Fµνdxµ ∧ dxν in componenti

abbiamo:Fµν = ∂µAν − ∂νAµ + [Aµ,Aν ] .

La due-forma di curvatura F si identifica con il campo di Yang-Mills (vedi [6]).Siccome Aµ e Fµν sono funzioni a valori in g, possono essere espanse in termini della baseTα di g:

Aµ = AµαTα Fµν = Fµν

αTα

i vettori della base soddisfano la relazione di commutazione [Tα, Tβ] = fαβγTγ di conse-

guenza otteniamo l’ espressione:

Fµνα = ∂µAν

α − ∂νAµα + fβγ

αAµβAν

γ .

Se Ui, Uj carte di M tale che Ui ∩ Uj 6= ∅ e Fi,Fj i rispettivi campi su Ui ∩ Uj questirispettano la condizione di compatibilita:

Fj = Adt−1ijFi = t−1

ij Fitij

dove tij e la funzione di transizione su Ui∩Uj , come si puo dimostrare da Aj = t−1ij Aitij +

t−1ij dtij .

Il potenziale di gauge A e chiamato puro gauge se A si puo scrivere localmente come:

A = g−1dg.

20

In questo caso il campo F e identicamente nullo.Come gia visto prima, possiamo espandere ω e Ω in termini della base Tα di g ottenendo:

ω = ωαTα Ω = ΩαTα.

Riscrivendoci l’equazione di struttura di Cartan su questa base si ha:

Ωα = dpωα + fαβγω

β ∧ ωγ

e la derivata esterna ci porta a:

dpΩα = fβγ

αdpωβ ∧ ωγ − fβγαωβ ∧ dpωγ (24)

ricordando che ω(XH) = 0 per un vettore orizzontale XH , otteniamo:

DΩ(X,Y, Z) = dpΩ(XH , Y H , ZH) = 0

con X,Y, Z ∈ TuP . Cosı facendo abbiamo provato l’identita di Bianchi :

DΩ = 0.

Volendoci trovare la forma locale dell’identita di Bianchi basta far operare σ∗ su dpΩquindi otteniamo per la parte di destra della (24):

σ∗(dpω ∧ ω − ω ∧ dpω) = dσ∗ω ∧ σ∗ω − σ∗ω ∧ dσ∗ω= dA ∧A−A ∧ dA = F ∧A−A ∧ F

mentre per la parte di sinistra di (24):

σ∗dpΩ = dσ∗Ω = dF

in totale otteniamo:11

DF = dF + [A,F] = dF + A ∧ F − F ∧A = 0.

3.5.3 Applicazione

Prendiamo inizialmente un caso generale, ovvero, sia P (M,G) un fibrato principale su Me sia U un’aperto di M . Se le sezioni locali σ1, σ2 su U sono legate da σ2(p) = σ1(p)g(p)allora le corrispondenti forme locali A1,A2 sono legate dalla relazione:

A2 = g−1A1g + g−1dg

che in componenti diventa:

A2µ = g−1(p)A1µg(p) + g−1(p)∂µg(p)

che e la trasformazione di gauge per un qualsiasi fibrato.Se adesso prendiamo in considerazione il fibrato che descrive il monopolo magnetico, ossia,prendiamo P come il fibrato U(1) su M e dati due aperti Ui, Uj tali che Ui ∩ Uj 6= ∅definiamo le rispettive forme locali di connessione Ai,Aj . La funzione di transizione tij :Ui ∩ Uj → U(1) e:

tij(p) = exp [iΛ(p)] Λ(p) ∈ R11Notiamo che DF = dF per G = U(1).

21

e Ai,Aj sono legate dalla relazione:

Aj(p) = t−1ij Ai(p)tij + t−1

ij dtij

= Ai(p) + idΛ(p).

In componenti torniamo ad avere una relazione uguale alle relazione (5):12

Ajµ = Aiµ + i∂µΛ.

12Abbiamo una i a moltiplicare il secondo termine del membro di destra in quanto la nostra connssioneAµ differisce dal potenziale vettore standard Aµ per un fattore dato dalla scelta degli operatori dell’algebradi Lie anti-hermitiani:

Aµ = iAµ.

22

4 Trattazione geometrica del monopolo

Adesso che abbiamo le basi matematiche adatte possiamo trattare le teorie di gauge dalpunto di vista geometrico; come abbiamo piu volte visto il potenziale di gauge dal puntodi vista geometrico puo essere trattato come un’espressione locale di una connessione suun fibrato principale.

4.1 Teorie di gauge U(1)

La teoria di Maxwell dell’elettromagnetismo e descritta dal gruppo di gauge U(1), essendoU(1) un gruppo unidimensionale e abeliano possiamo omettere gli indici e poniamo lecostanti di struttura fαβ

γ = 0. Supponiamo che il nostro spazio di base, o varieta, sialo spazio-tempo di Minkowski quadridimensionale; avremo allora, dato che lo spazio diMinkowski si puo contrarre a un punto, che il fibrato principale P con fibra U(1) e triviale(banale) ed e necessaria una singola trivializzazione locale su M .Il potenziale di gauge e:

A = Aµdxµ

di conseguenza il campo e:F = dA

in componenti abbiamo:Fµν = ∂µAν − ∂νAµ

inoltre F soddisfa l’identita di Bianchi:

dF = F ∧A−A ∧ F = 0. (25)

Questo risultato non stupisce in quanto F e una forma esatta, F = dA. Scrivendo l’identitadi Bianchi in compenenti:

∂λFµν + ∂νFλµ + ∂µFνλ = 0

se identifichiamo le componenti Fµν = iFµν , dove per Fµν intendiamo le componenti deltensore elettromagnetico definito come:13

Fµν = ∂µAν − ∂νAµ =

0 −Ex −Ey −EzEx 0 Bz −ByEy −Bz 0 BzEz By −Bx 0

. (26)

La relazione (25) si riduce a due delle equazioni di Maxwell:

∇×E +∂B

∂t= 0 , ∇ ·B = 0

e importante notare che queste due equazioni sono state ottenute in maniera completa-mente geometrica, infatti abbiamo semplicemente applicato l’identita di Bianchi ad unacurvatura.Per trovare le altre due equazioni, che corrispondono alla parte dinamicha delle equazionidi Maxwell, dobbiamo specificare l’azione. Usiamo l’azione di Maxwell SM [A] che e unfunzionale di A ed e dato da:

SM [A] ≡ 1

4

∫R4

FµνFµνd4x = −1

4

∫R4

FµνFµνd4x. (27)

13L’invarianza del tensore elettromagnetico per traformazioni di gauge e immediata.

23

Attraverso una variazione di SM [A] rispetto Aµ, otteniamo l’equazione di moto:

∂µFµν = 0 (28)

riscrivendo quest’ultima equazione in termini del campo elettrico E e del campo magneticoB otteniamo le altre due equazioni di Maxwell nel vuoto:

∇ ·E = 0 ∇×B− ∂E

∂t= 0.

4.2 Monopolo magnetico di Dirac

Abbiamo studiato la teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell definita su R4 come fibratobanale con fibra U(1), adesso proviamo ad estendere il nostro studio a fibrati U(1) nontriviali. Per semplicita supponiamo il tutto indipendente dal tempo.Il monopolo di Dirac e definito in R3 senza l’origine O e abbiamo visto che il fibratoprincipale che descrive al meglio le sue proprieta topologiche e un fibrato U(1) P (S2, U(1)).Le due carte per descrivere la sfera S2 sono:

UN ≡[(θ, φ) | 0 ≤ θ ≤ π

2+ ε]

US ≡[(θ, φ) | π

2− ε ≤ θ ≤ π

]0 ≤ φ ≤ 2π.

Prendiamo una connessione di Ehresmann ω su P e le sezioni locali σN , σS tali che suinostri aperti i potenziali di gauge locali :

AN = σ∗Nω , AS = σ∗Sω

risultino l’analogo dei potenziali vettori AN , AS delle relazioni (8) e (11), otteniamo:14

AN = ig(1− cos θ)dφ , AS = −ig(1 + cos θ)dφ (29)

dove g e l’intensita del monopolo. Sia tNS la funzione di transizione definita sull’equatoreUN ∩ US , sappiamo che questa e una mappa definita da S1 al gruppo di struttura U(1).Scriviamo quindi:

tNS(φ) = exp [iϕ(φ)] ϕ : S1 → Rsappiamo anche che i due potenziali di gauge su UN ∩ US devono rispettare la relazione:

AN = t−1NSAStNS + t−1

NSdtNS = AS + idϕ.

Sostituendo i potenziali scritti nella (29) otteniamo:

dϕ = −i(AN −AS) = 2gdφ

dal momento che φ varia tra [0, 2π] sull’equatore, ϕ(φ) cambia di:

∆ϕ ≡∫dϕ =

∫ 2π

02gdφ = 4πg

affinche tNS sia definita in maniera univoca, ∆ϕ deve essere un multiplo di 2π:

∆ϕ

2π= 2g = n ∈ Z

che e la stessa condizione di quantizzazione della carica per il monopolo magnetico cheabbiamo trovato nelle relazioni (15) e (16).Per il flusso del campo magnetico riotteniamo il risultato (9):

Φ =

∫S2

B · dS =

∫UN

dAN +

∫US

dAS =

=

∫S1AN −

∫S1AS = 2g

∫ 2π

0dφ = 4πg.

14Ricordandoci di moltiplicarli per il fattore dell’algebra di Lie i.

24

4.3 Rotazioni e stringa di Dirac

Il campo elettrico dovuto ad una carica puntiforme e a simmetria sferica e lo stesso valeper il campo magnetico generato da un monopolo magnetico, come si nota dalla relazione(6). Mentre i potenziali vettori non hanno simmetria sferica, basta guardare la loro scrit-tura data dalla relazione (29). Per come abbiamo descritto la stringa di Dirac e chiaroche effettuando una rotazione al potenziale vettore, ruotera anche la direzione lungo cui edisposta la stringa di Dirac; vogliamo mostrare che nonstante cio, tramite una trasforma-zione di gauge possiamo compensare questa rotazione.Se prendiamo i vettori che generano il gruppo delle rotazioni SO(3) su una sfera in tredimensioni:

ξX = − sinφ∂

∂θ− cosφ cot θ

∂φ

ξY = cosφ∂

∂θ− sinφ cot θ

∂φ

ξZ =∂

∂φ

questi vettori soddisfano l’algebra:

[ξA, ξB] = −εABCξC .

Ci chiediamo come si trasforma il potenziale vettore, ovvero la uno-forma di connessione,per una rotazione infinitesima generata da uno dei vettori sopra definiti. Il potenzialevettore si trasformera come la derivata di Lie lungo il vettore che definisce la rotazioneinfinitesima, essendo il potenziale vettore un’uno-forma, avremo che:

LξBAµ = ξνB∂νAµ + Aν∂µξνB = ξνB (Fνµ + ∂µAν) + Aν∂µξ

νB =

= ξνBFνµ + ∂µ (ξνBAν) .

Per i potenziali vettori della relazione (29) questa derivata di Lie e non nulla quindisembra che si abbia una rottura della classica simmetria per rotazioni, ma come dettoprecedentemente possiamo annullare quest’effetto accoppiando la derivata di Lie con latrasformazione di gauge descritta dalla relazione (5).Affiche si abbia che la variazione del potenziale vettore sia nullo dobbiamo imporre che:

δξBAµ = LξBAµ + i∂µΛB = 0. (30)

Dalla relazione (30) troviamo che una trasformazione di gauge ha per generatori i seguentivettori:

ΛX = −g cosφ sin θ + iξνXAν = g cot θ cosφ− gcosφ

sin θ

ΛY = −g sinφ sin θ + iξνYAν = g cot θ sinφ− gsinφ

sin θΛZ = −g cos θ + iξνZAν = −g

si nota che la componente lungo z e una costante, cio e fondamentale affinche la nuovatrasformazione che andremo a definire soddisfi l’algebra di SO(3).Combinando la trasformazione di gauge ΛB con la rotazione semplice definita da ξB,

25

creiamo un nuovo operatore di rotazione ξB = ξB + ΛB∂∂λ dove λ e la coordinata del

fibrato U(1), quindi possiamo scrivere:

ξX = − sinφ∂

∂θ− cosφ cot θ

∂φ+

(g cot θ cosφ− g

cosφ

sin θ

)∂

∂λ

ξY = cosφ∂

∂θ− sinφ cot θ

∂φ+

(g cot θ sinφ− g

sinφ

sin θ

)∂

∂λ

ξZ =∂

∂φ− g

∂λ.

L’operatore scritto in queste componenti soddisfa l’algebra di SO(3) cosı come ξX , ξY , ξZ .Quindi, quando andiamo a considerare una rotazione rigida in presenza di monopoli ma-gnetici automaticamente ci troviamo anche a considerare le trasformazioni di gauge.In [8] si affronta il caso di una deformazione infinitesima non rigida della stringa di Dirac;si puo mostrare che la trasformazione di gauge dipende dall’angolo solido spazzato dalladeformazione della stringa. Quindi e chiaro che cio che ha significato fisico e la presenzadella stringa e il suo punto di fine.

26

5 Conclusioni

La trattazione del monopolo magnetico ci ha condotto alla relazione (16) che lega la quan-tizzazione della carica magnetica alla quantizzazione della carica elettrica.Notiamo che questa relazione e simile alla definizione della costante di struttura fine (23)ma allo stesso tempo ci permette di capire e quantificare la differenza che passa tra lacarica magnetica isolata e la carica elettrica. Infatti se i potenziali, i campi e la forza elet-trica e magnetica sono totalmente interscambiabili nella teoria del monopolo non si puodire lo stesso per quanto riguarda la piu piccola carica magnetica o elettrica che sarebbepresente in natura. Dal confronto tra le due relazioni abbiamo che µ0 = 137

2 e, e questoci puo dare un’idea di come mai non abbiamo osservato finora cariche magnetiche isolate.Dal rapporto della piu piccola carica magnetica e la piu piccola carica elettrica implicache la forza attrattiva tra due poli magnetici di segno opposto e

(1372

)2volte piu intensa

di quella tra elettrone e protone. Questa forza cosı intensa puo essere il motivo per cuiancora non siamo riusciti a separare poli magnetici di segno opposto.La domanda sul perche studiamo geometrie che descrivono un oggetto che sembra nonesitere in natura a questo punto puo sorgere spontanea, ma, come argomenta Dirac in [1],“anche le geometrie non-euclidee e le algebre non-commutative una volta erano considera-te solo dei passatempi per i matematici senza alcuna applicazione fisica”. Inoltre nel 1948Dirac (vedi [2]) ribadisce che nella fisica sperimentale esistono molte particelle di cui, siaal tempo che tutt’oggi, non sappiamo dare un’adeguata spiegazione fisica.L’importanza del monopolo magnetico risiede nel fatto che e una naturale generalizza-zione della teoria dell’elettrodinamica e che sembra essere l’unica argomentazione teoricache spieghi la quantizzazione della carica elettrica. Un grande numero di studi teorici emolte ricerche sperimentali sono stati intrapresi riguardo ai monopoli magnetici, un elencobibliografico viene fornito in [7].Ad oggi sperimentalmente esiste un limite minimo della massa che puo avere un monopolomagnetico; negli acceleratori di particelle facendo urtare particelle cariche elettricamentee stato stimato che la massa minima del monopolo e di 500GeV/c2. Negli ultimi anni iricercatori si sono concentrati nella ricerca di monopoli in stati di materia condensata esembra che il monopolo non sia una nuova particella elementare bensı una quasi-particella.Nel gennaio del 2014 (vedi [9]) alcuni scienziati sono riusciti ad osservare dei monopolimagnetici in un condensato di Bose-Einstein.

27

A Forme differenziali e algebra esterna

A.1 Tensori

Un tensore di tipo (q, r) e un’applicazione multilineare che mappa q elementi di T ∗pM e relementi di TpM in un numero reale; si indica con T

qr,p(M) l’insieme dei tensori (q, r) in

p ∈M . Un elemento di Tqr,p(M) scritto nella basa del tangente e del cotangente, sara:

T = Tµ1...µqν1...νr∂

∂xµ1. . .

∂xµqdxν1 . . . dxνr

ovviamente possiamo vedere il tensore come funzione i cui spazi d’arrivo e di partenzasono:

⊗qT ∗pM ⊗r TpM → R.

Prima di definire le forme differenziali esaminiamo le proprieta di simmetria dei tensori.L’operazione simmetria agente su ω ∈ T0

r,p(M) e definito come:

Pω(V1, . . . , Vr) ≡ ω(VP (1), . . . , VP (r))

dove Vi ∈ TpM e P e un’elemento di Sr, gruppo simmetrico di ordine r.Per un tensore generale del tipo (q, p) le operazioni di simmetria sono definite separata-mente per gli indici q e p. Per ω ∈ T0

r,p(M), il simmetrizzatore S e definito:

Sω =1

r!

∑P∈Sr

mentre l’anti-simmetrizzatore A e:

Aω =1

r!

∑P∈Sr

sgn(P )Pω

dove sgn(P ) = +1 per permutazioni pari e −1 per permutazioni dispari.Sω e totalmente simmetrico ( PSω = Sω per ogni P ∈ Sr) e Aω e totalmente anti-simmetrico ( PAω = sgn(P )Aω).

A.2 Forme differenziali

Definizione 7. Una forma differenziale di ordine r o una r-forma e un tensore totalmenteanti-simmetrico del tipo (0, r).

Definiamo anche il prodotto wedge ∧ di r uno-forme attraverso il prodotto tensore chee totalmente anti-simmetrico:

dxµ1 ∧ dxµ2 ∧ · · · ∧ dxµr =∑P∈Sr

sgn(P )dxµP (1) ⊗ dxµP (2) ⊗ · · · ⊗ dxµP (r)

facendo un’esempio:dxµ ∧ dxν = dxµ ⊗ dxν − dxν ⊗ dxµ.

Si nota immediatmente che il prodotto wedge soddisfa le seguenti proprieta:

1. dxµ1 ∧ · · · ∧ dxµr = 0 se alcuni indici µ compaiono almeno due volte

2. dxµ1 ∧ · · · ∧ dxµr = sgn(P )dxµP (1) ∧ · · · ∧ dxµP (r)

28

3. dxµ1 ∧ · · · ∧ dxµr e lineare in ogni dxµ.

Da ora in poi per indicare lo spazio vettoriale generato dalle r-forme in p ∈M useremo ilsimbolo Ωr

p(M); da cui abbiamo chiaramente Ω1p(M) = T ∗pM e per convenienza imponiamo

che Ω0p(M) = R.

L’ insieme di r-forme presenti nella definizione di prodotto wedge formano una base perΩrp(M) e un’elemento ω ∈ Ωr

p(M) puo essere espanso sulla base come:

ω =1

r!ωµ1,µ2,...,µrdx

µ1 ∧ dxµ2 ∧ · · · ∧ dxµr

dove ωµ1,µ2,...,µr e preso totalmente anti-simmetrico, riflettendo l’anti-simmetria della base.Si puo ricavare che la dimensione di Ωr

p(M) e:(m

k

)=

m!

(m− r)!r!

si nota che se r > m la forma e identicamente nulla. Inoltre valendo l’uguaglianza(mk

)=(

mm−r

)abbimo che dimΩr

p(M)=dimΩm−rp (M) e Ωr

p(M), essendo uno spazio vettoriale, eisomorfo a Ωm−r

p (M).Definiamo adesso il prodotto esterno di una q-forma e una r-forma:

∧ : Ωqp(M)× Ωr

p(M)→ Ωq+rp (M)

se prendiamo ω ∈ Ωqp(M) e ξ ∈ Ωr

p(M), l’azione della (q + r)-forma ω ∧ ξ su q + r vettorie definita come:

(ω ∧ ξ)(V1, . . . , Vq+r) =1

q!r!

∑P∈Sq+r

sgn(P )ω(VP (1), . . . , VP (q))ξ(VP (q+1), . . . , VP (q+r))

dove Vi ∈ TpM ; anche ora se q + r > m, ω ∧ ξ e identicamente nulla.Possiamo definire anche un’algebra grazie questo prodotto, infatti:

Ω∗p(M) = Ω0p(M)⊕ Ω1

p(M)⊕ · · · ⊕ Ωmp (M)

Ω∗p(M) e lo spazio di tutte le forme differenziali definite in p ed e chiuso rispetto al prodottoesterno.

A.3 Derivata esterna

Definizione 8. La derivata esterna dr e una mappa Ωr(M)→ Ωr+1(M) la cui azione suuna r-forma

ω =1

r!ωµ1,...,µrdx

µ1 ∧ · · · ∧ dxµr

e definita come:

drω =1

r!

(∂

∂xνωµ1,...,µr

)dxν ∧ dxµ1 ∧ · · · ∧ dxµr .

In genere si indica con la sola d la derivata esterna; inoltre il prodotto wedge rendeautomaticamente anti-simmetrico il coefficiente.

Esempio. Le r-forme nello spazio a 3 dimensioni sono:

1. ω0 = f(x, y, z)

29

2. ω1 = ωx(x, y, z)dx+ ωy(x, y, z)dy + ωz(x, y, z)dz

3. ω2 = ωxy(x, y, z)dx ∧ dy + ωyz(x, y, z)dy ∧ dz + ωzx(x, y, z)dz ∧ dx

4. ω3 = ωxyz(x, y, z)dx ∧ dy ∧ dz

l’azione di d su queste forme differenziali e:

dω0 = ∂f∂xdx+ ∂f

∂y dy + ∂f∂z dz

dω1 =(∂ωy∂x −

∂ωx∂y

)dx ∧ dy +

(∂ωz∂y −

∂ωy∂z

)dy ∧ dz +

(∂ωx∂z −

∂ωz∂x

)dz ∧ dx

dω2 =(∂ωyz∂x + ∂ωzx

∂y +∂ωxy∂z

)dx ∧ dy ∧ dz

dω3 = 0

possiamo notare che l’azione di d su ω0 e il gradiente, su ω1 il rotore e su ω2 e la divergenzanel calcolo vettoriale classico.Una proprieta molto importante della derivata esterna e:

d2 = 0 (dr+1dr = 0)

infatti presa:

ω =1

r!ωµ1,...,µrdx

µ1 ∧ · · · ∧ dxµr

l’azione di d2 su ω e:

d2ω =1

r!

∂2ωµ1,...,µr∂xλ∂xν

dxλ ∧ dxν ∧ dxµ1 ∧ · · · ∧ dxµr

questa e identicamente nulla in quanto il coefficiente∂2ωµ1,...,µr∂xλ∂xν

e simmetrico rispetto a λ

e ν mentre dxλ ∧ dxν e anti-simmetrico.

B Gruppi di Lie e algebre di Lie

Un gruppo di Lie e una varieta su cui le operazioni del gruppo, prodotto e inversa, sonodefinite. I gruppi di Lie hanno un ruolo fondamentale nella teoria dei fibrati e nelleapplicazioni fisiche connesse alle teorie di gauge.

B.1 Gruppi di Lie

Definizione 9. Un gruppo di Lie G e una varieta differenziabile dotata di una strutturadi gruppo in cui le operazioni:

1. · : G×G→ G, (g1, g2) 7→ g1 · g2

2. −1 : G→ G, g 7→ g−1

sono differenziabili.

30

Per le applicazioni fisiche sono particolarmente interessanti i gruppi di matrici che sonosottogruppi dei gruppi lineari generali GL(n,R) e GL(n,C). Il prodotto tra gli elementidel gruppo e la classica moltiplicazione tra matrici e l’inverso e la matrice inversa. Risultache GL(n,R) e GL(n,C) sono gruppi di Lie.I sottogruppi di GL(n,R) a cui siamo interessati sono il gruppo ortogonale O(n), il gruppospeciale lineare SL(n,R) e il gruppo speciale ortogonale SO(n):

O(n) = M ∈ GL(n,R)|MM t = M tM = InSL(n,R) = M ∈ GL(n,R)|detM = 1SO(n) = O(n) ∩ SL(n,R)

dove t indica la trasposizione della matrice.I sottogruppi d’interesse del gruppo GL(n,C) sono il gruppo unitatio U(n), il gruppospeciale lineare SL(n,C) e il gruppo speciale unitario SU(n):

U(n) = M ∈ GL(n,C)|MM † = M †M = InSL(n,C) = M ∈ GL(n,C)| detM = 1SU(n) = U(n) ∩ SL(n,C)

dove † indica il coniugato hermitiano.Abbiamo detto che GL(n,R) e GL(n,C) sono gruppi di Lie ma non sappiamo,in linea diprincipio, se anche i sottogruppi di un gruppo di Lie sono gruppi di Lie. Per questo esisteun importante teorema che ci viene in soccorso.

Teorema 2. Ogni sottogruppo chiuso H di un gruppo di Lie G e un sottogruppo di Lie.

Grazie a questo teorema sappiamo che i gruppi sopra elencati sono dei sottogruppi diLie.

B.2 Algebre di Lie

Definizione 10. Siano a e g due elementi del gruppo di Lie G. La traslazione destraRa : G→ G e la traslazione sinistra La : G→ G di g su a sono definite come:

Rag = ga

Lag = ag

Per definizione Ra e La sono diffeomorfismi da G in G; inoltre inducono delle mappedifferenziali La∗ : TgG→ TagG e Ra∗ : TgG→ TgaG.Dato un gruppo di Lie G esiste una speciale classe di vettori caratterizzata dall’invarianzarispetto l’azione del gruppo.

Definizione 11. Sia X campo di vettori su un gruppo di Lie G. X si dice essere invariantea sinistra se La∗X|g = X|ag.

Se chiamiamo l’elemento identita del gruppo di Lie e, abbiamo che un vettore V ∈ TeGdefinisce un’unico campo di vettori invariante a sinistra XV tramite la traslazione di G:

XV |g = Lg∗V g ∈ G.

Vale anche il viceversa, ovvero, un campo di vettori invariante a sinistra X definisceun’unico vettore V = X|e ∈ TeG. Denotiamo l’insieme dei vettori invarianti a sinistrasu G con g. La mappa TeG → g definita da V 7→ XV e un’isomorfismo, quindi l’insiemedei vettori invarianti a sinistra e isomorfo al campo vettoriale TeG; in particolare hannodimg=dimG.

31

Definizione 12. SianoX e Y due campi vettoriali definiti suM . Si definiscono le parentesidi Lie [X,Y ] come:

[X,Y ] f = X [Y [f ]]− Y [X[f ]]

dove f ∈ F(M).

Si puo vedere facilmente che se X,Y ∈ g allora [X,Y ] ∈ g, quindi g e chiuso rispettole parentesi di Lie.

Definizione 13. L’insieme dei campi invarianti a sinistra g con le parentesi di Lie [ , ] :g× g→ g e chiamata l’algebra di Lie di un gruppo di Lie G.

Denoteremo l’algebra di Lie di un gruppo di Lie con le lettere gotiche. Ad esempioso(n) e l’algebra di Lie di SO(n).Sia l’insieme di n vettori V1, · · · , Vn una base per TeG, questa base definisce un’insiemedi n vettori invarianti a sinistra linearmente indipendenti X1, · · · , Xn ad ogni puntog ∈ G tramite la definizione di vettori invarianti a sinistra. Notiamo che quest’ultimoinsieme di vettori forma una base e, inoltre, sapendo che lo spazio dei vettori invarianti asinistra e chiuso rispetto le parentesi di Lie possiamo scrivere:

[Xa, Xb] = cabcXc

dove cabc sono chiamate le costanti di struttura del gruppo di Lie G. Si puo’ dimostrare

che le costanti di struttura sono indipendenti da quale elemento g ∈ G usiamo per ladefinizione Lg∗Va = Xa|g inoltre una volta determinate le costanti di struttura si determinacompletamente il gruppo di Lie (teorema di Lie).Se introduciamo una base duale a Xa e la denotiamo con θa, questa sara una base per leuno-forme invarianti a sinistra e soddisfera l’equazione di struttura di Maurer-Cartan:

dθa = −1

2cbc

aθb ∧ θc.

Definiamo una uno-forma a valori su un’algebra di Lie θ : TgG→ TeG come:

θ : X 7→ (Lg−1)∗X = (Lg)−1∗ X X ∈ TgG

θ e chiamata la uno-forma canonica o forma di Maurer-Cartan su G.

B.3 L’azione dei gruppi di Lie sulle varieta

In fisica, spesso un gruppo di Lie e visto come un’insieme di trasformazioni che agisconosu una varieta, ad esempio SO(3) e il gruppo delle rotazioni in R3, andiamo quindi adescrivere questo concetto per un generico gruppo di Lie G su una varieta M .

Definizione 14. Sia G un gruppo di Lie e M una varieta. L’azione di G su M e unamappa differenziabile σ : G×M →M che soddisfa le seguenti condizioni:

1. σ(e, p) = p ∀p ∈M

2. σ(g1, σ(g2, p)) = σ(g1g2, p)

Definizione 15. Sia G un gruppo di Lie che agisce sulla varieta M tramite σ : G×M →M . L’azione σ si dice:

Transitiva se ∀p1, p2 ∈M ∃ g ∈ G |σ(g, p1) = p2

32

Libera se esiste un’elemento p ∈M tale che σ(g, p) = p, allora g deve essere l’identitae

Effettiva se σ(g, p) = p per ogni p ∈ M , allora g deve essere l’identita e, ovverol’identita e ∈ G e unica.

Sia G un gruppo di Lie che agisce su M in modo (g, x) 7→ gx con g ∈ G. Un campo divettori invarianti a sinistra XV generato da V ∈ TeG induce naturalmente un campo divettori su M . Definiamo un flusso15, come:

σ(t, x) = exp(tV )x

e definiamo un campo di vettori chiamati campo di vettori indotto identificato da V ]:

V ]|x =d

dtexp(tV )x|t=0

quindi abbiamo una mappa ] : TeG → X(M), dove con X(M) indichiamo lo spazio deivettori tangenti alla varieta M , definita da V 7→ V ].Un gruppo di Lie G agisce su se stesso in maniera particolare.

Definizione 16. Preso un qualsiasi a ∈ G e definito un’omomorfismo ada : G → G taleche:

ada : g 7→ aga−1

questo omomorfismo e chiamato rappresentazione aggiunta di G.

Notiamo che adae = e; quindi la mappa indotta ada∗ : TgG→ TadagG a g = e diventa:

Ada : TeG→ TeG

dove Ada ≡ ada∗|TeG. Se identifichiamo TeG con l’algebra di Lie g, otteniamo una mappa:

Ad : G× g 7→ g

chiamata mappa aggiunta di G.

B.4 Derivata di Lie

Siano σ (t, x) e τ (t, x) due flussi generati dai vettori X,Y quindi:

dσµ(s, x)

ds= Xµ(σ(s, x))

dτµ(s, x)

ds= Y µ(τ(s, x))

andiamo adesso a vedere come cambia il vettore Y lungo σ (t, x). Per fare cio dob-biamo andare a confrontare il vettore Y definito nel punto x con il vettore nel puntox′ = σε(x) = σ(ε, x), pero non possiamo semplicemente considerare le differenze dellecomponenti dei due vettori in quanto appartengono a spazi tangenti differenti. Per evitarequesto problema inizialmente mappiamo Y |σε(x) in TxM con (σ−ε)∗ : Tσε(x) → TxM eprendiamo la differenza tra i due vettori (σ−ε)∗Y |σε(x) e Y |x che sono entrambi vettori

15Il flusso e una mappa definita come σ : R×M →M che soddisfa σ(t, σµ(s, x0)) = σ(t+ s, x0) per ognit, s ∈ R.

33

appartenenti a TxM .La derivata di Lie del vettore Y lungo il flusso σ di X e definita come:

LXY = limε→0

1

ε

[(σ−ε)∗Y |σε(x) − Y |x

]scritta in coordinate diventa:

LXY = (Xµ∂µYν − Y µ∂µX

ν) ∂ν .

Riconosciamo questa formula come una parentesi di Lie, infatti:

LXY = [X,Y ] .

Possiamo anche definire la derivata di Lie di una uno-forma ω ∈ Ω1(M) lungo X ∈ X(M)come:

LXω = limε→0

1

ε

[(σε)

∗ω|σε(x) − ω|x]

dove ω|x ∈ T ∗xM . Se passiamo alle componenti, ponendo ω = ωµdxµ, otteniamo:

LXω = (Xν∂νωµ + ∂µXνων) dxµ.

Ovviamente LXω ∈ T ∗x (M) in quanto e una differenza di due uno-forme nello stesso puntox. Le derivate di Lie di un tensore generico sono ottenute dalle seguenti proprieta:

LX(T1 + T2) = LXT1 + LXT2

LX(T1 ⊗ T2) = (LXT1)⊗ T2 + T1 ⊗ (LXT2)

con T1, T2 tensori arbitrari.

34

Riferimenti bibliografici

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