DONNE

&

LAVORO

Parte II Week 2

Il ritorno delle donne al lavoro retribuito

«il fenomeno più importante della seconda metà del XX

secolo» (REYNERI, 2005)

Differenze sessuali e di genere

SESSO: si riferisce al corredo genetico di una persona

(ossia dei suoi caratteri biologici, fisici e anatomici) e si

applica al binomio concettuale «maschio/femmina»;

GENERE: si riferisce invece al significato sociale assunto

dalle differenze sessuali e si applica al binomio

«uomo/donna»

(Oackley, 1972).

Identità di genere : socialmente costruita

varia nello spazio e nel tempo

Come si è giustificata l’esclusione sociale

delle donne dal mercato del lavoro?

Principalmente riportandola a differenze di tipo:

• psicologico-cognitivo (inferiorità intellettuale e cognitiva; fragilità emotiva e sentimentale) «il gentil sesso»;

• fisico (debolezza costituzionale; gravidanze) «il sesso debole»;

• vocazionale (naturale predisposizione ai compiti di cura/domestici) «l’angelo del focolare»;

• politico (naturale inadeguatezza ai compiti richiesti al cittadino: servizio militare, voto, sfera pubblica);

• morale (promiscuità del luogo di lavoro) «donna onesta».

socializzazione del biologico biologicizzazione del sociale

La «violenza simbolica» , strumento del dominio maschile (Bourdieu, 1998)

Origine strutturale della differenziazione di genere in una relazione di dominio legittimata con schemi cognitivi che fondano l’ordine sociale (es. Genesi):

• rispetto e riproduzione dell «ordine del mondo», che porta gli individui ad accettare come naturale anche esistenze in condizioni intollerabili;

• necessità di smascherare gli schemi cognitivi incorporati per spezzare il nesso di familiarità ingannevole che lega tale differenziazione ad una pratica sociale naturalizzata.

Occupazione femminile nei paesi occidentali nel dopoguerra

Le differenze nel tasso di attività totale dipendono:

• dalla partecipazione al lavoro delle donne tra 25-50

anni (→ implicazioni per assetti culturali, sociali ed

economici)

Modelli di partecipazione al lavoro per età:

le curve dei tassi di attività per età possono seguire (rif.

figura 2.1 Reyneri):

1. il modello dell'Europa centrosettentrionale (a M);

2. il modello dell'Europa meridionale (a L rovesciata);

3. il modello maschile e dei paesi nordici (a campana).

I mutamenti dell’occupazione femminile nei paesi maggiormente industrializzati

• progressiva convergenza verso il modello «a

campana»;

• l'aumento della partecipazione al lavoro si concentra

nella classe 25-50 anni;

→ attenzione all’interpretazione dei grafici!

La situazione italiana (in chiave comparata):

• raggiunto il modello a campana, ma su livelli molto inferiori:

• le differenze sono ormai molto ridotte per ventenni e trentenni;

• le differenze rimangono cospicue per quarantenni e cinquantenni;

• le differenze rimangono cospicue a livello territoriale.

fig. 2.2. Tasso di attività per età in Italia (femmine)

0

10

20

30

40

50

60

70

14-19 20-24 25-29 30-39 40-49 50-59 60-64 65-70

1977 1993 2003 2008

fig. 2.3. Tassi di attività per età, 2007 (femmine)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 65-69

Danimarca Germania Gran Bretagna Francia Spagna Italia

fig. 2.4. Tassi di attività per età in Italia, 2008 (femmine)

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 65-69

Nord Centro Sud

Cosa spiega la crescente partecipazione al MDL di donne

adulte, impegnate in famiglia?

1. l’occupazione part-time;

2. i sostegni al lavoro familiare (la doppia presenza);

3. la crescita dell’istruzione superiore;

4. la femminilizzazione della domanda di lavoro.

1. Il lavoro a tempo parziale (PART TIME):

• una discussione «al femminile»

• Ambiguità definitoria: auto-classificazione (Eurostat) o soglia delle 30 ore (Oecd)?

Stabilità e qualità del PT:

• qualche differenza livelli di instabilità;

• differenze nella precarietà di fatto;

• netta differenza per status giuridico e contrattuale;

• variabilità interpretazione flessibilità oraria.

Le due vie del part time:

• per far lavorare le donne: attività stabili e non disagiate (il pubblico impiego nei paesi nordici);

• per assicurarsi basso costo del lavoro e alta flessibilità: attività mal pagate e precarie (la deregolazione inglese).

14

Quale relazione tra PT e occupazione femminile?

Nei paesi europei in cui è più alto il tasso di occupazione femminile è anche più alta la quota di donne che lavorano PT (eccezioni:

Portogallo; Finlandia e paesi dell'Europa orientale)

anni ‘70 e ’80:

• solo negli Usa l'occupazione full time cresce più di quella PT;

• negli altri paesi (tranne l'Italia) quella PT cresce molto di più

anni ’90:

• il contributo decisivo (e a volte unico!) del PT alla crescita dell’occupazione femminile.

anni Duemila:

• il contributo del PT alla crescita dell’occupazione femminile si riduce, ma non di molto, e rimane decisivo.

15

Il caso italiano

• Per tutti gli anni Settanta e Ottanta l'occupazione cresce, ma

la quota di part time rimane stabile;

• nel 1993 si ha una svolta: la quota di part time comincia a

crescere dal 21 al 28% del 2008;

• oltre la metà della nuova occupazione dal 1993 al 2008 è a

tempo parziale.

Tenendo conto della minore diffusione del part time, i livelli della

partecipazione al lavoro delle donne italiane risultano meno

distanti da quelli dei paesi più avanzati.

16

17

fig. 2.6. Tasso di occupazione femminile e quota di part time,

2008

Belgio

Danimarca

Germania

Irlanda

Grecia

Spagna

FranciaItalia

Olanda

Gran Bretagna

Portogallo

Finlandia

SveziaAustria

0

10

20

30

40

50

60

70

80

45 50 55 60 65 70 75 80

Tasso di occupazione (15-64 a.)

Qu

ota

di p

art

tim

e

Dove e tra chi è più diffuso il PT: • nei settori economici:

• più alte percentuali in commercio, alberghi e ristoranti e soprattutto servizi alla persona, pubblici e privati (ove lavorano 4 part timers su 10);

• in alcuni paesi una buona proporzione nel settore bancario e assicurativo;

• solo in Olanda e Germania rilevante presenza anche nell’industria manifatturiera;

• le differenze per livello di istruzione: • la proporzione di part time diminuisce con il crescere del livello di istruzione,

(anche tra le lavoratrici madri);

• le differenze per livello professionale: • in tutti i paesi, la quota di part time è

• nettamente più alta per lavori manuali non qualificati e tra le addette alle vendite;

• nettamente più bassa per mansioni manuali qualificate o specializzate e per quelle dirigenziali;

• più bassa per professioni intellettuali e tecniche.

18

Part time volontario e involontario

• nel complesso dei paesi Oecd solo una part timer su

cinque è involontaria;

• considerando i paesi europei, dove il part time è più

diffuso, è minore la proporzione di part time involontario;

• una relazione negativa tra diffusione del part time e

percentuale di part time involontario esiste anche tra le

regioni italiane:

• centro-nord: più diffuso (nel 2008 oltre il 29%) e meno involontario

(poco più del 27%);

• sud: meno diffuso (25%) e anche molto più involontario (oltre il

57%).

19

20

fig. 2.7. Percentuale di occupazione femminile part time e

quota di part time involontario, 2008

BelgioDanimarca

Germania

Irlanda

Grecia

Spagna

Francia

Italia

Olanda

Austria

Portogallo

Finlandia

Svezia

Gran Bretagna

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

0 10 20 30 40 50 60 70 80

Percentuale di part time sull'occupazione femminile

Qu

ota

di p

art

tim

e in

vo

lon

tario

su

ll'o

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pazio

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art

tim

e

Il PT risponde a pressioni della domanda o dell’offerta ?

Distinzione tra due popolazioni:

• le emancipate, orientate a un lavoro full time;

• le grateful slaves, orientate principalmente alla famiglia e quindi a un lavoro part

time;

• quando l'occupazione è scarsa e il part time poco diffuso:

• per un effetto di auto-selezione, tra le donne che lavorano prevalgono le

emancipate, che disdegnano il part time;

• quando l'occupazione e il part time sono diffusi:

• è presente sul mercato del lavoro anche la gran massa delle grateful slaves, che

desiderano lavorare part time per dedicare tempo alla famiglia;

• poiché un alto livello di istruzione è un fattore di emancipazione, si comprende perché il lavoro part time è più diffuso tra le donne meno istruite e per le attività meno qualificate;

• critiche: la propensione al part time sarebbe comunque condizionata da

un'ideologia patriarcale e dalla carenza di servizi sociali.

21

2. La doppia presenza

In Italia, come si concilia la crescente partecipazione al lavoro

retribuito con impegni familiari delle donne?

• non con il part time;

• non con una più equa divisione del lavoro domestico:

• in tutti i paesi i maschi sono riluttanti a una più egualitaria

distribuzione delle responsabilità familiari;

• i padri italiani sono quelli che svolgono meno compiti domestici;

• non con migliori servizi sociali per l'infanzia:

• disponibilità di asili nido è legata al tasso di occupazione delle

donne, soprattutto poco istruite;

• in Italia solo l’11% dei bambini fino a 3 anni frequenta un asilo

(contro il 33% dell'obiettivo fissato dalla Commissione europea);

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• congedo di maternità (obbligatorio vs. volontario);

• scarsissimo utilizzo del congedo parentale da parte dei padri;

• gli assegni famigliari, in linea per ammontare alla media dei paesi

europei, non sono universali;

• non con una migliore assistenza per gli anziani e i disabili:

• strutture dedicate e assistenza domiciliare poco diffuse;

• trasferimento di sussidi monetari alle famiglie che pagano servizi

privati (spesso in nero);

• in Italia la percentuale di coloro che vivono con genitori anziani è la

più alta in Europa.

23

• sì con ricorso a reti di aiuto familiare • orari e modalità più flessibili;

• oltre la metà delle madri che lavorano ricorre all’aiuto dei nonni;

• le giovani nonne che non lavorano sostengono figlie e nuore, ma il loro ruolo è destinato a esaurirsi:

→ cinquantenni sempre di più lavorano, e la cura degli anziani sta crescendo di importanza;

• sì con il ricorso a collaborazioni domestiche: • forte domanda di colf e quindi di immigrate (oltre il 10% delle famiglie italiane fa

ricorso a una qualche forma di servizio privato);

l'emancipazione delle donne italiane dentro la famiglia piuttosto che dalla famiglia è consentita dalla condizione servile delle immigrate;

• sì con la riduzione degli impegni familiari:

• in Italia forte caduta della fertilità, parallelamente all'aumento della

partecipazione al lavoro

→ da 2,4 figli per donna nel 1970 a 1,37 nel 2007, ben al di sotto del livello di sostituzione

(2,1).

24

La relazione tra numero di figli e livelli di occupazione • tasso di occupazione delle donne europee da 20 a 54 anni:

• 77% senza figli;

• 72% con un figlio;

• 69% con due figli;

• 55% con tre figli;

- in Italia più forte caduta con primo figlio;

- l’eccezione delle donne istruite: alta partecipazione anche con più figli.

Il confronto internazionale

• i paesi a più alta occupazione femminile sono quelli a maggiore fertilità:

• più elevate spese in servizi per l’infanzia e per i giovani;

• relazione positiva fra tasso di occupazione delle donne tra i 30 e i 35 anni e il livello delle politiche dirette a conciliare lavoro e famiglia;

25

IL PARADOSSO DEL FAMILISMO

• Il familismo riduce il numero dei figli:

• frena nascite fuori dal matrimonio;

• ritarda uscita dalla famiglia ed età matrimonio;

• welfare familista carica la famiglia di troppi compiti e provoca

maggiore disoccupazione per le donne.

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3. Partecipazione al lavoro e livello di istruzione

• la percentuale di donne attive cresce con il livello di istruzione;

• nel 2008 il tasso di attività è:

• 18% con licenza elementare;

• 40% con licenza media;

• 64% diplomate;

• 80% laureate;

• dal 1977 al 1992, in Italia: • non vi è stata una maggiore propensione al lavoro delle donne a

parità di livello di istruzione, ma tra le attive è cresciuta la presenza delle donne istruite;

• dal 1995 al 2008 il fenomeno si ripete:

• quasi i due terzi della forza lavoro aggiuntiva si devono alla crescita dei livelli di istruzione;

27

28

fig. 2.8. Tassi di attività per età e titolo di studio in

Italia, 2009 (femmine)

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 65-69

Elementari Media Qualifica professionale Diploma Laurea

Perché le donne istruite sono più attive?

1. teoria del capitale umano:

• l’istruzione come investimento;

2. approccio sociologico:

• la scuola diffonde nuovi modelli di vita;

→ il punto di vista delle famiglie contro quello delle giovani.

Istruzione e partecipazione al lavoro delle donne adulte

• un’elevata istruzione consente un’occupazione più

qualificata;

• l’occupazione più qualificata produce una più alta

retribuzione e un maggiore attaccamento al lavoro.

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Perché le donne sono più istruite?

• la crescita dell'istruzione superiore è stata

maggiore per le donne, finché a fine anni

Ottanta vi è stato il sorpasso sui maschi; • motivi:

• meno figli;

• le ragazze hanno più successo a scuola;

• aspirazioni a mobilità sociale grazie al matrimonio e a lavoro qualificato.

30

4. Occupazione femminile e crescita dei servizi

• l'aumento dell'occupazione femminile si concentra

nel terziario, ormai un settore a prevalenza

femminile;

• i paesi a più alta percentuale di occupazione nei

servizi sono quelli ove maggiore è quota di donne

tra gli occupati;

• il terziario è un settore adatto a mantenere

occupate le donne in età adulta:

• fin dai primi anni Settanta, la curva dei tassi di

occupazione era «a campana»;

• non più valida l'immagine della discontinuità.

31

La femminilizzazione della domanda di lavoro

• l'occupazione femminile è cresciuta di più:

• commercio, turismo e ristorazione;

• credito e assicurazioni;

• servizi pubblici e alla persona: sanità, istruzione, servizi

sociali e privati;

• anche servizi avanzati alle imprese.

• il peso dell'area pubblica è un terzo (ma sempre meno):

• condizioni che consentono di conciliare lavoro e famiglia

• tempo pieno corto;

• lassismo verso assenza brevi;

• ciò spiega la possibilità di alti carichi familiari delle donne

istruite;

• ma non sempre vi sono tali condizioni;

32

• dagli anni Novanta:

• contrazione del contributo del settore commercio, turismo e

ristorazione;

• forte aumento del terziario avanzato;

• area pubblica è sempre importante;

• nuova domanda di lavoro femminile è quasi tutta per posizioni

dipendenti;

• vasto processo di crescita professionale, anche se aumentano

le occupazioni non qualificate.

33

Perché la nuova domanda di lavoro si rivolge alle donne? • gran parte dei servizi sociali e personali sono frutto della

esternalizzazione di attività che erano svolte in famiglia dalle donne (lavori di cura);

• nell’UE-15 oltre il 45% dell’occupazione femminile si concentra nei servizi alle famiglie, ove le donne sfiorano il 70% dell’occupazione;

• un circuito virtuoso: l'offerta di lavoro femminile ha creato gran parte della propria domanda;

• le donne sono ricercate anche per «prendersi cura» degli altri in senso più ampio:

• nei paesi UE il 15% dell'occupazione femminile è nei servizi distribuitivi (ove le donne sono il 50%);

• stereotipo: la donna «gentile» che sa stabilire relazioni personali con il cliente.

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Le differenze regionali

• centro-nord:

• (Lombardia) gli operai maschi delle fabbriche chiuse sono stati sostituiti da donne nei servizi → ricambio occupazionale;

• sud:

• le donne devono misurarsi con un’accesa concorrenza maschile.

Più occupate ma più segregate?

• il rovescio della medaglia:

• le donne si concentrano in occupazioni ove sono dominanti e

sono escluse da quelle a predominio maschile (molteplici e

spesso più prestigiosi);

• non sempre vero: femminilizzazione di alcune occupazioni

(insegnanti);

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La segregazione orizzontale

= concentrazione in settori o occupazioni sullo stesso

livello;

• l’indice di dissomiglianza:

= proporzione di donne che dovrebbero cambiare

settore o occupazione per avere un'eguale

distribuzione in ogni settore o occupazione.

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37

fig. 2.9. Relazione tra indice di dissimiglianza (per

settori) e quota di occupazione femminile, 2008

Belgio

Danimarca

Germania

Irlanda

Grecia

Spagna

FranciaItalia

Olanda

Austria

Portogallo

Finlandia

Svezia

GB

Norvegia

0.25

0.27

0.29

0.31

0.33

0.35

0.37

0.39

0.41

38.0 40.0 42.0 44.0 46.0 48.0 50.0

Quota di occupazione femminile

In

dic

e d

i d

issim

iglian

za

Il paradosso: più occupazione, più segregazione

• l’Italia è uno dei paesi con il più basso valore

dell’indice di dissomiglianza;

• più segregazione ove maggiore è l'occupazione nel

terziario:

− concentrazione delle donne tra impiegati esecutivi, addetti

alle vendite e ai servizi;

• più occupazione si accompagna a più part time →

ma il part time è costruito per occupare donne in

particolari settori;

• più segregazione per le donne meno istruite →

lavorano più spesso part time e sono vittime di

stereotipi di genere.

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La segregazione verticale

• riguarda occupazioni con diverso livello di qualificazione e prestigio;

• il modello europeo:

• le donne sovra-rappresentate tra impiegati esecutivi, addetti a

vendite e servizi, occupazioni elementari;

• sotto-rappresentate tra mansioni operaie e professioni

dirigenziali;

• il modello italiano e dell'Europa meridionale:

• le donne sono sovra-rappresentate anche nelle attività professionali;

• meno sovra-rappresentate nel lavoro non manuale esecutivo;

• meno sotto-rappresentate nel lavoro operaio;

→ poco diffusi i lavori part time nella distribuzione e nei servizi alle famiglie;

→ prevalgono le avanguardie istruite e con un forte orientamento al lavoro.

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Il «soffitto di cristallo»

• sempre più spesso le donne entrano nell'occupazione in modo paritario:

• grazie soprattutto a processi di selezione formalizzati;

• poi fanno meno carriera: • minore disponibilità ad alti investimenti di tempo e a mobilità

geografica;

• perché escluse dalle reti informali (old boy networks).

I differenziali retributivi di genere

• fuorviante l’indice che colloca l’Italia in posizione favorevole alle donne:

• bassa occupazione femminile → relativamente poche le occupate poco istruite e quindi poco retribuite;

• controllando per le caratteristiche dell’occupazione, il gender pay gap va attribuito a discriminazione.

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