Il mito dell'oggettività

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Autori vari Il mito dell’oggettività Raccolta di articoli sul problema della valutazione oggettiva Scelti e commentati da Marta Milvio

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Raccolta di articoli sul tema della valutazione oggettiva

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Autori vari

Il mito dell’oggettivitàRaccolta di articoli sul problema della

valutazione oggettiva

Scelti e commentati da

Marta Milvio

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Sommario

Sommario

Oggetto e oggettività (Definizioni tratte da wikipedia)

Valutazione degli apprendimenti (Luisa Benigni)

Valutazione oggettiva (Salvatore Daniele)

La valutazione delle competenze (Mario Castoldi)

La valutazione educativa (Mariateresa Sarpi)

Scrutini, vademecum del collegio docenti per valutare bene (Rosario Mazzeo)

La valutazione dopo la legge 169 (Rodolfo Marchisio)

Miti della valutazione (Mario Castoldi)

Il mito della valutazione oggettiva (Giorgio Israel )

Il mito dell'oggettività (Tiziano Trivella)

Il Berchet di Milano punta sulla «equità valutativa». Il risultato è «una scuola disastrosa, senz’anima» (Leone Grotti)

Qualche considerazione personale (Marta Milvio)

Brevi note biografiche sugli autori

Link ai documenti originali

Oggetto e oggettività (Definizioni tratte da wikipedia)

Il concetto di oggetto viene introdotto nella filosofia dai filosofi della scolastica (Tommaso d’Aquino, Duns Scoto, Guglielmo di Ockham) per designare il contenuto di un atto intellettuale o percettivo, considerato come entità distinta e logicamente contrapposta al soggetto.

Etimologia

L’etimologia rivela che il significato attuale di oggetto, come realtà materiale distinta e diversa dal soggetto, entità razionale, è il risultato di un capovolgimento rispetto al primitivo significato per cui l’oggetto era il contenuto di un atto razionale e il soggetto l’essenza della realtà.

I latini infatti tradussero con “ob-iectum”, letteralmente “gettato davanti”, “posto di fronte” ciò che Aristotele indicava come “anti-kèimenon”, cioè l’opposto di “upo-kèimenon”, termine questo che voleva indicare “ciò che è posto sotto” il sostrato, la sostanza, l’essenza del reale. Quest’ultimo termine, upokèimenon, fu tradotto in latino con la parola sub-iectum, da cui l’italiano “soggetto” .

Storia del concetto

L’ antikeimènon sta ad indicare per Aristotele sì gli “oggetti”, ma intesi non come realtà materiali, ma esattamente l’opposto dell’ upokèimenon, il sostrato reale: come i contenuti del pensiero, i concetti contenuti nella razionalità.

Al contrario faceva riferimento alla realtà oggettiva, materiale, l’upokèimenon, il sostrato materiale che acquistò nella traduzione latina di subiectum il significato opposto: il soggetto, la razionalità, la spiritualità, l’entità contrapposta alla oggettività materiale.

Con il termine oggettività, si designa una rappresentazione ideologica corrispondente alla realtà, al mondo oggettivo e non dipendente quindi da un’attività della coscienza intesa in senso assoluto.

Oggettività

L’oggettività è una concezione propria delle tendenze non idealistiche e specialmente realistiche: l’idealismo, infatti, negando il mondo oggettivo, esistente al di fuori e indipendente dalla coscienza, conferisce all’oggettività un valore soggettivo e spesso arbitrario. Il concetto di oggettività si contrappone ai concetti delle rappresentazioni del mondo esteriore, considerate come segni, simboli, allusioni, strumenti di qualche cosa d’altro della realtà stessa degli oggetti naturali. Al contrario, le tendenze non idealistiche affermano che gli oggetti della realtà non rappresentano altro che se stessi od i loro componenti storici. L’estensione ed i significati del termine sono in stretta relazione ai significati del termine oggetto.

Valutazione degli apprendimenti (Luisa Benigni)

INTRODUZIONE

…ma la valutazione può essere oggettiva?

Il nuovo Esame di Stato ha fatto esplodere il problema della valutazione in tutta la secondaria superiore, fino a quel momento complessivamente meno investita della questione rispetto a elementari e medie.

Ora tutti la vogliono “oggettiva”, ma la valutazione può essere oggettiva?

Diciamo subito che l’oggettività in senso vero non è realizzabile ed è perciò necessario imparare ad accettare questo dato senza sentirsi troppo in colpa.

Dobbiamo in ogni caso cercare di raggiungere la massima obiettività possibile, ossia il più alto grado di imparzialità ed equità, lavorando con la soggettività, e non nonostante questa. Solo così potremo peraltro rendere comparabili i risultati.

Dobbiamo aggiungere che ci sono non poche difficoltà nella diffusione di una cultura della valutazione, sia perché non ci sono ancora in Italia riferimenti nazionali (“standards di contenuto”, che cosa gli alunni devono sapere e saper fare, e “standards di prestazione”, su quali parametri si deve attestare una preparazione sufficiente, più che sufficiente, ecc..), sia perché non sono stati predisposti supporti seri e capillari per i docenti. Ma la questione non è certo nuova…

il problema fu posto 80 anni fa

La scienza della valutazione, più propriamente docimologia (dal greco “dokimazein” “esaminare”), è nata nel 1922 e prese avvio proprio dall’esigenza di analizzare la validità e la coerenza dei giudizi espressi dagli insegnanti negli esami.

Balzò prepotentemente alla ribalta nel 1931 quando un’indagine condotta negli USA rese noti dati assolutamente allarmanti sull’affidabilità dei risultati degli esami.

La docimologia si è inizialmente concentrata sull’analisi delle ragioni della diversità dei giudizi attribuiti ad una stessa prova, non solo da insegnanti diversi, ma anche dallo stesso insegnante in tempi diversi.

Gli studi si sono via via approfonditi, attraverso indagini sempre più raffinate sulla validità e attendibilità delle misurazioni e valutazioni delle conoscenze e competenze. In questo quadro hanno assunto grandissima importanza gli strumenti o prove di verifica.

In Italia, fortemente affezionati alle prove tradizionali, ci stiamo solo ora cimentando, a livello di massa, con la vasta gamma delle prove di verifica.

Proviamo allora ad analizzarle insieme, così da affrontare con più serenità e consapevolezza quella parte non secondaria della nostra attività didattica che è la valutazione.

LE PROVE DI VERIFICA

tre requisiti: validità, attendibilità, funzionalità

Le prove di verifica dovrebbero innanzitutto rispondere a tre requisiti.

Validità.

E’ riferita agli aspetti qualitativi delle prove. Le prove sono valide se spaziano su un campione sufficientemente rappresentativo delle conoscenze e/o abilità che si intendono indagare. Questo campione deve essere fortemente ancorato al curricolo effettivamente svolto e tenere conto: a) degli obiettivi che ci si è dati, b) dei contenuti che si sono sviluppati, c) del tipo di scuola (la prova di italiano in un istituto professionale non può essere uguale a quella in un liceo), d) della metodologia didattica usata.

Attendibilità.

E’ riferita alla fedeltà delle misurazioni. Le prove sono attendibili se utilizzano sistemi di misura stabili ed omogenei e se hanno determinato preventivamente e senza ambiguità i criteri di interpretazione dei risultati.

Funzionalità.

E’ riferita agli aspetti pratici dello svolgimento e della valutazione delle prove. Una prova è funzionale se ciò che si chiede di fare è enunciato in modo chiaro, se la valutazione è espressa in modo altrettanto chiaro e ottenuta in modo pratico e riconoscibile.

due tipologie o forse tre

In relazione ai momenti della valutazione, le prove si distinguono in formative e sommative.

Prove formative

Le prove formative si svolgono in corso d’opera. Devono fornire informazioni agli insegnanti, ma anche agli alunni, sulla rispondenza fra insegnamento e apprendimento. Sono una guida importante al miglioramento: aiutano a regolare i ritmi, a ricercare alternative, a predisporre attività di rinforzo ecc… Le prove formative verificano tutti gli obiettivi relativi alle singole parti del curricolo svolte.

Prove sommative

Le prove sommative, sono prove conclusive, e intendono verificare i risultati complessivi. Verificano un campionamento degli obiettivi più rappresentativi del curricolo svolto (non consentono obiezioni del tipo “Prof, non può chiedercelo, l’abbiamo fatto nel primo quadrimestre!”).

A queste due tipologie classiche, di norma si aggiungono oggi le prove iniziali con valore diagnostico di partenza.

Due definizioni preliminari: finalità e obiettivi specifici

Quando predisponiamo prove di verifica dovremmo sempre preliminarmente definire le finalità e gli obiettivi specifici che ci proponiamo di indagare.

Le finalità

esprimono le intenzioni dell’azione formativa che si sottopongono a verifica. Esempio: con questa prova intendiamo verificare

le conoscenze geografiche e storico culturali relative all’area in oggetto

le competenze tecnico professionali e linguistiche necessarie alla soluzione del caso

la capacità di operare scelte autonome e formulare ipotesi progettuali adeguate

Gli obiettivi

descrivono ciò che nello specifico lo studente deve dimostrare di sapere e saper fare. Gli obiettivi devono essere enunciati con verbi che esprimono azioni il più possibile osservabili e misurabili.

Se diciamo: “Vogliamo accertare se l’allievo conosce i beni artistici e culturali offerti dal territorio”, non abbiamo individuato correttamente l’obiettivo, perché “conoscere” non è né osservabile né misurabile.

Se invece diciamo: “Vogliamo accertare se l’allievo è in grado di elencare i beni artistici e culturali offerti dal territorio”, l’obiettivo è stato correttamente indicato perché è diventato osservabile e misurabile.

Nel caso in cui vogliamo la descrizione e/o l’inquadramento storico-artistico dobbiamo formulare la richiesta in modo esplicito e quindi usare il verbo «descrivere» e/o «inquadrare», indicando preferibilmente quantità e tipologia .

I verbi da usare nell’enunciazione degli obiettivi devono quindi essere di tipo operativo.

Due vincoli: condizioni e criteri

La prova dovrebbe contenere, secondo Mager[1], anche due vincoli che aiutano a predeterminare i criteri di valutazione. Sono:

le condizioni:

cioè l’insieme di circostanze nelle quali la prestazione deve essere eseguita: il tipo di materiali e strumenti che si possono utilizzare (es. vocabolario ecc..), il limite riferito al tempo (in quanto tempo la prova deve essere svolta), all’estensione (es. numero massimo di parole utilizzabili), etc

i criteri:

indicano il grado accettabile di padronanza delle abilità sottoposte a verifiche.

Ad esempio: “Eseguire una traduzione dall’inglese all’italiano di un brano di 20 righe di media difficoltà (prestazione) tramite l’uso del vocabolario in non più di 30 minuti (condizioni) senza commettere più di 4 errori di ortografia, lessico o sintassi (criterio).

Talvolta la specificazione di questi due vincoli (condizione e criterio), o di uno di essi, può non essere necessaria se è implicita nell’indicazione della prestazione. Ad esempio l’obiettivo “inserire un filo da cucito nella cruna dell’ago”, utilizzabile per verificare il grado di presbiopia di un soggetto, non ha bisogno del criterio, in quanto non esiste una graduazione di livelli di prestazione o si è in grado di eseguirla o non si è in

grado, non vi sono valori intermedi. Tutt’al più si potrebbe stabilire una condizione (“in non più di 7 secondi/ a meno di 30 cm”).

e tre classificazioni: non strutturate, strutturate, semistrutturate

Una volta definiti finalità e obiettivi specifici, dobbiamo scegliere le prove più idonee ad accertarli .

Uno dei criteri di classificazione delle prove è il grado di strutturazione che presentano, in un continuum che va dal minimo di strutturazione, ad esempio del tema e delle interrogazioni tradizionali, al massimo di strutturazione delle così dette “prove oggettive di verifica”.

La strutturazione riguarda sia il modo in cui vengono presentati gli “stimoli” (l’enunciazione di ciò che si chiede) sia le risposte .

Prove non strutturate (stimolo aperto, risposta aperta):

le risposte non sono univoche e non sono predeterminabili. Sono le prove tradizionali quali l’interrogazione, il riassunto, il tema, la relazione, l’articolo etc.

Prove strutturate (stimolo chiuso, risposta chiusa):

le risposte sono univoche e predeterminabili. Le prestazioni possono essere misurate con precisione. Sono anche chiamate prove oggettive di verifica[2]. Sono i quesiti: vero/ falso, corrispondenze, scelta multipla, completamento.

Prove semistrutturate (stimolo chiuso, risposta aperta):

le risposte non sono univoche ma sono in grande misura predeterminabili grazie ai vincoli posti negli stimoli. Le tipologie, con alcune eccezioni, sono le stesse delle prove non strutturate.

Esaminiamo ora le tre tipologie, con particolare riferimento a limiti e vantaggi

Prove non strutturate

Limiti

Se ci riferiamo ad almeno due dei requisiti fondamentali delle prove di verifica, ossia la validità e l’attendibilità, i limiti delle prove tradizionali o non strutturate sono evidenti. Sono limiti

Didattici: gli stimoli sono generici e manca la definizione delle operazioni che lo studente deve svolgere. Alla genericità della traccia spesso non corrisponde la possibilità di rispondere in modo davvero aperto;

Metrologici: l’ interpretazione delle risposte non è omogenea e spesso è arbitraria. La valutazione è di tipo episodico, casuale, persino umorale (errori di ortografia giudicati imperdonabili, argomentazioni spesso respinte perché sgradite a chi corregge);

Educativi: creano sfiducia negli studenti che percepiscono l’alto livello di soggettività della correzione.

Sono inoltre noti gli effetti negativi che queste prove producono come ci spiega G. Domenici[3]:

effetto alone (condizionamento a valutazioni negative o positive precedenti)

effetto contrasto (condizionamento a standard ideali di prestazione)

effetto stereotipia (condizionamento ad opinione generalizzata originaria)

effetto pigmalione (condizionamento a predizioni)

Vantaggi

Nonostante i limiti che noi tutti riconosciamo alle prove tradizionali, siamo anche consapevoli che sono uno strumento che permette di verificare obiettivi non sempre analizzabili con prove di tipo strutturato.

Si può sicuramente affermare che le prove tradizionali consentono di:

verificare i livelli più alti di competenze, quali analisi, sintesi, valutazione[4], attivare non soltanto la memoria riconoscitiva (o passiva) ma anche quella rievocativa (saper mettere in relazione anche critica i nodi concettuali appresi)

verificare l’abilità di produrre testi di vario tipo

verificare l’abilità di riformulare, riorganizzare, riutilizzare i materiali di studio in situazioni nuove, stabilendo le relazioni tra conoscenze in ambiti diversi, collegando le conoscenze accumulate nell’enciclopedia dello studente.

Prove semistrutturate

Vantaggi

Le prove tradizionali possono essere uno strumento insostituibile di valutazione ad alcune precise condizioni, se valutiamo ciò che abbiamo insegnato, se aumentiamo il grado di strutturazione degli stimoli, se stabiliamo precisi criteri per la valutazione, se definiamo gli standard di misurazione ed i relativi punteggi. In breve se le trasformiamo in prove semistrutturate. Le prove semistrutturate uniscono i pregi delle prove oggettive e di quelle tradizionali e sono pertanto da preferire come strumento di valutazione.

Qui di seguito è dato un esempio di come un titolo generico di un tema può essere strutturato come trattazione sintetica:[5]

Tema: “Lo sviluppo socio-economico del tuo paese “.

Trattazione semistrutturata: “Descrivi in ordine di importanza le tre cause principali che hanno favorito lo sviluppo socio-economico del nostro paese a partire dal secondo dopoguerra. Confronta gli esiti dello sviluppo economico con i principi stabiliti al Titolo III della Carta Costituzionale riguardante” i Rapporti Economici” ed infine descrivi gli effetti più immediati dello sviluppo economico sulla organizzazione sociale con particolare riferimento a:

a) organizzazione dei ruoli all’interno della famiglia

b) modificazione dei consumi familiari

La prima traccia non consente di predeterminare criteri di valutazione poiché non descrive alcun tipo di prestazione. Nel secondo caso è invece possibile creare una griglia di valutazione con parametri facilmente deducibili dal percorso obbligato dato.

Risposte criterio

Per garantire alla prova semistrutturata un buon livello di validità, attendibilità e funzionalità sarebbe opportuno compilare, contestualmente alla elaborazione della prova, le risposte-criterio.

Si tratta di creare le risposte che un nostro studente in possesso di buona preparazione culturale e/o professionale dovrebbe essere in grado di produrre. In questo modo è possibile da un lato eliminare difetti nella formulazione delle domande o sottodomande, che potrebbero risultare poco chiare o poco pertinenti, dall’altro tarare meglio la prova relativamente alla condizione (tempo concesso, n° di parole, strumenti utilizzabili ecc..) ed al criterio (n° di errori ammessi ecc…).

La creazione di possibili risposte può permettere anche di ottenere un buon grado di obiettività nella fase di correzione della prova e di assegnazione dei punteggi. E’ interessante ricordare a questo proposito che la formulazione delle prove per gli esami di maturità in Germania è sempre accompagnata , ad uso dei docenti, dai risultai attesi.

L’ esempio che segue mostra alcuni dei quesiti di una prova semistrutturata multidisciplinare preparata per un Istituto Professionale per Operatori Turistici, e le relative risposte criterio.

DESTINAZIONE AUSTRALIA[6]

CARTINA GEOGRAFICA AUSTRALIA

Geografia turistica

Quesito 1 (P.4)

Individua tre località corrispondenti a tre diverse tipologie turistiche in Australia e per ognuna di esse:

a) fornisci indicazioni precise sulla localizzazione geografica (nome e posizione) (P.0,5)

b) descrivi aspetti storici, culturali o naturali delle 3 località prescelte (P.2)

c) individua il target di riferimento e spiegane brevemente le ragioni. (P.1,5)

Puoi usare un massimo di 100 parole per ogni località.

Inglese

Quesito 2 (P.1,5)

Now refer to your personal knowledge of Australia and describe at least 3 of the main tourist attractions in no more than 60 words.

Matematica

Quesito 3 (p.4)

Il flusso turistico in Australia nel quinquennio 1987-1991 ha subito un incremento del 32,7% passando da 1.785 a 2.370 in migliaia di unità.

La funzione matematica che rappresenta il flusso è esponenziale del tipo y=1.785+cx con c= 3,57628.

Ti viene richiesto:

a) di tracciare a grandi linee il relativo grafico nel dominio 0£ x £5 intendendo per 0 l’anno iniziale 1987 e per 5 l’anno 1991

b) di spiegare in non più di 80 parole le caratteristiche della funzione con particolare riferimento a codominio, iniettività, suriettività, biettività e crescenza

c) di descrivere in non più di 50 parole la funzione esponenziale y = ax , sia nel caso in cui a>1 sia nel caso in cui a sia compreso tra 0 e 1.

La strutturazione dei quesiti permette di osservare le prestazioni in modo preciso e perciò anche di predeterminare i criteri di misurazione. Essi contengono anche la condizione (i materiali, gli strumenti, il numero di parole etc) .

Possibili risposte criterio

Geografia turistica

Quesito 1

Prima località: Barriera Corallina

a) La Barriera Corallina si estende per circa 2000 km lungo la costa orientale dell’Australia.

b) La Barriera Corallina ha un’ampiezza di circa 300 km e comprende un patrimonio ittico unico al mondo. Costituita da formazioni coralline che creano, durante la bassa marea, terre effimere ed ostacolano la navigazione sottocosta, è il regno dei pesci tropicali. La Barriera Corallina è oggi un parco naturale.

c) Consigliato ad un turista giovane o di età media che preferisca la vacanza al mare a diretto contatto con la natura.(87 parole)

Seconda località: Ayers Rock

a) Si trova nella parte centrale dell’Australia, in pieno territorio desertico.

b) Fa parte di un parco naturale ed è un’importante testimonianza della cultura aborigena, dato che era considerato dagli aborigeni una montagna sacra. E’ una grossa formazione rocciosa che si eleva per circa 200 metri su un terreno completamente spianato e desertico. Al parco è annesso un museo della cultura aborigena.

c) E’ una visita consigliata a turisti giovani interessati alla cultura locale e in cerca di un tipo di vacanza alternativa (83 parole)

Terza località: Canberra

a) E’ la capitale dell’Australia e si trova nel sud-est del paese, sulla costa dell’ Oceano Pacifico

b) Questa piccola città, tranquilla e ricca di spazi verdi, fu scelta come capitale in alternativa alle due più popolose città, Sydney e Melbourne. E’ la sede degli uffici governativi, del parlamento e delle ambasciate.

c) La visita alla città è consigliata a persone di tutte le età interessate alla conoscenza della realtà australiana oppure a turisti di media età che soggiornino nella città per motivi di affari.(85 parole)

Inglese

Quesito 2

Australia boasts a wide variety of tourist attractions. From a natural point of view visitors can admire the longest Coral Reef in the world or Ayers Rock, the largest monolith in the desert heart of Australia. Cities are also favourite destinations. Thousands of holiday makers go to Sydney every year to admire the famous Opera House and Harbour Bridge.(59 parole)

Prove strutturate

Limiti

Non sono adatte a verificare livelli alti e complessi di apprendimento

Le risposte giuste potrebbero essere dovute al fattore caso

I tempi necessari per la costruzione sono lunghi rispetto alle prove tradizionali.

Vantaggi

La correzione è semplice e veloce.

La misurazione è oggettiva.

L’ambiguità interpretativa risulta controllata.

Non presentano il rischio dell’effetto alone, contrasto e stereotipia ( ricordati al punto “prove non strutturate”)

Lo studente è facilitato nell’autovalutazione.

Non comportano situazioni di sfiducia da parte degli studenti.

L’oggettività consiste nella possibilità di predeterminare l’esattezza delle risposte e nell’ attribuzione del punteggio uguale da parte di tutti gli insegnanti. Rimane comunque un dato di soggettività, che sta nelle decisioni relative alla scelta e alla costruzione della prova. Per diminuire tali rischi è opportuno lavorare in gruppo.

Maggiore è il numero di docenti che converge nelle stesse decisioni minore sarà il livello di soggettività.

In conclusione

In conclusione possiamo dire che non ci sono prove di per sé buone e cattive. Le prove sono buone se sono adatte a verificare con buona approssimazione le finalità e gli obiettivi posti.

E’ in ogni caso bene che tutti noi prendiamo familiarità con i diversi strumenti di verifica e che ne usiamo una gamma abbastanza ampia, così da aumentare il grado di attendibilità delle nostre valutazioni.

Infine, chi di noi continua ad usare le prove tradizionali non strutturate, dovrebbe sempre cercare di definire con precisione l’enunciazione (stimolo), come abbiamo cercato di indicare.

MISURAZIONE E VALUTAZIONE

Misurare non è valutare

Una tappa determinante nel processo di valutazione è costituita dalla misurazione dei risultati.

Vi è una distinzione fondamentale tra valutazione e misurazione. La misurazione si riferisce alla rilevazione dei vari livelli di apprendimento, mentre la valutazione esprime il giudizio qualitativo rispetto ad una determinata misurazione effettuata. Per poter valutare è cioè necessario raccogliere una serie d’informazioni, di effettuare una serie di misurazioni, attraverso le quali giungere alla formulazione del giudizio qualitativo.

Misurazione nelle prove strutturate

Nelle prove strutturate l’attribuzione del punteggio è sicuramente la più oggettiva.

Tuttavia un limite all’oggettività di queste misurazioni c’è, ed è quello della casualità, cui gli studenti possono ricorrere se non conoscono la risposta.

In altre parole il “caso” può favorire chi non sa quali “pesci pigliare”. In effetti mentre chi non sa rispondere ad una domanda orale, manifesta subito i propri limiti rimanendo in silenzio, chi non sa rispondere ad un quesito strutturato ha sempre la possibilità di segnare una delle possibili risposte e quindi di avvalersi del caso.

Una soluzione è quella di ponderare il punteggio attribuito in relazione alla probabilità di azzeccare la risposta affidandosi al caso. Ancora è possibile attribuire un punteggio negativo alle risposte sbagliate e non penalizzare le risposte non date, anche se secondo A. Quagliata e G. Moretti questa penalizzazione non produce gli effetti sperati. Infine la casualità delle risposte può essere ridotta aumentando il numero degli items proposti.

Misurazione nelle prove semistrutturate

L’esperienza personale ci dimostra che è possibile assegnare voti o giudizi differenti ad una medesima prova a seconda che si attribuisca maggiore o minore “peso” all’uno o all’altro degli aspetti che si intendono verificare.

La prova o parte di prova che intenda, ad esempio, verificare capacità di sintesi o di valutazione avrà un peso sicuramente superiore a quella prova o parte di prova che abbia come scopo la verifica di conoscenze settoriali.

Sappiamo anche che non abbiamo ancora standard di riferimento nazionali ma soltanto i nostri standard relativi, definiti in base alla media delle prestazioni ottenute in precedenza, e questo aumenta la soggettività.

Ora, pur entro i limiti della situazione data, per misurare in modo abbastanza attendibile le prove a risposta aperta dovremmo innanzitutto stabilire i parametri di riferimento, ossia gli obiettivi che ci proponiamo di

valutare, gli indicatori che intendiamo utilizzare per descrivere gli aspetti del parametro sottoposti a verifica, le prestazioni, o abilità attese, per ciascun livello della scala adottata (da 1a 5, da 1a 10, da 1a 100 ecc..), il tutto, ovviamente, rapportato al grado e ordine di scuola e alla classe.

E’ necessario innanzitutto prendere dimestichezza con il linguaggio usato. Come è possibile notare nei vari manuali sulla valutazione, la lingua utilizzata nelle così dette griglie, è molto varia oltre che spesso “repellente” (nel senso etimologico di re-spingere). Per evitare inutili confusioni e complicazioni è opportuno che fra colleghi ci si metta d’accordo sul linguaggio da usare, si decida di uniformarlo una volta per tutte, semplificandolo più che si può.

Alcuni esempi

PARAMETRI: detti anche standard di riferimento, criteri, macro-obiettivi.

Esempio di parametro: padronanza linguistica

INDICATORI: detti anche descrittori

Esempi di indicatori relativi a “padronanza linguistica”:

a) repertorio comunicativo-espressivo

b) repertorio lessicale,

c) appropriatezza lessicale ,

d) correttezza morfo-sintattica,

e) ecc.

FASCE DI LIVELLO: bande di oscillazione dei punteggi

Esempio di alcune scale

FASCE DI VALUTAZIONE

Esempio (su scala 1-5) 5-ottimo; 4-discreto/buono; 3-sufficiente; 2-insufficiente; 1-del tutto insufficiente

PRESTAZIONI: dette anche abilità-obiettivo

Esempio di prestazione riferita al parametro padronanza linguistica, al livello 5 (valutazione ottimo), descritta sulla base degli indicatori sopra definiti e riferita ad una classe finale di liceo:

a) padroneggia un ampio repertorio linguistico che gli consente di formulare i pensieri in modo preciso ed efficace, di enfatizzare, differenziare e eliminare ambiguità

b) possiede un ricco repertorio lessicale,

c) usa un lessico appropriato all’argomento trattato

d) dimostra controllo morfo-sintattico di una lingua complessa.

Alcune considerazioni finali

La scelta di parametri all’interno di una disciplina o area disciplinare può essere soggettiva e variare secondo l’importanza che assegniamo alle prestazioni attese. La variabilità dipende inoltre da molti altri fattori fra cui l’anno di frequenza, gli obiettivi prioritari del profilo professionale, il monte ore assegnato alla disciplina e così via.

Senza volere demonizzare la soggettività, è comunque auspicabile, in una fase di assenza di standards nazionali di contenuto e di prestazione, che nello stesso tipo di scuola, nelle stesse classi (le prime, le seconde ecc…) e nelle stesse discipline ci si orienti verso parametri e indicatori uniformi e verso un’uniforme corrispondenza fra prestazioni attese e livelli.

[1] R. Mager, L’analisi degli obiettivi, Giunti & Lisciani, Teramo, 1976.

[2] G. Moretti, A. Quagliata, Le prove oggettive di verifica degli apprendimenti,III Univers. Studi, MPI, Roma,1994

[3] G. Domenici, Manuale della valutazione scolastica, Laterza, Bari 1993

[4] G. Domenici, Manuale della valutazione scolastica, Laterza, Bari 1993. Secondo Domenici le abilità del pensiero divergente che presuppone la capacità di effettuare trasformazioni ed adattamenti in contesti diversi.

[5] G. Domenici, G. Moretti,A. Quagliata, Le prove semistrutturate,Università degli studi, Roma,1995

[6] Il modello di prova è stato elaborato, nel mesi di ottobre 1998 da docenti dell’Istruzione Professionale durante il corso di aggiornamento indetto dalla Direzione dell’ Istruzione professionale di Grosseto con il coordinamento dell’Ispettrice M. Mencuccini, sul tema ” la terza prova nel nuovo esame di stato”.

Valutazione oggettiva (Salvatore Daniele)

E’ possibile valutare oggettivamente il livello di conoscenza di un soggetto? In linea di principio, la risposta è affermativa.

Cominciamo col definire operativamente la conoscenza come la capacità di formulare o riconoscere proposizioni vere di un dato universo di discorso. Per ‘proposizione’ intendiamo un’asserzione dotata di senso, oggetto, dunque, di comprensione per chi la formula o la riconosce come vera. Possiamo calcolare, allora, la percentuale di tali proposizioni su un insieme scelto come campione rappresentativo dell’universo in questione e stabilire un ranking (gradiente) di valori percentuali che rappresentino i vari livelli di conoscenza, per esempio da ‘insoddisfacente’ ad ‘ottimo’. Ossia, in altre parole, possiamo valutare le conoscenze di un soggetto in base alle risposte esatte date ai quesiti posti da un questionario. Non esclusivamente in base al loro numero ‘grezzo’, perché potremmo anche attribuire ad alcune risposte un ‘peso’ diverso, maggiore o minore:rationes non modo sunt numerandae, sed etiam ponderandae. Come e chi definisce un campione rappresentativo? E’ un problema importante in un’ottica di ‘oggettività’, ma si può rispondere: coloro che sono istituzionalmente esperti in materia. L’elaborazione dei dati, inoltre, dovrà essere conforme alle regole procedurali della statistica. Anche questo problema, non meno importante, può essere risolto dai competenti del settore.

Proviamo ad eseguire una sorta di ‘esperimento mentale’(gedankenexperiment) e costruiamo un ipotetico mini-questionario con le relative risposte alle domande formulate. Sia i quesiti che le soluzioni valgono come modelli.[1]

Consideriamo l’universo di discorso :‘storia della filosofia’.

D1:“Chi è l’autore del Saggio sull’intelletto umano e in che anno l’opera fu pubblicata?”

R1:“L’autore è John Locke e l’opera venne edita nel 1690.”

D2:“Quali mali dell’animo umano cura il quadrifarmaco di Epicuro?”

R2:“Il timore degli dei, la paura della morte, l’angoscia di non poter raggiungere la felicità, la sofferenza per il male.”

D3:“Che cos’è lo spazio per Kant?”

R3a:“Per Kant lo spazio è la forma del senso interno.”

R3b: “Per Kant lo spazio è la forma del senso interno, cioè quella rappresentazione a priori che necessariamente sta a fondamento della percezione degli oggetti e del loro disporsi uno accanto agli altri.”

D4:“Qual è il principio fondamentale della filosofia di Popper?”

R4: “Il principio fondamentale della filosofia di Popper è la richiesta della falsificabilità delle asserzioni che pretendono di essere scientifiche.”

D5:“Socrate ritiene che nessuno compie il male…: l’azione ingiusta, infatti, è causata dall’…Questa dottrina è nota come…”

R5:“Socrate ritiene che nessuno compie il male volontariamente: l’azione ingiusta, infatti, é causata dall’ignoranza del vero bene. Questa dottrina è nota come intellettualismo etico.”

D6:“Cosa intende Spinoza con il termine ‘sostanza’?”

R6:“Per sostanza Spinoza intende ciò che è in sé e per se stesso si concepisce, ossia ciò il cui concetto non ha bisogno di nessun altro concetto per essere formato.”

Facciamo qualche osservazione. R1non pone problemi, è esatta sic et simpliciter. Lo stesso vale per R2,con la precisazione forse che la sua esattezza tout court avrebbe come prerequisito la conoscenza che per Epicuro la filosofia ha una finalità terapeutica, è medicina animi. R3ae R3bsono entrambe esatte, ma ovviamente R3bè molto più completa e le si dovrebbe attribuire quindi un peso maggiore nella valutazione. R4è una delle possibili risposte esatte, la più probabile, ma non si potrebbero rifiutare: “il realismo conoscitivo”, “l’accrescersi e il progredire della conoscenza scientifica” o “la difesa della democrazia contro i totalitarismi del secolo scorso”. Queste potrebbero addirittura attestare una conoscenza più approfondita del pensiero dell’autore. Qui si coglie un problema per quanto riguarda i quesiti a risposta multipla: non potendo sempre dare come alternativa, per salvaguardare la validità della prova, risposte false in maniera troppo palese, il rischio che si corre è di considerare corretta non tanto la risposta ‘esatta’, ma la più accreditata di una gamma di risposte possibili. Una soluzione potrebbe essere quella di dare l’opportunità di fornire più di una risposta. D5è una richiesta di integrazione: si potrebbe anche qui presentarne più di una e chiedere di indicare quella giusta. Questo tipo di quesito mi sembra costituisca uno strumento apprezzabile, perché richiedendo una riflessione più ampia avrebbe, a mio avviso, un maggiore valore probatorio. Naturalmente si deve trovare un giusto equilibrio nel rapporto fra elementi dati e quelli da integrare. Non si dovrebbe trascurare il problema dell’ordine delle richieste di integrazione: una data sequenza, fungendo più o meno da guida, potrebbe facilitare o rendere più difficile l’esecuzione della consegna. Riguardo ad R6,infine,mi sembra che sia davvero difficile discriminare quanto sarebbe dovuto ad una conoscenza reale e quanto ad una buona capacità di memoria. Una risposta effettiva a D6richiede la conoscenza del problema affrontato dall’autore, del suo rapporto con i predecessori, dei presupposti da cui parte e dei fini che vuole conseguire: tutto questo va accertato. In realtà D6è un compendio di domande, un esempio di domanda chiave della disciplina, la cui risposta può stare alla fine di un itinerario concettuale. Una risposta errata o incompleta, una mancata risposta, non dovrebbe essere troppo penalizzante, soprattutto in una valutazione comparativa, perché la probabilità di ottenere una risposta esatta non è molto alta.

Concludendo si può osservare in generale che i requisiti per una valutazione oggettiva, la certezza e la precisione, mostrano la tendenza a variare in ragione inversa, per dirla con il citato Popper, al ‘contenuto informativo’ richiesto dal quesito. In altre parole, le domande più affidabili per l’oggettività valutativa sono quelle che richiedono la conoscenza di nozioni e concetti puntuali, più circoscritti, l’incertezza cresce gradualmente quando i quesiti posti richiedono conoscenze più ampie e articolate. Quando ciò accade, la valutazione oggettiva delle risposte, in un certo senso contro le intenzioni, richiederebbe ulteriori accertamenti mediante un colloquio orale, ossia una tradizionale interrogazione, proprio quella su cui, da più parti, pende la scure dell’accusa di essere troppo ‘soggettiva’. Si correrebbe il rischio, altrimenti, di conseguire l’oggettività della valutazione quasi dovendo restringere il campo delle conoscenze da valutare. I questionari sono strumenti senz’altro utili per certi scopi: servono per un approccio preliminare, sono funzionali come sondaggio ed esplorazione per acquisire informazioni importanti, sollecitano l’attenzione

verso specifici obiettivi conoscitivi; ma è dubbio che essi, da soli, possano garantire, come alcuni sostengono, diminuendo in modo significativo il peso dei fattori soggettivi, quell’oggettività che è il risultato del concorso di diversi elementi.

La valutazione non dovrebbe cadere nell’eccesso di configurarsi come una sorta di saldo fra il dare, l’insegnamento, e l’avere, l’apprendimento. Restando salva l’esigenza di richiedere una buona conoscenza disciplinare e senza perorare la causa di un’indulgenza generalizzata, si deve osservare tuttavia che una valutazione ‘oggettiva’ non può non tener conto della persona da giudicare. La valutazione non dovrebbe essere un momento disgiunto dal procedere dell’insegnamento, ma una parte integrante. E’ opportuno programmare, con correzioni in itinere, quello che può essere trasmesso e deve essere assimilato, discriminando ciò che può essere recepito solo con buona approssimazione. Una parte non trascurabile dell’insegnamento consiste di ciò che non ha un effetto immediato, ma vale la pena di comunicare perché contribuisce alla maturazione: è quella ‘conoscenza tacita’ che a tempo debito emerge alla coscienza. Del resto, scriveva un professore universitario tedesco: “la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo”.

[1]La filosofia, si dice, è una disciplina sui generis. Ciò che vale per essa può essere applicato ad altri ambiti disciplinari? In altri termini, ho costruito ed esposto solo un exemplum ad hoc? A mio parere le scienze letterarie ed umane ricadono nelle stesse condizioni conoscitive della filosofia ed ho il sospetto, anche se non le competenze, che anche per le scienze naturali la valutazione oggettiva non possa essere affidata solo ai test.

La valutazione delle competenze (Mario Castoldi)

OLTRE LA PROSPETTIVA COMPORTAMENTISTA: LINEE EVOLUTIVE

Le prime definizioni del concetto di competenza richiamano una prospettiva comportamentista, secondo la quale essa si identifica con una prestazione del soggetto osservabile e misurabile. Sulla base di un paradigma progettuale e valutativo basato sulla razionalità tecnica, si ambisce a scomporre la competenza in un insieme di prestazioni empiricamente osservabili, la cui sommatoria consente di verificare il livello di padronanza del soggetto. Nei decenni successivi si assiste a un’articolazione progressiva del concetto, che possiamo sintetizzare in tre direzioni evolutive:

dal semplice al complesso: la competenza viene vista come un’integrazione delle risorse possedute dall’individuo, che comporta l’attivazione di conoscenze, abilità e disposizioni personali relative sia al piano cognitivo, sia al piano socio-emotivo e volitivo. La sua espressione richiede di mettere in gioco e mobilitare la globalità della persona nelle sue molteplici dimensioni, non può ridursi a prestazioni isolate e delimitate;

dall’esterno all’interno: si afferma una progressiva attenzione alle dimensioni interne del soggetto, non riconducibili ai soli comportamenti osservabili, bensì riferite alle disposizioni interiori del soggetto e alle modalità con cui esso si avvicina allo svolgimento di un compito operativo. In questa direzione si colloca la distinzione di origine chomskiana tra “competenza”, intesa come qualità interna del soggetto, e “prestazione”, intesa come comportamento osservabile; distinzione ripresa e allargata ai processi cognitivi da Bruno G. Bara: “Con il termine competenza intendo l’insieme delle capacità astratte possedute da un sistema, indipendentemente da come tali capacità sono effettivamente utilizzate. Con il termine prestazione mi riferisco alle capacità effettivamente dimostrate da un sistema in azione, desumibili direttamente dal suo comportamento in una specifica situazione”;

dall’astratto al situato: la competenza perde la sua valenza generale e tende a essere riferita alla capacità di affrontare compiti in specifici contesti culturali, sociali, operativi. Il richiamo a specifici compiti evidenzia sempre più la dimensione contestualizzata della competenza, riconducibile a un impiego del proprio sapere in situazioni concrete e in rapporto a scopi definiti.

In maniera icastica ed efficace, Guy Le Boterf riassume il percorso di sviluppo che ha contraddistinto il concetto di competenza nel passaggio dal “saper fare” al “saper agire”: un’espressione che ben sintetizza la natura articolata del costrutto e il suo irriducibile legame con un contesto d’azione.

ATTRIBUTI PER UNA DEFINIZIONE

Una efficace definizione del concetto, in grado di dare conto del percorso evolutivo che abbiamo richiamato, è quella proposta da Michele Pellerey, il quale definisce la competenza come “capacità di far fronte ad un compito, o a un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e ad orchestrare le proprie

risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a utilizzare quelle esterne disponibili in Il concetto di competenza e le questioni connesse alla valutazione. Il concetto di competenza risulta un costrutto particolarmente complesso e articolato da definire e da mettere in relazione agli altri concetti con cui denotare i risultati di un processo di apprendimento: conoscenze, abilità, capacità eccetera. Tale problematicità si riflette inevitabilmente sulla sua valutazione, in quanto evidenzia la difficoltà di mettere a fuoco l’oggetto di un accertamento delle competenze e, di riflesso, di precisare le prospettive e le modalità attraverso cui verificarle.

Essa consente di evidenziare alcuni degli attributi che tendono a qualificare tale concetto in rapporto ad altri termini affini o similari:

il riferimento a un compito come ambito di manifestazione del comportamento competente, il quale presuppone l’utilizzazione del proprio sapere per fronteggiare situazioni problematiche.

Come afferma Wiggins in riferimento all’ambito scolastico “non si tratta di accertare ciò che lo studente sa, bensì ciò che sa fare con ciò che sa”, a richiamare la dimensione operativa sottesa al concetto di competenza, il suo indissolubile legame con l’azione;

la mobilitazione dell’insieme delle proprie risorse personali, che segnala la natura olistica della competenza, non riducibile alla sola dimensione cognitiva, ma estesa anche alle componenti motivazionali, attribuzionali, socio-emotive, metacognitive. Mason parla, a tale riguardo, di “triplice alleanza” tra cognizione, motivazione e metacognizione a proposito del processo di apprendimento, in una prospettiva socio-costruttivistica che rappresenta la cornice più adatta all’accezione di competenza che stiamo discutendo;

l’impiego delle risorse disponibili nel contesto d’azione e la loro integrazione con le risorse interne, intendendo per risorse esterne sia gli altri soggetti implicati, sia gli strumenti e i mezzi a disposizione, sia le potenzialità presenti nell’ambiente fisico e culturale in cui si svolge l’azione.

Ciò sottolinea il valore situato della competenza e la prospettiva ecologica attraverso cui richiede di essere analizzata e indagata. La competenza è riconducibile a un impiego del proprio sapere in situazioni concrete e in rapporto a scopi definiti La stessa definizione di competenza richiamata nella C.M. 84/2005 riprende e rinforza gli attributi richiamati e la compresenza delle diverse dimensioni indicate: “la competenza è l’agire personale di ciascuno, basato sulle conoscenze e abilità acquisite, adeguato, in un determinato contesto, in modo soddisfacente e socialmente riconosciuto, a rispondere ad un bisogno, a risolvere un problema, a eseguire un compito, a realizzare un progetto. Non è mai un agire semplice, atomizzato, astratto, ma è sempre un agire complesso che coinvolge tutta la persona e che connette in maniera unitaria e inseparabile i saperi (conoscenze) e i saper fare (abilità), i comportamenti individuali e relazionali, gli atteggiamenti emotivi, le scelte valoriali, le motivazioni e i fini. Per questo nasce da una continua interazione tra persona, ambiente e società, e tra significati personali e sociali, impliciti ed espliciti”. Riprendendo una suggestione psicanalitica, alcuni autori hanno proposto di rappresentare la competenza come un iceberg, in modo da evidenziare la duplicità delle componenti presenti nella sua rilevazione: una componente visibile, esplicita, espressa attraverso prestazioni osservabili che rinviano essenzialmente al patrimonio di conoscenze e abilità possedute dal soggetto; una componente latente, implicita, che richiede un’esplorazione di dimensioni interiori connesse ai processi motivazionali, volitivi, socio-emotivi dell’individuo. Tale immagine, anche nella sua rappresentazione visiva, segnala con evidenza le difficoltà su cui si misura una valutazione delle competenze, inevitabilmente costretta a dotarsi di modalità e strumentazioni attraverso cui andare “sotto la superficie dell’acqua” e sondare le componenti soggettive e interne del processo di apprendimento dell’individuo. Da qui i limiti che la tradizionale strumentazione docimologica incontra nel

misurarsi con le sfide connesse a una valutazione delle competenze: le prove di verifica degli apprendimenti, più o meno strutturate, forniscono dispositivi utili ad accertare le conoscenze e le abilità possedute dall’individuo, ma rischiano di risultare parziali e inadeguate per esplorare le diverse dimensioni connesse all’idea di competenza, in particolare quelle più profonde e interne al soggetto.

I PROBLEMI VALUTATIVI

Più analiticamente possiamo tentare di riconoscere i principali problemi che la valutazione delle competenze pone, in riferimento ai tre momenti che caratterizzano il processo autovalutativo: la determinazione dell’oggetto, la raccolta dei dati e delle informazioni, l’espressione del giudizio. La descrizione delle competenze Riguardo al primo momento si tratta di descrivere le competenze che costituiscono oggetto della valutazione, attraverso una formulazione che riesca a cogliere la specificità sottesa al concetto di competenza e il suo valore aggiunto in rapporto alle nozioni di conoscenze o abilità. Se si registra un certo consenso nel riconoscere le caratteristiche distintive del concetto di competenza, infatti, possiamo osservare una maggiore incertezza e confusione quando tentiamo di formulare gli obiettivi progettuali in termini di competenza; in quale modo possiamo tener conto di queste caratteristiche distintive? Come possiamo differenziarle dagli obiettivi concernenti conoscenze e abilità, di cui abbiamo un esempio nelle attuali Indicazioni nazionali? Parafrasando Wiggins possiamo dire che la sfida sottesa alla definizione delle competenze oggetto di valutazione consiste nel passare da “ciò che lo studente sa a ciò che sa fare con ciò che sa”. In termini più specifici si tratta di individuare una modalità che riesca a dar conto della globalità delle risorse richieste al soggetto, del riferimento a una situazione problematica, delle variabili contestuali entro cui si esprime il raggiungimento di una competenza. Un buon suggerimento, ripreso dal gruppo di collaboratori di Umberto Margiotta, è quello di descrivere la competenza evidenziando le condizioni d’uso del sapere: ciò attraverso un richiamo ai principali saperi richiesti (dichiarativi, procedurali, condizionali), alle modalità di impiego di tali saperi e alla connessione delle due componenti tramite la preposizione “per”. Sa/sa fare le seguenti prestazioni “per” soddisfare un determinato bisogno/ svolgere un dato compito/affrontare una situazione problematica: si tratta di un formato linguistico che consente di esprimere efficacemente il passaggio dal “sapere” al “saper agire” sotteso alla nozione di competenza.

La rilevazione delle competenze Riguardo al momento rilevativo della valutazione è utile richiamare alcune prerogative che rendono particolarmente problematica l’osservazione della competenza. Innanzitutto la sua natura processuale, per la quale la competenza non può essere fissata in una prestazione, bensì richiede di essere assunta nella sua valenza dinamica; ciò richiede di considerare i fattori motivazionali, metacognitivi, attribuzionali che condizionano la manifestazione di un comportamento competente. In altre parole si tratta di registrare i diversi aspetti che compongono l’iceberg, attraverso uno sguardo “strabico”, capace di osservare contemporaneamente i caratteri visibili e quelli latenti; tale strabismo complica sensibilmente il compito osservativo, il quale deve fare i conti anche con le modalità del processo apprenditivo, oltre che con i suoi risultati. Rimanendo su un registro analogico potremmo associare la competenza a un prisma, a rappresentare le diverse facce che compongono il costrutto e le loro reciproche relazioni. In secondo luogo la sua natura situata, che richiede di connettere la manifestazione di una competenza allo svolgimento di un compito operativo o alla risoluzione di una situazione problematica. Come afferma Pellerey, la competenza è sempre riferita a un contesto d’esercizio, richiede di contestualizzarsi per potersi manifestare. D’altro canto la rilevazione di un comportamento competente ambisce ad avere una valenza più estesa rispetto alla situazione contingente, a essere assunta come paradigmatica di una padronanza trasferibile ad altre situazioni. In terzo luogo la sua natura plurale, a

richiamare la complessità del concetto e l’insieme delle componenti che contribuiscono a precisarlo. Da qui l’esigenza di una molteplicità di punti di vista da cui osservare l’espressione della competenza, in modo che ciascuno contribuisca a far luce su alcuni aspetti e a restituire una visione d’insieme il più possibile olistica e integrata.

Rimanendo su un registro analogico potremmo associare la competenza, oltre che a un iceberg, a un prisma, a rappresentare le diverse facce che compongono il costrutto e le loro reciproche relazioni.

La valutazione delle competenze Riguardo al momento di espressione del giudizio, o valutativo in senso stretto, il problema chiave consiste nella definizione di parametri e standard di riferimento su cui giudicare il livello di raggiungimento di una competenza. Ancora una volta il nodo da sciogliere è quello tra la natura singolare dell’espressione della competenza, riferita a uno specifico contesto d’esercizio, e il valore universale dei parametri con cui apprezzarla e confrontare le diverse prestazioni.

A fronte del carattere locale della competenza è possibile stabilire delle soglie di raggiungimento valide nei diversi contesti?

In che misura l’espressione di un comportamento competente risulta trasferibile ad altre situazioni d’uso? Si tratta di questioni di fondo da affrontare e risolvere per rendere valutabile la competenza, ancora più insidiose in una prospettiva di certificazione sociale del possesso di determinate competenze. Occorre riconoscere un punto di equilibrio tra le due istanze indicate, locale e universale, ed escogitare i dispositivi più efficaci per declinarlo sul piano operativo. Determinazione dell’oggetto, rilevazione dei dati, espressione del giudizio: sono molte le criticità sottese alla valutazione delle competenze, che concorrono a renderla una sfida suggestiva, oltre che difficile.

La valutazione educativa (Mariateresa Sarpi)

Valutazione: i molteplici significati

a)valutare come dare valore

Valutare significa attribuire o dichiarare il valore di qualcosa, significa valorizzare qualcosa in funzione di uno scopo.

Nella scuola è ciò che ha valore per la formazione dell’alunno

L’attribuzione di senso e valore è necessario ma non sufficiente per definire il nucleo concettuale della valutazione: anche il giudizio morale o il giudizio estetico conducono ad attribuire senso e valore a qualcosa, eppure non sono riconducibili in toto alla valutazione.

Per essere tale un’attività valutativa dovrà considerarsi:

funzionale alla regolazione, al cambiamento, alla crescita, allo sviluppo;

frutto di un confronto tra due o più entità.

ricerca di informazioni necessarie per decidere e per agire;

un’attività di pensiero ermeneutico: la valutazione è interpretazione radicata nei mondi (valoriali, cognitivi, esperienziali, affettivi, relazionali, …) di colui che valuta.

b) la valutazione come ricerca e trasparenza

Alcune premesse:

La valutazione non è mai un giudizio assoluto o definitivo.

L’incertezza è sempre presente, ed è perciò necessario assumere un atteggiamento scientifico di ricerca, riservando alla valutazione il ruolo di convalida delle ipotesi di riuscita che ci si pone in sede di progettazione.

La soggettività è in una certa misura ineliminabile nella valutazione.

Per superarla è opportuna la massima trasparenza comunicativa negli scopi, nei criteri e nei metodi non solo in ciascuno e tra tutti quelli che concorrono alla valutazione ma anche nei confronti dei valutati.(cfr.punto8)

Nella scuola, luogo educativo e formativo per eccellenza, è deontologicamente improprio valutare le persone in quanto tali.

Ciò che può essere sottoposto a valutazione sono i comportamenti e i risultati, le prestazioni e le competenze, le abilità e le capacità, i percorsi il profitto.

Gli oggetti di valutazione non sono quindi le persone-allievi ma gli apprendimenti, non le persone-insegnanti ma le competenze professionali per insegnare, non le persone-dirigenti ma le competenze

organizzative e gestionali per il governo della scuola.

Le attività valutative

a) La valutazione come sistema di attività, tecniche e strategie che accompagnano tutto il percorso formativo

La valutazione non si fa solo alla fine, ma comincia con l’analisi dei bisogni, del contesto, della situazione iniziale.

Le tecniche valutative comprendono:

l’osservazione sistematica (per riscontrare lo stato delle conoscenze, capacità, abilità,

competenze, procedure, …)

l’osservazione esperienziale (per l’analisi dei comportamenti, atteggiamenti, stili cognitivi, climi, processi…)

la rilevazione dei dati (per misurare risposte, risultati, prodotti, …)

la verifica delle ipotesi e del raggiungimento degli obiettivi

Ma la valutazione non si identifica e non si esaurisce con l’applicazione di alcune tecniche.

b) rapporto tra la valutazione e il suo oggetto

La valutazione può proporsi diverse intenzioni nei confronti del suo oggetto

misurarlo

apprezzarlo/compararlo

interpretarlo.

La misura, in cui prevale ovviamente una dimensione squisitamente quantitativa, e l’apprezzamento, il cui l’approccio è fondamentalmente qualitativo, sono accomunati dalla predeterminazione dei criteri.

L’interpretazione, invece, porta alla luce, attraverso la comprensione personale del valutatore, i significati da lui sperimentati in relazione a ciò che sta valutando.

Es.: Gli allievi hanno svolto una prova di verifica. Le attività valutative dell’insegnante rispetto la prova sono:

Misura: sommatoria delle risposte positive e/o errate.

Apprezzamento: comparazione tra i risultati ottenuti dallo studente rispetto a quelli (suoi) precedenti o a quelli della classe o agli obiettivi (criteri) prefissati.

Interpretazione: il docente si rende consapevole delle aspettative e delle reazioni sue e di quelle personali e collettive degli studenti circa le prove di verifica

Impossibile non valutare.

Tutti valutiamo tutto.

La valutazione, infatti, è un’attività del pensiero, attraverso cui ogni persona, grande o piccola, assegna propri significati a ciò con cui si relaziona o con cui viene in contatto; e, sulla base del senso attribuito, agisce, si comporta, sceglie e prende decisioni.

Tuttavia occorre distinguere tra una attività di pensiero valutativo inconsapevole, istintiva e ineliminabile, quasi come un meccanismo retroattivo tra percezione e reazione e un processo di pensiero riflettente, che è alla base della valutazione scolastica ed educativa

La valutazione non deve esprimere solo il senso ma anche il valore

Nella scuola convivono tutte le tipologie e le espressioni valutative, tanto quelle implicite e sottintese, quanto quelle esplicite ed organizzate: ogni soggetto che valuta esprime ciò che sente, il suo senso; ma solo la valutazione istituita, progettata, trasparente, socialmente coordinata rivela i valori.

La valutazione, nella sua dimensione più autenticamente educativa, non deve cercare soltanto il senso (il significato personale rispetto ad un mondo di significati), deve invece spingersi a cercare ciò che vale cioè ciò che diventa base di partenza di percorsi formativi.

Il valutatore dovrà puntare alla trasparenza e alla condivisione della valutazione istituita, rimanendo comunque sempre consapevole dell’ingerenza dei fattori umani, soggettivi e personali, che naturalmente si interpongono nei processi formativi: questa consapevolezza arricchisce tanto la valutazione quanto l’azione formativa.

Una valutazione equilibrata

Se “è impossibile non valutare” , tuttavia è deleterio e dannoso valutare sempre e tutto.

Il controllo totale, come l’assenza di controllo, è antiformativo.

Il controllo totale trasforma l’istruzione in addestramento ripetitivo, produce automi spersonalizzati;

L’assenza totale di controllo contraddice l’ essenza stessa dell’istruzione come attività intenzionale verso uno scopo: senza controllo non si sa dove si sta andando.

Le attività di valutazione, pertanto, vanno dosate, calibrate su quei nodi concettuali (competenze, conoscenze, principi, teorie, modelli) e su quei legami (processi, procedure, relazioni) che si considerano fondamentali per lo sviluppo e rappresentativi dell’intero mondo sottoposto ad analisi.

Ogni eccesso valutativo manifesta l’insicurezza pedagogica (e probabilmente anche emotiva) di chi lo esegue; e provoca, in colui che subisce l’eccesso valutativo,(l’allievo ma anche i suoi genitori), sensi di ansia, di impotenza e di inadeguatezza, o reattività perfino aggressiva.

Al contrario la mancanza di valutazione, quando andrebbe fatta, porta a incomprensioni di ciò che sta realmente succedendo, e quindi a interpretazioni errate, a disorientamenti nei curricoli, ad apprendimenti superficiali.

Soltanto l’equilibrio valutativo garantisce processi di insegnamento efficaci e processi di apprendimento autonomi: da una parte permette all’allievo di provare e di sbagliare senza l’assillo del controllo punitivo e, dall’altra, riconosce le esigenze individuali di ciascuno, rispettandone i tempi ed i ritmi di apprendimento e di maturazione.

La valutazione come autovalutazione

Una formazione orientata all’equilibrio prevede tappe successive nell’affinamento della consapevolezza di sé. E ciò vale sia per l’allievo che per il docente e per tutti i soggetti che partecipano al processo formativo

La consapevolezza si identifica con la capacità di autovalutazione.

L’allievo apprende davvero quando è consapevole di ciò che ha imparato, del perché lo ha imparato, a che cosa gli serve e a che cosa gli potrà servire quello che ha imparato ( sviluppo metacognitivo)

Lo stesso accade al docente. Il processo iterativo dell’azione-riflessione promuove il miglioramento della prassi didattica e valutativa (sviluppo metadidattico)

La valutazione, da controllo esterno, diventa elemento di maturazione verso l’acquisizione di padronanze e di competenze a garanzia dell’autonomia delle persone e dell’istituzione formativa.

Sia per l’allievo che per i docenti e per la scuola nel suo complesso, l’autonomia nasce dalla capacità di autovalutarsi.

Il docente e l’esercizio di una valutazione consapevole ed equilibrata nella scuola dell’autonomia

Dal punto di vista del docente, l’equilibrio didattico si costruisce sull’orientamento e sulla personalizzazione degli apprendimenti, con progetti, azioni e decisioni.

La valutazione consapevole è quella che costruisce apprendimenti fondati:

sulla relatività dei progetti,

sulla flessibilitàdei processi,

sulla necessità di continui affinamenti per migliorare i risultati.

Con la scuola dell’autonomia la valutazione assume un valore determinante, viene estesa ad ogni progetto, ad ogni evento formativo. In tal senso, i rischi maggiori cui va incontro questa scuola sono legati all’espansione degli elementi da valutare e dei conseguenti tecnicismi.

La dilatazione valutativa comporta un’insistenza eccessiva al dominio di tutto, anche del dettaglio e dell’insignificante, e questo potrebbe condurre a insofferenze, distorsioni, rifiuti.

Ciò che caratterizza sul piano educativo la valutazione nella scuola dell’autonomia sono i significati e i valori che in ogni scuola si prospettano nel Piano dell’Offerta Formativa e quotidianamente si costruiscono .

L’altro rischio è connesso ai tecnicismi valutativi. Un insegnante può essere specializzato in tecniche di costruzione dei test, ma se la sua valutazione è tutta legata ai test rende un cattivo servizio tanto alle ricerche docimologiche quanto alla formazione dell’allievo.

(Allo stesso modo, sul versante opposto, la stigmatizzazione o il rifiuto delle prove oggettive, o delle prove strutturate, privano l’insegnante di utili strumenti di comparazione delle osservazioni e di approfondimento delle analisi).

Perciò la valutazione come pratica educativa non sistemica, sistematica, comunque dinamica.

Soggettività della valutazione

La valutazione di una persona è tendenzialmente soggettiva.. Questa caratteristica, in certa misura ineliminabile, della valutazione va comunque controllata per non scadere nell’individualismo e nell’arbitrarietà del docente, che spesso costituisce oltre che un grave danno formativo anche un freno continuo all’innovazione e al miglioramento.

Dall’altra parte va anche ridimensionato il mito di una valutazione del tutto oggettiva, che si fonda quasi esclusivamente sulla valorizzazione di prove strutturate e su una dimensione quantitativa e misurativa.

La valutazione istituzionale, come attività di pensiero riflettente infatti, comunque deriva da una “negoziazione di significati” (vedi i punti precedenti), in cui è implicita una dimensione di confronto valoriale che trova il necessario compimento nella collegialità della valutazione interna alle singole istituzioni scolastiche.

La dimensione collegiale evita il rischio di una interpretazione puramente misurativa delle nuove norme sulla valutazione (DM 122/09), in particolare in merito alla reintroduzione dei voti nel primo ciclo.

La scuola dell’autonomia, in quanto scuola della responsabilità e delle scelte, comporta una valutazione plurale e condivisa.

Plurale nell’adozione di molteplici tipi di prove di verifica, di vari modelli teorici di riferimento

Condivisa, nel confronto tra i docenti non individualistica. La valutazione di una sola persona, insegnante, dirigente, genitore o allievo, è una valutazione ad elevata probabilità di errore, in quanto la percezione soggettiva si piega e si conforma ai propri schemi cognitivi e mentali, alle proprie esperienze e ai propri vissuti.

Le distorsioni nella valutazione del docente dovute all’effetto alone, che enfatizza una caratteristica a detrimento di altre, o anche all’effetto Pigmaglione, che modella l’allievo sulla base delle proprie previsioni, devono essere superate.

Nessuna norma legislativa da sola riuscirà a produrre l’improvvisa trasformazione di una consolidata tendenza al lavoro solitario del docente.

Saranno invece opportune e necessarie allo scopo:

azioni formative per il personale in servizio,

concertazioni progressive (in particolare tra docenti della stessa area disciplinare),

progettazioni condivise (in particolare tra docenti che operano nei confronti di uno specifico gruppo di studenti).

Un consiglio di classe, (o di interclasse), dovrebbe essere una rete di punti di vista, purché l’oggetto-processo osservato sia comune e condiviso.

Se si promuovono negli allievi competenze trasversali, comuni a più discipline, è necessario che quelle competenze trovino un momento valutativo collettivo.

In consiglio di classe, nelle riunioni per gli scrutini, non si dovrebbero semplicemente accostare i voti che ciascun insegnante attribuisce; tanto varrebbe consegnare gli elenchi in segreteria.

Se ha un senso la valutazione nel consiglio di classe, quel senso si ritrova nella condivisione di un obiettivo che tutti concorrono a raggiungere, nei percorsi che l’insegnante attiva, da solo e/o con altri, e nell’ analisi collettiva (confronto) del risultato raggiunto.

Così in un consiglio di classe si parla di qualcosa che professionalmente interessa tutti: la competenza che l’allievo deve raggiungere insieme era stata progettata e insieme sarà valutata.

Naturalmente nelle molteplici situazioni scolastiche non è sempre possibile valutare insieme; nel percorso didattico durante l’anno , quando lavora da solo nella sua classe, l’insegnante agisce nella massima discrezionalità valutativa, ma limita i rischi del soggettivismo nella misura in cui ha consapevolezza di essi e si confronta prima, durante e alla conclusione dell’attività didattica con gli altri colleghi.

Tra i molteplici approcci e modelli valutativi, i più recenti , tendenti alla valorizzazione della dimensione educativa, costruttiva e “autentica” della valutazione, valorizzano il rapporto tra lo scopo regolativo e migliorativo della valutazione:

si valuta per regolare i percorsi, i curricoli, gli apprendimenti, le azioni e le decisioni didattiche;

si valuta per migliorare continuamente l’offerta formativa della scuola e non semplicemente per controllare il suo funzionamento

Valutazione interna ed esterna

Miglioramento e controllo sono azioni complementari, che si supportano reciprocamente.

Il miglioramento

deriva da una valutazione soprattutto interna (una sorta di autocontrollo riflessivo degli stessi allievi e insegnanti),

il controllo

richiede una valutazione soprattutto esterna .

La parola controllo, può essere intesa in due accezioni che si integrano:

contrôle, (di derivazione francese) , come verifica della regolarità dell’esercizio di una funzione, di una azione o di una procedura,

control (dall’accezione inglese), come pilotaggio, guida, direzione.

Tra i due momenti va cercata un’utile integrazione:

il solo controllo esterno è esercizio di potere che crea dipendenza (non autonomia ma sudditanza);

la sola valutazione interna rischia di ridursi a sterile circolo autoreferenziale,(non autonomia ma autarchia).

Verso l’autovalutazione come strumento per una valutazione autenticamente orientativa

In sintesi , si può affermare che un soggetto apprende solo se è soggettivamente consapevole del senso e del valore personale del sapere che scopre e che costruisce, integrando il nuovo con il conosciuto..

È il cammino verso l’autovalutazione.

Questo cammino comporta un delicato lavoro di distacco dalla sola valutazione esterna (o eterovalutazione, dove l’allievo rischia comunque di rimanere oggetto e non soggetto di valutazione) per integrarsi con processi autovalutativi, attraverso tecniche di covalutazione.

La covalutazione è una tecnica insieme formativa e valutativa, in cui sia l’insegnante che l’allievo valutano individualmente la medesima prestazione, e successivamente confrontano le loro risposte affinandone il giudizio, e costituisce un momento fondamentale della personalizzazione dei percorsi formativi .

La valutazione così intesa ha una spiccata funzione orientativa, poiché rende l’allievo consapevole serenamente dei suoi punti di forza e di debolezza e lo aiuta nelle scelte di studio e nella costruzione del suo progetto di vita.

Scrutini, vademecum del collegio docenti per valutare bene (Rosario Mazzeo)

Nella scuola dell’autonomia, dei curricoli e delle competenze la valutazione non può che essere plurale e condivisa. Essa matura in un lavoro di équipe, avviene continuamente fino a comprendere lo stesso scrutinio come “oggetto” da valutare. Di un simile lavoro è imprescindibile promotore il dirigente. Non che egli sia il padreterno della scuola. È semplicemente il leader educativo della comunità educante senza cui la scuola difficilmente viene pervasa da clima di lavoro comune, da uno stile argomentativo ottimale per una comunità di apprendimento, di quello stile caratterizzato dalla ricerca del senso, dalle condivisioni delle ragioni, dalla ragionevolezza delle azioni, dalla consapevolezza dello scopo e dall’uso di un linguaggio comune. Il dirigente, che si muove per una pratica di valutazione collegiale e trasparente, lavora innanzitutto per un linguaggio comune senza cui, per esempio, è difficile formulare i criteri di valutazione da inserire nel POF e fare adottare a tutti i docenti. Egli smaschera i formalismi e il mito della valutazione oggettiva maturato in un clima di esasperato positivismo in simbiosi con lo scientismo. Denuncia la reattività soggettivistica e capricciosa che emerge in certe sedute di scrutinio, favorisce l’emergere della dinamica comunitaria della valutazione contro cui nei consigli di classe si attuano, a volte, inconsapevolmente strategie di evitamento e di fuga. Una di suddette strategie è la presunta oggettività della valutazione. Occorre sfatarla. In verità nell’espressione di un voto non c’è nulla di incontrovertibile e di assoluto, soprattutto in un contesto scolastico. Il processo della valutazione infatti con le sue fasi ben distinte (raccolta informazioni, interpretazione dei dati, giudizio e decisione) non è ingegnerizzabile: non può essere delegato alle macchine, neppure ai più sofisticati sistemi informatizzati, e tantomeno a prove striminzite. L’”oggettività” nel giudizio valutativo è al massimo un mix di condivisione dei parametri, di trasparenza della loro applicazione, di un’efficace argomentazione. In quanto tale è sempre in relazione ad un rischio personale responsabilmente assunto, nella consapevolezza che la valutazione scolastica è rapporto, comunicazione amorevole, impegno ad accompagnare nella crescita.

Lo scrutinio non è il gioco della tombola e tantomeno della schedina del totocalcio. Quei numeri sui registri comunicati ed argomentati dai singoli docenti sono occasione, in un clima argomentativo del lavoro, di fare il punto sui singoli alunni. Per fare questo un dirigente deve saper raccogliere le informazioni giuste, saperle analizzare, avere la capacità di lasciar crescere davanti a tutti i presenti la fisionomia dello studente, ascoltando tutti ed invitando ciascuno a riformulare il giudizio. Chiede a ciascuno di porsi non come non giudice ed arbitro, ma testimone di quanto è accaduto ed allenatore di una squadra che gioca le partite in funzione di una meta precisa e condivisa, che comprende gli apprendimenti, ma riguarda in prospettiva le competenze.

La valutazione dopo la legge 169 (Rodolfo Marchisio)

La valutazione è sempre stato uno dei momenti più “caldi” el lavoro dei docenti ed in occasione di riforme (vedi anche la Riforma Moratti ed il dibattito sulla valutazione per competenze, cui ho lavorato in una rubrica di questo sito per alcuni anni sono emerse dinamiche vivaci e talora pericolose osservate anche in questi giorni.

Convinto che gli elementi emotivi e relazionali siano sempre, ed in particolare nei lavori con le persone, in ultima analisi determinanti, provo ad elencare alcune di queste reazioni osservate. Con la premessa che diverse reazioni convivono e determinano il nostro comportamento e che non si possa identificare una reazione con una categoria o posizione personale.

Intanto la riforma in atto è una riforma rozza, che punta a distruggere, in poco tempo e con grande superficialità, la scuola che abbiamo costruito e difeso (dalla Moratti ad esempio) in questi anni (per chi scrive quasi 40). Una riforma che dice “basta con la pedagogia” Gelmini, La Stampa 27/12/08. Come se il nostro lavoro non fosse tutti i giorni pedagogia e come se si potesse riformare solo con il presunto “buon senso dei tempi andati”. Semplificazione estrema contro la complessità: non solo di Morin, ma della realtà. Al confronto il libro e la scuola del libro “Cuore” sono ancora buona pedagogia. Tagli e non motivazioni. Con Bertagna si poteva discutere. Con chi sta dietro la Gelmini no, perché non esprimono idee e coerenza e non ascoltano. Per questo è una riforma che per molti (compreso il sottoscritto) irrita, “grida vendetta a Dio” e suscita, giustamente, forti reazioni politiche e personali. Inoltre è parte, è un tassello, di una linea politica e di una mentalità che divide fortemente (cfr il dibattito politico).

Si fa forte del buon senso, ma lo sfida impunemente e non si preoccupa della coerenza.

La valutazione è il primo punto toccato dalla riforma, ma anche un punto sensibile per noi. Perché la valutazione attuale, pur partendo da presupposti sempre condivisibili, si trascina stancamente ed in modo poco soddisfacente. Il tentativo di dibattere di valutazione seriamente, di apprendimento e valutazione per competenze, sotto la provocazione della riforma Moratti, è poi caduto nel vuoto.

Basta diamoci un taglio!

Inoltre la valutazione è uno degli elementi complessi del nostro lavoro: un momento in cui dobbiamo essere in qualche modo formatori e giudici. Da soli e collegialmente. E questo in assenza di pratiche tuttora consolidate e convincenti, mette in moto reazioni emotive più forti, dubbi, incertezze, stanchezza…

Questa riforma identifica formazione e scuola con apprendimento e misurazione dell’apprendimento e questo è uno dei trabocchetti più facili: a scuola si va per imparare e la valutazione è misura di quanto si è imparato. La misura è un numero.

Si rispolvera il mito facile della valutazione oggettiva e da misurare con strumenti semplici. Poi si fanno le medie con la calcolatrice, la media delle varie materie (compresa la condotta) e tutti quei discorsi e patemi, sulla valutazione (e bocciatura) come messaggio educativo e su “cosa è meglio per il ragazzo” vengono spazzati via. Basta misurare. Peccato che la scienza ci insegni che il metro non esiste e che neanche le

analisi del sangue siano un dato oggettivo, ma solo più o meno probabile e tutto da interpretare. Come dicevo anni fa la valutazione non può ridursi alla misurazione oggettiva, sia perché deve essere sempre inevitabilmente formativa, sia perché in ogni professione, specie in quelle che hanno a che fare con persone si mescolano elementi di misura ed elementi di stima. E stimare significa assumere un rischio e una responsabilità, dare un giudizio. Come sanno anche i geometri e gli ingegneri.

Possono esserci solo momenti di valutazione oggettiva in un contesto di valutazione formativa e contestualizzata. Non una misurazione oggettiva di processi complessi che coinvolgono persone in fase dinamica.

Inoltre questa riforma, per fortuna, impone la valutazione numerica solo per gli scrutini lasciando aperto il problema della valutazione durante il lavoro (cfr anche il parere del CNPI) e creando confusione.

Ci sono poi le motivazioni di sempre. Non scrivere più i giudizi: si lavora meno, ci crediamo poco e pongono dubbi. Meglio la certezza di un bel numero che un ambiguo aggettivo e tante chiacchiere. Se poi si lavora meno.. .La paura di non rispettare una norma, magari senza averla letta bene, la confusione che, credo, il chiarimento in arrivo non risolverà. L’essere ancora una volta ed in modo poco informato, più “realisti del re”, facendo, come ai tempi della Moratti, quello che la legge neppure ci chiede.

In sintesi: le cose semplici e facili danno certezza e pongono meno problemi. La complessità, la ricerca non solo stancano, ma spaventano anche. La situazione politica e culturale del nostro paese lo dimostrano. Il dibattito in atto nella nostra scuola anche.

Miti della valutazione (Mario Castoldi)

Il nuovo corso valutativo - attraverso l’uso dei voti, l’abuso della media, il sopruso dei pesi da assegnare a crediti, debiti, prove d’esame - rinforza il mito dell’oggettività della valutazione scolastica: l’aspirazione ad un giudizio insindacabile, inappellabile, inoppugnabile in quanto avvolto nel manto della corrispondenza con la realtà, del controllo assoluto sulla soggettività.

Si tratta di un mito falso e pericoloso.

Falso in quanto il processo valutativo non può che fondarsi su una rappresentazione della realtà da parte di chi valuta, riconoscibile sia nel momento rilevativo, quando l’insegnante osserva il bambino che ha di fronte e il suo apprendimento attraverso i suoi occhi e le sue categorie di lettura, sia nel momento del giudizio, quando il docente apprezza l’esperienza scolastica del suo allievo sulla base del suo sistema di valori.

Nel giudicare l’evento o il soggetto che sta valutando la mediazione del soggetto che valuta è inevitabile, non può essere eliminata; è curioso che un postulato, da ottant’anni acquisito anche nelle scienze sperimentali in rapporto all’osservazione dei fenomeni naturali, sia messo in dubbio nelle scienze umane riguardo all’apprezzamento di un fenomeno così complesso e articolato come l’apprendimento. Pericoloso in quanto tende a negare il valore della soggettività proprio su un terreno nel quale essa acquista il suo significato più profondo; la valutazione scolastica, infatti, si innesta nella relazione educativa e ne rappresenta una sua dimensione costitutiva e inseparabile. Sotto questa luce la soggettività del valutare è un riflesso della libertà di insegnamento, nel suo significato più autentico di discrezionalità professionale dell’insegnante nello svolgere la sua azione formativa.

Parlare di oggettività in materia valutativa sottintende una considerazione della soggettività come disvalore, una cosa brutta da eliminare o neutralizzare e, di converso, non riconoscere la discrezionalità insita nel mestiere dell’insegnante, ridurlo a impiegato o a funzionario tecnocratico - una prospettiva accolta con favore da coloro che non vedono l’ora di ridimensionare la propria responsabilità professionale e di attenuare le proprie ansie ed insicurezze nel gestire un compito così complesso, ma assolutamente letale per coloro che leggono il lavoro del docente attraverso codici professionali.

Che fare?

Bandire “senza se e senza ma” l’attributo “oggettiva” e similari in rapporto alla valutazione scolastica e sostituirlo con alcuni requisiti che qualificano un processo valutativo di tipo professionale: trasparente, condiviso, rigoroso, utile. In particolare, l’individuazione di alcuni “paletti” a livello di gruppo docente entro cui gestire la propria soggettività diviene la condizione indispensabile per rendere il momento della valutazione più condiviso, per evitare i rischi dell’arbitrio. Quali “paletti” per gestire la soggettività a livello di Istituto? Ecco un elenco di aspetti del valutare su cui puntare a soluzioni condivise:

Definizione di standard di accettabilità comuni

Costruzione di prove di verifica a livello di Istituto

Condivisione di codici valutativi e modalità di attribuzione del giudizio

Elaborazione di un codice deontologico comune nella gestione dei processi valutativi.

Ribaltiamo, quindi, il titolo: la valutazione non può che essere soggettiva, ma va esercitata entro un sistema di regole comuni.

Il mito della valutazione oggettiva (Giorgio Israel )

Come era prevedibile, il mito della “valutazione oggettiva” e dei test agisce come un gigantesco boomerang. Si era fatto credere che gli arbitrî nei concorsi universitari sarebbero stati sanati procedendo “oggettivamente” con indici ricavati dal numero delle citazioni ottenute dalle pubblicazioni dei candidati e dei commissari, sotto la guida tecnica dell’Anvur (Agenzia di valutazione dell’università e della ricerca).

La “bibliometria” è molto discussa all’estero. Personalità e istituzioni autorevoli ne hanno contestato la validità e persino denunciato la pericolosità per tante ragioni, se non altro perché le citazioni sono ricavate da database di ditte private che indicizzano quel che a loro garba, ignorando per lo più la ricerca di base o umanistica.

Sta di fatto che anche negli USA, che ne sono la patria, alcune istituzioni la usano (con criteri diversi), altre no. Solo da noi, caso unico al mondo, la bibliometria è divenuta una procedura di stato, gestita da un ente di nomina politica, tagliando fuori – come ha osservato il presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida – il valutatore naturale, la comunità scientifica di riferimento. A Ferragosto l’Anvur ha pubblicato le “mediane”, ossia quei numeri che i docenti universitari o i candidati debbono superare per essere membri di una commissione o presentarsi al concorso. Quel che ne è uscito fa spesso a pugni con l’evidenza più elementare, quantomeno per chi abbia un minimo di competenza. Ma a poche ore dal termine per la presentazione delle domande, gli scienziati dell’Anvur hanno cambiato i numeri poiché le approssimazioni usate non sarebbero in linea con la definizione di mediana del decreto ministeriale relativo. Solo a poche ore dalla scadenza dei termini si sono accorti di aver fatto i calcoli sbagliati. Questa sarebbe la tanto vantata oggettività che porrebbe fine agli arbitri dei concorsi basati su giudizi di merito? Baloccarsi con gli algoritmi secondo criteri sconosciuti?

Per elementari motivi di trasparenza bisognerebbe spiegare che tipo di calcoli sono stati fatti finora e quali sono i nuovi algoritmi usati in “zona Cesarini” per mettere una toppa a un buco che neppure è chiaro quale sia.

Purtroppo l’assenza di trasparenza sembra essere una caratteristica della gestione del mondo dell’istruzione.

Difatti, siamo appena reduci dal disastro dei quiz preliminari per l’ammissione al TFA (Tirocinio Formativo Attivo, per la formazione dei nuovi insegnanti), che ha costretto il ministero ad ammettere i numerosi errori contenuti nelle domande, la loro assurdità, il loro nozionismo. Un disastro che è stato rabberciato confermando il proverbio secondo cui “la toppa è peggiore del buco”. Eppure, ancor oggi (29.8 ndr) non è dato conoscere i nomi di chi ha redatto i test né di chi è stato chiamato all’ingrato compito di mettere la toppa. Non dovrebbe essere una prassi elementare rendere noti i nomi dei “tecnici” reclutati a compilare i test, non prima, ma almeno dopo le prove?

Del resto, questa vicenda è in continuità con quella delle batterie di test al concorso per dirigenti scolastici, anche queste infarcite di errori, assurdità, ridicolaggini e ideologia costruttivista di stato, e ancor oggi non è dato sapere chi ha combinato quel disastro, né alcuno ne ha pagato il prezzo.

Ora si annuncia che il prossimo concorso per l’assunzione di nuovi insegnanti prevederà un test preliminare di “scrematura”, addirittura uguale per tutte le classi di concorso. Come escogitare domande buone per tutti? Saranno del tipo “chi era il presidente della repubblica nel 1985” o “chi ha vinto la medaglia d’oro di nuoto alle Olimpiadi del 1960”? E chi, e come, gestirà questa operazione gigantesca? Come se i tanti disastri dei “tecnici” non bastassero, si parla di porre tutta la scuola sotto il controllo dell’Invalsi e dell’Indire (l’Istituto di documentazione e ricerca innovativa).

In definitiva, i soggetti del sistema – gli insegnanti – sono ridotti, a tutti i livelli, a semplici pedine sotto il controllo di enti di natura burocratica, nominati per via politica o per via di amicizie dirigenziali. Il sistema dell’istruzione italiano appare in preda a un dirigismo statalista ipertrofico che, in nome del mito della valutazione oggettiva e del merito, sta ponendo le premesse del suo contrario: distruggere il merito e trasformare il sistema in un’immensa e inefficiente baracca burocratica, com’è tipico di ogni sistema illiberale.

Il mito dell'oggettività (Tiziano Trivella)

Bisogna stare attenti a non cadere nel baratro costituito dal mito dell’oggettività: se ci si cade non si riuscirà più ad uscirne, se non negando (come fanno alcuni insegnanti) la possibilità stessa della valutazione scolastica.

Per anni (e capita ancora oggi) si è cercato “scientificamente” di trovare prove di verifica oggettive, cioè prove che dessero una “misura” reale ed esatta degli apprendimenti. Ciò nella convinzione che tali prove potessero esistere: bisognava solo trovarle!

Purtroppo sappiamo che la misura esatta non esiste nemmeno in matematica e che sono più reali le misure approssimate… ( che ne dite del 3,14…………………??? ).

L’oggettività di una prova di verifica non sta nel fatto che l’alunno che l’affronta possa ottenere sempre il medesimo risultato (o punteggio) se la ripete in occasioni diverse: troppe variabili entrano in gioco ogni volta per poterne garantire la riproducibilità (pensiamo, ad esempio, all’ora della prova, a come ha dormito l’alunno la notte precedente, a disturbi ambientali estemporanei, alla distraibilità personale, ecc.). Anche un pianista, pur sapendo suonare, non esegue mai allo stesso modo il medesimo pezzo. L’apprendimento, la competenza e il cervello umano (grazie al cielo!) non sono asettici e predeterminati come una macchina!

Nemmeno si può dire che l’oggettività di una prova sia determinata da un suo valore intrinseco che la renda “universalmente” valida (anche se è vero che si trovano prove buone e prove meno buone, prove sicuramente valide perché ben fatte, e altre piuttosto incomplete o incoerenti…)

L’oggettività di una prova di verifica è relativa solo a questi due aspetti:

- che i punteggi vengano assegnati in base a criteri univoci prestabiliti e…

- che i risultati ottenuti (punteggi) siano rapportati ad una scala di valori (o di livelli) prefissata e valida per tutti gli alunni

E’ evidente che la validità della prova richiede, da parte di chi la somministra, il rispetto dei criteri stabiliti e dei parametri previsti dalla scala adottata.

Non si tratta, quindi, di oggettività in senso assoluto (che non può esistere), ma di una oggettività relativa, cioè riferita alla prova stessa e ai parametri adottati. Altrimenti si potrebbe discutere all’infinito se 6 addizioni corrette su 10 indichino o no una competenza adeguata, sufficiente o appena sufficiente…Come si può discutere all’infinito se una temperatura di 20 gradi centigradi indichi “caldo” oppure “freddo” ( d’inverno 20° ci sembrano più che accettabili; d’estate quando ci sono 20° diciamo, perlomeno, che fa “freschino” ! ).

Comunque il fatto di costruire prove “oggettive” (nel senso che abbiamo indicato) è stato un notevole passo in avanti nella pratica didattica: si pensi solo alla possibilità di poter confrontare i risultati in tempi diversi o fra classi parallele diverse. Le prove strutturate (forse è meglio chiamarle così) permettono un migliore confronto e un più chiaro riferimento agli obiettivi didattici (oltre che una verifica dell’adeguatezza degli stessi).

Se, poi, l’utilizzo e il confronto sulle stesse modalità di verifica viene esteso ad un’intera scuola o ad un intero circolo, il dibattito sull’apprendimento si estende e la qualità della didattica non può far altro che migliorare. Come, evidentemente, migliorerà anche la qualità delle prove stesse (verranno sicuramente modificate e meglio tarate quelle poco efficaci, o quelle troppo facili o troppo difficili).

Il Berchet di Milano punta sulla «equità valutativa». Il risultato è «una scuola disastrosa, senz’anima» (Leone Grotti)

Il liceo classico Berchet di Milano decide di far correggere i compiti di una classe ai professori di un’altra per garantire «equità». Intervista alla scrittrice e insegnante Paola Mastrocola: «Questa scuola mi fa paura».

Al famoso liceo classico Berchet di Milano, la correzione dei compiti in classe sarà «trasversale». Gli insegnanti della classe A, cioè, correggeranno i compiti della classe B. La novità sarà introdotta per volere del preside Innocente Pessina e servirà a garantire «più equilibrio» nelle valutazioni e «più equità» agli studenti, rivela il Corriere della Sera. «Se quello che vogliamo è una scuola senz’anima, condita da prove asettiche, il preside ha fatto un’ottima scelta» commenta a tempi.it Paola Mastrocola, scrittrice e insegnante di lettere al liceo Augusto Monti di Chieri.

Il liceo Berchet vuole così garantire «equità valutativa» e fermare «certi insegnanti sadici» che usano «il voto come manganello». Che ne pensa?

Non sono per niente stupita, è un intervento in linea con la direzione che abbiamo preso da qualche anno, una direzione disastrosa.

Perché disastrosa?

Rincorriamo il mito dell’oggettività, della misurazione scientifica. Però ci sono cose non misurabili nella vita, anche in quella scolastica. Il problema è che noi vogliamo una scuola che misuri oggettivamente, per questo è da un po’ di anni che si è diffusa come prova il test. In questo modo si può cambiare il docente che corregge, basta che il test sia il più possibile oggettivo e tecnico. A me una scuola che va in questa direzione non piace. Stiamo abolendo non solo il rapporto personale tra studenti e insegnanti ma anche la soggettività sia dell’insegnamento che dell’apprendimento. Tutto deve essere appiattito perché sia misurabile con criteri standard nazionali, europei, mondiali.

L’oggettività a tutti costi che cosa toglie all’insegnamento?

Io penso alla mia materia, insegno italiano in un liceo: da dieci anni tutti i ministri hanno abolito il cosiddetto tema, che era la prova più creativa, libera e bella. Al suo posto abbiamo le verifiche oggettive, i test a domanda multipla, delle prove asettiche insomma. In questo modo magari guadagniamo l’oggettività, ma il ragazzo non è più messo nella condizione di esprimere ciò che è lui, singolarmente, la sua ricchezza. Ecco, si perde il valore dell’originalità individuale.

«Equità»: è questo lo scopo della scuola?

Ormai queste parole vanno di moda, ma non so bene che cosa vogliano dire. Il problema della diversità degli insegnanti c’è da sempre: come si diceva una volta, sei finito in quella sezione e con quell’insegnante avrai voti più bassi o più alti. È vero, si rischia di avere sette o otto, a seconda del professore, il vantaggio però era avere delle persone diverse. La diversità degli insegnanti è sempre stato il nostro bello, Che

italiano fosse insegnato in 10 mila modi diversi era un grande valore. Il fatto di correggere i compiti dei propri allievi magari non è equo ma fa parte di un lavoro che dura tre anni, dove entra in gioco la conoscenza reciproca. Quando prendo una classe inizio a lavorare con 30 ragazzi impostando una mia idea della materia e di quello che vorrei passare loro. Io li spingo a leggere dei libri, degli autori che a me piacciono e che penso possano arricchirli, poi do un tema su quello ed è chiaro che i temi devo correggerli io, perché sono io a mandare il messaggio e io lo devo ricevere. Se invece vogliamo abolire il messaggio, allora va bene che le prove siano tutte uguali, comuni, oggettive. Però manca l’anima e a me fa molta paura una scuola senz’anima.

La correzione «trasversale» dei compiti rischia di sminuire il rapporto tra insegnante e alunno. Per lei questo rapporto è un fattore importante dell’insegnamento?

Non è importante, è fondamentale, nel bene e nel male il rapporto personale è tutto. Però anche questo è destinato a sparire, forse avremo insegnanti online, forse vogliamo insegnanti che inviino la prova agli studenti davanti ai loro computer e poi si aggirino tra i banchi per vedere che tutto funzioni. Così non c’è più un rapporto culturale e affettivo, però. Non a caso, mi sembra che vogliano sostituire la parola insegnanti con “facilitatori”.

Qualche considerazione personale (Marta Milvio)

Ho volutamente introdotto questa raccolta con l’origine etimologica del termine oggetto.

Il fatto che questa parola, da cui derivano i termini oggettivo e oggettività, nasca sostanzialmente da un profondo fraintendimento, arrivando ad assumere il significato opposto rispetto al concetto da cui trae origine è stata per me una scoperta curiosa, quasi una rivelazione.

Come se l’errata interpretazione fosse una sorta di destino segnato, insito in una origine anomala e distorta.

Sul problema della valutazione oggettiva si sono spesi fiumi di parole e la raccolta che ho proposto rappresenta una piccola goccia raccolta dal mare magnum della rete.

Personalmente ho potuto constatare, nella mia quotidiana esperienza di docente, che spesso il mito dell’oggettività diventa una semplice scusa per sfuggire al dialogo.

Se la valutazione è “oggettiva” è insindacabile, matematica, automatica.

Così neutra che non necessita di un valutatore, basta una macchina senza grandi capacità elaborative.

Ma allora a cosa serve il docente?

Non è proprio la capacità di guidare e spronare, attraverso l’esempio ed il giudizio, ciò che distingue un docente da un semplice “esperto” di una disciplina?

E la discussione di un giudizio con uno studente non è forse uno dei momenti “topici” nel percorso di apprendimento?

E’ indubbiamente una modalità faticosa e snervante ma è una delle tante anime della nostra professione.

Una valutazione meno “aritmetica” può sbagliare e ci vuole una buona dose di sicurezza e fiducia in sé stessi per essere capaci di ammettere un proprio errore senza per questo sentirsi sminuiti o defraudati della propria autorevolezza.

Stanchezza e paura finiscono sempre col portarti alle famose discussioni di fine anno “Lo studente XXX ha 5,48, metto l’insufficienza?”

Concludo con una accorata preghiera ad una certa categoria di colleghi : “Se proprio non riuscite a fare a meno della calcolatrice per formulare una valutazione finale, almeno evitate di sbandierarlo durante gli scrutini e fate almeno finta che il vostro voto sia davvero frutto di un processo di valutazione e non una mera misurazione matematica”

Brevi note biografiche sugli autori

Luisa Benigni docente presso la facoltà di economia- Università degli studi di Perugia. Collabora con l’ADI di Perugia.

Salvatore Daniele – Nessuna notizia trovata - articolo postato su pensiero filosofico

Mario Castoldi, dirigente scolastico dal 1993, dal 2001 docente di Didattica generale presso l'Università di Torino, si occupa di problematiche valutative in ambito scolastico, in riferimento alla qualità degli apprendimenti, degli insegnamenti e del servizio scolastico. Membro del Comitato di direzione della rivista “Dirigenti scuola”. Tra le pubblicazioni più recenti La qualità a scuola. Percorsi e strumenti di autovalutazione (Roma 2005),Portfolio a scuola (Brescia 2005), Il mentore. Manuale di tirocinio per gli insegnanti in formazione (Milano, 2007).

Maria Teresa Sarpi, dirigente tecnico Ministero per Istruzione, Università e Ricerca, è ispettrice della Pubblica Istruzione ed esperta di Lingua e Letteratura italiana. Ha tenuto corsi di formazione e aggiornamento per docenti e corsi di perfezionamento ¬ filosofici. Ha partecipato a convegni letterari come relatrice. Varie le sue pubblicazioni di critica letteraria. E’ membro del Comitato Scienti¬fico per il progetto “Leggere Dante oggi”.

Rosario Mazzeo, laureato in filosofia, abilitato all’insegnamento di Lettere, dirige da anni la scuola Aurora-Bachelet di Cernusco s/N. (Milano). Studioso dei processi e della metodologia dell’insegnamento-apprendimento, della valutazione formativa, dell’organizzazione scolastica. Formatore per conto di enti pubblici e privati in Italia e all’estero. Collabora abitualmente con riviste straniere ed italiane di pedagogia e didattica. È direttore del trimestrale Quaderni di libertà di educazione. È autore dei seguenti volumi: Un metodo per studiare, Il Capitello, 1990, Insegnare un metodo di studio, Il Capitello, 1997, Studiare in famiglia, Itaca, 2000, L’organizzazione efficace dell’apprendimento, Metodo e personalizzazione, Erikson, 2005.

Rodolfo Marchisio è laureato in Filosofia ed è docente di Lettere nella scuola media e di Pedagogia in corsi per Infermieri Specialisti. Ha collaborato con l'IRRSAE Piemonte come formatore e consulente, da oltre vent'anni coordina progetti e sperimentazioni relativamente all'uso delle Nuove Tecnologie, è stato relatore in numerosi convegni e autore di numerosi articoli, è Figura Obiettivo Area 1. Organizza e dirige corsi di aggiornamento e formazione per Ministero PPII, Provveditorato, Università, Enti locali pubblici ed Enti privati.

Giorgio Israel è professore ordinario di storia della matematica all’Università di Roma La Sapienza e membro dell’Académie Internationale d’Histoire des Sciences. Tra i suoi ultimi libri: La macchina vivente. Contro le visioni meccanicistiche dell’uomo (Bollati Boringhieri, 2004); La mano invisibile. L’equilibrio economico nella storia della scienza (con B. Ingrao, Laterza, 2006); Liberarsi dei demoni. Odio di sé, scientismo e relativismo (Marietti, 2006). Collabora con Il Foglio e Tempi.

Tiziano Trivella, insegnante di scuola primaria, appassionato di informatica, ha intuito fra i primi le grandi potenzialità della Rete. Senza troppo clamore e con mezzi direi “artigianali” ha realizzato quello che oggi potremmo chiamare un modello di “insegnamento sperimentale” inserendo e integrando nella sua attività

quotidiana il computer, Internet, i giochi didattici, la chat, la multimedialità, l’interattività, già dai primi anni ’90.

L’approdo alla realizzazione di un vero portale dedicato al mondo dei bambini, della scuola e dell’uso consapevole di Internet arriva con La Girandola (www.lagirandola.it). Il sito, realizzato insieme a Nicola Rainone, è da molti anni uno dei principali punti di riferimento in rete per bambini e adulti.

Leone Grotti lavora come giornalista per il settimanale Tempi e collabora con Aspenia.

Marta Milvio, laureata in Scienze dell’informazione, dal 1992 docente di informatica presso l’ITC Gino Zappa di Saronno. Da sempre interessata all’utilizzo delle nuove tecnologie nella didattica, anche al di fuori del proprio specifico ambito disciplinare, attualmente sta frequentando il Master DOL “Docente esperto in tecnologie per la didattica” presso il Politecnico di Milano.

Link ai documenti originali

Oggetto e oggettività (Definizioni tratte da wikipedia)

Valutazione degli apprendimenti (Luisa Benigni)

Valutazione oggettiva (Salvatore Daniele)

La valutazione delle competenze (Mario Castoldi)

La valutazione educativa (Mariateresa Sarpi)

Scrutini, vademecum del collegio docenti per valutare bene (Rosario Mazzeo)

La valutazione dopo la legge 169 (Rodolfo Marchisio)

Miti della valutazione (Mario Castoldi)

Il mito della valutazione oggettiva (Giorgio Israel )

Il mito dell'oggettività (Tiziano Trivella)

Il Berchet di Milano punta sulla «equità valutativa». Il risultato è «una scuola disastrosa, senz’anima» (Leone Grotti)