Il mestiere di vivere

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Tratto dal libro “IL BENESSERE POSSIBILE” Il “mestiere” di vivere Per spiegare l’apparente incomprensibile e- scalation di recrudescenza e di sofferenza di oggigiorno occorre fare uno sforzo insolito di interpretazione oltre la propria emotività e il proprio criterio di valutazione. Intanto occorre considerare che quando un fenomeno rag- giunge una dimensione ed una evidenza pro- blematica ha alle sue spalle un sommerso che sfugge alla lettura delle apparenze del fatto in se. Dietro ad un’azione, ad un com- portamento, ad un sintomo, c’è sempre un percorso che lo ha provocato, sia nel bene che nel male. Quello che succede insomma è il momento ultimo di dinamiche molto com- plesse. Le difficoltà si possono quindi intendere come la risultante di un vissuto che non ha favorito, sviluppato e mantenuto quelle condizioni ide- ali di equilibrio, di funzionalità e di libertà che sarebbero invece i presupposti potenziali e naturali per l’affermazione della responsabili- tà, dell’amore, della salute, del benessere. Va detto subito che non ci interessa qui indi- viduare carnefici intenzionali o stabilire colpe personali ma piuttosto sottolineare le con- traddizioni di un sistema, di uno “stile di vita” che al suo interno produce questa distorsione sostanziale: allontana cioè l’uomo dal suo principio biologico, dalla sua vocazione vitale. Non è un tema solo di oggi ma certo è che la qualità della nostra vita risulta e dipende dal rapporto tra ciò che siamo e le circostan- ze/condizioni in cui la vita stessa si può rea- lizzare. Per noi umani, a differenza di tutti gli altri organismi, questa relazione non è - pur- troppo o per fortuna - lineare ed automatica. La ragione sta nel fatto che essendo dotati della facoltà di intendere e di volere, le nostre decisioni diventano una variabile critica per il destino della nostra esistenza. Ed è a questo riguardo che negli ultimi decenni sono dege- nerate in modo del tutto particolare alcune condizioni di questa equazione. La disgregazione dell’assetto sociale e cultu- rale precedente (ruoli, identità, obblighi, valo- ri), l’accelerazione e l’impatto delle nuove tecnologie, l’ossessiva presenza e ingerenza della televisione (sulla quale torneremo più avanti), il peggioramento delle abitudini ali- mentari e dello stile di vita in generale hanno acuito questa problematica ed aumentato il malessere sociale e personale. L’interessante è che questa degenerazione potrebbe avere un possibile risvolto positivo. Per capire a co- sa mi sto riferendo bisogna però ragionare oltre la storia delle vicende, occorre immagi- nare l’uomo dentro un disegno universale ben oltre la sua effimera esistenza. Non è esclusa quindi l’ipotesi che questa esasperazione possa rappresentare il presupposto per un passaggio evolutivo significativo, quello cioè di mettere in evidenza questa contraddizione e ritrovare una via che rispetti di più le nostre origini e la nostra natura. E’ logico che non possiamo liquidare l’aumento preoccupante delle malattie ed i misfatti di tutti i giorni con una chiacchierata sulla prospettiva evoluzio- nistica. Se però non cominciamo a prendere atto di questa implicazione continueremo, in- genuamente e inconsapevolmente, a mante- nere in vita e a sviluppare sempre più questa tendenza innaturale che ormai si è consolida- ta. Comprendere le ragioni del mal-essere ol- tre l’apparenza del suo manifestarsi significa anche evitare di limitarsi alla rassegnazione, all’esternazione, allo sgomento o, peggio, pensare ingenuamente che “terapie” più effi- caci e leggi più severe, per quanto legittimate dall’emergenza, siano la soluzione vincente e radicale per rimettere le cose a posto. Vedere la complessità e aggiungere questa conside- razione esistenziale vuole dire appropriarsi di una lettura realistica che aumenta la propria consapevolezza e le proprie responsabilità; un’apertura indispensabile per modificare il proprio atteggiamento ed essere più presenti

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Tratto dal libro "Il Benessere Possibile" il capito "Il mestiere di vivere"

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Tratto dal libro “IL BENESSERE POSSIBILE”

Il “mestiere” di vivere  

Per spiegare l’apparente incomprensibile e-scalation di recrudescenza e di sofferenza di oggigiorno occorre fare uno sforzo insolito di interpretazione oltre la propria emotività e il proprio criterio di valutazione. Intanto occorre considerare che quando un fenomeno rag-giunge una dimensione ed una evidenza pro-blematica ha alle sue spalle un sommerso che sfugge alla lettura delle apparenze del fatto in se. Dietro ad un’azione, ad un com-portamento, ad un sintomo, c’è sempre un percorso che lo ha provocato, sia nel bene che nel male. Quello che succede insomma è il momento ultimo di dinamiche molto com-plesse. Le difficoltà si possono quindi intendere come la risultante di un vissuto che non ha favorito, sviluppato e mantenuto quelle condizioni ide-ali di equilibrio, di funzionalità e di libertà che sarebbero invece i presupposti potenziali e naturali per l’affermazione della responsabili-tà, dell’amore, della salute, del benessere. Va detto subito che non ci interessa qui indi-viduare carnefici intenzionali o stabilire colpe personali ma piuttosto sottolineare le con-traddizioni di un sistema, di uno “stile di vita” che al suo interno produce questa distorsione sostanziale: allontana cioè l’uomo dal suo principio biologico, dalla sua vocazione vitale. Non è un tema solo di oggi ma certo è che la qualità della nostra vita risulta e dipende dal rapporto tra ciò che siamo e le circostan-ze/condizioni in cui la vita stessa si può rea-lizzare. Per noi umani, a differenza di tutti gli altri organismi, questa relazione non è - pur-troppo o per fortuna - lineare ed automatica. La ragione sta nel fatto che essendo dotati della facoltà di intendere e di volere, le nostre decisioni diventano una variabile critica per il destino della nostra esistenza. Ed è a questo riguardo che negli ultimi decenni sono dege-nerate in modo del tutto particolare alcune condizioni di questa equazione.

La disgregazione dell’assetto sociale e cultu-rale precedente (ruoli, identità, obblighi, valo-ri), l’accelerazione e l’impatto delle nuove tecnologie, l’ossessiva presenza e ingerenza della televisione (sulla quale torneremo più avanti), il peggioramento delle abitudini ali-mentari e dello stile di vita in generale hanno acuito questa problematica ed aumentato il malessere sociale e personale. L’interessante è che questa degenerazione potrebbe avere un possibile risvolto positivo. Per capire a co-sa mi sto riferendo bisogna però ragionare oltre la storia delle vicende, occorre immagi-nare l’uomo dentro un disegno universale ben oltre la sua effimera esistenza. Non è esclusa quindi l’ipotesi che questa esasperazione possa rappresentare il presupposto per un passaggio evolutivo significativo, quello cioè di mettere in evidenza questa contraddizione e ritrovare una via che rispetti di più le nostre origini e la nostra natura. E’ logico che non possiamo liquidare l’aumento preoccupante delle malattie ed i misfatti di tutti i giorni con una chiacchierata sulla prospettiva evoluzio-nistica. Se però non cominciamo a prendere atto di questa implicazione continueremo, in-genuamente e inconsapevolmente, a mante-nere in vita e a sviluppare sempre più questa tendenza innaturale che ormai si è consolida-ta. Comprendere le ragioni del mal-essere ol-tre l’apparenza del suo manifestarsi significa anche evitare di limitarsi alla rassegnazione, all’esternazione, allo sgomento o, peggio, pensare ingenuamente che “terapie” più effi-caci e leggi più severe, per quanto legittimate dall’emergenza, siano la soluzione vincente e radicale per rimettere le cose a posto. Vedere la complessità e aggiungere questa conside-razione esistenziale vuole dire appropriarsi di una lettura realistica che aumenta la propria consapevolezza e le proprie responsabilità; un’apertura indispensabile per modificare il proprio atteggiamento ed essere più presenti

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e attivi e contribuire così alla vita vera secon-do i suoi principi ed i sui fondamenti. Le cau-se ed i motivi che generano conflitto, ce lo dobbiamo dire e sarebbe utile capirlo, sono soprattutto nelle “condizioni di vita” e nella spirale perversa in cui siamo precipitati. Quando parliamo di condizioni di vita inten-diamo tutto quello con il quale veniamo a contatto sia sul piano organico che in quello di relazione e che quindi contribuisce in qual-che modo alla nostra conservazione e alla nostra affermazione. E proprio oggi, in virtù di questo inasprimento e di una generale disillu-sione che un maggiore benessere materiale e una medicina sempre più sofisticata avrebbe-ro potuto risolvere tutti i mali, è forse quanto mai possibile, e diciamo auspicabile, una cor-rezione di pensiero. Un cambiamento però che può avvenire solo se si riesce a far parti-re una riflessione che getti le basi per una nuova cultura ed una nuova mentalità. Un ri-lancio dei temi fondamentali della vita che smascheri i nostri deliri e le nostre presunzio-ni, le nostre deviazioni e le nostre interferen-ze. Una responsabilità che deve coinvolgere tutti, o meglio la coscienza di tutti. Un percor-so per un futuro che non può venire dall’ambito politico o dall’attuale sistema di ragionamento e di percezione. Non c’è da meravigliarsi! Il pensare comune ed il pensa-re istituzionale hanno lo stesso comun deno-minatore: vengono dallo stesso equivoco, ri-sultano dalla stessa visione, si riproducono sugli stessi condizionamenti. La realtà odier-na, così com’è, è ormai un volano in movi-mento che coinvolge tutti quanti in una aber-razione generalizzata, nella quale non esisto-no più regole e principi. Senza colpa o pre-meditazione alcuna si riproduce ormai questa distorsione che viene percepita e vissuta co-me la normalità. Per questo parliamo di rivoluzione culturale; una consapevolezza che deve investire prima di tutto la persona perché è da lì che deve cominciare questa trasformazione ed è solo così che può raggiungere poi ogni ambito, ogni istituzione ed ogni realtà sociale. Il dibat-tito, le analisi, le interpretazioni devono esse-re capaci di superare il disorientamento, la superficialità e l’illusione generalizzata di og-

gi; devono favorire questo processo e gettare le basi per un divenire più sano e più sereno. Una bella partita! “La vita la gà da esar emparada” (la vita deve essere appresa) diceva un vecchietto del mio paese. Paragonare la vita ad un “mestiere” ci aiuta a capire cosa e come è necessario che accada. Sappiamo che si diventa capaci di fare bene una “cosa” attraverso la conoscen-za, la vicinanza di validi detentori di sapienza, quali i “maestri” di mestiere, e se nel tempo si ha modo di approfondire la propria esperien-za. Una crescita in continua evoluzione gra-zie poi al talento, all’intuizione e alla creatività che ci è propria. Un apprendere che a sua volta ci trasforma in testimoni per altri che verranno dopo di noi. Questo è il meccanismo anche del “mestiere di vivere”, della riproduzione della saggezza, della sintonia, dei valori, a patto che il livello di trasmissione e di accoglienza risponda a bisogni e necessità, sia animato dal rispetto e dalla condivisione, dall’amore e dalla stima. La conclusione finale porta inevitabilmente all’espressione di Sé, alla relazione con gli altri, all’affermazione della vita in generale. Ma se questo meccanismo si svilisce di que-sta intenzione e del suo legame con la natura dell’essere e del mondo che ci circonda si creano quelle che possiamo chiamare le “av-verse condizioni ambientali”. Nascono così i cattivi maestri, i falsi valori, i comportamenti e le abitudini contro natura, il depauperamento e lo spreco indiscriminato, ecc. Si apre lo spazio per le idee ed i pregiudizi, per l’arroganza e la discriminazione; non c’è più amore ma diffidenza, paura, prevenzione. Il risultato finale non può essere che uno svi-luppo anomalo e casuale che produce, come conseguenza, difficoltà e sofferenza. Il per-corso di educazione, di crescita e di sviluppo, per non generare conflitto e deviazioni deve essere ancorato alla realtà, in accordo con le peculiarità della persona e con la natura dei fenomeni… è semplicemente la realizzazione della vita secondo il suo progetto biologico ed evolutivo. Vale per qualsiasi organismo, vale per l’uomo. Ogni essere vivente ha le sue combinazioni favorevoli, le sue prerogative, le sue regole, che ci è chiesto di conoscere, ri-

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spettare ed assecondare. La loro negazione provoca appunto risvolti ed effetti problemati-ci: è così che si spiegano i conflitti, le difficol-tà nelle relazioni, le nostre stesse disarmonie, le nostre pessime condizioni di salute e di benessere generale. Pensate ad una pianta, ad un animale…. modificate il loro abitat na-turale e immaginate il loro destino! La domanda a questo punto sorge spontane-a: l’attuale assetto educativo, le opportunità più formative, le pressioni più significative e condizionanti, in che direzione vanno? Quali sono le informazioni che abbiamo ricevuto e che a nostra volta trasmettiamo? Come sono stati i nostri “maestri di vita” più importanti e come lo siamo a sua volta noi? E ancora: l’esperienza che accumuliamo favorisce la nostra realizzazione o segue ormai una dire-zione viziata e limitante? Quanto siamo lon-tani dai capisaldi della vita, da una nutrizione che sostenga l’attività biologica, da un eserci-zio che ci mantenga in funzione, da un atteg-giamento mentale che liberi energie e risor-se? E per contro: che cosa, viceversa, pos-siamo aspettarci dall’attuale nostro modo di vivere e di essere? Ancora più interessante è capire che cosa succede a livello del cervello. La natura dell’uomo vuole che la facoltà di pensare, di ragionare e decidere, che è la funzione dove si sviluppa e si elabora la percezione degli accadimenti, conviva con un sentire antico che è in empatia con l’universo che ci ha cre-ato. Un codice, un’eredità evolutiva che è in noi come in ogni altra forma di vita: è la parte detta “rettiliana”, istintiva, irrazionale, una “lo-gica” che appartiene al mistero della materia e non alla ragione. Un’attività che deve rima-nere assolutamente integrata nell’essere u-mano, pena la perdita di una parte fondamen-tale di Sé, della propria sensibilità intuitiva e realizzativa. Nella “moralizzazione” del vivere di oggi, l’uomo invece cresce soffocando sempre più questa dimensione. Nella educa-zione che riceviamo e che trasmettiamo c’è sempre meno spazio per mantenere questo legame. Ci si conforma a diktat comuni fino a credere di essere quello che pensiamo e non quello che sentiamo, per assomigliare a qual-cosa, a qualcuno e siamo sempre meno noi

stessi. L’esistenza e la percezione si sviluppa nella parte più razionale del cervello: “la cor-teccia”. Di recente costituzione, evolutiva-mente parlando, è sì l’aspetto che ci distingue ma è anche la parte più condizionabile e suggestionabile. Quel sentire arcaico, po-tremmo dire “biologico”, viene via-via oscura-to. Il risultato è una vita sempre più separata dal tutto che siamo e dal tutto a cui apparte-niamo e che solo in questa integrità può tro-vare il suo equilibrio e quell’attitudine naturale al bene. Quel lato ”inconscio” continua però a pulsare e a rivendicare il suo diritto di espri-mersi. Un’energia che trova il suo libero fluire solo nella autenticità di Sé, nella realizzazio-ne della propria personalità. Se non gli è con-sentita questa possibilità lungo il percorso del vivere, lo fa comunque usando canali e forme che risultano poi oscuri ed incomprensibili ad una coscienza ormai così separata e delimi-tata. Una frattura del nostro essere che apre la via a tutta una serie di conseguenze che vanno dall’ansia alle somatizzazioni, dalle violenze più inaudite alle reazioni più impre-vedibili, dagli stati d’animo più difficili ai com-portamenti più inspiegabili… Ma non solo! Questo sviluppo diciamo “mentale” ci chiude in una circolo di ragionamenti, di stereotipi e di luoghi comuni, che rendono difficile ricono-scere questo limite, rompere le sue maglie e trovare le vie per uscirne. Tutto viene perce-pito e spiegato in virtù delle nostre opinioni ed idee personali che altro non sono che il risul-tato delle nostre esperienze e del generale condizionamento. Ora possiamo dire qualcosa sulla televisione perché ci consente di ribadire il nostro tema di fondo. Oltre l’argomentare intorno al palin-sesto, alla qualità dei programmi, a quanto questi siano “educativi” o “diseducativi”, non dobbiamo dimenticare che, come tutto il re-sto, la televisione è parte di questo stesso mondo e quanto lo condiziona, tanto è a sua volta condizionata. Il punto principale è che al venire meno degli ambiti formativi significativi la televisione si è trovata ad avere un ruolo particolare soprattutto per il vuoto educativo e per la separazione interiore che si sono anda-te creando. Ossessiva e onnipresente contri-buisce così alla percezione virtuale della real-

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tà e lo fa rinforzando proprio la dimensione più “superficiale” del cervello, quella più su-scettibile ad essere influenzata. La televisio-ne ha guadagnato sempre più campo e signi-ficato al venire meno della autonomia profon-da della persona. Al ridursi della capacità cri-tica di distinguere il reale dal virtuale la televi-sione è diventata – è angosciante dirlo –, malgrado le intenzioni di chi la fa, un mezzo persuasivo con sempre maggiore forza ed in-cidenza nel condizionamento e nella manipo-lazione. Ma, ripeto, non è una colpa implicita alla sua natura, è la degenerazione del vivere che gli ha aperto la strada a questa funzione e a questo potere. Sappiamo che le persone che rimangono ancorate alla vita sanno man-tenere una distanza critica e oggettiva e san-no prendere gli indiscutibili vantaggi - infor-mativi, formativi o di svago - che da lì posso-no venire. Lo stesso discorso vale natural-mente per internet e per qualsiasi altra solle-citazione che incontriamo. E’ illusorio pensare che la televisione - o qualsiasi altro mezzo - possa compensare o sostituire quel contesto educativo che necessita invece della presen-za reale, fisica ed affettiva, dell’esperienza e della testimonianza, della riflessione e della intuizione profonda. Mentre, in assenza pro-prio di queste condizioni e di questo vissuto, è il mezzo ideale per alimentare e produrre l’equivoco, l’inganno e la distorsione. Anche la televisione insomma è dentro questa spira-le perversa che ormai non ha più testa né co-da. Questo stato di cose è l’abitat fragile e con-taminato in cui crescono le vite di oggi. E tut-to è figlio di tutto e a sua volta condiziona il tutto. E’ solo un gioco di parole? No! è la veri-tà di quest’epoca che se non abbiamo la for-za o la fortuna di vedere ne saremo sempre più travolti, vittime e inconsapevoli sostenitori, esposti a tutta una serie di rischi e pericoli che oggi sia la cronaca che il nostro stato di benessere ci racconta con dovizia di partico-lari in ogni dove. Occorre quindi una sostan-ziale presa di coscienza, forse senza prece-denti. Una rivoluzione epocale. Ma ricordate:

è un processo! Non ha regole se non che si “lavori” in questa direzione. E’ la vita stessa che chiede il suo riscatto ed il suo ripristino. Sento dire sempre più frequentemente “è un mondo impazzito”. E’ vero, ma in qualche modo possiamo tornare a fare la nostra parte per raddrizzare le sorti del nostro destino e contribuire a bonificare dal basso questo mondo verso il quale oggi sembra abbiamo sempre meno gratitudine e rispetto. Non è fa-cile perché ognuno di noi, in qualche modo, viene dallo stesso “ambiente” e paga lo stes-so debito. Ma è utile non dimenticare mai che la natura tende all’equilibrio e all’armonia e che siamo solo noi, con i nostri modi, che stiamo impedendo il suo spontaneo realizzar-si. E’ necessario che impariamo ad assecon-dare e a sostenere la nostra costituzione con un’alimentazione funzionale e praticando una corretta attività fisica perché è di questo che abbiamo bisogno; dobbiamo liberarci dal pe-so enorme dei giudizi e delle colpe per ritro-vare quella leggerezza e quel vuoto mentale che è la condizione perché possa emergere la nostra personalità, senza paura e senza vergogna. “La vita la gà da esar emparada”… attraverso una nuova intelligenza che consideri le nostre origini, la nostra genetica ed i nostri bisogni; attraverso una riflessione che ci riapra gli oc-chi e ci riabitui a ragionare con il cuore, ovve-ro con quel sentire profondo che ci appartie-ne. Del resto capire qualcosa di più della realtà non può che aiutarci a viverla meglio. La li-bertà ed il benessere che possiamo incontra-re è inimmaginabile e deve diventare ragione e motivo di curiosità, di interesse e passione per la vita. Inoltre ci restituisce il senso dimenticato della responsabilità: verso noi stessi, verso i nostri figli, per i loro stessi figli e per i figli dei figli che verranno… è solo così che possono cambiare veramente le cose e che possiamo tornare ad imparare e ad insegnare quell’arte straordinaria che è il “mestiere” di vivere.

Dr. Corrado Ceschinelli – Via L. C. Borciol, 51 – 38086 PINZOLO (TN)  cell. 348 8526528 

 

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