il MIRIAM MAKEBA numero 9 DICEMBRE 2012

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1 PRIMARIE, ITALIA BENE COMUNE, PALESTINA, PUC E IL GOVERNO DEL PAESE DI TIZIANA AIELLO PORTAVOCE DEL CIRCOLO “MIRIAM MAKEBA” IL MIRIAM MAKEBA NUMERO 9 DICEMBRE 2012 CIRCOLO SEL MIRIAM MAKEBA SALERNO Car* Compagn*, l’esperienza delle primarie del centro sinistra è da poco terminata con un risultato più o meno prevedibile (la vitto- ria di Bersani al ballottaggio contro Renzi) ma, questo esito, ha suscitato molti mal- contenti tra i militanti di SEL che non si sentono pienamen- te rappresentati da colui che, in questi mesi, ha appoggiato il governo Monti e che non rinnega una coalizione allar- gata con l’UDC di Casini. Personalmente, condivido il percorso avviato da Vendola poiché credo che sia l’unica strada che ci possa permettere di diventare una forza di go- verno e di portare la nostra buona politica all’interno delle istituzioni. Spero, comunque, che si adot- ti un meccanismo di ugual democrazia a quello delle primarie “Italia Bene Comu- ne” anche nel passaggio suc- cessivo, ossia quello relativo alla scelta dei candidati alle prossime elezioni politiche e del loro ordine in lista, visto che non ci sarà il tempo per modificare il cd. porcellum e che saremmo chiamati a vota- re a fine febbraio, nuovamen- te, con la tanto discussa legge elettorale che ci impedisce di indicare le preferenze. Per quanto riguarda le que- stioni locali, vi invito a legge- re con attenzione l’articolo di Gianpaolo Lambiase che sin- tetizza la posizione assunta dalla federazione provinciale salernitana rispetto all’ultima variante al PUC che si do- vrebbe approvare, entro fine anno, in Consiglio Comunale; questa manovra, infatti, non avrà il voto favorevole di SEL poiché si presenta in netto contrasto con quanto previsto nel programma pre- sentato alle scorse ammini- strative e che ha poi determi- nato la volontà di una coali- zione con De Luca e le sue liste civiche. Inoltre, visto che un partito non dovrebbe fermarsi nel momento elettorale, il nostro circolo si è occupato in questi giorni della questione palesti- nese, analizzando il futuro di questo popolo anche in segui- to al voto dell’ONU; e per quanti non hanno potuto pren- dere parte all’iniziativa, po- trete leggere l’introduzione al dibattito del compagno Orien- tale. Da questo numero, inoltre, il nostro giornale si arricchisce con una nuova pagina, curata dal neo iscritto, Antonio De Maio, insegnante in pensione dell’Istituto Artistico. Per concludere, vorrei augu- rare ad uno dei pilastri del circolo Makeba, Katia White, una pronta guarigione della sua mamma: Cara Katia, alle nostre riunioni, ci manca la tua intelligenza fervida e que- sto giornale non è lo stesso senza il tuo boxino, “L’Erba di Kate”, e per questo ci au- guriamo che, quanto prima, possa tornare a condividere il tuo tempo con questa gabbia di matti che si è messa in testa di creare una classe diri- gente degna del popolo italia- no. Tiziana Aiello

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NUMERO 9 del MIRIAM MAKEBA DICEMBRE 2012

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PRIMARIE, ITALIA BENE COMUNE, PALESTINA, PUC E IL GOVERNO DEL PAESE

DI TIZIANA AIELLO PORTAVOCE DEL CIRCOLO “MIRIAM MAKEBA”

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CIRCOLO SEL

MIRIAM MAKEBA SALERNO

Car* Compagn*, l’esperienza delle primarie del centro sinistra è da poco terminata con un risultato più o meno prevedibile (la vitto-ria di Bersani al ballottaggio contro Renzi) ma, questo esito, ha suscitato molti mal-contenti tra i militanti di SEL che non si sentono pienamen-te rappresentati da colui che, in questi mesi, ha appoggiato il governo Monti e che non rinnega una coalizione allar-gata con l’UDC di Casini. Personalmente, condivido il percorso avviato da Vendola poiché credo che sia l’unica strada che ci possa permettere di diventare una forza di go-verno e di portare la nostra buona politica all’interno delle istituzioni. Spero, comunque, che si adot-ti un meccanismo di ugual democrazia a quello delle primarie “Italia Bene Comu-ne” anche nel passaggio suc-cessivo, ossia quello relativo alla scelta dei candidati alle prossime elezioni politiche e del loro ordine in lista, visto

che non ci sarà il tempo per modificare il cd. porcellum e che saremmo chiamati a vota-re a fine febbraio, nuovamen-te, con la tanto discussa legge elettorale che ci impedisce di indicare le preferenze. Per quanto riguarda le que-stioni locali, vi invito a legge-re con attenzione l’articolo di Gianpaolo Lambiase che sin-tetizza la posizione assunta dalla federazione provinciale salernitana rispetto all’ultima variante al PUC che si do-vrebbe approvare, entro fine anno, in Consiglio Comunale; questa manovra, infatti, non avrà il voto favorevole di SEL poiché si presenta in netto contrasto con quanto previsto nel programma pre-sentato alle scorse ammini-strative e che ha poi determi-nato la volontà di una coali-zione con De Luca e le sue liste civiche. Inoltre, visto che un partito non dovrebbe fermarsi nel momento elettorale, il nostro circolo si è occupato in questi giorni della questione palesti-

nese, analizzando il futuro di questo popolo anche in segui-to al voto dell’ONU; e per quanti non hanno potuto pren-dere parte all’iniziativa, po-trete leggere l’introduzione al dibattito del compagno Orien-tale. Da questo numero, inoltre, il nostro giornale si arricchisce con una nuova pagina, curata dal neo iscritto, Antonio De Maio, insegnante in pensione dell’Istituto Artistico. Per concludere, vorrei augu-rare ad uno dei pilastri del circolo Makeba, Katia White, una pronta guarigione della sua mamma: Cara Katia, alle nostre riunioni, ci manca la tua intelligenza fervida e que-sto giornale non è lo stesso senza il tuo boxino, “L’Erba di Kate”, e per questo ci au-guriamo che, quanto prima, possa tornare a condividere il tuo tempo con questa gabbia di matti che si è messa in testa di creare una classe diri-gente degna del popolo italia-no. Tiziana Aiello

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MIRIAM MAKEBA

Approvato nel 2006 il Piano Ur-banistico Comunale (PUC) ave-va alla base delle sue proposte di sviluppo, un rapporto del Censis riguardo la previsione di crescita ed evoluzione della città, dal ti-tolo “Il dimensionamento del Piano – Fabbisogni residenziali e non residenziali e proiezioni al 2009”. La consistenza anagrafica rileva-ta dal Comu-ne di Salerno agli inizi de-gli anni 2000 era di circa 150.000 uni-tà; il PUC immaginò un incremento costan-te degli abitanti negli anni, che avrebbe portato la popolazione del 2009 a circa 180.000 unità .

In rapporto al trend stimato di crescita demografica il PUC ha previsto la realizzazione di circa 12.000 nuovi alloggi che ospite-ranno circa 36.000 “nuovi abitan-ti”. A questi il PUC aggiunge 3.900 abitanti che occuperanno le resi-denze delle zone rurali in cresci-ta: ancora 1.350 nuovi alloggi.

Le previsioni per nuove costruzioni d e d i c a t e a “produzioni, ser-vizi e turismo” ammontano a mq. 510.711 di super-

ficie lorda di solaio in aree pro-duttive, mq.260.930 in servizi e mq. 18.023 per il turismo ricetti-vo.

In totale sul territorio comunale è possibile realizzare circa 6,5 milioni di metri cubi, che im-pegneranno centinaia di ettari di terreno, oggi ancora liberi dal “cemento”. Tutte le aree in pia-nura, pedecollinari o collinari sulle quali è possibile costruire, vengono di fatto “coperte” dalle nuove previsioni di sviluppo edilizio.

Lo scenario reale di riferimen-to invece è un’altro:

la popolazione è in costante de-cremento dal 2008. Nel 2009 l’ISTAT censisce 140.489 abi-tanti; nel 2011 si contano 13-9.019 abitanti; nel 2012 Salerno ha 133.000 abitanti. Se si tiene conto della crisi del mercato immobiliare, dell’au-

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LA CITTA’ CHE NON VOGLIAMO di Gianpaolo Lambiase Assemblea nazionale SEL

“La VARIANTE AL PUC produrrà un danno

irreparabile al territorio salernitano ed in particolare al centro cittadino già

“congestionato” ”

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mento dei costi di costruzione, dell’inflazione, della scarsa eroga-zione di mutui, del decremento della popolazione, è naturale porsi una domanda: le previsioni di svi-luppo del PUC sono ancora attua-li? Con le sue proposte ormai “superate”, può dare ancora il PUC risposta al fabbisogno abita-tivo, alla realizzazione di stan-dards carenti rispetto al patrimo-nio edilizio esistente (attraverso la cosiddetta “perequazione”), alle esigenze di mobilità, di sviluppo economico, di salvaguardia dei suoli agricoli e degli spazi liberi? Sembra che l’Amministrazione Comunale abbia dato una risposta chiara e netta alla nostra domanda, proprio attraverso la nuova “VARIANTE AL PUC”, che sarà portata a breve all’attenzione del Consiglio Comunale per l’appro-vazione: si va avanti a costruire anche se non c’è nessuna neces-sità di farlo!

La VARIANTE AL PUC produr-rà un danno irreparabile al territo-rio salernitano ed in particolare al c e n t r o c i t t a d i n o g i à “congestionato”, se il Comune non si adopera per modificarla. Quale è il ragionamento alla base della proposta di VARIANTE. Le previsioni del “vecchio” PUC in parte non riusciranno mai ad essere realizzate: in tanti Compar-ti destinati a nuova edificazione , i proprietari non si accordano ed alcuni di loro rinunciano ai propri diritti edificatori, perché non han-no i soldi per investire o perché hanno abitazioni ed edifici produt-tivi sul luogo che altrimenti do-vrebbero essere demoliti per fare posto ai nuovi complessi edilizi. La VARIANTE AL PUC, invece di prendere atto del sovradimen-sionamento del Piano e quindi

semplicemente procedere alla ri-duzione zona per zona delle super-fici e volumi nuovi da costruire, ha trasferito in altre aree tutte le “capacità” edificatorie (stiamo parlando di 116.397 metri quadrati di nuovi solai) che i proprietari rinunciatari avrebbero potuto rea-lizzare. Gli edifici dei proprietari che “rinunciano” vengono “stralciati” dalle aree di trasforma-zione urbana, logicamente riman-gono sul posto con i propri volumi e le proprie funzioni, però la loro permanenza sul luogo sembra ven-ga ignorata dal nuovo conteggio compensativo di abitanti e di standards. Il dubbio è: rimangono invariati “i carichi insediativi” (previsti già in abbondanza dal vecchio PUC) op-pure addirittura aumentano e quin-di la “manovra” inciderà negativa-mente anche sul bilancio degli standards? Ma la scelta che lascia veramente “stupefatti” è la seguente: la VA-RIANTE trasferisce tutto ciò che teoricamente si sarebbe po-tuto realizzare in p e r i f e r i a (abitazioni priva-te in particolare) nelle aree pubbli-che centrali anco-ra libere, più pre-giate, strategiche ed indispensabili al riequilibrio tra il patrimonio edilizio esistente e gli stan-dards carenti.

La VARIANTE AL PUC prevede la realizzazione di un volume pari a cinque palazzoni di cinque piani, con quaranta ap-partamenti ognuno (per un totale di 200 appartamenti privati, cui si ag-

giungono negozi ed uffici), da rea-lizzare nell’area di parcheggio pubblico tra il fiume Irno ed il GrandHotel. La stessa scelta (200 abitazioni private, più negozi ed uffici) inte-ressa l’area libera di via Vinci-prova alle spalle della stazione ferroviaria. E poi a piazza Mazzi-ni, un volume pari a 4 nuovi pa-lazzoni di 5 piani ospiterà invece negozi ed uffici.

LA CITTA’ CHE VORREMMO

C’è chi giustifica la necessità di costruire (il più possibile) come unica soluzione obbligata a risol-vere le numerose “emergenze”: l’esigenza di crescita della econo-mia locale; la creazione di nuovi posti di lavoro; la risposta al fab-bisogno abitativo; i nuovi introiti nelle "casse" del Comune, che non riesce a garantire i "servizi mini-mi" ai cittadini amministrati.

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Mentre in Italia si registra forse la crescita demografica più bassa d’Europa (+0,3% l’anno) e la cre-scita di nuove urbanizzazioni più alta d’Europa (+15%), si continua a costruire nella convinzione che il settore dell’edilizia da solo, at-traverso l’espansione della città, potrà produrre sviluppo ed occu-pazione. Si continua ad occupare suolo con manufatti di ogni gene-re, a costruire case che non servo-no ed a consumare terreni liberi preziosi per l’uomo e per l’am-biente. Ed intanto la città consuma ener-gia, risorse, cibo ed esporta mas-sicciamente rifiuti, inquinamento. Si tratta di un predatore ecologico che consuma una superficie “virtuale” molto superiore alla sua superficie reale. Oggi c’è necessità di “scelte” che non compromettano ulteriormente l’habitat umano. La Pubblica Am-ministrazione deve decisamente mettere in campo ogni azione, strategia ed intervento utile alla

costruzione della "città sostenibi-le". Piuttosto di sognare la costruzione di cittànuove, bisognerà imparare ad “usare” ed abitare le città in modo diverso. La città che vorrei potrebbe esse-re la città attuale dove sono stati introdotti i giardini condivisi, i parchi fluviali, le piste ciclabili, una vera gestione pubblica dei be-ni comuni [acqua, servizi di base], il recupero edilizio e le «botteghe di quartiere», una nuova industria-lizzazione legata alla modernizza-zione ecologica delle produzioni. Una città che diventa moderna riutilizzando e/o sostituendo il vecchio, puntando sul riutilizzo e la rifunzionalizzazione dei volumi costruiti, anziché sull'edilizia e-spansiva. Una città nella quale si punti in modo deciso ad un tra-sporto pubblico efficiente ed alla ciclabilità limitando l’uso dell’au-to privata. Un città nella quale il settore dell’edilizia sia obbligato ad usare materiali a basso impatto; a sperimentare nuove soluzioni tecnologiche e progettare in ma-

niera integrata per produrre risul-tati eccellenti in termini di ecoeffi-cienza. Le azioni che porterà avanti nei prossimi mesi l’Amministrazione Comunale di Salerno, a partire dalla programmazione e pianifica-zione del territorio, potranno inci-dere in modo rilevante e definiti-vo sulle prospettive di sviluppo economico e di lavoro in città. Anche per dare risposta al fabbi-sogno abitativo (edilizia pubblica e privata) per esempio c’è neces-sità di nuovi progetti di architettu-ra eco-responsabile, che hanno l’obiettivo di “abitare meglio”, ma non di “consumare” la natura, il paesaggio e gli ultimi spazi liberi sottratti fino ad oggi alla specula-zione edilizia. Speriamo si facciano le scelte giu-ste!

Salerno 9 dicembre 2012

Gianpaolo Lambiase Assemblea Nazionale SEL

Circolo “MIRIAM MAKEBA”

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MIRIAM MAKEBA

Bozza non corretta

INIZIATIVA ORGANIZZATA DAL CIRCOLO “MIRIAM MA-KEBA”, Salerno con: Raya Cohen docente di storia uni-versità di Tel Aviv, Yousef Salman segretario Al Fatah in Italia, Omar Suleiman presi-dente Osservatorio Palestina, Michele Ragosta segretario prov. SEL,Arturo Scotto se-gretario regionale SEL,

Bruttissimi venti di guerre civili sono presenti oggi. Siria ad esempio ma non solo, la stessa situazione egiziana è preoccupante. La realtà libica oggi non fa notizia ma ho qualche dubbio che si sia assesta-ta completamente. La Turchia schiera i patriot.

Potremmo conti-nuare mi limito solo a se-gnalare che tutto ciò sta avvenendo nel più totale

silenzio delle cancellerie europee malgrado che la situazione è preoccupan-te da diversi mesi. L’in-formazione è orientata a far diventare notizia solo se ci sono interessi eco-nomici che ci interessa-no. Mio malgrado devo riconoscere che questo sporco lavoro lo fanno bene.

A tutto ciò aggiun-giamo il fatto che non c’è nemmeno un minimo di elaborazione e di propo-sta da parte della sinistra italiana ed europea. Mal-grado gli sforzi fatti e che continueremo a fare non vedo neanche da parte del nostro campo politico un minimo di elaborazio-ne di politiche per il me-diterraneo che sia coin-volgente e unificante. È

un gap da colmare. E in tutto questo panorama la tragedia del popolo palestinese continua il suo corso in maniera costante, continua. Non si arresta malgrado lo storico voto di una set-timana fa dell’ONU. An-che per queste ragioni non è mai facile intro-durre un dibattito sulla Palestina. A me è toc-cato l’onere di farlo e mi è particolarmente più difficile perché per dare il massimo di spa-zio agli autorevoli in-terventi dei nostri ospiti

dovrò essere necessaria-mente sintetico. E quindi salterò molti passaggi sto-rici.

Ho bisogno però di fare due piccole premesse.

La prima: abbiamo deciso di dedicare idealmente questa nostra iniziativa ad un giovane dirigente pale-stinese che morì a Tunisi nel 1985 (se ricordo bene l’anno) quando l’aviazione israeliana bombardò il quartiere generale dell’-OLP. Lo conobbi perché accompagnò, insieme a un nutrito gruppo di compagni palestinesi, Monsignore Hylarion Cappucci, vesco-vo di Gerusalemme che venne qui a Salerno per una iniziativa. Poi purtrop-po non ci siamo visti più. Ma conservo ancora gelo-samente la kefia che mi donò. Grazie a un popolo fatto da uomini e donne come lui se oggi la Palesti-na malgrado tutto è anco-ra viva.

La seconda premes-sa è il perché di questa ini-ziativa. Sembrerà strano ma purtroppo c’è stato qualcuno che mi ha chiesto in modo riservato il perché del dibattito di oggi e il perché abbiamo scelto di invitare Omar, Yousef e la professoressa Raya.

Per chi mi conosce non ha

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“DOPO IL VOTO DELL'ONU QUALI

PROSPETTIVE DI PACE IN PALESTINA?” Salerno 6/12/2012 introduzione di Angelo Orientale

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difficoltà a immaginare la mia risposta poco diplo-matica. Ma chiedo come è possibile avere il coraggio di fare una domanda del genere a una forza politica come sinistra e libertà, e per di più a un circolo di sel che è intitolato a una gran-de campionessa dei diritti civili come è stata Miriam Makeba, che lottò non solo per la sua terra contro l’a-partheid ma si schierò sempre contro tutte le di-scriminazioni.

Capisco e so che ormai a sinistra c’è tanta confusio-ne. Scusatemi però ma io continuo a scandalizzarmi quando sento affermazioni come quelle che fece pochi giorni fa Renzi sulla Palesti-na (evidentemente ignora-va anche il fatto che dopo 48 ore ci sarebbe stato il voto dell’onu) ma questa domanda, fatta da una persona che si definisce di sinistra, mi fa capire che il lavoro da fare è tantissimo e forse bisognerà riprende-re anche l’aspetto pedago-gico della nostra attività politica.

In ogni caso abbiamo deciso di invitare i nostri ospiti perché la soluzione del dramma del medio o-riente non può che essere politica. Per questo oggi abbiamo Yousef, un diri-gente della maggiore orga-nizzazione politica palesti-nese, un compagno come Omar (che per me è anche un fratello) che pur essen-do critico verso alcuni a-

s p e t t i d e l l a v i t a “amministrativa” dell’auto-rità palestinese non ha mai smesso di lottare e di ope-rare verso una soluzione giusta, del resto come po-trebbe? E infine, ma non ultima come importanza, la professoressa Raya che da sempre studia la storia del-l’identità ebraica e come questa si è sviluppata ed evoluta nel corso degli an-ni.

Quindi è nostra con-vinzione che solo rafforzan-do le soluzioni politiche e diplomatiche e l’impegno dei singoli e degli stati c’è la possibilità che la strada della composizione diplo-matica e pacifica del con-flitto mediorientale possa affermarsi. Tutto ciò, per quanto mi riguarda, non è in contraddizione con la mia scelta di campo. Io so-no profondamente a favore dei palestinesi. Lo sono co-me persona e come mili-tante di una forza di sini-stra. Perché la sinistra de-ve essere sempre affianco ai più deboli.

Essere schierati però non deve farci sottovaluta-re quelli che a mio avviso sono dei pericoli che corria-mo. Oggi l’in-fluenza politica delle forze inte-graliste di tipo re-ligioso, voluta-mente utilizzo il termine usato dai mass media, cre-sce sempre di più in tutti i paesi a-rabi e anche tra il popolo palestine-

se. Cioè lo stesso popolo che veniva visto con so-spetto e “mal sopportato” (per usare un eufemismo) dagli stessi governi arabi perché era molto laico, con una libertà religiosa assolu-ta. Era un popolo con il più alto tasso di democrazia e di scolarizzazione malgrado la diaspora, i campi profu-ghi, il disseminarsi in altri paesi come la Giordania, la Siria, il Libano, le stragi su-bite dalle stesse forze ara-be ecc. ecc.

Una delle chiavi di lettura del perché della loro influenza accresciuta è che oggi danno una identità politica. Offrono un senso di appartenenza, fondano strutture di assistenza e in alcuni casi anche risposte concrete e assistenza ma-teriale. Può non piacerci, possiamo non essere d’ac-cordo con le loro tesi politi-che ma è cosi. La realtà è questa. E sembra, in base ad alcune analisi che non sono in grado di valutare e quindi mi limito a riportar-le, che nel loro scacchiere internazionale, una sorta di alleanza internazionale dei fratelli musulmani, il ruolo specifico di hamas è molto

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alto perché, grazie al so-stegno che hanno dall’Iran, spendono molto bene il ruolo di anello di congiun-zione tra i sunniti e gli scii-ti.

È mia convinzione che queste forze politiche hanno riempito il vuoto creatosi con la fine della spinta propulsiva della poli-tica arafattiana e con la scomparsa dello stesso A-rafat. Fu lui infatti a intra-prendere la strada dell’i-dentità palestinese. La co-struì giorno dopo giorno con fatica. Costruì il senso di appartenenza a un popo-lo pur non avendo uno sta-to e una terra su cui vive-re. In sostanza riuscì in qualche modo a neutraliz-zare l’opera che Israele fa-ceva, e continua a fare, in modo scientifico di annulla-mento della stessa cultura, lingua e tradizioni dei pale-stinesi. Con lui e con l’OLP ripresero ad essere cono-sciuti anche le arti poeti-che, di musica, di cultura. Con lui si conquistò l’idea che era possibile realizzare il sogno dei due popoli due stati. Eclatante e storico fu il suo discorso che fece all’-Onu. Fantastica fu la sua frase del ramoscello di uli-vo in una mano e del fucile nell’altra. E la scelta di quale mano da usare di-pendeva dalle scelte di I-sraele e dei paesi occiden-tali. Quindi era nelle loro mani l’inizio del confronto per iniziare un cammino verso la pace, con trattati-ve certamente difficili da

fare, ma necessarie. Oggi diamo per scontato che l’unica strada da percorrere è questa ma dire quelle frasi in quel periodo storico era da vero rivoluzionario perché apriva un fronte in-terno con forze palestinesi e con diversi stati arabi molto rischioso. Infatti poi le conseguenze in termini di stermini e di repressioni il popolo palestinese le eb-be.

Senza quel coraggio e il cammino fatto il voto dell’-ONU di una settimana fa non ci sarebbe stato. Un voto a schiacciante mag-gioranza ha riconosciuto come stato osservatore la Palestina. Non è un voto da poco, non è la soluzione dei problemi, indubbiamen-te però è un significativo e importante passo in avanti per la Palestina e per quanti come noi hanno sempre riconosciuto la giu-stezza delle battaglie per tutti i popoli ad autodeter-minarsi e a vivere in un lo-ro libero stato, questo vale per i palestinesi, ma vale anche per gli israeliani.

Ma allora se la Palestina è stata riconosciuta come stato dall’ONU tutto è risol-to? Ogni volta che parliamo di uno stato giustamente ci immaginiamo un territorio governato dai propri organi eletti, che ha una propria rappresentanza istituziona-le e una propria legislazio-ne, con il proprio sistema di tassazione per pagare e affrontare le spese, una propria economia e cosi via. Ebbene tutte queste

cose per la Palestina non esistono. Non esiste nem-meno il territorio stabilito dall’ONU stesso. Esiste solo un popolo che vive o nei campi profughi in altri pae-si e che non hanno nessun diritto al ritorno, o che vive in Israele, i cosiddetti arabi israeliani, che hanno solo doveri ma non i gli stessi diritti. Oppure parliamo di un popolo che è prigioniero in due enormi carceri a cie-lo aperto. Uno di questi con 1 e mezzo di abitanti in un territorio piccolissimo. E nessuno dei due territori può essere governato visto che non esiste nemmeno il diritto alla libera circolazio-ne. La stessa politica israe-liana, gli ultimi atti stabiliti e messi in pratica dopo nemmeno 24 ore dallo sto-rico voto dell’ONU sono u-na dimostrazione che una volontà di riconoscimento non esiste. Non a caso si

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continua con la politica del-l’espropriazione delle terre e dell’acqua, si bloccano i fondi, si costruiscono muri infiniti e nuovi insediamen-ti, gli assassini cosiddetti mirati continueranno e si continuerà ad alimentare l’immagine degli israeliani nei bunker e sotto continuo attacco. Si badi bene io non giustifico i razzi ne sot-tovaluto i danni materiali e umani che producono. So-no strumenti di morte. Pe-rò hanno una misteriosa caratteristica prodotta dai mass media internazionali. Partono da Gaza come raz-zi e arrivano in Israele co-me missili. In pratica cre-scono e si trasformano du-rante il volo. Una sorte di razzi tamakogi. Ma oltre a non credere nella percezio-ne costruita ad arte, cioè quella dei cittadini israelia-ni che vivono nei bunker e costantemente sono sotto attacco, le risposte con i bombardamenti aerei, e con i cannoneggiamento terreste e marino non sono per nulla giustificati. Quegli atti non sono atti di legitti-ma difesa ma è solo un’o-pera di sterminio.

Allora perché tutto ciò? Espongo, anche se in maniera molto sintetica, una tesi che mi convince come risposta. Se è sballa-ta come tesi certamente gli interventi che seguiranno la smantelleranno senza nessuna pietà. Oggi la po-polazione israeliana è com-posta da una miriade di culture diverse. Basti pen-

sare ad esempio l’arrivo di tantissimi cittadini dell’est europeo, quasi 900.000 negli anni 90, o i circa 6-0.000 cittadini proveniente ad esempio dall’Etiopia (entrambi i dati li ho repe-riti dal sito in italiano del ministero del turismo israe-liano). Secondo alcuni que-sta è la risposta israeliana alla cosiddetta bomba de-mografica. Cioè il tentativo di ridurre il gap demografi-co “importando” cittadini. Però questa massiccia im-portazione di popolazione crea problemi di unità cul-turale e seri problemi di convivenza tra le varie “sensibilità etniche”, diver-se anche nella lingua, cul-turalmente e nei costumi. Insomma voglio affermare che Israele ha bisogno di un sentir comune, di un collante interno, di qualco-sa che li unisca. E quindi perché non alimentare e strumentalizzare fino in fondo la paura del nemico esterno per rafforzare que-sto legante specie quando ci sono le elezioni vicine? Eppure la pace e la convi-venza in quell’area conver-rebbe anche allo stato isra-eliano. Cioè uno stato che si regge in piedi grazie solo a consistenti ed enormi flussi finanziari proveniente dall’estero. Fare una politi-ca di pace significherebbe liberare enormi risorse eco-nomiche oggi destinate a tenere in piedi una ben lu-brificata ed efficiente mac-china repressiva e di mor-te. So bene che in Israele esiste una opposizione di un pezzo della popolazione.

Mi pare di capire che è molto esigua e che proba-bilmente, l’opposizione alla politica dell’occupazione, è più forte ed è più ampia nella popolazione ebraica che vive al di fuori dello stato israeliano. Quindi co-sa fare per supportare e rafforzare le spinte di pace e convivenza sia nei terri-tori che in Israele?

Il balbettio del gover-no italiano che abbiamo as-sistito una settimana fa sul voto dell’ONU mi fa rim-piangere la politica estera dei governi democristiani e del governo Craxi. Politica che portò anche ad azioni coraggiose, e aggiungo io , anche di dignità nazionale, come successe alla base di Sigonella. L’aspetto della vicenda che più mi fa rab-bia, se le indiscrezioni gior-nalistiche sono vere, sono state le cosiddette condi-zioni che il nostro paese ha avanzato verso l’autorità palestinese in cambio di questo voto. Il governo an-che in questa vicenda è riuscito a offenderci e a dissacrarci. Ma la rabbia cresce quando vedo l’as-sordante silenzio della sini-

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stra. Nessuna reazione, nessun moto di rabbia col-lettivo. Niente ma proprio niente. E questo mi fa capi-re che il ruolo di SEL all’in-terno dello schieramento di centrosinistra anche su questo versante deve esse-re più incisivo e deciso. Ca-ri Michele e Arturo mi rivol-go a voi come autorevoli membri della nostra dire-zione nazionale. Chi vi sta parlando era orgogliosa-mente un membro di un piccolissimo partito di sini-stra che sulla Palestina ha due grossi primati. Il primo è che malgrado l’1,7 % presentò una mozione in parlamento che passò a maggioranza in cui l’Italia riconosceva l’OLP come le-gittimo rappresentante del popolo palestinese. Ancora oggi quella mozione è l’uni-co atto formale dello stato italiano verso la Palestina. Il secondo primato che fu la prima forza politica a lanciare in Italia la parola d’ordine dei due popoli due stati. Ricordo bene le di-scussioni che feci anch’io nel dipartimento nazionale pace ed esteri di DP su questo tema. So con cer-tezza che il tutto fu concor-dato, tramite l’ufficio di Ro-ma, con l’autorità palesti-nese. Ricordo ancora la po-litica di alleanze su questo tema con le associazioni cattoliche a partire da Pax Christi, il cui presidente na-zionale di allora era un sa-lernitano. E ricordo ancora le tensioni che avemmo con una parte della sinistra

di allora sia quella istituzio-nale (il pci) che quella radi-cale diremmo oggi. Eppure quella parola d’ordine di-ventò patrimonio di tutti. Cosa voglio dire? Voglio semplicemente affermare che dobbiamo avere il co-raggio anche su questi te-mi delle nostre scelte e portarle con caparbietà all’-attenzione del popolo a cui ci rivolgiamo. Le assurde posizioni politiche alla Ren-zi, tanto per capirci, devo-no essere marginalizzate nel centro sinistra. Dobbia-mo diventare nel campo politico del centro sinistra quelli che devono essere etichettati, come fu defini-ta la componente di Vitto-rio Foa all’interno della Cgil, la cosiddetta minoran-za attiva. Cioè una parte minoritaria nei numeri ma maggioritaria nelle propo-ste. I nostri temi devono

diventare temi dell’intera coalizio-ne. E quindi per ritornare all’ogget-to del dibattito di oggi possiamo pensare di affian-care al necessario obiettivo da rag-giungere della ri-duzione drastica delle spese militari anche quello di rompere qualsiasi rapporto di com-pra vendita di ar-mi tra l’Italia e I-sraele, settore questo in piena espansione? Ce la sentiamo a partire dalla Campania ad aprire con le forze

del movimento cattolico e di sinistra e del centro sini-stra un confronto serrato e offrire loro questo terreno di confronto partendo dal-la necessità di uscire dall’-ambiguità in cui ci ritrovia-mo riconoscendo formal-mente e ufficialmente lo stato palestinese? Reputia-mo come circolo che anche la politica estera, con parti-colare riferimento alla poli-tica per e nel mediterrane-o, deve essere un terreno di confronto, di caratteriz-zazione, di scontro politico se necessario, con i nostri interlocutori naturali. Se facciamo tutto ciò non solo faremo del bene alla nostra coalizione ma sicuramente inizieremo a dare un con-tributo di pace e di giusti-zia all’intero medio oriente.

ANGELO ORIENTALE

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MIRIAM MAKEBA Pagina 10

L’ARTE DI NARRARE UN PROCESSO CHE HA ORGINI LONTANE

A cura di Antonio Di Maio

Una volta il teatro poteva cominciare come magia: magia della festa sacra, magia quando spuntavano le luci del

proscenio. Oggi è esattamente l’opposto. Il teatro non è desiderato e alle persone che vi lavorano non si concede

fiducia. Sicchè non possiamo sperare di raccogliere un pubblico devoto e attento. Sta a noi catturarne l’attenzio-

ne e la fiducia. Per farlo dobbiamo provare che non ci sarà trucco, niente di nascosto.

Dobbiamo aprire le mani vuote e mostrare che non abbiamo davvero niente nelle maniche. Soltanto allora possiamo cominciare.

Peter Brook, The empty space

L’arte di narrare si avvia al tramonto. E’ sempre più ra-ro incontrare persone che sappiano raccontare qualco-sa come si deve: e sempre più spesso si diffonde l’im-barazzo quando, in una com-pagnia, qualcuno esprime il desiderio di sentir rccontare una storia. E’ come se fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile, la più certa e sicura di tutte: la capacità di scambiare esperienze. La prassi del racconto, la facoltà di “scambiarsi espe-rienze” nella quotidianità, è il mezzo attraverso il quale

fiabe, epopee, leggen-de hanno fondato i miti e la cultura dei popoli ancor prima della na-scita della scrittura. La parola evoca le im-magini, crea mondi possibili e non, e den-tro quei luoghi ha il po-tere di decidere il de-stino di tutte le cose. Nell’epoca che riprodu-ce le immagini pubbli-citarie così come le opere d’arte, che tipo di necessità può ancora riservarsi all’in-cantesimo della parola? Una piccola risposta a que-sta e altre domande provie-

ne dal successo che il feno-meno “teatro di narrazione” ha conosciuto in Italia negli ultimi decenni: nuove e vec-chie forme della trasmissio-ne orale restituiscono all’ar-

te narrativa una cre-dibilità non esclusiva-mente letterria e ca-pace persino di varca-re più volte la meta dei palinsesti televisi-vi nazionali. Tra il 1997 e il 1998 desta sorpresa il suc-cesso televisivo dalla messa in onda sui ca-nali RAI dei lavori di Marco Paolini, Moni Ovadia, Marco Baliani e Dario Fo, capaci di registrare fino al 16%

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di share (circa 1.800.000 spet-tatori). Il “teatro di narrazione” si ri-struttura negli anni ’80 grazie a Marco Baliani, Laura Curino e Marco Paolini, prolifera negli ultimi anni attorno ai giovani Ascanio Celestini e Davide E-nia.

Ma ci sono i caposcuola: Dario Fo, ad esempio, ma anche tra-dizioni preesistenti come quel-la del cunto siciliano rinnovato da Mimmo Cuticchio. Italo Calvino si chiedeva quale

fosse il futuro dell’immagina-zione individuale nella “civiltà dell’immagine””.

L’affermarsi di un filone narrativo nell’ambito del teatro, se non fornisce u-na risposta in tutto esau-riente, contribuisce senz’-altro ad affermare che “il potere di evocare immagi-ni in assenza” non può es-sere sommerso dal diluvio delle immagini prefabbri-cate.

Già co Fo-giullare l’attore smette di “interpretare” e inizia a “presentare” o “indossare” i suoi perso-naggi: espone, spiega, illu-stra brechtianamente le

storie senza mai “scomparire” dietro ai loro protagonisti.

Ascanio Celestini, narratore romano, a distanza di anni parla del proprio lavoro come di un “teatro nuovo senza fin-zione e senza l’interpretazio-ne dei personaggi, senza sce-nografie e coreografie, senza la quarta parete.

Mimmo Cuticchio, sulla stessa stregua, fa risalire tale figura di “uomo-totale di teatro” di-rettamente al tempo delle ori-

gini: “(il raccontatore)…è un teatro ambulante… qui siamo all’origine del teatro!

Voglio dire che quando una persona si pone davanti a un pubblico e racconta una sto-ria, siamo all’origine del tea-tro.

Il raccontatore paradossal-mente possiede, nella sua per-sona, tutti i mezzi di un intero teatro stabile: in un certo sen-so, è tanti attori pur essedo uno solo, possiede tutti i co-stumi e tutte le scenografie perché non ha bisogno di alcun costume e di alcuna scenogra-fia, dispone di un’orchestra tanto ricca quanto ricco è il suo repertorio di ritmi, canti-lene e timbri vocali. Ha a che fare con la narratologia e non con l’istrionismo dell’attore.

A cura di Antonio Di Maio

(tratto da: tesi di laurea di Giacomo

Guarnieri, Università degli Studi di

Palermo e da “Il narratore” di Wal-

ter Benjamin - Einaudi)

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IL CIRCOLO MIRIAM MAKEBA CHIEDE A TUTTI I

CONSIGLIERI COMUNALI DI SEL E DELLA SINISTRA DI PRESENTARE IMMEDIATAMENTE ODG A FAVORE

DEL RICONOSCIMENTO UFFICIALE DELL’ITALIA DEL-LO STATO PALESTINESE .

[email protected] contatto skype: circoloselmiriammakeba

3270437490 - 3387346018

Le compagne e i compagni del circolo Miriam Makeba si

riuniscono ogni martedi alle ore 19,30 in via Balzico 10 Salerno

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